L`economia dei media e il rompicapo della strategia dei prezzi

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L`economia dei media e il rompicapo della strategia dei prezzi
L'economia dei media e il rompicapo della strategia dei prezzi
Il caotico mondo digitale ha portato le aziende dell’informazione a vendere gli stessi prodotti a
prezzi differenti su piattaforme diversificate. C’è una spiegazione logica?
Ken Doctor, su Niemanlab.org, analizza il problema della giungla dei prezzi e la ‘’magia’’
americana della cosiddetta ‘’economia dei 99 centesimi’’, una sorta di viatico verso prezzi più
congrui – Consigliando agli editori giornalistici di seguire con molta attenzione quello che fanno
l’ industria musicale e il cinema
The newsonomics of 99-cent media ( http://www.niemanlab.org/2012/04/the-newsonomic
s-of-99-cent-media)
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L'economia dei media e il rompicapo della strategia dei prezzi
di Ken Doctor
(traduzione a cura di Elena Baù)
Alzi la mano chi ama ancora l’informazione su carta stampata abbastanza da pagare 700 dollari
o più in un anno per un abbonamento settimanale al New York Times. Naturalmente, vi sono
molte altre scelte possibili.
E’ possibile naturalmente provare anche una delle numerose opzioni di pacchetti/stampa per
somme molto più vantaggiose. Oppure, a voler essere parsimoniosi, potete visualizzare fino a
10 articoli gratis volte al mese, o anche di più se lo scopo è approfondire aspetti sociali o fare
ricerche veloci sul NYTimes.com. Oppure, ancora, forse si può esser tra coloro che pagano per
utilizzare Ongo ( http://www.ongo.com/frontpage.php) 1,99 dollari al mese, ottenendo così
20 notizie del Times al giorno, oltre a un sacco di altri contenuti informativi.
Amate il Guardian e volete seguire ogni particolare della saga di Murdoch nel Regno Unito? Se
abitate negli Stati Uniti, potete abbonarvi all’edizione più dinamica sull’ iPad per 13,99 dollari al
mese – o accedervi gratuitamente tramite il browser Safari del tablet. Negli USA, l’applicazione
smartphone è gratuita, ma in Gran Bretagna ed Europa è necessario sottoscrivere un
abbonamento. Certo, l’applicazione Facebook http://thenextweb.com/media/2011/11/30/t
he-uks-guardian-newspaper-notches-4m-facebook-app-installations-in-2-months/
)
consente l’accesso gratuito altrettanto bene, e ovunque.
Se state acquistando dall’edicola digitale ( http://www.ongo.com/frontpage.php) di Ongo,
osservate l’ampio spettro di prezzi che i singoli editori stabiliscono per farvi accedere ad un
determinato prodotto: per il Guardian sono 99 centesimi al mese, per il Christian Science
Monitor sono 3,99 dollari, mentre per il Chicago Tribune il costo è di 9,99 dollari e per il Boston
Globe 14 dollari e 99 centesimi.
Non sono solo le aziende editoriali dei quotidiani ad offrire un mosaico di opzioni da acquistare
(o non acquistare).
Siete dei fan dell’ultima ora della serie AMC “Breaking Bad?” Se desiderate aggregarvi e
iscrivervi allo streaming di Netflix, potete fare un buon affare, con 7,99 dollari al mese. Potete
infilare ben 37 episodi delle prime tre serie del programma in un solo pacchetto mensile (ma
quanto dura questo mese?), pagando solo 21.5 centesimi a puntata, più tutto quello che
riuscirete ad aver tempo di vedere. E’ una vera cuccagna, no?
Ah, ma se volete vedere gli episodi della quarta serie, che non sono ancora disponibili in
streaming su Netflix, dovete aggiornare l’ abbonamento per avere i Dvd della quarta serie – ma
vi costerà ulteriori 7,99 dollari al mese, e dovrete attendere che i DVD siano diffusi
ufficialmente (
ht
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tp://www.amazon.com/Breaking-Bad-Complete-Fourth-Season/dp/B0058YPG1G)
, a giugno. (Forse è proprio questo uno dei motivi per cui la mossa maldestra di Netflix verso lo
streaming sta portando
a perdite
(http://articles.latimes.com/2012/apr/24/business/la-fi-ct-netflix-earns-20120424
)
).
Oppure ci si può rivolgere ad Amazon VOD (video on demand) e acquistare gli episodi per 1,99
dollari l’ uno (o 2,99 in HD!), o 25,87 dollari per l’ intera serie. Allora perché vederli in streaming
quando puoi avere il DVD in poche settimane per 29,99 $ (o aggiungervi altri 10 bigliettoni per
una migliore qualità in Blu-ray)? Un attimo – sono un cliente Esclusivo di Amazon. Non posso
vederlo gratuitamente? No, perché non fa parte dell’offerta Esclusiva di streaming gratuita, ma
posso guardare un sacco di altra roba tutte le volte che voglio per niente. O forse posso
accedere a “Breaking Bad” tramite Xfinity Comcast pagando 100 dollari al mese più il servizio.
Non se ne parla, nessun accordo –“Breaking Bad” non è disponibile.
Una prova ulteriore: sullo stesso sito ( http://www.amctv.com/shows/breaking-bad/episode
s/season-4/box-cutter)
dell’ AMC ci sono un bel po’ di
curiosità, blog e molto altro sulla serie, ma non gli episodi integrali.
E passiamo alla musica.
Prendete la cantante Tristan Prettyman ( http://www.tristanprettyman.com/home) . Si parla
di 9,99 dollari (o di 83 centesimi a canzone) per il suo ultimo CD su iTunes. Attraverso il mio
abbonamento annuale da 36 $ a Pandora (senza pubblicità) posso ascoltare dozzine di sue
canzoni, le sue varie performance musicali, e migliaia di altri brani nel corso dell’anno,
abbattendo i costi attraverso una spesa di pochi centesimi per brano. Oppure c’è Spotify, dove
le sue canzoni sono disponibili per zero, cinque, o dieci dollari al mese, a seconda di quali
dispositivi voglio usare e se c’ è o no pubblicità.
Anche i magazine, naturalmente, stanno proponendo esperimenti di differenziazione dell’offerta.
L’industria Usa delle riviste statunitense (“The newsonomics of Next Issue Media” ( http://w
ww.niemanlab.org/2012/04/the-newsonomics-of-the-next-issue-magazine-future)
)
sta testando le formule ‘’all-you-can-eat’’ e ‘’cross-title’’ (offerta incrociata di testate), ribassando
alcune delle sue pubblicazioni fino a 37 centesimi al mese (se uno ha già usufruito di tutti i 27
titoli “base” del pacchetto), per chi compra all’edicola; mentre i prezzi vanno dai 39, 59, fino ai
79 dollari l’anno per l’ acquisto di una sola testata direttamente presso l’ editore.
Quanto far pagare?
Il mondo digitale è un folle paradiso dei prezzi, in questo momento, almeno per i consumatori
più astuti. I vari provvedimenti del dipartimento della Giustizia nel campo degli ebook non fanno
che complicare le cose. Cinque o dieci anni fa ci chiedevamo se la gente avrebbe mai pagato
per usufruire dei media digitali – Steven Levy del Newsweek ci aveva introdotti in questo
terreno sconosciuto con il suo ‘’Conoscere la generazione di Napster’’ ( http://www.thedail
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ybeast.com/newsweek/2000/06/04/the-noisy-war-over-napster.html)
sin dal 2000. Ma ora la questione non è se le persone, vecchie e giovani, siano disposte a
pagare: il rompicapo è capire quanto far pagare loro tutto quello che noi amiamo graziosamente
definire la nostra “realtà multipiattaforma”.
Non c’ è più bisogno che i contenuti siano gratuiti. Ora possono avere un prezzo – ma quanto
al pezzo?
I prezzi al dettaglio per molte aziende giornalistiche non sono una competenza di base. Per
decenni, la fissazione dei prezzi dei media avveniva in modo automatico. I quotidiani
sceglievano il prezzo fra 25 o 50 centesimi e su quella base programmavano i distributori
automatici. Le riviste mantenevano i prezzi bassi a sufficienza per costruirsi il loro pubblico e
raccogliere i compensi sostanziosi derivanti dagli annunci pubblicitari. Gli editori di libri avevano
qualche stratificazione di prezzi diversi, ma mai eccessivamente. Infine, le case discografiche
sceglievano un paio di fasce di prezzi e poi lasciavano che vinile e CD volassero.
Nell’era digitale, invece, i prezzi stanno diventando un problema – e confondendo – l’ industria
dei media. Ma il grande merito dei media digitali non era proprio il fatto che il mondo virtuale sia
caratterizzato dalla evanescenza delle spese di produzione? Ora che questi costi da secolo
scorso – di stampa, produzione, distribuzione e spedizione – stanno tramontando, la questione
del prezzo, e del valore, si sta facendo sentire a gran voce.
Di sicuro possiamo notare un’ ingiusta insistenza da parte del Dipartimento di Giustizia nel
disporre procedimenti per la fissazione dei prezzi a scapito degli editori di libri, rilevando
comunque nello stesso tempo come il Dipartimento non abbia avuto grande peso sugli esiti
concreti di queste vicende: in entrambi i casi non si tratta di una sorpresa. La legge ha lottato
senza successo per tentare di tenere il passo con i cambiamenti economici operati da Internet,
dal giusto uso delle norme antitrust a quelle contro il monopolio dei media. Legislatori molto
preparati cercano di andare sempre più indietro nel tentativo di rintracciare le radici della
tecnologia e dare ad essa un nuovo senso. Spesso, le autorità europee di regolamentazione
dell’ Unione si pronunciano in modo molto più perentorio, ma poi finiscono con il ritirarsi.
Creare un nuovo quadro giuridico che consideri in modo più equilibrato produttori, distributori e
consumatori? Scordatevelo, in quest’epoca di politiche dominate da pratiche e concetti come
stallo e status quo.
Gli editori di tutti i settori vanno ciascuno per conto proprio, mentre farebbero meglio a
maturare un certo senso del problema del prezzo. E’ basilare per la loro sopravvivenza e
sostenibilità futura. Certo, i vari Amazon in circolazione cercheranno di monopolizzare la
determinazione del prezzo dei libri, riavvicinandosi al vecchio mercato del pre-“prezzo di
agenzia” con quote di mercato del 90 percento, rispetto al loro attuale misero 60 percento.
Eppure, gli editori – specialmente quelli dell’informazione giornalistica, le grandi testate e riviste
che si occupano di mezzi di comunicazione – possiedono molte carte da giocare, in tema di
prezzi, per capire come i clienti scoprano contenuti vicino o lontano dalle fonti tradizionali.
La magia del prezzo giusto
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La chiamerò “l’economia dei media a 99 centesimi”, perché è questo lo scenario verso cui ci
stiamo dirigendo (…).
In un primo momento, sembra di trovarsi di fronte ad una sorta di ‘’dittatura’’ del prezzo a 99
centesimi (e a una ‘’dittatura’’ parallela dei libri su Amazon a 9,99 dollari). I prezzi da 99
centesimi arrecheranno danni ai marchi? Dureranno? Se gli Stati Uniti seguiranno l’esempio del
Canada e abbandoneranno il penny, forse il prezzo a 99 cents potrebbe diventare storia
vecchia. Ma, per ora, mantiene il suo magico fascino sui consumatori.
“L’ introduzione delle offerte da 99 centesimi ha fatto miracoli nel campo della definizione dei
prezzi”, afferma Matt Lindsay, presidente di Mather Economics ( http://www.mathereconomi
cs.com)
. La sua azienda ha
lavorato con più di 200 testate – circa il 75 percento delle quali sono giornali – sulla
determinazione dei prezzi e relative questioni strategiche. Prendiamo ad esempio i prezzi nel
settore dei media, dal
New York Times (
http://www.nytimes.com/subscriptions/Multiproduct/lp3004.html?campaignId=384LY)
a
Hulu Plus (
http://www.hulu.com/plus-?src=sem-plus-google&cmp=205&gclid=CLm_7tHU0a8CFUka
Qgod4BQZHw)
: i 99 centesimi (o i loro derivati a partire da 1.99 $ fino a 7.99 o 9.99 $), sono ovunque.
Stabilire un prezzo è semplice: basta considerare qual è la percentuale di clienti che clicca “sì”
–fornendo così preziosi dati della carta di credito – di fronte ad un’offerta. Offrite ai lettori la
possibilità di iniziare una “prova” per 99 centesimi, ed otterrete risultati di due o tre volte
superiori rispetto all’ utilizzo di qualsiasi altra cifra, sostiene Lindsay. I 99 cents, vengono presi
dai lettori “come un segnale. Capiscono che tu vuoi che loro adottino il prodotto. Impostando
invece il prezzo pieno ad una cifra superiore, è come se stessi dicendo, fondamentalmente
“Questo è il reale valore del prodotto”.
Steve Jobs ha segnalato lo stesso concetto in modo analogo. Come ha ben spiegato Chris
Anderson su Wired lo scorso novembre (“The Magic of 99 Cents” http://www.wired.com/m
agazine/2011/11/ff_stevejobs_sidebars/7)
)
, uno dei grandi successi di Jobs con iTunes e iPod è stata l’adozione del prezzo di 99
centesimi per le canzoni. Poteva anche possedere i giusti hardware e software, ma in un’era
non proprio post-pirateria, i 99 centesimi sono stati la terza componente chiave nel definire il
rapporto del giusto valore. Hanno funzionato come un segnale: a metà strada tra gratuito e
troppo costoso.
Iniziate con 99 centesimi e potrete conquistare il mondo. Ma vediamo un po’ meglio qualche
linea guida per gli editori.
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• I 99 centesimi sono un inizio e non la fine. Per giornali abituati ad esser pagati 200 o 400
dollari l’ anno, i 99 cents appaiono come una dichiarazione di scarso valore. Arrotondare con
qualche 0 nel prezzo, fasembrare più onesti. Il caso spesso citato dei video (
https://buy.louisck.net/)
da 5 dollari dello spettacolo di Louis CK ne è un esempio calzante. Cinque bigliettoni dicono
autenticità. Eppure i media che rispondono alle migliaia di domande dei lettori ogni giorno non
sono dei commedianti. Solo impostando un prezzo iniziale di 99 cents, prima o poi quel prezzo
invierà un altro importante segnale sul valore del prodotto. Alla fine, dice Lindsay, è vero che “la
gente considera il prezzo quale un segnale di qualità”.
• Se avete molto altro da vendere, allora i 99 centesimi non sono un semplice prezzo,
ma un prezzo d’ ingresso.
Rispondendo a un mio recente articolo sulle “small things” ( h
ttp://www.niemanlab.org/2012/04/the-newsonomics-of-small-things/
)
, Rob Pegoraro chiedeva, su Twitter, come si potesse correlare i risultati degli utili del New
York Times a quel concetto. “Penso che i 454mila abbonati digitali del NYT potranno diventare
un grande mercato per le “piccole cose” come ebooks ed eventi”, ho replicato. David Johnson
ha poi aggiunto: “si paga per stare sul mercato. Questi piani aziendali sembrano quasi dei
parchi a tema odelle strategie di raccolte di fondi per associazioni senza scopi di lucro”. Ecco
come le cose tornano perfettamente: non è una questione di soldi, pochi o tanti, addirittura se
un dollaro o 99 centesimi – ma qui si tratta di stabilire un nuovo rapporto. O, per dirla in un altro
modo, i 99 cents sono il viatico dei prezzi.
• Tenetevi pronti a vendere un sacco di roba. Quindi, che siate Six Flags, il New York
Times o il L.A. Times, fareste meglio ad imparare a sfruttare questa nuova condizione di vendita
all’ ingrosso. Forse non si tratta ancora di
100
prodotti l’anno (
http://www.niemanlab.org/2012/03/the-newsonomics-of-100-products-a-year/)
,
ma almeno una mezza dozzina sì, tanto per cominciare. Gli ebooks certamente, rientrano
perfettamente nel contesto, tanto quanto i supplementi offerti a soci ed abbonati. Ovvio, dovete
sceglierne alcuni, come sta facendo il Boston Globe con le
Cene della domenica
,per rafforzare la sensazione di prestigio di essere membri/abbonati. Ma il prezzo può essere un
altro mezzo per indicare il valore potenziale. Una guida per l’ area universitaria di Boston,
realizzata – naturalmente – dal Globe, potrebbe essere, per 19,95 dollari, un prodotto solido da
vendere, dati i 100.000 e più dollari che le famiglie investono per i figli.
E poi ‘’ebook”, anche se il termine è troppo limitato per definire tutto quello che rappresenta, e
suona come qualcosa di obsoleto. C’ è una differenza fondamentale fra ebook e applicazione,
spiega David Link “Da un punto di vista imprenditoriale e tecnologico, la differenza è solo nel
modo con cui vengono progettati: si va nell’ebookstore e c’ è solo testo. Si va nell’app store e si
trova il testo più un 50 percento di applicazioni come contorno”. Così, adesso, gli editori e i loro
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creativi sono costretti a inventare forme molteplici, ma essenzialmente lo stesso prodotto è sia
un’applicazione che un ebook. Le tecnologie e i costi, per spiegarsi, sono come dei mercati per
tutto l’ armamentario digitale delle nostre vite. La questione, per gli editori che vendono più
prodotti però è chiara: per soddisfare le esigenze del pubblico meglio di chiunque altro è
necessario saper fornire prodotti per i dispositivi del momento, e ad un prezzo adeguato.
• Non è solo il contenuto che stiamo pagando. Questa è davvero una dura lezione per l’
editoria tradizionale. Come nel caso della rivoluzione nel settore della musica operata da Apple,
è stata la combinazione di praticità, facilità, presentazione, prezzi e domanda che ha
razionalizzato (nel bene e nel male) l’industria della musica digitale. Oggi, analogamente, le
prime strategie di abbonamenti digitali nel settore dell’ informazione sono legate molto più ad
aspetti quali convenienza e mobilità che non a quello dei contenuti, dei testi e delle immagini.
• Siamo tutti sulla stessa barca. Pensate ai vostri acquisti multimediali. Un po’ di musica,
molti più video, abbonamenti mirati a giornali e riviste, un numero crescente di ebooks. Certo, i
mercati per ebooks e applicazioni, come le edicole e gli e-store, sono parecchio confusi. I
media, però, sono i media, e le tabelle dei prezzi si stanno formando in maniera molto simile tra
film, musica, quotidiani e magazine. Tutti, ad esempio, apprezziamo il sistema di All Access:
paghiamo una sola volta e potremo ricevere i nostri acquisti ovunque.
Insomma, gli editori di giornali e riviste devono guardare con attenzione alle tante lezioni che
vengono dalle industrie musicali e cinematografiche, e in particolare a quelle che sono tuttora in
costante evoluzione.
Il prezzo dell’ informazione non è un’isola privilegiata.
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