assicurazioni sulla vita e lavoro dipendente
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assicurazioni sulla vita e lavoro dipendente
ASSICURAZIONI SULLA VITA E LAVORO DIPENDENTE La soluzione cui è pervenuta la sentenza in commento è scaturita da una fattispecie nella quale un’agenzia di assicurazioni-datore di lavoro e un dipendente si sono accordati per la stipula di un contratto di assicurazione sulla vita il cui capitale finale venne corrisposto al termine del periodo di lavoro. La circostanza che tale capitale fosse stato erogato dal datore di lavoro, unita alla concomitanza temporale della cessazione dell’attività lavorativa del beneficiario, ha fatto sorgere il dubbio sulla reale natura dell’operazione posta in essere e sulla normativa fiscale da applicare; se cioè dovesse rientrare nella categoria tipica dei contratti assicurativi, così come sosteneva il contribuente, oppure se dovesse essere considerata alla stregua di un trattamento di fine rapporto assoggettato ad un’aliquota fiscale prevista per tale tipologia, così come affermava l’Amministrazione finanziaria. La Cassazione ha ritenuto legittima la prima interpretazione, dando così ragione al contribuente. Ma i dubbi restano. In questa sede affrontiamo, con spirito critico, il percorso logico argomentativo che ha fatto pervenire la Cassazione a tale soluzione. La sentenza, innanzi tutto, tace sul motivo principale di contestazione avanzato dall’Amministrazione ricorrente circa l’inottemperanza, da parte del contribuente, all’onere di fornire in giudizio la prova di quanto richiesto a rimborso, dopo essere stato obbligato a versare l’aliquota ordinaria. Questa prova mancante, secondo l’Amministrazione ricorrente, avrebbe dovuto costituire un elemento a sfavore della tesi del contribuente. Invece, la sentenza ha ritenuto irrilevante l’assenza di prova, non rispondendo, in forma contrappositiva, alla doglianza dell’Amministrazione sulla esplicita violazione dell’art. 2697 c.c.; pertanto, tenteremo, in sua vece, di darne una spiegazione, colmando la lacuna. Il diritto al rimborso, nel settore tributario, si basa su presupposti di fatto e di diritto. Chi agisce in giudizio deve fornire la prova dell’esistenza dei fatti previsti dalla legge a sostegno del diritto invocato e non dell’esistenza di quest’ultimo. Ad esempio, per ottenere il rimborso di tributi, pagati nonostante l’esistenza di esenzioni fiscali previste per i disabili, il ricorrente deve dimostrare di trovarsi nella categoria protetta prevista dalla norma, attraverso la prova dell’inabilità. L’onere di tale prova è a carico suo e non certo dell’Amministrazione finanziaria in quanto trattasi di stati, fatti e qualità personali che rientrano nella disponibilità e nella sfera personale del soggetto. La relativa prova è fornita attraverso certificazioni, attestazioni, sentenze, ecc. mancando le quali, si può affermare che l’attore sia venuto meno all’onere processuale di fornire la prova di quanto asserito. Nella fattispecie in esame, la prova del fatto non era stata ritenuta, dalla ricorrente, completa in tutti i suoi elementi. Infatti, non era in discussione l’esistenza e l’efficacia del contratto d’assicurazione, oggetto di analisi in ben due precedenti gradi di giudizio, ma gli elementi circostanti al contratto di assicurazione, utili alla collocazione del contratto in una o in un’altra disciplina normativa. Una delle contestazioni doveva senz’altro riguardare, anche se non risulta espressamente in sentenza, l’effettuazione del pagamento dei premi assicurativi. Sul punto, la sentenza accenna all’autore del pagamento dei premi assicurativi, in forma dubitativa, esprimendo tre probabilità, non evidenti né dimostrate nemmeno dalle parti: una, che il pagamento sia stato effettuato dal contraente; l’altra che sia stato effettuato dal datore di lavoro con trattenuta a carico del lavoratore e la terza, che l’onere sia ricaduto sullo stesso datore di lavoro. Conclude che trattasi, in qualsivoglia caso, di rapporto assicurativo distinto da quello di lavoro1. Nessuna di tali ipotesi risulta verificata. Il fatto stesso che siano state prospettate tutt’e tre, lascia intuire che la Corte abbia tirato ad indovinare, lavorando sulle congetture, considerate tutte equivalenti. Di conseguenza ha ritenuto irrilevante l’omessa dimostrazione di tali elementi contrattuali. Il fatto che il contribuente non abbia documentato nulla, pur essendogli agevole provare un’eventuale trattenuta sugli emolumenti o esibire le quietanze di pagamento, lascia Cass. n. 22844 del 2005 (in Serv. Docum. Econ. Trib.): Qualora i premi assicurativi siano stati corrisposti direttamente dal dipendente, o comunque posti a suo carico trattenendogli l’importo dalla retribuzione, risulta ancora di maggiore evidenza che si tratta di un normale rapporto di assicurazione connesso solo occasionalmente con il rapporto di lavoro. 1 1 intendere che i premi siano stati posti interamente a carico del datore di lavoro. Anche in tal caso, però, la sentenza, procedendo per supposizione più concreta2, ha fornito una precisa definizione fiscale del pagamento dei premi (benefit) e una del pagamento del capitale assicurato (effetto del benefit), escludendo, in tal modo, la possibilità che il capitale assicurato, anche se a totale carico del datore di lavoro, possa essere comunque considerato TFR. Il ragionamento a questo punto, assume connotazioni di principio. Non essendo emersa alcuna significatività del fatto che datore di lavoro e compagnia di assicurazioni fossero il medesimo soggetto, la nuova regola giurisprudenziale, d’ora in poi, è che qualsiasi datore di lavoro, (non soltanto un’Assicurazione) che crei, a suo intero carico, un capitale assicurativo a favore del proprio dipendente, non realizzi una voce remunerativa ma un”effetto del benefit”, come tale sottraibile all’aliquota fiscale del TFR. Francamente, appare eccessiva. Un altro elemento, considerato essenziale dalla Corte, è”l’alterità” tra capitale e tfr che è stata fondata semplicisticamente sulla mera esistenza del versamento del capitale assicurato e del TFR, rispettivamente riflessi del contratto di assicurazione e del contratto di lavoro. Tale convincimento ebbe origine dall’accertamento, definito”di fatto,” effettuato dalla Commissione regionale3. Da tale differenza la Corte ha desunto la diversità di normativa applicabile. Sul punto, occorre capire il concetto di”alterità”, così sommariamente caricato di valore pregnante e risolutivo. Vi è un’alterità reale ed una concettuale. La prima consiste nella presenza di due pagamenti effettivi. La seconda, nel fatto che, secondo la sentenza, i due pagamenti sono ontologicamente distinti. La sentenza ha ricavato erroneamente l’alterità concettuale come una naturale conseguenza dell’alterità reale.4 Soffermiamoci su tale indicazione ed analizziamola. Non emerge il percorso logico per il quale la Commissione regionale è pervenuta al concetto di alterità, per il semplice motivo che la sentenza della Corte di cassazione non sottomette al vaglio rigoroso della razionalità il procedimento seguito dalla Commissione per pervenire, nell’accertamento del”fatto,” a tale definizione. L’alterità, infatti, come punto nodale della questione e linea di demarcazione tra normativa sul tfr e normativa sulle assicurazioni, avrebbe meritato un esame meno sommario. Essa non è un dato di fatto ma una valutazione di diritto. La prova è data dal suo contrario: se la Cassazione si fosse diversamente orientata, facendo rientrare nel TFR il pagamento del capitale assicurato, avrebbe dovuto rigettare l’alterità del contratto di polizza rispetto a quello di lavoro, non potendo disconoscere tale diversità senza entrare nella valutazione della normativa applicabile, la qual cosa, contrariamente a quanto afferma la sentenza, sarebbe stata un’operazione di diritto e non di fatto. A parte la circostanza che è stato erogato un tfr e che è stato liquidato un capitale, mancano altri elementi utili di giudizio quali: l’ammontare del tfr e se sia corrispondente quantomeno all’importo previsto obbligatoriamente dalla legge o all’importo che viene erogato per la similare categoria contrattuale di altri lavoratori. Occorrerebbe sapere inoltre perché la cessazione del rapporto contrattuale fosse stata coincidente temporalmente con la cessazione del rapporto di lavoro, e cioè se si sia trattato di coincidenza o di previsione esplicita inserita nel contratto.5 L’esame sulla congruità dell’ammontare del TFR non escludeva poi quello sul rapporto di lavoro e sull’ammontare degli emolumenti percepiti dal lavoratore. Infatti, sarebbe stato più utile accertare se il rapporto contrattuale assicurativo fosse stato stipulato soltanto con il contribuente o con tutti i dipendenti. Infatti, un inserimento nel contratto collettivo della stipula della polizza assicurativa avrebbe potuto contribuire a dare una visione più completa della fattispecie. Unitamente a tale verifica, occorreva esaminare tutti gli elementi del contratto di assicurazione e valutarne tutti gli aspetti per accertare se rientrasse negli schemi tipici, cioè: il rendimento, le condizioni, ecc. Per la mancanza di tutti questi elementi di prova e del giudizio sul percorso logico seguito dalla Commissione tributaria, non si può non condividere integralmente la contestazione dell’Amministrazione ricorrente sull’assenza di Cass. n. 22844 del 2005 cit.: Se ed in quanto – come non dimostrato – ma non inverosimile, - l’onere dei premi assicurativi sia stato, invece, sopportato dalla stessa compagnia C. Assicurazioni… 3 Cass. n. 22844 del 2005 cit.: L’accertamento di fatto contenuto nella sentenza impugnata ricomprende perciò anche la constatazione dell’alterità tra Tfr e capitale assicurato. 4 Cass. n. 22844 del 2005 cit.: La sentenza del giudice d’appello ha accolto la tesi del contribuente affermando esplicitamente che capitale liquidato per l’estinzione della polizza andava ad aggiungersi all’ammontare del Tfr e riconoscendo così implicitamente che quest’ultimo era stato erogato a parte… 5 E’ pure vero che una discordanza di mesi o anni, considerata da sola, non avrebbe potuto costituire elemento significativo. 2 2 prova da parte del contribuente, insufficienza peraltro riconosciuta dalla stessa sentenza laddove sopperisce benevolente alla lacuna, fornendo, essa stessa, congetture di prova contrapposte, ritenute, in ogni caso, di nessuna rilevanza. Passiamo alle altre valutazioni in diritto. La sentenza, riconosciuta l’alterità, e qualificati i premi pagati dal datore di lavoro come reddito imponibile da sottoporre a tassazione, ha denominato il pagamento del capitale assicurato come effetto dei premi-benefit erogati. Con tale ultima qualificazione non si può convenire. Sarebbe come dire che il tfr è l’effetto degli emolumenti pagati. La retribuzione, come il TFR, sono componenti essenziali del rapporto di lavoro, né il tfr può essere definito un effetto della retribuzione. La definizione offerta in sentenza, priva di significato giuridico, non definisce nulla. Considerare i premi assicurativi come un’elargizione del datore di lavoro, cioè una componente del reddito imponibile e invece, il capitale composto dagli stessi premi, come un effetto di tale elargizione, sottraendolo al reddito imponibile, è un contro senso giuridico. Infatti, premi e capitale sono elementi inscindibili del contratto assicurativo e devono essere valutati unitariamente, non indipendentemente l’uno dall’altro o peggio, come causa ed effetto. È ovvio che non vi sarebbe stato un capitale finale se non vi fossero stati dei premi pagati. E così pure, non vi sarebbero stati dei premi se non in prospettiva di un capitale assicurato. Una volta accertata, o meglio, preso atto, acriticamente, della mera, esteriore, diversità documentale (alterità reale) dei due contratti, la Cassazione ha negato la pertinenza, alla fattispecie, dei precedenti giurisprudenziali menzionati dalla difesa del Fisco6, con la tautologica osservazione che le sentenze indicate erano differenti da quella in atto7 e trascurando l’invito a riflettere, non sulle sentenze come esito finale del giudizio, ma sulle fattispecie oggetto del contenzioso nei precedenti giudizi della Cassazione. Fattispecie, analoghe a quella in esame, sulle quali erano state emesse decisioni favorevoli al Fisco. È vero che in precedenza vigeva il R.D.L. 8 gennaio 1942 n. 5 che prevedeva la possibilità, per il datore di lavoro, di stipulare di una polizza per garantire al dipendente la liquidazione dell’indennità di anzianità, ma è pure vero che tale possibilità era puramente facoltativa e non vincolante.8 Di conseguenza, la presenza di normativa specifica fu ininfluente sulla qualificazione del capitale assicurato come TFR, tanto è vero che le motivazioni addotte dalle sentenze, a sostegno dell’inserimento del capitale maturato nel TFR, non si basarono sull’esistenza del R.D.L. n. 5 del 1942 ma sulla natura e finalità del contratto assicurativo analizzato nelle sue componenti. Tra le componenti (esaminate dalla sentenza n. 5740 del 1998) figurava infatti il rendimento di polizza che, per essere tipico dei contratti di assicurazione ed eccedente l’ammontare della misura versata in corrispondenza degli accantonamenti obbligatori, fu considerato esente dall’aliquota prevista per il TFR9. In sostanza, le argomentazioni esposte nella giurisprudenza precedente si svilupparono intorno agli elementi connessi al contratto di assicurazione, dei quali, nella fattispecie decisa con la Cass. n 22844 del 2005 non vi è traccia né è stata avvertita l’assenza. Esaminiamo adesso la normativa. L’art. 48 T.U. 22 dicembre 1986 n. 91710 recita: Il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro. Se tale è la previsione, vi sono due conseguenze logiche. Se i premi sono stati pagati dal contribuente, essi si pongono al di fuori del rapporto di lavoro e potrebbero deporre per la”alterità” del capitale assicurato rispetto al TFR. Se i premi, come sembra propendere la stessa Cassazione, sono stati pagati dal datore di lavoro, allora devono far parte del reddito imponibile, e, per la medesima logica, anche il capitale Cass. n.7437 del 1998; n. 5740 del 1998; n. 3995 del 1998; n. 370 del 1998 e n. 5926 del 2001 (su Serv. Docum. Econ. Trib.) Cass. n. 22844 del 2005 cit.: non si attagliano alla fattispecie i precedenti giurisprudenziali menzionati dalla difesa dell’Amministrazione che si riferiscono alla differente ipotesi in cui la polizza assicurativa era stata stipulata dal datore di lavoro per garantire ai dipendenti un sistema di liquidazione dell’indennità di anzianità… 8 Cass., sez. I, n. 5740 del 1998 (su Serv. Docum. Econ. Trib.): “…la stipulazione dei contratti di assicurazione prevista dall’art. 4 (del R.D.L. n. 5 del 1942) non si presenta come oggetto di obbligazione autonoma…ma come facoltativa…Peraltro, la fattispecie esaminata da tale sentenza, venne regolata solo in parte dal R.D.L. citato, mentre una parte ricadde nel periodo successivo alla sua abrogazione”. 9 Conforme le Cass. n. 8129 del 1998; n. 8128 del 1998 e n. 8194 del 1998 (su Serv. Docum. Econ. Trib.). 10 Prendiamo, in assenza di indicazioni precise, la versione in vigore al tempo del primo contenzioso, dal 10 dicembre 2000 al 31 dicembre 2002, così come inserita dall’art. 36 L. n. 342 del 2000 (su Serv. Docum. Econ. Trib.). 6 7 3 conclusivo deve far parte del TFR. Non è sensato sostenere la”non alterità” dei premi versati e”l’alterità” del capitale assicurato, composto dagli stessi premi. La stessa Cassazione cade in contraddizione quando afferma che”l’alterità” si riferisce al contratto di assicurazione,11 mentre nega tale alterità per i premi, pagati dal datore di lavoro, in adempimento dello stesso contratto12. L’elemento richiesto dall’art. 48, dell’inerenza al rapporto di lavoro del contratto (rectius: per la Cassazione soltanto dei premi di assicurazione), è stato ritenuto mancante, pur in assenza di elementi che, per la struttura tipica del contratto di assicurazione, avrebbero potuto essere agevolmente esibiti dal contribuente, fin dal primo grado di giudizio. L’assenza di queste prove, da parte del dipendenteassicurato, a questo punto, è comprensibile. Infatti, si può ipotizzare che, se avesse mostrato (non dimostrato) che i premi erano stati pagati dal datore di lavoro, avrebbe corso il rischio di far attrarre anche il capitale assicurato nella medesima categoria; mentre in assenza di tale dimostrazione, sarebbe rimasta l’incertezza su chi avesse sopportato l’onere e quindi avrebbe avuto una chance maggiore, lasciando il dubbio. Dubbio, però, che la sentenza ha creativamente sciolto, al di là delle aspettative, considerando benignamente irrilevante il fatto che fosse il datore di lavoro a pagare i premi. La conseguenza è stata che, non solo l’importo dei premi assicurativi non è stato sottoposto a tassazione da reddito, come mette in conto la stessa Corte, ma neppure il capitale finale lo è stato13. Per concludere, non si può fare a mano di osservare che il principio della onnicomprensività è di natura generale assai più ampia. La stessa giurisprudenza della Corte di cassazione, sezione lavoro, tratta, a proposito del calcolo del TFR (quindi non a fini fiscali ma fini retributivi) di benefici di varia natura erogati dal datore di lavoro al proprio dipendente.14 E sostiene, in altra occasione15, che è essenziale l’accertamento della provenienza del pagamento di erogazioni (benefit) ricevute dal dipendente, purché riconducibile al rapporto di lavoro, non essendo, addirittura, rilevante, per escludere tali benefici dal rapporto di lavoro, il fatto che i benefici siano stati erogati da soggetto diverso dal datore di lavoro… Silvio Carta Funzionario tributario presso la Direzione regionale delle Entrate di Palermo Cass. n. 22844 del 2005 cit.: L’erogazione della somma capitale trova, in realtà, la propria causa giuridica nel distinto rapporto di assicurazione e non nel rapporto di lavoro subordinato. Che cos’è il “distinto rapporto di assicurazione” se non il contratto di assicurazione? 12 Cass. n. 22844 del 2005 cit.: …quello che avrebbe dovuto e potuto essere sottoposto a tassazione – aggiungendolo anno per ciascun anno alla normale retribuzione – è appunto l’importo dei premi assicurativi che in ciascun anno la compagnia ha versato (sia pure figurativamente, perché a se stessa) sulla polizza in favore del dipendente. 13 Sarebbe stato pure utile sapere se il datore di lavoro avesse detratto tali premi dal reddito d’impresa, considerandoli come accantonamento o altro, sottraendoli all’imposizione. 14 Cass. n. 22264 del 2004: …in detto calcolo vanno compresi tutti gli emolumenti che trovano la loro causa tipica e normale nel rapporto di lavoro cui sono istituzionalmente connessi, anche se non strettamente correlati alla effettiva prestazione lavorativa… La medesima sentenza censura la Corte di appello di Torino che ha omesso di motivare su fatti di primaria importanza quali quello del pagamento, da parte del datore di lavoro, della tassa di circolazione e della tassa di proprietà dell’auto concessa al dipendente… 15 Cass., sez. lav., n. 22165 del 2004. 11 4