Archeologia Medievale 32.indb
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Archeologia Medievale 32.indb
Archeologia Medievale XXXII, 2005, pp. 489-494 NOTE E DISCUSSIONI Emanuele Vaccaro La città di Cosa-Ansedonia tra la romanizzazione e il basso medioevo: una discussione su “COSA V” Il volume curato da E. Fentress esce nel 2003 e costituisce non soltanto l’edizione degli scavi diretti dall’archeologa americana tra gli anni 1991 e 1997 sulla città di Cosa, in sinergia tra l’American Academy di Roma e la British School, ma si configura come una articolata rilettura e interpretazione delle indagini effettuate sul sito a partire dal secondo dopoguerra. Il lavoro costituisce un importante contributo nello studio della città romana e medievale in Toscana rispondendo all’esigenza manifestata nelle conclusioni del volume curato da Sauro Gelichi sulle dinamiche dell’urbanesimo toscano altomedievale1, dove si auspicava l’edizione sistematica dei dati acquisiti nel corso delle esperienze di archeologia urbana. Una pratica che, da un decennio, è al centro degli interessi dell’area di Archeologia Medievale dell’Università di Siena che sta conducendo, con risultati di rilievo, questo genere di attività su alcune città della Toscana centro-meridionale come Grosseto, Populonia e Siena. L’esperienza maturata su Cosa-Ansedonia, quindi, si colloca appieno in questa nuova stagione di studi sul tema dei processi di trasformazione della città nella lunga durata. La monografia è articolata in due parti: la prima dedicata alla ricostruzione delle fasi insediative dalla fondazione della colonia nel 273 a.C. al definitivo abbandono del sito nei primi decenni del XIV secolo d.C. e la seconda relativa allo studio della cultura materiale. L’organicità della prima parte consente di seguire gli sviluppi e le trasformazioni del tessuto urbano tra l’età romana e il bassomedioevo. Il quadro che viene delineato degli assetti urbani nella diacronia costituisce il frutto di un lungo periodo di ricerche su quella che oggi possiamo considerare la città di fondazione romana studiata in modo più sistematico nella Toscana meridionale. Cosa è presentata come una «intermittent town», essendo caratterizzata da diverse fasi insediative ben distinte ed episodi di abbandono e ripresa, seppur con forme di occupazione spesso diversificate le une dalle altre (Grafico 1). La deduzione della prima colonia del 273 a.C. (Periodo I) rappresenta un momento fondamentale nel processo di romanizzazione della Toscana meridionale e si configura come una delle strategie messe in atto da Roma per il controllo e lo sfruttamento di aree ad elevato interesse strategico ed economico. L’assetto urbanistico definitivo della città viene completato con la colonia istituita nel 197 a.C. (Periodo II), quando su una superficie intramuranea che ammonta complessivamente a 13,4 ha, ben 8 ha risultano occupati da edifici pubblici e privati. Tale pianificazione rispecchia una gerarchia interna alla città, che vede il disporsi degli Grafico 1. edifici privati di maggior grandezza e pregio lungo le due strade più ampie (9 m) che mettono in connessione l’una il Foro e l’Arce e l’altra la porta sud-occidentale con l’Eastern Height. Il rinvenimento in varie zone della città di tracce di distruzione e di abbandono consente di individuare un primo momento di rottura intorno al 70 a.C., anche se i dati prodotti dalle indagini più recenti non consentono di definire la reale fisionomia urbana nel corso della prima metà del I secolo a.C., né le possibili cause del collasso. Il riassetto urbanistico di età augustea (Periodo III) interessa una superficie che si aggira attorno ai 2,7 ha con un decremento sostanziale, pari al 67% rispetto all’area occupata nel corso del II secolo a.C. La ripresa della vita urbana appare determinata dalla necessità di riorganizzare un centro in grado di svolgere le funzioni politiche e amministrative dopo la crisi di inizio secolo, ma anche quelle economiche e di servizio per un territorio circostante che vede in questo momento la massima fioritura delle ville e lo sviluppo di un sistema produttivo specializzato, a fronte di un’incipiente crisi della piccola e media proprietà. La disponibilità di aree pubbliche all’interno della città avrebbe potuto stimolare e favorire la deduzione di una nuova colonia e l’insediamento di nuovi proprietari terrieri. Sul finire del I secolo d.C. si colloca un secondo momento di rottura caratterizzato da un diffuso abbandono della città, di poco anteriore alla crisi che colpirà l’intero agro cosano nel corso del II secolo d.C. Successivamente, in sintonia con quanto documentato anche per la vicina città di Heba, il III secolo (Periodo IV) viene a configurarsi come un momento di ripresa, seppur effimera. A partire dal regno di Caracalla fino a quello di Aureliano è infatti documentata la presenza della res publica cosanorum. L’attestazione dei curatores rei publicae, con compiti di favorire sia dal punto di vista economico che da quello edilizio la ripresa di città 1 GELICHI S. (a cura di), Archeologia urbana in Toscana. La citta’ altomedievale, Mantova, 1999, pp. 131-140. 489 NOTE E DISCUSSIONI anche il Foro vive una fase di ripresa, con l’installazione di un modesto villaggio, caratterizzato dalla presenza di una chiesa, a cui è connesso un piccolo cimitero, alcune strutture abitative e due forni da pane. L’organica pianificazione di questa fase è documentata dalla realizzazione di un tracciato viario interno alla città che mette in relazione l’abitato nel Foro e l’insediamento sull’Arce. La nuova edizione dei materiali provenienti dalla Forum Cistern, datati in un primo momento dal Dyson al tardo IV secolo, consente di inquadrare il deposito tra gli inizi e non oltre la seconda metà del VI secolo, in totale sintonia con i materiali provenienti dall’Arce e già pubblicati nel 19913. La chiusura del deposito della cisterna non è necessariamente ascrivibile ai primi decenni del VI secolo, poiché sia le sigillate africane presenti4, sia le ceramiche da mensa, da dispensa e da cucina di produzione subregionale possono superare la metà del VI secolo5. Non si tratta di un dato di poco conto dal momento che la frequentazione del villaggio nel corso del VI secolo farebbe propendere per un’interpretazione piuttosto articolata di questa fase, con il castrum sull’Arce, occupato da una guarnigione militare, e la popolazione locale che vive raccolta nell’area del Foro, secondo una ricostruzione già proposta da Carlo Citter6. I dati acquisiti nel corso delle indagini 1991-1997 se da un lato hanno definito le vicende dell’occupazione della città dal 273 a.C. alla tarda età imperiale, consentendo di definire l’articolata fase di VI secolo, permettono di proporre un’interpretazione del popolamento medievale di Cosa. Successivamente le evidenze di un abitato riemergerebbero soltanto a partire dall’inizio del X secolo (Periodo VI), con un insediamento organizzato attorno a due chiese con cimiteri associati, una che insiste sul Tempio B e l’altra realizzata sull’Arce e alcune capanne sparse all’interno del circuito murario. Sulla base delle in crisi, testimonia l’interesse imperiale affinché Cosa potesse riappropriarsi di funzioni urbane. In questa fase vennero occupate nuovamente quattro insulae, fu restaurato l’odeum e furono edificati due santuari: il mithraeum nell’ambiente est della Curia e il tempio del Liber Pater. La presenza di magazzini per grano che vanno a sostituire una serie di domus come la Casa di Diana sono il segno evidente del totale cambiamento di destinazione di alcune aree. In questa fase si può calcolare che poco meno di un ettaro e mezzo dell’intera superficie della città risultasse effettivamente insediato. Nel III secolo, Cosa è un “simulacro” di città romana: il sito pur conservando ancora alcune funzioni pubbliche, continuava a mantenere una connotazione di città soltanto perché il suo spazio delimitato da mura ne evocava il senso urbano, ma dal punto di vista topografico, aveva ben poco in comune con l’organica e complessa pianificazione tardorepubblicana e ancor di meno poteva essere paragonata sul piano delle funzioni pubbliche e amministrative in essa concentrate. Un caso che quindi calza alla perfezione con il modello generale delle città romane della Toscana meridionale, che, ad eccezione di Roselle, vivono una fase di progressiva destrutturazione degli assetti urbani a partire dal tardo III secolo. Il momento di maggiore crisi è collocabile tra IV e V secolo, quando la superficie ancora frequentata si riduce soltanto a 813 mq, stando almeno alla distribuzione di sigillata africana individuata soltanto nell’area dell’Atrium Building I e nel santuario del Liber Pater. La scarsa attestazione di indicatori ceramici di IV e V secolo in città sembrerebbe testimoniare un forte spopolamento, mentre nella campagna circostante si registra ancora la sopravvivenza di alcuni poli demici che continuarono a concentrare al proprio interno una serie di funzioni produttive. La vicina villa di Torre Tagliata, ad esempio, nonostante una evidente contrazione dell’insediamento, continua a rappresentare un importante appoggio per la navigazione costiera almeno fino alla metà del V secolo2. La Fentress propone un rapporto dicotomico tra città e campagna. In realtà sembra del tutto plausibile che il processo di destrutturazione tra III e V secolo sia ravvisabile sia a Cosa che nel territorio circostante e che sia legato ai medesimi motivi, ovvero la crisi precoce della piccola e media proprietà, legata ai forti investimenti dell’aristocrazia senatoria per lo sviluppo di ville schiavistiche orientate verso le produzioni intensive per i mercati italici e transmarini. La crisi dell’economia italica in età medio-imperiale colpì duramente tanto il territorio quanto la città, poiché venendo meno la ricchezza locale e verificandosi un marcato spopolamento delle campagne a favore di una gestione latifondistica della proprietà, venne meno anche la vitalità del principale centro amministrativo e demico. La ripresa collocabile tra il tardo V e il VI secolo sembrerebbe legata essenzialmente al ruolo strategico di Cosa, più che alla sua effettiva funzione urbana (Periodo V). Entro questa fase, vengono individuati due diversi momenti: la costruzione della fattoria dotata di granaio, stalle e fienile e il successivo castrum, entrambi organizzati nell’area dell’Arce. Nel corso del VI secolo 3 FENTRESS E. et alii, Late Roman and Medieval Cosa: The Arx and the Structure Near the Eastern Height, «PBSR», LVIII, 1991, pp. 197-230. 4 Per la datazione delle forme Hayes 91C, 99A e 103B si veda TORTORELLA S., La sigillata africana in Italia nel VI e nel VII secolo d.C.: problemi di cronologia e distribuzione, in SAGUÌ L. (a cura di), Ceramica in Italia VI-VII secolo, Firenze 1998, pp. 41-69. 5 Si veda in particolare il quadro delle circolazioni ceramiche tra tardo V e inizio VII proposto per l’area costiera compresa tra la valle dell’Alma e quella dell’Osa (GR) in VACCARO E., Gli assetti economici e insediativi nella Maremma grossetana tra V e metà VII secolo attraverso gli indicatori ceramici, in VARALDO C. (a cura di), Uomini, merci e commerci nel Mediterraneo da Giustiniano all’Islam (VI-X sec.), Atti del Convegno (Bordighera, 3-4 dicembre 2004), c.s.; e le puntuali datazioni relative alle produzioni acrome e con rivestimento rosso offerte dalla recente edizione delle fasi altomedievali del Santa Maria della Scala a Siena in CANTINI F., Archeologia urbana a Siena: l’area dell’Ospedale di Santa Maria della Scala prima dell’Ospedale, altomedioevo, Firenze 2005. 6 CITTER C., L’epigrafe di Otrbetello e i Bizantini nell’Etruria Marittima, «AM», XX, 1993, pp. 617-631. Questa posizione è confermata anche dalla recente interpretazione del toponimo Ansedonia da parte di Stella Patitucci, che, osservando il significato di granaio dell’annona imperiale del termine sitonia nel lessico greco-romano e protobizantino sostiene che la rioccupazione del sito fosse spinta da motivazioni economiche e strategiche più che di natura demica, in PATITUCCI S., Evidenze archeologiche della Provincia Marittima bizantina in Toscana, in ROTILI M. (a cura di), Società multiculturali nei secoli V-IX. Scontri, convivenza, integrazione nel Mediterraneo occidentale, Napoli 2001, pp. 191-222. 2 CIAMPOLTRINI G., RENDINI P., L’agro cosano fra Tarda Antichità e Alto Medioevo: segnalazioni e contributi, «AM», XV, 1988, pp. 519-534. 490 NOTE E DISCUSSIONI analisi al C14 effettuate su alcuni scheletri dal cimitero annesso alla prima chiesa, si afferma che il momento di maggior utilizzo del sepolcreto si debba collocare nel corso dell’XI secolo, mentre esso dovette essere dismesso tra XIII e XIV secolo; l’utilizzo del cimitero relativo alla chiesa sull’Arce può essere fissato alla fine del X secolo sulla base di due monete, anche se non se ne esclude la residualità. In effetti non si hanno elementi certi per una puntuale datazione dei due edifici di culto: sulla base delle indicazioni sulla tecnica costruttiva poco accurata non ne possiamo escludere una datazione al X secolo o addirittura prima, del resto una chiesa in muratura è documentate archeologicamente tra la fine dell’VIII e gli inizi del IX secolo nel vicino villaggio di Grosseto7 e più a N, sull’abitato d’altura di Scarlino, sempre nella fase carolingia8. Rilevanti appaiono i dati relativi all’edilizia residenziale della fase che la Fentress colloca tra X e XI secolo. Nell’area del Foro viene proposta un’occupazione caratterizzata da due capanne semiscavate di cui una a carattere abitativo ed un’altra destinata probabilmente a magazzino, una superficie per le pratiche agricole che interessa la Casa di Diana e infine una struttura più articolata, quasi certamente una capanna che doveva costituire l’edificio principale di questa porzione di insediamento. Altre tre grubenhäuser sono state riconosciute sull’Eastern Height, che tuttavia come le precedenti non hanno restituito livelli di vita, né fossili guida ceramici in grado di fissarne la cronologia. Si ipotizza quindi che in questa prima fase medievale il popolamento all’interno della città si organizzasse attraverso 4 o 5 fattorie sparse9. L’unico dato relativo alla cronologia finale di questa fase è legato al rinvenimento di vetrina sparsa di XI secolo nel livello di distruzione di una delle capanne sull’Eastern Height. È probabile che la strategia dell’intervento, attraverso trincee e non in open area, non abbia consentito di cogliere gli aspetti dell’abitato in tutta la sua complessità, del resto gli esempi provenienti dai villaggi altomedievali toscani scavati al di sotto dei castelli dimostrano con chiarezza la difficoltà di cogliere gli assetti urbanistici dell’abitato in una fase così delicata dal punto di vista interpretativo, se non qualora si promuova un’indagine articolata su un’ampia superficie dell’insediamento10. I dati per un preciso inquadramento cronologico di questa fase non appaiono sufficienti e sarebbe forse auspicabile l’applicazione di analisi per ottenere datazioni assolute laddove ve ne sia la possibilità, come per una delle capanne dall’Eastern Height dove è stato individuato uno strato di distruzione con tracce di bruciato (radiocarbonio) o per quei materiali ceramici che, seppur rinvenuti in fase, non offrono elementi cronotipologici apprezzabili (termoluminescenza). La datazione delle grubenhäuser ad un orizzonte cronologico così tardo, farebbe di Cosa un unicum nel panorama italiano, dove questo tipo edilizio risulta ben documentato soprattutto tra il tardo VI e il VII secolo, con una successiva attestazione di VIII secolo, dal castello di Donoratico11. L’attestazione di un castello in terra e legno che va a svilupparsi tra il Foro e l’Eastern Height, occupando una superficie complessiva di circa 0,9 ha12, appare rilevante per la comprensione dell’insediamento di Cosa nel corso dell’altomedioevo. L’insediamento fortificato, che segna la fine d’uso della chiesa e dell’annesso cimitero nell’area del Foro, risulta caratterizzato da una serie di opere difensive: due fossati irregolari, separati da una piattaforma, che corrono all’incirca lungo la curva di livello dei 95 m slm e giungono fino alle mura tardorepubblicane. Tra questi è stata individuata una piccola fondazione di forma quadrata che doveva costituire la base di una torre con alzato in legno. Un terzo fossato correva più vicino alla sommità della collina, proprio a O del successivo castello in muratura di XII secolo. All’interno di esso sono state riconosciute due buche di palo, pertinenti ad una palizzata. Risultano però esigui i dati cronologici desumibili dagli indicatori ceramici, dal momento che l’ipotesi relativa all’abbandono di tali strutture di difesa è legata esclusivamente alla presenza di vetrina sparsa nel riempimento del fossato più interno e di un frammento di ceramica islamica da quello più in basso. Il problema che si pone risulta legato al periodo di utilizzo di tali strutture. Se la dismissione di queste opere può essere collocata nell’XI secolo, sarebbe necessario comprenderne con chiarezza il periodo di uso e se effettivamente l’articolata situazione che si sviluppa tra il Foro e l’Eastern Height appartiene ad una o più fasi. Dall’edizione si evince solo un terminus post quem per la realizzazione del fossato più esterno, dato dal taglio di una sepoltura datata al C14 tra il 1010 e il 1170. Inoltre, il rinvenimento di una probabile longhouse sull’Eastern Height, che segna l’abbandono di una capanna seminterrata, e di una serie di altre strutture in materiale deperibile, oltre a rendere stringente la necessità di cogliere la corretta articolazione delle diverse fasi di frequentazione dell’Eastern Eight tra alto medioevo e secoli centrali, introduce un’ulteriore questione di rilievo: la presenza di un edificio più articolato e complesso rispetto alle capanne seminterrate potrebbe essere il segnale della nascita di un gruppo eminente all’interno del villaggio; del resto questo è un processo ben documentato a partire dal IX secolo all’interno dei villaggi altomedievali toscani. La Fentress tuttavia ritiene improbabile che il castello di Ansedonia insistesse su una curtis preesistente, poiché mancherebbero i riferimenti documentari ad una pro- 7 Devo questa informazione a Carlo Citter, coordinatore del progetto di archeologia urbana a Grosseto, che ringrazio. 8 FRANCOVICH R., HODGES R., Villa to village, Londra 2003, pp. 69-70. 9 Una forma di popolamento vicina a quella che la Fentress vede nell’intero territorio cosano, caratterizzato tra VII e IX secolo dalla prevalenza dell’insediamento a carattere sparso rispetto a quello accentrato. Dato questo assolutamente eccezionale nel quadro toscano, dove, a fronte di un’ampia copertura tramite survey, soprattutto relativa alle province di Siena e Grosseto, risultano rare le informazione su questa fase, per la quale i dati più rappresentativi emergono con straordinaria ricorrenza e continuità nel corso degli scavi sui villaggi d’altura. Anche nei casi, peraltro piuttosto rari, del rinvenimento nel corso di prospezioni topografiche di depositi altomedievali ubicati in pianura o sulle fasce pedecollinari essi si configurano di nuovo come insediamenti accentrati o come abitati a maglie larghe e praticamente mai come forme insediative disperse. Per i fossili guida segnalati dalla Fentress per la datazione dei contesti altomedievali individuati nel corso del survey si veda nota n.14. 10 Si veda VALENTI M., L’insediamento altomedievale nelle campagne toscane. Paesaggi, popolamento e villaggi tra VI e X secolo, Firenze 2004, pp. 47-64. Su questi aspetti si veda in generale ibidem, p. 22. È indicativo che l’estensione di circa un ettaro costituisca una tendenza largamente documentata nella maggior parte dei villaggi d’altura toscani. 11 12 491 NOTE E DISCUSSIONI di tale classe ceramica, probabilmente per la sua appartenenza al monastero romano di S. Anastasio. L’ultima fase di vita del sito, curata da Michelle Hobart, si colloca tra il tardo XI e il primo quarto del XIV secolo (Periodo VII). L’insediamento doveva avere il suo polo principale nel castello in muratura sull’Eastern Height, mentre tracce di frequentazione interessavano il Foro, l’Arce e l’area del mercato presso l’entrata nord-occidentale. Una serie di interventi edilizi, che vedono nella costruzione di una torre in pietra e di un muro di cinta tra tardo XI e i primi decenni del XII l’inizio di una nuova fase monumentale, sono il segnale della definizione di uno spazio signorile ben distinto dal resto dell’insediamento. In un secondo momento, intorno alla metà del XII secolo, furono realizzati nuovi interventi edilizi che resero più articolata la fisionomia del castello: in particolare sul lato nord della torre fu costruito un secondo muro spesso 1,20 m che andava a raddoppiare il circuito originario, un altro muro interessava i lati sud ed ovest della torre stessa, lasciando lo spazio per una grande cisterna che fu rivestita di malta idraulica. Sull’angolo sud-ovest un arco collegava il lato esterno della torre a quello interno della cisterna, rafforzando la struttura in questo punto vulnerabile. Essa aveva così la duplice funzione di proteggere la torre sui due lati più esposti e di garantire le risorse idriche all’area signorile. In un momento precedente al 1210-1211, stando alle indicazioni desunte dai graffiti individuati al suo interno, la cisterna fu trasformata in prigione. Nel corso del XIII secolo venne ricostruito anche il muro esterno del castello e furono realizzate due nuove strutture tra la torre e il muro della città romana ad est: una forse con destinazione abitativa o agricola ed un’altra sul fronte nord della torre, forse un granaio o comunque una struttura destinata all’immagazzinamento. L’ultima fase edilizia all’interno del castello si colloca nel primo quarto del XIV secolo ed è caratterizzata dall’aggiunta di strutture difensive rappresentate da una probabile base per trébuchet edificata contro le mura romane e un modesto fossato sul lato sud del muro difensivo esterno della torre. Nel pieno medioevo l’area centrale di Ansedonia doveva essere senza dubbio l’Eastern Height, mentre piuttosto labili sono le tracce di occupazione individuate in altre porzioni della città. Nel Foro, la chiesa sul Tempio B fu abbandonata nel tardo XIII; sull’Arce sono stati individuati i resti di una torre in muratura13 e tracce di una frequentazione del tempio Capitolino, testimoniate dalla presenza di buche sui muri laterali che potevano servire a sostenere un piano in legno; la riedificazione della porta nord-occidentale, riconosciuta nel corso delle indagini di Scott e Brown, è probabilmente in relazione a qualche forma di rioccupazione dell’area del mercato. Complessivamente la superficie occupata in maniera stabile si aggira intorno all’ettaro, analogamente a quanto definibile per la fase altomedievale, mentre la restante superficie intramuranea poteva essere destinata alle coltivazioni: resti di terrazzamenti, individuati nel 1970, infatti sono stati messi in relazione con l’abitato medievale. Grafico 2. Grafico 3. prietà. Effettivamente non si hanno attestazioni di signori locali, ma non possiamo escludere che un’aristocrazia potesse essersi sviluppata all’interno del villaggio già al tempo in cui Ansedonia faceva parte formalmente del patrimonio pertinente al monastero di S. Anastasio. Nonostante la mole e l’articolazione dei dati acquisiti sul popolamento altomedievale di Cosa, nel corso dei recenti scavi, resta aperta una serie di interrogativi legati alla definizione del processo formativo del villaggio altomedievale e ai promotori di tale sviluppo. Sembra poco plausibile l’ipotesi di una lunga fase compresa tra VII e IX secolo in cui l’insediamento fu quasi del tutto spopolato. È invece abbastanza chiaro che Cosa altomedievale fosse assai simile ai numerosi villaggi che si installano sulle alture tra il tardo VI e l’VIII secolo, e su cui sembrerebbe incardinarsi la maglia del popolamento rurale della Toscana altomedievale. A questo proposito, un ulteriore dato rilevante concerne l’attestazione di vetrina pesante a Cosa: tra il IX e la prima metà del X secolo si datano almeno sette forme minime rinvenute nel corso delle prime indagini degli anni ’50 effettuate sull’Arce (Grafico 2). Questo dato, oltre a testimoniare che probabilmente sull’Arce doveva svilupparsi almeno a partire dal IX un insediamento di una certa rilevanza, appare assai significativo se inquadrato nel contesto della distribuzione di tale classe ceramica in Toscana. Confrontando le attestazioni di vetrina pesante da Cosa con quelle dai siti altomedievali toscani (Grafico 3), oggetto di scavi sistematici ed estensivi, si osserva che il sito in esame costituisce il contesto maggiormente dotato 13 Una situazione in parte simile si ha nel vicino centro urbano di Roselle dove il popolamento dei secoli centrali del medioevo doveva organizzarsi sui due poli costituiti dalla collina nord, dove una torre in pietra fu appoggiata alla chiesa cattedrale, e dalla collina sud dove sono segnalate le tracce di una motta. 492 NOTE E DISCUSSIONI Trasformazioni del tessuto urbano nella diacronia. tare una nuova organica pianificazione e strutturazione dell’abitato. La formazione di un gruppo dirigente locale, che definisce all’interno della città un proprio spazio fisico e simbolico, caratterizzato da strutture difensive ed edifici più consistenti, dalla longhouse alla successiva torre in pietra, documenterebbe la trasformazione di un paesaggio urbano in uno di quei villaggi fortificati d’altura che scandiscono la maglia del popolamento rurale nella Toscana del pieno Medioevo. La seconda sezione del volume è dedicata allo studio di alcuni aspetti della cultura materiale della L’affermazione e il radicamento del potere signorile coincidono con l’assorbimento delle funzioni demiche da parte dell’Eastern Height rispetto all’Arce e al Foro, che diviene il vero polo di controllo dell’insediamento. Si tratta di un processo già in atto nel corso dell’altomedioevo, come testimonierebbe la presenza della longhouse, in relazione con lo sviluppo di una aristocrazia locale che si incardina sull’Eastern Height, dove, nonostante la posizione meno rilevata rispetto all’Arce, 100 m slm rispetto ai 110 dell’Arce, era possibile, data la mole meno consistente degli edifici romani, proget493 NOTE E DISCUSSIONI città nei diversi periodi di frequentazione. L’analisi degli elementi architettonici e decorativi della Casa di Diana, importante edificio ad atrio ubicato nel Foro, apporta un contributo significativo alla comprensione dell’edilizia e della progettualità romana. Lo studio della ceramica romana e tardoantica si concentra in modo esclusivo sui contesti della Casa di Diana e della Cisterna del Foro, e seppur estremamente accurato sarebbe stato forse auspicabile un riferimento anche ad altri depositi scavati tra il 1991 e il 1997. L’analisi dei corredi ceramici in uso nel corso del medioevo interessa l’orizzonte cronologico compreso tra il tardo XI e l’inizio del XIV secolo, pertanto è sostanzialmente scoperto, tranne che per lo studio della vetrina pesante, l’intera fase altomedievale. Poiché lo sviluppo di un abitato piuttosto articolato è collocabile almeno a partire dal IX secolo sarebbe stata molto utile un’edizione anche dei materiali rinvenuti nelle fasi di IX-X secolo, in relazione agli edifici in materiale deperibile rinvenuti nel Foro e sull’Eastern Height. Sarebbe rilevante sapere se nei contesti di questo periodo siano stati rinvenuti quegli indicatori ceramici che la Fentress14 ha individuato come fossili guida per la datazione di insediamenti sia sparsi che accentrati dell’agro cosano, con cronologia compresa tra il VII e il IX secolo. La monografia si conclude con il lavoro di Katherine Gruspier dedicato alle analisi sugli scheletri dal cimitero associato alla chiesa medievale del Foro, che fa luce sulle caratteristiche fisiche, sulla nutrizione e sulle paleopatologie della popolazione che visse a Cosa tra secoli centrali e bassomedioevo. È evidente l’importanza e la novità dei dati apportati da questo volume alla conoscenza della città di Cosa nei suoi sviluppi topografici, nelle caratteristiche dell’edilizia, e dei reperti mobili attestati nei diversi periodi, che oggi consente di procedere ad una più organica riflessione sulle trasformazioni urbane nella lunga durata e ad una prima definizione degli sviluppi altomedievali del sito, per la cui corretta comprensione, però, sarà probabilmente necessario prevedere ulteriori approfondimenti, sia pianificando nuove indagini di scavo su ampie superfici, sia effettuando nuove analisi di datazione assoluta sul materiale già archiviato nel corso delle recenti ricerche. 14 Faccio riferimento al tipo di brocca in acroma depurata/selezionata a corpo globulare, fondo piano e ansa nastriforme complanare all’orlo, a cui è spesso associata l’anima grigia in frattura, che viene interpretata come indicatore delle fasi altomedievali, ma per la quale non è stata ancora effettuata una precisa definizione cronotipologica per il territorio della bassa valle dell’Albegna; si veda in particolare FENTRESS E., WICKHAM C., 1.2. La bassa valle dell’Albegna (600100), in CARANDINI A., CAMBI F. (a cura di), Paesaggi d’Etruria. Valle dell’Albegna, Valle d’Oro, Valle del Chiarore, Valle del Tafone, Roma 2002a, pp. 259-261 e FENTRESS E., WICKHAM C., La Valle dell’Albegna fra i secoli VII e XIV, in ASCHERI M. (a cura di), Siena e Maremma nel Medioevo, Siena 2002b, pp.59-82, in particolare p. 61, nota 4. 494