Le disuguaglianze in Italia

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Le disuguaglianze in Italia
Questioni di economia
Le disuguaglianze in Italia
Poche settimane fa l'Istat ha pubblicato il Rapporto annuale 2012 che illustra
l'evoluzione della vita economica e sociale del nostro paese. Tra i molti, interessanti temi
affrontati nel volume ci sembra molto significativo e importante, specialmente in questa
delicata fase congiunturale, quello relativo alle disuguaglianze cui è dedicato un intero
capitolo, il quarto. Di seguito, ne riportiamo, in forma sintetica, i principali contenuti.
Lo sviluppo del reddito medio di un Paese, pur fondamentale per conseguire
miglioramenti delle condizioni economiche e sociali dei cittadini, non assicura di per sé un
analogo miglioramento del benessere complessivo di questi ultimi. Ad esempio, un
aumento del reddito medio che porti benefici solo a una parte della popolazione può
accompagnarsi a un peggioramento del tenore di vita di molte altre persone. Per questo
occorre considerare, accanto all'aumento del reddito medio, anche la sua distribuzione.
Così, secondo le statistiche ufficiali, osserviamo che negli ultimi trent’anni la
disuguaglianza è aumentata in molti paesi avanzati, ivi compresa l’Italia. Peraltro, la
ricerca economica ha dimostrato che sussiste una relazione positiva tra equità e crescita:
con riferimento ai 27 paesi dell'Unione europea, si rileva che quelli che erano più
egualitari nel 2005 sono anche cresciuti di più nel periodo 2005-2010 e, soprattutto, alla
fine del periodo hanno raggiunto un prodotto pro capite superiore a quello degli altri.
L’Italia, purtroppo, mostra il più basso tasso di crescita di tutti i 27 paesi dell’Unione e
fa registrare un livello di disuguaglianza iniziale piuttosto elevato. Fra i paesi
dell’Europa occidentale e meridionale soltanto Portogallo, Regno Unito e Grecia erano
più disuguali dell’Italia nel 2005.
Vediamo, allora, in cosa consistono queste disuguaglianze che affliggono l'Italia,
rallentandone lo sviluppo economico. Esse riguardano la tassazione dei redditi,
l'istruzione, il genere, il lavoro, la famiglia, la salute, il territorio.
Dal punto di vista della tassazione dei redditi e dei suoi effetti redistributivi, l’insieme
degli sgravi e agevolazioni previsto dalla normativa italiana è divenuto negli anni, a
seguito di modifiche che si sono sommate nel tempo, talvolta contraddicendosi, molto
eterogeneo, finendo per determinare una sorta di “personalizzazione” dell’imposta. Ne
segue un’alterazione del regime generale di progressività e una distorsione nel
perseguimento degli obiettivi di equità.
Naturalmente, l’equità non va misurata unicamente in termini di distribuzione del
reddito, ma soprattutto rispetto alla distribuzione delle opportunità. Purtroppo, le
disuguaglianze evidenziate dalla analisi della distribuzione dei redditi non vengono
sufficientemente aggredite dalla mobilità sociale. L’Italia è tuttora un paese caratterizzato
da una scarsa fluidità sociale. La classe sociale di origine influisce in misura rilevante sul
risultato finale, determinando rilevanti disuguaglianze nelle opportunità offerte agli
individui: tutte le classi (in particolare quelle poste agli estremi della scala sociale)
tendono a trattenere al loro interno buona parte dei propri figli. Confrontando i giovani
delle generazioni entrate entro i 25 anni nel mondo del lavoro, risulta che le opportunità di
miglioramento della propria condizione sociale rispetto a quella del padre (mobilità
ascendente), cresciute in passato per tutte le generazioni, fino a quelle nate negli anni
‘50, si sono poi ridotte per le generazioni successive, cioè quelle di chi oggi ha meno di
50 anni. Contestualmente, il rischio di peggiorare rispetto alla condizione del padre
(mobilità discendente, anche questa misurata al momento del primo lavoro), che si era
ridotto per lungo tempo, segna un incremento per i nati dalla seconda metà degli anni
‘50, che si fa più marcato a partire dai nati dalla seconda metà degli anni ‘60 in poi.
Il sistema di istruzione, che dovrebbe essere lo strumento principale per sostenere
la mobilità sociale, offre invece migliori opportunità ai figli delle classi superiori: il
livello della famiglia di origine risulta essere discriminante nel determinare sia gli esiti
scolastici, sia i percorsi d’inserimento nel mercato del lavoro. Peraltro, l’analisi dei dati
relativi al mercato del lavoro italiano evidenzia come le minori opportunità di occupazione
e lo svantaggio retributivo delle donne siano fra le cause più rilevanti di disuguaglianza,
mentre l’instabilità del lavoro, generalmente associata a retribuzioni inferiori alla media, è
diventata un’ulteriore, ed altrettanto importante, causa di disuguaglianza nei risultati
socio-economici.
Disuguaglianze persistono anche all’interno della famiglia: la distribuzione dei ruoli
economici e la ripartizione del lavoro di cura sono, nel nostro Paese, ancora fortemente
in disequilibrio a sfavore delle donne e tali squilibri interagiscono con la partecipazione
femminile al mercato del lavoro e quindi, in modo mediato, anche con i risultati generali
sulla distribuzione dei redditi. Nei modelli tradizionali di coppia (completamente o quasi
asimmetriche), circa un terzo del totale, le donne si fanno carico della totalità o quasi del
lavoro domestico e di cura; un altro modello meno tradizionale riunisce le famiglie in cui
la donna lavora, ma percepisce un reddito inferiore a quello del coniuge e sperimenta
una forte asimmetria nella divisione dei carichi familiari. Le coppie caratterizzate da una
divisione equa sia del lavoro familiare sia delle responsabilità economiche
(completamente simmetriche) sono poco più di 490 mila casi, pari al 5,7 per cento delle
coppie.
Rilevanti differenze si riscontrano, all’interno della popolazione, anche su aspetti che
riguardano condizioni e qualità di vita: in particolare, un bene primario come la salute è
condizionato per i singoli dal livello socioeconomico di appartenenza e la distribuzione
delle aspettative di vita risulta pertanto agganciata a quella più generale del reddito.
Disparità di rilievo si rinvengono, in conseguenza dell’appartenenza ad un’area
territoriale piuttosto che ad un’altra, anche rispetto alla disponibilità e alla qualità dei
servizi pubblici erogati ai cittadini. I servizi e le prestazioni sociali erogati dai comuni
variano notevolmente per regione e per classe demografica del comune di residenza. La
distribuzione disomogenea sul territorio dei più importanti servizi alle famiglie, come gli
asili nido, l’assistenza sociale ai disabili e agli anziani non autosufficienti, appare ancora
evidente, nonostante gli interventi volti al riequilibrio delle disparità territoriali e finanziati
nell’ambito delle politiche di coesione. Variano sul territorio anche le prestazioni del
Servizio sanitario nazionale, tipicamente secondo la ben nota direttrice Nord-Sud, mentre
per i servizi ad alto impatto sulla qualità di vita degli individui, come la fornitura di acqua,
la raccolta dei rifiuti e il trasporto pubblico, i differenti livelli di disponibilità e di efficienza
sembrano dipendere da un articolato insieme di fattori, riconducibili anche alla
dimensione media dei comuni, alle scelte politiche realizzate dalle singole
amministrazioni, alla consapevolezza della cittadinanza (come nel caso della raccolta
differenziata). Inoltre, il forte aumento del consumo del suolo realizzato nel corso degli
ultimi dieci anni pone seri e crescenti problemi nell’erogazione di taluni servizi pubblici e
rende urgente trovare un modello di gestione del territorio che salvaguardi la straordinaria
dotazione di risorse paesaggistiche di cui gode l’Italia.
Giugno 2012
Antonella Crescenzi – [email protected]
Della stessa autrice:
- La crisi mondiale: storia di tre anni difficili - LUISS UNIVERSITY PRESS 2011.