21.2 - Histmed.it

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MEDICINA NEI SECOLI
ARTE E SCIENZA
GIORNALE DI STORIA DELLA MEDICINA
JOURNAL OF HISTORY OF MEDICINE
Fondato da / Founded by Luigi Stroppiana
QUADRIMESTRALE / EVERY FOUR MONTHS
NUOVA SERIE / NEW SERIES
VOL. 21 - No 2
ANNO / YEAR 2009
MEDICINA NEI SECOLI ARTE E SCIENZA, 21/2 (2009) 477-501
Journal of History of Medicine
Articoli/Articles
IATROSOPHIA AND AN EIGHTEENTH - CENTURY
ONEIROKRITĒS IN THE NATIONAL LIBRARY OF GREECE
STEVEN M. OBERHELMAN
Texas A&M University, USA
SUMMARY
Medical dreams were not discussed by Greek popular dream interpreters,
but were the domain of physicians like Hippocrates, Galen, and Rufus of
Ephesus, or the followers of the healing god Asclepius. An exception is an
oneirokritēs (dreambook) in Codex 1350 of the National Library of Greece
in Athens. This eighteenth-century text reflects Ottoman Greek iatrosophia.
An iatrosophion, widely used in Byzantine and Ottoman Greece, was
a physician’s notebook of recipes and treatments or was the collective
compendium of classical and Byzantine medical and pharmacological texts
consulted in hospital settings. Some iatrosophia included medical cures and
drugs, but also spells, exorcisms, magic, astrology, and practical advice.
The writer of our oneirokritēs used such a magico-medical iatrosophion.
After interpreting a dream symbol, he often advises a prophylactic
(usually dietary) cure or treatment for restoring or maintaining health, or
recommends religious prayers and spells, or apotropaic magic.
In the National Library of Greece in Athens is a dreambook
(oneirokritēs) dating to the end of the Ottoman period of Greek
history1. The treatise is found on folia 86-103 of Codex 1350; the
codex is dated to the eighteenth century and contains 117 folia altogether, the other folia consisting of astrological extracts. The dreambook is attributed to a “Blasius of Athens,” a name not known elsewhere. Other than a strong Greek Orthodox faith, we can glean no
Key words: Dreams - Iatrosophia - magic
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MEDICINA NEI SECOLI ARTE E SCIENZA, 21/2 (2009) 503-530
Journal of History of Medicine
Articoli/Articles
LES RÊVES DANS LES SOURCES JUIVES ANCIENNES
SAMUEL S. KOTTEK
Hebrew University, Jérusalem
SUMMARY
DREAMS IN ANCIENT HEBREW SOURCES
As in many cultures dreams are, in Hebrew sources, the object of numerous
questions where are dreams from? Which is their function? Are they a
physical or metaphysical phenomenon?
The article analyzes the topic of nature of dreams in the Bible, with a
particolar attention devoted to the Joseph’s history. Talmudic text are, in
particular, rich in references.
Comme dans la plupart des civilisations, les rêves ont été, dans les
sources juives, le sujet d’un certain nombre de questions: d’où viennent-ils? Quelle est leur fonction? Que faut-il en croire? S’agit-il
d’un phénomène physique ou métaphysique?
Dans la Bible1, le mot h≥alom désigne le rêve; il y apparaît 60 fois et
le verbe ‘rêver’ apparaît 25 fois supplémentaires. Joseph peut être
considéré comme l’archétype du rêveur biblique, il est appelé par
ses frères “le maître des rêves” (heb. ba‘al ha-h≥alomot), celui qui
maîtrise les rêves (Gen. 37: 19).
On trouve également dans la Bible un nombre non négligeable de
visions nocturnes2, visions de sommation, de révélation, ou de d’annonce prophétique, qui ne sont pas présentées nommément comme
des rêves.
Key words: Bible – Talmud – Dreams – Hebrew Medicine
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MEDICINA NEI SECOLI ARTE E SCIENZA, 21/2 (2009) 531-549
Journal of History of Medicine
Articoli/Articles
TERTULLIANO E AGOSTINO
DUE APPROCCI AL SOGNO NEL CRISTIANESIMO ANTICO
ARMANDO GENOVESE
Pont. Univ. Urbaniana, Roma, I
SUMMARY
TERTULLIANUS AND AGOSTINUS. APPROACHES TO DREAMS IN THE
ANCIENT CHRISTIANITY
The author analyzes the nature and typologies of dreams in Tertullianus’
De anima and, briefly, in the work of Agostinus, two centuries later.
What are made dreams of? Are they autonomous productions of psyché
or phantasia, or rather messages sent by demons or God, according to
dreams’ bad or good intimate nature? Is there a relation between time of
the night and nature of the dreams? Moreover, is there a relation between
seasons and dreams? Does a specific relationship between food, regimen
and dreams exist? Which is the soul’s faculty able to generate dreams? Is
phantasia moved by some other deep and mysterious principle? Which are
the connections linking human physiology and dreams?
Introduzione
Vale la pena di ricordare immediatamente che parlare del tema del
sogno nel periodo patristico, cioè del pensiero cristiano dei primi
secoli, potrebbe metterci di fronte a un pericoloso anacronismo:
non solo si deve tener presente che le scienze riguardanti la psiche
hanno avuto enormi sviluppi nell’ultimo secolo, ma anche che nei
primi secoli c’erano cognizioni a questo proposito molto legate ai
vari impianti filosofici; va anche ricordato che nei primi secoli si
Key words: Dreams - Patristic - Tertullianus - Agostinus - History of Christianity
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MEDICINA NEI SECOLI ARTE E SCIENZA, 21/2 (2009) 551-572
Journal of History of Medicine
Articoli/Articles
SOGNANDO GLI ARCHETIPI*
JUNG, CURTIUS E I SEGNI DEI TEMPI
ELIO DE ANGELIS
Dipartimento di Medicina Sperimentale - Sezione di Storia della Medicina
Sapienza – Università di Roma, I
SUMMARY
DREAMING ARCHETYPES
The Jungian notion of archetype is compared with the one developed by
Ernst Curtius, also derived from Jung. Both notions are seen against the
background of modernity - that both authors identify with Nazism - thus
highlighting the ambiguity and potentiality embedded in Jung's original
thought, generally neglected in later developments.
Nel 1932 ho conosciuto profondi sconvolgimenti psichici, in cui si alternavano tensione produttiva e depressione profonda: allora ho scritto
Deutscher Geist in Gefahr, sono crollato e ho dovuto consultare Jung a
Zurigo. Era una crisi grave, in cui ho riconosciuto più tardi l’anticipazione
inconscia dell’orrore che sarebbe iniziato nel 1933; ma la guarigione è
venuta dalla crisi stessa: obbedendo ad una costrizione psichica, mi sono
sprofondato nello studio della letteratura medioevale. (…) Da un punto di
vista psichico, era un segnale di una polarizzazione sulla Roma æterna,
la quale agiva dentro di me come un archetipo nel senso junghiano del
termine, cioè come un simbolo caricato simultaneamente di un significato
e di molteplici energie1.
Chi scrive queste parole, il 22 dicembre 1945, è il grande filologo
romanzo Ernst Robert Curtius, che in una lettera al padre domeKey words: Jung – Curtius – Archetypes –Nazism - Modernity
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Elio De Angelis
nicano De Menasce ricostruisce il percorso che lo aveva condotto
a redigere Europäische Literatur und Lateinisches Mittelalter, di
imminente pubblicazione a quella data. Era questa la letteratura, nel
cui studio egli si era sprofondato: una accurata ricostruzione della
trasmissione culturale che, ininterrotta, univa la modernità europea
alle sue antiche radici classiche, attraversando il Medioevo; ma era
questa anche la terapia, con cui Curtius aveva superato il proprio
crescente malessere di fronte alla modernità, che egli aveva visto
affermarsi sempre più pericolosamente, incarnata nel nazismo2.
In Deutscher Geist in Gefahr, Curtius aveva diagnosticato il proprio
male, ed indicato le cause dell’angoscia, che lo avrebbe infine
condotto da Jung:
Oggi si vuole pensare solo secondo la categoria dello spazio, e si getta ai
margini - nell’Occidente - ciò che appartiene alla dimensione del tempo
storico: così si fa piazza pulita della nostra tradizione culturale3.
Già a quell’epoca, profondamente impressionato dalla lettura di
Seelenprobleme der Gegenwart di Jung4, Curtius designava quest’ultimo come il più sapiente conoscitore di anime del nostro tempo5,
e definiva l’Umanesimo - con terminologia già junghiana - quale
Fig. 1 - Moneta di Settimio Severo con il verso raffigurante Roma æterna.
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Sognando gli archetipi
entusiastica scoperta d’una amata immagine primordiale, se non
addirittura autoriconoscimento dello spirito moderno in una vita,
che dormiva nell’oscura profondità del sangue e che ora prende
coscienza della propria origine6. Dalla terapia proposta da Jung
sarebbe poi nata Europäische Literatur und Lateinisches Mittelalter,
in cui Curtius oppone allo sradicamento, caratteristico della modernità, un’ininterrotta continuità nella trasmissione di modelli culturali e di stilemi letterarî, dimostrata more philologico con esemplare
rigore. Questo percorso di Curtius - verso una sua peculiare concettualizzazione della dimensione archetipica - appare notevolmente
interessante per le similarità che presenta con quello dello stesso
Jung, che ad essa era parimenti stato condotto dall’incontro con la
fenomenologia onirica: i sogni premonitori dei suoi pazienti, naturalmente - che con la fine della Prima Guerra Mondiale sentivano
avvicinarsi la crisi epocale di Weimar7; ma, ancor prima, nel 1909,
il sogno da lui stesso fatto a bordo del piroscafo, sul quale viaggiava
alla volta degli Stati Uniti insieme a Freud:
Ecco il sogno. Ero in una casa sconosciuta, a due piani. Era “la mia casa”.
Mi trovavo al piano superiore, dove c’era una specie di salotto ammobiliato
con bei mobili antichi di stile rococò. Alle pareti erano appesi antichi quadri
di valore. Mi sorprendevo che questa dovesse essere la mia casa e pensavo:
“non è male”. Ma allora mi veniva in mente di non sapere che aspetto avesse
il piano inferiore. Scendevo le scale, e raggiungevo il piano terreno. Tutto
era molto più antico, e capivo che questa parte della casa doveva risalire
circa al XV o XVI secolo. L’arredamento era medievale, e i pavimenti erano
di mattoni rossi. Tutto era piuttosto buio. Andavo da una stanza all’altra,
pensando: “Ora veramente devo esplorare tutta la casa!” Giungevo dinanzi
a una pesante porta, e l’aprivo: scoprivo una scala di pietra che conduceva
in cantina. Scendevo, e mi trovavo in una stanza con un bel soffitto a volta,
eccezionalmente antica. Esaminando le pareti scoprivo, in mezzo ai comuni
blocchi di pietra, strati di mattoni e frammenti di mattoni contenuti nella
calcina: da questo mi rendevo conto che i muri risalivano all’epoca romana.
Ero più che mai interessato. Esaminavo anche il pavimento che era di lastre
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Elio De Angelis
di pietra, e su una notavo un anello: lo tiravo su, e la lastra di pietra si sollevava, rivelando un’altra scala, di stretti gradini di pietra, che portavano giù
in profondità. Scendevo anche questi scalini, e entravo in una bassa caverna
scavata nella roccia. Uno spesso strato di polvere ne copriva il pavimento,
e nella polvere erano sparpagliati ossa e cocci, come resti di una civiltà primitiva. Scoprivo due teschi umani, evidentemente di epoca remota e mezzo
distrutti. A questo punto il sogno finiva8.
A partire da questo suo sogno, Jung avrebbe poi sviluppato, come
è noto, il concetto di archetipo; e tuttavia, è proprio nell’ambito
del rapporto fra inconscio ed archetipo che sembra di scorgere una
discrepanza tra Jung e Curtius: infatti, quello della Roma æterna non
appare certo, malgrado tutte le assicurazioni di Curtius, un archetipo
nel senso junghiano del termine. E non si tratta qui della multiforme
origine del concetto di archetipo9, o del notevole debito contratto
da Jung, nel formularlo, con filologi e mitografi10; ancor meno è
questione di una sua eventuale validazione da parte dei genetisti,
posto che Jung ne dà una definizione interamente biologica11: a
rendere inutile e ridondante l’ipotesi di un’origine inconscia degli
archetipi è, invece, proprio l’esistenza di una loro trasmissione culturale, quale Curtius l’ha dimostrata. Si veda, ad esempio - nel capitolo
consacrato alla topica12 - la disamina della figura del puer senilis,
realizzata nel virgiliano puer maturior annis, o nel puer senex di
Claudiano: dopo aver sottolineato che i secoli della tarda Antichità
e dell’Antichità cristiana sono pieni di visioni, che spesso non
sono interpretabili se non come proiezioni dell’inconscio, Curtius
aggiunge che gli uomini di quel periodo di transizione incominciarono a considerare queste creature ideali come parte integrante
della propria esperienza vitale (Erlebnis); e ciò poté accadere solo
quando la visione autenticamente vissuta di quei personaggi ideali
era stata oramai fissata nella letteratura (…)13. Ora, Curtius non
esita a definire quello del puer senilis come un archetipo, precisando
anzi che esso è proprio un’immagine dell’inconscio collettivo, nel
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Sognando gli archetipi
senso descritto da Jung; ciò malgrado, appare evidente come egli
consideri necessaria alla sopravvivenza degli archetipi piuttosto una
mediazione artistico-letteraria che non, invece, la pretesa trasmissione inconscia postulata da Jung. In un altro caso ancora, vediamo
passare il mito delle Muse da Omero ed Esiodo a Cicerone, quindi
da Dante e Boccaccio a Spenser, e infine da Calderón e Gray a
Blake. Alle tappe di questa trasmissione, Curtius dedica un capitolo
intero14; proprio per questo, però, la trasmissione in sé - quand’anche
di archetipi nel senso descritto da Jung - appare come un fenomeno
culturale, che poco o nulla deve all’inconscio. Prendere in consideraione il punto di vista di Curtius permette dunque d’interrogarsi
fruttuosamente sul formarsi, dal sogno o altrimenti, del concetto
centrale della psicologia analitica: in altri termini, di verificare la
capacità della psicologia analitica - ma anche della psicoanalisi
freudiana - ad estendere le proprie teorie (e, ancor più, le proprie
pratiche) oltre il solipsismo delle nevrosi individuali, articolandosi
allo stato mentale delle collettività.
Mette conto ricordare che la nascita della psicologia collettiva - o,
come la si chiamava allora, della psicologia delle folle - fu praticamente contemporanea a quella della psicoanalisi: se i testi in cui
Janet e Freud teorizzano un inconscio individuale sono, rispettivamente, del 1891 e del 189315, quelli di Tarde, Sighele, Fournial,
Lebon e Durkheim, in cui si concettualizza l’esistenza di un soggetto
psichico di massa, appaiono a loro volta concentrati fra il 1890 ed
il 1895; però, per vedere le tematiche collettive finalmente sussunte
dalla psicoanalisi, bisognerà attendere il primo decennio del nuovo
secolo, quando la redazione di Totem und Tabu s’intreccerà a quella
di Wandlungen und Symbole der Libido: solo da lì in avanti, psicologia analitica e psicoanalisi cominceranno ad occuparsi di soggetti
psichici di massa, facendo allora del mito la controparte collettiva
dell’onirismo individuale. La filiazione è palese in Jung, che dai
sogni, proprî e dei proprî pazienti, è indotto ad introdurre il mito
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Elio De Angelis
nell’analisi; molto meno in Freud, che, pur accordandosi con Jung
sull’esistenza di un inconscio collettivo trasmesso per filogenesi, ci
vede solo una chiave ermeneutica supplementare, e da utilizzarsi
esclusivamente in caso di fallimento della Traumdeutung individuale. La questione essenziale è, ovviamente: fino a che punto
quest’apertura ad una dimensione collettiva risponde all’evoluzione
interna della psicoanalisi - e fino a che punto, invece, fa proprie le
problematiche della modernità, già affrontate dalla psicologia delle
folle? Nel 1916, infatti, Jung scriveva:
(…) la mancanza di unità con se stesso è una caratteristica dell’uomo civilizzato. (…) il rapido sviluppo delle città, con l’unilateralità della prestazione favorita dalla divisione straordinaria del lavoro, e l’aumento della
sicurezza esistenziale privano l’umanità di molte occasioni di scaricare le
proprie energie affettive. Il contadino, con la sua attività variata (la quale,
col suo contenuto simbolico, gli garantisce una soddisfazione inconscia,
che l’operaio della fabbrica e l’impiegato d’ufficio non conoscono e non
possono mai avere), la vita nella natura (…) – da tutto ciò noi, uomini di
città – noi, moderne macchine da lavoro –, siamo molto lontani (…). Le
persone si trascinano al lavoro (osservate le facce alle 7.30 di mattina nei
tram), l’uno fabbrica la sua rotella, l’altro scrive cose che non gli interessano (…). A queste fonti di insoddisfazione si aggiunga un ulteriore fattore
importante (…) la nostra morale sessuale contemporanea (…) viene privata dello sfondo su cui agire. (…) Quindi la nevrosi è (…) strettamente
legata al problema della nostra epoca e rappresenta (…) un tentativo fallito da parte dell’individuo di risolvere dentro di sé il problema generale16.
Ne deduceva che il conflitto apparentemente individuale del malato
rispecchiasse in realtà un conflitto generale del suo ambiente e del
suo tempo; ma malgrado queste interessanti premesse, una decina di
anni dopo - e proprio nel testo tanto apprezzato da Curtius! - Jung
rovesciava in senso biologico il proprio atteggiamento iniziale:
Il cervello con cui l’uomo nasce è il risultato dell’evoluzione di un’infinita serie di antenati, si costituisce compiutamente differenziato in ogni
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Sognando gli archetipi
embrione, e dà immancabilmente, quando entra in funzione, risultati già
prodottisi infinite volte nella serie degli antenati. L’intera struttura anatomica dell’uomo è un sistema ereditario, identico alla costituzione ancestrale, che immancabilmente funzionerà nella stessa maniera di prima. È
quindi minima la possibilità che si produca qualcosa di nuovo, sostanzialmente differente da quanto è stato prodotto in antico17.
Proprio in questa asserita impossibilità è dato individuare la causa
dell’occasione perduta - tanto dalla psicologia del profondo, quanto
dalla psicoanalisi - di decifrare quella modernità, cui infine entrambe
dovevano la propria origine. Ne vediamo un esempio concreto già in
Wandlungen und Symbole der Libido, laddove Jung interpreta la folla
(particolarmente quella numerosa e in movimento) e la città come
simboli, rispettivamente, della figura materna (una donna che custodisce dentro di sé gli abitanti come bambini)18 e di una grande agitazione dell’inconscio19; il mitico conquistatore della città sarebbe poi,
come già nella Traumdeutung freudiana, l’individuo eccezionale, il
portatore del segreto, che perciò stesso è contrapposto alla folla degli
ignoranti20. Edipo, ad esempio, conquista Tebe sposando Giocasta,
che ignora (ecco il segreto) di esserne la madre: infatti, conclude Jung,
colui che possiede (…) la città (…) è (…) unito alla madre21. Egli
sembra non riconoscere qui il motivo - inaugurato nel 1840 da The
Man of the Crowd di Poe, e ben diverso da quello della città pre-industriale - della moderna metropoli, brulicante di folle in perpetuo movimento e segretamente abitata da un individuo eccezionale e perverso,
i cui avatar andranno moltiplicandosi dalla metà del sec. XIX fino
agli anni venti e trenta del XX: dai Mystères de Paris, di Sue22, alla
ripresa, da parte di Meyrink23, del leggendario Golem praghese (che
lo stesso Jung conosce e cita)24; dal Fantômas dei polizieschi francesi25, fino all’inquietante figura dell’ebreo nerovestito, che Hitler26
incrocia a Vienna (da lui definita come la potente città). Ognuno vede
come la morfologia di questo nuovo mitologema corrisponda assai
poco a quella, evocata da Jung, della città tradizionale; tanto meno si
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Elio De Angelis
corrispondono i contenuti dei due miti, quello nuovo dando piuttosto
voce ad angosce assolutamente “inedite”, e proprie ad individui ormai
annullatisi nelle masse della nuova società industriale.
Osservazioni analoghe s’impongono anche per il mito di Giona. Jung27
dimostra ampiamente, con esempî tratti fin dalle mitologie africane,
la persistenza di una struttura mitica, che vede l’eroe uscir regolarmente vivo e vittorioso dalle fauci del mostro, che dapprima l’aveva
inghiottito. Il “drago-balena” varrebbe dunque come simbolo della
madre terrificante, che l’eroe deve sopraffare (cioè “sormontare”,
aufheben); viene però da chiedersi se Jung non abbia esteso indebitamente quest’unico senso. Vale ricordare che già gli apologeti cristiani
davano alla favola un tutt’altro senso: la salvezza di Giona avrebbe
infatti dovuto prefigurare quella di Gesù, che essi pretendevano risorto
dal sepolcro; e a Giona s’ispirò sicuramente anche Collodi28, quando
imbastì la storia di Pinocchio, vomitato vivo dalla balena.
Perfino in ambito psicoanalitico, il mito di Giona avrebbe potuto
ricevere una diversa lettura: dal 1924, infatti Das Trauma der
Geburt di Otto Rank ne consente un’interpretazione esplicitamente
Fig. 2 - Giona vomitato dalla balena (miniatura di Anonimo Avignonese. Bibbia
di Giovanni XXII?, sec. XIV?).
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Sognando gli archetipi
diretta contro la lettura anagogico-etica dei miti fatta da Jung, e pur nell’evocazione della figura della “madre terribile” - certo più
in linea con le tesi freudiane29; a noi, però, interessa maggiormente
una versione ancor più recente - quella dei Tempi moderni (1936) di
Chaplin. Qui Charlot, impazzito alla catena di montaggio, s’introduce nella macchina alla quale stava lavorando; ma essa, lungi dal
farlo a pezzi, l’accoglie benevolmente in sé, tanto che egli continua
a lavorare all’interno di essa e, novello Giona, ne esce infine vivo e
sano. Il senso appare chiaramente: Chaplin non mette in scena alcuna
“madre”, amorevole o terrificante che essa sia, sebbene l’alienazione
dell’uomo moderno, il quale in tanto può sussistere, in quanto accetti
di integrarsi alla “macchina” - e cioè al meccanismo sociale che,
inghiottendolo, gli assicura un’umbratile, disumana sopravvivenza.
In entrambe i casi succitati - la folla inghiottita dalla metropoli industriale, o dai macchinarî cui è adibita -, l’infinita diversità ed attualità dei contenuti manifesti risulta occultata da un contenuto latente,
Fig. 3 - Pinocchio e la balena (frontespizio di: C.
Collodi, Le avventure di Pinocchio, Firenze 1883).
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Elio De Angelis
postulato come sempre uguale; eppure lo stesso Jung, avendo
compreso che forme identiche veicolavano contenuti diversi secondo
le epoche, era giunto a proporre un rinnovamento “moderno” per gli
archetipi di natura religiosa:
Il simbolismo religioso va forse conservato (…), ma in gran parte va riempito
di nuovi contenuti, come è richiesto dallo stato attuale della vita culturale30.
A riprova degli slittamenti di senso, cui gli archetipi, pur rimanendo
formalmente immutati, van soggetti al mutar dell’epoca che li attualizza, Jung ricordava pure che
nella prima antichità, il matrimonio con la sorella (…) costituiva addirittura
un segno di distinzione, [mentre] questa forma del mito sarebbe impossibile
ai nostri giorni, poiché la coabitazione con la sorella sarebbe rimossa (…)31.
Fig. 4 - Charlot inghiottito dalla macchina (fotogramma da: Ch. Chaplin, The Modern
Times, 1936).
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Sognando gli archetipi
Con una tale “svalutazione” del contenuto latente a profitto di quello
manifesto, Jung applicava alla dimensione collettiva e archetipica
del mito quanto già aveva sostenuto a proposito del sogno individuale: nella propria autobiografia, infatti, ammette di non aver
mai potuto consentire con Freud che il sogno sia una “facciata”,
dietro la quale si nasconda il suo significato: un significato già
noto, ma malignamente, per così dire, sottratto alla coscienza32.
Egli precisa:
Già molto prima di incontrare Freud, avevo considerato l’inconscio - e i
sogni, che ne sono l’immediata espressione - come un processo naturale,
al quale non si può attribuire alcuna arbitrarietà e, soprattutto, alcuna
intenzione di mistificare33.
In tutto questo è certo da vedersi una normale estensione di quel
processo evolutivo che, come più sopra abbiamo visto, condusse
psicologia analitica e psicoanalisi a far proprie le problematiche,
ad esse dapprima estranee, della psicologia delle folle - e quindi, in
ultima istanza, della modernità. Si rilegga, in proposito, la lettera
di Burkhardt a Brenner sul mito di Faust, che Jung riproduce in una
nota di Wandlungen und Symbole der Libido:
Faust è (…) un vero e autentico mito, cioè una grande immagine primitiva,
nella quale ciascuno deve intuire a modo suo la propria essenza e il proprio destino. (…) Cosa avrebbero detto gli antichi Greci, se fra di essi e la
leggenda di Edipo si fosse intromesso un commentatore? Per la leggenda
di Edipo c’era, in ogni Greco, una fibra edipica, che chiedeva di essere
toccata senza intermediarî, e di continuare a vibrare a modo suo; e così è
per la nazione Tedesca ed il Faust34.
Jung avrebbe intanto potuto inferirne l’inanità di ogni interpretazione pre-confezionata e standardizzata; soprattutto, avrebbe dovuto
vedervi evidenziata la possibilità che si formassero pure dei miti
nuovi, in nulla debitori di archetipi preistorici. Tuttavia, quando
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Elio De Angelis
infine incontrerà realmente il risveglio degli archetipi, il suo atteggiamento apparirà molto meno moderno di quanto le premesse
avrebbero indotto ad attendersi.
Vi sarebbe intanto da chiedersi in che misura sia lecito parlare al
plurale di risveglio di archetipi, posto che l’esperienza di Jung
appare limitata al risveglio dei soli archetipi germanico-nordici:
sia pure a due riprese - poco prima del termine della Prima Guerra
Mondiale, e poi nel pieno della dittatura nazista -, è chiaro che Jung
parla di un solo ed unico fenomeno, di cui scorge le prime avvisaglie e registra poi l’evoluzione, pretendendo di annunziarne addirittura, sulla base della propria dottrina, i futuri sviluppi. In entrambi i
casi, il fenomeno appare conseguente a sconvolgimenti socio-politici, come Jung aveva d’altronde teorizzato; ma i testi in questione,
Über das Unbewusste35 e Wotan36, sono anche gli unici in cui egli
constati nella propria contemporaneità il risveglio di archetipi, la cui
esistenza appare altrimenti solo teorizzata sulla base di una interpretazione del passato mitico. In effetti, la concezione junghiana appare
razzialmente determinata:
Il cristianesimo ha scisso il barbaro germanico in una metà superiore
e una metà inferiore, rimuovendo la parte oscura e addomesticando la
parte superiore per adattarla alla civiltà; però la metà inferiore, oscura,
ancora attende la sua redenzione da un secondo processo di addomesticamento. Fino a quel momento essa rimarrà legata alle vestigia dell’età
preistorica, all’inconscio collettivo, che va soggetto ad una particolare
e sempre più forte riattivazione. Via via che la concezione cristiana del
mondo va perdendo di autorità, sentiamo che la “bionda bestia” si agita
sempre più minacciosamente nel suo carcere sotterraneo, pronta a balzare all’aperto ad ogni istante con conseguenze devastatrici. (…) questo
problema non sussiste per gli Ebrei: l’Ebreo (…) è gravemente carente
di quella qualità dell’uomo, che lo fissa alla terra e trae dal basso nuove
energie; [ma] questa qualità ctonia è presente in quantità pericolosa nei
popoli germanici: (…) gli europei ariani (…) forse cominciano ad accorgersene nell’attuale conflitto (…)37.
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Sognando gli archetipi
Questo spiega forse perché, anche in seguito, egli non abbia preso
posizione sulla rinascita dei miti di altri popoli: ad esempio, l’elaborazione di un mito dell’uomo nuovo in ambito culturale azteco, registrata da Artaud38 nel 1935, passa completamente inosservata da Jung,
che pure pubblica Wotan l’anno seguente. La massa sociologicamente
descrivibile d’una moderna metropoli industrializzata si è dunque
tramutata in una non meglio definita “razza” - o meglio, in un insieme
d’indefinibili “razze”, nelle quali va persa l’universalità (e, dunque, la
scientificità) del discorso della psicologia analitica. In conseguenza,
Jung giunge a formulazioni incontestabilmente razziste:
(…) la riduzione, secondo Freud e Adler, di ogni fatto psichico ai primitivi
desideri sessuali e all’istinto di potenza ha qualcosa in sé che risulta benefico e piacevole per l’Ebreo, in quanto è una forma di semplificazione: per
questa ragione, forse Freud è nel giusto quando chiude gli occhi dinanzi
alle mie obiezioni; ma queste dottrine specificamente ebraiche sono assolutamente insoddisfacenti per la mentalità germanica39.
Gli archetipi concettualizzati in Wotan saranno, più compiutamente,
tipi originarî, innati nell’inconscio di molte razze, (…) che esercitano su
di queste un’influenza diretta. (…) un archetipo (…), in qualità di fattore
psichico autonomo, produce effetti collettivi (…). Dove non è il singolo a
muoversi, ma la massa, (…) gli archetipi cominciano a operare40.
E ancora:
(…) crediamo di spiegare il mondo razionalmente in base ai fattori economici, politici e psicologici; [ma] il vecchio Wotan, col suo carattere abissale, inesauribile, spiega il nazionalsocialismo più di quanto lo facciano,
messi insieme, i predetti tre ragionevoli fattori41.
Eppure le angosce di Curtius avevano dimostrato a Jung che il nazismo
non era archetipico, ma moderno. Forse, anziché spiegare il nazismo
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Elio De Angelis
tramite Wotan, converrebbe spiegare Wotan (cioè, il ricorso al mitologico da parte di Jung - ma anche di Freud, e poi di Hitler, di Mussolini,
di Stalin e di altri ancora) basandosi proprio sui caratteri della modernità. Il discorso è meno peregrino di quanto potrebbe apparire di
primo acchito: esso spiega, fra l’altro, come Jung abbia potuto scrivere
che il dio nazionale ha assalito il cristianesimo su un ampio fronte,
sia che in Russia si chiami “scienza e tecnica”, in Italia “duce” e in
Germania (…) “Stato”42. L’incongruità, qui, è palese: quale archetipo
preistorico, quale mito classico si sarebbero mai risvegliati, secondo
Jung, nel caso del bolscevismo? Ma se il tratto caratteristico della
modernità sta in quella condensazione epocale - acutamente denunziata da Curtius, come s’è visto -, per la quale inizio e fine si risolvono
e si annullano nella “sincronicità”, allora si evidenzia che anche il
razzismo delle formulazioni di Jung (e di altri: si pensi al suo accenno
ad H. Chamberlain, sintomo sospetto del fatto che anche altrove [cioè,
fuori dalla Germania hitleriana] esistano dèi velati e dormienti)43 non è
un malaugurato errore di percorso, ma testimonia - come gli archetipi,
anche se in modo diverso da essi - di quella esigenza di “sincronicità”,
che è poi la cifra del moderno.
Fig. 5 - Wotan. Elmo di Vendel, Uppland
564
Sognando gli archetipi
A questo medesimo ambito si possono agevolmente ricondurre
formulazioni culturali, apparentemente lontane ed irrelate: ad
esempio, l’interesse manifestato da Simmel per la moda44 - o, prima
ancora, la concezione freudiana dell’inconscio come “sincronicità
superficiale”, quale può evincersi dagli scritti anteriori al soggiorno
romano45. Ciò spiega come mai Jung - che pure aveva consigliato, a
chi volesse imparare a conoscere l’anima umana, di abbandonare la
psicologia sperimentale, penetrando piuttosto nei cupi bar di periferia, i bordelli e le bische, (…) i saloni della società elegante, (…)
le assemblee socialiste, le chiese (…) e le estasi delle sette46 - potesse
interpretare quali effetti del risveglio di un presunto inconscio primitivo le “epidemie” di tango, il futurismo, il dadaismo e, in breve,
tutte le altre voghe ed eccentricità, che caratterizzavano la modernità47; ma, soprattutto, ciò rende conto della stupefacente similitudine esistente tra le modalità del ritorno degli archetipi nordicogermanici, annunziato da Jung nel 191848, e quelle di un possibile
risveglio della Germania, contro il quale Heine aveva messo in
guardia i Francesi già nel 1834:
Il filosofo della natura sarà tanto più temibile, in quanto entra in rapporto
con le forze primigenie della natura: può evocare le energie demoniache
dell’antico panteismo germanico, e si ridesta in lui quel piacere della
lotta, che noi ritroviamo negli antichi Tedeschi, e che si manifesta non per
distruggere o per vincere, ma per il puro gusto della lotta. Il cristianesimo
(…) ha in qualche modo temperato questo brutale piacere germanico, ma
non ha potuto distruggerlo; e se un giorno (…) la Croce andrà in pezzi,
si ridesterà la selvaggia ferocia degli antichi guerrieri, la insensata furia
guerresca di cui raccontano e cantano tanto i poeti nordici. (…) Gli antichi
dèi di pietra si risolleveranno allora dalle sparse macerie, si fregheranno
dagli occhi la polvere di millenni, e Thor con il gigantesco martello balzerà finalmente in piedi, a distruggere i duomi gotici49.
Per il ruolo attribuitogli da Heine, questo filosofo della natura ci
appare come l’antesignano, al tempo stesso, dell’antropologo
565
Elio De Angelis
razzista (incarnato, tra il sec. XIX ed il XX, da personaggi quale
Vacher de Lapouge, il conte de Gobineau e, in una certa misura, il
primo Boas)50 e dello psicologo delle folle ma anche dello psicoanalista e dello psicologo analitico, posto che in queste discipline
confluirono, come già si è visto, i temi della psicologia delle folle.
In effetti, tutti i personaggi citati appaiono riconducibili, con le loro
teorie, alle esigenze auto-rappresentative della modernità:
Quando, nel 1851, a Londra, ha luogo al Crystal Palace l’Esposizione
Mondiale, è come se si riassumessero in quello spazio segni di una contrazione temporale, che gli uomini (…) stavano imparando ad esperire
sul piano locale. (…) Vedere esposte tutte le epoche in un sol luogo rende
la misura di un passaggio e di un termine epocali (…) sembra di assistere,
sul piano della cultura materiale, alla verifica di quella legge della ricapitolazione, che le scienze della natura stanno cercando – e cercheranno
– di riscontrare (…) nella filogenesi dell’ Homo sapiens. (…) Forse, per
comprendere come mai nell’età della tecnica e della scienza trionfanti
(…) si avverta l’esigenza di fondare la storia nel mito, (…) occorre porsi
qualche domanda ulteriore circa la diffusa sensazione che questo secolo
ha di vivere in presenza di una straordinaria contrazione nel tempo51.
Ma questo tipo di atteggiamento sembra aver prodotto un allontanamento dal dato del problema piuttosto che contribuire a risolverlo:
in particolare, il percorso intrapreso da Jung (e da Freud, ovviamente) ha finito con l’accordare al dato manifesto un’importanza
solo transeunte, funzionale alla strutturazione di un dato secondario, che si pretende latente, e sul quale viene spostata l’attenzione.
Divenuto altro da sé, il dato manifesto si fa, così, segno: “segno
dei tempi”, appunto. Questo tipo di deviazione appare evidente in
Jung, laddove egli caratterizza la situazione psichica dell’umanità,
sul finire dell’era antica con un eccessivo attaccamento alla famiglia
ed una mancanza di controllo dei sentimenti incestuosi, compensati
dal terrore religioso e dai cerimoniali coatti del culto. Ora, di questa
situazione, che in un’ottica archetipica ci aspetteremmo di veder
566
Sognando gli archetipi
sempre riapparire immutata, Jung registra invece il mutamento, e
proprio ad opera della modernità:
Poiché l’antichità non aveva ancora riconosciuto nell’obbligo del lavoro e
nel lavoro obbligatorio una condizione sociale della massima importanza,
il lavoro degli schiavi era lavoro coatto, contropartita della altrettanto
infausta coazione libidica dei padroni. Soltanto l’obbligo al lavoro del singolo individuo era ciò che, a lungo andare, rese possibile il regolare “drenaggio” dell’inconscio, “allagato” da una persistente regressione della
libido. (…) Sotto questo aspetto, il rituale religioso appare in buona parte
come inattività organizzata e, allo stesso tempo, come stadio preliminare
del lavoro moderno52.
È davvero stupefacente che possa essergli sfuggito il parallelo con
la situazione a lui (e a noi) contemporanea, che vede il lavoro delle
masse sfruttato da una élite capitalista oziosa e parassitaria: da
Jung, date le premesse, ci si sarebbe aspettato di meglio. Nel 1946,
nel quadro delle Aufsätze zur Zeitgeschichte, egli avrebbe addirittura
ripubblicato Wotan - praticamente in contemporaneità con la pubblicazione di Europäische Literatur und Lateinisches Mittelalter di
Curtius, uscito appena l’anno prima. Entrambi i testi si proponevano
di contribuire alla comprensione della catastrofe, da cui l’umanità
era da poco uscita; e colpisce che, pur con tale finalità, Jung abbia
potuto riproporre immutato il vecchio articolo del 1936 - e, con esso
anche il proprio concetto di archetipo. Al lettore del 1946, alcuni
brani di Wotan dovettero certo apparire beffardi:
Se usiamo in modo conseguente il nostro modo di vedere, che riconosciamo
molto peculiare, dobbiamo concludere che Wotan non dovrebbe manifestare soltanto il suo carattere inquietante, prepotente e tempestoso, ma
anche l’altra faccia, del tutto diversa, estatica e mantica della sua natura.
Se questa conclusione fosse confermata, il nazionalsocialismo non avrebbe
certo l’ultima parola; ci sarebbero invece da aspettarsi negli anni o nei
decenni a venire cose che ancora non possiamo nemmeno immaginare53.
567
Elio De Angelis
Ora, sei anni prima che Jung pubblicasse Wotan, Rosenberg aveva
già sostenuto che
(...) storia non è sviluppo di un nulla in un qualcosa, (...) e nemmeno
trasformazione di un essere in un altro completamente diverso. Il primo
risveglio di un popolo razzialmente omogeneo (...) è già un punto d'arrivo
per sempre: quella prima, grande, mitica conquista non viene più “perfezionata” in nessun punto essenziale; semplicemente, invece, assume altre
forme. (…) Di Wotan è morta una forma (cioè Wotan, il più grande fra i
molti dèi che incarnavano una stirpe ancora ingenuamente dedita ai simboli della natura); ma, in quanto immagine eternamente rispecchiante le
forze primigenie dell'anima dell'uomo nordico, Wotan è altrettanto vivo
oggi di 5000 anni fa. In sé riunisce onore ed eroismo, creazione del canto
(cioè dell'arte), difesa del diritto e ricerca incessante della sapienza54
D’altronde, in quello stesso 1946, in cui Jung faceva ristampare il
suo Wotan, Rosenberg veniva impiccato a Norimberga.
Non vi è dunque dubbio che il concetto di archetipo sviluppato da
Curtius si fosse dimostrato più produttivo di quello elaborato da Jung
- non solo nel campo specifico, quello della filologia romanza, ma
soprattutto nell’interpretazione della modernità più recente. Forse
che parlare di archetipi preistorici era meno difficoltoso che impegnarsi in una critica radicale della società borghese? Se in Freud si
riscontra un limite del tutto analogo, è però anche da ricordare che
fu appunto l’esigenza di superare quel limite a produrre i varî tentativi - ad opera di Reich, di Marcuse ed altri ancora -, che vanno sotto
la generica definizione di freudo-marxismo. Ora, nulla di analogo
risulta esser mai stato tentato dai discepoli di Jung: in questo senso,
la psicologia analitica sembra veramente costituire un’occasione
perduta. Da qui soltanto potrà partire una rilettura attualizzante delle
teorie di Jung, che superi i limiti inerenti alla centralità assunta in
esse dal concetto di archetipo (si pensi solo ai lavori di Neumann e
di Hillman): sviluppare le più interessanti premesse di critica della
modernità, che Jung si limitò purtroppo ad abbozzare, sarà possibile
568
Sognando gli archetipi
solo ponendo finalmente tra parentesi un concetto, che non ha saputo
resistere alla “prova del fuoco” della Storia.
BIBLIOGRAFIA E NOTE
Salvo indicazione contraria, tutte le citazioni da opere non italiane sono state
tradotte dal mio amico, prof. Paolo Scopelliti, che qui tengo a ringraziare.
*
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
DE LAUDE S., Un libro, una prefazione e la lettera a un amico: E.R. Curtius
e Europäische Literatur und Lateinisches Mittelalter nel 1945. BERTOLO
F.M., CANETTIERI P., FUKSAS A.P, PULSIONI C. (a cura di), in: AA.VV.,
Anticomoderno: la filologia. Roma, Viella Libreria Editrice. 1997, pp. 51-61.
Curiosamente, Curtius non sembra aver mai reagito all’uso fascista del mito di
Roma æterna, che pure presentava tratti “junghiani”. In merito al senso fascista
della romanità, GIARDINA A. e VAUCHEZ A. Il mito di Roma – Da Carlo
Magno a Mussolina. Bari, Laterza. 2000, p. 239; notano che l’idea di Roma
avrebbe dovuto operare nella coscienza del popolo italiano in modo quasi
istintivo e in virtù di una trasmissione millenaria (…), che sempre era rinata
in virtù di una sua sotterranea e insopprimibile vitalità, (…) una forza ignota
e mistica collegando il passato al presente (…). Con l’espressione « mistero
di Roma » si indicava appunto la natura di un fenomeno straordinario (…)
soprattutto per le sue rinascite e per la sua durata, espressioni non già della
volontà dei singoli individui (…), ma di una vitalità quasi subliminare. L’avvio
della politica razziale avrebbe aggiunto a questo tema un risvolto biologico.
CURTIUS E.R., Deutscher Geist in Gefahr. Stuttgart-Berlin, Deutsche Verlags – anstalt. 1932, p. 42
JUNG C.G., Seelenprobleme der Gegenwart. 1931. VITA A., BOLLEA G.
(Trad. Di), Psicologia analitica e concezione del mondo. In: Opere, vol. 8,
Torino, Bollati Boringhieri, 1976, pp. 385– 408.
CURTIUS E.R., Deutscher Geist in Gefahr. Op. cit. nota 3, p.41
Ibidem, p. 107
D’altro canto, tali sogni premonitori non sono certo monopolio della psicologia analitica. Si veda, ad esempio: AROUIMI M., L’oniromancie poétique:
Ramuz, Jünger et Kafka. Di prossima pubblicazione negli Atti del Colloquio
Hypnos (Esthétique, littérature et inconscient en Europe - 1900/1949), Università di Lille, 19-21 marzo 2009.
569
Elio De Angelis
8.
9.
10.
11.
12.
13.
14.
15.
16.
17.
18.
19.
20.
21.
22.
23.
24.
JUNG C.G., Ricordi, sogni, riflessioni. RUSSO G. (Trad.), Milano, Rizzoli.
1992, pp. 200-201.
Già Curtius (Deutscher Geist in Gefahr. Op. cit. nota 3, p. 107) ne aveva
rilevato le tangenze con le Pathosformeln di Warburg.
Anche solo scorrendo Wandlungen und Symbole der Libido, s’incontreranno
la Deutsche Mythologie di Grimm, l’Indogermanische Wörterbuch di Fick,
la Nordhische Mythologie di Hermann, la Religion und Mythologie der alten
Ägypten del Brugsch e lo Zeitalter des Sonnengottes di Frobenius: nomi certo
grandissimi, ma che rimontano pur sempre alla prima metà del Novecento, o
addirittura alla seconda dell’Ottocento. Quanto poi alle annate delle Indogermanische Forschungen, esse sono ancora allineate sulla scuola delle Wörter
und Sachen: appare dunque evidente l’urgenza, se non di un aggiornamento,
almeno di una verifica delle fonti di Jung sulla scorta di lavori più recenti.
JUNG C.G., Psicologia analitica e concezione del mondo. Op. Cit. nota 4,
pp. 400-401.
CURTIUS E.R, Letteratura europea e Medio Evo latino. LUZZATTO A.
e CANDELA M. (Trad.), Firenze, La Nuova Italia. 1992, cap. v. (ed. or.:
Europäische Literatur und Lateinisches Mittelalter, Bern 1948).
Ibidem, pp. 118-119.
Ibidem, cap. xiii.
ELLENBERGER H.F., La scoperta dell’inconscio. Storia della psichiatria
dinamica. Torino, Bollati Boringhieri, 1976, vol. ii, p. 563.
JUNG C.G., La psicologia dei processi inconsci. (1917) Trad. M. Cucchiarelli, Roma, Newton Compton. 1989, pp. 26-29 (abbiamo leggermente modificato la traduzione).
JUNG C.G., Psicologia analitica e concezione del mondo. Op. cit. nota 4,
p. 399.
JUNG C.G., Wandlungen und Symbole der Libido. (1912) Trad. di G. Mancuso, La Libido Simboli e trasformazioni. Roma, Newton Compton. 2003,
p. 190.
JUNG C.G., La Libido. Op. cit. nota 18, p. 189.
Ibidem.
JUNG C.G., La Libido. Op. cit. nota 18, p.193
SUE E., Les Mystères de Paris. Il romanzo venne pubblicato a puntate sul
feuilleton del Journal des Débats,dal 19 giugno 1842 al 15 ottobre 1843.
MEYRINK G., Der Golem. Leipzig, Kurt Wolff, 1915.
JUNG C.G., La psicologia dei processi inconsci. Op. cit. nota 16, p. 82.
570
Sognando gli archetipi
25. Personaggio creato nel 1911 da M. Allain e P. Souvestre, protagonista di
molti romanzi e film polizieschi.
26. Mein Kampf. München, Max Amann, 19302, pp. 59-60.
27. JUNG C.G., La Libido. Op. cit. nota 18, p. 228.
28. Le avventure di Pinocchio (Storia di un burattino). Firenze 1883. Tre anni
prima, il racconto era stato pubblicato a puntate dal Giornale dei bambini.
29. RANK O., Das Trauma der Geburt. Leipzig, Wien, Zürich, Internazionaler
Psychoanalytischer Verlag, 1924, cap. viii.
30. JUNG C.G., La libido. Op. cit. nota 18, p. 211.
31. JUNG C.G., La libido. Op. cit. nota 18, p. 214.
32. JUNG C.G., Ricordi. Op. cit nota 8., p.203.
33. JUNG C.G., Ricordi. Op. cit. nota 8, p.204.
34. JUNG C.G., La Libido. Op. cit. nota 18, p. 31, n. 42. La lettera era originariamente apparsa nel Basler Jahrbuch del 1901. Nella prassi analitica, d’altronde, non è infrequente imbattersi in casi, in cui la valenza “archetipica”
dei simboli onirici appare smentita dall’interpretazione che di tali simboli
dà il sognatore stesso, fondandosi sul proprio vissuto e sul proprio sistema
di valori.
35. JUNG C.G., L’inconscio (1918). Trad. C. Calducci, La psicologia dell’inconscio. Roma, Newton Compton, 1989, pp. 133-160.
36. JUNG C.G., Wotan. (1936) Trad. E. Schanzer. In: Opere, vol. 10*, Torino,
Bollati Boringhieri, 1985, pp. 277-291.
37. JUNG C.G., L’inconscio. Op. cit. nota 35, pp. 144 –145 (abbiamo leggermente modificato la traduzione).
38. ARTAUD A. Vie et mort de Satan le feu. (1935) Paris, Arcanes, 1953, p. 53.
39. JUNG C.G., L’inconscio. Op. cit. nota 35, p. 146 (abbiamo leggermente
modificato la traduzione).
40. JUNG C.G., Wotan. Op. Cit.nota 36, pp. 286 e 288-289.
41. JUNG C.G., Wotan. Op. Cit. nota 36, p. 283
42. JUNG C.G., Wotan. Op. Cit. nota 36, p. 289.
43. JUNG C.G., Wotan. Op. Cit. nota 36, p. 285.
44. SIMMEL G., Zur Psychologie der Mode. Sociologische Studie. Die Zeit, 12
ottobre 1895.
45. FREUD S., Zum psychischen Mechanismus der Vergeßlichkeit. (1898). Trad.
di A. Campione. Meccanismo psichico della rimozione. In: Opere, vol. 2,
Torino, Bollati Boringhieri, 1989, pp.419-430; in merito si veda anche:
SCOPELLITI P., Profondeur, surface, transparence (Le surréalisme face à
l’œdipianisation de l’Europe). In: Atti del Colloquio Hypnos. Op. Cit. nota 7.
571
Elio De Angelis
46.
47.
48.
49.
50.
51.
52.
53.
54.
JUNG C.G., La psicologia dei processi inconsci. Op cit. nota 16, p. 16.
JUNG C.G., L’inconscio. Op cit. nota 35, p. 159.
Cfr. nota 35.
HEINE H., Per la storia della religione e della filosofia in Germania. In:
La Germania. Trad. P. Chiarini, Roma, Bulzomi. 1979, pp. 313-314 (ed. or.:
Pour l’histoire de la religion et de la philosophie. Revue des Deux Mondes,
1834).
In proposito, si veda: MAIELLO F., Gobineau l’oscuro. (Sul pensiero reazionario), Roma, Ei. Editori. 1999.
MAIELLO F., Gobineau l’oscuro. Op cit. nota 50, pp. 75 e 77 (corsivo mio)
JUNG C.G., La libido. Op. cit. nota 18, pp. 365-366.
JUNG C.G., Wotan. Op. cit.nota 36, p. 291.
ROSEMBERG A., Der Mythus des xx. Jahrhunderts. München, Hoheneichen. 1938, pp. 678-679 (ed. or.: 1930).
Correspondence shoul be addressed to:
Dipartimento di Medicina Sperimentale, Sezione di Storia della Medicina, Viale
Dell’Università, 34 - 00185 [email protected]
572
MEDICINA NEI SECOLI ARTE E SCIENZA, 21/2 (2009) 573-589
Journal of History of Medicine
Articoli/Articles
MAURO MANCIA: IL SOGNO TRA PSICOANALISI E
NEUROSCIENZE
VITO CAGLI
Sapienza Università di Roma, I
SUMMARY
MAURO MANCIA: THE DREAM BETWEEN PSYCHOANALYSIS AND
NEUROSCIENCES
“Dreaming, in any case, remains a mental activity and not a physiological
process, even though it springs from this process.”
This sentence of Mauro Mancia encapsulates the entire significance of his
studies on sleeping/dreaming. A totality of observations and reflections
grounded in neurophysiology and psychoanalysis which led him to study
and to “see” the two faces of a problem that has engaged man’s attention
since the remotest antiquity. Mancia has thus given us the resources to see
the dream—and not only the dream—with the marvelled eye of the artist
who seeks and finds a sense in things and at the same time with the cold
eye of the scientist who demands of things only their how and wherefore.
Il sogno è una seconda vita. Io non ho potuto varcare senza fremere le
porte d'avorio o di corno che ci separano dal mondo invisibile.
gerard de nerval, Aurelia
La citazione che abbiamo posto in esergo è stata ripresa da uno
degli ultimi scritti di Mauro Mancia: la prefazione alla traduzione
italiana di un libro di Laure Murat, La casa del dottor Blanche (Il
Key words: Dream – REM sleep – Non-REM sleep – Psychoanalysis
573
MEDICINA NEI SECOLI ARTE E SCIENZA, 21/2 (2009) 591-609
Journal of History of Medicine
Articoli/Articles
LA PSICOFISIOLOGIA DEI SOGNI DI SANTE DE SANCTIS1
GIOVANNI PIETRO LOMBARDO* RENATO FOSCHI**
*Psicologia Generale e Storia della Psicologia Clinica, “Sapienza” Università di Roma, I
**Storia della Psicologia e della Scienza, “Sapienza” Università di Roma, I
SUMMARY
THE SANTE DE SANCTIS’ PSYCHOPHYSIOLOGY OF DREAMS
Sante De Sanctis (1862–1935), a pioneer of psychology in Rome at the
end of the 19th century, applied methods from the expanding field of
experimental psychology to the study of dreams, which was considered one
of the leading ways to gain an understanding of normal and pathological
psychic life. The multi-faceted methodology that he adopted for the study of
an, until then, marginal phenomenon of the ‘new’ psychology, represented
an element of originality that also included the elaboration of a psychophysiological theory of dreams. Although the Italian psychologist’s work on
dreams was characterized by these important methodological changes, it
disappeared from the references of those who contributed to the foundation
of modern dreaming psychology after the Second World War.
Introduzione
Sante De Sanctis (1862-1935) è considerato uno dei “pilastri” della
psicologia italiana. Egli ha avuto un ruolo determinante nella fondazione e nell’affermazione della disciplina psicologica in Italia, fra la
fine del diciannovesimo e i primi del ventesimo secolo. Il suo contributo riguardò da una parte un progetto consapevole di creare un
nuovo statuto della scienza psicologica impostando a tutto campo la
ricerca scientifica sui principali fenomeni psichici, e dall’altra l’aver
Key words: Sante De Sanctis - History of Roman psychology - History of the
psychophysiology - Science of the dreaming
591
MEDICINA NEI SECOLI ARTE E SCIENZA, 21/2 (2009) 611-629
Journal of History of Medicine
Articoli/Articles
SOMNIUM AND VISIO IN THE DECAMERON
FABIO BONETTI
The Johns Hopkins University, U.S.A.
SUMMARY
The article focuses on dreams and visions in Boccaccio’s Decameron.
Starting with medieval dream categorization and interpretation, both
classical and popular influences are explored, showing how Boccaccio
combines them in an original perspective, in which the truthfulness of
dreams relies on the accuracy of their premonitions rather than their
factual or historical content.
A careful assessment of Lisabetta da Messina’s novella brings out
subtle psychological and moral nuances, through a dark but suggestive
symbolism, as the main character defies authority and ‘waters’ her lover’s
severed head with her tears, thus generating a figurative offspring in the
basilico plant.
A comparative analysis of Boccaccio’s novella on Nastagio degli Onesti and
Passavanti’s text dwells on the importance of supernatural references and
highlights a radical subversion of moral values. Boccaccio appears to depart
from tradition, as he ascribes worth to love and abandonment instead of
restraint, framing the concept of ‘superstition’ in a new, positive context.
Medieval sensibility drew a line between two experiences today
commonly referred to as dreams: visio and somnium. The origin and
nature of dreams and vision-related phenomena in the classical and
medieval mindset may be broadly divided in two categories: one
endogenous, the other exogenous. Endogenous phenomena depend
on a condition of the subject experiencing the dream, while exogKey words: Dreams – Somnium – Visio – Boccaccio - Decameron
611
MEDICINA NEI SECOLI ARTE E SCIENZA, 21/2 (2009) 631-661
Journal of History of Medicine
Articoli/Articles
SOGNO E MEDICINA NELL’ASCLEPIEO DI PERGAMO
SALVATORE NICOSIA
Facoltà di Lettere e Filosofia. Dipartimento Aglaia.
Studi greci, latini e musicali. Tradizione e modernità.
Università degli Studi di Palermo, I.
SUMMARY
DREAMS AND MEDICINE IN THE PERGAMUM ASKLEPIEION
The article discusses the main aspects of the onirical theraphy in Greek
theurgical medicine, practised, as well known, in Asklepius’ temples all
over Greek territories. Iamata, written sources and chronicles fournish
reliable testimonies of activities performed in the sacred structures, most of
which concerning the reading and interpretations of dreams. A privileged
witness of these practices is Aelius Aristides, in the Ieroi Logoi describing
the particular link connecting his psychological and metaphorical diseases
to the divine power of Asklepius, revealing his healing terrific capacities
mainly through therapeutic dreams.
Sogno e incubazione
Il fenomeno onirico si configura, presso le culture più disparate nel
tempo e nello spazio, come un’esperienza straordinaria. Nettamente
distinto dalla realtà nella sua scansione spazio-temporale, ma ad essa
in vario modo connesso, portatore di immagini e sensazioni ineffabili, elaborato in uno stato di allentamento della coscienza vigile,
non governabile dalla volontà del soggetto, capace di ‘simulare’
vividamente contatti con persone lontane o defunte, o addirittura con
la divinità, il sogno finisce inevitabilmente con l’assumere il valore
Key words: Dreams – Dreams - Theurgical medicine - Asklepios - Incubatio
631
MEDICINA NEI SECOLI ARTE E SCIENZA, 21/2 (2009) 663-691
Journal of History of Medicine
Articoli/Articles
SOGNI EROTICI E SEME FEMMINILE NELLA ANTICA
MEDICINA GRECA
VALERIA ANDÒ
Università di Palermo, I.
SUMMARY
FEMALE EROTIC DREAMS AND FEMALE SEED IN
ANCIENT GREEK MEDICINE
This paper analyses passages of the Hippocratic Corpus, of Aristotle
and Galen about oneirogmòs, spermatic emission during sleep,
referring specifically to women. Into the Hippocratic texts there is only
one gynaecological case among many cases about males: for them this
nocturnal emission is symptom of dangerous illness and De genitura gives
a causal explanation of such phaenomenon. Instead, in Aristotle and Galen
erotic dream is evidence for or against emission of female seed and female
contribution to generation. As the argument of Historia animalium book X
shows clear theoretical differences from that of De generatione animalium,
the topic of erotic dream also concerns issues of authenticity.
1. I testi ippocratici
Nel quarto libro del Perì diaites ippocratico, che costituisce la prima
trattazione medica delle valenze semiotiche, diagnostiche e prognostiche attribuite al sogno, nessuna precisazione viene mai fornita
rispetto al sesso dei sognatori, né tanto meno si allude mai a sogni
di pazienti donne. Sembra mancare dunque la focalizzazione della
specificità di genere dell’attività onirica, quasi che la differenza
femminile e i sogni delle donne non possano fornire alcun contriKey words: Greek medicine – Female erotic dreams – Female contribution to
generation
663
MEDICINA NEI SECOLI ARTE E SCIENZA, 21/2 (2009) 693-719
Journal of History of Medicine
Articoli/Articles
jOneiropovlo~ IN OMERO
CARLO BRILLANTE
Università di Siena. I.
SUMMARY
jOneiropovlo~ IN HOMER
In this essay I examine the figure of the homeric ojneiropovlo~, a term which
recurs in two passages of the Iliad(I 63; V 149). It has been explained
both with the meaning of “interpreter of dreams” and of “dreamer” using
his own gifts in favour of the community. This latter seems to be the most
ancient use of the word, as it results in the episode told in the first book of
the Iliad (crisis in the Greek army after the plague sent by Apollo). This use
has an interesting parallel in some functions of the Spartan ephors and, in
the second millennium, in the professional figure of the “dreamer” in the
nearby Hittite area. More doubtful is the meaning in the Iliad V 149, since,
in this case, there are no sufficient reasons to give the commonly attributed
meaning of “interpreter of dreams”. The analysis of the word, which is
undoubtedly linked to the epic tradition, also offers the occasion to linger
on some important homeric dreams (Agamemnon, Penelope) and on the
use of the same word in the Stories by Herodotus.
Nei poemi omerici i sogni svolgono un ruolo rilevante nel definire i
presupposti dell’azione, le circostanze peculiari degli episodi narrati,
quindi anche le motivazioni e la caratterizzazione dei personaggi, a
cominciare da quelli maggiori. Talvolta preannunciano eventi prossimi a realizzarsi (basti pensare al sogno di Penelope, che annuncia
il ritorno di Odisseo), talvolta contribuiscono a determinarli (come
Key words: Dreams - Dreamer – Homer – Iliad - Herodotus
693
MEDICINA NEI SECOLI ARTE E SCIENZA, 21/2 (2009) 721-736
Journal of History of Medicine
Articoli/Articles
INTRODUZIONE A UNO STUDIO SULLE
RAFFIGURAZIONI ARTISTICHE DEI SOGNI
SERGIO ROSSI
Sapienza - Università di Roma, I
SUMMARY
INTRODUCTION TO AN HISTORY OF DREAMS IN ART
The article traces a brief history “by images” of the representation of
dreams in art, from the Greek iamata to engravures, printings and paintings
of Early Modern Age. Particular attention is devoted to the representation
of alchemic processes in a printed image by Marcantonio Raimondi.
Quello della raffigurazione dei sogni nelle rappresentazioni artistiche
è, come ben si può immaginare, un tema affascinante ma vastissimo;
se poi si includono in esso anche le visioni mistiche dei profeti e dei
santi l’argomento diventa in effetti sterminato e in questa sede non
si può che tentare di darne qualche cenno introduttivo, in vista di un
suo ulteriore approfondimento.
Dato poi che questa è nello specifico una rivista di Storia della medicina non possiamo non iniziare dalla pratica dell’incubazione, cioè
quel processo magico-religioso attraverso il quale, già nell’antichità,
i pazienti venivano fatti dormire in un’area sacra, o adyton e dopo
un sogno, indotto probabilmente in modo artificiale, ottenevano una
guarigione miracolosa. Nell’antica Grecia, l’incubazione veniva
praticata dai membri dei culti di Asclepio e Anfiarao e le offerte
Key words: Dreams - Italian Painting - Reinassance - Iconography
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MEDICINA NEI SECOLI ARTE E SCIENZA, 21/2 (2009) 737-772
Journal of History of Medicine
Articoli/Articles
FANTASMA
L’IMMAGINE ONIRICA COME APPARENZA ILLUSORIA
NEL PENSIERO GRECO DEL SOGNO
WALTER CAVINI
Università degli Studi di Bologna, I
SUMMARY
ONIRIC IMAGES AS ILLUSORY APPEARANCES IN GREEK ANCIENT
THOUGHT
This essay traces the history of ‘oniric images’ as phantasmata in the
Greek ancient thought from Homer to Stoicism. The author will follow the
indications fournished by the concept of ‘oniric deceit’, i.e. phantasma as
illusory appearance hiding to the sleeper its own deceitful nature.
a[gan d∆ajlhqei~ ejnupnivwn fantasmavtwn
o[yei~
A. Th. 710-7111
Per ‘sogno’ si intende comunemente sia l’attività onirica (il sognare,
l’attività psichica che ha luogo durante il sonno) sia l’immagine onirica
(ciò che sogniamo, il “contenuto manifesto” del sogno). I due significati del termine risultano intimamente connessi nel pensiero greco,
dal momento che in greco antico (e moderno) l’attività onirica, il
sognare (ojneiropolei`n, ojneirwvssein), equivale, com’è noto, non a
fare o avere un sogno, ma a vedere un sogno (o[nar oj ejnuvpnion ijdei`n)2.
L’immagine onirica, a sua volta, può essere considerata esterna
all’attività psichica del dormiente (“sogno esterno” o oggettivo)
Key words: Phantasma - Dream - Oniric image - Greece
737
MEDICINA NEI SECOLI ARTE E SCIENZA, 21/2 (2009) 773-818
Journal of History of Medicine
Articoli/Articles
RÊVES ET MYTHES DE LA MODERNITÉ
PAOLO SCOPELLITI
Roma, I
SUMMARY
MODERNITY IN DREAMS AND MYTHS
The very presence of myths in psychoanalysis raises questions about their
scientific status: that leads to reconsider the whole issue of Freudian
mythology in a non-medical manner, by envisaging it in the more general
context of modern myths, both political and artistic. Special attention is
then paid to Surrealism, as the only avant-garde movement at the same
time focused on psychoanalysis and politics: the role played by dreams
in foundering myths is examined in both Surrealism and psychoanalysis.
Surrealistic myths, such as Dalí’s Grand Paranoïaque Comestible, finally
prove to be so non-œdipian as the Nazi Übermensch myth; nevertheless,
their comparison with Freudian mythology points out their common origin,
as they all fulfilled the need of the mass society for a modern myth, able to
express his deeply renewed self-awareness.
τολμήσεις Διòς a]ντα πελwvvριον e[γχος ajε‹ραι;
Hom., Il., xiii, 424.
Les hommes nouveaux
Au cœur même de l’œuvre de Freud, une fracture semble se dessiner,
qui sépare la partie la plus proprement clinique de la psychanalyse,
avec ses propres méthodes (associations induites et libres, interpréKey words: Psychoanalysis – Dream – Myth – Surrealism - Modernity
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