Cenni storici

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Entrata fr. 10.AVS e studenti fr. 7.Informazioni:
Leventina Turismo
telefono 091 869 15 33
www.leventinaturismo.ch
domenica 29 luglio 2012
Gerardo Chimini
Da, Aldo Lanini, Gli organi della Svizzera Italiana, vol. II, Organi moderni del Sopraceneri e del Grigioni Italiano, Lugano, 1986
L’organo della Chiesa di S. Michele di Giornico fu costruito nel 1797
dai Fratelli Chiesa di Milano. Si tratta di un tipico organo settecentesco
italiano, con tastiera unica spezzata, con le file del Ripieno separate, con
due Cornetti a doppia fila, squillanti, di cui i Chiesa avevano il segreto.
Pur rimanendo intatto nei somieri e nella catenacciatura, l’organo subì sia
le ingiurie del tempo sia le varie manomissioni, come la quasi totalità degli organi antichi: registri eliminati o sostituiti con altri di infima qualità.
In particolare erano state eliminate tutte le “ancie”. Nel 1985 la parrocchia
di Giornico ha voluto che l’organo fosse totalmente ripristinato nello stato
originario. Le nuove canne sono fornite dalla fabbrica di canne d’organo
Fratelli Denti di Pianengo, presso Crema, con forma e metodi usati nei
secoli scorsi. L’opera di ripristino, di intonazione e di accordatura è stata
eseguita, con sapienza ad un tempo musicale e artigianale, dal Maestro
Livio Vanoni. Va sottolineato che l’accordatura, fedele all’impianto originario, riproduce quasi fedelmente il sistema pre-bachiano, il cosiddetto
“temperamento non equabile”, o zarliniano, che non parifica gli intervalli
di semitono, ma privilegia la terza maggiore di alcune tonalità. L’accordatura antica permette di eseguire su questo strumento la musica secentesca
nel suo splendore armonico più giusto.
Nel 2004 sono stati completamente rinnovati i mantici.
Organizzato da:
Leventina
Turismo
Associazione Diffusione Cultura Musicale
Con il contributo di:
Raimondo Peduzzi, Faido
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Da, Aldo Lanini, Gli organi della Svizzera Italiana, vol. II, Organi
moderni del Sopraceneri e del Grigioni Italiano, Lugano, 1986.
L’organo Mascioni collocato nel 1912 nella Chiesa prepositurale di
Sant’Andrea a Faido, denota un sensibile miglioramento quanto al sistema
di trasmissione nei confronti dell’organo fabbricato cinque anni prima a Cevio
dalla stessa ditta. La pressione del vento è meno intensa (75 contro 95): la trasmissione più silenziosa. L’organo è collocato su una cantoria e ha un prospetto
di 35 canne: 7 in ciascuna delle due torrette laterali: 21 nella sezione centrale
(7-7-7) suddivisa da colonnine in legno. Consolle separata con due tastiere di
58 tasti (Dol-la5). Pedaliera diritta di 27 tasti (Do-Re). Somieri a membrana:
pressione del vento 75. Altezza del corista (a 5 gradi) 428. Numero totale di
canne: 1098. La composizione del metallo di buona parte delle canne è una
lega di zinco. L’organo espressivo, posto in cassa efficiente, non costituisce un
elemento di dialogo fonico con il Grande Organo, considerando da un lato la
potenza esorbitante del Principale 16’ nel primo manuale e dall’altro la natura
di imitazione orchestrale dei pochi registri del secondo Manuale. Revisione
dell’organo nella sua parte trasmissiva eseguita nel 198O da parte della Ditta
costruttrice Mascioni. Il risultato fonico complessivo dello strumento di Faido
è tuttavia di nobile e calda pastosità.
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L’organo sito nella Chiesa parrocchiale dei SS. Pietro e Paolo di
Quinto è un organo a trasmissione elettrica. Lo strumento, dono del
Conservatorio Musicale di Zurigo, opera di R. Ziegler, costruito nel
1948, vi è stato collocato, trasformato e ampliato a cura dell’organaro
Giuseppe Abati. Collocato in cantoria, ha un prospetto quadripartito
molto sviluppato in senso orizzontale: il primo elemento porta 14 canne: 33 il secondo: 22 il terzo: 8 il quarto, leggermente più alto degli
altri corpi. Lo strumento, a trasmissione elettro-meccanica, è dotato di
Consolle a finestra con due Manuali di 56 tasti (Do1-Sol5). Pedaliera
diritta di 30 tasti (Do-Fa). Somieri a tiro: pressione del vento 50 (per il
pedale 72). I registri aggiunti dall’organaro Abati sono contrassegnati
da asterisco. Le ancie provengono dalla ditta Laukhuff.
Il 29 luglio 1985 il maestro Helmuth Reichel vi ha tenuto un originale concerto di collaudo improvvisando su melodie popolari religiose
tuttora vive nella tradizione devozionale del paese e proponendo nel
contempo alcune famose pagine di G.S. Bach.
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domenica 5 agosto 2012
Lidia Giussani
Raffaello Negri
Simone Giordano
domenica 12 agosto 2012
Alessandro Casari
César Franck (1822-1890)
Pièce symphonique en sol mineur, da «L’organiste»
Claude Debussy (1862-1918)
La fille aux cheveux de lin (trascr. Gerardo Chimini)
Claude Debussy
The little shepherd (trascr. Marco Enrico Bossi)
Giancarlo Facchinetti (1936)
Divertimento per organo (2007)
Louis Vierne (1870-1937)
Divertissement
Berceuse
François-Clément Théodore Dubois (1837-1924)
Toccata in sol maggiore
Gerardo Chimini svolge attività artistica come solista e
in formazioni cameristiche, effettuando concerti in tutta
Europa e Giappone, collaborando con orchestre e solisti
di fama internzionale.
La sua attività di concertista d’organo, pratica strumentale
che lo accompagna sin dall’inizio degli studi musicali, lo
ha portato a eseguire un repertorio particolare su strumenti
ottocenteschi realizzando trascrizioni da: Verdi, Liszt, Weber, Wagner, Prokofieff, ecc.
La commissione di brani contemporanei per organo ottocentesco ha contribuito a rivedere le possibilità foniche di
questi strumenti altrimenti relegati ad un repertorio solitamente tradizionale.
È docente presso il Conservatorio di musica “Luca Marenzio” di Brescia e insegna in master-class
in Italia e all’estero.
Tarquinio Merula (1595-1665)
La Cattarina - Ciaccona - La Bellina; Sonate a tre
Giovanni Andrea Cima (1580-1627)
Sonata a due per violino e b.c. dai Concerti ecclesiastici
Costanzo Antegnati (1549-1624)
Canzona La Martinenga per organo solo
Giovanni Gabrieli (1557-1612)
Ricercare VII e VIII tono per organo solo
Biagio Marini (1594-1663)
Balletto secondo - Il Zontino; Sonate a tre
Giovanni Battista Fontana ( dopo 1550-1630)
Sonata Quarta per violino e b.c.
Jacob van Eyck (1590 ca.-1657)
d’Lof-zangh Marie per flauto solo
Girolamo Frescobaldi (1583-1643)
Bergamasca per organo solo
Andrea Falconiero (1585-1656)
Passacaglia - L’Eroica - Ciaccona; Sonate a tre
Lidia Giussani si diploma in clarinetto con il prof. Sergio Del Mastro presso il Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano. Studia musica antica e flauto dolce con il prof. Daniele Bragetti e il prof.
Diego Fratelli presso il dipartimento di Musica Antica dell’Accademia Internazionale della Musica
di Milano.
Si esibisce con l’Ensemble Consonanze Armoniche, con il gruppo da camera Trio Courante in numerosi festival di musica antica, suona in duo con il chitarrista Luca Lucini e collabora al progetto artistico
“Musica e Pittura del ‘400 nel Ticino”. È docente di musica presso il Liceo Enrico Medi di Salò.
Enrico Raggi
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Raffaello Negri si diploma con il massimo dei voti con il Mo. V. Pappalardo presso il conservatorio
di Brescia, consegue il diploma Triennale di Alto Perfezionamento con il Mo. E. Porta. Si perfeziona
con B. Belkin all’Accademia Chigiana di Siena, con C. Romano a Ginevra e D. Schwarzberg alla
Fondazione Romanini di Brescia. Accanto all’intensa attività concertistica in récital e in ensemble
quali la Risonanza, Accademia del Ricercare, Delitiae Musiche, ecc., è stato primo violino e solista
nell’Ensemble Europa Galante. Collabora in qualità di prima parte e solista con l’Ensemble Divino
Sospiro di Lisbona, diretto stabilmente dal Mo. Enrico Onori e con la Jerusalem Baroque Orchestra.
Effettua numerose incisioni per la EMI, Opus 111, RAI, Dinamic, Radio France, BBC, Nippon TV. È
titolare della cattedra di violino presso il Conservatorio “Luca Marenzio” di Brescia.
Simone Giordano si diploma in Organo e Composizione Organistica con F. Castelli e in Pianoforte
con C. Marino Moretti. Studia Clavicembalo con F. Brancacci, G. Fabiano e L. Alvini. Nel 2004 vince
il primo Premio nella categoria Clavicembalo al Concorso “Margola” di Brescia. Collabora dal 1992
al 2001 come insegnante di Esercitazioni Corali ai Civici Cori del Comune di Milano. Dal 1992 è
organista titolare alla Chiesa di Santa Maria del Suffragio a Milano. È assistente di Fabio Biondi e
collaboratore dell’Ensemble Europa Galante.
domenica 12 agosto 2012, ore 20.45
Chiesa di San Michele, Giornico
Girolamo Frescobaldi (1583-1643)
Magnificat VI tono
Aria detta Balletto
Bernardo Storace (1637-1707)
Capriccio sopra il pass’e mezzo
Benedetto Marcello (1686-1739)
Sonata in re minore
Andante – Allegro – Presto
Baldassare Galuppi (1706-1785)
Sonata in re minore
Andante – Adagio – Allegro
Charles Avison (1709-1770)
Concerto II
Adagio – Allegro – Allegro
Niccolò Moretti (1763-1821)
Sonata
Alessandro Casari si diploma in pianoforte,
musica corale e direzione di coro, clavicembalo
e canto lirico presso il Conservatorio Luca Marenzio di Brescia.
Completa gli studi letterari e umanistici laureandosi in Pedagogia presso l’Università Cattolica
di Brescia con una tesi sul fondo musicale della
Chiesa di S. Maria delle Grazie.
Si perfeziona in canto barocco presso il Laboratorio internazionale della Civica scuola di Milano sotto la guida di R. Gini e C. Miatello.
Pubblica per etichette quali Stradivarius, Naxos, Astrée, Amadeus, Bongiovanni.
Dirige l’Ensemble “Gli Erranti”, un gruppo vocale che trae il nome dall’antica accademia degli Erranti che operò a Brescia nel Seicento.
Nel 2010 fonda il Research & Music, istituto di ricerca musicologica, con l’intento
di avviare uno studio sistematico e scientifico della musica del Rinascimento e del
Barocco grazie alla costituzione di un gruppo di studio di docenti di diverse università
italiane e straniere.
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È vita o museo, il concerto di oggi? Nostalgia, rimpianto, contemplazione
di un passato lontano e irraggiungibile, oppure ferita sanguinante, pungente
provocazione, attualità? (Naturalmente non s’intende l’attualità delle canzonette, o dell’ultimo programma televisivo, ma la verità dei sentimenti dell’anima, l’eternità delle umane esigenze di ordine, mistero, bellezza. Abbiamo
bisogno di artisti con sguardi di bambini – immediati, feroci, puri – capaci
di mettere a nudo il nostro cuore. Desideriamo una musica fatta di volti, di
mani e piedi, di paesi e vicoli, di fede ed emozioni). Gli autori presentati da
Alessandro Casari sono intessuti di una simile stoffa. Così Girolamo Frescobaldi: in lui non pulsa solo la vita di una città (Ferrara, Firenze, Roma),
ma la civiltà italiana di un’intera epoca è restituita in tutto il suo segreto
muoversi, crescere, trascorrere, andare via, portarsi verso il proprio destino (l’ora estrema), e, là giunta, restare: nel pensiero dei sopravvissuti, nei
loro affetti, preghiere, ricordi, manufatti, opere d’arte. Squilla la lode del
suo “Magnificat VI tono”, ma è l’effluvio inebriante del ciclamino, non lo
splendore freddo del diamante. È una grandezza che si leva dalla brace,
dai grembi, dai camini, non dai superbi scettri di chi detiene il potere. Una
lenzuolesca bellezza, come nelle grandi indimenticate processioni di paese,
per usare le parole di Giovanni Testori. Nell’“Aria detta Balletto”, tratta
da “II libro di Toccate”, preme invece un incontenibile esercito di respiri e
di sguardi, di pene e di desii, miracolosamente richiusi nell’ostinata riproposizione del basso. La danza è intesa come serbatoio di memorie, ritmi,
cadenze, linee melodiche germinanti dalla stessa armonia. Esiste e persiste
in Frescobaldi un empito enorme, un’enfasi, che nascono da minime cellule.
Variazioni come tesori, pietre umili e quotidiane e perciò più preziose. Ori
come rami di pianta. Gioielli di latta, vetri di bottiglia, carte di caramella e
di dolciumi coi quali può giocare un bimbo. Eccola, nuovamente, la parola
temuta ma necessaria: l’infanzia, la giovinezza, il tremore della prima età,
la naturalezza, l’incanto, la balbettante trepidazione, la nuda sincerità. La
perenne insoddisfazione dell’artigiano, del muratore, che bene conosce il
suo principale dovere: erigere il muro non in perfezione ma in pienezza e in
accordo con la terra, con il luogo, con la gente che a quei muri si appoggerà.
E sa altrettanto bene che quel suo lavoro un giorno prenderà lentamente a
sgretolarsi, a franare, a ruinare. È questo l’intoppo della vita e pure la sua
gloria. La sua cenere, la sua vanitas, la sua vittoria. Ancora variazioni con il
“Capriccio sopra il pass’e mezzo” di Bernardo Storace, altra ampia catena
di festosità e di metamorfosi tematiche. Così che, vien da ripetere, “anche il
quaggiù diventi, poco a poco, il lassù”.
Sterzata veneto/settecentesca con Benedetto Marcello, Baldassare Galuppi, Niccolò Moretti: trionfo dell’arabesco e insieme della graziosa semplicità; scrittura essenziale ma non scabra, anzi, incisiva e leggera; tentazioni
operistico-orchestrali (Moretti), lineari percorsi armonici, e, nei tempi lenti,
il canto che dilaga, piano, sottovoce, fino alla sua naturale estinzione, quasi
avvicinamento al mormorio, al suono che sta tra la campana, i richiami ai figli perché tornino a casa, la giaculatoria. Infine, il “Concerto II” dell’inglese
Charles Avison è una riduzione all’organo di un patetico, nobile, raffinato
Concerto Grosso, strutturato secondo una singolare successione di tempi.
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Marco Enrico Bossi (1861-1925)
Entrata pontificale op. 104
Preghiera “Fatemi la grazia”, dai “Deux morceaux caractéristiques”
Giovanni Paolo Cima (1570-1622)
Sonata a tre per flauto dolce, violino e basso continuo
Saluto. Benvenuti nel regno delle forme strumentali barocche. Titolo. “Le
avventure del Trio Courante nel Paese delle Meraviglie”. Svolgimento. Una
materia che si credeva inanimata e incapace di comunicare, non più che elemento dilettoso e ornamentale, inizia a vivere, si struttura, si organizza, vince
le apparenze, con un balzo supera limiti fittizi e in impetuosa multiforme
espansione ci raggiunge. Touché! Il programma presentato, incentrato soprattutto su musiche di autori lombardi attivi fra Cinque e Seicento, si muove
tra fantasia e rigore, oscilla fra segno scritto e scarni tocchi improvvisativi.
Funge da punto di raccordo fra l’antico mondo rinascimentale e una nuova
sensibilità drammaturgica. Anello di congiunzione fra dotta polifonia e sensibile stile monodico accompagnato. Mette in scena una polarità di campi:
il campo dell’ordine, il campo del getto. Da una parte, la salvaguardia della
scienza della costruzione sonora; dall’altra, lo spazio del possibile, le sfrenate corse di una fantasia errabonda. I ritmi spesso provengono dal mondo della
danza, che serve da modello vivace, attraente, provocatorio; la scelta delle
tonalità preferisce l’uso di corde vuote e/o particolari posizioni, privilegia
specifiche diteggiature, individua più agibili e comode soluzioni manuali,
scopre registri sonori generanti dolcezza fonica a imitazione della voce umana. È una graduale presa di coscienza dell’autonomia linguistica d’un popoloso universo sonoro, troppo a lungo confinato nel cono d’ombra della storia.
L’affetto, l’ordito, le metamorfosi, si fondono in misture variabili. Sopra a
un basso ostinato ripetuto incessantemente fioriscono ghirlande di variazioni
(Ciaccone, Passacaglie, Bergamasche); fitte trame di linee melodiche simultanee si combinano con maestria, calcolo, necessità, non senza sfide concertanti e guizzi solistici (Sonate, Canzoni, Partite); stampi mutevoli accolgono
il divenire di molteplici immagini sonore trovate (cercate) sulla tastiera, divaganti e congiunte in fluenti concatenazioni (Ricercari, Toccate, Arie). Una
sapiente spaziosa aerea architettura di melodie, in disposizione volumetrica e
possente, con interni rimandi e rinnovi di materie e di segni, che sta anche a
simboleggiare il possesso del mondo fisico esterno.
Paroloni? Semplifichiamo. Vola il canto, come un aquilone. Felice perché
legato e guidato da terra. Senza quel nodo sarebbe solo un istante di ebbra
bruciante libertà; e l’immediata fine. Come direbbero i poeti: “Ed ecco ondeggia, pencola, urta, sbalza, risale, prende il vento; ecco, pian piano, tra un
lungo urlo dei fanciulli, s’innalza; e ruba il filo dalla mano, come un fiore
che fugga su lo stelo esile, e vada a rifiorir lontano; e i piedi trepidi e l’anelo
petto del bimbo e l’avida pupilla e il viso e il cuore, porta tutto in cielo. Più
su, più su: già come un punto brilla lassù, lassù. Ma, ecco, una ventata di
sbieco, ecco uno strillo alto. A uno a uno, tutti vi ravviso, o miei compagni”.
(Dove il finale introduce la premonizione della morte, ineludibile cifra segreta d’ogni autentica manifestazione Barocca). Col naso rivolto in alto (gli
occhi fissati su pentagrammi), gli uomini (gli artisti) interrogano invano la
realtà per indovinare il viaggio dell’uomo. Sotto la luna (o sotto i riflettori, è
lo stesso), i dromedari masticano ironici sulla nostra corta visuale. Goffe chiromanzie: l’ardua geometria del cosmo, le mirabili soluzioni sonore sgranate
da cembali, flauti e violini, tentano di descrivere per analogia l’incalcolabile
curvatura dell’amore.
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Max Reger (1873-1916)
Benedictus op. 59/IX
Chiesa dei SS. Pietro e Paolo, Quinto
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Johann Christian Heinrich Rinck (1770-1846)
Preludio e fuga sul nome B.A.C.H.
domenica 5 agosto 2012, ore 20.45
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Chiesa di Sant’Andrea, Faido
“Non Ruscello, ma Oceano dovrebbe chiamarsi” (Beethoven). Lo spirito di
Giovanni Sebastiano Magno, l’ovunque Contemporaneo, l’eternamente Attuale, il Big Bang, percorre il concerto di oggi. Si configuri quale esplicito
omaggio, come nel “Preludio e fuga sul nome B.A.C.H.” di Johann Christian Heinrich Rinck (dove le lettere del cognome, Bach, nella notazione tedesca e anglosassone, corrispondono alle note Si bemolle, La, Do, Si naturale); oppure si tratti di un’influenza larvata, come negli altri autori presentati.
Per Max Reger, Bach fu padre putativo, modello irraggiungibile, nume tutelare, una magnifica inestirpabile ossessione (molte composizioni “sul nome
B.A.C.H.” costellano la sua produzione). La volontà regeriana di salvare e
conservare l’antico prende la stessa direzione della brama rivoluzionaria di
sovvertimento. Convivenza di paradossi. Dentro ai suoi labirinti enarmonici
ci si sente frequentemente oppressi, la raffinatezza della sua melodia è tale da
rovesciarsi nel suo opposto (cioè, in fumosa contorsione), le sue concatenazioni di accordi raggiungono un grado di complicazione che ci fa perdere il
filo. Ciò non accade nel “Benedictus” op. 59/IX, scritto per tre manuali: una
meditazione introspettiva si sviluppa piano, fino all’irrompere d’una svelta
fuga (in cui, naturalmente, non può mancare il tocco cromatico). Il salodiano
Marco Enrico Bossi, ventisettenne, nel 1888 vince un importante concorso
organistico indetto dal periodico “Musica Sacra”, con il brano “Fede a Bach”
op. 62. È una dichiarazione d’intenti, una confessione pubblica, un programma di lavoro. Da allora la sua carriera concertistica e compositiva spiccherà
il volo. La fedele compagnia bachiana non lo abbandonerà più. Mentre tutta
l’Italia insegue le sirene del melodramma (cattedrali e scholae cantorum incluse), Bossi si abbevera alla fontana del gregoriano, guarda alle nobili forme
del passato, guarda alla multiforme lezione di Johann Sebastian il Magnifico,
con gli occhi rivolti al futuro, sottili, tormentati dall’imperativo del nuovo.
L’”Entrata pontificale” op. 104 prende le mosse da un pedale discendente al
modo di una Passacaglia; la “Preghiera - Fatemi la grazia”, uno dei “Deux
morceaux caractéristiques”, datati 1909, mostra un precetto fondante l’opera
bossiana: “Desidero cose che cantino”. Risultato? Una sublime incantevole
espressività. Anche dietro ai basettoni di César Franck spunta un pezzo di
bianca parrucca: nel gioco fluido dei manuali, nel vigoroso ritmo puntato, nei
lunghi pedali cadenzanti; qui il “Pièce symphonique en sol mineur” prepara
l’analoga più ampia opera 17. Se Bossi trascriveva “The little shepherd” dalla suite pianistica debussyana “Children’s corner”, il concittadino Gerardo
Chimini non poteva non raccogliere la sfida. L’ha fatto con il preludio “La
fille aux cheveux de lin”, dal “Primo libro”: l’organo diventa duttile orchestra, mirabile tavolozza, macchina del vento. Nella “Toccata in sol maggiore” dai “Douze pièces pour orgue”, François-Clément Théodore Dubois
finalmente abbandona i tratti seriosi che lo contraddistinguono (non fu a caso
Direttore del Conservatorio di Parigi), i severi intrecci polifonici, i ritardi
accuratamente preparati e debitamente risolti, le quinte e ottave parallele.
Infila le scarpe da ginnastica (o, se preferite, piedi nudi) e fugge via, con un
brano virtuoso e spumeggiante. Un po’ quello che accade con i due brani di
Louis Vierne: studio sullo staccato e la rifrazione in arpeggi, l’uno; cullante
cantilena, l’altro. Infine, è il turno del bresciano Giancarlo Facchinetti: infinitesimale nei dettagli ma centrifugato, giocoso, potente nell’effetto
complessivo, cristallizzato nell’istante però esplosivo per l’energia
l
che trattiene e insieme lascia filtrare.
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Lidia Giussani
Raffaello Negri Simone Giordano
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