Come dobbiamo “motivare” i giovani? Risponde Paolo Crepet
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Come dobbiamo “motivare” i giovani? Risponde Paolo Crepet
INTERVENTI Come dobbiamo “motivare” i giovani? Risponde Paolo Crepet Nell’ambito della sesta Assemblea Nazionale dei Presidenti dei Collegi dei Geometri e Geometri Laureati d’Italia svoltasi a Roma si è tenuto un incontro dedicato al futuro della professione. Sono stati invitati: Paolo Crepet, psichiatra, sociologo e scrittore, Monsignor Fabiano Longoni, membro della Consulta Nazionale della Conferenza Episcopale Italiana e Responsabile del coordinamento per il Nord-Est della Pastorale del Lavoro. Il Presidente del Consiglio Nazionale Geometri e Geometri Laureati Fausto Savoldi ha posto loro la domanda: “Come dobbiamo motivare i giovani?”. In queste pagine la risposta di Paolo Crepet. La risposta di Monsignor Longoni verrà pubblicata nel nostro prossimo numero. Paolo Crepet (Torino, 1951) Laureato in Medicina e Chirurgia presso l’Università di Padova nel 1976, in Sociologia presso l’Università di Urbino nel 1980, nel 1985 ottiene la specializzazione in Psichiatria presso la clinica psichiatrica dell’Università di Padova. E’ autore di diversi volumi, molti dei quali dedicati al mondo dei giovani. Tra le sue ultime opere: “Sfamiglia. Vademecum per un genitore che non si vuole rassegnare.” Einaudi, Torino 2009; “La Gioia di educare” Einaudi, Torino, 2008; “I figli non crescono più” Einaudi, Torino, 2005; “Voi, noi. Sull’indifferenza di giovani e adulti” Einaudi, Torino, 2003; “Non siamo capaci di ascoltarli - Riflessioni sull’infanzia e sull’adolescenza”, Einaudi. Torino, 2001 16 Paolo Crepet “Vi ringrazio perché ho sempre cercato nella vita di incontrarmi, di confrontarmi con persone che non sono simili a me per formazione, per lavoro e non so se sia la stessa cosa anche per voi, ma insomma, a me fa particolarmente piacere avere l’opportunità di un uditorio con il quale mai vent’anni fa avrei pensato di potermi incontrare. Lei mi ha fatto una domanda per la quale se avessi la risposta sarei multimiliardario, nel senso che avrei risolto il problema non solo in questo paese, perché quello a cui lei ha accennato nella domanda, è un problema che riguarda il mondo occidentale, nemmeno solo l’Europa, e tra un po’, a caduta, toccherà anche quei paesi che oggi sono definiti ‘in via di sviluppo’, ma che con un PIL a due cifre, secondo me, tra dieci anni ci avranno sicuramente raggiunto. Fra l’altro mi fa anche piacere avere qui Monsignor Longoni perché i miei buoni informatori mi dicono che la CEI sta pensando a un documento sull’educazione e anche questo mi fa molto piacere in quanto per me, laico, è importante potermi confrontare su un problema che, guardate, è il problema fondamentale anche per paesi più avanti di noi dal punto di vista educativo, pedagogico, del Nord Europa. Anche lì c’è un bisogno enorme di capire qual è il futuro, perché la sua domanda è in realtà molto più complicata perché è: qual è il futuro? Noi del futuro ne parliamo quando c’è il nuovo modello del telefonino. Allora, diciamo, tra sei mesi c’è il nuovo modello d’auto, c’è lo smartphone, e questo è il futuro. Ma il futuro, in realtà, è come vivremo tra 15 anni. Venerdì scorso ero a Rovereto, al MART il Museo di arte moderna, un luogo molto prestigioso dove si inaugurava la mostra dell’Architetto Mario Botta. C’era Gillo Dorfles, cioè il gotha. E’ stata una bellissima discussione perché lì se lo domandavano gli architetti, ma ve lo domandate ovviamente anche voi, dove vivremo, quali saranno i luoghi tra dieci anni? Queste non sono domande peregrine, non sono domande retoriche perché in base a questo dovremo anche capire qual è la formazione. Allora, noi siamo cresciuti in un paese in cui abbiamo vinto la Coppa dei Campioni senza allenamento, per puro talento, come se una squadra si fosse messa lì col Real Madrid e per puro talento avesse fatto 3 a 0. Noi eravamo un popolo con una cultura medio bassa, sto parlando degli anni ‘50. Il boom economico è stato fatto da persone diciamo la verità - ignoranti, con un’enorme capacità di lavoro, una cosa mostruosa. I coreani di oggi sarebbero niente in confronto a quelli che hanno fatto il miracolo economico. Grande intuizione, grandissima intuizione non governata dalla cultura. Naturalmente quella è stata una generazione che ha fatto cose sbalorditive. Noi siamo passati – io sono padano come lei – dalla polenta al SUV in 35, 40 anni. E’ un niente, un lampo nella storia dell’umanità, un nulla. Siamo passati dalla miseria, che peraltro era la miseria di quarant’anni fa, di centoquarant’anni fa, di duecentoquarant’anni anni fa. Quindi per secoli non si è mossa la miseria, è sempre stata così, si moriva a 50 anni. Il mio papà faceva il medico del lavoro, c’erano gli operai che venivano, i minatori, i veneti, poveretti, che andavano in Belgio e tornavano con dei buchi sui polmoni, 52 anni ciao Nina, e adesso finalmente siamo un popolo che vive 85 anni, così dicono le statistiche. Ho fatto il viaggio con Gillo Dorfles che ha 100 anni, è fresco come una rosa. Una volta era da considerarsi un miracolo, andavi su tutti i giornali, un uomo di 100 anni che faceva un viaggio da Roma a Rovereto, cioè una cosa inimmaginabile, oggi è normalissimo. E’ sceso giù, si è bevuto il suo bicchiere d’acqua e via. Quindi oggi abbiamo delle straordinarie opportunità, la tecnologia. Riflettete su una cosa. Quando io mi sono laureato, diciamo alla prima metà degli anni ‘70, la quota parte di lavoro creativo era 5-8%, sì e no, tutto il resto era lavoro subordinato e ripetitivo, l’impiegato, l’operaio, la commessa, più o meno questo era. Chi si laurea oggi, stamattina, appartiene ad un mondo in cui il lavoro creativo è il 45-50%. Da professionisti voi stessi potete fare una parte non irrisoria del vostro lavoro dalla vostra casa in campagna, da dove siete. Avete il vostro computer, avete le vostre linee veloci, potete fare un progetto, rivedere le carte, mandare le e-mail a mezzo mondo, tutto da dovunque, anche da una barca. Se siete così fortunati, potete farlo anche da lì. Questo apre delle considerazioni enormi e cambierà il mondo. Già i nostri figli ragionano solo così. Noi siamo a cerniera, io mi ricordo il telefono in corridoio, quello nero di bachelite. Se dico a mia figlia una roba del genere dice: ‘ma dove vivevi, da quale continente sub-sviluppato sei venuto fuori?’. Quindi noi siamo cerniera, abbiamo i ricordi di com’eravamo e siamo osservatori e partecipi di un mondo velocissimo, dove cambia il modo di comunicare enormemente e dove la comunicazione è diventata perlopiù virtuale. E questo, naturalmente, ha dei pro. Per esempio, io lavoro per un editore che è l’Einaudi che è a metà tra Torino e Roma, una volta avrei dovuto utilizzare molto gli aerei con il loro costo, adesso si fanno tele-conferenze, sei tranquillo, non devi più prendere aerei, non devi pagare, non devi affrontare la nebbia, non devi affrontare dei rischi ecc. Naturalmente tutto questo è virtuale. Una volta ci si dava la mano, si andava anche a prendere un caffé, magari si parlava anche di un problema personale. Oggi tutto questo è molto, molto difficile forse è impossibile. Vengo al dunque. Partiamo dalla crisi. La crisi è come il vento, dà fastidio però scrolla le foglie secche, aiuta. Se non ci fosse il vento gli alberi sarebbero pieni di foglie secche. Piaccia o non piaccia, esiste la stagione del vento da che mondo è mondo. Io non ragiono in termini apocalittici. Penso che le crisi – l’etimo della parola lo dice, crescita – siano positive, in gran parte positive. Selezionano, soprattutto in un paese dove ci hanno insegnato, purtroppo, negli ultimi decenni, che va avanti il furbetto, che va avanti quello approssimativo. Che se le cose le sai o non le sai più o meno è uguale. Che se sai l’inglese o non sai neanche parlare italiano tanto va bene lo stesso. Ecco, no. Abbiamo capito che c’è stata una bella scrollata e forse qualcuno che aveva buttato il cappello un po’ oltre l’attaccapanni adesso annaspa. Vedo anche in giro che ci sono paesi come la Germania, che non è poi così lontana da noi, che ha il 2,5 di PIL oggi, dopo la crisi. Vuol dire che la base di quella comunità è forte e quindi con un fisico forte l’influenza passa in 3 giorni mentre quello che ha il fisico deboluccio ad uscirne ci mette 15 giorni. Forse noi siamo un po’ più debolucci e quindi dovremo avere dei tempi più lunghi per uscirne. Dal punto di vista educativo questo è un danno? Assolutamente no, è una grande opportunità, guai a buttarla via. Noi abbiamo un problemino tra i tanti che c’è non da oggi e da ieri, ma da un bel po’ di tempo. Il problemino si chiama ricambio generazionale. Il ricambio generazionale nelle aziende italiane, non riferendomi alle grandi aziende, 17 ANNO II | n. 12 | NOVEMBRE - DICEMBRE 2010 ma parlando anche delle piccole, piccolissime aziende familiari, soprattutto quelle, che come sapete sono il 90% della struttura produttiva del paese e hanno un problema di impossibilità di ricambio che arriva al 30%. Un terzo delle aziende sono a rischio di morire, di chiudere o di essere vendute per impossibilità. Ora l’impossibilità non è legata al fatto che non hai figli, diciamoci la verità, questi casi saranno l’uno per cento. E’ che il figlio, cresciuto col boom economico, cresciuto con i sì, dalle mie parti in Veneto si dice “poareto”. Ecco, quando le mamme dicono “poareto” del figlio vuol dire che siamo messi già malissimo perché i nostri figli hanno dei difetti, ma non sono poveretti, ma proprio per niente poveretti... E’ invece l’averli coccolati ed avergli detto sempre sì. Potrei citare - l’ho scritto anche nei miei libri – decine e decine di casi da me trattati di persone che si sono trovate nella situazione drammatica di dover vendere un’azienda che è un know-how, che aveva dei brevetti, creava ricchezza. E venderla, magari ad un acquirente straniero, in cambio forse di un posto in Consiglio di amministrazione per il figlio, poverino, al quale tra cinque anni gli daranno la liquidazione dicendogli: ‘senti vai a farti un giro perché tanto è inutile che scaldi quella sedia visto non sai fare nulla’. Questo è un problema per il paese? Io penso di sì. Allora è scellerato non credere nell’educazione. Educazione non vuol dire solo rapporti familiari, l’educazione vuol dire strutture educative, non penso solo alla scuola. Se noi continuiamo a togliere alla scuola, il risultato quale sarà? Di una dipendenza economica non solo dal petrolio, ma da tutto. Andate a chiedere ad una merchant bank americana, che dà i soldi per la tecnologia, a chi li dà? E chiedetevi se c’è un luogo in Italia dove quei soldi vengono erogati. La risposta è no. Io trent’anni fa ho avuto la fortuna di lavorare in India, all’Università di Chandigarh, costruita da Le Corbusier. Bene, mi chiedevo come mai (io che non avevo visto la fame, ma ne avevo solo sentito parlare, vedevo lì i bambini morti per strada) un paese che ha i bambini morti di fame investe i suoi soldi nei college? Adesso lo so, oggi lo so. E’ stata una scelta strategica, dura, terribile, cinica per certi versi, ma è stata una scelta strategica. Oggi Bangalore è uno dei luoghi dove le merchant bank americane investono miliardi per la tecnologia, per la semplice ragione che ci sono dei validi ingegneri, fisici, chimici e informatici preparati, quelli veri, quelli che sanno fare le cose, quelli che a 25 anni si assumono la responsabilità di un’azienda. Certo, come noi negli anni ‘50. C’erano dei ragazzi di 25 anni che avevano un’azienda e c’erano 5 operai sotto di loro, e poi da quei 5 sono diventati 100. Perché? Perché c’era una capacità anche di sopportare lo stress, i no, le frustrazioni. Ma perché nella vostra vita non vi sono capitate? E allora se sono capitate a voi, pensate che magicamente i vostri figli saranno esentati, basta farsi un vaccino, come facciamo con l’influenza? Allora bisogna che i ragazzi imparino ad 18 affrontare le loro battaglie. D’altra parte il mare senza gli scogli è anche noioso, o no? Ci sono le battaglie, sono belle anche da vincere. Ma se voi avete avuto 20 anni di tutti sì, di una scuola non meritocratica, della scuola del sei meno meno, della scuola ‘ci vado io a parlare con quella di matematica e vediamo se possiamo aggiustare le cose’ dove pensate che si arrivi poi? Che miracolosamente, a 20 anni, un giorno sulla strada di Damasco ... ? Lei che ha la fede Monsignor Longoni ci crede, io un po’ meno, che possano accadere queste cose perché bisogna meritarsele nella vita, mi spiego? E oggi i nostri figli non solo hanno noi, i genitori, come posso dire, fragili, ma hanno anche un mondo che li illude. Pensate al mondo della televisione. I nostri figli ogni giorno devono combattere per dire che non è vero quello che hanno sentito nello spettacolo in tv. E’ complicato dire non è vero a 16 anni, lo posso dire io che non basta fare così e così davanti a una telecamera per guadagnarsi la vita, che la vita non è fare il furbo per tre giorni, mi spiego? La vita non è fare uno show in tv dove per vincere basta mettersi il cappello così, lo stivale colà, il rossetto. Però ci vuole uno che a loro faccia notare la differenza tra lo show e la vita. Perché l’imbroglio è che gli hanno detto, guarda che quella ha vinto la vita, quella per 30 anni diventerà la più grande ballerina, cantante, show girl del mondo. Ma quella lì a Pasqua non la riconoscono in un bar. E chi è che raccoglie su quella ragazzina illusa e abbandonata? E i nostri figli corrono tutti i giorni il rischio di essere illusi. E guardate che non è solo la televisione. Magari fosse solo la televisione. Io ti posso raggiungere ovunque perché hai l’iPad dove ti raggiungo con la mia pubblicità, con i miei prodotti, ma anche con la mia ideologia che a volte è quella di vendere un prodotto che dura un mese, sei mesi, che è fatto apposta per durare poco perché poi possa essere ricomprato un’altra volta. E allora su questo dobbiamo essere noi mediatori. Noi genitori, educatori, preti, psicanalisti, siamo dei mediatori, non possiamo accettare quel che c’è. Dobbiamo insegnare innanzitutto ai nostri figli ad essere critici con le cose che hanno. Così come mi hanno insegnato i miei maestri a essere critici anche con loro stessi. ‘Non ti fidare neanche di me perché ti posso anche imbrogliare un giorno. Abbi la testa tua, fatti i tuoi progetti’. Questo mi diceva il mio maestro. Allora come si esce? C’è un dato nuovo, straordinario, siamo in Europa. Una notizia straordinaria. Noi, io, la mia generazione avevamo 50 chilometri di raggio, il mio mondo era 50 chilometri. Il nuovo mondo era andare da Venezia a Bologna, una cosa che si faceva una volta ogni tanto con il permesso di tuo padre. Non avevamo i soldi, con l’auto R4 si arrivava a Ferrara e poi c’era la nebbia quindi era complicato. Adesso, invece, con meno di 40 euro vado dall’aeroporto di Orio al Serio all’altra parte del mondo. Uno si immagina che Orio al Serio sia affollata di photo©shutterstock.com/RUI FERREIRA giovani, invece sono solo pensionati perché i giovani non vanno. Allora bisogna imparare a dire ai nostri figli che il mondo è più grande. Io se fossi ministro farei una legge sulla valutazione. Quando si dice la valutazione degli atenei, è semplicissimo. Quello che ha 100% di Erasmus, dove il 100% dei suoi studenti fanno almeno, stiamo parlando del minimo, sei mesi all’estero. Dove vuoi, tanto anche se non studi comunque torni maturo perché hai cotto la pasta da solo, hai fatto la doccia anche se ti sei scordato lo shampoo e non c’è la mammina che nel frattempo è andata a comprartelo. Allora questo vuol dire farsi le ossa per essere pronti. Parlo a voi che siete uomini del fare. Bisogna però che anche i nostri figli siano del fare perché non è cambiato il mondo. Anzi si è più complicato. Dalla crisi economica che stiamo vivendo un risultato è chiaro a tutti: che le capitali del mondo non sono più quelle di prima della crisi, non più Londra, New York, Parigi. Oggi c’è San Paolo, c’è Shanghai, Bangalore. Il mondo è più largo, ci piace di meno, ce ne faremo una ragione, è così. E se qualcuno ha la buona grazia di andare in quei posti, viene a sapere che a Bangalore hanno fatto 18 chilometri a sei corsie in due anni e mezzo. Noi in Veneto abbiamo fatto 18 chilometri di un’autostrada in 39 anni. Chi vince? Beh non lo so, fate voi i conti. Ad oggi ancora non l’hanno inaugurata, dicono che per Natale forse ci fanno la grazia. Perché? Perché questo ritengo essere un paese governato dal TAR. Voglio dire con questo che è necessario avere un’idea di un’educazione che sia basata sull’autonomia dei nostri figli. Meno sono dipendenti da noi più cresceranno. Capisco che poi possa esserci anche un amor materno. Io per carità non ho buona memoria delle famiglie dove i figli erano cacciati a pedate o le figlie si prendevano due sberle enormi solo se si sapeva che si erano fidanzate. Capisco che oggi stiamo anche bene per tante ragioni anche di convivenza, anche forse di maggior sentimento, non voglio parlare di amore ma maggior sentimento. Ma questo non basta, dato che può essere anche un boomerang e lo dobbiamo sapere. Dobbiamo avere coraggio di investire i nostri soldi sull’educare. Questa primavera quando hanno fatto le elezioni politiche in Inghilterra, vi ricordate che c’erano tre candidati. C’è stato un giovedì sera dove ovviamente alla BBC hanno trasmesso in diretta diciamo l’ultimo round e c’era ovviamente un parterre di giornalisti che faceva le domande. Il primo giornalista, il decano, quello a cui è stato dato l’onere e l’onore di fare la prima domanda, si è alzato e ha detto: ‘io vorrei sapere da questi tre signori quali sono i vostri programmi per l’educazione?’. Io non so se in Italia avremmo posto la stessa domanda. Temo di no. Una domanda che considero la pietra miliare. Vi faccio un esempio che non c’entra con l’Italia, ma che è 19 ANNO II | n. 12 | NOVEMBRE - DICEMBRE 2010 di no, ci vorrà qualcuno, che dice, guarda, in mezzo ai mattoncini ci inventiamo un altro giocattolo e questo sarà venduto nel mondo. Questo sarà possibile con la creatività. Chi è che insegna la creatività, altro grande problema? Mi spiego. E’ come se io dicessi – e mi ricollego al dibattito di Rovereto, secondo me importantissimo e giusto – dove andremo a vivere? E tocco un problema che riguarda voi, come categoria. Io penso che la città sia finita, la grande città è finita per la semplice ragione che noi non siamo più industriali. Ci metteremo un po’ ad adattarci a questa idea, ma nessuno farà più la grande Fiat in Italia, non la faremo più. Stiamo mettendoci d’accordo per lasciare qualche cippo, qualche rimembranza, ma non ci sarà più. Perché? Perché sarà in Cina, sarà in qualche altro mondo. E allora cosa ci sarà qua? Cambierà, non ci sarà più una photo©shutterstock.com/l i g h t p o e t riconducibile all’Italia in un battibaleno, la Lego. Grande, storica fabbrica di giocattoli danese che ha sede in Danimarca, a Billund, paesino che è fatto tutto con i Lego fra l’altro. Ad un certo punto cresce, cresce, cresce, cresce. Cosa succede? Succede quello che pensa Marchionne, quello che pensa qualsiasi buon amministratore delegato. Se i mattoncini li facciamo in Messico o in Vietnam risparmiamo? Sì. E allora andiamo in Messico, bene. Spostano la produzione dal luogo dove era nata storicamente, quindi la stessa cosa che farebbe la Fiat se spostasse il Lingotto da Torino in Brasile, ciò che stanno quasi facendo. Qual è il futuro della Lego, ovvero cosa rimane a Billund, Danimarca? La testa dell’azienda, le strategie aziendali, il marketing, i nuovi prodotti. Possiamo continuare a pensare di andare avanti tre generazioni, venti generazioni con i mattoncini? Penso 20 Torino che in 15-20 anni da cittadina diventa megalopoli perché arrivano i treni con gli operai. Non c’è più, anzi c’è il Sindaco che sta tentando di dire, fermatevi, almeno un pezzo, Viale Marconi, quello lasciatecelo. La Telecom è andata via, cosa rimane, la Juventus? Va beh, ma quella non porta immigrazione. Quindi questo è un grande tema. Dove andremo a vivere? E i giovani cominciano a pensare per esempio che non c’è più bisogno di andare a vivere in una grande città, che non è più chic. Ci sono tanti ragazzi e ragazze che, per economia, perché costa di meno e anche per qualità di vita, vanno in una paesotto della Toscana piuttosto che da qualche altra parte, mettono più volentieri i figli lì perché magari è più facile organizzare le scuole, è più salubre starci, hanno la gallina che ha fatto le uova e mangi quelle buone e non quelle che chissà da dove vengono. Tutto questo cambierà le nostre relazioni, ma per fare questo dobbiamo aiutare a crescere una generazione in maniera differente, questo è il problema. Le grandi opportunità ci sono, certo che ci sono tutte, e sono tutte alla nostra portata, però ci vuole la testa. Mi ricordo una bella litigata tra padre e figlio (io lavoro da tanti anni con Oliviero Toscani, che ha un figlio di 30 anni) perché il padre –il figlio all’epoca lavorava con lui – tornava nel suo office e vedeva questo figlio sempre davanti al computer. Non è che facesse chissà cosa, lavorava. Mi ricordo che gli ha detto: ‘guarda che noi non dobbiamo scaricare i computer, dobbiamo riempirli e per riempirli ci vuole lo scatto giusto, la foto giusta, il calendario diverso, la pubblicità che non ti aspetti, ci vuole la testa, non l’esecuzione, prima la testa e poi l’esecuzione. E per fare anche creatività ci vuole una cosa che sembra in netto contrasto che è la capacità di affrontare con tenacia la quotidianità, che vuol dire in qualche modo quella cosa che una volta ci dicevano i vecchi: la disciplina, un termine modernissimo, non antico. Disciplina vuol dire che devi saper fare quelle cose, te le devi organizzare con la tua testa, è uno, due, tre, non tre, due, uno, è quella cosa funzionale. E smettiamola di dire che se si laureano il prossimo anno o tra tre anni è la stessa cosa. Non è la stessa cosa. Noi generazione con i capelli bianchi non possiamo rovinarci per essere quelli che consegnano le pensioni sociali a dei figli di 25 anni. Noi non siamo l’INPS, siamo dei genitori. Io vedo genitori che sono diventati l’INPS, e la paghetta e la rata. Anche con i soldi si educa perché è inutile che ci giriamo intorno, che i soldi non ci sono. Ci interessano i soldi? Non diciamo sciocchezze. Quindi è un valore, poi sarà criticato giustamente anche da me, non solo dalla Chiesa, anche da me è criticato, però poi alla fine la giacca me la compro. Allora io penso che con i soldi si possa anche educare. Faccio un altro esempio: mettiamo che io abbia un figlio di 20 anni che a giugno venisse da me e mi dicesse, papà, vado a Ibiza con i miei amici, mi dai i soldi? Posso dire di no, sì o no? Posso dirlo, la Costituzione mi permette di dire no. Perché? Perché a me quelli che vanno a Ibiza mi stanno sulle scatole, a me papà. Siccome li chiedi a me, vai in banca e li chiedi in banca, ma se li chiedi a me ti dico di no e ti spiego anche il no, perché vai a fare le stesse cose che fai qua, vai con gli stessi amici, invece che 5 birre ne bevi 25 e io non tengo la scala alla tua mediocrità. Posso dirlo, posso esimermi da contribuire anch’io al degrado morale ecc. ecc. di mio figlio? Penso di sì, bene. Mettiamo che quello stesso giovanotto venga da me e mi dica, papà, ho un mio amico che studia a Utrecht, in Olanda. Posso andarlo a trovare quest’estate? Quanto costa? 200 euro. Pronti qua, uno e due bigliettoni. Perché io metto i soldi dove fruttano, non li butto fuori dalla finestra. Io metto i miei soldi, educativamente parlando, dove fruttano. E fruttano a Utrecht? Sicuramente. Sapete perché? Perché vostro figlio la sera stessa che arriva va al pub con gli amici – giusto? – perché là ci sono delle bellissime biondine, perfetto, e la biondina olandese ti dice, te di dove sei? Italiano. Bene e dove vivi? Vivo con papà, mamma, la nonna, la zia. E questa dice, beh va beh, allora vado via. Uno, due, tre capisci che è meglio non dirle quelle cose lì in Olanda, capisci che c’è un mondo di giovani che a 20 anni vivono da soli in cinque in un appartamento e non hanno la vasca con l’idromassaggio, si divertono parecchio lo stesso e fanno gli esami quando devono essere fatti, perché c’è un’università che tre volte quell’esame non te lo fa fare, due sì, tre no. E allora cominci a capire che esiste anche un altro mondo, poi lo critichi, va bene, però capisci che c’è un altro mondo. Questo per me vuol dire investire i soldi. Allora siccome ognuno di noi fa quotidianamente delle scelte da questo punto di vista, beh io credo che sia importante cominciare a dire anche dei gran no. Cominciamo a dire io a quella cosa lì non partecipo. Dopodiché sapete benissimo che a 10 anni è un discorso, a 20 anni c’è anche una possibilità che lo facciano lo stesso, ma che si assumano l’onere dei loro errori. A questo incontro sono arrivato in ritardo perché ero con una famiglia, l’ennesima famiglia con un figlio iscritto a Ingegneria che non fa esami da tre anni. Cosa fa il padre? Paga le tasse scolastiche. Ma smettiamola, no? Posso dire stop, fine dei soldi. Vai a fare il muratore, non so, arrangiati. Si può dire arrangiati, è una cosa meravigliosa, non è un abbandonare. Vuol dire, io ti ho dato la possibilità, ti do sei mesi di tempo, se non fai niente in sei mesi basta. Non sono un imbecille che continua a pagare, a dare biada ai cavalli quando si sa che troppa biada li ammala. Ecco, allora queste sono le cose, un risorgimento anche morale, etico, che fa parte anche io credo di un auspicio di un rinascimento morale, etico di questa nostra comunità che se lo merita, chissà mai?" 21