Muñoz Molina Sono stufo di questo passato

Transcript

Muñoz Molina Sono stufo di questo passato
28
Lunedì 2 Agosto 2010 Corriere della Sera
Cultura
L’incipit
Nel mezzo del tumulto della stazione
di Pennsylvania, Ignacio Abel si è fermato
ad ascoltare: qualcuno lo chiamava per nome.
Lo vedo prima da lontano, tra la folla dell’ora
di punta, una figura maschile identica alle altre,
come in una fotografia dell’epoca, rimpicciolite
dalla scala immensa dell’architettura:
cappotti leggeri, impermeabili, cappelli...
da «LA NOCHE DE LOS TIEMPOS»
Temi Un incontro su letteratura e politica. «Il mio Paese guarda indietro con un atteggiamento strumentale e sbagliato. A partire da Zapatero»
METICCIATO
Aspetto la nuova generazione:
scrittori figli di spagnoli e immigrati
STORIA
Qui si parla solo di Franco e corrida
La memoria è diventata una moda
La nostra narrativa contemporanea
non sa più raccontare l’amore
SENTIMENTI
dal nostro inviato
ALESSANDRA MUGLIA
MADRID — «Sa che cosa sto aspettando?», sorride Antonio Muñoz Molina con un lampo negli occhi. «Che
arrivino i nuovi scrittori figli di immigrati, che arrivino e ci raccontino la
nuova Spagna meticcia. Chissà come
sarà il romanzo di una giovane spagnola nata in una famiglia musulmana tradizionale», riflette lo scrittore
andaluso che molto ha pescato nella
storia franchista — come tanti della
sua generazione — per farne lo sfondo narrativo di romanzi di successo.
Sul divano della sua casa madrilena,
Muñoz Molina appare rilassato. Sorride, si sente in vacanza, tra passeggiate («almeno due ore al giorno»), qualche mostra e molte letture («sto rileggendo Don Chisciotte e un saggio di
Nicholas Carr uscito anche in Italia, Il
lato oscuro della Rete, sui condizionamenti prodotti da Internet sul nostro
cervello). Nessun nuovo romanzo in
vista, per ora, dopo La noche de los
tiempos uscito in Spagna l’anno scorso: «Sto bene anche così. Non ho l’ansia di scrivere un libro all’anno».
Sembra piuttosto alla ricerca di
uno sguardo nuovo, come di un’ispirazione: «Sarà molto interessante leggere i romanzi di chi è metà marocchino e metà spagnolo, cinese e spagnolo, senegalese e spagnolo. Credo
che lo sguardo del figlio dell’immigrato sia molto ricco, perché è doppio:
guarda dal mondo a cui appartengono i suoi genitori, quello delle radici,
e dal mondo nuovo a cui lui già appartiene. Nei due mondi si sente al tempo stesso a casa e straniero. Sono le
due esperienze fondamentali per scrivere: conoscere molto bene qualcosa
e al tempo stesso vederla un po’ come da fuori».
Del resto quasi tutta la grande lette-
ratura americana del XX secolo e anche quella britannica è fatta da immigrati. «I miei punti di riferimento sono i grandi scrittori ebrei americani
come Saul Bellow e Bernard Malamud, il latino-americano Junot Diaz e
l’indo-americana Jhumpa Lahiri.
Aspetto con una certa trepidazione
che questo filone decolli anche da
noi», insiste Muñoz Molina, che vive
con la moglie, la scrittrice Elvira Lindo — i quattro figli sono ormai grandi — in estate a Madrid e in inverno a
New York.
Le seconde generazioni hanno un
vantaggio sui loro padri, riflette:
«L’immigrato ha un mondo del passato a cui appartiene e un mondo del
presente al quale sempre, più o meno, sarà estraneo; suo figlio invece
sta in tutti e due e molte volte in nessuno. Per questo c’è bisogno che il
I modelli
Qui sopra: a sinistra il Nobel
Saul Bellow (1915-2005),
a destra Bernard Malamud
(1914-1986). In alto: a sinistra
Junot Díaz, nato nel 1968;
a destra Jhumpa Lahiri,
nata nel 1967
processo di integrazione abbia successo, in modo che la seconda generazione non resti chiusa nel ghetto».
Chissà che questo sguardo obliquo, più distanziato, dei «meticci»,
possa aiutare gli spagnoli a fare meglio i conti con il proprio passato.
«Oggi politici e intellettuali rifiutano
di accettare per intero la loro storia,
non vogliono vedere gli errori commessi dalla propria parte. Il paradosso è che in Spagna si parla ossessivamente del passato, ma non si conosce quasi niente, se non versioni di
parte, nonostante gli storici abbiano
fatto bene il loro lavoro. Se sei di sinistra vedi l’ingiustizia contro la sinistra e non vuoi vedere i crimini che la
sinistra commise durante la guerra.
Allo stesso modo se sei di destra. Ancora oggi non si è capaci di una visione d’insieme».
È a dir poco infastidito dal dibattito in corso dentro e fuori la Spagna:
«Sembra che qui ora non si faccia altro che discutere di guerra civile. E di
corrida, naturalmente. E così non si
affrontano i problemi reali di un Paese che ha il 20 per cento di disoccupazione e il 30 di abbandono scolastico». Non capisce come sia stato possibile scomodare Franco e la dittatura
persino per «difendere» la libertà dei
toreri, come hanno fatto due scrittori
del calibro di Javier Marías e Pere Gimferrer. «Sono storico di formazione, ma la storia riguarda il passato. Il
franchismo è finito nel 1975, la guerra civile nel 1939. La Spagna del 1936
era rurale, analfabeta, isolata economicamente. La Spagna di oggi non ha
nulla a che vedere con quella. Niente.
È una ovvietà che non dobbiamo dimenticare. Se ci riferiamo continuamente al passato non capiamo il presente». Gli spagnoli hanno bisogno
di un patto sul ricordo, come ha fatto
la Germania, dice Muñoz Molina ci-
ANTONIO MUÑOZ MOLINA DAVANTI A CASA (FOTO CORSERA)
Muñoz Molina Sono stufo di questo passato
tando Anthony Beevor.
Le cose sembrano però andare in
un’altra direzione. «Non si può tornare indietro e usare il passato come fa
Zapatero. Non si può parlare di guerra civile come se fossimo divisi come
allora. È trascorso troppo tempo: non
spetta né ai politici né ai giudici fare
chiarezza, ma agli storici, non a caso
in tutte le legislazioni è previsto l’istituto della prescrizione».
Muñoz Molina contesta «la moda
della memoria storica», quasi fosse
un nuovo genere letterario. «Questo
tema è diventato di moda politica-
mente e quindi sembra che solo negli
ultimi anni si sia cominciato a parlarne e scriverne. Quando pubblicai il
primo romanzo sulla guerra civile, i
critici mi dicevano: perché ti occupi
di questo? Non è che non si potesse
scrivere di quelle cose, semplicemente non era di moda. Il passato recente
non faceva parte del dibattito politico
per ragioni pratiche: ex franchisti e repubblicani potevano litigare su quello che era successo nel 1936 o cercare
di costruire un Paese. Scelsero la seconda opzione. Ci fu un’amnistia; a
quelli che avevano lottato contro
Franco, come mio nonno, riconobbero una pensione». Insomma, non fu
messa nessuna «pezza» sul passato,
il famoso patto sull’oblio non prevedeva il silenzio, ma un accordo per
non usare il passato come arma politica.
Del resto, questa libertà di espressione è stata alla base del livello di eccellenza raggiunto dalla letteratura
spagnola, da Enrique Vila-Matas a Javier Cercas.
Prende fiato Muñoz Molina e il volto si distende: «In Spagna, con l’avvento della democrazia c’è stata
un’esplosione di creatività in tutti i
campi, soprattutto in letteratura. È nata la generazione di Javier Marías e
mia, che pubblica per la prima volta
in libertà. La vera sorpresa per noi fu
scoprire che c’erano molti lettori interessati a leggere quello che scrivevamo. C’era tanta gente con tante cose
da dire e molti lettori che volevano
leggerle anche fuori dalla Spagna.
Quasi per la prima volta la letteratura
spagnola faceva parte della letteratura internazionale, e tutto questo è stato frutto della grande esplosione della democrazia. Nel tempo si vedrà
quali saranno i migliori libri, quali si
leggeranno e quali no. Il tempo è il
miglior critico».
Il suo ultimo arrivato, La noche de
los tiempos, più che l’ennesimo romanzo sul sanguinoso passato degli
spagnoli, è il viaggio verso il futuro
di un architetto spagnolo, Ignacio
Abel, che approfittando di una trasferta accademica, fugge dalla Spagna verso gli Stati Uniti, lasciando
moglie e figli in un Paese all’alba della guerra civile per raggiungere la
donna di cui è innamorato. «Con lui
ho in comune tre cose: la paura della
violenza fisica, la ricerca di una visione razionale del mondo (la violenza
mischiata all’ideologia è pericolosa e
non appartiene solo al passato), e —
soprattutto — la propensione all’innamoramento. Questa non è una faccenda secondaria. Per qualche motivo nella letteratura contemporanea
spagnola la passione amorosa non è
molto presente. Non so se per pudore o per un distacco naturale degli
scrittori. Forse perché sono un lettore di Proust, ma il racconto del processo di innamoramento mi interessa molto come romanziere. Quello
che fa l’amore agli innamorati e a coloro che gli stanno intorno: per esempio, in questo romanzo, ai figli di un
uomo che si innamora di una donna
che non è la sua».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Affari In arrivo film, cartoon e videogiochi. L’erede della vedova di Saint-Exupéry accusa i discendenti delle sorelle di tagliarlo fuori. E chiede due milioni
La «guerra della Rosa» per il business del Piccolo Principe
dal nostro inviato
CECILIA ZECCHINELLI
PARIGI — Da Jorge Luis Borges
ad Antonin Artaud, da Michel Foucault fino a John Lennon, le successioni hanno spesso creato guerre legali tra gli eredi dei grandi (anche
in senso commerciale) autori. E così non sorprenda la nuova battaglia
scoppiata a metà luglio per il Piccolo Principe: il poetico personaggio
del famoso racconto di Antoine de
Saint-Exupéry, pubblicato nel 1943
poco prima della scomparsa nel
Mediterraneo dell’autore-aviatore,
che è diventato da allora un formidabile fenomeno editoriale e culturale davvero in ogni angolo del
mondo.
Oltre ottanta milioni di copie
vendute, traduzioni in 180 lingue e
dialetti dal bretone al friulano, cam-
pione assoluto di vendite per l’editore Gallimard, testo scolastico
adottato in numerosi Paesi. E ancora: film, dvd, fumetti, opere sinfoniche, musical, litografie, merchandising di tutto e di più, perfino un
museo-villaggio costruito in Giappone. Ma molto ancora è atteso nell’immediato futuro: 52 episodi di
cartoni per la catena televisiva France3, un videogioco interattivo, soprattutto un ambizioso lungometraggio in tre dimensioni che sarà
accompagnato da una grande mostra e dalla pubblicazione di ben
cento titoli correlati al ragazzino
dell’asteroide B-612 da parte dell’editore Gallimard.
Ed è proprio su questi importanti progetti multimediali e dintorni
(ormai ben avviati) che è scoppiata
l’ultima puntata della «guerra della
Rosa», così chiamata dai media
francesi in riferimento alla co-protagonista del libro, il fiore identificato con l’amatissima moglie di Saint-Exupéry, l’artista salvadoregna
Consuelo. In campo, come già era
successo tre volte negli ultimi
trent’anni, c’è oggi da una parte della barricata José Martinez Fructuoso, di lingua spagnola come la ve-
dova Saint-Exepury che alla morte
nel 1979, senza figli e senza famiglia, aveva nominato l’amico-confidente suo erede universale. Lasciandogli il 50 per cento dei diritti
d’autore di Antoine e un’infinita
quantità di suoi manoscritti, lettere, foto e disegni, anche oggetti
(una sua tuta d’aviatore tra l’altro).
Scrittore
e aviatore,
Antoine
de SaintExupéry
(1900-1944),
autore
del «Piccolo
Principe»,
scomparve in
mare durante
una missione
aerea
Dall’altra parte, schierati compatti, ci sono una cinquantina di discendenti diretti della madre e delle due sorelle dell’autore, la famiglia d’Agay. «Veri aristocratici con
castelli e tante buone maniere, che
chiamano Ramirez "Pepè, l’autista
della zia"» scrive il «Journal du Dimanche». Con il loro 50 per cento,
ma soprattutto con la notevole abilità imprenditoriale del cinquantunenne Olivier de Giraud d’Agay, sono stati loro a depositare (e sfruttare con successo) il brand del piccolo e biondo poeta in mezzo mondo. E sempre loro ad aver già concluso i contratti per i film, la serie
televisiva, tutti i nuovi progetti, senza coinvolgere, ovviamente, Martinez.
Due milioni di euro ha chiesto
ora, secondo indiscrezioni di stampa, l’«autista di zia Consuelo», che
in realtà ne fu il segretario e il confidente dal lontano 1957 ed è oggi
settantaquattrenne. Per danni e
per interessi. «Perché quanto è successo viola i miei diritti. Quando
mi sono accorto che "loro" avevano
messo il Petit Prince perfino sui
piatti, ho reclamato la mia parte»
ha detto pochi giorni fa, presentando la denuncia formale al Tribunal
de grande istance di Parigi.
Un gesto che, come l’intera vicenda tra eredi, sembra stridere molto
con lo spirito del principino poeta,
così onirico e puro, e con il suo
messaggio che lo ha reso un’icona
nel mondo. «Questi grandi sono così avari! Non si può toccar loro proprio nulla» commentava lasciando
un pianeta abitato da un «riccone»
seduto a una tavola d’oro. Ma in
fondo le Petit Prince fa parte della
letteratura, Martinez e la famiglia
d’Agay no.
© RIPRODUZIONE RISERVATA