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The Bronx Journal/December 2001 I TA L I A N B2 STAMPA NEL MIRINO MARA PALERMO Bronx Journal Staff Reporter rima vittima italiana in Afghanistan, e non è un soldato. Si tratta di Maria Grazia Cutuli, 39 anni, giornalista del Corriere della Sera, inviata italiana che ha perso la vita il 19 novembre. Maria Grazia Cutuli si trovava in un convoglio con altri giornalisti su una strada che collega Jalalabad a Kabul. Secondo Edoardo San Juan, giornalista della televisione catalana Tv3, la Cutuli avrebbe deciso all'ultimo momento di lasciare Jalalabad alla volta della capitale afghana. San Juan, si trovava nello stesso convoglio ma su un’altra vettura. L’inviata italiana era nella macchina che guidava la colonna mentre Edoardo San Juan si trovava in fondo al convoglio. Dopo circa due ore di viaggio, a poche decine di chilometri da Kabul, San Juan ha visto un'auto tornare indietro con a bordo solo l’autista locale. Quest’ultimo gridava “Fermatevi, scappate: uomini armati stanno sparando ai giornalisti”. A quel punto, tutti i veicoli hanno fatto inversione e si sono diretti verso Jalalabad. Secondo alcuni testimoni, i giornalisti, vittime dell’agguato, sarebbero stati costretti a scendere dall'auto e a salire su un’altura adiacente alla strada. I reporter si sarebbero rifiutati e i guerriglieri li avrebbero colpiti con delle pietre facendo riferimento ai Talebani: "Siamo ancora al potere e avremo la nostra rivincita". Subito dopo, avrebbero aperto il fuoco, uccidendo quattro persone: la giornalista del Corriere, Julio Fuentes, reporter di El Mundo, il cameraman australiano Harry Burton e il fotografo afghano Azizullah Haidari, entrambi dell'agenzia di stampa Reuters. Nel corpo di Maria Grazia Cutuli, sono stati trovati numerosi frammenti metallici: segno, che la donna è stata colpita da molti proiettili. Ma il colpo mortale, Maria Grazia, l’ha ricevuto alla schiena. Sono state rilevate anche tracce di ematomi, probabilmente dovute secondo gli esperti, alla caduta del corpo per terra. Questo è quanto emerge dall'esame del cadavere eseguito dai medici legali dell'Università La Sapienza incaricati di stabilire le cause della morte della giornalista. “Potrebbe essere stata un’esecuzione simbolica contro l'Occidente o una rapina…” dice Mario Cutuli, fratello Maria Grazia. L’uomo rivela infatti dei particolari inquietanti che potrebbero avvalorare le sue ipotesi. Per esempio, al giornalista spagnolo Julio Fuentes sembra sia stata amputata una mano, mentre a Maria Grazia, una parte del lobo dell'orecchio destro. Ma per ora il mistero rimane. La Cutuli si trovava in Afghanistan da circa un mese. Era una grande occasione professionale: lei, redattore semplice, era stata inserita nel gruppo degli inviati al fronte afghano. Negli ultimi giorni, aveva coperto la zona di Jalalabad con servizi sui covi di Al Qaeda distrutti dalle bombe americane. Insieme a Fuentes, aveva raccontato del ritrovamento di alcune fiale di sarin, il gas nervino usato qualche anno fa da un gruppo di terroristi nella metropolitana di Tokyo. La politica estera, l'Africa, il Medioriente e l'Afghanistan in particolare, erano le sue passioni. E proprio agli ‘Esteri’del quotidiano milanese era stata assunta, come redattrice, nel 1999, dopo una collaborazione di qualche anno. Anche perché, aveva acquisito esperienza in quel settore lavorando per un’organizzazione delle Nazioni Unite che si occupa di profughi. Siciliana di Catania, aveva iniziato la sua carriera nel 1986 nel più importante quotidiano della Sicilia orientale, La Sicilia. Poi era passata a Sud, un settimanale regionale che si occupava di tv, collegato all'emittente regionale televisiva Telecolor International, con cui aveva pure collaborato. Da qui il trasferimento a Milano per la scuola di giornalismo. Nel capoluogo lombardo aveva continuato la gavetta nel giornale Centocose. Da lì il salto di qualità ad Epoca ed infine al Corriere della Sera. Ma il sogno professionale di Maria Grazia era quello di diventare corrispondente da Harry Burton, Reuters Gerusalemme. Un sogno interrotto da proiettili senza nome nel desolato Afghanistan. Maria Grazia è morta facendo quello che amava, il giornalismo. Uccisa in uno dei paesi più martoriati del pianeta che però l’affascinavano, perché veri e lontani “dallo scolorito Julio Fuentes, El Mundo benessere del mondo occidentale”, come lo aveva definito molte volte. Il giornalismo è spesso fatto con superficialità, alla ricerca dello scoop, a volte con un sadismo che si compiace del dolore altrui. Ma c’è ancora qualcuno, come Maria FILE FILE Maria Grazia Cutuli, Corriere della Sera Aziz Haidari, fotografo della Reuters FILE F ILE Grazia Cutuli, che crede nella professione e la svolge con passione. È grazie a questi ‘combattenti della notizia’ che possiamo consideraci liberi di sapere, di leggere e di guardare tutte le guerre come fossero un film, quando in realtà c’è chi le vive, o meglio, c’è chi le muore. LA MISSIONE ITALIANA MARA PALERMO Bronx Journal Staff Reporter 'intervento italiano in Afghanistan è iniziato ufficialmente il 18 novembre. La prima unità del gruppo navale italiano a salpare per partecipare alle operazioni militari è stato il pattugliatore della Marina italiana "Aviere". Subito dopo l'hanno seguito la fregata Zeffiro, la nave rifornitrice Etna e la portaerei Garibaldi. In linea da sedici anni, la portaerei Garibaldi ha 825 uomini di equipaggio e può ospitare 16 velivoli. È dotata di otto missili superficie-superficie Teseo, due lanciatori per missili superficie-aria, tre sistemi antimissili-antiaerei, due lanciarazzi e due lanciasiluri. La fregata Zeffiro ha un equipaggio di 225 uomini ed è una delle unità più moderne della Marina militare. Nata come antisommergibile può intervenire anche in funzione contraerea e controsuperficie. L'Aviere invece è un pattugliatore con un equipaggio di 185 uomini. Infine l'Etna consente di supportare le operazioni di gruppi navali anche a se distanti dalle basi nazionali. In tutto, i soldati italiani impegnati in questa missione sono circa 1400. Per una missione che, secondo il Ministro della Difesa Antonio Martino, costerà all’Italia circa 100 miliardi di lire al mese. Marino, parlando di un eventuale impiego di truppe di terra, ha spiegato che l'Italia parteciperà alle operazioni di peace-keeping, ma non parteciperà a quelle di peace-enforcing, cioè di imposizione della pace tra le fazioni in lotta. "Quando ci sarà un accordo tra le fazioni - ha spiegato il ministro - la forza multinazionale potrà intervenire per il mantenimento della pace, ma fino a che questo non accade, non si tratta di peace-keeping bensì di peace-enforcing e su questo non sono del tutto favorevole perché si corre il rischio di diventare il bersaglio di entrambi i contendenti". Ma non saranno i soldati italiani a piantare la bandiera tricolore, visto che sono stati preceduti sul territorio afghano da altri nostri connazionali, presenti per altre ragioni. Infatti, i volontari delle varie associazioni umanitarie sono già in Afghanistan da tempo. Si tratta di individui impegnati a combattere un conflitto ancor più difficile di quello ufficiale, visto che i loro nemici non sono i Talebani ma i ben più temibili fame, freddo e povertà. Sono medici, ostetriche, pediatri, psicologi e volontari. Tra le tante associazioni che coordinano i volontari, la più nota, è forse la Croce Rossa che cerca di far fronte alla carente situazione medico-sanitaria. Ma da sempre in prima linea in situazioni drammatiche c’è Emergency, l’organizzazione del chirurgo Gino Strada che ha iniziato ad operare in Afghanistan subito dopo l’11 settembre. L'ospedale era stato inaugurato il 25 aprile, ma pochi giorni dopo, il 17 maggio, fu costretto a chiudere dopo un'incursione armata dei Talebani. Dalla metà di settembre, quando era chiaro che ci sarebbe stato un attacco militare in Afghanistan e quindi un disastro umanitario, Emergency è entrata in contatto con il ministro degli esteri afghano per poter riaprire la struttura umanitaria. Nei primi giorni di novembre è finalmente arrivata l'autorizzazione, pur senza alcuna garanzia di protezione. "A Kabul" dice Gino Strada, nelle interviste rilasciate ai quotidiani, "ci saranno 800 mila, un milione di persone, e il numero delle vittime è impressionante. La gente è allo stremo, la contraerea è incessante e i bambini non dormono più. Negli ospedali della città, tolto quello militare, mancano medicinali, cibo e personale. In questo momento l'ospedale di Emergency è il solo in grado di curare i civili bene e gratuitamente." In molti parlano del dramma umanitario che colpisce il popolo afghano, ma non si fa abbastanza. La raccolta dei fondi per le agenzie internazionali non sta andando bene. Secondo il Programma Alimentare Mondiale, 200 mila persone rischiano di morire di fame, e non si sa che fine farà il milione e mezzo di profughi che dall'inizio della guerra ha abbandonato le proprie abitazioni.