Annie Hall – A nervous romance A film by Woody Allen

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Annie Hall – A nervous romance A film by Woody Allen
Annie Hall – A nervous romance
A film by Woody Allen
Melanie Destro
IO E ANNIE
Io e Annie è un film del 1977 diretto e interpretato da Woody Allen.
Questa pellicola consacrò Woody Allen tra i migliori registi di sempre, vinse quattro Premi Oscar e venne
inserito dall’American Film Institute, nel 1988, nella lista dei migliori cento film statunitensi di sempre.
Il film narra le vicende del comico Alvy Singer (Woody Allen), che racconta la propria vita, a partire
dall’infanzia, per poi passare alla descrizione di alcune sue esperienze sentimentali, fino all’ultima relazione,
da poco finita, con Annie Hall (Diane Keaton).
La psicoanalisi
All’inizio del film Alvy Singer spiega come sia fondamentale per lui
esaminare la sua vita, così da poter comprendere la causa che ha determinato la
fine della sua relazione con Annie. Sin da subito è quindi evidente
l’importanza della psicoanalisi e, più in particolare, di Freud, sia per Alvy sia
per Woody Allen stesso, che è solito riproporre nella maggior parte delle sue
pellicole l’interesse per Freud.
Il trattamento psicoanalitico è un procedimento per la cura medica delle
malattie nervose, in cui il paziente parla al medico, gli racconta di esperienze
passate e di impressioni presenti, il medico ascolta e cerca di dare un indirizzo
ai pensieri del paziente, osservandone le reazioni.
Alvy, nato a Coney Island (Brooklyn, NYC) durante la Seconda Guerra
Mondiale, ammette di aver sofferto da bambino di “iperattività immaginativa”,
che lo ha portato a non distinguere la realtà dalla fantasia. Più volte, infatti, il
suo psicoanalista, gli dice che travia i ricordi dell’infanzia. I sogni e gli atti
mancati, infatti, altro non sono che manifestazioni camuffate dell’inconscio,
ovvero desideri inaccettabili per il soggetto, il quale, quindi, li censura. Ciò
che si ricorda e che si sogna, pertanto, è una forma elaborata di pensieri latenti
rimossi, ovvero vissuti come pericolosi per l’equilibrio dell’individuo e per
questo respinti nell’inconscio.
Salvador Dalì, Giraffa
Infuocata, 1937
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Salvador Dalì, Sogno causato dal volo
di un'ape intorno a una melagrana un
attimo prima del risveglio, 1944
Tali studi sui sogni e sulla psicoanalisi si sono rivelati fondamentali
anche per l’opera di Salvador Dalì, che considerava il sogno come
lo strumento più adatto per la ricostruzione dell’attività psichica
inconscia, tanto da sviluppare il cosiddetto metodo paranoicocritico, ovvero “un metodo spontaneo di conoscenza irrazionale,
basato sulla oggettivazione critica e interpretativa dei fenomeni del
delirio”. Il sogno costituisce la vita della psiche durante il sonno,
vita che ha certe somiglianze con quelle della veglia; il sogno,
pertanto, sembra essere uno stato intermedio tra sonno e veglia. Nel
Surrealismo, infatti, Ernst, Mirò, Magritte e Dalì, ci mostrano come,
accanto alla realtà quotidiana, costituita sia dal sonno che dal
sogno, esista una “surrealtà”, ovvero una realtà assoluta. Tale
movimento artistico è, quindi, un “automatismo psichico”, cioè un
processo automatico che si realizza senza il controllo della ragione
e fa sì che l’inconscio emerga e divenga operante anche mentre
siamo svegli. Cosi facendo viene raggiunta la “surrealtà”, in cui
veglia e sogno si compenetrano.
Il tempo
Uno dei quadri certamente più famosi del genio spagnolo, è La
persistenza della memoria, dove il tempo, inteso come razionale
successione di istanti meccanicamente determinati, viene messo in
crisi dalla memoria umana, anche a causa delle nuove scoperte
filosofiche di Bergson, ma anche fisico-matematiche, quali il
principio di indeterminazione di Heisenberg e la teoria della
relatività di Einstein. Lo stesso Alvy, infatti, ancora bambino,
afferma: “L’universo è tutto e si sta dilatando, scoppierà, quindi
tutto avrà fine; non ha senso fare i compiti”. A partire dalla giovane
età egli sembra infatti animato da una sorta di depressione, tanto che
per tutta la sua vita, uno dei temi che gli sarà più cari sarà proprio la
morte. Egli crede che la vita possa essere divisa in “orribile” e
Salvador Dalì, La persistenza della
“miserrima”: la prima accezione indica un caso limite, che riguarda
memoria, 1931
coloro che sono ciechi, storpi, per i quali vivere risulta
estremamente difficile; il secondo termine, invece, indica la vita vissuta da tutti gli altri individui, i quali
dovrebbero essere estremamente grati di poter vivere in questa condizione.
Anche nelle opere di Seneca, tra cui il dialogo De brevitate vitae e l’epistolario Epistulae morales ad
Lucilium, il continuo fluire del tempo e la precarietà delle cose umane sono temi fondamentali. Spesso, infatti,
il tempo viene paragonato allo scorrere del fiume, come già Eraclito aveva affermato con l’espressione πάντα
ῥεῖ (“tutto scorre”). Seneca, stoico, ritiene che la vita implichi necessariamente la morte, per cui, così
facendo, l’uomo ha la possibilità di interrogarsi sulla morte. Di fronte alla vita, secondo la dottrina stoica,
l’individuo deve cercare di rimane insensibile ai πάθη, e alle situazioni esterne, alle quali è possibile applicare
le due caratteristiche fondamentali per il filosofo stoico: l’ἀυτάρκεια (“autosufficienza”), cioè l’indipendenza
dal mondo esterno e l’ἀπάθεια (“assenza di emozioni”), ovvero la mancata dipendenza da se stessi. Annie dice
che Alvy è “come un’isola, autosufficiente”, da qui la sua incapacità di vivere la vita.
L’incapacità di vivere
La psicoanalisi si presenta come studio dei fenomeni della nevrosi, ovvero di un conflitto che avviene
nell’inconscio tra l’Io e l’Es. Il primo è la parte organizzata della personalità ed equilibra le altre due istanze
della psiche, ovvero l’Es - che è il polo pulsionale della personalità, per cui esso obbedisce solo ed
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esclusivamente al principio del piacere - e il Super-io, ovvero l’insieme delle proibizioni che sono state
instillate nell’individuo nei primi anni di vita. Qualora l’Es sia troppo forte e il Super-io troppo debole, o
viceversa, l’Io non riesce a gestire tali pulsioni, per cui si manifestano i primi sintomi nevrotici. Alvy presenta
quella che Freud definisce “nevrosi attuale”, generata dall’assenza o
dall’inadeguatezza del soddisfacimento sessuale. Egli, infatti, che sin da
bambino presentava una forte impulso sessuale, si trova ad avere dei
problemi sessuali con Annie, addossando la colpa proprio a quest’ultima, che
non dà particolare attenzione all’atto sessuale. All’inizio del film Alvy viene
rimproverato dai suoi compagni e dalla sua insegnante, per aver tentato di
baciare una sua compagna di classe, il che, tuttavia, è assolutamente normale,
in quanto i primi impulsi sessuali risalgono addirittura all’atto del poppare,
che provoca piacere all’infante, in quanto, pur essendo sazio del latte materno,
continua a chiedere il seno della madre, così da potersi addormentare
soddisfatto. In un primo momento il lattante, nella sua attività di “ciucciare”,
rinuncia a questo oggetto (il seno materno) e lo sostituisce con una parte del
proprio corpo. Mentre, però, la maggior parte dei bambini presenta, tra il sesto
e l’ottavo anno, un arresto e una recessione dello sviluppo sessuale (periodo di
“latenza”), Alvy afferma di non averlo mai avuto. Egli ha sempre avuto una
© Nerilicon,
notevole curiosità sessuale e considera il sesso come il più grande
CagleCartoons.com, Mexico
divertimento in cui non è presente il ridere. Annie, che da quando frequenta
City 2008
Alvy ha iniziato ad andare ad alcune sedute psicoanalitiche, sostiene che i suoi
problemi sessuali con gli uomini siano dovuti ad un’esperienza che la traumatizzò da bambina: l’aver visto i
suoi genitori fare l’amore. Freud fu tra i primi a credere che i traumi infantili avessero un ruolo prioritario
nella patogenesi di alcuni disturbi mentali. Freud stesso scrisse nel 1896: “ L’episodio di cui il soggetto ha
conservato il ricordo inconscio è un’esperienza precoce di rapporti sessuali, con conseguente irritazione degli
organi genitali, come conseguenza di un’aggressione sessuale effettuata da un’altra persona e inoltre il periodo
nel quale tale funesto avvenimento si è svolto è quello dell’infanzia […]. Grazie al cambiamento operato dalla
pubertà, il ricordo svilupperà una potenza che era del tutto assente nell’episodio originario: il ricordo agirà
come se fosse un episodio attuale. Si ha quindi, per così dire, l’azione postuma di un trauma sessuale” (S.
Freud, L’ereditarietà e l’etiologia delle nevrosi, 1896).
Annie cerca di superare questo suo problema fumando o assumendo
droghe come la marijuana, che la rilassano e che la estraniano. Freud, nella
sua opera Il disagio della civiltà (1929), fa notare come esistano sostanze
estranee al corpo la cui presenza nel sangue provochi delle sensazioni
piacevoli all’individuo, che, in questo modo, diventa incapace di
accogliere eventi spiacevoli. Alvy, tuttavia, non condivide la scelta di
Annie, in quanto non comprende il perché lei si debba “rilassare
artificialmente” per avere rapporti sessuali con lui, perché, così facendo, è
come se lui fosse “un comico che si prende una risata da un pubblico
drogato, il che non ha valore, perché quelli sono sempre allegri”.
Nonostante questa sua riflessione, egli non riesce a dissuadere Annie
dall’assumere allucinogeni.
Woody Allen interpreta quello che Italo Svevo definisce “inetto”, ovvero
inadatto e incapace di affrontare la vita. In particolare Alvy può essere
associato alla figura di Zeno Cosini di La coscienza di Zeno, per il quale
la malattia diviene un vero e proprio modo d’essere, che da fatto privato
Edvard Munch, L’urlo, 1893
matura fino a diventare un elemento universale, che “procede per crisi e
lisi ed ha giornalieri miglioramenti e peggioramenti”, solo che “a differenza delle altre malattie la vita è
sempre mortale”. Gli studi psicoanalitici di Freud, infatti, dimostrano che “quando la malattia perdura per
diverso tempo, finisce per comportarsi come un essere indipendente; manifesta una sorta di pulsione
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di autoconservazione, una specie di modus vivendi si stabilisce tra essa e le altre componenti della vita
psichica”. In particolare sia Zeno che Alvy si sentono in più occasioni dei disadattati rispetto alla vita,
sentimento che si acuisce nelle occasioni di contatto con i “sani”. Spesso, infatti, Zeno si interroga sulla
correttezza delle azioni da lui compiute e in questi casi la malattia provoca in lui un senso di colpa e disagio,
che pone sempre in dubbio le azioni che il personaggio si accinge a fare. Se, tuttavia, il malato inizia ad andare
in terapia, per cercare di “guarire” questi suoi problemi, può addirittura conoscere se stesso: entrambi, infatti,
sostengono che attraverso la terapia analitica si possa utilizzare la malattia come strumento di conoscenza,
tanto che Zeno dice “Solo noi malati sappiamo qualche cosa di noi stessi”.
La nevrosi della società industrializzata
Luigi Pirandello farà addirittura dire a Enrico IV nell’omonima opera “sono guarito, perché so perfettamente
di fare il pazzo”. Anche in tal caso, quindi, ci si trova davanti ad una scelta volontaria della follia/malattia
come rifugio dallo scorrere del tempo. La follia, infatti, diviene l’unica possibilità di aderire al movimento dei
flussi naturali, fino a confondersi con essi.
Secondo Pirandello l’uomo moderno è investito da una crisi di identità, che lo
spinge a mettere in discussione i principi tradizionali della realtà. Questi fondamenti
hanno, fino a questo momento, imposto all’uomo delle identità fittizie, delle
maschere. Il critico Adriano Tilgher fa una distinzione tra “vita” e “forma”: la prima
coincide con il fluire libero e incessante dell’esistenza, mentre la seconda è il
risultato dell’irrigidimento del flusso vitale (l’elan vital di Bergson) entro alcune
convenzioni. In certi momenti di follia, di intensa creazione o di attimi casuali, si
hanno quelle che James Joyce definisce “epifanie”, ovvero delle rivelazioni, che
consentono all’individuo di vedere il mondo sotto una nuova prospettiva. Questi
“personaggi”, che prima si trovavano ai margini dell’esistenza, costretti a sottostare
ai valori borghesi, cominciano a vedere la vita “dal di fuori” scoprendone gli
artifici, cogliendo la loro condizione di “maschere nude”, maschere, cioè, messe a
nudo, consapevoli degli inganni della società moderna. È questo il caso di Mattia
Pascal, che ha scelto consapevolmente di estraniarsi dalla vita, visibile anche
nell’aggiunta della particella “fu” davanti al suo nome originario. Il protagonista è
investito da una profonda crisi di identità, che ha come esito l’estraniazione totale
rispetto alla vita: Mattia vorrebbe vivere in armonia rispetto alla società circostante, Georg Grosz, I pilastri
della società, 1926
che, tuttavia, appare alienata, oltre che alienante. Risulta quindi evidente come gli
individui possano essere persone solo nel senso di maschere indossate a seconda delle situazioni in cui ci si
trova a stare e in base a chi si ha davanti; per cui, l’io arriva a scomparire del tutto, lasciando posto a
molteplici personalità.
Il desiderio di violare le convenzioni è ben visibile nelle opere Belli e Dannati
(1922) e Il grande Gatsby (1925) di F. Scott Fitzgerald. Il contesto in cui
sono narrate le vicende di questi romanzi, infatti, è quello dei “ruggenti anni
Venti”, ovvero gli anni immediatamente successivi al primo conflitto
mondiale, in cui l’atmosfera generale negli Stati Uniti era estremamente
positiva, disincantata. In tale periodo, infatti, vi fu un vero e proprio “boom
economico”, che determinò un notevole sviluppo dell’industria, in particolare
quella automobilistica (basti pensare alla Ford di Detroit). Caratterizzante in
questi anni fu anche la nascita di nuove mode, riguardanti la musica, la
letteratura e il cinema, tanto che quest’epoca è stata soprannominata “età del
jazz”. La società newyorkese dell’epoca era particolarmente disinibita, oltre
che materialista e cinica. Fitzgerald, infatti, in Belli e dannati, esamina le
figure di due personaggi bellissimi (Anthony Patch e Gloria Gilbert), che
basano la propria vita sulla ricchezza e sulla bellezza, tanto che, quando si
New York negli anni '20
vedono privati dell’eredità del nonno, cadono in uno stato depressivo e tedioso,
in quanto non possono più vivere nell’ozio.
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Un altro luogo destinato alla celebrazione della bellezza è stato sicuramente lo
Studio 54 di New York, ovvero il club più in voga degli anni’70, dove tra gli
ospiti abituali vi erano artisti, ballerini e scrittori come Truman Capote e Andy
Warhol. In questo locale tutto era concesso, in quanto lo scopo di coloro che si
recavano qui era di essere liberi da ogni convenzione sociale ed essi basavano
tutto sull’eccesso. I film, le polaroid e i dipinti
di Andy Warhol rappresentano lo sfarzo, ma
anche l’omologazione della società dell’epoca
dominata dal consumismo e dal desiderio di
apparire ( fu proprio lui, infatti, a dire “Nel
futuro ognuno sarà famoso al mondo per
quindici minuti”). Il suo studio, The Factory,
sembra voler riprodurre una Hollywood in
miniatura ed è proprio qui che realizza le sue
opere più famose, ma anche i suoi
Studio 54
cortometraggi. Egli, infatti, preferiva lavorare
alla Factory piuttosto che ad Hollywood, perché credeva che Hollywood non
fosse più produttrice di un vero e proprio spettacolo.
Warhol è certamente il rappresentate più famoso della Pop-Art, dove “pop” è
l’abbreviazione di “popular”, ovvero “popolare”, nel senso di arte di massa,
prodotta cioè in serie. I soggetti delle opere pop fanno parte della quotidianità
della società e sono noti e riconoscibili a tutti. L’artista tenta di manipolare i Billy Name, Andy Warhol at
soggetti trattati e lo fa ripetendoli in serie, alterandoli agendo sui colori o sulle the Silver Factory, 1966–67
forme, con il tentativo di provocare e ironizzare la caduta di valori del XX
secolo.
Lo stesso Alvy, profondamente legato alla sua città, New York, afferma che negli anni ’70 la città stia subendo
un’involuzione e che sia costituita da soli “comunisti, estremisti, pornografi”. Il suo analista, infatti, gli
consiglia di andare a Los Angeles, tuttavia lui si rifiuta, in quanto prova un notevole disgusto per la città
californiana, in quanto eccessivamente superficiale, tanto da definirla “paese dei balocchi”, dove “non c’è
neppure l’immondizia per strada, ma l’hanno trasferita nelle televisioni”. Quando, però, la sua relazione con
Annie volge al termine, dopo che lei si è trasferita a Los Angeles con un noto regista di Hollywood, decide di
andarci. Non appena arriva qui, però, egli sente di avere una nausea cronica, dovuta ad una crisi-nevrosi
“losangelesca”. Dopo aver ottenuto un incontro con Annie, Alvy cerca di convincere Annie a tornare a New
York, tuttavia lei si rifiuta, in quanto proprio qui a Los Angeles ha imparato a stare meglio con gli altri, a
godere della loro compagnia, mentre ormai New York è una città morente.
L’umorismo
Fondamentale in Io e Annie è, infine, l’umorismo, a cui Pirandello dedica un saggio. Egli distingue
l’umorismo dalla comicità: per “comico” si intende “l’avvertimento del contrario” e si ha quando l’individuo
avverte che la situazione che si presenta davanti a sé è l’opposto di ciò che dovrebbe essere, mentre per
“umorismo” egli considera “il sentimento del contrario”, determinato dal momento riflessivo, la cui
conseguente reazione è ambigua e dubbiosa.
Il primo autore a sostituire il comico con l'umorismo sulla scena teatrale, per quanto ne sappiamo, è stato
Menandro, esponente della Commedia Nèa, che, come il suo alter ego latino Terenzio, è ancora un autore
impegnato, anche se il suo impegno si esercita sul versante etico anziché su quello politico. Egli, scavalcando
del tutto la Commedia Mèse, imperniata sui "tipi" e sulla parodia del mito, tenta di recuperare il rapporto
paideutico con la pòlis che era stato tipico della Commedia Archàia di Aristofane; ma deve fare i conti con una
realtà sociale drammaticamente mutata: infatti non ha più di fronte il pubblico democratico e contadino del V
secolo a.C., chiamato a decidere la vita politica di Atene, bensì un pubblico di borghesi che hanno delegato la
Melanie Destro
IO E ANNIE
gestione della cosa pubblica ad un ceto di politici professionisti, e che
per andare a teatro devono - a differenza del pubblico del V secolo, che
usufruiva del cosiddetto theorikòn - pagarsi il biglietto di tasca propria,
per cui "pretendono" di essere intrattenuti e divertiti. Menandro, con un
atto di grande coraggio, rifiuta di farsi intrattenitore, sceglie di non far
ridere e di far riflettere, sia pure con un sorriso, sui mali sociali. Non è
un caso che il successo di Menandro (come quello di Terenzio) sia stato
piuttosto contrastato, ed in ogni caso nettamente inferiore a quello dei
commediografi coevi che "facevano ridere".
Più cruda, ed anche più comica, la vena satirica di Marziale, che
descrive i diversi tipi umani colti nei loro vizi e nei loro difetti non solo
caratteriali, ma anche fisici. La poesia di Marziale tenta di riprodurre la
vita in modo realistico, così da suscitare nei lettori una riflessione sulla
condizione morale della società del tempo.
Lo stesso Alvy, che è un comico, cerca di fare ridere le persone durante
le sue apparizioni televisive, ma nella realtà Woody Allen, sebbene
abbia scelto un comico come protagonista, non vuole suscitare il riso
Rafal Olbinski, Rehearsal for an
degli spettatori, bensì un sorriso, che è in grado di variare con notevole
Icon, 2001
abilità da una scena all’altra, divenendo dapprima amaro, poi spensierato e, talvolta, persino filosofico, cosa
che solo i grandi registi sanno fare.
Filmografia:
-
Io e Annie, Woody Allen, 1977
Bibliografia:
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Sigmund Freud, Vorlesungen zur Einfuhrung in die Psychoanalyse, 1915-1917; Neue Folge
der Vorlesungen zur Einfuhrung in die Psychoanalyse, 1932, trad. di Marilisa Tonin Dogana
ed Ermanno Sagittario, Introduzione alla psicoanalisi, Bollati Boringhieri, Torino 1969,
1978, 1983, 2010, 2012, 2014
Italo Svevo, La coscienza di Zeno, Oscar Mondadori, Milano 1985
Luigi Pirandello, Il fu Mattia Pascal, Oscar Mondadori, Milano 1988, 2015
Francis Scott Fitzgerald, The Beautiful and Damned, 1922, traduzione e postfazione di
Francesco Pacifico, prefazione di Sara Antonelli, Belli e Dannati, Roma 2011
Autori vari (a cura di Elio Grazioli), Riga 33-Andy Warhol, Marcos y Marcos, 2012.
Sitografia:
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-
Giuseppe Capograssi, Società Filosofica Italiana – Sezione di Sulmona "Giuseppe
Capograssi",
https://giuseppecapograssi.wordpress.com/2015/04/03/sigmund-freudopera-omnia-ita-1886-1938/, consultato il 15/06/2016
De Luise, Farinetti, Lezioni di storia della filosofia, Zanichelli editore 2010,
http://online.scuola.zanichelli.it/lezionifilosofia-files/volume-c/u5/U5L12_zanichelli_Freud.pdf, consultato il 15/06/2016.