Pietro e l`Agnolella

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Pietro e l`Agnolella
Unità
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IL TRECENTO: giovanni boccaccio
Giovanni Boccaccio
Pietro e l’Agnolella
Roma, che nei tempi antichi era stata la prima città del mondo, nel
Trecento era diventata una delle ultime. Le grandi famiglie romane,
Orsini, Colonna, Savelli e altre, erano in lotta tra loro e avevano fatto
della città e della campagna un solo campo da battaglia.
La guerra fra tante opposte fazioni finiva spesso col coinvolgere persone estranee agli interessi dei grandi contendenti. Fu il caso per
l’appunto di un giovane, Pietro Boccamazza, la cui colpa fu di appartenere a una famiglia che viveva nelle case e sulle terre degli Orsini.
Costui si era proposto come sposo a una povera ragazza di nome
Agnolella, ben disposta nei suoi confronti. Quando il padre del giovane lo venne a sapere, non giudicò conveniente quel matrimonio e
impose al figlio un’altra scelta. Pietro allora, accordatosi con l’Agnolella, decise di fuggire con lei da Roma per andarsene in Anagni, un
paese sulla strada di Napoli, dove, ospitato da certi amici e col loro
appoggio, avrebbe potuto trovare un prete per celebrare l’agognato
matrimonio, mettendo i genitori davanti al fatto compiuto.
Montati a cavallo, i due si avviarono fuori porta attraverso campagne
deserte, alla volta di Anagni. Ma dopo poche miglia, avendo sbagliato
strada, si trovarono sperduti. Non sapendo dove volgere i passi, si
diressero verso un castello che avevano scorto in lontananza. Quando
furono vicini, dal castello uscì uno squadrone di dodici fanti che tentò di circondarli, al fine evidente di prenderli prigionieri. I due giovani spronarono i cavalli e cercarono di salvarsi con la fuga.
L’Agnolella riuscì a raggiungere un bosco. Pietro invece venne fermato e fatto smontare dal suo ronzino.
– È un amico dei nostri nemici Orsini – disse uno dei soldati che aveva riconosciuto il giovane.
– Che ne facciamo? – chiese un altro.
– Impicchiamolo a una pianta – propose il primo.
– A morte, a morte! – gridarono tutti.
I soldati stavano spogliandolo per poi appenderlo, ma la buona stella
del povero Pietro fece sì che arrivasse al galoppo uno squadrone di
venticinque uomini di un’altra fazione, i quali attaccarono battaglia
coi dodici fanti del castello.
Mentre volavano colpi di picca e di spada, Pietro, ripresi i suoi panni
e rimontato a cavallo, fuggì a spron battuto verso la foresta nella quale era entrata l’Agnolella.
Arrivato nel folto, si aggirò da ogni parte in cerca della fanciulla, ma
per quanto chiamasse e gridasse, non riuscì a trovarla. Disperato, e
temendo che venisse sbranata dai lupi o dagli orsi che allora infestavano le campagne e arrivavano fino alle mura della città, si mise a
Pietro e l’Agnolella
piangere, mentre il cavallo, del quale aveva abbandonato le redini, lo
portava di qua e di là, sempre più addentro nel cuore della foresta.
Abbattuto dalla paura e dal digiuno, vedendo sopravvenire la notte e
temendo di venir sbranato dalle fiere, Pietro non seppe far altro che
arrampicarsi su di una quercia e rifugiarsi tra i rami, dopo aver legato
al tronco della pianta il suo ronzino.
La luna illuminava a giorno la selva e il giovane, a cavallo di un ramo
e con la testa appoggiata a un altro, piangeva pensando alla sua Agnolella. La quale intanto, dopo essersi aggirata tutto il giorno per la foresta senza trovarne l’uscita, aveva finalmente imboccato un sentiero
che l’aveva portata, dopo un paio di miglia, a una casetta nella quale
abitava un buon uomo molto attempato, con la moglie che era vecchia al pari di lui.
L’Agnolella disse che veniva da Roma e chiese se la loro casa fosse
sulla strada di Anagni.
– Sei da tutt’altra parte – le risposero. – Anagni è verso ponente e molto distante da qui. Se vieni da Roma, fin’ora hai camminato in direzione contraria.
– Troverò – chiese la ragazza – luoghi da albergare lungo il percorso?
– Verrà buio prima che tu possa trovar ricovero – disse il vecchio.
L’Agnolella raccontò allora quel che le era capitato e chiese che l’accogliessero in casa per quella notte.
– Mi è caro – riprese il vecchio – che tu rimanga con noi, ma ti debbo
avvertire che per queste contrade vanno, giorno e notte, male brigate
di ladri e di assassini. Se venissero qui, come è capitato altre volte, dei
malintenzionati, e ti recassero offesa, noi non potremo difenderti,
vecchi e deboli come siamo.
– Vi ringrazio dell’avvertimento – rispose la giovane – ma preferisco
correre questo rischio e affidarmi a Dio, piuttosto che farmi sbranare
dalla fiere.
Detto ciò, lasciato libero il cavallo in un cortiletto, entrò nella capanna, dove cenò poveramente e poi si stese su di un giaciglio, sospirando e piangendo la sua sventura e quella di Pietro.
Venuta l’alba, si udì all’esterno gran calpestio di gente. L’Agnolella,
temendo quel che i vecchi le avevano predetto, si alzò prestamente e
uscita nel cortile si nascose in un gran mucchio di fieno.
I sopravvenuti, che erano soldatacci di qualche signore, entrati nella
capanna e poi nel cortile, trovarono il cavallo ancora sellato e chiesero al vecchio chi fosse.
– Non lo so – rispose l’uomo. – È capitato qui ieri sera senza nessuno in
sella e noi l’abbiamo messo al chiuso perché i lupi non lo sbranassero.
– Bene – dissero i soldati. – Se non è vostro, ce lo porteremo via.
Dopo aver ispezionato tutta la casa, si fermarono nel cortile, dove
accesero un gran fuoco per arrostire dei capretti che avevano razziato
nel corso della loro scorreria.
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IL TRECENTO: giovanni boccaccio
Un soldato, invece di posare la sua lancia contro il muro, la scagliò
nel mucchio di fieno dove stava nascosta la ragazza, con tanta forza,
che le sfiorò il fianco e le lacerò la veste. Ma l’Agnolella non si mosse.
Mangiato e bevuto che ebbero, i soldati se ne andarono portando con
loro il cavallo.
Il vecchio, che si era messo subito in cerca della ragazza, la vide uscire sana e salva dal fieno.
– Sia ringraziato Iddio! – disse. – Si vede che sei proprio destinata a
ritrovare il tuo fidanzato. Ora che quei bestioni se ne sono andati, ti
accompagneremo fino a un castello, sopra un colle a cinque miglia da
qui, che appartiene agli Orsini. Sarai in un luogo sicuro e potrai tornare a casa tua. Chissà che anche Pietro non si sia salvato e che non
possiate ricongiungervi.
Arrivati al castello vi trovarono, con buonissima scorta di armati, la
moglie del signor Lello Orsini, che era una santa donna, la quale, riconosciuta l’Agnolella, la prese sotto la sua protezione e cercò di consolarla della scomparsa del fidanzato che, finito in mano ai nemici, si
poteva ormai dare per morto.
– Starai con me – le disse la castellana – fin quando potrò mandarti a
Roma senza timore di brutti incontri.
I due vecchi, contenti, fecero ritorno alla loro capanna.
Pietro, che quella notte se ne stava tra i rami della quercia senza poter
dormire, quando la luna fu alta nel cielo, sentì gli ululati di un branco di lupi che si avvicinavano. Presto li vide arrivare e ne contò più
di venti, che circondarono il suo ronzino, legato alla pianta. Il povero
cavallo, sentendo il pericolo, tanto tirò che gli riuscì di strappare la
cavezza e di liberarsi. Tentò di fuggire, ma i lupi lo stringevano d’attorno. Si difese coi calci e coi denti per un po’ di tempo, poi, caduto
a terra, venne sgozzato e sventrato dalle fiere che lo divorarono e lo
spolparono in poco tempo.
Pietro, sbigottito, pensò che non gli sarebbe mai riuscito di uscir vivo
da quella selva.
Venuto il mattino e sceso dalla pianta mezzo morto di freddo, da un
rilievo sul quale era salito vide un fumo che sorgeva dal bosco, lontano
un paio di miglia. Si diresse a quella volta e trovò dei pastori che stavano arrostendo della carne al fuoco e che lo accolsero pietosamente.
Mangiato che ebbe e dopo essersi riscaldato al fuoco, raccontò ai pastori la sua brutta avventura.
– Non lontano di qui – gli disse uno di loro – dietro quella collina, c’è
un bel castello nel quale ti potresti mettere in salvo.
“Può darsi” pensò Pietro “che io vada a mettermi nelle mani di gente avversa agli Orsini, ma non ho molto da scegliere, appiedato come
sono e alla mercé di tanti cattivi incontri. Chissà poi che non vi trovi della buona gente con la quale potrei mettermi alla ricerca
dell’Agnolella.”
Pietro e l’Agnolella
Arrivato che fu, venne portato davanti a una signora che era la moglie
di Lello Orsini, perché il castello era quello stesso nel quale aveva
trovato rifugio l’Agnolella. La signora, riconosciutolo, lo accolse lietamente e senza dirgli nulla, lo accompagnò nella stanza dove la ragazza stava seduta presso una finestra.
Pietro, felice, avrebbe voluto abbracciarla, ma si trattenne per riguardo
alla signora. La quale, dopo averli condotti nella sua camera, volle
sapere come si erano conosciuti e come erano arrivati alla decisione
di fuggire insieme. Quando fu persuasa dei loro buoni sentimenti e
capì che la famiglia di Pietro era contraria al matrimonio solo per
l’estrema povertà della ragazza, disse:
– Se siete scampati l’uno alla forca, l’altra alla lancia del soldato e
tutti e due ai lupi, vuol dire che a Dio piace questo matrimonio. E
allora che si faccia, e a spese di mio marito, da cui dipendono le vostre
famiglie. La pace tra voi e i vostri parenti seguirà di sicuro, perché io
stessa mi adopererò a ottenerla.
Così, Pietro e l’Agnolella si sposarono nel castello onorevolmente, con
quel poco di festa che si poteva fare in campagna.
Pochi giorni dopo i due giovani, bene accompagnati, se ne tornarono
a Roma dove, perdonati dalle loro famiglie, vissero felici e contenti.
Ancora per molti anni dopo, Pietro e l’Agnolella raccontavano agli
amici e ai loro figlioli la paurosa avventura che avevano dovuto correre per arrivare a sposarsi, quasi a dire che la felicità dev’essere sempre
pagata a caro prezzo.
Giornata V, Novella 3
G. Boccaccio, Decamerone, dieci novelle raccontate da Piero Chiara, Mondadori Scuola