Disuguaglianze di salute e cancro: nuovi modelli assistenziali
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Disuguaglianze di salute e cancro: nuovi modelli assistenziali
Università Politecnica delle Marche Facoltà di Medicina e Chirurgia Dottorato di ricerca in Epidemiologia e Sociologia delle disuguaglianze di salute IX Ciclo Disuguaglianze di salute e cancro: nuovi modelli assistenziali Relatore: Prof. Francesco Di Stanislao Tesi di dottorato di Simona Olivadoti Anno Accademico 2010 - 2011 Alla mia famiglia A chi mi ha sostenuto in questi anni Alle persone stupende che ho incontrato in questi tre anni A chi il “male” se l’è portato via Indice Introduzione Capitolo 1. pag. 1 6 Le disuguaglianze di salute 1.1. Le disuguaglianze di salute: approcci teorici pag. 1.2. Determinanti sociali di salute pag. 26 1.3. La relazione tra sociologia e medicina pag. 35 1.4. Approccio sociologico ed approccio 1.5. epidemiologico pag. 39 La malattia come fatto sociale pag. 42 Capitolo 2. La ricerca 2.1. Interrogativo di ricerca pag. 47 2.2. Le malattie croniche pag. 49 2.3. Disuguaglianze di salute e cancro pag. 58 2.4. Dati epidemiologici sul cancro pag. 65 2.5. Reti assistenziali regionali pag. 86 2.6. Vivere con una malattia cronica pag. 99 Capitolo 3. Modelli assistenziali 3.1. Le politiche pag. 105 3.2. Nuovi modelli di cura pag. 112 3.3. Il Chronic Care Model pag. 120 Conclusioni pag. 130 Riferimenti bibliografici pag. 134 Introduzione Un’ampia letteratura ha ormai dimostrato come la salute sia largamente influenzata da fattori esterni alla medicina e al sistema sanitario, quali sono appunto i determinanti sociali, ambientali, economici e comportamentali. Le principali dimensioni strutturali della salute sono individuabili nella distribuzione del reddito, nell’organizzazione del lavoro e nell’ambiente sociale. Il tema delle disuguaglianze di salute si colloca nell’intersezione di molteplici sfere e discipline, dalle scienze sociali a quelle mediche, dall’economia alla politica, fino agli aspetti morali e di etica dei diritti umani. La salute rappresenta un requisito fondamentale per la partecipazione alla vita sociale, politica ed economica. Dopo decenni di studio e di attuazione di un sistema sanitario tutti gli indicatori di salute confermano una forte associazione tra un cattivo stato di salute e condizioni di svantaggio sociale ed economico. 1 Nelle società postindustriali la salute acquista valenza sociale, prova ne è che si parla sempre più di promozione della salute nel contesto societario. Il secolo scorso è stato definito “l’epoca d’oro della biomedicina” per le conquiste e le speranze mediche. Il costante miglioramento dei trattamenti medici e il mutamento dei comportamenti salutari compartecipano a determinare i decrementi dei tassi di mortalità, di morbilità e gli incrementi progressivi dell’aspettativa di vita. A partire dalla metà del XX secolo la transizione epidemiologica e demografica hanno profondamente modificato lo scenario sociale della società. Le patologie prevalenti non sono più quelle infettive ma divengono quelle cronico – degenerative, sempre più diffuse nella popolazione, specie quella anziana. Nonostante tutti i progressi fatti dalla medicina, dimostrati proprio dall’aumento della vita media e dalla riduzione della mortalità infantile, ancora tante persone continuano a morire per fame, povertà, ignoranza, esclusione sociale e discriminazioni e per malattie che sono prevenibili e curabili. Da un lato gli indicatori di salute continuano a progredire, dall’altro si scopre quasi ovunque, sia nel confronto fra nazioni, sia al loro interno, una crescita continua delle differenze nella salute e nell’aspettativa di vita, secondo le classi, i generi, le etnie. Differenze nella mortalità e nella morbilità tra i gruppi socioeconomici sono state documentate fin dall’inizio del secolo. Le disuguaglianze nella salute riflettono disuguaglianze sociali nella società. Nonostante i vari tentativi fatti per arginare tale fenomeno, le disuguaglianze di salute sono sempre più in aumento. A livello mondiale, è ormai riconosciuto che la salute di tutti stia migliorando. Sono sempre meno le persone che muoiono per malattie infettive e sempre più sviluppano malattie croniche. L’aumento di fattori di rischio come stili di vita insalubri, alimentazione scorretta, inattività fisica, consumo di tabacco ed abuso di alcool ha portato ad uno sviluppo più precoce di malattie croniche negli ambienti sempre più urbanizzati, ma i sistemi sanitari non sono abbastanza preparati per gestire la 2 richiesta di cure e trattamenti. Spesso sono i più poveri che si trovano, insieme alle loro famiglie, a lottare contro i danni economici e sociali che una lunga malattia può provocare. Le malattie croniche possono portare il soggetto malato e la sua famiglia in una spirale negativa di indigenza (WHO, 2005). Le differenze nel rischio di contrarre un tumore sono presenti anche nei paesi sviluppati tra differenti gruppi di popolazione. Le condizioni sociali ed ambientali di alcune zone dei paesi industrializzati possono essere paragonabili a quelle esistenti nei paesi in via di sviluppo. In ogni caso, le disuguaglianze di salute non sono limitate agli appartenenti alle classe sociali inferiori, ma sono presenti in tutta la società. La cause dell’insorgenza del cancro all’interno di una popolazione possono essere studiati a vari livelli, inclusi i fattori socioeconomici, lo stile di vita e le alterazioni genetiche. Per esempio, fattori quali il fumo, può apparire come un’esposizione principalmente a livello individuale, in realtà, l’esposizione si può verificare a causa di una vasta gamma di fattori economici, sociali e politici. Per poter ottenere maggiori risultati è necessario agire a tutti i livelli possibili, come dimostra la storia della sanità pubblica, i cambiamenti a livello di popolazione sono più efficaci di quelli a livello individuale. In questo senso, un singolo fattore di rischio come il fumo può essere considerato come un sintomo secondario di elementi più profondi sottostanti della struttura economica e sociale della società (IARC, 1997). I dati (IARC, 1997) mostrano che, sia nei Paesi industrializzati che in quelli meno sviluppati, l’incidenza del cancro e la sopravvivenza sono legate allo status socio-economico. Questo può essere spiegato a causa dei diversi fattori di rischio, quali il fumo, la dieta, rischi lavorativi, comportamenti sessuali, ai quali gli appartenenti alle classe sociali inferiori sono maggiormente esposti. Il cancro è la più frequente causa di morte per le persone sotto i 64 anni, seguita dalle malattie cardiovascolari. Il cancro rimane una malattia da debellare come testimoniano ogni anno i circa dieci milioni di casi di tumore. 3 Accanto all’identificazione dei bisogni medico/clinici è importante porre attenzione alle esigenze relazionali e sociali, agli aspetti etici e alla biografia della persona malata. Per fare ulteriori, significativi progressi nella ricerca sul cancro è necessario un approccio interdisciplinare che integri lo studio della natura biologica del cancro e le sue applicazioni cliniche con le influenze sociali e comportamentali sulla malattia. La ricerca sul cancro è un esempio di come la complessità della scienza moderna richiede un investigazione su più discipline. Alla luce di tutto ciò, ci è sembrato utile ragionare e indagare la situazione attuale delle malattie croniche, in particolare i tumori, e l’associazione tra l’incidenza della malattia e le condizioni socio – economiche. Si è cominciato con un’attenta analisi della letteratura teorica in merito alle disuguaglianze di salute; in secondo luogo vista l’evidenza di un gradiente sociale di salute sono stati esaminati i principali studi che hanno affrontato il tema dei determinanti di salute. Le differenze sociali di mortalità e morbilità tra i diversi gruppi socioeconomici, di cui abbiamo ampie testimonianze statistiche, rappresentano un problema cogente. Attraverso tali studi si è cercato di dimostrare se le disuguaglianze di salute negli ultimi venti/trenta anni sono aumentate o diminuite e qual è la posizione del nostro Paese. Nella ricerca qui presentata, ci siamo concentrati sui nuovi modelli assistenziali, in particolare sul Chronic Care Model, elaborato e sperimentato inizialmente negli Stati Uniti, i cui principi generali sono ormai riconosciuti come fondamentali e che spingono verso un sistema nel quale il trattamento dei casi acuti è integrato dalla gestione proattiva della cronicità (stretto legame con la comunità; identificazione delle responsabilità delle cure sanitarie; sostegno ad un effettivo selfmanagement; pianificazione del programma di cura; decisioni supportate dall’evidenza; presenza di un sistema informativo clinico). Questo modello è rappresentativo del nuovo paradigma medico, cioè il passaggio da un approccio sull’attesa dell’evento acuto, ad un approccio proattivo, improntato al paradigma preventivo, 4 all’empowerment del paziente e della comunità e alla qualificazione del team assistenziale. Utilizzando le banche dati messe a disposizione dall’ISTAT, dall’AIRTUM e dall’OMS sono state effettuate delle analisi statistiche cercando di sintetizzare nel miglior modo possibile le cause di tale fenomeno. 5 Capitolo 1 Le disuguaglianze di salute 1.1. Le disuguaglianze di salute: approcci teorici Lo sviluppo di ogni nazione è fortemente correlato con la salute dei suoi abitanti, tale relazione è però ad influenza reciproca, nel senso che anche la salute, a sua volta, è influenzata dal reddito, tanto che il reddito diventa il principale determinante dell’incremento dell’aspettativa di vita. “Nessuna società in cui la maggioranza dei suoi membri sia povera e infelice potrà essere fiorente e felice” (Smith, 1975). Tutte le società sono caratterizzate da differenze di salute tra le persone, anche le più egualitarie. La questione su cui ci si interroga è se tali differenze sono casuali, biologiche, legate alla posizione di una persona nell’ambito della stratificazione sociale o causate dall’organizzazione della società. Assodato che l’ammalarsi dipende non solo dalla genetica e dalla casualità o dalle scelte individuali, ma anche e soprattutto dalla posizione sociale, dai comportamenti indotti, dalla qualità degli ambienti in cui si vive, dalle proprie ricchezze, tutto ciò è ovviamente ingiusto e non accettabile. 6 È anche ormai ampiamente confermato il ruolo giocato dal reddito. Sono le fasce della popolazione più povera che godono di peggiori condizioni di salute ed una minore aspettativa di vita e va aggiunto, che spesso, una malattia o un cattivo stato di salute può far precipitare in uno stato di povertà anche chi precedentemente non lo era. Le condizioni di deprivazione materiale spesso portano verso una deprivazione di salute ed una deprivazione relazionale che rende difficile la risalita nella scala sociale, si innesca così una spirale che non solo colpisce i diretti interessati, ma si trasmette tra le generazioni. Gli appartenenti alle classi sociali più basse sono più suscettibili alle malattie in quanto spesso vivono e lavorano in ambienti malsani, conducono uno stile di vita insalubre e ricorrono all’assistenza sanitaria in modo inadeguato. Come anche sottolineato dal Black Report, uno dei più importanti documenti sulle disuguaglianze di salute, i poveri hanno una speranza di vita inferiore rispetto ai ricchi, sono maggiormente soggetti al rischio di imbattersi nelle più diffuse patologie mortali e hanno maggiori probabilità di ammalarsi di patologie croniche (Black et al., 1980). Nel 1997 Richard Smith, direttore di una delle riviste mediche più autorevoli, il British Medical Journal, scriveva che la disponibilità di denaro è il fattore che, da solo, ha la più forte influenza sulla salute, perfino confrontato al fumo. Quando si parla di disuguaglianze di salute ci si riferisce alle differenze di stato di salute fra gruppi socioeconomici, definiti in base al reddito, l’occupazione o l’istruzione (Macintyre, 1997). Le disuguaglianze di salute sono il prodotto di un insieme di fattori strettamente correlati tra loro, quali istruzione, assistenza sanitaria, reddito, occupazione, tipologia dell’abitazione, situazione familiare, stili di vita (Comodo, Maciocco, 2006). Un ruolo fondamentale è rivestito dall’appartenenza ad una determinata classe sociale, come ben espresso da Costa e colleghi (1998) che appunto sostengono che la cosa più stupefacente delle disuguaglianze di salute è la loro regolarità nella scala sociale. A qualsiasi livello della scala sociale ci si ponga, il livello inferiore presenta un profilo epidemiologico più sfavorevole di quello 7 immediatamente superiore. Queste disuguaglianze si osservano su tutte le dimensioni della struttura demografica e sociale: a parità di età, il rischio di morire è più alto tra i meno istruiti, nelle classi sociali subordinate, tra i disoccupati, tra chi abita in case meno agiate e in quartieri degradati, tra chi vive solo o in situazioni familiari meno protette. Negli ultimi vent’anni le disuguaglianze di salute e nell’assistenza, storicamente presenti, sono terribilmente aumentate tanto da rappresentare uno dei più gravi scandali del nostro tempo (Maciocco, 2006) e sono una delle forme di disuguaglianza più ingiuste e non necessarie (Whitehead, 1990). La stessa Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo afferma che le differenze tra gli esseri umani, tipo il sesso, la razza o la religione, non devono costituire motivo di disparità di accesso alle opportunità di base, tra cui l’assistenza sanitaria. Si è definitivamente infranto il sogno di “una salute per tutti” e le ambiziose aspettative sulle condizioni di salute della popolazione. La società civile, quindi, con le sue norme e le sue politiche nega eguali opportunità ad individui appartenenti a gruppi diversi (Cattaneo, Tamburlini, 2006). Secondo Margaret Whitehead (1990) esistono delle caratteristiche distintive, che trasformano le semplici variazioni di stato di salute tra le persone in disuguaglianze di salute. La prima di queste caratteristiche riguarda la loro sistematicità, cioè tali differenze non si manifestano in modo casuale, ma si presentano con una distribuzione contraddistingue costante è la nella sistematica popolazione. differenza Infatti, tra ciò differenti che le gruppi socioeconomici, colpendo sempre di più le fasce più svantaggiate. La seconda caratteristica punta il dito sul ruolo della società, cioè le differenze nella salute sono generate dai processi sociali, la causa non va ricercata nei fattori biologici. Nessuna legge della natura stabilisce che i bambini delle famiglie povere hanno una probabilità doppia di morire rispetto ai bambini nati in famiglie ricche (Blane et al., 1993; Stefanini, Albonico, Maciocco, 2006). 8 Infine, la terza caratteristica che rende delle diversità di salute delle disuguaglianze di salute, è la loro perversità. Tali disuguaglianze sono ingiuste in quanto generate da ordinamenti sociali ingiusti, che offendono il comune senso di giustizia. Quasi tutte le popolazioni sono concorde sul fatto che tutti i bambini, indipendentemente dalla classe sociale di appartenenza, debbano avere le stesse chance di sopravvivenza. Quindi, è un’ingiustizia il fatto che le probabilità di sopravvivere siano determinate dal gruppo sociale di appartenenza. Le condizioni di salute delle popolazioni dell’Europa così come della maggior parte dei Paesi ricchi sono mediamente buone, soprattutto se comparate con la maggior parte dei paesi del resto del mondo (vedi Fig. 1). Questo non vuol dire che i Paesi del mondo occidentale siano esenti dal soffrire di disuguaglianze di salute. Le disuguaglianze tra i paesi ricchi e i paesi poveri sono sicuramente abissali basti pensare che la differenza nella speranza di vita alla nascita tra le donne del Giappone e le donne dello Zambia è di 86 anni contro 43; ma se ci sposta nella ricca Inghilterra si osservano simili differenze tra ricchi e poveri di una stessa città. Per esempio gli abitanti di un quartiere ricco di Glasgow hanno un’aspettativa di vita di 82 anni, mentre gli uomini di un quartiere povero della stessa città hanno un’aspettativa di vita di 54 anni (Macintyre, Macdonald, Ellaway, 2008). 9 Fig. 1. Aspettativa di vita – primi e ultimi 10 Paesi al mondo Fonte: WHO, 2004. Le disuguaglianze di salute, infatti, non sono solo a livello internazionale tra nord e sud del mondo, ma si verificano grosse disparità di salute anche all’interno delle nazioni ricche, come per esempio l’Italia. L’Italia è una delle nazioni con l’aspettativa di vita tra le più alte, ma questo che rappresenta uno degli indicatori di salute più importante, varia secondo le condizioni socioeconomiche individuali e le caratteristiche dell’area geografica in cui si vive (vedi Fig. 2). 10 Fig. 2. Aspettativa di vita alla nascita maschi-femmine 84 84,73 84,09 82,9 82,87 83,75 84,17 84,62 84,62 84,14 84,8 85,17 Femmine 84,59 84,37 84,04 84,27 84,63 85,05 85,01 84,31 83,97 83,97 86 85,05 Maschi 78 78,02 78,14 78,82 78,39 79,17 77,42 78,55 78,55 78,69 79,49 79,58 79,29 78,86 78,31 78,91 78,91 78,91 79,37 79,11 78,72 78,3 80 78,3 82 76 74 Fonte: ISTAT, 2007. La differenza di circa 5 anni di vita a favore del sesso femminile è attribuibile ai minori livelli di mortalità delle donne alle varie età e per la maggior parte delle cause di morte. Sono soprattutto i tumori maligni, le malattie cardiovascolari e le cause accidentali i maggiori responsabili del divario tra i due sessi. Il gradiente Nord-Sud Italia al netto di tutti gli effetti composizionali e contestuali considerati è visibile soprattutto nella percezione di cattiva salute e nella morbosità cronica (Costa, Spadea, Cardano, 2004). Per quanto riguarda l’ambiente nel quale si vive e si lavora, l’associazione con lo stato di salute è storicamente conosciuta. Basti ricordare l’immane e dettagliato lavoro di Friedrich Engels sulla classe operaia nella seconda metà dell’Ottocento in Inghilterra. Nel suo lavoro, 11 Sardegna Sicilia Calabria Basilicata Puglia Campania Molise Abruzzo Lazio Marche Umbria Toscana Emilia-Romagna Liguria Friuli Venezia Giulia Veneto Trento Bolzano Trentino -Altoa Adige Lombardia Valle D'Aosta Piemonte 72 Engels diede molto spazio alle condizioni di vita del proletariato inglese approfondendo in particolare le condizioni abitative, la struttura dei quartieri, l’alimentazione, il vestiario e i ritmi di lavoro. Descrivendo lo stile di vita, Engels riuscì a fornire una descrizione ben dettagliata delle malattie di cui soffrivano e delle cause di morte. Lo studio di Engels è solo un esempio, forse il più noto, dell’importanza data alle ricerche sullo stato di salute e all’associazione con l’ambiente sociale, anche in tempi non recenti. Segnaliamo tra i primi Rudolf Virchow, che fu un medico sociale negli anni dei moti rivoluzionari in Germania. Virchow sviluppò nel suo lavoro la convinzione che le condizioni di salute fossero correlate con le condizioni sociali e che era inutile curare solo l’individuo senza prestare attenzione all’ambiente in cui viveva. Fu anche promotore della riforma sanitaria. Sempre nell’Ottocento, abbiamo altri grandi studiosi che si sono occupati della questione. Villarmé, a Parigi, analizza i tassi di mortalità collegati con le condizioni socioeconomiche dei deceduti; nel 1837 in Inghilterra, il Sovrintendente alle Statistiche, William Farr istituisce per la prima volta un registro di mortalità nel quale veniva dettagliatamente compilata la causa di morte e registrata anche la classe sociale di appartenenza. Da allora l’Inghilterra si è distinta per la precisione e l’accuratezza con cui ha sempre registrato le disuguaglianze di salute. Sempre in Inghilterra, dopo la pubblicazione del Public Health Act del 1875, ogni Amministrazione Locale è obbligata ad essere responsabile della salute della propria comunità e delle condizioni sanitarie generali. Sociologicamente, uno dei primi studi in merito è quello di Faris e Dunham (1939) della Scuola di Chicago, che dimostrò con grande efficacia l’esistenza di una correlazione tra determinate condizioni di vita e dell’ambiente e l’insorgere delle malattie psichiche. Un ruolo fondamentale è rivestito dal “gradiente sociale nella salute” che sottolinea come le differenze nello stato di salute sono dovute alle differenze socioeconomiche. In letteratura (Marmot, 2006) è ampiamente dimostrato come la salute segua un gradiente sociale, cioè più alta è la posizione sociale, migliore è la salute. Quindi, per comprendere le cause di questo 12 gradiente dobbiamo esaminare le circostanze nelle quali le persone vivono e lavorano. In pratica il gradiente sociale è la connessione tra posizione sociale e livello di salute – malattia e riflette lo svantaggio materiale, gli effetti dell’insicurezza e la mancanza di integrazione sociale. Numerose ricerche (Costa, Spadea, Cardano, 2004) condotte in Italia, hanno dimostrato che anche nel nostro Paese è presente un marcato gradiente sociale correlato alla salute. E’ stata dimostrata una maggiore incidenza e mortalità per un’ampia varietà di patologie, in corrispondenza di una minore scolarità, classe occupazionale inferiore e abitazioni scadenti. Mentre, l’associazione malattie - classe sociali benestanti è limitata a poche patologie, per esempio le allergie. Diversi sono i meccanismi che si attuano ed interagiscono tra di loro e che possono essere all’origine delle disuguaglianze o almeno darne una spiegazione. Sono stati svolti molteplici studi che hanno avvallato una spiegazione piuttosto che un’altra, fattori spesso contraddittori; diventa così impossibile stabilire la predominanza di un’ipotesi sulle altre. Una prima spiegazione riconduce la presenza delle disuguaglianze di salute a differenze genetiche, infatti, le dotazioni genetiche possono contribuire alle differenze nella speranza di vita. L’idea di fondo è che le caratteristiche congenite dell’individuo influenzano la posizione sociale e le condizioni di salute, sia direttamente che indirettamente. Tale spiegazione però, risulta poco attendibile se analizzata in relazione alla “transizione epidemiologica”. Quest’ultima indica un cambiamento nelle cause principali di mortalità: dalle malattie infettive alle malattie croniche e cardiovascolari. Malattie legate agli stili di vita difficilmente conciliabili con un determinismo genetico. Sullo stesso filone si colloca l’approccio dell’“health selection effect”. Secondo quest’ipotesi lo stato di salute di ogni persona è solo in minima parte determinato dalle condizioni economiche e sociali, in maggioranza dipende dal capitale biologico, che può condizionare l’accesso alle diverse posizioni sociali. Gli studi che si sono concentrati su questo filone, hanno però dovuto ammettere che, il suo impatto sulle disuguaglianze di salute è sostanzialmente modesto. 13 Un altro filone, ben sviluppato da ampi studi, è quello degli stili di vita, con la diversa propensione ad adottare comportamenti e attività dannose per la salute. Tali comportamenti, fumo, alcool, mancanza di attività fisica, alimentazione scorretta, sono individuati come fattori di rischio individuali. Quest’approccio però, se interpretato in modo riduttivo rischia di colpevolizzare la persona, cosiddetto approccio “victim blaming”, si dà infatti per scontata la totale libertà di scegliere comportamenti a rischio, senza considerare che per molte abitudini, come l’esposizione ai rischi professionali, i margini di libera scelta individuale tendono ad annullarsi. I comportamenti a rischio spesso sono influenzati dalla cultura del gruppo di appartenenza, tanto da divenire normali (Blaxter, 1990). Inoltre, molti dei più diffusi comportamenti insalubri, come il consumo di “comforting food” possono essere la risposta a condizioni di stress cronico (Costa, Spadea, Cardano, 2004). Bisogna, a tal proposito, ricordare che esperienze di stress cronico possono innescare dei processi patologici già sviluppati in nuce nel soggetto. Gli stili di vita hanno un impatto sulla salute differito nel tempo e segnalano il diverso rapporto con il rischio in differenti gruppi sociali (Vannoni, 2004). La prospettiva del “corso di vita” considera responsabile del patrimonio di salute la posizione sociale occupata durante tutta l’esistenza. Ogni esperienza vissuta dal soggetto resterebbe incisa nella fisiologia e nella patologia del suo corpo. Il punto centrale di tale teoria è che, l’ambiente nel quale si cresce può avere effetti sullo sviluppo biologico individuale e che le opportunità sia positive che negative possono concentrarsi trasversalmente e accumularsi longitudinalmente (Costa, Spadea, Cardano, 2004). In pratica, ogni tipo di esposizione si accumula lungo tutto il corso della vita. Le disuguaglianze nella salute nella storia personale di una persona possono nascere molto presto, infatti, secondo la teoria della programmazione biologica (Barker, 1994), già durante la gravidanza si possono verificare disuguaglianze dovute alle scadenti condizioni di vita e di salute della madre. Ciò si ripercuoterebbe sul nascituro con effetti 14 verificabili sia al momento della nascita, con basso peso e maggiore mortalità infantile, sia in età adulta, con un aumento di malattie respiratorie, cardiocircolatorie e metaboliche. I primi anni di vita, oltre che dalla programmazione biologica, sono influenzati dalla programmazione sociale, secondo cui gli svantaggi sociali tendono ad accumularsi a partire dall’infanzia per poi proseguire nell’adolescenza e nell’età adulta (Wadsworth, 1999). È nella fase dell’infanzia che si sviluppano la capacità e le opportunità per affrontare le difficoltà della vita e le conseguenze negative, sono anche questi gli anni in cui si attuano e si consolidano comportamenti pericolosi per la salute, come il fumo, l’alcool e il consumo di sostanze stupefacenti. Secondo tale approccio, è nelle condizioni di vita dei primi anni che si possono sviluppare importanti mediatori eziopatogenetici. Le cause le si possono ritrovare sia nei fattori materiali che in quelli psicosociali. Quelli materiali influiscono in quanto condizionano aspetti quali l’igiene e la sicurezza; quelli psicosociali condizionano la salute attraverso un rinforzo della presenza di stili di vita dannosi. La prospettiva del corso di vita, che include l’interazione di processi biologici e sociali, che si susseguono nel corso di tutta la vita, offre numerosi spunti di ricerca verso l’individuazione delle caratteristiche biosociali (Spadea, Cois, 2004). Va però precisato che non è un singolo momento o stadio della vita di una persona ad avere una maggiore influenzare sulla salute, ma è più corretto parlare di catene di rischio biologiche e sociali. In tutte le ricerche epidemiologiche focalizzate ad individuare un’associazione tra corso di vita e salute, sono emerse significative associazioni, indipendentemente dalla metodologia utilizzata. Quindi, non è un solo fattore che è dominante e condiziona la salute, ma una serie di condizioni che influiscono sulla vulnerabilità dell’individuo, accumulandosi progressivamente in più svantaggi a lungo termine. Un’altra delle spiegazioni delle disuguaglianze di salute, esterna al soggetto, può essere ricondotta alla variabilità all’accesso ai servizi. Le persone appartenenti a fasce di popolazione svantaggiata accedono a un 15 sistema di prestazioni sanitarie molto spesso intempestive, di qualità scadente, ripetitive, inappropriate e scarsamente efficaci. In particolare, sono più esposte a iperconsumo di prestazioni inefficaci e inappropriate quando non addirittura dannose - e sono meno capaci di accedere ai servizi necessari, soprattutto a interventi di alta complessità, per rimediare a condizioni di salute peggiori; o ancora, nei loro confronti vengono effettuate scelte discriminatorie che non trovano giustificazione in termini di evidenze. Le ricerche hanno però dimostrato che, l’impatto di questo fattore non sembra superare il 20% sul totale dei risultati di salute. Infine, un’ultima argomentazione, sempre esterna al soggetto, riguarda il contesto, cioè l’ambiente di vita circostante, che include le caratteristiche fisiche, ecologiche, infrastrutturali e socioeconomiche (Nuvolati, Tognetti Bordogna, 2008). Tali caratteristiche si sommano a quelle dell’individuo e ne amplificano l’effetto. Tale ipotesi, sul piano metodologico, con l’elaborazione di indici di deprivazione su base territoriale si è dimostrata efficace nell’analisi delle disuguaglianze di salute (Marinacci, 2004). Sempre sull’importanza data all’ambiente geografico, si sono concentrati gli studi di Sally Macintyre (2002). La sociologa scozzese ha individuato tre tipi di effetti dell’ambiente: composizionali, derivanti dall’aggregazione di fattori individuali; contestuali, dovuti alle caratteristiche dell’ambiente fisico e sociale; collettivi, rintracciabili nelle tradizioni storiche e culturali del luogo. Attraverso questi modelli è possibile apprezzare quali siano le spiegazioni più verosimili per le disuguaglianze per la salute e come le si possa utilizzare per la predisposizione di azioni di contrasto (Costa, Spadea, Cardano, 2004). Le spiegazioni fin qui illustrate possono ulteriormente essere divise in due gruppi, uno di tipo trasversale dove si collocano i fattori causali, legati appunto a catene causali, tipo la posizione sociale, la costituzione biopsichica, gli stili di vita e l’ambiente in cui si vive. L’altro gruppo potrebbe essere di tipo longitudinale, nel quale includere fattori 16 cumulativi che si sviluppano nel corso della biografia individuale, come il corso di vita. Abbiamo visto che, negli ultimi anni gli studi sulla comprensione dei percorsi eziopatogenetici che generano le variazioni sociali nella salute sono in costante aumento, ma non si è ancora arrivati ad una spiegazione univoca ed in grado di comprendere totalmente tutti i fattori che originano le disuguaglianze di salute (vedi Tab. 1). Tab. 1. Spiegazioni delle disuguaglianze sociali di salute Influenze Tipo di spiegazione Materiali Culturali / comportamentali Psicosociali Corso di vita Economia politica Reddito individuale, alimentazione, qualità dell’abitazione, ambiente, lavori pericolosi. Differenze in credenze, norme e valori, significa che i membri dei gruppi meno avvantaggiati sono meno propensi a bere alcol con moderazione, ad astenersi dal fumo e a fare esercizio fisico nel tempo libero. Status, controllo, supporto sociale al lavoro e a casa, equilibrio tra sforzo e ricompensa che influenza la salute attraverso il loro impatto sulle funzioni del corpo. Eventi e processi che cominciano prima della nascita e durante l’infanzia, possono influenzare sia la salute fisica che l’abilità a mantenersi in salute. La salute e le influenze delle circostanze sociali si trasmettono nel tempo. Processi politici e distribuzione del potere hanno effetti sulla disponibilità di servizi, qualità dell’ambiente fisico e delle relazioni sociali. Fonte: Bartley, 2004. I cinque tipi di spiegazioni visti in tabella riassumono i vari orientamenti ed inizialmente tale suddivisione fu proposta dal Black Report, quindi già alla fine degli anni Settanta. Queste spiegazioni però non sono mutualmente esclusive (Bartley, 2004). È comunque necessario andare oltre le singole proposte interpretative per riconoscere che il rapporto fra condizione sociale e stato di salute è 17 frutto di un complesso intreccio di cause multiple (Townsend, Davidson, Whitehead, 1992). Il dibattito teorico sull’origine delle disuguaglianze è quindi tutt’ora vivo. Inoltre, sociologicamente, esistono due macro correnti di idee, una definita neo – materialista, l’altra psicosociale, che possono intersecarsi, ed includere, anche con tutti gli altri fattori appena spiegati. Entrambi tali approcci si collocano in una visione macro, strutturalista, che sottolinea l’influenza sia dei fattori sociali, politici ed economici, sia gli effetti degli aspetti che vanno al di là della volontà del soggetto. La spiegazione strutturalista, infatti, conferma il fatto che le disuguaglianze di salute non sono dovute a differenze biologiche o variabilità individuali, ma sono prodotte dall’organizzazione stessa della società, sono quindi svantaggi socialmente strutturati. Coloro che sostengono l’approccio “neo – materialista”, il cui massimo esponente è John Lynch, dell’Università del Michigan (Lynch et al., 2000), affermano che le disuguaglianze nel reddito si associano a disuguaglianze nelle altre sfere della vita, sia a livello individuale che di popolazione, che hanno ricadute sullo stato di salute. Quindi, secondo tale approccio il perno di tutto è il reddito assoluto. Il reddito diventa un indicatore generale dello stato di ogni persona, in quanto chi ha un reddito basso avrà anche meno opportunità, meno istruzione, abiterà in case più disagiate. Gli effetti sulla salute delle ineguaglianze nel reddito sono la conseguenza di una combinazione di esposizioni negative e della mancanza di risorse economiche individuali, associate a un sistematico scarso investimento in una serie di infrastrutture umane, fisiche, sanitarie e sociali. Le differenze nella distribuzione del reddito hanno origine da processi storici, culturali e politico – economici, che influenzano la disponibilità di risorse private per gli individui e la disponibilità di risorse per le infrastrutture pubbliche: educazione, servizi sanitari, trasporti, ambiente. Le differenze nel reddito non sono altro che l’esteriorizzazione di condizioni “neo – materiali” che incidono sulla salute della popolazione (vedi Fig. 3). 18 Fig. 3. Interpretazione neo-materialista delle disuguaglianze di salute nel reddito e nella salute Fonte: Lynch, 2000. L’interpretazione materiale delle disuguaglianze di salute mette in risalto la relazione scalare tra posizione socioeconomica e l’accesso a condizioni materiali tangibili, sia quelle fondamentali come il cibo, una casa e l’accesso ai servizi, sia di altro tipo legate più allo status, come il possesso di un’auto, l’accesso ai servizi telefonici e ad internet e così via (Coburn, 2000). Reddito alto vuol dire conoscenza, denaro, potere e prestigio, che possono essere utilizzati in differenti modi, anche per evitare i rischi e le conseguenze della malattia (Link, Phelan, 2000). Quindi chi possiede queste risorse è in grado di proteggersi meglio. Il reddito diventa fondamentale, ed è essenziale, per poter scegliere una buona zona di residenza, la mancanza di soldi o un reddito basso può portare a vivere in case umide, sovraffollate, in zone industriali, particolarmente inquinate. 19 L’altra teoria, sostenuta principalmente dall’inglese Richard G. Wilkinson (1992), dell’University of Sussex, Brighton, definita “psico – sociale” considera, oltre alle disuguaglianze economiche, le relazioni sociali e il loro forte impatto sul benessere psico-sociale, tanto da poter spiegare il quadro di salute della popolazione nei paesi più ricchi. Per tale approccio, il problema non è più il reddito assoluto, ma il modo in cui le persone si collocano nel contesto sociale. Viene suggerita l’ipotesi che la variabile reddito non è di per sé sufficiente per spiegare e misurare le disuguaglianze nella salute, ma che occorre prendere in considerazione anche altre variabili che tengano conto del contesto socio – relazionale di appartenenza (Marmot, Wilkinson, 2001). Per l’approccio psicosociale la causa delle disuguaglianze di salute è da ricercarsi negli effetti diretti e indiretti provocati dallo stress che scaturisce dall’essere inferiore nella gerarchia socio-economica o dal vivere in condizioni di relativo svantaggio socio-economico. Inoltre, lo stress può anche influenzare indirettamente la salute, spingendo verso comportamenti rischiosi tipo il fumo e l’alcool, come surrogati per alleviare i problemi quotidiani. Essere collocati nelle posizioni inferiori nella gerarchia sociale può portare ad un insieme di emozioni negative, come la vergogna e la disistima, che si possono tradurre in stati di salute precari. Il consumo di beni materiali, oltre ad essere essenziale per i bisogni primari, appaga gli individui sul piano sociale e simbolico (Marmot, 2004; Elstad, 1998). La caratteristiche psicosociali di molti lavori manuali sono rilevanti. Spesso i ritmi di lavoro sono imposti dalle macchine, la retribuzione è a cottimo, le mansioni sono ripetitive e monotone, senza possibilità di gestione autonoma, sotto stretta sorveglianza, tutto ciò porta ad un aumento della produzione di ormoni dello stress come l’adrenalina e la noradrenalina, legati ad un maggior rischio di sviluppare malattie cardiache e coronariche. Gli approcci appena spiegati non sono mutualmente esclusivi e non è possibile districare gli effetti dell’uno o dell’altro. Infine, un’ultima ipotesi è la tesi di David Coburn dell’Università di Toronto (2000), secondo cui la causa di tutto è da attribuirsi al neo – 20 liberismo. Infatti, il neo-liberismo, cioè la liberalizzazione dei mercati e della competizione, ha creato maggiori disuguaglianze di reddito e una più bassa coesione sociale che ha portato ad uno stato di salute della popolazione più basso di quello che ci si potrebbe attendere. La filosofia del neo-liberismo è una società orientata al mercato: economia, stato, società civile sono di fatto inestricabilmente interrelati (Coburn, 2000). Secondo i neo-liberali le disuguaglianze sono inevitabili e sono il necessario sotto-prodotto del buon funzionamento dell’economia e rispondono al principio secondo cui “se qualcuno entra nel mercato, qualcun altro ne deve uscire”. Oggi, con la diffusione della globalizzazione sempre più economie in tutto il mondo si sono votate al neo-liberismo, con politiche di commercio globale, strategie di crescita economica che trascurano la lotta alla povertà, rischi occupazionali e perdita di coesione sociale, che sempre più si associano a rapide e crescenti ineguaglianze. Da qui l’ineluttabile affermazione di Coburn: “quanto più un regime è neo-liberale e orientato al mercato, tanto più grandi sono le ineguaglianze nel reddito. Quanto più una società è orientata verso il mercato, tanto maggiore è la frammentazione sociale e minori sono la fiducia e la coesione sociale”. Tutto ciò porta, direttamente o indirettamente, ad un peggiore stato di salute della popolazione. La tesi di Coburn dimostra quanto i concetti della scienza politica e della filosofia economica possano essere utili per comprendere la complessità delle differenze nella condizione socio-economica e nella salute (Tarlov, 2000). Attualmente, quindi, non è possibile dare una risposta certa sull’origine delle disuguaglianze di salute e il dibattito è ancora particolarmente vivo ed intenso (Della Bella, 2008; Lynch, Smith, 2002; Lynch et al., 2000). È certo però che le disuguaglianze sociali nella salute sono il risultato di una catena di cause che trova la sua origine nella struttura di base della società (Acheson et al., 1998). Lo sviluppo futuro dell’analisi delle disuguaglianze di salute avrà bisogno di contributi specifici di specialisti di varie discipline, dalla 21 medicina, alla psicologia sociale, all’epidemiologia e alla sociologia. Gli studiosi di tale argomento devono poter inserire le loro ipotesi in un quadro di riferimento macro – teorico, in cui poter inserire sia le strutture sociali, sia le azioni individuali. Per comprendere realmente da dove le disuguaglianze di salute hanno origine bisogna studiare come i diversi fattori siano compresenti ed interagenti nel corso di tutta la vita, attraverso gli studi longitudinali. Tali studi permettono di seguire il soggetto per diversi anni, raccogliendo così maggiori informazioni ed in modo più accurato, ma soprattutto si è in grado di avere informazioni sulla fasi intermedie, cioè prima della comparsa della malattia e dopo. Inoltre, con gli studi longitudinali è possibile confrontare lo stato di salute di uno stesso soggetto in differenti momenti e confrontare i cambiamenti nella sua condizione socioeconomica. Abbiamo ben evidenziato l’importanza del reddito. In merito a ciò, uno studio di Kawachi e colleghi (1997) sottolinea l’importanza del capitale sociale, dimostrando che in quei stati in cui vi erano forti disuguaglianze economiche e bassa coesione sociale, si avevano tassi di mortalità più elevati rispetto agli stati in cui, vi erano comunque grosse differenze economiche tra gli strati sociali, ma una forte coesione sociale. Quindi, ciò a cui giunge Kawachi è che la fiducia sociale ha effetti curativi e preventivi sui tassi di mortalità. Negli ultimi dieci anni le ricerche sulla povertà sono notevolmente aumentate ed è stato ampliato il concetto: esclusione sociale, nuove povertà, povertà relativa, povertà assoluta, povertà oziosa, povertà operosa, fragilità, vulnerabilità. Questi nuovi concetti si basano sull’assunto che la povertà non è una questione esclusivamente economica, di basso reddito. Un ultima precisazione va fatta sulla distinzione tra povertà assoluta e povertà relativa. La povertà assoluta segna il livello di reddito al di sotto del quale non è possibile condurre una vita accettabile e non si è in grado di soddisfare i bisogni primari fondamentali. Negli Stati Uniti, uno dei Paesi più ricchi 22 al mondo, circa l’11% delle famiglie vive al di sotto della soglia ufficiale di povertà. La povertà relativa è riferita all’intera comunità in cui si vive. La deprivazione relativa si esprime nell’esperienza soggettiva del disagio di chi non può vivere nello standard degli altri, pur non vivendo in condizioni di povertà assoluta. Nonostante tutta l’importanza data in questa trattazione al ruolo del reddito e della posizione economica non va dimenticato che anche l’ambiente psico - sociale influenza la salute attraverso percorsi che colpiscono le emozioni sociali, le conoscenze e le motivazioni. Come sottolinea Sen (1992), la disuguaglianza riguarda non la distribuzione dei mezzi quanto l’esistenza di differenziazioni nelle capacità. Un deficit di capacità può dipendere infatti dalla scarsità di mezzi, ma anche dalla difficoltà di convertire i mezzi disponibili in capacità. Dare una spiegazione delle disuguaglianze di salute univoca è impossibile perché le variabili intercorrelate sono troppe (Marmot, Bobak, Davey Smith, 1994). Quello che è certo è che il gradiente sociale nella salute testimonia l’esistenza di fattori quali quelli economici, sociali e ambientali che hanno un grosso ruolo nelle differenze di salute e che, purtroppo, solo marginalmente possono essere modificati dal singolo individuo. La progettazione di politiche tese a contrastare le disuguaglianze di salute non può essere disgiunta dalla definizione esplicita dei criteri che consentono di valutarne l’efficacia e dalla congiunta progettazione di un protocollo di valutazione. L’Acheson Report (1998) ha individuato 11 aree, nelle quali sarebbe necessario un intervento pubblico per ridurre le disuguaglianze di salute: 1. povertà, reddito, tassazione; 2. educazione; 3. occupazione; 4. abitazione ed ambiente; 23 5. mobilità, trasporti, inquinamento; 6. nutrizione e politiche agricole; 7. madri, bambini, famiglie; 8. giovani ed adulti in età da lavoro; 9. anziani; 10. differenze etniche; 11. differenze di genere. Per ridurre le disuguaglianze di salute sono, quindi, necessarie politiche volte a migliorare i determinanti di salute in generale, come le campagne antifumo e contro gli stili di vita a rischio, ma anche a livellare la distribuzione dei principali determinanti di salute (reddito, istruzione, servizi sanitari…), per renderli più accessibili alle persone svantaggiate. Maggiore uguaglianza ed equità saranno raggiunte solo migliorando la salute dei gruppi più poveri. Stabiliti quali possono essere le cause generatrici delle disuguaglianze di salute, l’attenzione degli studiosi si è concentrata sulle strategie di riduzione. Costa (2008) (vedi Fig. 4) ha proposto uno schema esplicativo a tal fine. Nel suo schema Costa dà alla posizione sociale un ruolo centrale quale fattore causale fondamentale. A seconda della posizione occupata si avrà un certo controllo sulle risorse materiali. Gli interventi di contrasto dovrebbero puntare a ridurre la stratificazione sociale attraverso politiche integrate, volte a favorire l’occupazione, ridurre la disoccupazione e aumentare la lotta alla povertà. Viene poi l’analisi dell’esposizione ai fattori di rischio: si parla di fattori quali quelli psico-sociali, comportamentali, ambientali e di accesso ai servizi. In questo caso, gli interventi di contrasto dovrebbero essere orientati a diminuire l’esposizione a tali fattori con campagne di informazione e di educazione, interventi di riqualificazione urbanistica e di sostegno abitativo. 24 La vulnerabilità al danno, quale conseguenza della maggiore esposizione ai fattori di rischio, è particolarmente presente nei gruppi svantaggiati. Gli interventi di contrasto dovrebbero cercare di prevenire, o almeno, moderare la vulnerabilità dei soggetti, soprattutto con interventi sociali integrati per favorirne l’inclusione. Infine, Costa analizza il livello delle conseguenze dei danni subiti, che si trascina nella scarsa disponibilità di risorse. In questo caso gli interventi sono volti ad interrompere il circolo vizioso della povertà. Fig. 4. Meccanismi generatrici delle disuguaglianze di salute Fonte: Costa, 2008. 25 È quindi ovvio che per combattere le disuguaglianze di salute sono necessarie politiche attuative mirate, purtroppo secondo David Stuckler (2010) dell’Università di Oxford, i tagli alla spesa sanitaria decisi in tempo di crisi dalla maggior parte dei Paesi europei per ridurre il deficit, si traducono in un aumento del rischio di morte per cause legate a malattie collegate a questioni sociali, come cardiopatie e patologie da abuso di alcolici. La spesa in campo sanitario è quanto mai importante per il benessere e la stessa sopravvivenza della popolazione. 1.2. Determinanti sociali di salute Per comprendere le cause delle differenze di salute è necessario fare il focus sui determinanti sociali di salute. La salute di ogni individuo è influenzata da molteplici fattori, alcuni dei quali non possono essere modificati, né dalla volontà delle persone, né da adeguate politiche sanitarie, su altri si può intervenire. I determinanti dello stato di salute includono il luogo dove si vive, le condizioni dell’ambiente che si frequenta, il patrimonio genetico, il reddito e il livello di istruzione, così come le relazioni sociali con amici e familiari hanno un impatto considerevole sullo stato di salute; mentre l’accesso ai servizi sanitari, pur essendo fondamentale per alcune patologie, ha comunque un impatto minore rispetto ai fattori sopraelencati (Mackenbach et al. 1988; Whitehead, Dahlgren, 2007). I determinanti della salute possono essere raggruppati sotto diverse categorie: comportamenti e stili di vita; fattori sociali; condizioni di vita e di lavoro; accesso ai servizi sanitari; condizioni generali socioeconomiche, culturali e ambientali; fattori genetici. La semplice enumerazione di tali fattori non basta a spiegarne la complessità e soprattutto il ruolo che ognuno può avere negli esiti di salute, a tal proposito sono stati sviluppati più modelli concettuali. 26 Il modello più noto, e che meglio rappresenta graficamente le priorità, quindi in un modo facilmente individuabile, è quello proposto da Dahlgren e Whitehead (1993), costituito da una serie di strati concentrici che rappresentano i differenti livelli di influenza (ved. Fig. 5). L’individuo viene collocato al centro di questo schema insieme alle sue caratteristiche biologiche, quali il sesso, l’età, il patrimonio genetico e i fattori costituzionali. Lo strato successivo è costituito dallo stile di vita, ci riferiamo quindi a fattori quali l’abitudine al fumo, l’abuso di alcool, l’alimentazione, i comportamenti sessuali e l’attività fisica. A seguire si collocano le reti con cui l’individuo interagisce, cioè i familiari, gli amici e la comunità circostante. La qualità delle relazioni sociali influenza la qualità della vita e di conseguenza la salute attraverso meccanismi psicologici, come la depressione e l’ansia o condizioni materiali sfavorevoli, come l’assenza di una rete di supporto familiare (Comodo, Maciocco, 2006). Il quarto livello riguarda l’ambiente di vita o di lavoro nel quale l’individuo vive, che si caratterizza per le condizioni ambientali del posto di lavoro, il reddito percepito, le condizioni igieniche e la qualità dell’acqua, la qualità dei servizi sanitari e le condizioni dell’abitazione. Infine, lo strato più esterno è quello delle condizioni generali esterne, quali le condizioni socio – economiche – culturali e politiche della comunità. Le caratteristiche biologiche sono determinanti immodificabili, mentre tutti gli altri fattori possono essere modificati. Il destino di salute di una persona è così determinato da una molteplicità di fattori e situazioni, alcune richiamano in causa la responsabilità comportamenti individuale e salutari, altre familiare le nell’attuare responsabilità dei e trasmettere governi e la responsabilità di soggetti sovranazionali. Abbiamo descritto i vari fattori, non è però possibile individuarne uno unico che abbia un ruolo dominante nel condizionare lo stato di salute di una persona, sono tutti interrelati. Ad esempio, gli stili di vita sono fortemente influenzati dal contesto familiare e sociale, che è a sua volta 27 influenzato dalle condizioni di vita e di lavoro, che a loro volta sono condizionate dal contesto socioeconomico, culturale e ambientale. Il modello proposto da Dahlgren e Whitehead rivela una gerarchia di valori tra i diversi determinanti di salute, dove i semicerchi più esterni quelli che rappresentano il contesto, sono quelli che influiscono maggiormente sullo stato di salute. Fig. 5. I determinanti della salute Fonte: Dahlgren and Whitehead, 1991. I fattori che influiscono sulla salute possono essere divisi in fattori positivi - protettivi e in fattori di rischio. I fattori positivi contribuiscono a mantenere la persona in buona salute e riguardano condizioni adeguate dell’abitazione, la qualità degli alimenti consumati, la sicurezza economica, oltre alla qualità delle relazioni sociali. I fattori di rischio sono quelli, invece, che causano problemi di salute e provocano malattie, che potrebbero essere eventualmente evitabili. 28 Questi includono oltre ai comportamenti e agli stili di vita, altre cause legate all’ambiente, per esempio la salute nei posti di lavoro o le zone con problemi di smaltimento dei rifiuti. Un altro modello, che stila una vera e propria classifica di valori, è quello proposto dal “Centers for disease control and prevention” di Atlanta (USA) (ved. Fig. 6). Secondo tale modello lo stato di salute delle persone è condizionato per il 50% dai loro comportamenti e dallo stile di vita. Un ruolo minore è invece rivestito dagli altri fattori: 20% i fattori ambientali; 20% i fattori genetici e solo per il 10% l’assistenza sanitaria. Il ruolo centrale è dato agli stili di vita delle persone e rispecchia l’enfasi che negli Stati Uniti viene data alla responsabilità individuale nei confronti della salute e delle malattie. Fig. 6. L’influenza dei determinanti sulla salute Fonte: Centers for disease control and prevention 29 Riconoscendo il ruolo dominante dei determinanti di salute, l’OMS nel 2005 ha creato un’apposita Commissione “Commission on Social Determinants of Health” con la missione di legare le conoscenze alle azioni. La Commissione, costituita da 20 membri tra accademici, ex Ministri della Salute, premi Nobel ed ex Capi di Stato, impiegò tre anni per redigere il rapporto finale “Closing the gap in a generation: Health equity through action on the social determinants of health”, nel quale veniva ribadito con forza che tutti i governi devono intervenire sui determinanti sociali di salute al fine di eliminare o almeno ridurre le disuguaglianze di salute. Nel rapporto finale della Commissione viene proposto un nuovo modello concettuale dei determinanti di salute. Il modello è la rielaborazione del modello proposto da Finn Diderichsen. Il modello proposto dall’OMS (vedi Fig. 7) parte dal considerare anche i fattori coinvolti nella diseguale distribuzione della salute all’interno di una Nazione. Quindi, i fattori che hanno un impatto sulla salute sono: il contesto politico e socioeconomico; la posizione socioeconomica; le condizioni di vita e di lavoro; i fattori psicosociali; i comportamenti individuali; i fattori biologici e il sistema sanitario. Il contesto socioeconomico e politico comprende tutti gli aspetti strutturali del sistema sociale. Ovviamente, essendo un aspetto così ampio è impossibile quantificare la reale portata sulla salute del singolo, è però scontato che esercita una forte influenza su come la società distribuisce le risorse e di conseguenza sulle opportunità di salute. Gli elementi che caratterizzano il contesto socioeconomico e politico sono: − Governance. Il termine si riferisce alla responsabilità e alla trasparenza delle politiche e della pubblica amministrazione, sono i processi attraverso i quali i cittadini possono difendere i loro diritti; 30 − Politiche sociali. Includono le politiche del lavoro e le politiche di Welfare State, sulla sanità, la previdenza e l’educazione. Lo Stato ha un ruolo chiave nella protezione dei cittadini; − Politiche macroeconomiche. Quest’aspetto rispecchia gli effetti della globalizzazione e quindi la ridistribuzione della ricchezza all’interno delle nazioni; inoltre, le politiche macroeconomiche di orientamento liberista hanno indebolito le reti di protezione sociale, colpendo anche la sanità; − Valori culturali e sociali. Essi si riflettono nelle priorità del governo, ma rispecchiano anche il modo in cui una società tratta il finanziamento dei servizi sanitari. Per quanto riguarda la posizione socioeconomica, in ogni società le risorse sono distribuite in modo ineguale. Il sistema di stratificazione sociale, presente in quasi tutte le società, è evidente nelle disuguaglianze, che si strutturano attraverso la presenza di alcune variabili: reddito, istruzione, occupazione, classe sociale, genere. Del reddito abbiamo già ampiamente parlato, ed insieme all’educazione rappresenta una forte associazione con la salute. Anche l’occupazione riveste un ruolo forte perché aiuta a collocare le persone nella scala sociale ed indica l’esposizione a specifici rischi occupazionali. La classe sociale è un altro aspetto ampiamente analizzato. L’ipotesi di fondo è che i membri delle classi sociali alte spendono meno energia e sforzo e ottengono di più, in termini di stipendio, promozioni, sicurezza del lavoro, mentre gli appartenenti alle classi sociali basse ottengono meno ma fanno maggiori sforzi. Quindi, i meno potenti sono a maggiore rischio di esaurire le loro riserve di “energie” e di sviluppare un deficit di salute fisico e psicologico. Un altro aspetto l’appartenenza al da considerare genere femminile è il può genere, portare in particolare ad ulteriori discriminazioni o svantaggi. Così come l’appartenere ad una minoranza etnica. 31 Il contesto politico e socioeconomico insieme alla posizione sociale costituiscono i determinanti strutturali. Sono definiti strutturali in quanto generano la stratificazione sociale e definiscono la posizione socioeconomica degli individui attraverso le gerarchie di potere, prestigio e accesso alle risorse. Dopo di essi si collocano i determinanti intermedi di salute, costituiti dalle condizioni di vita e di lavoro, fattori psicosociali, coesione sociale, comportamenti individuali e fattori biologici, sistema sanitario. − Condizioni materiali. Rappresentano il più importante determinante intermedio e riguardano gli standard materiali della vita quotidiana, quali salubrità dell’abitazione, disponibilità di acqua potabile e cibo sano, disponibilità di servizi igienici e riscaldamento; − Coesione sociale. Si manifesta nella qualità delle relazioni sociali e nell’esistenza della condivisione di valori e doveri all’interno della comunità; − Condizioni psicosociali e ambientali. Lo stress cronico, come già detto può essere causa di diverse malattie, legate alle precarietà della situazione finanziaria o all’incertezza della condizione lavorativa. Lo stress inoltre, può manifestarsi a seguito di episodi di violenza; − Comportamenti individuali. Questa categoria è facilmente comprensibile e il ruolo nell’influenzare la salute è ben noto, andiamo dall’uso di fumo e alcool alla mancanza di attività fisica; − Fattori biologici. Sono ovviamente il patrimonio genetico, l’età e il sesso. Il modello concettuale che qui stiamo presentando, proposto dalla Commissione sui determinanti di salute dell’OMS, individua nel sistema sanitario un fondamentale determinante sociale di salute e di equità. Il compito del sistema sanitario è di intervenire con azioni di prevenzione primaria e di igiene ambientale, ridurre la vulnerabilità nei confronti 32 delle malattie attraverso le campagne di vaccinazione, curare e riabilitare i problemi di salute che rappresentano il gap socioeconomico del carico di malattia, proteggere contro le conseguenze sociali ed economiche della malattia attraverso la copertura assicurativa sanitaria. Fig. 7. Quadro concettuale dei determinanti di salute secondo la CSDH Fonte: Commission on Social Determinants of Health, 2008. Il modello va letto da sinistra a destra, con continui feedback in senso inverso. Per esempio, l’ammalarsi ha ripercussioni sulla posizione sociale, in quanto può compromettere il lavoro e può ridurre il reddito; a livello comunitario, certe malattie, soprattutto quelle epidemiche, producono gravi danni alle istituzioni sociali, economiche e politiche. La Commissione alla fine del suo mandato ha messo in atto azioni concrete in diversi Paesi del mondo, dai ricchi Canada, Svezia, Regno Unito ai paesi poveri come Kenia, Iran, Mozambico, Cile e Sri Lanka, che 33 si sono impegnati a far progredire l’equità sanitaria e attuare politiche in merito. Nel Report finale “Closing the gap in a generation” pubblicato nel luglio del 2008, la CSDH propose una serie di azioni e raccomandazioni per sconfiggere le disuguaglianze di salute (vedi Fig. 8). Fig. 8. Le aree di azione e di raccomandazioni della Commissione Fonte: Commission on Social Determinants of Health, 2008. Nell’introduzione al Report, Michael Marmot, chair della Commissione, scriveva che il principale obiettivo contro le disuguaglianze è di convincere i politici ad usare gli indicatori di salute come misure del benessere economico. Infatti, la salute rappresenta la misura di come una popolazione sta beneficiando dei risultati delle politiche economiche. Politiche appropriate possono ridurre l’ampiezza delle disuguaglianze ma è necessario anche intervenire sui fattori ambientali e comportamentali che le generano. 34 1.3. La relazione tra sociologia e medicina La relazione tra la sociologia e la medicina è una relazione di vecchia data, soprattutto dal punto di vista della sociologia. Infatti, all’origine la sociologia fu definita metaforicamente “medicina” del corpo sociale malato a causa dei contraccolpi subiti dalla transizione alla modernità (Bucchi, Neresini, 2001). E fu, invece, un medico, Virchow a formulare il concetto che la “medicina è una scienza sociale”, per indicare che anche in questa disciplina vi erano forti aspetti sociali. Una relazione che in alcuni casi porta a sovrapposizioni disciplinari, in particolare tra la medicina sociale e la sociologia medica. La sociologia medica studia le condizioni sociali che favoriscono lo stato di salute e che si presentano nelle fasi di insorgenza, decorso e superamento della malattia, analizza l’andamento della malattia e i fattori che influenzano le reazioni del paziente; la medicina sociale ha introdotto i fattori sociali nei modelli del pensiero medico. Risulta, quindi, impossibile una distinzione netta. Mentre la medicina si occupa di corpi malati, la sociologia diventa la scienza del corpo sociale. Un altro aspetto da considerare è il ruolo assunto dalla medicina sociale e dall’igiene nel creare il contesto nel quale sarebbero nate le scienze sociali. I concetti della sociologia possono aiutare la medicina a comprendere la struttura socioeconomica della società e le tendenze di sviluppo delle istituzioni mediche. Tutto ciò aiuterà il medico nel suo operato professionale. Inoltre, la sociologia aiuta a spiegare il significato delle costrizioni sociali alle quali il paziente è esposto durante la sua malattia. La sociologia applicata alla medicina riguarda specificatamente quegli aspetti che influenzano le esperienze di salute e malattia negli individui e le risposte date a ciò dai medici, infermieri e politici. Il tema delle relazioni medico – sociali è diventato di rilevanza pregnante dalla metà degli anni Settanta con l’animarsi del dibattito di natura politico – sanitaria. 35 La sociologia, o almeno quella medica, utilizza i propri schemi, concetti e metodi scientifico – sociali per lo studio della genesi, del riconoscimento e della prevenzione delle malattie, per l’analisi delle relazioni medico – pazienti e tra gruppi di popolazioni. La malattia è un fatto tipico della vita umana che si verifica in tutte le società e proprio per questo tutte le società si sono organizzate con una serie di credenze e saperi, coerenti con la propria cultura, per fronteggiarla (Wellin, 1977). È dalla metà del XX secolo che la medicina inizia ad accettare un nuovo modello di malattie: si passa dalle malattie infettive ad un nuovo gruppo di malattie. Il cambiamento essenziale è nella loro genesi, non più solo di tipo biologico, e nella nuova importanza data alle malattie psichiche e psicosomatiche. Si ricorda, ad esempio, lo sviluppo della psicoanalisi. Per la società la malattia è una condizione problematica, potenzialmente pericolosa, che può avere anche costi economici e sociali elevati, collegati al mancato svolgimento delle attività lavorative, familiari e sociali. A tal fine, ogni società ha elaborato una serie di aspettative specifiche rispetto a come la persona malata deve comportarsi, affinché riduca i rischi provocati dalla sua stessa malattia. Le cure vengono anch’esse attuate attraverso una serie di pratiche socialmente costruite. La sociologia, quindi, studia i comportamenti che si attuano nei confronti della salute, i fattori sociali che favoriscono lo sviluppo delle malattie e le conseguenze sociali derivanti dalla malattia. Inoltre, l’attenzione della sociologia si è indirizzata verso tutti quei fattori correlati alla salute, ma ignorati dalla scienza biomedica. In particolare, si tratta di dare importanza ai fattori sociali che fanno parte dell’esperienza della malattia. La maggiore importanza data alla sociologia e agli aspetti medico sociali può essere fatta ascrivere anche alla crisi che ha colpito il modello biomedico, dalla metà degli anni Settanta. 36 Sempre in questo periodo, il modo di pensare del sociologo inizia ad essere rivolto a problematizzare il modello comportamentale del medico (Siegrist, 1979), cioè a minare il potere della classe medica. Quindi, tra medicina e sociologia si creano contrapposizioni strutturali che coinvolgono anche aspetti del dibattito politico sanitario. La sociologia della salute in particolare, si è interessata al collegamento con la medicina, elaborando anche dei paradigmi per analizzare la relazione tra malattia e società. Storicamente, il primo approccio della sociologia alla medicina è definito strutturalfunzionalista. Si tratta di una concezione legata al paradigma biomedico, dove la malattia è considerata ancora solo esclusivamente nella sua forma organica. Il collegamento si trova nel fatto che la salute è vista come la capacità del soggetto di assolvere ai suoi ruoli sociali, mentre la malattia rende incapaci di svolgere efficacemente i ruoli sociali. La malattia è vista in modo disfunzionale (Parsons, 1951). C’è poi tutto il filone che analizza la produzione sociale della malattia che, abbandona l’approccio biomedico e dirige l’attenzione verso il contesto. La malattia è considerata quale prodotto delle relazioni sociali, politiche, economiche ed ideologiche e rispecchia un determinato contesto storico. Un altro approccio riguarda la critica culturale alla medicina. Questo rappresenta le critiche rivolte al sapere biomedico, cioè alla sua pretesa di scientificità assoluta. La biomedicina comincia a perdere la sua aurea di superiorità scientifica. Anche in questo caso ci si indirizza verso la salute – malattia considerandoli quali prodotti storicamente e socialmente determinati. Un altro paradigma sociologico è quello proposto da Luhmann (1990), definito sistemico – cibernetico, che divide i sistemi biologici da quelli psichici. Secondo quest’approccio, quindi, il discorso sulla salute e sulla malattia torna ad essere incentrato sulla medicina come sistema istituzionalizzato delle società funzionalmente differenziate. Si torna a ricollegare le persone nel loro ambiente, lasciando il discorso sulla malattia ai referenti istituzionali – professionali. 37 Alla medicina, soprattutto al modello biomedico, sono state mosse anche molte critiche. La maggiore e più famosa è quella di Ivan Illich (1976), nel suo celebre “Nemesi medica. L’espropriazione della salute”. Illich si concentra sugli effetti collaterali della medicina, della diagnosi e della terapia, chiamandola appunto iatrogenesi; si mette in discussione l’istituzione medica, considerata intoccabile. Il sistema di tutela della salute può diventare patogeno quando produce un danno clinico che va oltre i suoi potenziali benefici; favorisce le condizioni politiche che rendono malsana la società; tende a mistificare e ad espropriare il potere dell’individuo di guarire se stesso (Illich, 1976). Esistono diversi tipi di iatrogenesi. La iatrogenesi clinica è riferita ai danni provocati dai medici e dagli ospedali. L’efficacia delle terapie biomediche è sempre più un problema degno di essere esaminato con occhio critico e che spesso si traduce in vere e proprie malpractice, che possono essere anche mortali. Un altro tipo di iatrogenesi è quella sociale, intendendo con ciò la spinta da parte della pratica medica verso un eccessivo consumo di farmaci che provoca nella società un malessere generale. Questa spinta verso i medicinali non ha ripercussioni solo sulle persone, ma su tutti gli aspetti della società, portando ad una medicalizzazione della vita. Con la medicalizzazione di sfere sempre più ampie della vita, si tende a diventare sempre più inermi di fronte alla dipendenza terapeutica. Infine, la iatrogenesi culturale, avviene quando la medicina impone un determinato modello di salute e di malattia, per cui il paziente perde la propria potenziale capacità di far fronte alla sua vulnerabilità e di reagire alla sofferenza. Ovviamente questa è solo una sommaria e ristretta presentazione dei molti modi e paradigmi con i quali la sociologia si collega alla medicina, e nei quali gli interessi di una disciplina entrano nell’orbita dell’altra. Un segnale positivo, verso una maggiore integrazione di queste due discipline, arriva dall’inserimento dell’insegnamento della sociologia e della sociologia della salute, nella formazione medica e delle professioni sanitarie, in sempre più facoltà. Le teorie, i concetti e i metodi sviluppati 38 dai sociologi possono illuminare alcuni aspetti più umani dell’esperienza della malattia. L’insegnamento della sociologia, e delle scienze sociali, sviluppa negli studenti di medicina una maggiore attenzione verso le ferite intime, la disperazione, la speranza, l’afflizione e il dolore morale che spesso accompagnano la malattia. 1.4. Approccio sociologico ed approccio epidemiologico Il tema delle disuguaglianze di salute è argomento di interesse sia della sociologia che dell’epidemiologia, tanto che, in non pochi casi, è difficile distinguere le scelte metodologiche di una disciplina rispetto all’altra (Sarti, 2006). Nella pratica, però, possiamo dire che gli epidemiologi sono più concentrati a ricercare le cause delle malattie a livello biologico, ambientale e sociale (Vineis, 1990). Gli studi degli epidemiologi sono studi che cercano di identificare le cause prossime della morbosità e della mortalità, senza escludere tra le cause possibili quelle derivate dalle differenze di status socioeconomico. Dal punto di vista sociologico, l’attenzione è rivolta non tanto all’individuazione delle condizioni che possono generare una patologia, ma piuttosto ricondurre le disuguaglianze di salute a quelle sociali. Il sociologo non ricerca una spiegazione in senso predittivo degli stati di salute, ma cerca di dimostrare l’incidenza dell’ineguale distribuzione di risorse materiali e simboliche sulla salute e di comprenderne le relazioni in termini generali (Sarti, 2006). Gli studi sociologici cercano di comprendere perché nonostante le tante politiche a favore dell’equità ed i buoni propositi persistano le disuguaglianze di salute. I sociologi, infine, si differenziano, per una preferenza verso la spiegazione strutturalista. Tale approccio prende in considerazione l’ipotesi che i soggetti che occupano diverse posizioni sociali sono esposti a varie influenze fisiche, come cattive condizioni abitative, lavori 39 pericolosi e precari, e psicologiche, come le preoccupazioni finanziarie o un eccessivo carico di lavoro, tali fattori sono ormai ampiamente riconosciuti come importanti fattori eziologici per una molteplicità di patologie (Lucchini, Tognetti Bordogna, 2010). Nonostante qualche discordanza, nella pratica, gli obiettivi dei sociologi e quelli degli epidemiologi tendono a convergere e spesso a confondersi nei campi di interesse. L’apertura della ricerca epidemiologica ai fattori sociali getta le basi per una feconda collaborazione con la sociologia, verso un approccio articolato ed integrato. Dal punto di vista dell’epidemiologia, la questione centrale dovrebbe essere non la differenza tra le spiegazioni materiali e non materiali, ma la distinzione tra riduzionismo e stratificazione. Dal punto di vista della sociologia, l’obiettivo dovrebbe essere quello di trasformare i concetti sociali in misure empiriche adatte all’analisi statistica. In questo modo le due discipline possono contribuire allo sviluppo di un nuovo paradigma, in grado di sostenere la ricerca teorica ed empirica (Pratschke, 2006). Sociologicamente, il tema delle disuguaglianze di salute si collega alle disuguaglianze sociali. Il pensiero sociologico si focalizza in particolare sulla stratificazione sociale che porta all’istituzione delle classi sociali e quindi ad un diseguale accesso alle risorse ed un maggior rischio di contrazione di malattie. Come ben spiegato da Valkonen (1994) che ribadisce che gli studi sulle disuguaglianze sociali nella salute si basano sul concetto sociologico di stratificazione sociale, cioè esistono strati o classi sociali che costituiscono una gerarchia in funzione di determinate variabili strettamente correlate, quali la professione, il reddito, il livello di istruzione e le condizioni economiche. L’epidemiologia è definita come lo studio della distribuzione e dei determinanti di stati o eventi correlati alla salute in specifiche popolazioni, e l’applicazione di questo studio al controllo dei problemi sanitari (Last, 1995). L’epidemiologia, quindi, studia quali sono i rischi possibili per la salute di una comunità o popolazione. Un fattore di rischio (hazard) è una fonte di danno che può danneggiare la salute 40 umana; il rischio invece è la probabilità che il danno alla salute avvenga (WHO, 1989). Per ridurre i rischi è necessario individuare quali sono i fattori di rischio, i gruppi di popolazione maggiormente esposti, il livello a cui sono esposti, l’impatto di tali fattori sulla salute e gli approcci per ridurre l’esposizione (ved. Fig. 9). Fig. 9. Fasi della valutazione e della gestione del rischio ambientale a fini sanitari Fonte: ARPAT, 2004 La ricerca epidemiologica si occupa della distribuzione delle malattie nello spazio e nel tempo e dei fattori che spiegano tale distribuzione. Inizialmente l’epidemiologia si occupava di analizzare solo la diffusione delle epidemie, in seguito ha esteso il suo campo di interesse anche alle malattie croniche ed infettive non a carattere epidemico. Il metodo epidemiologico consiste nell’osservare come una malattia si diffonde in un dato territorio e in quanto tempo (epidemiologia descrittiva) e nel formulare ipotesi sui fattori ambientali responsabili della diffusione della malattia (epidemiologia analitica). La metodologia epidemiologica misura e pesa i fenomeni di salute e di malattia, identifica i fattori di rischio, quelli determinanti e quelli protettivi, progetta interventi sperimentali ed infine ne valuta l’efficacia. 41 L’epidemiologia per descrivere l’impatto delle disuguaglianze utilizza in prevalenza i dati di mortalità messi a confronto con le caratteristiche socio-economiche dei soggetti presi in esame. L’epidemiologo ha il compito di cooperare a migliorare le condizioni di salute esistenti (Padovani, 2008). Ai dati biomedici ed epidemiologici il sociologo, invece, aggiunge il suo contributo specifico con l’introduzione di altre variabili di tipo sociodemografico e sociali: lo status sociale, la professione, il livello d’istruzione e di reddito. La ricerca socioeconomico sociologica (SES) si concentra misurato su sul quattro concetto variabili: di status l’istruzione, l’occupazione, condizioni di lavoro e status socioeconomico (Mirowsky et al., 2000). Ognuna di queste caratteristiche viene poi associata alla salute: dalle ricerche (ISTAT, 2007) emerge come l’istruzione, così come l’occupazione, hanno un ruolo fondamentale. Le persone con più alti titoli di studio godono di migliore funzionalità fisica, salute percepita, salute mentale e minori tassi di disabilità. Lo stesso vale per l’occupazione: essere disoccupati è direttamente correlato con maggiori tassi mortalità da malattie cardiovascolari, malattie mentali e suicidio. 1.5. La La malattia come fatto sociale malattia è contemporaneamente un fenomeno molecolare, genetico, fisiologico, psicologico, familiare, sociale, economico e viene studiata a ciascuno di questi livelli dalla genetica, dalla biochimica, dalla fisiologia, dalla psicologia, dalla sociologia e dall’epidemiologia (Parodi, 2002). Il modo in cui la malattia viene gestita e curata mette in luce uno degli aspetti più delicati dell’organizzazione di ogni società. Salute e malattia sono definizioni sociali di modi di essere e di comportarsi e queste definizioni derivano dalle più ampie definizioni cognitive e normative della costruzione sociale della realtà (Berger, Luckmann, 1969). 42 Oggi consideriamo la malattia come un’alterazione dello stato fisiologico dell’organismo, che riduce o modifica negativamente le funzionalità normali del corpo (Genova, 2008). Inoltre, la malattia può essere considerato un fatto sociale, in quanto è la deviazione da uno standard di normalità definito socialmente. L’interesse della sociologia per i temi della salute e della malattia nasce dalla considerazione che la salute e la malattia sono oltre che stati fisici costruzioni sociali. L’influenza dei fattori sociali sulla salute è ampiamente riconosciuta già da tempo ed infatti a partire dagli anni ’70 sono molti gli studi che si sono occupati degli aspetti psico-sociali capaci di influenzare lo stato di salute. Si è iniziato a riflettere sulla malattia come costruzione sociale, sui determinanti sociali del modello biomedico dominante, sull’estensione del potere di controllo della medicina sugli individui attraverso il concetto di rischio. Un buon esempio del riconoscimento dato ai fattori sociali ed ambientali, viene da Thomas McKeown nel suo famoso libro “The Role of Medicine: Dream, Mirage or Nemesis?” del 1976. L’autore sostiene che la riduzione del tasso di mortalità, cominciato intorno al 1870, è dovuta principalmente al miglioramento delle condizioni igieniche ambientali e alle abitudini alimentari e non al progresso della medicina, tra cui l’introduzione degli antibiotici. Le generali condizioni di miseria rappresentavano un pericolo per la salute. Molte malattie insorgono in seguito all’accumularsi di molteplici fattori tra i più disparati, per cui diventa impossibile isolare le specifiche condizioni patogene. I modelli culturali di una data società comprendono anche, al di là della percezione e dell’espressione dei sintomi, ciò che è definito come malattia in quella determinata società. In alcune società, alcuni fenomeni che la medicina occidentale giudica patologici non sono considerati come tali. Per esempio, magari quella che per una cultura è una grave malattia mentale, in altre è segno di elezione, di divinazione (Siegrist, 1979). Un altro tipico esempio sono le malattie somatiche. In ogni società, comunque, vi è una separazione tra i sani e i malati. 43 Le società in parte creano le malattie e poi modellano il modo nel quale debbono essere esperite (Susser et. al., 1985). È il contesto che dà significato alla malattia, spiegandone la sua origine e le pratiche per gestirla (Genova, 2008). I cambiamenti avvenuti nella società attuale hanno sviluppato nuovi comportamenti verso la salute e la malattia. Questi cambiamenti, purtroppo, a volte spingono verso comportamenti non salutari come la cura maniacale dell’aspetto fisico e le varie sindromi segnalate dalla psichiatria. La malattia può essere interpretata in molti modi, determinati dal contesto storico e sociale (Marino, 2003). Le malattie, soprattutto in passato, erano causate dalla povertà, dalla sporcizia, dalla malnutrizione e per alcune, in particolare nel caso di epidemie, da un castigo divino. Tant’è che ogni epoca è caratterizzata da specifiche malattie; ricostruzioni storiche hanno evidenziato che la storia delle malattie dell’umanità è la storia dello sviluppo sociale, economico e culturale della società. Nel passato, malattia era sinonimo di epidemia. Nell’Europa del XVII secolo la malattia era il male assoluto, un fatto totale che colpiva tutta la società ed era vista come punizione divina. Malattie come la lebbra, il colera, il vaiolo o la peste non potevano essere facilmente circoscritte, per cui la società reagiva isolando gli ammalati e pregando per sconfiggere la malattia. L’Ottocento è il secolo della tisi, una malattia che colpiva in prevalenza i ricchi e le donne, ed era vista come il mal di vivere. I soggetti sono persone particolarmente sensibili, passionali e spirituali (Bucchi, Neresini, 2001). Il XX secolo si caratterizza per il cambiamento di immagine della tubercolosi, da malattia dei ricchi a malattia dei poveri, dei lavoratori delle fabbriche. La tbc diventa un flagello per la società, un male che distrugge la capacità lavorativa. È una malattia associata alla miseria, alle condizioni abitative, causata da una cattiva alimentazione, dalle precarie condizioni igieniche e dall’ambiente delle fabbriche. Infine, la nostra epoca, caratterizzata dalle malattie croniche degenerative, in primis il cancro. Una malattia non visibile nel corpo, e 44 quindi alla società, se non allo stadio finale. Non è più una malattia che riguarda la collettività ma il singolo. In tutte le società, quindi, sia in quelle moderne che in quelle antiche, la salute ha sempre rivestito un ruolo fondamentale, in quanto è identificata oltre che nell’assenza di malattia, nella capacità di lavorare. L’esistenza di un gradiente sociale di mortalità e morbilità indica le forti influenze a livello ambientale e da parte della società (vedi Tab. 2). Tab. 2. Malattie correlate ad agenti ambientali Fonte: ARPAT, 2004. I fattori sociali possono essere legati a determinati quadri clinici sotto forma di cause dirette o di condizioni determinanti, oppure i fattori sociali determinano in maniera decisiva il decorso di malattie già in atto. Riconoscendo la malattia non solo come questione medica, nel mondo anglosassone esistono tre diversi termini per definirla, disease, illness e sickness. L’introduzione di tale distinzione in sociologia la si deve ad Andrew Twaddle (1968). La disease malfunzionamento rappresenta fisiologico, la definizione organico, biomedica, oggettivamente un misurabile; 45 l’illness è l’aspetto soggettivo, personale della malattia, il vissuto del paziente; la sickness riguarda il modo attraverso cui gli altri interpretano la malattia dell’individuo. La sickness è l’identità sociale. Come ha ben esplicitato Cassel “illness è ciò che il paziente sente quando va dal dottore, disease è ciò che egli ha quando torna a casa dall’ambulatorio” (Cassel, 1976). Nel caso specifico dei malati di tumore, la malattia irrompe in tutte le diverse dimensioni di disease, illness e sickness. Sul piano strettamente fisiologico ed organico, cioè la disease, la malattia si manifesta con dolore, affaticamento, indolenzimento muscolare, nausea, disturbi del sonno. La sofferenza fisica porta all’indebolimento del corpo, che in alcuni casi può anche essere menomato dagli interventi medici, con ripercussioni sulle relazioni sociali. La sickness legittima l’esenzione a partecipare appieno alla vita sociale e lavorativa. Sofferenza psichica ed organica si condizionano a vicenda e si inscrivono nella storia personale del malato. 46 Capitolo 2 La ricerca 2.1. Interrogativo di ricerca Obiettivo di tale lavoro di tesi è la relazione tra stato sociale e malattie croniche, in particolare i tumori, e verificare se esiste un’interazione tra fattori sociali, ambientali, comportamentali e biologici nell’eziologia del cancro e nei tassi di sopravvivenza. Si cercherà di verificare se esiste un’associazione tra status socioeconomico e incidenza del cancro e sopravvivenza. Le classi sociali più basse tendono ad avere maggiore incidenza di tumori ed una sopravvivenza al cancro minore rispetto agli appartenenti alle classi sociali alte, anche se questo modello si differenzia per alcuni specifici tumori. È stato dimostrato che l’incidenza dei tumori può in parte essere spiegata con l’influenza di fattori di rischio noti, rintracciabili in particolare a livello sociale ed ambientale. Sono sempre meno le persone che muoiono per malattie infettive e sempre più quelle che sviluppano malattie croniche. L’aumento di fattori di rischio come stili di vita insalubri, alimentazione scorretta, inattività 47 fisica, consumo di tabacco ed abuso di alcool ha portato ad uno sviluppo più precoce di malattie croniche negli ambienti sempre più urbanizzati, ma i sistemi sanitari non sono abbastanza preparati per gestire la richiesta di cure e trattamenti. Spesso sono i più poveri che si trovano, insieme alle loro famiglie, a lottare contro i danni economici e sociali che una lunga malattia può provocare. Le malattie croniche possono portare il soggetto malato e la sua famiglia in una spirale negativa di indigenza. Il cancro è un gruppo di malattie che impongono un pesante onere per la sanità pubblica e rappresentano una sfida alla scienza. Da metà degli anni Novanta, il cancro resta la seconda principale causa di morte, senza tener conto dei costi economici per la società. Inoltre, il cancro presenta un ulteriore complessità di problemi dovuti alla molteplicità di siti in cui si può sviluppare, inadeguatamente compresi e alla miriade di strategie ed interventi che richiede. La ricerca sul cancro ha fatto passi da gigante, sia grazie a nuove conoscenze circa la sua genetica, sia grazie a nuovi approcci terapeutici. Progressi che comprensione si sono verificati ed interessamento anche verso grazie i ad una determinanti maggiore sociali e comportamentali del cancro. Nell’elaborato ci si concentrerà sulla letteratura e su casi studi, utilizzando dati presenti in letteratura o disponibili da banche dati on line, che permettono così di analizzare il fenomeno oggetto di studio sotto diversi punti di vista. In particolare, si descrive la situazione italiana nell’incidenza e nella mortalità dei tumori. Con un particolare spaccato sulle disuguaglianze geografiche. Non si vuole fare un’analisi dal punto di vista clinico, ma da quello degli effetti dei tumori sulla vita quotidiana. Sociologicamente si è sviluppato un vasto ed importante corpo di ricerca del vivere con una malattia cronica. Il dibattito ha messo in evidenza come gli ambienti sociali modellano le esperienze legate alla cronicità e quanto le risposte individuali definiscano gli outcomes sanitari. Molto spazio è stato dato all’associazione tra i fattori sociali e lo sviluppo di una malattia cronica e a come, una volta sviluppata la 48 malattia, affrontarla, conviverci e quale impatto ciò ha sui sistemi sanitari. Obiettivo ultimo del presente lavoro, quindi, è quello di cercare di analizzare le malattie croniche in connessione con le componenti sociali e relazionali che le definiscono e le cointeressano. L’impostazione che si è cercata di dare, visto anche l’ambito di dottorato di ricerca nel quale si è sviluppata, è di tipo transdisciplinare, spaziando dalla sociologia all’epidemiologia. Dal punto di vista medico, allo stato attuale, le malattie croniche sono quelle che non possono essere guarite, si può solo cercare di rendere le condizioni di vita il più sopportabile possibile. 2.2. Le malattie croniche L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce le malattie croniche come “malattie di lunga durata e generalmente a lenta progressione”. Una persona affetta da malattia cronica è una persona affetta da una malattia di lunga durata, tendenzialmente lunga quanto la vita del soggetto. È una malattia che può provocare invalidità di vario grado e che spesso si ripercuote sullo stile di vita, in alcuni casi, modificandolo totalmente. La malattia cronica ha bisogno di consistenti periodi di controllo e di cure, sia a domicilio, sia in ambiti specialistici. La storia naturale della malattia cronica segue un percorso stabilito, che va dall’esposizione ai fattori di rischio all’inevitabile evoluzione nella morte (vedi Fig. 1). 49 Fig. 1. Storia naturale delle malattie croniche Fonte: Marceca, Ciccarelli, 2007. Le malattie croniche sono anche definite “non trasmissibili”, oppure malattie “correlate allo stile di vita”, proprio per enfatizzare quanto è importante il comportamento nello sviluppo di certe malattie croniche. Le malattie croniche includono cardiopatie, ictus, cancro, disturbi respiratori cronici e diabete. Disturbi visivi e cecità, disturbi dell’apparato uditivo e sordità, problemi del cavo orale e difetti genetici sono altre condizioni croniche responsabili di una percentuale consistente del carico globale di malattia (WHO, 2005). Alcune caratteristiche che contraddistinguono le malattie croniche sono: − spesso compaiono in età giovanile; − inizio graduale e subdolo; − hanno un lungo decorso; − richiedono un approccio al trattamento sistematico e a lungo termine. In particolare, in questo lavoro, tratteremo del cancro, cioè tutte quelle malattie in cui cellule anomale proliferano e si diffondono senza controllo. Ci sono numerosi tipi di cancro, che possono interessare tutti gli organi del corpo (WHO, 2005). Un punto critico è che, in realtà, il 50 cancro è molteplici malattie con eziologie diverse. I Registri Tumori attualmente riportano l’esistenza di circa 80 tipi di tumore maligno, definiti in base alla loro posizione e ai tipi di cellule colpite. Tuttavia, solo quattro siti rappresentano circa la metà di tutta l’incidenza dei tumori: seno (15%), prostata (17%), polmone (13%), colon (8%). Questi rappresentano il 53% di tutti i nuovi casi di tumore diagnosticati ogni anno. La concentrazione in questi quattro siti, offre la possibilità per indirizzare le ricerche verso i determinanti sociali del cancro. Per esempio, il cancro ai polmoni è fortemente associato al fumo; quello al seno e al colon con programmi di screening e prevenzione. Anche se, l’incidenza del cancro al seno è maggiore nelle donne appartenenti alle classi sociali alte, ma la mortalità è maggiore tra le donne di classe sociale bassa. Inoltre, ci sono importanti differenze nell’incidenza di sedi tumorali diverse in base alla razza e all’etnia. Così, il cancro offre alcuni paradossi ed evoca domande di ricerca, che gettano luce sui diversi modi, nei quali i fattori sociali influenzano i risultati del cancro (Hiatt, Breen, 2008). I fattori di rischio associati con l’insorgenza dei tumori sono vari, dagli agenti fisici, quali le radiazioni ionizzanti e quelle ultraviolette; gli agenti chimici di uso industriale e non; agenti virali; fattori ormonali; fattori legati agli stili di vita. Il cancro è, quindi, un gruppo di malattie che richiedono ulteriori ricerche e nuovi sviluppi, ed impongono alla sanità pubblica la riorganizzazione dei servizi. Dei 58 milioni di decessi avvenuti nel 2005 (WHO, 2005), più di 3 milioni sono attribuibili a malattie croniche, più di quelle imputabili a malattie quali l’HIV/AIDS. Nello stesso rapporto “Preventing Chronic Diseases. A vital investment”, l’OMS stima che se non si interviene con un’azione globale, entro il 2015 saranno 36 milioni i morti per malattie croniche (vedi fig. 2). Sempre secondo le stime dell’OMS, nei prossimi dieci anni i decessi per malattie infettive diminuiranno del 3%, mentre quelli per le malattie croniche aumenteranno del 17%. 51 Fig. 2. Decessi globali previsti per le diverse cause. Fonte: WHO, 2005. Le ultime previsioni continuano a confermare il trend di aumento delle malattie croniche. Mathers e Loncar per fare le loro previsioni si sono basati sui dati del World Health Report del 2002 e sui dati sulla crescita economica della Banca Mondiale (vedi Fig. 3), dividendo lo scenario che si potrebbe prospettare in basilare, ottimistico e pessimistico. Per fare tali previsioni i due autori, entrambi del WHO di Ginevra, hanno poi tenuto conto dei dati demografici e della capacità delle diverse aree del mondo di mettere a frutto le scoperte della medicina. Nei Paesi ad alto reddito è emerso un calo nella diffusione delle malattie infettive, dovuto alle vaccinazioni, alle terapie mirate e alle regole igieniche migliori. 52 Fig. 3. Proiezione delle cause di morte di cancro Fonte: Mathers, Loncar, 2006. Nella classifica stilata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità dei “killer” di domani, al primo posto si collocano le malattie cardiovascolari, seguite dai tumori. Le malattie cronico – degenerative hanno un’importanza sociale per gravità dei quadri clinici correlati, per i costi e per la diffusione. La situazione che si prospetta è molto preoccupante, con grosse questioni aperte per la salute pubblica e ricadute a livello economico e sociale. Fino a poco tempo fa, l’impatto delle malattie croniche era sottovalutato. Attualmente le malattie croniche sono la principale causa di morte, tanto da essere considerate la nuova epidemia globale. All’inizio del XX secolo si è avuto uno spostamento delle caratteristiche delle malattie da un quadro dominato dalle malattie infettive a uno in cui prevalgono le malattie croniche, come i tumori, considerati il “male del secolo” (Cosmacini, Sironi, 2002). Nell’immaginario collettivo, il cancro è diventato la malattia da temere per eccellenza, che compare in modo subdolo e senza preavviso. Il cancro è un’invasione segreta e spietata (Sontag, 2002). 53 Questo scivolamento verso le patologie croniche si può in parte spiegare col fatto che molta più gente ha vissuto fino all’età in cui queste malattie colpiscono. Tutto questo fa parte della cosiddetta “transizione epidemiologica” (vedi fig. 4). Fig. 4. La transizione epidemiologica Fonte: Omran, A.R., 1971. Le malattie croniche sono molto differenti dalle malattie acute e infettive (vedi Tab. 1). Quest’ultime, infatti, sono un fenomeno episodico e complete in sé. Sono causate da agenti eziologici specifici, che svolgono un ruolo determinante all’inizio e nello sviluppo del processo patologico. Nel caso delle malattie croniche, invece, si parla di fattori di rischio, la cui presenza aumenta la probabilità che la malattia si manifesti, pur non essendo ancora chiaro il preciso ruolo eziologico. Da una patologia infettiva si può guarire, l’esito di una patologia cronica il più delle volte è il decesso. 54 Tab. 1. Caratteristiche epidemiologiche differenziali delle patologie infettive e cronico – degenerative Caratteristiche Malattie infettive (acute) Malattie non infettive (croniche) Fattori causali maggiori Per lo più specifici. Necessari Molteplici. Per lo più aspecifici. Non necessari Durata del periodo di latenza Per lo più breve (giorni o settimane) Per lo più lunga (anni o decenni) Esordio Per lo più clamoroso Spesso subdolo e lento. Manifestazione dei sintomi graduale o improvvisa Decorso Rapido (giorni o settimane) Lento (anni o decenni) Esito Guarigione Stabilizzazione o progressivo peggioramento. In molte forme decesso a distanza di anni o decenni Effetto dei miglioramenti terapeutici Abbreviano il decorso. Diminuisce la prevalenza Allungano il decorso. Aumenta la prevalenza Fonte: WHO, 2005. Il nuovo quadro epidemiologico che si profila è molto più complesso e per rispondere alle mutate necessità, la medicina si è anch’essa specializzata ulteriormente, è diventata più flessibile e complessa. Le malattie croniche, come già detto, il più delle volte come esito non hanno la guarigione, per cui anche il concetto della cura va rivisto, estendendo ed includendo tutti gli interventi che permettano una migliore convivenza con la malattia cronica. Alla diagnosi deve accompagnarsi una valutazione delle potenzialità del paziente, l’obiettivo della terapia deve essere non quello della guarigione, ma quello del raggiungimento della migliore funzionalità residua. L’attuale organizzazione dei sistemi sociosanitari ha ancora qualche difficoltà ad intercettare i nuovi bisogni di assistenza. 55 Per questo si tende a parlare sempre di più di umanizzazione e personalizzazione delle cure, principi cardine con i malati cronici. La specificità del malato cronico è quella di una persona che vive la sua vita dentro la malattia (Esposito, 2008). La malattia è sempre presente, non è limitata ad un periodo o all’ospedalizzazione, la malattia c’è in tutte le relazione che il soggetto decide di avere, perché i malati cronici non cercano solo di restare in vita o di controllare i sintomi, ma soprattutto di vivere il più normalmente possibile, a dispetto dei sintomi e della malattia (Strauss et al., 1975). Il focus non è più sull’essere malato, ma su come organizzare la malattia. Si cerca di vivere nella normalità, per quanto sia una normalità contraddistinta dall’incertezza, cioè dalla generale mancanza di progettualità. Il malato cronico non può far altro che vivere giorno per giorno. Una parte importante della qualità della vita è rivestita dalle relazioni sociali, i malati cronici sono spesso costretti a ridurre le loro reti sociali allargate, mentre acquistano pregnanza vitale i legami forti (Granovetter, 1973), quelli forniti dai familiari e nello specifico dai caregivers. Le reti sociali o, per usare un termine sociologico, il capitale sociale, forniscono oltre all’aiuto prettamente materiale e concreto, affetto, sicurezza, sostegno, riconoscimento, senso di appartenenza. Per usare le parole di Donati (2003) la funzione primaria del capitale sociale non è quella di essere uno strumento per qualcosa, ma è quella di favorire la relazionalità sociale stessa, cioè la scambietà che produce un bene condiviso. Purtroppo la malattia cronica è una realtà con cui sempre più famiglie dovranno abituarsi a convivere, una quotidianità devastante, che rivoluziona la vita di tutto il nucleo. Le principali cause ascrivibili alle patologie croniche sono ormai ben conosciute (vedi Fig. 5), di alcune ne abbiamo ampiamente parlato nel primo capitolo, e sono appunto riconducibili ad una dieta scorretta e ipercalorica; alla mancanza di attività fisica; ed al consumo di tabacco. L’insieme delle caratteristiche immodificabili, ma soprattutto i principali fattori di rischio modificabili sono la causa della maggior parte delle malattie croniche, tra cui anche alcuni gravi tipi di cancro. 56 Fig. 5. Cause delle malattie croniche Fonte: WHO, 2005. Un aggravante a questi fattori è l’età. Infatti, l’età è un marcatore importante dell’accumulo dei rischi: l’impatto dei fattori di rischio aumenta con l’età. La maggior parte degli interventi a prevenzione sono rivolti alla popolazione di mezza età, se invece, si intervenisse nei primi anni di vita si potrebbe ridurre in modo sostanziale la pandemia di malattie croniche. Altri fattori, “più moderni”, che in qualche modo influiscono, sia positivamente che negativamente, le malattie croniche riguarda per esempio la globalizzazione. È positiva quando permette la circolazione di nozioni mediche e tecnologie moderne; è negativa quando favorisce la circolazione di stili e modelli di vita dannosi, dai paesi ricchi ai paesi poveri, come per esempio i regimi alimentari. È quindi evidente che la causa delle malattie croniche non può essere ascrivibile ad un unico fattore scatenante, ma ad una serie di concause. Indipendentemente dalle proprie risorse, ogni Paese deve cercare di migliorare la prevenzione e il controllo delle malattie croniche e procedere per tappe per raggiungere l’obiettivo globale della riduzione delle malattie croniche (WHO, 2005) (vedi Fig. 6). 57 Fig. 6. Strategie di riduzione malattie croniche WHO Fonte: WHO, 2005. I dati e le ricerche attuate negli ultimi anni hanno messo in evidenza come l’aumento dell’incidenza delle malattie croniche richiede maggiori attività finalizzate a prevenire tali patologie attraverso il controllo e la prevenzione dei fattori di rischio e l’adozione di corretti stili di vita. 2.3. Disuguaglianze di salute e cancro Agli inizi il cancro presentava un’eziologia sconosciuta, per questo la ricerca partì dall’esaminare la sua incidenza in diversi sottogruppi della popolazione. La speranza era quella di individuare la malattia in particolari gruppi sociali o etnici, in modo da poter orientare la ricerca. 58 Però, erano importanti anche i gruppi in cui la malattia aveva una bassa incidenza, in modo da individuare eventuali fattori di protezione. Le prime ricerche, quindi, utilizzavano uno schema preciso, abbastanza elementare, che partiva dalle caratteristiche demografiche e analizzava l’occupazione e i comportamenti individuali (vedi Fig. 7). Fig. 7. Catena eziologica di fatti che producono stati morbosi Fonte: Graham, 1977. La catena di fatti che può provocare una malattia, può avere origine in uno specifico gruppo di individui, appartenenti ad una stessa categoria lavorativa o classe sociale, e che quindi, molto probabilmente, avranno gli stessi comportamenti o saranno esposti agli stessi rischi. Certi comportamenti o ambienti mettono l’individuo direttamente a contatto con l’agente produttore della malattia. La maggiore o minore predisposizione del soggetto dipende dalle sue caratteristiche genetiche, da precedenti condizioni socio ambientali e dal suo generale stato fisico. È da metà degli anni Cinquanta che l’epidemiologia sul cancro ha iniziato a considerare l’uso del fumo come causa per il tumore al polmone (IARC, 1997), e nelle decadi seguenti, l’epidemiologia ha 59 scoperto nuove cause. I nuovi indirizzi di ricerca dati dall’epidemiologia hanno, in alcuni casi, portato al successo di interventi di prevenzione, senza il bisogno di grandi cambiamenti sociali e politici. Va anche precisato che, per esempio, il collegamento tra fumo e cancro al polmone è tanto un problema sociale, economico, politico, quanto un problema individuale. Il dibattito attuale e la letteratura scientifica documentano l’esistenza di importanti disaccordi, anche a livello terminologico. Il National Cancer Institute ha definito le disuguaglianze di salute nel cancro come differenze di incidenza, prevalenza e mortalità nei tumori e in patologie affini, che esistono tra gruppi specifici di popolazione negli Stati Uniti. Questi gruppi di popolazione si caratterizzano per etnia, istruzione, reddito, classe sociale, posizione geografica o orientamento sessuale (NCI, 2004). Il cancro presenta un set complesso di problemi, attualmente ancora inadeguatamente compreso. La continua ricerca scientifica per sconfiggere questa malattia ha iniziato ad estendere il campo di ricerca anche ai determinanti sociali e comportamentali del cancro. Però, per fare ulteriori progressi nella ricerca, è necessario un approccio transdisciplinare che integri lo studio della natura biologica del cancro, con gli aspetti clinici e con le influenze sociali. Proprio la complessità del cancro, mette bene in luce come siano necessari nuovi metodi di investigazione, spesso presi da altre discipline, non solo quelle mediche. Gli studiosi di varie discipline devono lavorare insieme indipendentemente dalla prospettiva della loro disciplina (Hiatt, Breen, 2008). In particolare, alcuni autori (Krieger, 1999; McLeroy, Bibeau, Steckler, Glanz, 1988) propongono un modello socioecologico, che implica una reciproca causalità tra l’individuo e l’ambiente che definisce l’interazione degli effetti. Questo modello è stato sviluppato inizialmente per la comprensione del comportamento umano all’interno della società, ed in seguito è stato esteso alla comprensione dei problemi di salute. Il modello socioecologico incorpora e accresce le scoperte nel campo della biologia del cancro a quelle delle scienze sociali. 60 Una questione centrale su cui ci si interroga, anche nella ricerca sul cancro, è perché i determinanti sociali sono importanti. Le risposte ruotano attorno al fatto se è a causa dei loro effetti indiretti sui fattori di rischio individuali; se è perché interagiscono con i fattori genetici; o se sono causa diretta di malattia. Per poter rispondere a queste domande è necessario disegnare un quadro concettuale nel quale inserire, ed integrare, tutti i fattori collegati ai determinanti sociali del cancro. In questo modo si cerca di promuovere una più completa comprensione delle cause del cancro. I determinanti sociali del cancro si collocano a vari livelli di analisi e seguono diversi tipi di intervento lungo un continuum in cui si sviluppa la malattia. Invece, sembrerebbe che i sistemi sanitari hanno minori probabilità di influenzare l’incidenza del cancro e la mortalità, tanto da essere leggermente ombreggiati nella fase pre - clinica del continuum della malattia (Hiatt, Breen, 2008) (vedi Fig. 8). Fig. 8. Determinanti sociali del cancro Fonte: Hiatt e Breen, 2008. 61 Il framework presentato da Hiatt e Breen è indirizzato ad aiutare la concettualizzazione di come i determinanti sociali interagiscono con gli altri fattori nell’eziologia del cancro e cogliere i cambiamenti nel tempo. Questo quadro invita i ricercatori di tutte le discipline ad impegnarsi nella ricerca sul cancro nell’ambito dei determinanti sociali come parte di un coraggioso esperimento della ricerca transdisciplinare. Il gradiente socioeconomico nella salute e nella mortalità è ben documentato, anche se questo rapporto non è ancora così chiaro per il cancro, come invece risulta per altre malattie, tipo quelle cardiovascolari. Sono state fatte varie analisi per collegare i dati dei registri dei tumori con i dati del censimento per documentare e verificare le disparità di mortalità, sopravvivenza e incidenza. Uno studio del 2004 ha confrontato gli esiti di salute di chi ha avuto a disposizione attività di prevenzione e interventi terapeutici con chi non gli ha avuti, ed è emerso che sono stati trovati forti gradienti di SES per gli esiti di interventi di provata efficacia (Phelan, J.C., Link B.G., DiezRoux, A., Kawachi, I., Levin, B., 2004). Gli autori hanno concluso che, la causa fondamentale è da ricercarsi nell’insieme delle risorse largamente accessibile da parte delle persone con SES più alto. Questa spiegazione resta però ancora molto dibattuta. Per capire la potenziale importanza delle differenze socioeconomiche nell’identificazione e nel trattamento dei tumori, i dati sulla sopravvivenza sono essenziali. La maggior parte degli studi sul rapporto tra classe socioeconomica e cancro sono stati effettuati nei paesi industrializzati, ed hanno costantemente dimostrato un’incidenza totale, così come la mortalità, di tumore in tutti i siti è più alta nei gruppi socioeconomici più bassi, ed è dovuta principalmente all’aumento dell’incidenza in alcuni siti. I siti in cui le differenze sono più alte sono il polmone, lo stomaco e la cervice uterina (Kogevinas, Marmot, Fox, Goldblatt, 1991). Tre grossi studi fatti nel Regno Unito hanno verificato una mortalità più alta per gli appartenenti ai gruppi socioeconomici bassi, per i tumori al polmone, allo stomaco, al fegato e all’esofago (Smith et al., 1991). In 62 Italia, un simile studio, ha riscontrato grossi differenze per i tumori al polmone, alla faringe, alla laringe, allo stomaco, alla vescica e alla cervice uterina (Faggiano et al., 1994). Alla maggior parte delle sedi che presentano differenziali elevati corrispondono fattori di rischio ambientali: così per esempio, per i tumori delle vie aereo-digestive superiori il principale indiziato è il consumo di alcool; per i tumori del polmone e della laringe, il fumo di tabacco e le esposizioni professionali; per il colon-retto e lo stomaco c’è una forte associazione ai fattori della dieta; i tumori della pelle sono associati all’esposizione alle radiazioni solari, anche se in questo caso, ci sono contraddizioni rispetto alla forte incidenza nelle classi sociali alte. Sono dunque tumori che riflettono la relativa distribuzione sociale dei fattori di rischio (Faggiano et al., 1994). L’inevitabile conclusione di questi studi è che i Paesi sviluppati, negli ultimi anni, hanno fatto pochi progressi nella riduzione delle disuguaglianze. Negli ultimi cinquant’anni, la mortalità per tumore al polmone ha continuato ad aumentare nei gruppi socioeconomici bassi, ma ha iniziato a diminuire nei gruppi socioeconomici più favoriti. Il tumore al polmone è solo un esempio, e tali differenze non possono essere riconducibili solo all’uso del fumo. Al fine di ridurre tali disparità, la prevenzione dovrebbe essere indirizzata alla fornitura universale di servizi e ad annullare le differenze socio-culturali in cui le disparità sono profondamente radicate. Un elemento che certamente influenza la mortalità è la diagnosi precoce e l’accesso ad adeguate cure. Un aspetto interessante da considerare, riguarda il fatto che, il tipo di patologia studiata, i tumori, tendenzialmente può durare al massimo 4 anni, dal momento della diagnosi, quindi, si può escludere il verificarsi di un effetto di scivolamento in basso nella scala sociale, dovuto appunto alla malattia. Un’analisi, condotta in undici Paesi dell’Europa Occidentale nel periodo 1980-89, sull’andamento della mortalità in rapporto alla classe occupazionale per alcune patologie (malattia ischemica cardiaca, tumori, malattie cerebro-vascolari, malattie gastro-intestinali e cause esterne) ha evidenziato l’esistenza di una forte correlazione con le basse classi 63 occupazionali (lavori manuali); l’entità della differenza di mortalità tra lavoratori manuali e non manuali per singola causa di morte considerata, è diversa nei vari Paesi considerati (Kunst et al. 1998). Infine, quindi, possiamo dire che l’associazione tra incidenza di tumori e bassa classe sociale è stata provata ed è molto forte per alcune sedi, tra cui stomaco, polmone, orofaringe, laringe, esofago e cervice uterina. La causa è riscontrabile in lunghe storie di povertà, all’abuso di alcol e fumo e a comportamenti sessuali promiscui. Però ci sono anche alcuni tipi di tumori legati agli stili di vita delle persone ricche e più istruite: mammella, ovaie, colon, melanoma. Rimangono esclusi dalla maggior parte degli studi le leucemie e i linfomi, per i quali non sono conosciuti fattori ambientali eliminabili. In Italia, purtroppo, le ricerche sull’associazione tra status socioeconomico ed incidenza di tumori non sono molto sviluppate, si spera che in futuro sarà un filone su cui investire. Le ricerche si sono concentrate in prevalenza sulle differenze geografiche, forse per la particolarità che contraddistingue il nostro Sistema Sanitario e la tradizionale e storica disparità tra Nord e Sud del Paese. Le disparità osservate nella mortalità, sopravvivenza ed incidenza per tumore hanno motivato ulteriori studi, in particolare sulle influenze a livello sociale. Lo sviluppo dell’epidemiologia sociale ha aperto la strada per analisi multilivello. L’ambiente, nelle sue componenti, sia fisico che in quello costruito, influenza gli esiti del cancro. L’ambiente fisico influenza sia il comportamento sia la biologia e può aiutare a spiegare alcune tendenze osservate e le disparità dell’incidenza del cancro e dei suoi risultati. Per esempio, le minoranze e i gruppi a basso reddito sono soggetti a più elevati livelli di esposizione a rischi ambientali, tra cui quelli industriali o i siti di trattamento e smaltimento dei rifiuti (IOM, 1999; Bullard, 1993). L’effetto dei fattori di rischio ambientali sul cancro negli esseri umani è difficile da valutare, soprattutto perché in merito ci sono pochi dati disponibili e soprattutto bisognerebbe monitorare per lungo tempo i 64 gruppi o le popolazioni esposte a sostanze cancerogene. Il dibattito su come misurare e valutare l’impatto dei rischi ambientali è ancora aperto. Le soluzioni politiche necessitano di competenze e di aiuto da parte della pianificazione urbanistica, dell’ingegneria, del diritto, dell’economia e delle scienze biomediche, nonché input da parte della comunità. Sono necessari più livelli di analisi per comprendere i diversi percorsi e i meccanismi alla base di queste sfumature, e per determinare il modo in cui si legano e che scaturiscono nella malattia. Gli interventi focalizzati solo sul cambiamento individuale si sono rivelati inadeguati. Per esempio, le politiche sociali contro il fumo si sono rivelate efficaci e potrebbe essere il momento di prendere in considerazione altri interventi a livello sociale, o politiche di economia sostenibile e giustizia ambientale. Tale approccio è coerente con gli sforzi nazionali e internazionali intesi a modificare i determinanti sociali di salute. I dati attualmente disponibili, provenienti dai Registri Tumori, da indagini e da fonti amministrative, descrivono la gamma di influenze biologiche, cliniche e sociali per le diverse sedi tumorali. 2.4. Dati epidemiologici sul cancro Da metà degli anni Novanta, il cancro resta la seconda principale causa di morte (vedi Fig. 9), senza tener conto dei costi economici per la società. Inoltre, il cancro presenta un ulteriore complessità di problemi dovuti alla molteplicità di siti in cui si può sviluppare, inadeguatamente compresi e alla miriade di strategie ed interventi che richiede. 65 Fig. 9. Mortalità per grandi gruppi di cause 4% 3% 3% 4% 1% 9% 7% 39% 30% Malattie sistema circolatorio Tumori Malattie apparato respiratorio Traumatismi e avvelenamenti Diabete Malattie del sistema nervoso Malattie apparato digerente Malattie infettive Altro Fonte: ISTAT, 2007 La patologia oncologica è progressivamente diventata un elemento rilevante delle moderne società, inclusa l’Italia dove è stato stimato che, attualmente sono circa 1 milione e 800 mila le persone affette da patologia tumorale. Negli ultimi trent’anni le patologie tumorali sono cresciute del 40%. I tumori alla mammella sono aumentati del 27%, quelli al cervello del 10%, quelli al fegato del 20%, dati che purtroppo non risparmiano i bambini. Il cancro può colpire persone di ogni età, anche se i dati statistici affermano che le persone anziane sono colpite con maggiore frequenza, perché i danni tendono ad accumularsi negli anni (vedi Fig. 10). 66 Fig. 10. Trends dell’incidenza e di mortalità per classi d’età Fonte: AIRTUM, 2009. Considerando l’invecchiamento della popolazione, è comprensibile che un aumento della quota di persone anziane porti ad un incremento nel numero delle nuove diagnosi e dei decessi indipendentemente dal fatto che l’incidenza e la mortalità aumentino. La situazione italiana è la peggiore se paragonata ad altri Paesi europei ed extraeuropei, infatti, per esempio, in Gran Bretagna e Scandinavia l’incidenza è aumentata del 20%, mentre negli Stati Uniti del 30%. Tali confronti mettono in luce come l’Italia stia perdendo alcuni dei vantaggi propri dell’area mediterranea, assumendo gli stili di vita di altri Paesi a maggiore rischio. 67 Secondo i dati dell’IARC (2007), nel 2006 sono stati stimati 3,2 milioni di nuovi casi di cancro nei soli Paesi Europei e 1,7 milioni di morti. Tale trend sembra purtroppo destinato ad aumentare, come dimostrano anche i dati riferiti alle tendenze temporali. In Italia, dagli anni Ottanta, quando le statistiche hanno iniziato a documentare il fenomeno in modo più dettagliato, vi è stato un sensibile peggioramento del tasso di incidenza per tutti i tumori e per entrambi i sessi (vedi tab. 2). 68 Tab. 2. Trend storico tasso incidenza tumori 1980-2007 Periodo Maschi Femmine 1980 330.03 251.53 1981 339.22 257.44 1982 348.57 263.46 1983 358.24 269.75 1984 367.12 275.74 1985 376.44 282.23 1986 385.46 288.63 1987 394.28 295.06 1988 403.20 301.76 1989 411.77 308.37 1990 420.14 314.97 1991 428.13 321.54 1992 435.07 328.00 1993 441.08 334.20 1994 446.73 340.41 1995 449.03 347.23 1996 450.14 353.52 1997 452.96 358.69 1998 455.48 363.60 1999 457.54 368.34 2000 460.77 374.09 2001 464.84 381.08 2002 470.09 390.01 2003 475.72 400.07 2004 480.37 409.65 2005 482.46 416.56 2006 482.77 421.48 2007 482.88 426.32 Fonte: Health for All, 2008. 69 A livello europeo, è emerso che, oggi, la seconda causa di morte fra la popolazione dell’Unione Europea è rappresentata dai tumori: 29% per gli uomini, 23% per le donne. Inoltre, la mortalità è influenzata anche dalla classe sociale, ma in una relazione inversa a quelle abituali, soprattutto nelle donne. Infatti, sembrerebbe che una migliore condizione socioeconomica costituisca un maggiore fattore di rischio per alcuni tumori, come per esempio al seno o alla pelle (European Observatory on the Social Situation, 2005). Per il tumore della pelle, il dato è spiegabile con una maggiore esposizione al sole da parte delle classi sociali alte; per il tumore al seno esistono più spiegazioni, tra cui una serie di fattori biologici, come l’età della prima mestruazione, o fattori sociali, come l’allattamento al seno o l’età della prima gravidanza. Sempre a livello europeo, il tumore al seno rappresenta il tumore più frequente nelle donne, dai dati dell’OMS si stima che una donna su 12 svilupperà un carcinoma della mammella. Ogni anno in Europa più di 200.000 donne hanno affrontato una diagnosi di tumore al seno (European Health Net, 2006). I fattori di rischio per il tumore al seno sono, quindi, oggetto di studio ed includono la predisposizione genetica, l’età e la condizione ormonale. In Italia, secondo l’Istituto Superiore di Sanità (2008) l’andamento temporale dell’incidenza dei tumori presenta importanti differenze rispetto al sesso e all’area geografica. Tra gli uomini si è osservato, nella mortalità, una riduzione statisticamente significativa, soprattutto per quanto riguarda alcune delle patologie tumorali più letali, per esempio il tumore del polmone e il tumore dello stomaco, mentre per le donne, in generale, l’incidenza risulta ancora in crescita, sebbene per alcuni siti specifici, come il tumore alla mammella si registrino tassi in via di diminuzione. Nello specifico, tra il 1998 e il 2005 la mortalità per tutti i tumori è diminuita del 12% per gli uomini e del 6% per le donne (AIRTUM, 2009). Mentre la mortalità è in diminuzione, l’incidenza resta stabile. Questo dimostra l’efficacia dei programmi di prevenzione e diagnosi. 70 Per altri siti, invece, in particolare tiroide e prostata, l’incidenza rappresenta ancora l’esito sintetico di molteplici fattori, tra cui demografici, di pressione eziologica e di sensibilità diagnostica, non facilmente risolvibile, ma di grande importanza per l’ingente impegno di risorse diagnostiche – assistenziali. Negli uomini sono in aumento i tumori del colon, del testicolo e dei tessuti molli; nelle donne, il tumore del polmone e i linfomi di Hodgkin (AIRTUM, 2009) (vedi Tab. 3). Attualmente però, se analizziamo le differenze di genere, dalle banche dati dell’ISTAT, fra i tumori quello alle vie respiratorie è la principale causa di morte per gli uomini (26.954 morti nel 2007), mentre quello al seno lo è per le donne (11.916 morti nel 2007). Tab. 3. Trend di alcuni tumori per incidenza e mortalità, 19982005 Fonte: AIRTUM, 2009. 71 Nel 2008, sempre secondo la banca dati dell’AIRTUM, i tumori più diagnosticati sono stati (vedi Fig. 11), per gli uomini: − prostata (18,5%); − pelle non melanoma (15,8%); − polmone (13,1%); − colon-retto (12%); − vescica (5,7%). Per le donne, invece: − mammella (24,9%); − pelle non melanoma (15,1%); − colon-retto (11,9%); − polmone (5%); − stomaco (4,1%). Considerando l’intera popolazione, i tumori più frequentemente diagnosticati sono stati: − epiteliomi della cute (15,5%); − colon retto (11,9%); − mammella (11,5%); − prostata (10,1%); − polmone (9,4%). 72 Fig. 11. I cinque tumori più frequenti 30 25 20 15 10 5 0 Uomini e donne Uomini Donne Epiteliomi della cute Colonretto Mammella Prostata Polmone Cute non melanoma Vescica Stomaco Fonte: AIRTUM, 2009. Analizzando il pattern geografico, si evidenziano andamenti più favorevoli al centro – nord, mentre il meridione, che storicamente, ha sempre avuto tassi più bassi, si sta avvicinando a quello delle regioni del nord (vedi Fig. 12 e 13). L’incidenza e la mortalità di alcuni tumori presentano un gradiente decrescente dalle aree del Nord e del Centro, che hanno valori simili, a quelle del Sud. 73 Fig. 12. Tasso std Tumori maligni 0-84 anni - Maschi Fonte: Health for All, 2008. 74 Fig. 13. Tasso std tumori maligni 0-84 – Donne Fonte: Health for All, 2008. Le differenze geografiche sono presenti, in particolare, su alcuni sedi specifiche di tumori, tra cui al colon retto. In passato, i livelli di tumore al colon al Sud erano più bassi di circa il 40% rispetto al Nord-Centro. Per gli studiosi tale differenza è spiegabile con l’esposizione a diversi fattori di rischio e di protezione, tra cui l’alimentazione. Negli anni Sessanta, mentre il sud rimaneva prevalentemente agricolo e manteneva una dieta di tipo “mediterraneo”, il nord si sviluppava, trasformandosi in una società industriale, con stili di vita che si allontanavano da quelli agricoli. Quindi, le abitudini alimentari 75 mediterranee hanno protetto i residenti del sud nei confronti del tumore al colon e questo fino agli anni Settanta, quando i tassi hanno cominciato ad aumentare. Secondo le previsioni dell’AIRTUM, nel 2019 l’incidenza per tumore al colon sarà quasi omogenea su tutto il territorio nazionale, per effetto di un livellamento degli stili di vita e delle abitudini alimentari (vedi Fig. 14). Fig. Incidenza Tumore al colon per area geografica. Dati osservati al 2005; dal 2006 al 2019 proiezione. Fonte: AIRTUM, 2010. I dati sulle disuguaglianze geografiche sono stati registrati anche dal Rapporto Osservasalute (2010), dove si sottolinea che il rischio oncologico complessivo del Sud, si sta avvicinando a quello del Nord. Le ricostruzioni dell’andamento dell’incidenza e della mortalità dal 1980 al 2009 indicano che esistono ancora delle differenze nei tassi tra il Nord e il Sud, anche se sensibilmente ridotte, rispetto al passato (vedi Tab. 4). Come già detto, si sono verificati una riduzione dei tassi di mortalità per gli uomini, e le regioni, dove tale diminuzione è stata più evidente sono il Veneto e il Friuli Venezia Giulia. I tassi di incidenza nelle donne, invece sono in aumento, in particolare in Sardegna, Campania e Basilicata. 76 Tab. 4. Tassi standardizzati di mortalità per tutti i tumori maligni nella classe 0-84 anni per Regione, macroarea, sesso – Anni 1980 – 1989, 1990 – 1999, 2000 – 2009 Maschi Femmine Regioni 1980-89 1990-99 2000-09 1980-89 1990-99 2000-09 Piemonte 263,6 247,3 201,6 138,1 125,2 107,1 Valle 273,4 266,5 213,2 134,6 124,7 110,5 Lombardia 332,9 290,7 213,9 150,4 137,2 117,1 Trentino Alto Adige Veneto 279,6 254,3 199,2 136,0 122,3 105,1 306,5 269,7 193,7 131,3 123,0 106,6 Friuli Venezia Giulia Liguria 322,9 283,3 207,8 148,7 140,0 123,0 270,9 244,9 194,4 137,4 123,5 102,9 EmiliaRomagna Toscana 267,0 238,1 183,7 140,1 126,7 106,5 261,4 236,0 187,4 132,1 119,0 101,3 Umbria 220,5 212,3 180,8 120,0 113,5 100,8 Marche 228,4 214,6 179,2 122,1 111,0 94,6 Lazio 247,5 230,0 187,5 134,7 124,2 105,8 Abruzzo 186,7 191,4 173,8 104,8 99,6 89,5 Molise 173,4 179,9 180,1 104,6 95,0 83,6 Campania 212,8 232,6 235,1 114,3 114,7 108,3 Puglia 202,2 206,5 189,1 110,4 106,3 95,7 Basilicata 157,3 178,1 187,1 96,6 97,6 93,9 Calabria 162,1 173,3 164,9 95,5 93,7 86,3 Sicilia 177,3 188,4 184,7 111,7 108,6 99,9 Sardegna 206,5 220,6 205,6 111,1 110,7 103,3 Nord 296,61 265,04 201,09 141,74 129,51 110,66 Centro 247,66 228,38 185,79 130,95 119,79 102,47 Sud e Isole Italia 191,23 203,44 197,10 109,31 107,18 99,01 252,8 237,8 193,3 129,7 120,8 106,0 d’Aosta Fonte: Osservasalute, 2010. 77 Le differenze geografiche lasciano aperti molti dubbi in merito alla diversa capacità di programmazione e prevenzione che caratterizza le diverse aree del nostro Paese. Infine, nelle disuguaglianze regionali e nelle differenze di mortalità, va purtroppo considerata la diversa disponibilità di strutture oncologiche e di centri di eccellenza. Dal censimento effettuato dall’Osservatorio sulla Condizione Assistenziale dei malati oncologici (2010) emerge, per esempio, che la Regione col maggior numero di posti letto nelle discipline oncologiche è la Lombardia (inclusa oncologia, oncoematologia pediatrica, oncoematologia, ricovero ordinario e day hospital), seguita dall’Emilia Romagna, dal Lazio e dal Piemonte. Nella lettura dei dati, va anche considerata la presenza di IRCCS a indirizzo oncologico e la presenza di centri specializzati. A tal proposito, caso eccezionale è quello del Molise, che appare fuori media nazionale, in quanto dispone di una dotazione di posti letto di oncologia doppia rispetto alla media nazionale, grazie appunto alla presenza nella Regione di un IRCSS dotato di un centro di eccellenza per la chirurgia oncologica cerebrale. Il bacino d’utenza di tale istituto supera l’ambito regionale ed accoglie molta parte delle regioni centro meridionali. Analoghe differenze si possono osservare per quanto concerne la distribuzione regionale delle strutture ospedaliere con servizio di oncologia medica, dove spicca sempre la Lombardia, seguita dal Lazio, ma risultano interessanti anche i dati della Sicilia e della Campania, dove appunto non sembrano mancare strutture, superiori perfino all’Emilia Romagna (vedi Fig. 15). 78 Fig. 15. Distribuzione regionale delle strutture ospedaliere con servizio di oncologia medica. 0 10 20 30 40 50 60 70 80 Piemonte Valle d'Aosta Lombardia Prov. Aut. Bolzano Prov. Aut. Trento Veneto Friuli Venezia Giulia Liguria Emilia Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna Fonte: Ministero della Salute, 2008. Un altro dato degno di attenzione è l’indice di attrazione e il relativo contrario indice di fuga, che rappresenta appunto il giudizio positivo e l’apprezzamento dei malati per le attività svolte nella propria Regione. Mentre il giudizio opposto, l’indice di fuga, è la percezione di inadeguatezza assistenziale della Regione di residenza, che spinge i malati a cercare assistenza in altre Regioni. Le Regioni a maggiore migrazione di malati oncologici sono quelle del Sud verso il Nord. Fa eccezione il Molise, per il motivo prima spiegato, della presenza sul suo territorio di un IRCSS altamente specializzato sull’oncologia, che ha contribuito ad elevare gli standard qualitativi e reso il Molise una Regione di richiamo. La Valle d’Aosta invece presenta un alto tasso di emigrazione sanitaria, dovuta ad un accordo fatto con un grosso Centro della Provincia di Alessandria (vedi Fig. 16). 79 Fig. 16. Mobilità ospedaliera per tutti i tumori – Anno 2007 Fonte: Osservatorio sulla condizione assistenziale dei malati oncologici, 2010. L’analisi per età alla diagnosi, mostra che i tumori sono una patologia prevalente dell’età anziana (vedi Tab. 5). È naturale aspettarsi un aumento dei casi in parallelo al progressivo invecchiamento della popolazione italiana. Quindi, il sistema sanitario italiano deve soddisfare i bisogni della popolazione oncologica anziana, adattando le risposte in base al tipo di tumore, dell’età, alla condizione familiare e ai bisogni riabilitativi (Murianni, Sabetta, Sferrazza, Ricciardi, 2008). 80 Tab. 5. Malati di tumore per classe di età e sesso – Anno 2005. Classi d’età 0- 15- 25- 35- 45- 55- 65- 70- 75- 80 e 14 24 34 44 54 64 69 74 79 più Maschi 0,1 0,1 0,1 0,2 0,5 1,8 2,7 3,3 3,3 3,3 Femmine 0,0 0,1 0,2 0,6 1,2 2,5 2,7 2,0 2,5 2,3 0,0 0,1 0,1 0,4 0,8 2,1 2,7 2,6 2,9 2,6 Maschi + Femmine Fonte: ISTAT, 2007. I trend di lungo periodo evidenziano che gli andamenti della patologia tumorale rilevati a metà degli anni Ottanta sono stati confermati. L’analisi dell’andamento temporale della frequenza dei tumori è un utile strumento per la sanità pubblica, in quanto permette di valutare gli effetti degli interventi sanitari intrapresi, l’introduzione di nuove terapie e nuovi strumenti e interventi diagnostici. La riduzione della mortalità può essere dovuta ad una riduzione del numero dei soggetti che si ammalano oppure all’introduzione di nuovi ed efficaci strumenti terapeutici. Allo stesso modo, la riduzione dell’incidenza, che è un indicatore sempre positivo, può essere il segno di una minore esposizione a fattori cancerogeni o dell’effetto dell’introduzione di programmi diagnostici. Attualmente, per quanto riguarda la mortalità, sono in aumento la sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi; tali risultati positivi dipendono, probabilmente, dal miglioramento della diagnostica e dall’efficacia delle nuove terapie, oltre ovviamente che dalla maggiore precocità delle diagnosi. Non va poi dimenticata la maggiore attenzione culturale alla salute. Infine, un’ultima precisazione in merito, gli aumenti o la riduzione dell’incidenza e della mortalità possono essere dovuti anche a 81 cambiamenti nei sistemi di classificazione dei tumori con l’introduzione di nuove entità nosologiche o modifiche nella definizione di entità già presenti. In Italia, secondo gli ultimi dati disponibili ISTAT (Health for All, 2008) i morti per tumore nel 2007 sono stati 171.625, di cui 97.355 uomini e 74.270 donne (vedi Fig. 17). Fig. 17. Mortalità per sesso e per fasce d’età – Anno 2007 20000 18000 16000 14000 12000 10000 8000 6000 4000 2000 Maschi 94 10 0e pi ù 90 - 84 80 - 74 70 - 64 60 - 54 50 - 44 40 - 34 30 - 24 20 - 14 4 10 - 2 0 0 Femmine Fonte: Health for All, 2008. Nell’Indagine Multiscopo “Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari” dell’ISTAT, del 2005, il tumore è trattato insieme alle patologie croniche gravi, e nonostante la grande importanza che riveste non viene trattato separatamente. Nel questionario viene domandato se il soggetto ha mai avuto un tumore, è possibile quindi fare un’analisi quantitativa del fenomeno, non è, però, possibile sapere il tipo di tumore, la sopravvivenza ed il trattamento ricevuto. Tra le persone intervistate quelle che dichiarano di essere affette da un tumore o di esserne state colpite negli ultimi cinque anni sono circa il 2%. Dai dati dell’ultima Indagine Multiscopo emerge che la prevalenza di malattie croniche cresce al decrescere della classe sociale. 82 Analizzando le differenze per titolo di studio emerge che la più alta concentrazione la si trova tra le persone con la sola licenza elementare (39,4%), a cui si può aggiungere anche un buona quota di persone senza titolo di studio (8,7%). Questo dato è in linea con le statistiche sull’età, infatti, visto che ad ammalarsi sono maggiormente le persone anziane, è possibile dedurre che chi oggi dichiara di avere solo la licenza elementare siano persone sopra i 65 anni di età. Anche tra coloro che hanno la licenza media è emerso un 23% di persone affette da tumore maligno. Mentre tra i laureati (inclusi laurea vecchio ordinamento, diplomi universitari e laurea triennale e specialistica) solo il 6,9% ha un tumore. Molto bassa la percentuale tra chi ha frequentato un istituto artistico o il conservatorio (0,3%) (vedi Fig. 18). Tutto ciò conferma le argomentazioni precedentemente esposte a livello di letteratura internazionale. Dove le fasce più colpite risultano essere gli anziani, ma anche le fasce più povere e meno istruite, a causa di influenze legate agli stili di vita, all’ambiente nel quale sono vissuti e a quello lavorativo. 83 Fig. 18. Malati di tumore per titolo di studio 0,3 6,9 0,5 8,7 16,8 4,3 39,4 23 Nessun titolo Licenza elementare Licenza media Diploma scuola professionale Diploma scuola superiore Istituti artistici Laurea Dottorato Fonte: Nostra elaborazione su dati Multiscopo, 2005. Per quanto riguarda la condizione professionale, quindi se occupati o meno e non il tipo di lavoro svolto, invece, emerge sempre dai dati della Multiscopo, che quasi la metà degli ammalati sono persone ormai in pensione, ritirate dal lavoro (43,8%). Un dato interessante che emerge è l’alta percentuale delle casalinghe, che raggiunge quasi un quarto di tutti i malati (23,9%), mentre la percentuale degli occupati, che rappresentano il gruppo più numeroso, ed include varie fasce d’età, di entrambi i sessi e diverse professioni, si attesta intorno al 20,4% (vedi Fig 19). Se analizziamo la posizione nella professione, vediamo che le persone maggiormente colpite sono gli impiegati e coloro che stanno nelle posizioni intermedie (43,6%), a seguire dirigenti, imprenditori e liberi professionisti (21,2%), operai e apprendisti (19,1%) ed infine, lavoratori in proprio (15,9%). Va però precisato che da tale suddivisione sono esclusi i lavoratori occasionali ed i co.co.co, quindi tutta la fascia dei precari. 84 Fig. 19. Malati di tumore per condizione professionale 43,8 5,1 0,7 4 23,8 20,4 0,4 1,6 Occupato Disoccupato In cerca di primo lavoro Casalinga Studente Ritirato dal lavoro Inabile al lavoro In altra condizione Fonte: Nostra elaborazione su dati Multiscopo, 2005. Un’altra area indagata dall’Indagine Multiscopo riguarda la prevenzione femminile, in particolare chi si sottopone al pap test in assenza di sintomi. Emerge, così, che la percentuale di ricorso al pap test è più elevata tra le donne con titolo di studio più alto, sono infatti il 72,3% tra la fascia d’età 25-64 anni, mentre si scende al 66,1% delle donne con licenza elementare o nessun titolo (vedi Tab. 6). Le stesse differenze si notano analizzando l’età al primo pap test: più bassa per le donne con titolo di studio più alto. L’età al primo pap test è più tardiva per le donne del sud Italia. Negli ultimi anni molte Regioni hanno attivato programmi di screening cervicale e mammografico, seguendo le indicazioni date a livello nazionale e le linee guide generali dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. 85 Fig. 6. Pap test per classi d’età e titolo di studio (%) Classi d’età 25-29 30-34 35-44 45-54 55-64 Tot. 25-64 Laurea / dipl. sc. 45 65,4 78,4 86,1 85,4 72,3 44,4 61,4 72,5 80,2 80,5 71,7 37,8 46,3 49,1 69,1 70,8 66,1 Sup. Licenza media Licenza element. Fonte: ISTAT, 2007. L’area della prevenzione e degli screening è, purtroppo, un altro campo nel quale si evidenziano molto bene le disuguaglianze. È questo l’unico livello sul quale si può intervenire contro la malattia, prima viene diagnostica e più possibilità di sopravvivenza ci sono. Come per altri aspetti, ad avvantaggiarsi della prevenzione sono le persone più istruite e appartenenti alle classi sociali alte. 2.5. Reti assistenziali regionali Come già anticipato, esistono molte disuguaglianze a livello regionale. Anche i tumori come molti altri aspetti in Italia, risentono della storica differenza tra Nord e Sud Italia. Oltre che nella maggiore o minore incidenza e mortalità, le differenze sono presenti nei servizi offerti ai malati di tumore. Vorremmo qui illustrare, in forma grafica, le difformità assistenziali e le carenze strutturali per ciascuna regione. È anche vero che, spesso le difformità a livello di assistenza fornita costituiscono fattori di specifici modelli di organizzazione, autonomamente decisi dalle singole Regioni. 86 La rete assistenziale per i tumori include oltre strutture ospedaliere con servizio di oncologia medica, i posti letto nelle discipline oncologiche e in radioterapia, strutture ospedaliere con servizio di radioterapia, le prestazioni ambulatoriali di oncologia e radioterapia, i posti in hospice, la spesa per i farmaci antineoplastici e i casi terminali in ADI. Rispetto a quello che è la media nazionale, le varie Regioni vi si discostano in modo differente a vari livelli, chi più, chi meno. Graficamente, la media nazionale è rappresentata con un poligono, a cui si sovrappongono le varie medie regionali: se il singolo corrispondente fattore regionale rimane all’interno del perimetro del poligono nazionale, vuol dire che c’è una situazione di carenza, mentre se fuoriesce vi è una situazione di eccedenza locale, rispetto alla situazione media nazionale (vedi Fig. 20). Fig. 20. Sinossi grafica della rete assistenziale oncologica Fonte: Osservatorio sulla condizione assistenziale dei malati oncologici, 2010. 87 Nelle figure1 che seguono, è rappresentata una sinossi per ogni Regione, in cui è sovrapposta la rete regionale a quella nazionale, in modo da poter vedere immediatamente in quale settore la Regione è carente (vedi Fig. 21). Fig. 21. Sinossi Grafica della rete assistenziale delle Regioni Italiane Piemonte: si presenta una situazione abbastanza nella media nazionale, con qualche valore in più per l’assistenza domiciliare integrata e le prestazioni ambulatoriali di radioterapia. 1 I grafici radar di seguito illustrati sono tutti presi dall’Osservatorio sulla condizione assistenziale dei malati oncologici. (2010). 2° Rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici. 88 Valle d’Aosta: per questa Regione bisogna tener conto della sua modesta dimensione demografica e della co- gestione dei malati oncologici con un Centro situato in Piemonte. Lombardia: la Regione risulta pienamente nella media nazionale, con una situazione superiore per quanto riguarda le prestazioni territoriali e l’accompagnamento dei malati terminali. 89 Provincia Autonoma di Bolzano: la situazione della Provincia è particolare. alquanto Per quanto riguarda la rete assistenziale, le dotazioni strumentali e la copertura assistenziale sembra insufficiente e al di sotto della media nazionale. Provincia Trento: atipica Autonoma situazione anche di piuttosto questa. La carenza di posti letto sembra compensata da un numero superiore alla media di servizi di oncologia. La leggera carenza di posti in hospice è compensata dall’ADI, eccede valore il che medio dell’Italia. 90 Veneto: per questa Regione vi è una coincidenza dei poligoni della rete, ciò sta ad indicare che la Regione rientra nella media nazionale. Friuli Venezia Regione presenta sostanziale medie Giulia: all’assistenza una aderenza nazionali e la alle rispetto ambulatoriale oncologica. 91 Liguria: la dotazione di posti letto, i servizi ospedalieri e le prestazioni ambulatoriali di radioterapia appaiono superiori alla media nazionale. Emilia Romagna: appare evidente la notevole attenzione all’assistenza terminali, al ai domicilio malati e in hospice, mentre è in contrasto la spesa farmaceutica. 92 Toscana: i dati della Toscana sono abbastanza in linea con quelli nazionali, tranne che per la spesa territoriale per farmaci oncologici. Umbria: le differenze rispetto alla situazione nazionale sono evidenti. Ha ottime prestazioni per quasi tutti i fattori esclusa la spesa farmaceutica. 93 Marche: per quanto riguarda la rete assistenziali, la Regione si colloca eccedendo, molto in bene, alcuni casi, rispetto alla media nazionale. In assonanza alle altre Regioni del centro presenta una spesa farmaceutica inferiore. Lazio: il grafico della Regione presenta una situazione superiore alla media nazionale, con l’unica eccezione di una modesta carenza per gli hospice. 94 Abruzzo: la situazione è complessivamente equilibrata, con qualche carenza per gli hospice e le prestazioni ambulatoriali. Molise: la rete assistenziale di questa Regione è del tutto anomala, tanto da uscire dai limiti del grafico. Come si è precedentemente esposto, la Regione è dotata di un centro IRCCS di eccellenza. 95 Campania: il grafico mostra che la Regione è carente per quanto concerne l’assistenza a livello territoriale, investito nelle ma ha strutture ospedaliere. Puglia: presenta la Regione una Puglia situazione di carenza per tutti i fattori. 96 Basilicata: a fronte di una scarsa attività ambulatoriale, la Regione eccede nell’assistenza domiciliare integrata tanto da finire fuori scala. Calabria: il quadro della Regione Calabria è carente in tutti i settori, ma con una spesa abnorme per i farmaci. 97 Sicilia: la rete assistenziale della Regione Sicilia presenta un’offerta di posti letto superiore alla media nazionale, ma una minore intensità per quanto riguarda le prestazioni territoriali. Sardegna: la situazione complessiva è molto vicina alla media nazionale, con carenze di prestazioni ambulatoriali di radioterapia. 98 2.6. Vivere con una malattia cronica Ci sono patologie che per diffusione e letalità colpiscono l’immaginario collettivo più di altre, provocando paure e ansie e che cambiano radicalmente la vita di una persona, della sua famiglia e della comunità in cui la persona vive. Il cancro è una di queste patologie. La comparsa di una malattia cronica nella vita di una persona rappresenta sempre un evento complesso e doloroso. Dal drammatico e dirompente momento della diagnosi, per tutti i pazienti neoplastici ha inizio un cammino impervio che, indipendentemente dall’esito della malattia, sconvolgerà radicalmente ogni aspetto della loro vita (Iseppato, 2009). La nuova condizione obbliga il paziente a sottomettersi a nuove regole e a ridefinire la propria vita, le sue abitudini, i suoi comportamenti. In molti casi, la malattia ha un decorso lento, per cui il malato deve imparare a convivere con la malattia e con le terapie. L’irruzione della malattia distrugge il mondo della vita quotidiana. Le persone capiscono realmente che cos’è una malattia cronica nel momento in cui ne sono colpite. Quella della malattia cronica, ovvero la convivenza prolungata con una patologia non eliminabile, rappresenta una condizione inedita nella storia dell’umanità (AA.VV., 2008). La ri-definizione della propria vita è una questione sia pratica che emotiva. Dopo la prima fase iniziale di spaesamento, questi aggiustamenti vengono percepiti come un normale adattamento. La normalizzazione che si cerca di riconquistare è anche un modo per minimizzare l’impatto della malattia (Robinson, 1993) e costituisce un tentativo di contenere la malattia e di mantenere le apparenze. Questo ovviamente è possibile finché la malattia lo permette, fino a quando non compare con tutta la sua potenza distruttiva. Però, può anche capitare che la paura che si scatena quando viene diagnosticato un tumore impedisca l’accettazione di nuove soluzioni. Le 99 reazioni messe in atto possono anche essere di diniego, negazione, che spingono la persona ad isolarsi, a ritirarsi dalla vita sociale. La malattia influisce sulla visione della vita, con implicazioni fisiche, psicologiche e sociali. La medicina ha fatto grandi progressi anche con i tumori, per quanto non sia riuscita ancora a sconfiggerli del tutto, è riuscita a dilatare i tempi della fine. Questo ha portato al fatto che, nella società vivono molte persone ancora vive, ma già profondamente segnate dal dolore, dalla prospettiva di una fine a breve, o contraddistinte da mutilazioni fisiche. Ciò che caratterizza la malattia tumorale è la perdita. Una precisazione importante da fare è che, essendo il tumore un male che può colpire differenti organi, esistono di conseguenza differenti risposte, che possono variare a seconda dei sintomi, della gravità e dei trattamenti disponibili, non si può quindi generalizzare. Ciò che è certo è che più il tumore è penalizzante più aumenta la ridefinizione del presente e del futuro. Come precedentemente detto, la malattia cronica è una malattia a lungo decorso, permanente nella vita della persona, che distrugge lentamente la sua identità. Il soggetto diventa un esperto della sua malattia, in grado di scegliere percorsi terapeutici differenziati (Bury, 1991). Impara ad ascoltare il proprio corpo e a riconoscere i sintomi della malattia. Esiste un’ampia letteratura sui temi della distruzione e della perdita di identità, tanto da essere definita “evento biografico distruttivo” (Bury, 1982), soprattutto nella classe lavoratrice. I problemi prioritari che si pongono ad una persona ammalata cronica sono di tre ordini (Charmaz, 2000): 1. dare un senso alla malattia; 2. ricostruire il proprio io in funzione di ciò; 3. riprendere il controllo della propria vita. 100 I malati cronici devono ripensare la loro vita, la loro qualità della vita diventa problematica. Usando le risorse a loro disponibili cercano di affrontare i rischi della nuova situazione. Per la persona colpita da un tumore, la malattia è al centro di tutti i rapporti sociali. Le malattie croniche, ed in particolare il cancro, sono caratterizzate da decorsi fluttuanti, con fasi acute alternate a momenti di stabilizzazione della malattia, per poi acutizzarsi, fino alla morte, all’improvviso. Il paziente deve, quindi, riuscire a ristrutturare il modo di concepire la propria vita, nonostante la consapevolezza dell’instabilità in cui si trova. Diventa importante l’illness del paziente, cioè il particolare modo di percepire il proprio stato di salute, dal quale si può partire per individuare il percorso migliore. Terapia, ginnastica, alimentazione equilibrata e bilanciata sono considerati fattori che migliorano la qualità della vita del paziente e che possono rappresentare un modo per riappropriarsi del proprio percorso di vita. Molti pazienti, valutano il loro stato di salute ed eventuali miglioramenti, proprio dal benessere psicofisico e da azioni facilmente misurabili, come un maggior appetito, più energia, migliori capacità motorie. Il modo in cui si affronta la sofferenza e il dolore dipendono anche dalle risorse che si sono accumulate nel corso degli anni e che ora la mente può continuare a utilizzare. Un’altra questione che merita attenzione riguarda il nesso tra malattia e contesto familiare, che si declina anche in relazione alle condizioni socioeconomiche. Quando nel contesto familiare irrompe una diagnosi tumorale tutta la famiglia è sottoposta ad un tremendo shock psicologico ed è costretta a cambiare taluni comportamenti per accettare la situazione. L’equilibrio familiare si spezza. Il sistema familiare è molto sensibile alla malattia di un suo membro. I dati ISTAT (2007) dicono che sono più di sei milioni le famiglie con almeno un componente affetto da malattie croniche gravi, circa il 28,1% delle famiglie italiane. 101 Il supporto familiare aiuta il malato a mantenersi obiettivo, ad avere un atteggiamento positivo, soprattutto nei confronti della sua terapia. La dimensione temporale che intercorre tra la diagnosi e il momento della fine, permette alla famiglia di instaurare una relazione di cura continuativa e di accompagnamento nell’iter terapeutico. Da parte del paziente, nei confronti della famiglia, cerca di vivere il più normalmente possibile, per proteggerli dalla dolorosa separazione che li attende. L’ammalato cerca anche nascondere i propri sintomi più a lungo possibile. Abbiamo già detto che, la comparsa della malattia crea una rottura, un solco, tra il soggetto e la società, ma anche tra il soggetto e la sua rete familiare ed amicale. I rapporti con gli altri non saranno più gli stessi, il malato diventa immediatamente il diverso. Il malato attraversa una soglia invisibile che lo separa per sempre dal mondo dei sani (Marzano, 2004). Inoltre, purtroppo, in alcuni casi e per certi tumori, esiste ancora una forma di colpevolizzazione della vittima (per esempio, nel caso di tumore al polmone per i fumatori). La stigmatizzazione di una patologia rivela il modo in cui una società interpreta e risponde alle malattie (Sontag, 2002). Il cancro può essere visto come una punizione per uno stile di vita non sano, come risposta per aver scelto di correre dei rischi, una mancanza di volontà. Spesso il malato teme di essere un peso per gli altri o che abbiamo difficoltà a conviverci, di solito queste sono proiezioni che fa il soggetto stesso, sono quindi, prima di tutto i suoi di sentimenti. La proiezione diventa una fonte di conflittualità in quanto produce rabbia. Secondo la Idler (1979), le reazioni che il malato può avere quando gli viene diagnosticata una malattia grave e terminale, sono di quattro tipi: − tendenza ad isolarsi, concentrandosi esclusivamente sul proprio corpo; − cristallizzazione della coscienza sul presente della malattia; − sfiducia nella forza di reazione del proprio corpo alla malattia; 102 − diminuzione delle capacità comunicative rispetto ai propri stati, con conseguente tendenza all’isolamento. Le reazioni appena elencate rappresentano delle indicazioni degli effetti che la malattia può avere sull’autorappresentazione che il soggetto ha di sé. La malattia non si esaurisce nell’ammalato, ma si estende al mondo dell’ammalato (famiglia, amici, lavoro, etc…). “Vivere” una malattia cronica è sensazione che coinvolge corpo e psiche (Charmaz, 2000). La malattia cronica pone al soggetto molti più problemi sociali, di interazione ed esistenziali di una malattia acuta. Comprendere l’esperienza di malattia cronica significa andare oltre lo stress fisico, la conoscenza dei sintomi e il bisogno di cure, ma include le metafore e i significati che accompagnano la malattia, i giudizi morali che ne possono scaturire e la ricostruzione del sé. Infine, possiamo dire, che anche come si vive con una malattia cronica, come la si affronta, risente delle influenze culturali e delle credenze (Calnan, 1987; Crawford 1984; Fitzpatrick et al. 1984). Nancy Waxler (1981) porta ad esempio gli etiopi, che considerano la malattia con fatalismo, qualcosa contro cui non si può fare niente, inoltre, l’ammalato abbandona i suoi familiari, la sua casa ed adotta volontariamente un’identità stigmatizzante. Al contrario, gli americani tendono a pubblicizzare la malattia e, a seconda della malattia, diventa un modo per educare altri verso quella malattia e i rischi che se ne corrono. Un tipico esempio sono le lezioni ai liceali contro l’AIDS e certi tumore, come ai polmoni e al fegato, da parte di malati. Quindi, il contesto storico, culturale, sociale ed istituzionale influenza il significato della malattia. In ogni società, le persone malate imparano qual è il ruolo che la società si aspetta da loro. Le azioni assumono valore in relazioni al contesto nel quale si vive. Gli atteggiamenti cambiano nella fase avanzata della malattia, quando subentra un forte dolore ed i trattamenti e le terapie non sortiscono gli effetti sperati, e provocano inevitabili, profonde riflessioni sulla morte. 103 Ciò che aspetta al malato di tumore è un faticoso cammino caratterizzato da una continua ricostruzione del percorso di vita, un cammino personale, compiuto attraverso il dolore e la sofferenza. Tuttavia, anche nel caso in cui si riesca a vincere la malattia, anche a distanza di anni, rimangono effetti fisici e soprattutto psicologici. Rimane la sensazione di incertezza ed il timore di recidive. La vita prosegue segnata dalle visite ambulatoriali e dai controlli di follow-up. In ogni caso, tutto è condizionato dalle caratteristiche della personalità del soggetto. Ciascuna persona può decidere di lasciarsi sopraffare o meno dai risvolti invalidanti della malattia. 104 Capitolo 3 Modelli assistenziali 3.1. Le politiche Nella Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea si riconosce il diritto all’assistenza sociale, alla prevenzione sanitaria e alle cure mediche, oltre che alla presa in considerazione delle condizioni lavorative che possono influire sulla salute. Le disuguaglianze di salute sono una delle quattro priorità dell’iniziativa della Commissione Europea sulla salute dei giovani, lanciata nel 2009. Il Consiglio Europeo del giugno 2008 ha sottolineato l’importanza di ridurre le disuguaglianze in materia di salute, che esistono tra gli Stati membri e al loro interno ed ha deciso di sostenere gli Stati membri nel far fronte a tale situazione. Il Consiglio, in più occasioni, ha insistito sull’obiettivo fondamentale di ridurre le disuguaglianze di salute, puntando l’attenzione soprattutto su un migliore accesso alle cure sanitarie e ai sistemi di prevenzione delle malattie, in particolare per quanto riguarda gli screening di prevenzione dei tumori. 105 La lotta contro le disuguaglianze di salute è tra le azioni fondamentali della Strategia Sanitaria dell’UE (2008 – 2013), che appunto identifica l’equità nella salute come un valore basilare delle nostre società, ed orienta la lotta in settori specifici, tra cui la salute mentale e il cancro. Le politiche dell’UE contribuiscono in vario modo nel sostenere gli Stati membri nella riduzione delle disuguaglianze di salute. Per esempio con politiche volte alla sostenibilità economica e alla solidarietà sociale, ma anche con politiche ambientali e di diritto del lavoro. L’UE concede aiuti finanziari attraverso il Fondo europeo agricolo, che possono essere utilizzati per ridurre le disparità tra regioni mediante investimenti in fattori come le condizioni di vita, i servizi di formazione e di occupazione, i trasporti e le tecnologie. Nonostante tutti i buoni propositi, le azioni attualmente in corso sembrano avere avuto un impatto limitato, e vi è il rischio che le differenze aumentino. Anche se, la responsabilità principale in materia di salute spetta agli Stati membri, l’UE dovrebbe utilizzare quanto più efficacemente possibile i meccanismi e gli strumenti di cui dispone nel controllare e valutare i progressi compiuti nell’applicazione di politiche specifiche. Un’equa distribuzione della salute dovrebbe essere parte integrante dello sviluppo sociale ed economico globale. Gli Stati membri dovrebbero impegnarsi a stabilire, in stretta collaborazione un insieme comune di indicatori per il controllo delle disuguaglianze di salute. L’UE da parte sua, potrebbe contribuire finanziando progetti pilota. Le azioni dell’UE dovrebbero essere indirizzate a sostenere l’ulteriore sviluppo e raccolta dati; orientare la ricerca comunitaria al fine di ridurre le lacune esistenti; porre l’accento sulla diffusione di buoni prassi. Un buon esempio dell’operato dell’UE è la strategia comunitaria di salute e sicurezza sul lavoro 2007-2012, che offre l’opportunità di ridurre le disuguaglianze di salute nell’UE proteggendo la salute dei lavoratori e riducendo l’impatto negativo di alcuni suoi determinanti. In Italia, è col Piano Sanitario Nazionale 1998 – 2000 che la riduzione delle disuguaglianze sociali nella salute entra formalmente nell’agenda 106 politica, ed è annoverata tra gli obiettivi prioritari. Nel Piano sono anche riconosciuti la scarsità di evidenze epidemiologiche sulle disuguaglianze in Italia. Il compito del sistema sanitario, in merito alle disuguaglianze di salute, è riconducibile a tre aspetti: • Non concorrere alla generazione delle disuguaglianze; • Cercare di ridurre l’impatto delle disuguaglianze sulla salute; • Promuovere politiche non sanitarie. Sempre nel Piano Sanitario Nazionale 1998 - 2000, viene riconosciuto il ruolo delle malattie croniche, considerate la nuova frontiera della medicina. A tal proposito si sottolinea che una categoria di persone sovente affette da patologie croniche, gli anziani, nel 2020 costituirà il 23% della popolazione italiana. La patologia cronica è la protagonista futura della medicina e della nostra società, per questo il Piano Sanitario le attribuisce attenzione prioritaria, in primis nominandola espressamente negli obiettivi II e IV, ma anche in tutte le parti riguardanti la prevenzione. Il PSN prevede la realizzazione di interventi domiciliari e residenziali a supporto dei malati, che anche se non hanno più possibilità di guarire, hanno comunque il diritto a ricevere tutte le cure possibili, nel tentativo di ridurre la sofferenza per migliorare la qualità del tempo che resta loro da vivere. Nel Piano Sanitario Nazionale 2006-2008 si ribadisce che un sistema sanitario ideale dovrebbe tendere alla sicurezza, all’efficacia, alla centralità del paziente, alla tempestività delle prestazioni, all’efficienza e all’equità. Per cui è necessario sviluppare un nuovo modello che comprenda i pazienti, i professionisti e l’organizzazione. Un punto saldo di tutto il Piano è quello di promuovere e garantire l’equità del sistema, intendendo con ciò il superamento delle disuguaglianze sociali e territoriali. Il tema del superamento del divario strutturale e qualitativo dell’offerta sanitaria tra le diverse realtà 107 regionali rappresenta ancora un asse prioritario nella programmazione sanitaria nazionale. Tra i tanti temi trattati nel PSN, in corrispondenza con i cambiamenti nel sistema salute e in campo epidemiologico, si parla delle malattie croniche, e si riconosce la necessità dell’integrazione socio-sanitaria per trattare queste patologie. L’evoluzione della domanda di salute pone la necessità di intervenire in modo diverso. La risposta al bisogno di unitarietà del processo di cura si realizza attraverso lo sviluppo di percorsi integrati e di continuità delle cure. L’oncologia rappresenta una delle priorità del sistema salute in ambito nazionale, vista l’alta incidenza e la prevalenza delle patologie tumorali. Per questo, sia a livello nazionale che regionale, da tempo si è orientati verso una programmazione che migliori tutti gli aspetti della lotta contro il cancro, sia per quanto riguarda la prevenzione che per la qualità dell’assistenza e della ricerca. Il Ministero della Sanità ha sviluppato un Piano triennale oncologico (2010 – 2012). Tale piano oncologico cerca di affrontare tutti i problemi connessi all’oncologia, dalla prevenzione alle cure palliative. Obiettivo prioritario è quello di offrire standard diagnostici e terapeutici sempre più elevati e per tutti, riducendo il gap esistente tra le diverse aree della penisola. Le azioni programmatiche per il triennio sono (vedi Fig. 1): • Definire standard di qualità e metodiche per la loro valutazione al fine di ridurre la mortalità per cancro; • Ridurre il divario nella mortalità per cancro fra le Regioni, mediante un più razionale impiego delle risorse; • Ridurre la migrazione sanitaria tra le varie Regioni, favorendo la riduzione del divario tecnologico, organizzativo ed assistenziale; • Incrementare la copertura da parte dei Registri Tumori; • Facilitare la creazione di reti telematiche dei Registri Tumori; 108 • Sviluppare reti oncologiche con modelli Hub & Spoke, dedicate in particolare allo sviluppo e all’applicazione di nuove metodologie diagnostiche e terapeutiche. Le politiche attuate per ridurre l’insorgenza dei tumori, decise a livello europeo, riguardano i seguenti settori: • Combattere il fumo; • Promuovere un’alimentazione salubre e l’attività fisica; • Combattere l’uso dell’alcool; • Combattere gli agenti infettivi oncogeni; • Combattere l’esposizione ad oncogeni negli ambienti di vita e di lavoro; • Sviluppo tecnologico. L’altro punto fondamentale da rafforzare è quello degli screening. I “Programmi organizzati di screening” sono inclusi dal 2001 nei Livelli Essenziali di Assistenza, in particolare per i tumori alla mammella, alla cervice uterina e al colon – retto. A tal fine, il Piano Oncologico prevede di definire un programma nazionale, in accordo con le Regioni, per la sperimentazione di innovazioni nei modelli organizzativi per i programmi di screening. Per quanto riguarda la continuità assistenziale, gli obiettivi del Piano Oncologico mirano ad ottimizzare la gestione dei percorsi diagnostico terapeutici. Deve essere garantita la presa in carico globale del malato fin dall’inizio del percorso terapeutico, l’approccio integrato vede come obiettivo la cura del malato e non solo del tumore. L’umanizzazione delle cure si realizza attraverso una collaborazione profonda tra operatori di diverse discipline e con la partecipazione, nelle scelte terapeutiche, del malato e dei familiari. In questo modo si può assicurare alla persona malata e alla sua famiglia una migliore qualità di vita durante tutte le fasi delle cure e dell’assistenza. Il mantenimento della migliore qualità di vita possibile costituisce una priorità sia medica sia sociale. 109 Fig. 1. Azioni Programmatiche Triennio 2010 – 2012 Fonte: Ministero della Salute, 2010. Gli Stati che hanno adottato politiche di prevenzione e programmi di screening hanno raggiunto risultati apprezzabili. Per esempio, per il tumore al seno, la forma di cancro più comune tra le donne dei Paesi occidentali, il tasso di mortalità è in diminuzione e quello di sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi è cresciuto (OECD, 2007) (vedi. Fig. 2). 110 Fig. 2. Screening mammografico, percentuale di donne età 50-69 anni Norvegia Finlandia Svezia Paesi Bassi Irlanda Francia Canada Regno Unito Nuova Zelanda Islanda Stati Uniti Portogallo Italia Belgio Australia Ungheria Korea Svizzera Repubblica Ceca Messico Slovacchia Polonia Giappone 0 20 40 60 80 100 Fonte: OECD, 2007. Il tumore al seno, rappresenta il miglior esempio di come la combinazione di interventi di sanità pubblica e l’avanzamento della tecnologia medica, possano realmente portare al miglioramento della sopravvivenza. Una promozione maggiore consapevolezza della malattia e la degli screening mammografici hanno portato all’individuazione della malattia a stadi precoci, mentre i progressi tecnologici e chirurgici hanno elevato il tasso di sopravvivenza. Lo stesso si può dire per il tumore al colon retto e alla cervice, dove si sono registrati tassi di sopravvivenza in aumento, grazie appunto ai programmi di screening e di diagnosi precoce. La persona affetta da patologia cronica, nonostante non sia in grado di poter essere guarita, ha comunque dei diritti, ribaditi con forza anche dall’OMS, e che gli operatori sanitari devono rispettare. Oltre 111 ovviamente al diritto prioritario, che rientra nei diritti fondamentali della persona ad essere curata anche se inguaribile, ha il diritto: − a non venire trascurata, in quanto non costituisce un caso scientificamente interessante; − a non vedersi negati ausili che l’aiuterebbero a vivere meglio; − a non venire trasferita in modo forzato, a seconda della disponibilità di posti letto, magari lontana da casa e dagli affetti; − ad essere ascoltata quando esprime parere su ciò che la riguarda direttamente. Sicuramente, un altro diritto da rispettare è il diritto a non essere segregati dalla vita sociale, soprattutto per persone giovani. Spesso i medici tendono a concentrarsi solo sulle cure, con la conseguenza di medicalizzare tutto e non tengono in considerazione la necessità della persona di potere avere ancora una vita. Un altro diritto, molto importante per le persone, è la possibilità di poter essere curate al proprio domicilio. Le cure domiciliari sono un ottimo rimedio contro la depressione. Proprio per questo i migliori programmi di aiuto e supporto sono quelli che prevedono l’assistenza domiciliare integrata, realizzata appunto garantendo la continuità terapeutica tra ospedale e territorio, per accompagnare e sostenere il paziente nel suo spazio di vita. Per poter fare ciò è essenziale un buon livello organizzativo della struttura sanitaria territoriale. 3.2. Nuovi modelli di cura Il cambiamento verificatosi nella transizione epidemiologica, con lo spostamento da malattie acute a malattie croniche, necessita anche di una revisione dei modelli assistenziali. I nuovi modelli sono il risultato del cambiamento dell’assetto del sistema sanitario, caratterizzato dallo spostamento del baricentro 112 dall’ospedale al territorio. Sono stati molti i fattori che hanno contribuito a modificare il rapporto tra bisogno/domanda di salute e offerta dei servizi, tra cui il cambiamento della struttura della famiglia, l’aumento delle patologie croniche, il potenziamento della medicina e della tecnologia. C’è la necessità di implementare una nuova medicina che riesca ad intervenire prima dell’evento acuto, cioè nella prevenzione e nell’identificazione precoce dei soggetti a rischio e con azioni volte allo sviluppo di reti integrate. Questi obiettivi rimettono in discussione il ruolo dell’assistenza primaria e dei medici di famiglia e puntano a strumenti di management aziendale, quali lo sviluppo dell’associazionismo medico, la ridefinizione delle funzioni della medicina di famiglia, la definizione di percorsi per patologia, l’attivazione di sistemi di programmazione e controllo e lo sviluppo di sistemi informativi. L’aumento dei malati cronici sta creando un’emergenza per i sistemi sanitari e il sempre maggior numero di persone ammalate di tumori richiede sempre più servizi specialistici. Oggi di tumore si vive a lungo e il concetto di cancro come sinonimo di morte è superato. Proprio per questo, i sistemi sanitari devono adoperarsi per dare alle persone affette da patologia oncologica la possibilità di recupero o di mantenimento della massima autonomia fisica e relazionale, per la migliore qualità di vita possibile. Avendo come assunto prioritario quello della qualità della vita, le cure devono avere un approccio rivolto ad incontrare i bisogni dei cittadini. È importante privilegiare un atteggiamento che superi il concetto di “cure” per approdare al “care”, sviluppare, quindi modelli assistenziali orientati ad implementare ciò che è già presente. Modelli caratterizzati dall’empowerment del paziente, volti quindi ad aiutare i partecipanti a trattare autonomamente la sintomatologia nelle sue manifestazioni più comuni e frequenti. Il nuovo modello culturale della cura, caratterizzato dalla “presa in carico” dei pazienti (patient centred) opera per contenere il 113 deterioramento del soggetto, alleviare la sofferenza, sostenere le risorse esistenti, rendere accettabili i restanti giorni di vita. Ciò che deve essere centrale è la rilevanza significativa alla presa in carico del singolo paziente, sia per quanto riguarda la prevenzione, sia la continuità di cura in fase diagnostica e terapeutica. È necessario un approccio multidisciplinare che prevede valutazione collegiale e l’elaborazione di per ogni paziente una un indirizzo diagnostico terapeutico, nel quale tutte le competenze professionali utili siano coinvolte. Per il paziente, il vantaggio della rete, è di poter trarre benefici dalle conoscenze e dall’esperienza dei vari specialisti e quindi di veder applicata al proprio caso la terapia migliore, oggi disponibile. La classe medica, oggi, si trova a dover fronteggiare richieste sempre più pressanti, da parte di pazienti/cittadini sempre più informati e che pretendono un percorso trasparente per quanto riguarda le condizioni cliniche e la determinazione del loro valore. In passato, il medico era l’esperto, il professionista che sapeva e si collocava in posizione superiore rispetto al paziente. Col nuovo modello di cura, rivolto ai pazienti affetti da malattie croniche, intervengono più professionisti, si instaurano relazioni multiple e variegate. Non è più una relazione duale, medico-paziente, nel percorso di cura si inseriscono anche i familiari e gli operatori di altri servizi. È fondamentale cooperare, gestire le micro conflittualità e offrire tutti i supporti per promuovere autonomie. La collaborazione e la sinergia degli operatori (medici di medicina generale, specialisti, pediatri, specialisti ambulatoriali) in forme organizzate a garanzia della continuità della cura, non costituisce più una scelta fondata sulla libera iniziativa dei singoli, ma è considerata essenziale. Si verifica, quindi, un cambiamento di modello, da uno in cui il centro dell’attenzione era la malattia ad un nuovo modello in cui si valorizza il paziente e le sue capacità residue (vedi Fig. 3). 114 Fig. 3. Modelli culturali di cura Fonte: Modificato da ASR – Emilia Romagna. Applicare alle malattie croniche il paradigma assistenziale delle malattie acute provoca danni incalcolabili (Maciocco, 2008), in quanto, secondo quel paradigma, il sistema sanitario si mobiliterebbe davvero solo nel momento in cui il paziente si aggrava e, quindi, diventa un paziente acuto. Così facendo si salta tutta la parte, fondamentale, della prevenzione e rimozione dei fattori di rischio e del trattamento adeguato della malattia cronica di base. La malattia cronica richiede, oltre alla presenza di centri di eccellenza, la capacità solidale dell’intera comunità di appartenenza. Per garantire la continuità della cura, specie nelle fasi avanzate e terminali della malattia, è necessario un coordinamento nel passaggio dall’ospedale ai servizi territoriali, in collaborazione con le famiglie ed il volontariato. In questo contesto, assume particolare importanza l’organizzazione su tutto il territorio nazionale di una rete di cure domiciliari. Il modello organizzativo assistenziale del case management si propone come strumento empirico, nella realizzazione di percorsi di 115 cura, che favoriscono l’efficacia e il controllo dei costi e che risponde in modo individualizzato ai bisogni di salute. Diverse sono le definizioni date del case management: sistema di accertamento, pianificazione, fornitura, erogazione, coordinamento dei servizi e monitoraggio dei bisogni; ma anche modello organizzativo assistenziale che ha lo scopo di provvedere alla qualità delle cure, aumentare la qualità della vita, diminuire la frammentazione e contenere i costi dell’assistenza. Utilizzando tale modello, si possono ottimizzare i livelli di autocura, fornire qualità e continuità nella cura e di conseguenza accrescere la qualità della vita del paziente. Il case management si profila come la migliore risposta a pazienti con bisogni molteplici e percorsi assistenziali molto lunghi. L’approccio del case management è quello di considerare i pazienti come soggetti che stanno vivendo un percorso di malattia, allontanandosi così dalla concezione di vedere i pazienti attraverso le cure erogate in modo frammentario ed episodico. Uno degli strumenti del case management è i clinical pathways, cioè dei percorsi di cura integrati che definiscono l’attività clinico – assistenziale multidisciplinare, sulla base di linee guida e di evidenze scientifiche. In concreto, i clinical pathways permettono di tradurre nella pratica clinica le indicazioni contenute nelle linee guida. I clinical pathways possono essere definiti come la trasposizione dei percorsi in un preciso iter multidisciplinare, allo scopo di ottenere la massima efficacia ed efficienza delle attività. Tutti gli Stati stanno sperimentando nuovi modelli assistenziali per rispondere alle nuove necessità dei propri cittadini ammalati. Il Regno Unito, si è contraddistinto come sempre nelle innovazioni in campo sanitario. Recentemente il Ministero della Sanità britannico, ispirandosi al Chronic Care Model statunitense (cfr. par. 3.3) ha elaborato un proprio modello di assistenza sociosanitaria per i pazienti cronici, da implementare nel National Health Service. 116 Il modello chiamato “Improving chronic disease management” punta all’empowerment del paziente e della comunità e alla qualificazione del team assistenziale. In questo modello la salute della popolazione viene divisa in tre livelli di necessità assistenziali: − Supported self-care: che riguarda circa il 70-80% della popolazione. Fornendo il giusto supporto alle persone, possono imparare a prendersi cura di se stessi, convivere e gestire la propria condizione. Questo può aiutare a prevenire complicanze e rallentare il deterioramento. La maggioranza delle persone con una malattia cronica rientra in questa categoria, quindi anche i piccoli miglioramenti possono avere grossi impatti positivi. − Disease specific care management: che coinvolge circa il 1520% della popolazione e sono i pazienti cronici ad elevato rischio. Un’assistenza di alta qualità viene fornita da un team multidisciplinare, in tal modo la gestione della cura è appropriata per la maggior parte delle persone incluse in questo livello. L’assistenza segue protocolli approvati e percorsi specifici per quella patologia. L’approccio su cui si basa è di tipo proattivo. − Case management: che riguarda circa il 2-3% dei pazienti cronici ad elevata complessità. Quando compaiono più condizioni croniche (comorbidità), la presa in carico del paziente diventa più complessa e difficile da gestire. Questo richiede una gestione del caso con un operatore chiave, di solito un infermiere, che gestisce attivamente l’assistenza per queste persone (vedi Fig. 4). 117 Fig. 4. Disease Management Fonte: Department of Health, Government of United Kingdom, 2005. Tale modello rientra nella strategia di “Population management”, in cui rientra oltre ai sopradescritti livelli di salute della popolazione, le risorse della comunità, i sistemi informativi e i servizi sanitari e sociali. L’erogazione dei servizi è caratterizzata da quattro approcci assistenziali: promoting better health; supported self-care, disease management e case management (vedi Fig. 5). Si introduce così una gestione programmata dei pazienti cronici attraverso un nuovo disegno del team assistenziale, nel quale si valorizzano tutte le figure sanitarie. 118 Fig. 5. Modello britannico di assistenza sociosanitario a pazienti cronici Fonte: Department of Health, Government of United Kingdom, 2005. Il modello inglese appena presentato si presenta come un’infrastruttura a supporto del sistema di erogazione. È stato implementato nel 2005 e da allora è diventato linea guida per i servizi territoriali del National Health Service. La nuova sanità ha bisogno oltre che di tecniche e tecnologie avanzate, di professionisti competenti e aggiornati alle più recenti evidenze scientifiche e di un’alta dose di umanità. C’è ancora molto da riflettere su come gestire questo tipo di patologie e l’obiettivo più importante da raggiungere è senz’altro ancora quello di migliorare la qualità dell’assistenza di questi pazienti. I bisogni del malato oncologico non si esauriscono nel disporre della migliore terapia che offre la scienza, è indispensabile agire nell’ottimizzare ogni fase della malattia, fino al ritorno alla vita sociale. 119 3.3. Il Chronic Care Model I cambiamenti verificati negli ultimi anni hanno ormai confermato la necessità dell’acquisizione di nuovi strumenti di lettura. Una solida letteratura scientifica ha ormai dimostrato che adeguati interventi potrebbero ridurre il pesante carico delle malattie croniche. Obiettivo a cui tendere sempre, in ogni caso, deve essere il miglioramento degli esiti. Si sta diffondendo un nuovo Health System, cioè una cultura basata su un’organizzazione e meccanismi che promuovano un’assistenza sicura e di alta qualità. Una radicale innovazione nel modello assistenziale fornito ai malati cronici è rappresentato dal “Chronic Care Model” elaborato dal Professor Wagner, direttore del MacColl Institute for Healthcare Innovation di Seattle. Inizialmente il modello è stato sperimentato presso una Managed Care Organization (MCO), la Group Health Cooperative. Il modello propone dei cambiamenti a livello dei sistemi sanitari, utili a favorire il miglioramento delle condizioni dei malati cronici. Il fulcro su cui si basa è un approccio “proattivo” tra il personale sanitario e i pazienti stessi, e quest’ultimi diventano parte integrante del processo assistenziale. Il Chronic Care Model individua le variabili fondamentali che servono per creare un approccio sistemico che include tutte le leve organizzative ed operative. Il modello è basato su sei elementi fondamentali (vedi Fig. 6), sui quali è necessario intervenire per fornire la migliore assistenza possibile ai malati cronici: − Le risorse della comunità (Community); − Le organizzazioni sanitarie (Health System); − Il sostegno all’autocura (Self-Management Support); − L’organizzazione del team (Delivery System Design); 120 − Il sostegno alle decisioni (Decision Support); − I sistemi informativi per tentare di valutarne la fattibilità di applicazione allo specifico contesto nazionale (Clinical Information Systems). Fig. 6. Il Chronic Care Model Fonte: Wagner, 1996. Partendo dal primo punto, le risorse della comunità, è ovvio che per migliorare l’assistenza ai pazienti cronici è necessario stabilire solidi collegamenti tra le organizzazioni sanitarie, le risorse della comunità, i gruppi di auto aiuto e quelli di volontariato. Spingere le organizzazione sociali a sviluppare interventi che riempiano le mancanze nei servizi. Inoltre, una volta mobilizzate le risorse della comunità, si deve incoraggiare i pazienti a partecipare ad efficaci programmi sociali. La gestione delle malattie croniche dovrebbe entrare a far parte delle priorità dei finanziatori e degli erogatori dell’assistenza sanitaria. La nuova cultura organizzativa promuove un visibile miglioramento 121 supportato ad ogni livello dell’organizzazione. Serve a promuovere efficaci strategie di miglioramento, finalizzate ad un globale cambiamento del sistema. Se ciò non si verifica, difficilmente saranno introdotte le necessarie innovazioni nei processi assistenziali e nelle organizzazioni sanitarie e ancora più difficilmente si raggiungerà la giusta qualità dell’assistenza. Per quanto riguarda il supporto all’autocura, vuol dire che il paziente con una malattia cronica diventa il protagonista attivo del proprio processo di cura. È il paziente che deve imparare a vivere con la malattia e quindi a gestirla, soprattutto negli aspetti inerenti l’uso dei farmaci e lo stile di vita. Il sostegno all’auto cura significa aiutare i pazienti e i loro familiari ad acquisire abilità nel management della malattia, nel risolvere eventuali problemi che si presentano e nel valutare i risultati. I medici ospedalieri, i medici di base, gli infermieri costituiscono il team assistenziale. Rispetto alle cure fornite ai pazienti con malattie acute, l’organizzazione del team deve essere profondamente rivista. Il personale medico non è formato per supportare l’auto cura dei pazienti, mentre il personale non medico è adibito a quello, a svolgere alcune specifiche funzioni e assicurare lo svolgimento del follow up dei pazienti. Insieme formano il personale del team. Le visite programmate sono uno degli aspetti più significativi del nuovo disegno organizzativo del team. I ruoli e i compiti devono essere ben definiti e distribuiti fra i membri del team. Infine, è fondamentale assicurarsi che il paziente abbia capito tutto e che le spiegazioni fornite siano corrispondenti al suo background culturale. Le linee guida basate sulle evidenze forniscono al team gli standard da seguire per un’assistenza ottimale ai pazienti cronici e aiutano il team nel prendere decisioni. Ogni decisione presa o assistenza clinica fornita deve essere in accordo con le evidenze scientifiche, ma le linee guida devono essere integrate con la pratica clinica quotidiana. Inoltre, la condivisione delle linee guida e delle informazioni col paziente, permette ed incoraggia la sua partecipazione. 122 I sistemi informativi computerizzati fungono da: 1. sistema di allerta che aiuta i team delle cure primarie ad attenersi alle linee guida; 2. feedback per i medici, mostrando i livelli di performance nei confronti degli indicatori delle malattie croniche; 3. registri di patologia per pianificare la cura individuale dei pazienti. La registrazione dei dati relativi ai pazienti e alle popolazioni facilita un’assistenza efficace ed efficiente (vedi Tab. 1). 123 Tab. 1. Sintesi delle prove dell’efficacia dei componenti del Chronic Care Model Componenti Interventi che si sono Risultati attesi misurati dimostrati efficaci Sostegno all’autocura Istruzione del paziente; Misure fisiologiche della Motivazione del paziente; malattia; Counselling; Fattori legati al paziente: Distribuzione di materiale qualità della vita, stato di educativo. salute, stato funzionale, soddisfazione del servizio, comportamenti a rischio, conoscenze, adesione al trattamento. Organizzazione del team Team multidisciplinare Misure fisiologiche della malattia; Adesione dei professionisti alle linee guida; Uso dei servizi da parte dei pazienti. Sostegno alle decisioni Implementazione delle linee Adesione dei professionisti guida; alle linee guida; Incontri educativi con i Misure fisiologiche della professionisti; malattia. Distribuzione di materiale educativo tra i professionisti. Sistemi informativi Audit e feedback Aderenza dei professionisti alle linee guida. Organizzazioni sanitarie Piccole pubblicazioni sperimentali delle evidenze. Risorse della comunità Piccole pubblicazioni sperimentali delle evidenze. Fonte: Nostra traduzione da European Observatory on Health Systems and Policies Series, 2008. 124 Le sei componenti del Chronic Care Model appena descritte sono interdipendenti, costruite l’una sull’altra. Però, mentre le prime due componenti sono caratterizzate da una forte valenza politica, gli ultimi quattro caratterizzano il percorso assistenziale dei pazienti affetti da disturbi cronici. Secondo il Chronic Care Model, informare i pazienti e fornire loro un valido supporto all’autocura è un processo di fondamentale importanza per il raggiungimento di un miglior stato di salute, nonostante il permanere della malattia. L’organizzazione del percorso assistenziale deve garantire un perfetto coordinamento tra tutto il personale sanitario, compreso quello non medico. Il personale d’aggiornamento sanitario continuo ed deve ogni poter decisione accedere clinica a deve fonti essere supportata da linee guida che, garantiscano la massima efficacia del trattamento assistenziale. Proprio per questo è essenziale anche un ampio sistema di informazioni cliniche digitali che fornisca dati relativi a pazienti affetti da disturbi cronici. Consultando il database si potrà mettere a punto un piano individualizzato di assistenza e le migliori strategie. L’obiettivo finale del Chronic Care Model è quello di creare un paziente informato che interagisce con un team appositamente formato e proattivo, per il raggiungimento di un’assistenza di alta qualità, un’utenza soddisfatta e miglioramenti nello stato di salute della popolazione. Il Chronic Care Model rappresenta un’ottima ed efficace guida per migliorare l’assistenza ai pazienti cronici. Uno studio di Tsay e colleghi (2005) sull’applicazione del Chronic Care Model in 112 studi controllati randomizzati e non randomizzati su malati cronici è giunto alla conclusione che negli interventi in cui era presente almeno un elemento del modello gli outcome clinici erano migliori. Il Chronic Care Model prevede un continuum assistenziale tra le strutture ospedaliere ed i servizi territoriali e si propone di erogare un’assistenza più qualificata al paziente dopo la dimissione ospedaliera. 125 La maggiore novità introdotta da questo modello consiste nella formazione, sul territorio, di personale sanitario esperto per una determinata patologia, ma soprattutto la formazione del “paziente esperto”, non più oggetto della malattia, ma soggetto attivo nella gestione della propria patologia. Un paziente educato all’autogestione e informato sulle problematiche della sua patologia, che può essere in grado di affrontarle e gestirle coscientemente, con aumentata compliance. Il sistema di valutazione si basa su determinati aspetti centrali (Noto, Di Stanislao, 2006): − un focus sul paziente e sul suo progetto individuale di salute, costruito attraverso un patto terapeutico personalizzato, che considera sia la malattia clinica (disease) che quella vissuta (illness); − un focus sugli esiti effettivamente raggiungibili e sui processi attivati; − un focus sul sistema organizzativo, cioè su quanto l’organizzazione riesca a compiere nella direzione sistemica indicata dal Chronic Care Model. Negli USA alcune tra le più importanti Health Maintenance Organization hanno come riferimento il Chronic Care Model. Lo stesso staff del MacColl Institute dopo aver visto i risultati positivi ottenuti dal loro modello ha pensato ad alcuni cambiamenti che rendessero il modello più facilmente esportabile in altre Regioni. Ogni Stato sulla base di quelle che sono le caratteristiche della propria popolazione e della propria comunità può proporre un differente framework per migliorare la qualità e l’efficienza dei propri sistemi sanitari. Il nuovo framework (vedi Fig. 7) deve essere basato su componenti specifiche, a partire dalle iniziative regionali. 126 Fig. 7. Framework per la creazione di un Sistema Sanitario Regionale Fonte: MacColl Institute for Healthcare Innovation. Nel nuovo quadro proposto, letto dall’alto al basso, gli obiettivi fondamentali rimangono: • migliorare la qualità delle cure e dei risultati in una popolazione, in particolare per i malati cronici; • ridurre i costi delle cure, maggiore efficienza amministrativa, ma mantenendo sempre il miglioramento degli esiti. Per raggiungere questi ambiziosi obiettivi serve una riprogettazione importante dei nostri attuali sistemi di assistenza sanitaria. In breve tempo il modello è stato importato in Europa, con alcuni aggiustamenti a seconda delle caratteristiche del Paese. Rimane, comunque, centrale l’approccio volto alla tutela della salute per il paziente cronico (vedi Fig. 8). 127 Fig. 8. Approccio volto alla tutela della salute Fonte: MacColl Institute for Healthcare Innovation. Gli elementi fondamentali del modello restano quasi sempre gli stessi, cambia la disposizione, la complessità e il ruolo dei vari fattori. Per esempio, nel 2000 lo stato australiano del New South Wales (NSW) ha istituito un programma per le cure croniche. Tra le attività messe in atto, la nomina di coordinatori di cura per le persone con patologie croniche, con lo scopo di incoraggiare approcci con team multidisciplinari, che coinvolgono medici, infermieri e altri professionisti del settore sanitario. L’esperienza della prima fase del programma era mista, così nella seconda fase si è adottato un approccio più ampio, volto a sviluppare un NSW Chronic Care Model. Sono ancora in corso i lavori di questa seconda fase, che dovrebbe disegnare, in linea anche con le indicazioni del WHO, un Chronic Care Model applicabile al contesto locale. Anche in Italia, alcune ASL stanno cominciando a sperimentare il Chronic Care Model. Per esempio è stato adottato dall’ASL 10 Firenze con la Società della Salute Sud-Est, con l’obiettivo di migliorare la qualità della vita del paziente cronico. Per il momento il progetto è stato 128 sperimentato su pazienti affetti da scompenso cardiaco, diabete, nefropatia, riportando buoni risultati. 129 Conclusioni Il tema delle disuguaglianze di salute si trova nell’intersezione di più discipline: la sociologia e l’epidemiologia che le descrive, la medicina che vuole contrastarle, l’economia per i danni economici e la politica che ha il dovere di ridurle. L’intento di fondo di questo lavoro è stato quello di farle incontrare al fine di descrivere come e dove possono nascere le disuguaglianze di salute, e di verificare in che misura sono documentate e presenti nel nostro Paese. Misurare le disuguaglianze in materia di salute è il primo passo fondamentale per contrastarle. Nonostante il fatto che esistono prove solide in una serie di ambiti, è necessario disporre di informazioni più particolareggiate sull’effetto e sull’importanza dei vari determinanti della salute per intraprendere azioni efficaci in rapporto a particolari gruppi di popolazione. È necessario conoscere meglio l’efficacia delle varie politiche volte a combattere le disuguaglianze. Pur essendo state effettuate numerose prove sull’efficacia degli interventi in materia di salute pubblica, solo per pochi interventi sono stati specificatamente valutate le ripercussioni sulla salute di gruppi sociali specifici o zone geografiche. La mancanza di dati normalmente disponibili e comparabili e le carenze nella ricerca costituiscono un ostacolo nel valutare l’attuale situazione, determinare le priorità politiche, stabilire confronti, 130 individuare le migliori prassi e attribuire risorse dove sono maggiormente necessarie. I dati esistenti e quelli futuri dovrebbero essere utilizzati per mettere a punto misure delle disuguaglianze di salute che consentano di effettuare confronti tra vari periodi e varie zone. La letteratura esistente riguardo alle disuguaglianze sociali nella salute dimostra la chiara esistenza di un’associazione tra livello socioeconomico e stato di salute ed un gradiente di salute regolare lungo tutta la scala sociale e per un’ampia varietà di patologie. La presenza di un gradiente sociale nella salute che attraversa tutto l’assetto sociale lascia supporre l’esistenza di molteplici fonti di disuguaglianza che si intersecano. Le ipotesi fatte in merito sono tante, ed è quindi auspicabile che gli studi proseguano, ma sicuramente la considerazione del tenore di vita degli individui resta un’ipotesi valida ed influente. L’obiettivo idealistico dovrebbe approccio ed una metodologia essere di quello di analisi che sviluppare un tenga conto contemporaneamente di variabili tradizionali e di quelle nuove, dei concetti di classe e di reddito, ma anche degli aspetti relativi alle situazioni di vita degli individui, come i nuovi legami sociali o le nuove povertà e fragilità. Dall’analisi effettuata si nota che, anche in Italia, un segnale forte, è sicuramente il ruolo degli stili di vita, soprattutto per certe malattie, che è in effetti possibile collegare alla condizione socioeconomica. Dall’analisi dei dati, però, purtroppo non è stato possibile trovare un’associazione statisticamente significativa per l’incidenza dei tumori e lo status sociale, come invece è possibile in altri Paesi europei. Gli studi su questo tema nel nostro Paese sono ancora scarsi, nonostante si riconosca l’importanza di fattori esterni alla medicina nell’insorgere del cancro. Gli studi italiani, sembrano molto più concentrati sulle differenze geografiche e territoriali che ancora persistono in modo invasivo, su più campi, inclusi i tumori. 131 Il Sud Italia presenta tutt’ora un profilo di salute peggiore del resto d’Italia. Per quanto riguarda i tumori, è registrata una minore incidenza, ma una maggiore mortalità. Inoltre, gli abitanti delle Regioni meridionali sono spesso costretti ad una migrazione sanitaria, aggiungendo così anche la difficoltà di doversi spostare, cosa non sempre economicamente possibile per tutti, e la sofferenza della lontananza dagli affetti. Per quanto riguarda il Sistema Sanitario è emerso che suo ruolo è minore nel generare le disuguaglianze di salute, un ruolo predominante spetta ai fattori sociali. Anche per quanto riguarda le malattie croniche, e nei tumori nello specifico, abbiamo visto quanta parte abbiamo i fattori non medici. Ma una volta comparsa la malattia, la differenza la fa l’organizzazione sanitaria, che deve appunto modellarsi sulle nuove necessità e fornire nuovi modelli assistenziali. Qui sta la differenza. Un ruolo forte spetta alla disponibilità di nuove forme di assistenza, modellate sui nuovi bisogni del paziente. Un malato che non ha solo bisogno di cure, ma di essere accolto nella sua totalità, con progetti integrati e che riconoscano la capacità residua del soggetto. I nuovi modelli di cura rappresentano il futuro dell’assistenza, su di essi si deve puntare, implementandoli nel rispetto anche delle diversità locali, adattandoli a sfruttare i punti di forza del contesto nel quale vengono inseriti. Per rispondere al bisogno sempre più crescente di cure di lunga durata, è necessario rivedere l’orientamento della ricerca e dello sviluppo in materia sanitaria, l’investimento di capitali, la formazione dei professionisti e le relazioni interpersonali. La malattia oncologica rappresenta una priorità per la sanità pubblica ed una sfida per la medicina. Un altro aspetto sul quale puntare e che acquista rilevanza prioritaria è la prevenzione e le campagne di screening, a partire proprio da quei gruppi sociali, che abbiamo visto, essere i più discriminati e soggetti alle disuguaglianze di salute. I tumori sono uno dei capitoli più importanti per la salute della società, ed è sempre più evidente che una adeguata attenzione alla 132 prevenzione e alla qualità delle cure sono in grado di modificare rispettivamente l’incidenza e la sopravvivenza in modo significativo; una buona quota di risultati di salute possono ancora essere ottenuti in questo modo nei prossimi anni. Se è vero che allo stato attuale della ricerca non si può far niente per arrestare questa nuova epidemia, il male del secolo, il sistema salute ha il dovere di sostenere e aiutare nel miglior modo possibile le persone che ne sono affette, nel trovare soluzioni alternative, nel rispetto della persona. 133 Riferimenti bibliografici AA.VV. (2008). “Il vissuto del malato cronico tra isolamento, “normalizzazione” e riduzione del capitale sociale. Tavola rotonda”. In Battisti, F., Esposito, M. “Cronicità e dimensioni socio-relazionali”. In Salute e Società, Anno VII – 3. Milano: Franco Angeli. AA.VV. (2010). Rapporto Osservasalute 2009. Roma: Università Cattolica del Sacro Cuore. Acheson, D., Barker, D., Chambers, J., Graham, H., Marmot, M., Whitehead, M. (1998). Independent inquiry into inequalities in health. Report. London: The Stationery Office. AIRTUM. (2009). “I tumori in Italia – Rapporto 2009. In Epidemiologia e Prevenzione. No. 33 luglio-ottobre, supplemento 1. 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