Rita Mascialino 2012 Giacomo Vit – Zyklon B. I vui da li` robis (Gli
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Rita Mascialino 2012 Giacomo Vit – Zyklon B. I vui da li` robis (Gli
Rita Mascialino 2012 Giacomo Vit – Zyklon B. I vui da li’ robis (Gli occhi delle cose). Piateda SO: Edizioni CFR: Prefazione di Gianmario Lucini: Nota introduttiva dell’Autore. PREMIO FRANZ KAFKA ITALIA ® II Edizione 2012, Sezione Poesie, Menzione d’Onore: Recensione di Rita Mascialino. La raccolta di Giacomo Vit Zyklon B – I vui da li’ robis (Gli occhi delle cose) comprende poesie scritte in friulano e tradotte dal poeta stesso in italiano, poesie godibili quindi anche da coloro che non conoscono la lingua friulana, ma certo godibili al meglio da coloro che conoscono tale complesso idioma, per così dire l’idioma di origine del poetare di Giacomo Vit. Il titolo della raccolta è in tedesco, Zyklon B è il nome del gas che veniva immesso negli stanzoni di Auschwitz in cui venivano raggruppati i malcapitati per la gassificazione, per l’eliminazione. Questi si dovevano denudare e dovevano appendere con cura i loro abiti, le scarpe, ogni cosa prima di morire, condotti là dentro con l’illusione di fare la doccia. La porta veniva serrata dall’esterno perché nessuno potesse più scappare ed iniziava a diffondersi il gas dal basso, gas erogato in economia, ciò che rendeva la morte più lunga e disperata e che non impediva che qualcuno, i più forti, venissero bruciati ancora vivi. Bene ha fatto Vit a mettere il titolo audacemente in tedesco, senza sfumare la memoria e la responsabilità che grava sull’identità di questo pur grande popolo. Perché il nazismo è stato un fenomeno della Germania ed è giusto ricordare questo per le generazioni presenti e future, perché questo aiuterà tutti a non sbagliare più o a sbagliare di meno. Come si ricordano tutte le stragi commesse dagli umani con nomi di persone e di culture, così anche la Germania, come sottolinea implicitamente Vit con il suo titolo in tedesco che si riferisce non solo ai nazisti ma in quanto lingua di un popolo coinvolge inevitabilmente il popolo stesso in primo piano, va ricordata non solo per il positivo che ha dato all’umanità in fatto di arte, scienza e tecnica, ma anche per quanto di inumanità ha purtroppo dato: il nazismo, la crudeltà, la barbarie, la malvagità scatenata dall’invidia verso chi veniva sentito migliore di sé. Venendo alle poesie di Giacomo Vit, esse sono poesie appunto della memoria di chi è stato assassinato e di chi ha assassinato. Ciò che canta il poeta sono gli oggetti appartenuti ai prigionieri uccisi dai nazisti, oggetti della quotidianità della vita, oggetti che sono conservati e fotografati, di cui c’è un’ampia documentazione fotografica che l’Autore ha potuto consultare restandone colpito nel profondo della sua sensibilità, al punto da dedicare un suo libro di poesie in memoria. Inizia con l’effusione del suo sentimento poetico stimolato dalla vista di Ociai, occhiali rotti che parlano seppure anonimamente di chi li ha indossati, dandoci un cenno della sua identità, facendoci immaginare che dietro essi c’erano occhi che vedevano il mondo prima di spegnersi assieme alla persona uccisa dai cattivi, dai nazisti che tanto hanno devastato un’umanità inerme e operosa, solo non tedesca, non nazista. Così anche la scarpina, la Scarputa forse di un bambino o di una donna, rimasta senza chi più la allacciava con lacci concreti e metaforici, del sole della vita prima dell’uccisione. Anche la valigia con le poche cose messe dentro prima della deportazione, cose che non sarebbero più servite. Allo specchio, lo Spieli del IV componimento, uno tra i più forti di Giacomo Vit, il poeta chiede se lo specchio trovato e conservato per la memoria abbia “afferrato il riso obliquo di colui che per un secondo ha accecato Dio.” E così via con le fotografie di donne, di uomini impiccati, di strumenti di tortura, di capelli, tazzine, scodelle, di zoccoli di legno, di vestiti a righe da deportati, di bambole rotte, clarinetti, lucidi da scarpe, protesi di gambe che testimoniano delle persone che adoperavano gli oggetti – come dice Vit nel titolo, oggetti che sono gli occhi delle cose, i vui da li’ robis. La raccolta termina con la poesia Flun (flabuta contada al freit), Fiume (piccola fiaba raccontata al freddo), in cui Giacomo Vit si rivolge ai fiumi che hanno trascinato via nelle loro acque la cenere dei corpi cremati che veniva così dispersa per fare sparire ogni traccia delle stragi. Ma le stragi, come evidenzia anche la presenza della poesia forte di Giacomo Vit, hanno lasciato tracce consistenti, sono state scoperte e sono diventate memoria che grida ad eterna vergogna di chi le ha commesse e ad eterno monito per l’umanità tutta, perché non giunga mai più a simile infamia. La bambina cui si rivolge il poeta, la bambina uccisa dai nazisti guarderà il mondo dalla sua residenza nello splendore di Dio, da lì potrà ancora sorridere e veglierà su coloro che sono rimasti, i suoi occhi “avranno la giusta luce per forare il vento, le siepi di neve nera”, avranno la forza di ridare alla vita una dignità e la capacità di ridere ancora. RM