febbraio 2012 - I Siciliani giovani

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febbraio 2012 - I Siciliani giovani
n.2 febbraio 2012
I Siciliani
giovani
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A che serve essere vivi, se non c’è
il coraggio di lottare?
Rita Atria,
Lea Garofalo,
Maria Concetta
Cacciola
La strage
MAFIA
delle donne
Uccise o costrette a uccidersi perché si ribellano al clan.
La loro società le condanna. Spesso, fra i primi aguzzini
trovano fidanzati o genitori. Succede solo fra i mafiosi?
Fior/ Expo: gli appalti/ Catania/ Liberty & Ruspe Mazzeo/ Droni a Sigonella
Traffici/ L’asse Vittoria-Fondi Operai/ La nave dei diritti Sgarbi in Sicilia Depistaggi di Stato
Caruso Campese Cortina Vitale Abbagnato De Gennaro Prete operaio a Catania Orsatti/ Italian Tabloid
Mondo nuovo/ Apple nel G-20 La rivolta del Megastore Messina sepolta Satira/“Mamma!” Jack Daniel
CASELLI/ L‘ETERNIT E I DIRITTI DALLA CHIESA/ GOVERNO E ANTIMAFIA CAVALLI/‘NDRANGHETA AL NORD
facciamo
rete
http://www.marsala.it/
I Sicilianigiovani – pag. 2
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Donne
e mafa
Compongono e subiscono la criminalità organizzata. La storia
delle mafie è anche una storia di donne, una questione di genere.
Le loro vite servono a capire la natura stesse delle mafie, i “sentimenti” che le muovono, la cultura di cui sono portatrici, il sistema di “valori” che le caratterizza, il modello sociale di riferimento in cui hanno potuto farsi strada.
Le donne in maniera trasversale rappresentano un elemento di
“normalizzazione” e nello stesso tempo di “eccezionalità” che
caratterizza il fenomeno criminale. L’esempio più lampante è la
vendetta.
Il torto subito in un contesto che non le riguarda direttamente:
la guerra tra cosche per il controllo del territorio, lo sgarro perpetuato tra boss o affiliati, affari economici irrisolvibili se non
attraverso il sangue trovano l’apice della soddisfazione e del risarcimento colpendo donne e bambini. Cioè attraverso l’oggetto
più importante del possesso. Colpisco la “cosa” che ti è più cara
e simbolicamente, per questo motivo, quella che non andrebbe
mai colpita. È lo sfregio più grosso da ricevere e anche il più infamante da commettere.
Le donne servono per alimentare il silenzio, il silenzio che
serve alle cosche per andare avanti nei propri affari. La cura del
silenzio permette agli uomini di “lavorare”. Sono madri, mogli
che subiscono o che, con complicità, agiscono e creano la cappa
d’isolamento del territorio in cui vivono, operano e inviano ordini. Sono però anche quelle che quando rompono il silenzio mettono in crisi l’intero sistema.
È una donna la prima testimone di giustizia della storia e sono
sempre donne quelle che in Calabria stanno indebolendo la
‘ndrangheta: come Tita Boccafusca e Maria Concetta Cacciola,
che hanno taciuto per sempre ingerendo acido muriatico. Dalla
bocca sono uscite rivelazioni che non si dovevano fare e attraverso quella stessa bocca si lava via la tentazione di continuare,
la disperazione di averci provato, il “disonore” di averlo fatto.
Dall'unità d'Italia a oggi sono più di centocinquanta le storie di
donne, messe assieme e di nuovo raccontate dal dossier “Sdisonorate/ Le mafie uccidono le donne” dell’associazione daSud
(www.dasud.it)
I Siciliani
giovani
(di Celeste Costantino, Irene Cortese, Sara Di Bella, Cinzia Paolillo,
Angela Ammirati, Danila Cotroneo e Laura Triumbari)
I Sicilianigiovani – pag. 3
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I Sicilianigiovani FEBBRAIO 2012
numero due
Questo numero
Donne e mafia
L'Eternit e i diritti di Gian Carlo Caselli
Antimafia e governo di Nando dalla Chiesa
Mafia a Barcellona di Riccardo Orioles
Shylock e la Grecia di Paolo Fior
3
6
7
8
9
Mafia (e antimafia)
Aveva scelto la libertà di Michela Mancini
Testimoni di giustizia di Nadia Furnari
Ndrangheta al nord di Giulio Cavalli
Expo di Paolo Fior
Bologna del riciclo di Salvo Ognibene
La meglio gioventù di Martina Mazzeo
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12
14
16
18
19
Rewind-forward di Francesco Feola
20
I tempi
Freddo
Liberty e ruspe di Max Vacirca
Un freddo medievale, con centinaia di vittime – selezionate
fra i poveri – nella civile Europa. Si discute moltissimo, di cose
civilizzate e moderne, governi, politiche, strategie di lungo e
medio periodo, eventi vari, cultura, ma la verità è che alcuni elementi del nostro panorama sono ormai premoderni.
Sono tornate la tubercolosi e la servitù della gleba. In zone
circoscritte (periferie romane, latifondi campani) e per una parte
circoscritta della società (meteci, iloti, non-cittadini) ma in
modo assolutamente lineare. Non quanto nel medioevo, ma
come nel medioevo.
Il centro di questo giornale è pericolosamente vicino al medioevo. Nel capannone dove facciamo doposcuola (il Gapa di
Catania, oltre a organizzare giornali, organizza anche questo)
viviamo quotidianamente a contatto con bambini di cui nessuno
sa se saranno tutti vivi fra un anno o due: morti violente, malattie, ipersfruttamento, feudalità mafiosa, esercitano i loro diritti
con sempre più prepotenza. Il servizio che stavamo preparando
sulla squadra di rugby infantile di Librino - di cui siamo orgogliosissimi - improvvisamente è diventato futile, un lusso intellettuale da borghesi: perché un bambino è scomparso, e non si
sa dove sia.
In questo mondo viviamo, e non distogliamo lo sguardo da
esso. Nè cerchiamo di illuderci - come fanno quasi tutti: probabilmente anche tu che leggi – che sia un mondo minore, da rimuovere facilmente. Guardare le cose in faccia non rende più
lieve la vita. C'è molto amore, ogni giorno, ma esile e continuamente minacciato.
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Le nuove rotte
Visto da Vittoria di Giorgio Ruta
Visto da Fondi di Maria Sole Galeazzi
Depistaggi di Stato? di Lorenzo Baldo
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26
28
I nord e i sud
I droni di Sigonella di Antonio Mazzeo
Da Rosarno a Roma di Bruna Iacopino
*
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DISEGNI DI MAURO BIANI
SOMMARIO
L'isola
L'avventura di Sgarbi in Sicilia di Rino Giacalone
Megastore di Attilio Occhipinti, Giulio Pitroso
Appello per il lungomare di Catania
Gli occupanti di Marettimo di Rino Giacalone
Solidarietà
Treni di Tommaso Maria Patti e Francesco Midolo
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38
41
42
45
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Satira
Mamma di Mauro Biani, Carlo Gubitosa,
Marco Pinna, Lelio Bonaccorso
Lasciamoli giocare di Jack Daniel
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56
Immagine
Messina sepolta di Dino Sturiale, Sebastiano Ambra
57
Società
Forconi di Francesco Appari, Giacomo di Girolamo
Senzatetto Milano di Federico Beltrami
Senzatetto Catania di Domenico Stimolo
Il pezzo di carta di Claudia Campese
Sant'Agata di Giovanni Caruso, Miriana Squillaci
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64
65
66
68
Tecnologie
Apple nel G-20? di Fabio Vita
Storia
Turiddu Carnevale di ElioCamilleri
71
Economia
Interviste/ Stefano Bartolini di Laura Cortina
Viaggi
Cracovia di Giuseppe Scatà
72
Teatro
Il coraggio di Beatrice Canali e Marta Cavallini
74
75
78
Polis
Colletti sporchi di Gabriele Licciardi
Diffamati di Salvo Vitale
Palermo di Giovanni Abbagnato
Governo di Riccardo De Gennaro
Musica
Stravinsky e l'i-Pod di Antonello Oliva
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81
82
83
Memoria
Italian Tabloid di Pietro Orsatti
Padre Greco di Fabio D'Urso e Luciano Bruno
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88
Il filo
Banche di Giuseppe Fava
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Immagine
Occupiamoci di Scampia di Raffaele Lupoli
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Giustizia
Thyssen, Eternit
e i diritti tutelati
dalla Magistratura
di Gian Carlo Caselli
Una volta i Procuratori generali fa-
Siamo tutt’ora in cima alle statisti-
La prova che questi diritti, scolpiti
cevano a gara nel presentare gli infor-
che europee, con l’aggravante che da
nella Costituzione, cessano di essere
tuni sul lavoro come mere fatalità.
noi stranieri e minori hanno ancor più
scatole vuote e si trasformano in realtà
probabilità di infortunarsi di quella –
vivente quando funzionano gli strumen-
in fabbrica non si poteva morire: nel
già elevata – dei lavoratori
ti che la stessa Costituzione prevede a
senso che se capitava un incidente
“indigeni”. Eppure qualcosa è cambia-
presidio di essi.
mortale, l’ambulanza doveva subito
to. Lo provano i processi di Torino per
trasportare l’infortunato in ospedale,
il rogo della Thissen Krupp e quello
perché lì apparisse avvenuto il deces-
Eternit per l’amianto che ha causato
so.
oltre 2.200 vittime, delle quali 1.649
A Torino, di fatto, la regola era che
Senza timori reverenziali
Primo presidio – fra i tanti – è la
magistratura, purchè autonoma ed in-
uccise.
Un problema tragico
dipendente, capace cioè di fare il suo
Una nuova sensibilità
Oggi il problema della sicurezza sui
dovere senza timori reverenziali per
questo o quel potente.
posti di lavoro è ancora tragico. E fa
Testimonianza di una nuova sensi-
benissimo il Capo dello stato a ricor-
bilità e cultura per la tutela di fonda-
vorrebbero, come dimostra il recentis-
darcelo spesso.
mentali diritti dei cittadini , la sicur-
simo colpo di mano del Parlamento
ezza nei posti di lavoro e la salute.
sulla responsabilità civile dei giudici.
I Sicilianigiovani – pag.6
Proprio il contrario di quel che tanti
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Società
L'antimafia
è importante
per il governo?
di Nando dalla Chiesa
Lo so, il governo Monti non ha praticamente nominato la mafia nei suoi
programmi. Nessuno vi veda però
mafia non era tra i maggiori problemi
cambiate. Nel 2011, nella sola facoltà
della sua terra.
di Scienze Politiche a Milano si sono
Perciò ha segnato l’esistenza di una
laureati quarantuno studenti sulla cri-
l’effetto di complicità inconfessabili.
nuova era il seminario che il 9 e 10
minalità organizzata: beni confiscati,
Semplicemente, i professori da cui è
febbraio scorsi si è tenuto all’istituto
criminalità albanese e cinese, narco-
nato appartengono a un’altra era (geo-
Cattaneo di Bologna, e che ha messo
traffico, ‘ndrangheta in Lombardia,
logica, starei per dire) dell’università
insieme decine di maturi docenti e
mafia e giornalismo…
italiana.
giovani ricercatori, da Palermo a Ox-
Per loro la mafia non esisteva...
ford.
Lo sviluppo economico, il rici-
Nuove generazioni di professori
A loro è stata dedicata una serata
Quando nacquero i “Siciliani” di
claggio, il nord, la corruzione, la tran-
con facoltà aperta, intitolata “La
Pippo Fava non c’erano accademici
snazionalità del crimine, i metodi del-
meglio gioventù”. Quella che sposa
che si occupassero della materia. Per-
la ricerca, gli stereotipi culturali, i
scienza e impegno etico-civile. C’era
ché mai legare la propria identità a un
nuovi movimenti. Non era mai acca-
anche don Ciotti, venuto apposta per
fenomeno del passato e appeso a
duto. Non un convegno, ma due giorni
ringraziarli.
un’isola? E nemmeno, tranne eccezio-
insieme senza pubblico. Solo per dare
Il governo dei professori non ne
ni rarissime, se ne occupavano gli ac-
all’intelligenza del paese e delle nuo-
parla. Ma ci sono nuove generazioni
cademici di Sicilia.
ve generazioni una consapevolezza
di professori e soprattutto di studenti
più alta.
che ne parlano. Statene certi. Quando
Per loro, infatti, la mafia non
esisteva. Il più autorevole di loro
Le nuove generazioni. Anche queste
toccherà a loro, anche la lotta alla
scrisse nell’86 (!), nel grande volume
alla fine degli anni settanta preferiva-
mafia farà parte dei programmi di
Einaudi La Sicilia da lui curato, che la
no studiare altro. E anche loro sono
governo.
I Sicilianigiovani – pag.7
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Polemiche
Sarà sciolto per mafia
il Comune di Barcellona?
di Riccardo Orioles
Dal primo numero di questa nuova serie (come già in quella degli anni '90) i
Siciliani hanno hanno dato particolare attenzione alle vicende di Barcellona in Sicilia, un tempo isolata enclave mafiosa
nel messinese ma poi rapidamente cresciuta fino a diventare uno dei luoghi nevralgici della mafia (massomafia, avrebbe detto il professore D'Urso) nazionale.
Momenti di svolta furono la latitanza
di Santapaola, la partecipazione alla strage di Capaci, l'assassinio di Beppe Alfano (che, stando sul luogo, aveva compreso molto) e altri episodi, criminali e no.
Già alla fine degli anni '70, peraltro, la
zona era frequentata da trafficanti internazionali di droga (i Cutaia), che s'incontravano in un rifugio alpino sulle montagne. Dagli anni '90 vi fu, probabilmente
un salto di qualità complessivo, in parte
legato all'espansione “militare” di Cosa
nostra, in parte a rapporti politici e imprenditoriali facilitati dalle locale camere
di compensazione di tipo massonico, frequentate da tutto l'establishment senza
distinzioni.
Tutte queste belle cose, su cui da anni
lavorano le migliori “firme” di Cosa nostra, sono ben note ai cittadini di Barcellona, alcuni dei quali hanno dato vita ad
associazioni - la “Rita Atria”, la “Città
SCHEDA
LA LETTERA DI NANIA
Aperta” ed altre – per cercar di salvare la
loro città.
Questi gruppi, affiancati da giornalisti
capaci come Antonio Mazzeo (un redattore dei Siciliani), meritano l'appoggio
più convinto di tutti i cittadini democratici e antimafiosi, per motivi che dovrebbe
essere inutile spiegare.
Contro Mazzeo, contro Città Aperta,
contro l'Associazione Rita Atria e contro
l'antimafia di Barcellona ha invece deciso di schierarsi il principale politico locale, il già ministro e ora senatore Domenico Nania. L'ha fatto addirittura in sede
parlamentare, del che – trattandosi di
prassi inconsueta – ho espresso perpelssità ai nostri lettori. Nania risponde con
una lettera al Fatto (sul cui sito era il mio
pezzo), che riportiamo appresso.
Nulla a che fare col sindaco
Da essa si evince che l'on. Nania non
ha nulla a che fare con la discussa amministrazione locale, guidata da suo cugino.
Si evince altresì che egli è convinto che
tutte le inchieste su Barcellona sono ispirate dai suoi avversari politici (ma erano
cominciate ben prima dei suoi coinvolgimenti: Mazzeo ne scrive da parecchi
anni); che questi suoi avversari politici
Egregio Direttore, nel blog di Riccardo Orioles si fa riferimento a una mia
recente interrogazione parlamentare (A.S n. 4-06576), attraverso la quale
avrei, secondo Orioles, sottoposto il giornalista Mazzeo a "pressioni".
Il giornalista Orioles nel suo blog, riporta la notizia della mia interrogazione - un'attività svolta nell'esercizio del mio mandato e a difesa della verità
- e la definisce appunto “un'iniziativa senza precedenti....” e allude ad
una mia presunta responsabilità e volontà nel voler "censurare" il suo collega Mazzeo. Nell’interesse di una corretta e completa informazione, vorrei ricordare al giornalista Orioles che:
a) non è il sottoscritto che “si è sentito toccato dalle sue inchieste” ma
l’amministrazione comunale di centrodestra nella quale mi riconosco.
b) la mia interrogazione è successiva a quella del sen. Lumia del 12 gennaio 2010 (A.S. n 4-02499); la sua di attacco, la mia di difesa ma entrambe rigorosamente legittime. Nella mia, ho semplicemente e dovero
sono i nostri “suggeritori” (di cui evidentemente abbiamo un gran bisogno); e soprattutto che a Barcellona la mafia non
esiste, dato che questo argomento non
sembra fra i suoi principali motivi d'interesse
Noi naturalmente torneremo su Barcellona, sperando di convincere anche l'on.
Nania che trattasi (al di là di questo o
quel dettaglio, e persino della locale geografia politica in cui l'onorevole ha tanta
parte) di una delle capitali di Cosa Nostra, su cui l'attenzione giornalistica non
sarà mai abbastanza.
Attendiamo con un certo interesse la
scadenza del 10 marzo, quando il ministero dell'interno dovrà decidere se sciogliere o meno, per questioni di mafia,
l'amministrazione comunale di Barcellona, con cui l'on. Nania non ha alcuna relazione.
Un simile provvedimento, come abbiamo scritto chiaramente, è auspicato da
tutti i buoni cittadini; i quali – a nostro
avviso – farebbero bene a incontrarsi
pubblicamente a Barcellona, verso la
metà di marzo, per festeggiarlo o per richiederlo ancora, secondo i casi. E' improbabile, purtroppo, che a questi festeggiamenti (o richieste) partecipi l'on. Nania, e ce ne dispiace.
samente analizzato, punto per punto, il contenuto dell'interrogazione Lumia e delle fonti dallo stesso ripetutamente citate;
b) il nome di Antonio Mazzeo, come fonte e suggeritore dell'interrogazione Lumia, non è una mia invenzione ma è fatto, e ripetutamente, dallo stesso sen. Lumia nella sua interrogazione e, quindi, gli addebiti di
“esposizione” vanno mossi nei riguardi del senatore predetto;
c) per quanto riguarda l'articolo di Orioles a difesa del suo collega Mazzeo, valgono, come per oqualunquegiornalista, le regole che disciplinano
i dloro overi professionali: prima accertare la veridicità della notizia e, solo
dopo, scrivere.
Le “sviste clamorose” in cui Mazzeo è incorso sono ben evidenti da una
lettura comparata delle due interrogazioni, mia e del sen. Lumia. (A.S 402499 del 12/01/10 e A.S. 4-06576 del 12/01/12).
sen. avv. Domenico Nania
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Europa
Shylock
e la carne viva
della Grecia
di Paolo Fior
L’accanimento con cui si infierisce sul-
Ciò avviene con il complice silenzio di
Il diritto fallimentare assicura alle
la Grecia e sui suoi cittadini non ha nulla
tutta l’Unione europea e dei media, che
aziende e alle persone una protezione
di ragionevole e molto di europeo. Di
mandano i loro inviati ad Atene per gli
ben più larga dai creditori. Uno Stato so-
quell’Europa che vorremmo scomparsa
scontri di piazza e non per raccontare
vrano e i suoi cittadini, invece, possono
con la fine dei totalitarismi e che invece
cosa accade nella quotidianità in un Pae-
essere considerati al pari di un bottino di
si ripropone oggi in forme inedite nel bel
se europeo nel 2012.
guerra.
mezzo di una devastante crisi economica.
Davvero finiti i totalitarismi?
Pretendere, come si sta facendo, altre
Scarseggiano i farmaci
Negli ospedali greci scarseggiano molti farmaci, a partire dall’insulina, e cre-
Bisogna riflettere su questo e soprattutto sui nostri silenzi dal retrogusto cinico del “mors tua vita mea”.
L'indifferenza e l'orrore
garanzie e altri tagli da un Paese ormai
scono i casi di malnutrizione infantile.
stremato equivale a chiedere una libbra
Intere famiglie vivono al buio perché non
di carne viva alle persone. Una richiesta
sono state in grado di pagare la nuova
toccare a noi, ma l'indifferenza con cui
degna di un Shylock, l'usuraio del Mer-
tassa sulla casa addebitata direttamente
spalanchiamo nuovamente le porte
cante di Venezia, non di un consesso di
sulla bolletta elettrica.
all'orrore.
nazioni che si autodefiniscono democratiche e civili.
Soldi non ce ne sono più, lavoro neanche. Disperazione e angoscia affliggono
persone incolpevoli.
I Sicilianigiovani – pag.9
Il problema non è che domani potrebbe
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Testimoni di giustizia
Fatta morire dalla
sua famiglia perché
aveva scelto la libertà
Maria Concetta Cacciola aveva trentun anni,
viveva a Rosarno, era
sposata e aveva tre figli. Il 20 agosto del
2011 si suicida ingerendo acido muriatico.
Pochi giorni fa, il padre, la madre e il fratello vengono arrestati
di Michela Mancini
Maria Concetta era una testimone di
giustizia: figlia di Michele Cacciola,
cognato del boss Bellocco, e moglie di
Salvatore Figliuzzi, in carcere dal 2002
per associazione a delinquere di stampo mafioso. Vivevano tutti nella stessa
casa: erano i nonni a pensare alla famiglia. In quei posti il vincolo di sangue non lo scioglie nemmeno l’acido.
La famiglia non si deve macchiare di
vergogna altrimenti la cosca perde potere: la vergogna non consiste solo nell’avere “un pentito” sotto al tetto, basta tradire tuo marito mentre lui è in
carcere. Per la ndragheta il matrimonio è per sempre: di divorzio manco a
parlarne.
La storia di Maria Concetta comincia
così.
In una lettera alla madre, scrive del
marito: «A tredici anni, sposata per avere
un po’ di libertà, credevo che potessi tutto, invece mi sono rovinata la vita perché
non mi amava, né l’amo, e tu lo sai». Si
sposano dopo una “fuitina”, poi nascono
i figli. Troppo tardi per pentirsi. Forse
Maria Concetta la sua vita se l’era immaginata diversa, nessuna particolare ambizione. Ci sono luoghi dove nemmeno i
sogni ti puoi permettere, perché finisce
che ti mangiano il fegato, peggio dell’acido muriatico.
Maria Concetta, dopo l’arresto del marito,probabilmente incontra altri uomini e
a Rosarno certe notizie viaggiano veloci.
A casa cominciano ad arrivare lettere
anonime, siamo a giugno del 2010.
Non la fanno più uscire, rimarrà fra
quelle mura fino al maggio dell’anno
successivo. Le rare volte in cui valica la
porta di casa viene pedinata dal fratello.
Non basta: viene picchiata, le botte sono
così forti che le sue costole si incrinano o
forse si rompono. Non si saprà mai: non
verrà mai portata in ospedale. Viene curata a casa da un medico di fiducia.
Maria Concetta è sola, non può parlare
neppure con la madre. Nelle famiglie
mafiose il mondo delle donne si è spaccato a metà: ci sono le madri, che hanno
mangiato fin da piccole pane e omertà,
che proteggono i propri mariti, che tengono unita la famiglia, la lucidano come
l’argenteria, cancellano la vergogna a
colpi di spazzola. E poi ci sono le figlie,
I Sicilianigiovani – pag. 10
che pensano troppo, che proprio non riescono a quietarsi.
Maria Concetta a maggio viene chiamata dall’Arma di Rosarno perché Alfonso, il figlio più grande, aveva combinato un guaio col motorino. Arrivata in
caserma, chiede aiuto e racconta tutto
quello che sa, prima ai carabinieri e poi
alla Dda di Reggio Calabria.
È stata la paura a farle scegliere lo
Stato, l’amore di mamma che voleva un
futuro diverso per i suoi figli? Maria
Concetta semplicemente chiama le cose
col loro nome, da’ un’identità a luoghi e
a persone fino ad allora nell’ombra. Decide che quel vincolo di sangue non è per
sempre.
Lontano, più lontano che si può
Da quando entra a far parte del Servizio Centrale di Protezione, non può più
rimanere a casa sua: un pomeriggio dice
che andrà a fare visita al suocero e scappa.
Per un primo periodo alloggerà nel cosentino, ma qualcuno potrebbe riconoscerla: viene trasferita dall’altra parte
d’Italia, a Bolzano. La parola d’ordine è:
lontano, più lontano che si può. Sola, in
una città straniera Maria Concetta pensa
ai figli che non ha potuto portare con sé.
Aveva scritto alla madre: «Ti affido i
miei figli. Ti supplico non fare con loro
l’errore che hai fatto con me: dagli i suoi
spazi, se li chiudi è facile sbagliare».
Non è solo la distanza, ha paura che la
famiglia possa ritorcersi contro di loro.
“Le impongono
di ritrattare tutto”
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SCHEDA
OPERAZIONE
CALIFFO
Pochi giorni fa un’operazione denominata Califfo, coordinata dalla procura di Palmi e dalla Dda di Reggio
Calabria ha dato una un duro colpo
alla cosca Pesce, fra le più rilevanti
nella cittadina di Rosarno. È stato fermato il latitante Giuseppe Pesce, diventato boss dopo l’arresto del fratello
Francesco. Insieme a lui sono finiti in
manette altri dieci presunti affiliati.
Fondamentale, per il nucleo del Ros,
un “pizzino” che Francesco Pesce
aveva vanamente cercato di far arrivare al fratello dal carcere. Il foglietto
conteneva una serie di indicazioni che
insieme alle dichiarazioni di Maria
Concetta Cacciola e di Giuseppina
Pesce, altra testimone di giustizia,
hanno permesso la ricostruzione del
puzzle. Le dichiarazioni delle due
donne erano apparse convergenti seppur fatte in archi temporali differenti - sul ruolo svolto da Saverio
Marafioti: il cosiddetto “muratore”, che
costruiva bunker a prova di bomba,
dotati di ogni comfort. Marafioti sceglieva luoghi inaccessibili e isolati per
edificare le tane della ‘ndrangheta.
M.M.
Cede e telefona alla madre. Lo confesserà alla scorta che la trasferisce a Genova. «Da Genova io ho richiamato di nuovo mia madre dicendo che la voglio vedere perché a me mi mancava». La famiglia di Maria Concetta arriva fino in Liguria, la mettono in macchina per
riportala a Rosarno. Durante il viaggio di
ritorno si fermano per una sosta a Reggio
Emilia, lei si pente e telefona ai carabinieri, che la riportano a Genova. Ma probabilmente qualcuno le impone con più
decisione di «spegnere tutto». Richiama
la madre per l’ultima volta: «Portami a
casa». A Genova arrivano in tre: il fratello, una delle figlie e la madre.
E’ il dieci di agosto quando arrivano a
Rosarno. Pochissimi giorni dopo, Maria
Concetta scrive una lettera e registra un
nastro. Racconta dei colloqui con la
Dda: «Gli ho detto delle cose per arrivare
allo scopo di andare via da casa, ho detto
pure delle cose che mi sono infangata anche io stessa per il fatto di andare via da
casa mia». Pausa nel nastro: «È da tre
giorni che sono a casa mia tra mio padre,
mia madre, i miei fratelli, i miei figli ed
ho riacquistato la serenità che cercavo.
Vorrei aggiungere che avevo scritto una
lettera che aggiungo con questa registrazione e vorrei lasciata in pace in futuro.
E non essere chiamata da nessuno».
Le dichiarazioni rese alla magistratura
vengono sconfessate da quel nastro: la
testimone dice di aver accusato la sua famiglia per vendicarsi del padre e del fratello che la maltrattavano. La ‘ndrangheta? Non ne sa nulla, Maria Concetta vuole essere lasciata in pace.
Il 20 agosto va in bagno e ingoia l’acido muriatico. Muore in ospedale.
Istigazione al suicidio
Viene aperta un’inchiesta per istigazione al suicidio. Laura Garavini del Pd
solleva un’interrogazione parlamentare:
perché la testimone è stata separata dai
figli? Il Servizio di Protezione che opera
per il ministero dell’Interno ne era a conoscenza? Dal Governo nessuna risposta.
Pochi giorni dopo il suicidio, la fami-
I Sicilianigiovani – pag. 11
glia Cacciola presenta un esposto col
quale accusa i magistrati di aver convinto
la figlia a collaborare con false promesse.
La madre di Maria Concetta scrive anche
ad un giornale locale: «Al di là del mero
dato parentale, né mio marito, né alcun
componente del mio nucleo familiare ha
mai condiviso vicissitudini giudiziarie
ovvero sia pure semplici rapporti di frequentazione criminale con Gregorio Bellocco».
“Violenza fisica e psicologica”
Lo scorso 9 febbraio, all’alba, la famiglia Cacciola viene arrestata; secondo la
procura di Palmi avrebbe portato la donna a suicidarsi “attraverso reiterati atti di
violenza fisica e psicologica”. Grazie
alle dichiarazioni che la testimone fece
alla Dda, lo stesso 9 febbraio, con l’operazione Califfo vengono messe in manette undici persone, probabilmente legate
alla cosca Pesce.
Ha vinto lo Stato? Maria Concetta ha
scelto il coraggio, come Lea Garafolo,
come Tita Buccafusca, come tante altre
donne, come tante altre madri.
È perdonabile la distrazione di uno
Stato che affida i figli di una testimone di
giustizia alla stessa famiglia da cui questa sta scappando? Maria Concetta è tornata da loro per proteggerli, poco dopo
sceglie di far vedere il proprio cadavere a
quegli stessi occhi per cui è tornata indietro. Questa volta quei tre ragazzini, la cui
intera famiglia è in carcere, a chi verranno affidati?
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Testimoni di giustizia
Ma la responsabilità
morale è anche nostra
Tutta una società ha
concorso alla morte di
Maria Concetta. E di
Rita. E di molte altre
di Nadia Furnari
Associaz. Antimafie “Rita Atria”
Partiamo dalla notizia: "Alle 19.00 di
sabato 20 agosto, Maria Concetta Cacciola si chiude in bagno, mandando giù
a sorsate, come fosse acqua, l'acido muriatico". Ad agosto la notizia arriva sotto l'ombrellone e al più, per i più informati e per quelli che hanno il vizio di
leggere i giornali, è un evento drammatico sul quale esercitarsi in ipotesi, valutazioni, sentenze… Maria Concetta viene chiamata pentita, collaboratrice,
donna di 'ndrangheta come a volere
sminuire l'importanza di quella morte.
Qualcuno dalla Calabria urla: è una Testimone!
Ma l'Italia sotto l'ombrellone è troppo
impegnata a gestire la quotidianità per soffermarsi su questi particolari e i giornalisti
delle testate nazionali troppo affaticati per
approfondire il "dettaglio": collaboratrice
o testimone?
Solo pochi si sono interrogati sulla donna Maria Concetta Cacciola, sulla sua vita,
sul perché a quattordici anni si sposa un
uomo che non si ama e si diventa madre
da adolescente.
La nostra associazione è intitolata a Rita
Atria: anche Rita si è suicidata a soli di-
ciassette anni, perché uccidendo Paolo
Borsellino le avevano ucciso la speranza.
Anche Rita Atria come Maria Concetta era
nata in un contesto mafioso, anche Rita
Atria ha denunciato per avere il diritto di
non farsi rubare i sogni e le speranze.
Proviamo dunque a capovolgere la notizia, e a raccontare come una donna che nasce in un contesto culturalmente degradato, a soli trentun anni - con tre figli e un
marito in galera - conclude la sua esistenza
perché vede nella morte la sua liberazione.
Sarebbe bello risalire la filiera delle responsabilità e non soffermarci solo su quei
genitori che danno e tolgono la vita con
una efferatezza che sembra avere poco a
che fare con logiche umane.Lasciamo agli
studiosi della materia approfondire l'argomento.
Per il prete era normale?
Maria Concetta si sposa a quattordici
anni con un uomo della 'ndrangheta. Vero.
L'ha sposata un prete? Immagino di sì. Per
il prete era normale che una ragazzina di
soli quattordici anni si sposasse?
Maria Concetta era cittadina di Rosarno.
Gli amministratori di questa cittadina hanno mai istituito un monitoraggio sociale
per tutelare i minori? Assistenti sociali,
medici, operatori sanitari, sacerdoti, suore,
associazioni, etc. si sono mai accorti della
violenza su Maria Concetta? Insomma,
qualcuno ha mai sondato la felicità di Maria Concetta?
Ma Maria Concetta è una che ha parenti
'ndranghetisti e che si è sposata pensando:
"Sognavo un po' di libertà e invece mi
sono rovinata la vita perché non mi amava, né l'amo e tu lo sai" (così scriverà alla
madre); Maria Concetta è una giovane
donna che ha partorito il suo primo figlio a
sedici anni… insomma perché occuparsi
di un "essere inferiore"?
Ormai è opinione comune che il valore
della vita di una persona si misuri in base
al colore, alla razza, alla famiglia di nasci-
I Sicilianigiovani – pag. 12
ta, a chi ti sposi e ad altri parametri "sociali" e "civili". Per noi, ad esempio, un uomo
di colore che muore mentre cerca di raggiungere la speranza su un barcone scassato è una non notizia, una vita tra le tante.
Per noi un uomo di colore che sgobba nei
campi per 15 euro al giorno pagando anche i caporali è un "extracomunitario" e
non uno schiavo.
Quando arrestano il marito, Maria Concetta, rimane da sola e la sua vita di ventenne deve proseguire tra figli e visite in
carcere per portare la sportina all'uomo
che non ha mai amato.
E mentre faceva tutto questo Maria Concetta viveva a Rosarno tra due morse: la
famiglia aguzzina e la società civile a cui
non poteva avere accesso perché comunque era pur sempre la moglie di uno
'ndranghetista e parente dei Bellocco. Insomma senza via di fuga.
Maria Concetta l'anno scorso si innamora e capisce il significato di amore, ma la
'ndrangheta ha sistemi di intercettazione
molto sofisticati e così qualcuno appartenente all' "onorata società" decide di andare dai genitori di Maria Concetta per svelare il tradimento. Le violenze e le vessazioni sono automatiche.
Non immagina tanto male
Ma Maria Concetta è giovane e vuole
vivere e poi è innamorata e vede in quella
caserma dei carabinieri non un nemico,
come le avevano insegnato da quando era
nata, ma la liberazione.
Racconta Maria Concetta, dice quello
che ha sentito, quello che ha visto, senza
alcuna complicità se non quella di essere
nata e vissuta in quel contesto (almeno
così risulta dagli inquirenti), entra nel programma di protezione ma fa l'errore più
grande: non porta i figli, scegliendo di lasciarli ai nonni, perché Maria Concetta
non immagina che un padre e una madre
possano fare del male ad una figlia o a dei
nipoti.
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Ma quei figli le mancano, soprattutto
nella solitudine di un programma di protezione, privo di qualsiasi incoraggiamento sociale, civile, politico e senza alcuna assistenza psicologica.
Torna a Rosarno il 10 di agosto per
riprenderseli, i figli, ma trova un
comitato di accoglienza organizzato:
avvocati, medici, consiglieri a vario
titolo. L'obiettivo è quello di dimostrare
che Maria Concetta ha agito sotto effetto
di psicofarmaci e si è inventata tutto.
Il silenzio sociale
La memoria torna agli anni '90, a
quando gli avvocati definivano Rita Atria
una ragazzina dalla personalità instabile
e la madre la ripudiava: meglio la morte
che una figlia infame.
Maria Concetta doveva ripartire per
rientrare nel programma di protezione
ma stava cercando di capire quale fosse
il momento ideale per lasciare quella
casa… purtroppo è passato troppo tempo
e la 'ndrangheta con tutti i suoi collaboratori esterni e sicura del silenzio sociale,
politico e amministrativo, ha torturato
Maria Concetta fino ad indurla ad un gesto che non può che trovare le radici nella disperazione. Uccidersi con l'acido.
“Un mondo di cose semplici”
Quando abbiamo fondato l'associazione Rita Atria, nel lontano '94, qualcuno
ci criticava perché non si intitola un'associazione alla figlia di un boss di mafia.
Ma Rita in un suo tema aveva indicato
la strada: "L'unico sistema per eliminare
[la mafia] è rendere coscienti i ragazzi
che vivono tra la mafia che al di fuori c'è
un altro mondo fatto di cose semplici, ma
belle, di purezza, un mondo dove sei trattato per ciò che sei, non perché sei figlio
di questa o di quella persona, o perché
hai pagato un pizzo per farti fare quel favore".
"Andiamo tra i ragazzi che vivono tra
la mafia...". Quando ha scritto queste parole Rita pensava a se stessa, al giudizio
e al pregiudizio e diceva a tutti che ai figli dei mafiosi si nega la libertà di un
"mondo fatto di cose semplici".
“Salvare i figli dei mafiosi”
Rita ci chiedeva di salvare i figli dei
mafiosi la cui unica colpa è quella di nascere e crescere in un contesto senza alternative. In molti hanno puntato il dito
denunciando l'inefficienza del Servizio
Centrale di Protezione. Vero, potevano
fare di più.
Chi ci conosce sa perfettamente che da
anni denunciamo la gestione del Servizio
Centrale di Protezione; sa perfettamente
che da anni diciamo che i Testimoni hanno bisogno di un tutor a supporto psicologico, perché quello che devono affrontare è troppo grande e la solitudine della
località protetta non aiuta e ti fa cadere
nella disperazione.
Gli amministratori di quei paesi
Oggi però, per onestà intellettuale,
chiediamo a quei "molti" di puntare il
dito innanzitutto contro gli amministratori di quei paesi, contro i politici di
quella regione, contro assistenti sociali,
medici, avvocati, chiesa e società connivente, che vedono e tacciono, perché ci
si indigna (ma non più di tanto) solo se
uccidono uno di "noi".
La morte di Maria Concetta deve lasciarci l'amaro in bocca e deve indurci a
chiederci se le nostre attività sono di
vero contrasto alle mafie. A parole è tutto
facile, ma vivere il territorio è altra cosa
e spesso chi lotta e sta accanto a donne
come Maria Concetta viene poco considerato, perché svolge un'attività sociale
che non conquisterà mai gli onori della
cronaca.
Rita Atria oggi è considerata un esem-
I Sicilianigiovani – pag. 13
pio, ma se fosse in vita forse sarebbe una
"infame" e la figlia e la sorella di un mafioso, ergo una donna di serie z.
“Una donna di serie z”
Parafrasando il pensiero di Sandro
Marcucci (per la cui morte stiamo ancora
chiedendo giustizia): finché il sangue dei
figli degli altri varrà meno del sangue dei
nostri figli, fin quando il dolore degli altri per la morte dei loro figli, varrà meno
del nostro dolore per la morte dei nostri
figli, fino a quando la vita di una donna
che nasce non per scelta ma per destino
in una famiglia mafiosa ma che porta
dentro il senso della libertà, varrà meno
della nostra vita, allora ci saranno altre
Maria Concetta Cacciola, altre Rita Atria
che penseranno che la morte sia fonte di
libertà.
Un riflettore dentro noi stressi
E la responsabilità morale di quella
morte sarà anche la nostra. Mettiamo un
riflettore sulle terre di frontiera, mettiamo un riflettore su queste donne coraggiose che chiedono solo di vivere ed essere felici.
Mettiamo un riflettore dentro noi stessi
e cerchiamo di capire tutti che parte possiamo fare. Anche piccola. Ma fare e agire anche con la paura di sbagliare, senza
pregiudizio, pensando che ogni donna,
ogni bambino e ogni uomo debbano avere almeno una opportunità nella vita di
ribellarsi al proprio destino. E noi abbiamo il dovere di aiutarli.
A Rita Atria hanno negato anche il funerale e oggi risposa in pace a Partanna
di Trapani. Sua madre e sua sorella, nell'indifferenza comune (amministrativa e
sociale), non hanno ritenuto opportuno
mettere neanche il nome sulla sua tomba.
Maria Concetta Cacciola è stata seppellita dai suoi carnefici. A tutti noi il compito di fare Memoria.
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Come la mafia ha abolito le regioni
La 'ndrangheta e
i suoi refusi al nord
La relazione della DNA
sfata diversi miti sulla
mafia al nord. Che è
una cosa seria, “moderna” e radicata, non
sanguinario folklore
E allora ecco il perché del cappello obbligatorio a qualsiasi discorso o pezzo per
riprendere le fila cominciando a smontare
prima di avere il tempo e il terreno per
montare un discorso che provi a guardare
al presente e al futuro.
La relazione annuale della DNA sul fenomeno della 'ndrangheta è un pennarello
blu sugli errori da non ripetere, una bacchettata sulle dita.
Soldi, radicamento e struttura
di Giulio Cavalli
Facciamo un patto. Ma facciamolo
sul serio: decidiamo che non ci sia concesso di dimenticarci le parole già dette
su mafie, cittadinanze e socialità giù al
nord. Che non ci sia bisogno ogni volta
di un ripasso generale prima di ricominciare, che non è opportuno avere bisogno ad ogni giro di un riassunto delle
puntate precedenti. Non per cominciare
a dire qualcosa di scontatoma perché
almeno non isoliamo i professori (cioè,
quelli che professano valore), gli studiosi (quelli che analizzano prima di avventurarsi nelle più disparate tesi) e i
cittadini per vocazione (quelli che non
sopravvivono, ma vivono a costo di farsi male per tutti gli spigoli che ci sono
intorno).
Ogni giorno che si sfoglia un giornale
(o un sito o un blog: sono lo stesso affacciarsi su finestre diverse della stessa stanza) c'è un abbondanza di ridondandismi
(non esiste ma rende bene l'idea) che distolgono dal punto e banalizzano per vanificare: le "infiltrazioni che stanno arrivando al Nord", gli imprenditori che "finiscono per essere vittime senza accorgersene"
o i politici "che non sapevano".
Il quadro investigativo e processuale
complessivamente considerato evidenzia
inequivocabilmente che la ‘ndrangheta è
caratterizzata non solo da una illimitata
disponibilità finanziaria (derivante principalmente dal traffico di stupefacenti e
dai lucrosi investimenti immobiliari e di
imprese già rilevati ed evidenziati nella
precedente relazione, ma anche da una
allarmante e provata diffusione territoriale che non conosce confini; le indagini dispiegate negli ultimi anni denunciano una
“presenza massiccia” nel territorio che
non trova riscontro (rectius: possibilità di
comparazione) nelle altre organizzazioni
mafiose. L’organizzazione si avvale di migliaia di affiliati che costituiscono presenze militari diffuse e capillari e al contempo strumento di acquisizione di consenso, radicamento e controllo sociale.
Quindi basta con le ipotesi di brigantaggio evoluto. Per favore, basta con le proiezioni di qualche rurale malfattore. A Milano dalla Chiesa, Barbacetto, Portanova e
tanti altri lo dicono da qualche decennio.
Diamolo come concetto digerito.
Qui, lì, dappertutto
Le indagini dell’operazione Crimine 1
e Crimine 2 consentono di radicare, altresì, il fermo convincimento che il processo
di internazionalizzazione dell’organizzazione in parola è vieppiù progressivamente avanzato: alla presenza in terra stra-
I Sicilianigiovani – pag. 14
niera di immigrati calabresi “fedeli alla
casa madre” ed operativi (sul piano degli
investimenti e del riciclaggio di profitti illeciti) si è aggiunta una strutturale presenza (militare e strategica) di soggetti
affiliati a “locali” formati ed operanti
stabilmente in terra straniera che, fermo
restando il doveroso ossequio alla “casa
madre”, agiscono autonomamente secondo i modelli propri dei locali calabresi
autoctoni. Il disvelamento di organizzati
locali in Germania, Svizzera, Canada ed
Australia (si vedano gli arresti colà eseguiti in esecuzione delle ordinanze Crimine) conclama vieppiù detto processo di
progressiva globalizzazione della ‘ndrangheta che, da fenomeno disconosciuto (o,
per meglio dire sottovalutato), può oggi
essere considerata una vera e propria
“holding mondiale del crimine”.
Siffatti mutamenti ontologici dell’organizzazione in esame sono stati, indubbiamente, favoriti ed accelerati dalla “nuova
generazione” di ndranghetisti che, pur
conservando il formale rispetto per le arcaiche regole di affiliazione, oggi non
sono solo in grado di interloquire con altre ed altre categorie sociali, ma anche di
mettere a frutto le loro conoscenze informatiche, finanziarie e gli studi intrapresi.
Basta con il federalismo antimafia. Le
regioni non esistono più sullo scacchiere
delle 'ndrine. E' un federazione di luoghi
oliata e perfetta. Il provincialismo (che è
enormemente diverso dall'attenzione per i
territori) antimafioso è un condono morale che lasciamo ai barbari sognanti.
Politica mafiosa, mafia politica
E’ bene, quindi, rilevare ed evidenziare
che gli allarmanti (rectius: inquietanti)
rapporti intrattenuti con rappresentanti
delle istituzioni, con politici di alto rango,
con imprenditori di rilevanza nazionale
(disvelati da numerose indagini dispiegate in varie regioni nel corso del periodo
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in esame) non sono soltanto frutto esclusivo del clima di intimidazione e della
forza intrinseca del consorzio associativo,
bensì il risultato di una progettualità strategica di espansione e di occupazione
economico-territoriale, che, oramai, si
svolge su un piano assolutamente paritario; rapporti con istituzioni ed imprese
volto ad intercettare flussi di denaro pubblico, opportunità di profitti e, contestualmente, ad innestare nel libero mercato
fattori esterni devianti (di nitida derivazione criminale e d'inquinamento economico), ma tendenti verso una nuova fase
di legittimazione imprenditoriale e sociale idonea a conferire un grado di “mimetismo imprenditoriale” e ciò allo scopo
di eludere le indagini patrimoniali ed assicurare, nel tempo, stabilità economica
alle attività imprenditoriali.
Detto fenomeno è ancor più evidente
nel nord ove la ‘ndrangheta opera in sinergia con imprese autoctone o, in talune
occasioni, dietro lo schermo di esse.
Nuova generazione di criminali
Esiste, a ben vedere, una nuova generazione di criminali calabresi che “si muovono a una velocità diversa rispetto alla
tradizione dei giuramenti, dei riti e delle
formule di affiliazione”.
L’intensa e straordinaria attività di indagine dispiegata dalla DDA di Reggio
Calabria, Catanzaro, Milano, Roma e Torino ha, vieppiù, evidenziato le “due nature” della ‘ndrangheta: l’una, quella militare, volta all’acquisizione di poteri di
controllo territoriale e sociale e, l’altra
legata in modo indissolubile alla prima,
la ‘ndrangheta “politica” ed imprenditrice che intesse rapporti con uomini politici, favorisce ed agevola in modo interessato, “cariche politiche” ovvero instaura
rapporti economici con realtà imprenditoriali esistenti sul territorio al fine di fagocitarle e/o inglobarle.
Ndrangheta, politica e imprenditoria
non si incrociano per caso e non sono vittime una dell'altra: convergono (c'è un bel
libro di Nando dalla Chiesa che si intitola,
indovina un po', “La Convergenza”).
Milano capitale della 'ndrangheta
Lo diceva già Vincenzo Macrì, sostituto
procuratore della Direzione Nazionale
Antimafia e lo ripete l'ultima relazione
della Direzione Nazionale Antimafia:
I dati di un recente studio del Centro di
ricerca della Università Cattolica individuano nella città di Milano la “capitale
economica del crimine organizzato”, la
città ove operano “i manager delle cosche”: il numero di beni immobili e mobili confiscati nonché di imprese mafiose
operanti in vari settori (appalti pubblici,
edilizia, movimento terra, turistico-alberghiero e ristorazione) in Lombardia conclamano l’importanza della regione quale
luogo eletto di reinvestimento di profitti
illeciti delle organizzazioni criminali italiane ed il ruolo assolutamente egemone
della ‘ndrangheta.
Chi nega o non ne vuole parlare è ignorante e cretino.
L'antimafia si fa ovunque
Dice la Relazione della DNA che il
grado di attenzione ed informazione sull’evoluzione del fenomeno ‘ndrangheta,
sulla pericolosità di essa, sulla sua potenza economica nonché sulla pervasiva presenza su tutto il territorio nazionale ha
raggiunto, nel periodo in esame, livelli
insperati e comunque idonei a rendere
partecipe l’opinione pubblica della gravità sociale ed economica dell’agire criminale dell’organizzazione.
Orbene siffatto mutamento di rotta informativa non è da ricondurre soltanto
all’eclatanza dei gesti intimidatori commessi in danno di magistrati, professionisti, giornalisti (di cui si è detto sopra), ma
anche, e soprattutto, a due diversi fatto-
I Sicilianigiovani – pag. 15
ri: da un lato l’intensità del contrasto ed i
“successi investigativi” e processuali che
hanno dato corpo ad una palpabile presenza dello Stato e delle sue Istituzioni e,
dall’altro lato, ad una “sorta di risveglio
della coscienza civile”, ossia una marcata e consapevole presa di posizione civica
che lascia intravedere l’inizio di una strenua lotta culturale ed etica volta al riscatto ed alla progressiva emarginazione
del “cancro sociale” che ha attanagliato
da decenni la Calabria.
Non solo i magistrati
Le numerose manifestazioni di solidarietà a Magistrati ed alle instancabili
Forze di Polizia, le iniziative culturali, i
dibattiti di cui la stampa nazionale ha
dato contezza e rilievo fanno intravedere
la concreta possibilità di una presa di coscienza collettiva che fa ben sperare per
il futuro e, comunque, fanno intravedere
un percorso di contrasto più articolato
che si congiunge con quello tracciato dalla Magistratura che non può essere delegata in modo esclusivo.
Ognuno fa la sua parte. Ognuno gioca il
proprio ruolo senza timidezze e fanatismi.
Gli errori in rosso
Queste le righe in blu e gli errori in rosso che ci vengono riconsegnati. Così almeno con più memoria si scrivono i prossimi capitoli.
Non tanto perché sia un "compito in
classe", almeno per non perdere troppo
tempo a smentire le bugie e perché la
'ndrangheta su al nord è già più nazionalpopolare nell'instillare la distrazione di un
comizio leghista ben detto, ma se si rimane fermi sulla grammatica della memoria
viene tutto più semplice. E perché come
dice Piercamillo Davigo "è l'oblio dei misfatti che lentamente consuma la libertà
delle istituzioni".
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Milano
L'Expo è ferma
ma gli appalti no
A che punto è il più
grande evento imprenditoriale (e politico) di
Milano? Quali interessi
si muovono, quali
sono in attesa? L'eredità Moratti pesa ancora
sulla città. Ma la nuova classe dirigente potrebbe correre di più
di Paolo Fior
“Il tempo gioca a nostro sfavore e i
ritardi finora accumulati rischiano di
trasformarsi in un formidabile cavallo
di Troia nelle mani delle organizzazioni criminali”. Lo scrive la Direzione
nazionale antimafia nella Relazione
2011 presentata al Parlamento poche
settimane fa. In quelle pagine si rilancia l’allarme su Expo 2015: “V’è il timore che l’approssimarsi delle scadenze imposte dal Bureau di Expo 2015
possano imporre soluzioni accelerate e
protocolli d’urgenza che potrebbero
vanificare ogni possibilità di contrasto
alle infiltrazioni criminali”.
Ecco, se vogliamo fare il punto su ciò
che sta accadendo a Milano dobbiamo
necessariamente partire da qui, dai ritardi, e dalla fotografia per nulla tranquillizzante scattata dai magistrati della Dna,
secondo cui non si registrano novità di
rilievo sul fronte delle infiltrazioni “per
effetto di una sostanziale paralisi delle
attività progettuali e realizzative”.
In altre parole, l’Expo è ancora ferma
ma la torta degli appalti è sempre lì e fa
gola a molti.
Anche se il progetto ha perso molti
pezzi rispetto alla versione originale con
cui Milano ha ottenuto nel 2008 l’assegnazione dell’Esposizione universale dal
Bie (Bureau international des Exposition), stiamo pur sempre parlando di oltre 13 miliardi di investimenti diretti e
indiretti che potrebbero generare un beneficio economico per il territorio superiore ai 34 miliardi di euro con una creazione di circa 70mila nuovi posti di lavoro nell’arco di 5 anni. Queste almeno le
stime attuali di Assolombarda, l’associazione degli industriali che fa capo a Confindustria.
Discontinuità col passato
Per sgomberare il campo da possibili
equivoci, va detto subito che la nuova
amministrazione comunale guidata da
Giuliano Pisapia ha ereditato i ritardi accumulati dal centrodestra che fino allo
scorso anno aveva tutte le leve del potere
in mano (governo nazionale, regionale,
provinciale e cittadino) e che è riuscito a
I Sicilianigiovani – pag. 16
perdere oltre due anni in lotte al coltello
per le poltrone senza fare nessun concreto passo in avanti su Expo.
E va detto anche che la nuova amministrazione di Milano è riuscita finalmente
a dare un forte segnale di discontinuità
rispetto al passato con l’istituzione della
Commissione antimafia cittadina, la cui
nascita era stata apertamente osteggiata
dal prefetto Gian Valerio Lombardi (lo
stesso che nel gennaio 2010 aveva detto
alla Commissione nazionale antimafia
che “a Milano e in Lombardia la mafia
non esiste”) e bloccata dal precedente
sindaco Letizia Moratti e dalla sua maggioranza.
Il “Protocollo di legalità”
Detto questo, però, i problemi restano
tutti sul tappeto. Di recente è stato finalmente siglato in prefettura il “Protocollo
di legalità” che contiene le linee guida
fissate dal Viminale per prevenire le infiltrazioni mafiose in vista dei lavori per
Expo e che prevede l’accentramento in
Prefettura del rilascio di tutte le certificazioni antimafia per le aziende, anche se
domiciliate fuori dalla Lombardia.
Tra i punti qualificanti dell’intesa, l’istituzione di una “white list” di imprese
a cui i vincitori degli appalti potranno affidarsi con assoluta tranquillità.
Si tratta infatti di aziende che si aprono
ai controlli antimafia dentro e fuori i cantieri in modo molto più approfondito di
quello previsto dalla legge e per questo
vengono incluse in uno speciale elenco.
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Il protocollo accende un faro specifico
sui subappalti, sul reclutamento della
manodopera per prevenire il lavoro nero
e sulla tracciabilità dei flussi finanziari.
E’ la premessa indispensabile per dare
il via alle gare d’appalto che avrebbero
dovuto svolgersi già più di un anno fa e
che – di rinvio in rinvio – non sono ancora partite. E se la cittadella espositiva è
in clamoroso ritardo, che dire delle infrastrutture principali che avrebbero dovuto
essere pronte per il 2015?
Le opere accantonate
Diverse opere sono state accantonate,
come la Linea 6 della metropolitana, altre rischiano di restare solo sulla carta e
altre ancora – crisi finanziaria permettendo – saranno pronte solo dopo l’Expo.
Lo si legge chiaramente nel Rapporto
annuale dell’Osservatorio territoriale infrastrutture che fa i conti in tasca ai cantieri. Per il collegamento ferroviario diretto tra l’aeroporto di Malpensa e il polo
espositivo si prevede la costruzione di un
terzo binario per 25 chilometri e la risistemazione del nodo ferroviario di Rho.
Mancano però all’appello 220 milioni,
mentre altri 140 milioni (che non ci
sono) servirebbero a collegare su rotaia i
due terminal aeroportuali.
La Linea 4 del metrò
Se tutto andrà bene, per il 2015 della
Linea 4 della metropolitana, quella che
dovrebbe collegare l’aeroporto di Linate
al centro, saranno pronte solo tre ferma-
te, mentre per il potenziamento delle altre linee mancano del tutto i fondi: per la
linea Verde ci sono 6 milioni su 477; per
la linea Gialla, 9 su 750.
Stiamo parlando di infrastrutture necessarie non solo per l’Expo, ma per una
metropoli moderna che dovrebbe investire sempre più sul trasporto collettivo e
sull’efficienza dei collegamenti. Metropoli che, se tutto andrà bene, dall’Expo
dovrebbe guadagnare almeno la riqualificazione della Darsena (l’antico porto milanese), il ripristino di alcune vie d’acqua
e una pista ciclabile di 21 chilometri che
dai navigli porterà fino a Rho per un investimento complessivo di 17 milioni di
euro.
Tra le opere più controverse ci sono
poi le nuove strade e autostrade. Sono
opere indipendenti dall’Esposizione, ma
per le quali l’evento avrebbe dovuto fungere da traino. E su queste infrastrutture
su cui si concentrano forti interessi economici occorrerebbe di certo una maggior vigilanza.
La Milano-Brescia
Per il 2015 potrebbe essere pronta solo
la cosiddetta Brebemi, ossia la MilanoBrescia, a patto che vengano dissequestrati i cantieri bloccati a fine novembre
in seguito all’arresto di una decina di
persone tra cui il vicepresidente della regione Lombardia, Franco Nicoli Cristiani, nell’ambito di un’inchiesta su corruzione e traffico illecito di rifiuti: i cantieri sarebbero stati utilizzati per smaltire il-
I Sicilianigiovani – pag. 17
legalmente rifiuti tossici, tra cui amianto,
come sottofondo del manto stradale.
Quanto alla Tangenziale Est Esterna e
alla Pedemontana, non ci sono i tempi e,
soprattutto, i fondi. Colpa certo della crisi economica che ha colpito duro l’intero
progetto dell’Esposizione universale:
dall’Orto planetario che avrebbe dovuto
superare la vecchia formula dei padiglioni tradizionali, si è arrivati a una sorta di
“Fiera campionaria” in grande: l’idea di
un’Expo basata sull’agricoltura e sulla
sostenibilità declinava benissimo il tema
dell’esposizione (“Nutrire il pianeta,
energia per la vita”), ma non sposava a
sufficienza le ragioni commerciali.
La “cittadella digitale”
Di qui la decisione di ripiegare su una
più ragionevole “cittadella digitale” che
verrà realizzata su quel milione di metri
quadrati acquistati a caro prezzo dalla società mista Regione-Comune: 200 milioni di euro, di cui poco meno di 50 sono
andati ai privati e il grosso è stato pagato
alla Fondazione Fiera che essendo proprietaria di buona parte di quell’area
agricola ed essendo anche membro del
comitato promotore di Expo ha provveduto fin dal 2008 a rivalutare i terreni nel
suo bilancio. Una scelta che non ha mancato di sollevare un vespaio di polemiche.
Fin qui la storia. Ma di ritardo in ritardo, di taglio in taglio, cosa ne sarà di
Expo? Il rischio non è tanto quello di un
flop o dell’ennesima occasione sprecata,
Mafie al nord
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Bologna
del riciclo
A Bologna non si spara ma si ricicla
tanto anche se per molti, ancora, la mafia
è un problema degli altri. Niente “coppola e lupara” ma tanti soldi, una barca di
soldi da “pulire” e da investire. Pochi ne
parlano, ma mafia qui è arrivata ormai da
cinquant’anni, con la legge sul soggiorno
obbligato.
Giusto nelle settimane scorse il presidente di Confindustria Emilia Romagna,
Gaetano Maccaferri, aveva parlato di una
situazione regionale assolutamente sotto
controllo e “sana”. "Non abbiamo di questi problemi. Le infiltrazioni mafiose o il
pericolo mafia non sono all'ordine del
giorno. E non ci sono mai state, finora,
perché non abbiamo mai avuto di questi
problemi".
La verità è che le attività svolte dalle
mafie a Bologna sono le stesse di quelle
svolte a Palermo, Napoli o Reggio Calabria. Attività evolute nel tempo, adattate
alla realtà sociale, fonte di ingenti guadagni. Dal traffico di armi alla droga, gli
appalti, le bische, il giro della prostituzione, il “pizzo” che qui a Bologna si
chiama “imposizione dei propri prodotti”. E vogliamo parlare del fenomeno
dei “compro oro”, proliferati come i funghi? Sono più di quaranta.
Abbiamo assistito alla chiusura di ristoranti e pizzerie, di negozi in pieno
centro, addirittura nella scorsa primavera
sono stati messi i sigilli antimafia alla famosa pizzeria “Regina Margherita”, sottoposta a sequestro preventivo su ordine
della Direzione Distrettuale Antimafia di
Napoli. Ventidue tra aziende e beni immobili confiscati, latitanti arrestati,
‘ndranghetisti, casalesi, Cosa nostra e
mafie straniere. Ma a Bologna si parla
ancora di “infiltrazione” e non di radicamento.
In questo quadro generale il Comune
lavora ad un osservatorio per la legalità e
ci si appresta all’apertura di una sezione
della Direzione Investigativa Antimafia.
Durante l'inaugurazione dell'anno giudiziario il Pg di Bologna Ledonne ha lanciato l’allarme: “La criminalità organizzata in Emilia Romagna continua a far
affari e vive una delle situazioni ideali: la
pax mafiosa”.
Salvo Ognibene
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ma soprattutto quello che i due commissari Roberto Formigoni e Giuliano Pisapia, accampando ragioni d’urgenza, inizino a derogare dalle normative com’è
loro potere. E’ già accaduto con la decisione di esentare dalla Valutazione di impatto ambientale (Via) uno dei progetti
più invasivi: la deviazione e la parziale
copertura del torrente Guisa che attraversa l’area espositiva. Potrebbe accadere su
altri, ancor più delicati fronti.
Cementificazione selvaggia
E’ proprio questo il rischio paventato
dalla Direzione nazionale antimafia e anche da associazioni come Legambiente e
Wwf che temono come l’Expo, perdendo
la sua connotazione originaria caratterizzata da scelte a “impatto zero”, trasparenza e sostenibilità, finisca con il lasciare in eredità scempi ambientali e cementificazione selvaggia.
Come dargli torto, visto che ancora
non si sa nulla circa la destinazione post
2015 dell’area espositiva e che al momento l’unica certezza è che, grazie a
Formigoni, con la scusa dell’Expo si
I Sicilianigiovani – pag. 18
darà mano libera alla speculazione selvaggia su Milano e sulla Lombardia.
Il testo del piano casa lombardo che sta
per essere approvato dalla commissione
regionale, infatti, sancisce un vero e proprio far west: gli alberghi potranno essere ampliati quasi a piacimento, le volumetrie dei capannoni industriali potranno
essere aumentate di un 10% anche in deroga alle normative urbanistiche, mentre
potranno essere cedute o trasferite volumetrie su aree sia pubbliche sia private
senza il consenso dei Comuni.
La lobby dei costruttori
Oltre al recupero dei sottotetti trasformabili in abitazioni, il piano prevede anche la possibilità di abbattere un edificio
e ricostruirlo più alto del 30%.
L’unica speranza è che la bozza venga
pesantemente emendata, ma la lobby dei
costruttori è molto potente sia in Regione
sia a Milano, come dimostra la controversa nomina del presidente dei costruttori, Claudio De Albertis, alla presidenza
della Triennale, una delle più prestigiose
istituzioni culturali milanesi.
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Società civile
La meglio gioventù
Storie dalla Milano
che studia
Non si può dire che la
vecchia generazione di
professionisti e studiosi abbia assolto al suo
dovere di proteggere
dall'assalto mafioso il
Paese, specialmente al
Nord. Perciò toccherà
ai giovani. Ce la faranno?
di Martina Mazzeo
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Metti una sera in una Facoltà dell’Università Statale di Milano. Metti
una motivazione a sfidare la temperatura sotto zero, un freddo che fa
tremare, di quelle che promettono di
rinvigorire più del vin brulè in piazza.
Prendi il tutto e ottieni “La Meglio
Gioventù”. Sotto gli auspici e l’entusiasmo del Preside, il Prof. Daniele
Checchi, orgoglioso che la Facoltà sia
tornata ad essere un “luogo di coscienza civile”, Scienze Politiche apre le
porte – o meglio, eccezionalmente le
tiene aperte – per un evento promosso
e organizzato dal professor Nando dalla Chiesa e dal Dipartimento di Studi
Sociali e Politici.
“La Meglio Gioventù” significa
premiare le migliori tesi di Sociologia della criminalità organizzata prodotte nelle
sessioni di laurea del 2011. Quarantuno lavori di ricerca, quarantuno volti, quarantuno storie di caffè nero la notte e grattacapi
senza tregua. La Sala Lauree gremita è lì
per applaudire i risultati di quei quarantuno “studenti e studiosi” che con il loro impegno si fanno ogni giorno “promotori attivi di consapevolezza”, portando la loro
determinazione scientifica e civile nelle
loro realtà locali e dandosi pervicacemente
da fare per organizzare eventi pubblici in
cui denunciare il radicamento mafioso nei
loro territori.
Quarantuno “studenti e studiosi”
“Alcuni diventano esperti e la qualità
delle loro conoscenze gira l’Italia”, assicura dalla Chiesa, che di tutte queste storie è
motivatore e di tutte queste tesi relatore.
L’evento di ieri sera celebra, di riflesso, la
ritrovata sinergia tra università e società
civile, ne svela il riscoperto dialogo, ne
esalta la vitalità rimasta per anni latente.
E le nove tesi presentate delle quarantuno premiate (con libri messi a disposizione
dalle case editrici Melampo e Chiare Lettere) testimoniano esattamente questo:
guai a parlare degli studenti come di spugne acritiche e inconcludenti. E basta parlare dell’università come fosse l’anticamera della disoccupazione. Investire energie
nei propri studi e investire i propri studi
nel sociale e nell’impegno civile a partire
dal proprio territorio paga.
Laureati a pieni voti
“Con la cultura non si mangia”, diceva
un tale. Non ci si abbuffa come certi pa-
I Sicilianigiovani – pag. 19
rassiti statali, questo è sicuro, ma altrettanto certo è che può garantire un guadagno dignitoso – molte delle quarantuno
tesi si tradurranno in progetti editoriali
per riviste del settore, non solo italiane –
oltre che una vita ricca di quel bene prezioso che si chiama soddisfazione.
E chi ha assistito alla presentazione dei
lavori di ricerca non ha visto altro che
soddisfazione sui volti di quegli studenti,
tutti laureati in corso a pieni voti e in
gran parte lavoratori part o full time.
Ragionevolmente il senatore Antonino
Caruso, membro milanese della Commissione Parlamentare Antimafia, si dice
“impressionato dalle illustrazioni appassionate”.
E ha tutti i motivi anche Basilio Rizzo,
Presidente del Consiglio Comunale di
Milano, per definire “fondamentale il
ruolo del sapere” tanto da auspicare un
costruttivo “rapporto tra studenti e amministrazione” comunale. Quel sapere
che ha il colore della “assunzione di responsabilità”.
“Siete voi che insegnate”
“Siete voi che insegnate delle cose a
noi”. I soliti occhi chiusi di don Luigi
Ciotti che parlano. E denunciano che
“l’ultimo codice antimafia è fitto di tranelli e contraddizioni” che ostacolano la
vera lotta contro la mafia.
La vera lotta per l’alternativa, che ieri
sera portava i nomi di quarantuno studenti e studentesse, “persone innamorate
della vita e lontane dai compromessi”,
persone “disposte a crederci” ogni giorno
nel valore di quella “ricerca e cultura che
arricchisce tutti noi”. E allora evviva tutti
loro. Evviva questa Milano che studia.
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accadrà ieri
......
Si dimette in tv Il poliziotto
IL PREMIER DELLA ROMANIA
SI RIBELLA
Il 6 febbraio si dimette in diretta tv il
premier romeno Emil Boc. Sono state
decisive le proteste che da metà gennaio
hanno coinvolto migliaia di cittadini,
scesi in piazza contro il piano di austerità
e di privatizzazioni deciso dal governo.
Le manifestazioni hanno coinvolto più di
40 città e provocato decine di feriti.
Intanto alle Maldive il presidente Mohamed Nasheed si dimette dopo che le
forze di polizia hanno occupato la televisione di stato chiedendo alla popolazione
di ribellarsi. Al suo posto subentra il vicepresidente Mohammed Waheed Hassan. Il portavoce del ministero del turismo informa che gli stranieri in vacanza
alle Maldive non verranno coinvolti in
alcun modo dalla crisi politica in corso.
Governo-bomba
SIRIA: 50 CIVILI UCCISI
Nello stesso giorno in Siria le truppe
governative bombardano la città di
Homs, considerata la roccaforte dei ribelli al regime di Bashar al-Assad. Sono 50
i civili uccisi. Molti altri moriranno nei
bombardamenti dei giorni successivi.
Anonymus
CONTRO IL TIRANNO
Il 7 febbraio il gruppo hacker Anonymous rende pubbliche le email tra il presidente siriano Bashar al-Assad e il suo
staff. Viene anche svelata la password di
molti account governativi, tra cui quello
del ministro degli affari presidenziali e
quello dell’ufficio stampa di Assad. La
sequenza è banale: 12345.
Anonymous
CHIEDE IL PIZZO
Qualche giorno dopo un gruppo di
hacker indiani, che sostengono di essere
affiliati ad Anonymous, fa sapere di aver
rubato il codice sorgente di due programmi di Symantec, noto produttore di antivirus. Gli hacker pubblicano le email di
Symantec, in cui l’azienda si dice disposta a pagare 50.000 dollari in cambio dei
codici.
Il demos
PERDE LA PAZIENZA
Il 10 febbraio il governo greco approva
il pacchetto di misure di austerità richieste dall’Unione Europea, dal Fondo monetario internazionale e dalla Banca centrale europea in cambio del nuovo piano
di salvataggio. Due giorni dopo il parlamento darà il suo voto favorevole, mentre in piazza decine di migliaia di persone manifesteranno la loro rabbia scontrandosi con la polizia.
Vietato uccidere
I LAVORATORI
Lunedì 13 arriva a Torino la sentenza
del processo Eternit: l’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny e il belga
Louis De Cartier De Marchienne vengono riconosciuti colpevoli di disastro doloso e omissione dolosa di misure antinfortunistiche, e condannati a 16 anni di
reclusione. La
condanna riguarda i
reati commessi negli
stabilimenti
piemontesi di Casale
e Cavagnolo
dall’agosto 1999 in
avanti, mentre quelli
I Sicilianigiovani – pag. 20
REWIND
a cura di
Francesco Feola
precedenti - contestati negli stabilimenti
di Bagnoli (Napoli) e Rubiera (Reggio
Emilia) - risultano prescritti.
Lunghissimo l’elenco dei risarcimenti: si
è calcolato che fino al 5 ottobre del 2011
siano state 1830 le persone decedute a
causa dei danni provocati dalla
lavorazione dell’amianto.
I danni
DELLA MONSANTO
Nelle stesse ore a Lione un giudice
condanna la Monsanto, la multinazionale
statunitense che produce pesticidi e altri
prodotti agricoli, ritenendola responsabile dei danni neurologici subiti da un contadino francese, ammalatosi per aver usato il diserbante Lasso. È la prima volta
che una multinazionale viene condannata
per i danni provocati dai propri prodotti,
ma si calcola che nella sola Francia, dal
1986 a oggi, vi siano 200 casi sospetti all’anno.
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FORWARD
. . . . accadde domani
Primo marzo
FESTA DI (TUTTI) I LAVORATORI
Anche quest’anno il primo marzo i lavoratori immigrati sciopereranno insieme
ai lavoratori italiani per chiedere l’abrogazione della legge Bossi-Fini, la chiusura dei Cie, la cittadinanza immediata per
i bambini nati in Italia da genitori stranieri, la regolarizzazione generale di tutti
coloro che non hanno il permesso di soggiorno.
Fiom
DIFENDE LO STATUTO
Il 9 marzo sciopereranno invece i metalmeccanici della Fiom per difendere
l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori e
protestare contro gli accordi separati della Fiat, che hanno cancellato nel gruppo
il contratto nazionale metalmeccanici.
Firenze
NO-TAV DI TUTTA EUROPA
Il 3 e 4 marzo a Firenze il Comitato
contro il sottoattraversamento Tav di Firenze organizza, presso il Saloncino del
Dopolavoro ferroviario di via Alamanni
6, un convegno sulle grandi opere pubbliche. L’obiettivo è quello di collegare i
movimenti che in tutta Europa si oppongono alla realizzazione di grandi infrastrutture, che distruggono i territori senza
produrre crescita.
info: [email protected], http://notavfirenze.blogspot.com
Marsiglia
FORUM MONDIALE DELL'ACQUA
Dal 14 al 17 marzo a Marsiglia si terrà
il Forum alternativo mondiale dell’acqua, che vedrà la partecipazione di tutti
quei movimenti della società civile che
lottano per sottrarre alle imprese private
la gestione dell’acqua. Finora hanno dato
la loro adesione 118 associazioni di 40
paesi diversi.
info: http://www.fame2012.org/it/
I Sicilianigiovani – pag. 21
Padova
LO SCHERMO PRIGIONIERO
Si terrà a Padova, dal 23 febbraio al 22
marzo, la rassegna cinematografica “Jafar Panahi, lo schermo prigioniero”, dedicata al regista iraniano condannato a
sei anni di carcere e al divieto di dirigere
film per 20 anni per aver preso parte alle
manifestazioni di protesta contro il regime di Ahmadinejad nel marzo del 2010.
Saranno proiettati cinque suoi lavori, dal
film d’esordio, Il palloncino bianco, al
recente Offside.
info: www.cinemainvisibile.info
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L'antico liberty catanese
La città va a fondo
e il relitto eccolo qua
Nel centro di Catania sorge un relitto. Non è la
Costa Concordia, ma è l'emblema di un
naufragio equivalente. E' l'antica nobile Villa
Bonaiuto, vandalizzata dalle ruspe e
abbandonata al degrado in piena vista della città
di Max Vacirca
Catania com’era e com’è. Esattamente
uguale a se stessa. La continuità del degrado urbanistico eccola lì materializzata
e immobile da trent’anni, nel bel centro
di corso Italia. E’ come se la Costa Concordia, da qui al 2042, fosse lasciata a
dar mostra ddi sé con la pancia coricata
davanti al porto del Giglio.
Ma qui parliamo del naufragio di un
elegante palazzo. Tra la fine degli anni
Settanta e l’inizio degli Ottanta, gli anni
in cui il giornalista Giuseppe Fava veniva ucciso in una traversa dello stesso viale due chilometri più su, maturava questo
piccolo, simbolico delitto urbanistico nel
cuore borghese della città.
Nel silenzio collettivo più assoluto.
Che perdura, assordante, finoggi. Come
molti dei delitti compiuti tra queste strade.
Un monumento al degrado
Protagonista della storia è Villa Bonaiuto, diventata un monumento vivente
del degrado estetico della città. Non si
può non vederla, sventrata e impudica;
mostra le sue ferite senza vergogna.
Ma nessuno sembra vederla più. Fa
parte del panorama così com’è, per metà
sbriciolata.
La sua storia racconta l’abbrutimento
di una collettività più di un intero quartiere abusivo, proprio perché quel moncherino di un antico palazzetto liberty fa
spudoratamente mostra di sé in pieno
centro storico, su uno dei viali dove la
gente passeggia e fa shopping. Distratta e
rassegnata a convivere anche con quel
moncherino di città.
L’edificio storico in questione sanguina per l’aggressione a colpi di ruspe che
ha subito tre decenni or sono e sanguina
perché nessuna autorità ha mai fatto nulla per evitare e poi coprire la vergogna di
quella ferita. Sembra un paziente capitato
nell’ospedale sbagliato, sotto i ferri di un
chirurgo senza capacità e coscienza. Gli
hanno amputato un braccio senza ragione
e poi lo hanno lasciato lì, a marcire in
corsia, senza neanche suturare il moncherino.
Una storia di ordinaria mala-urbanistica, tra vizi privati e pubbliche distrazioni.
Catene di ferro tengono in piedi quel
I Sicilianigiovani – pag. 22
relitto di villa Bonaiuto, ma la ruggine e
alcuni rampicanti su quell’imbracatura
metallica rendono ancora più grottesca la
visione.
La gente passa accanto a quella villa
amputata, la guarda sbriciolata a metà,
osserva gli interni di quello che fu un salotto borghese e commisera l’intera città.
Come se fosse un monumento ai caduti
della civiltà urbana.
Architettura liberty
E invece no. Questo non è un monumento commemorativo. Villa Bonaiuto è,
anzi era, un pregevole esempio di architettura liberty. A Palermo e a Catania gli
anni Venti e Trenta del secolo scorso furono una stagione artistica importante,
grazie a una generazione di architetti con
la testa e la passione rivolti a modelli europei.
La villa era stata costruita nel 1934,
dall’architetto Paolo Lanzirotti. In base a
una legge sulla tutela del patrimonio urbanistico è vietato abbattere edifici di
pregio storico-artistico costruiti da più di
cinquant’anni.
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“Senza pudore.
Senza passato
né futuro”
I proprietari della villa e un’impresa
locale avevano agito per tempo, ben prima della scadenza che avrebbe impedito
lo scempio: nel 1977 avevano chiesto al
Comune l’autorizzazione a demolirla,
per edificare al suo posto un palazzone
simile a quelli che circondano villa Bonaiuto, unica sopravvissuta agli anni della speculazione selvaggia degli anni Sessanta.
La giunta presieduta dal sindaco Salvatore Coco – la stessa dello scandalo della
refezione scolastica che fu la prima (e
ante litteram) amministrazione comunale
italiana a finire dentro un processo per
Tangentopoli – aveva concesso l’autorizzazione. ma quei lavori non avevano il
nulla osta della Sovrintendenza, contraria
alla demolizione e dunque subito pronta
a mettere un vincolo e a fare un primo ricorso alla giustizia amministrativa.
Sei anni dopo e passata molta carta
bollata, nel 1983, il Tar dà torto alla Sovrintendenza e ragione ai privati che ripresentano una nuova istanza: visto che
non era ancora passato mezzo secolo, ma
“solo” 49 anni – questo il senso di quella
sentenza che accolse il ricorso dell’impresa edile – la villa si può demolire.
I tempi della giustizia amministrativa –
si sa – sono lunghi e nel frattempo corrono i mesi, siamo al 1984, l’anno dell’as-
sassinio Fava, l’anno in cui scade il mezzo secolo ed entra in vigore il divieto di
demolire, ma nessuno sospende l’intervento delle ruspe.
La Sovrintendenza insiste e – non
avendolo fatto per i decenni precedenti mette un nuovo vincolo paesaggistico,
considerando la villa parte del patrimonio di verde privato vincolato. Nuovo ricorso di proprietari e impresa e, nel maggio 1985, nuova bocciatura del consiglio
di giustizia amministrativa, l’appello della giustizia amministrativa.
Entrano in azione le ruspe
La mattina del 5 giugno 1985 entrano
in azione le ruspe. Non autorizzate allo
scempio, abbattono un quarto di villa e
un patio interno. Ma riescono a fare il lavoro solo a metà.
Quel giorno, nella vicina caserma del
comando provinciale dei carabinieri, le
autorità locali celebravano il rito del
171° anniversario della fondazione dell’Arma. Un fotografo, arrivato in
caserma per fare qualche scatto sulla
cerimonia, racconta a un amico quanto
aveva visto poco prima a meno di un
chilometro sullo stesso viale, giù verso il
mare: «Le ruspe si stanno mangiando
I Sicilianigiovani – pag. 23
Villa Bonaiuto».
Un giovane “pretore d’assalto” dell’epoca, Renato Papa, presente alla cerimonia in onore dei carabinieri, ascolta quella conversazione e corre di persona a
dare un’occhiata. Poi, torna in ufficio e
interviene. Ordina sigilli e fine della demolizione.
Ma è tardi, la violenza è consumata, la
villa deturpata per sempre, destinata a restare lì per i decenni successivi. Deturpata e abbandonata. Quando i vigili arrivano con in mano l’ordinanza di stop alle
ruspe, un quarto di villa è già demolito.
Solo negli anni successivi, la Regione
interverrà e porrà vincoli. Solo davanti al
relitto di quel monumento liberty a Catania le autorità porranno vincoli e faranno
piani urbanistici per tutelarla.
Ma la tutela, da trenta e più anni, riguarda uno scempio avvenuto. La villa
smozzicata sta lì, congelata nella sua distruzione.
La villa Bonaiuto mostra al mondo circostante quanto sia inutile, qui, pensare
alla tutela della bellezza e della storia comune. Almeno mentre quella bellezza
esiste e prima che sia ferita.
Qui la storia (e la sua bellezza) si rade
al suolo con le ruspe. E i ruderi si espongono senza pudore. Senza passato né futuro.
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Mafia/ Le nuove rotte
L'asse Vittoria-Fondi/
Visto da sud
Il mercato ortofrutticolo di Vittoria ha sempre garantito due certezze per i ragusani:
soldi e malaffare
di Giorgio Ruta
Il Clandestino
Sessantacinque persone sono state denunciate per rialzo fraudolento dei
prezzi, 63 per truffa, 41 per turbata libertà degli incanti, 8 per abuso d'ufficio, 3
per peculato, 2 per favoreggiamento reale, 1 falso in scrittura privata, 1 per bancarotta fraudolenta.
A saltare agli occhi è un dato: oltre
27.000 kg di ortaggi provenienti dalla
Tunisia sono stati spacciati per locali. Un
danno enorme alla credibilità della produzione locale, già in forte difficoltà.
La doppia attività
Il vaso di Pandora è stato scoperchiato dalla Guardia di Finanza di Ragusa che in due anni di attività ha controllato e ricontrollato cifre, nomi, storie. Si è messo il bastone tra gli ingranaggi di un meccanismo consolidato e
perverso. Gli uomini guidati dal Col.
Francesco Fallica, il primo febbraio,
hanno denunciato 74 operatori e scovato 18 milioni di euro di evasione fiscale, in quella che è stata battezzata
operazione “Right price”. Quello che è
venuto fuori è sconvolgente, se pur sospettato. Un sistema basato sull'illegalità e sul caos. Il mercato di Via Fanello sembra essere una zona franca.
Ma il punto nevralgico dell'indagine
delle Fiamme gialle ragusane è un altro:
la doppia attività. Alcuni commissionari gli intermediari tra i produttori e la grande distribuzione - non si limitavano al lavoro di tramite intascando il 10% previsto di commissione.
Spesso il commissionario era al tempo
stesso acquirente, snaturando illegalmente le logiche del mercato e mettendo in
ginocchio i produttori costretti a vendere
a prezzi talvolta umilianti. E proprio gli
agricoltori sono stati i primi ad esultare
dopo l'operazione.
Secondo dati Cia con la doppia attività
sarebbe stato sottratto ai produttori una
somma che si stima tra i 250 e 300
milioni di euro.
Non c'è stata tregua per gli operatori
del mercato ortofrutticolo più grande del
meridione. Infatti, le fiamme gialle, su
disposizione del Procuratore di Ragusa
Carmelo Petralia, il 10 febbraio, all'alba,
I Sicilianigiovani – pag. 24
hanno di nuovo varcato i cancelli della
struttura ed hanno sequestrato 15 box,
sempre nell'ambito dell'operazione
“Right price”. Qualche giorno dopo sono
stati dissequestrati 5 box.
La città trema e la politica cerca di non
esser travolta dall'onda.
Al mercato di Vittoria, sono presenti
74 box, e ogni hanno girano centinaia e
centinai di milioni. La struttura oggi è
gestita dal Comune dopo un lungo contenzioso con la Regione Sicilia.
Anno dopo anno, anomalia dopo anomalia, si è capito che l'unica soluzione
per avere un po' di trasparenza fosse
cambiare la gestione. Tra gli obiettivi del
sindaco Pd, Giuseppe Nicosia - ormai al
secondo mandato - c'è pure quello di affidare la gestione del mercato ad una srl.
Già due anni fa sembrava tutto pronto: la
società è costituita ma mai entrata in funzione.
Cambiare la gestione
Peppe Cannella, ex consigliere comunale di Rifondazione Comunista, ci aveva visto bene ed oggi dichiara: “più e più
volte, proprio il sindaco ha condiviso e
fatto sue le nostre denunce politiche ma
non sono seguiti i fatti. Si deve capire da
subito quale ruolo deve avere la politica
di questa città. Subire in silenzio limitandosi ai complimenti per il lavoro svolto
da altri, oppure aprire un confronto che
porti in tempi brevi ad una profondo
cambiamento del Mercato? Per noi non
si può continuare a far finta di nulla”.
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Intanto, a seguito dell'operazione della
Finanza qualcosa si è mosso: è stato approvato il regolamento per l'affidamento
delle licenze ai commissionari. Per molti
è ancora poco: “va cambiato il regolamento generale che risale al '71”.
Subito dopo l'operazione Rosario Lo
Monaco, assessore con delega al mercato
al Comune di Vittoria afferma: “Il comune ha approvato il bando per la verifica
triennale delle concessioni al mercato e
per l’attribuzione di nuove concessioni.
Ora, cominceremo ad occuparci del regolamento del mercato, che risale al 1971”.
Molto più di un'ombra
Ma il mercato di Vittoria non è solo
poche regole e furbetti. È molto di più.
Qui la mafia è molto più che un'ombra. E
la Guardia di Finanza lo ha capito e annuncia un coordinamento con il servizio
Centrale Investigazione Criminalità Organizzata di Roma. Non è sulla stessa
lunghezza d'onda Filippo Giombarresi,
che rappresenta i commissionari: “Vorremmo chiarire, una volta per tutte, che i
concessionari di Vittoria nulla hanno a
che fare con la mafia, come si vorrebbe
far credere, anzi sono per la legalità e soprattutto per il lavoro”.
L'interesse della criminalità
L'interesse della criminalità organizzata non può che essere forte in un mercato
che conta 74 commissionari e un giro di
affari annuo di centinaia e centinaia di
milioni di euro.
L'Operazione Sud Pontino della Dda di
Napoli, per ultima, ha collegato i tasselli
del potere mafioso nel settore ortofrutticolo.
Joint venture mafiosa
Una vera e propria joint venture mafiosa si è formata tra le cassette di ortaggi.
Camorra, Cosa Nostra, 'Ndrangheta e
Stidda si sono spartite il settore a suon di
minacce e soldi. Ad avere un ruolo principale la Camorra che con la Paganese
Trasporti controllava gran parte del trasporto della merce tra i mercati.
L'operazione della Dda di Napoli ha
coinvolto pure il Mercato di Vittoria. In
alcune intercettazioni è emerso il ruolo di
una delle agenzie di trasporto più grande
che operano all'interno della struttura
commerciale ragusana, la Sud Express
dei Di Martino.
Una telefonata
In una telefonata, del dicembre 2008,
Costantino Pagano, titolare della Paganese, uomo dei Schiavone, ordina ad un
suo uomo di entrare nel mercato vittoriese con un accordo con la ditta locale.
“...Tu devi fare il padrone del camion
dentro l'agenzia Di Martino... questi ci
tengono a te? …fai il padrone del camion...”. Qualche giorno più avanti la risposta: affare fatto.
I Di Martino hanno un passato opaco.
I Sicilianigiovani – pag. 25
“Uomini
con pesanti
precedenti
penali”
Secondo Carmelo Barbieri, una doppia
vita da professore di educazione fisica e
da picciotto - oggi pentito - i Di Martino
si appoggiavano ad ambienti vicini a
Stidda e Cosa Nostra, a seconda della
maggiore influenza dei due gruppi nel
vittoriese.
Sul versante trasporti
Ma sul versante trasporti non c'è solo
la Sud Express a far sorgere qualche interrogativo. Sono numerose le ditte che
contano all'interno soggetti che in passato sono stati ritenuti vicini agli ambienti
mafiosi. Per esempio la Tutto Trasporti
amministrata dalla compagna di Raffaele
Giudice ritenuto in passato, dal Tribunale
di Ragusa, interno al clan “Dominante
Carbonaro”. Così come tranquillamente
girano all'interno del mercato e delle
agenzie uomini con precedenti penali pesanti e parenti di mafiosi.
Infettato il mercato
Dai trasporti all'imballaggio il discorso
non cambia. Il sospetto di molti è che attraverso l'imposizione di alcune ditte si
paghi il pizzo.
Intanto una riunione della Dda a Catania ha discusso del “caso Vittoria”. Dai
presenti nessuna dichiarazione ma non si
esclude che oggetto della discussione siano stati personaggi mafiosi e meccanismi
criminali che hanno infettato il mercato
ortofrutticolo più grande del meridione.
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Mafia/ Le nuove rotte
L'asse Vittoria-Fondi/
Visto da nord
Il viaggio in treno per
il Mercato Ortofrutticolo di Fondi sarebbe
di sola andata. Accanto al gigante verde, si
fermano due binari
morti ultimati agli inizi
degli anni ’80
di Maria Sole Galeazzi
I binari servivano per incrementare
il trasporto su rotaia delle tonnellate e
tonnellate di prodotti ortofrutticoli.
L’equazione è semplice, con i treni i
costi si sarebbero abbattuti così come i
livelli di inquinamento dovuti al trasporto su gomma. Fin qui tutto quadra
anche in considerazione del fatto che il
socio pubblico nonché di maggioranza
del Mof, è la Regione Lazio. I lavori
vengono ultimati, ma da allora all’interno del mercato i treni merci non
sono mai passati. Ne parliamo con il
referente regionale di Libera Lazio
Antonio Turri.
- In questi anni al mercato ortofrutticolo di Fondi è entrato di tutto tranne che i treni, perché?
“Dal punto di vista tecnico perché poche decine di metri di rete metallica impediscono l’accesso ai treni merce che
dovrebbero trasportare i prodotti ortofrutticoli che vengono commercializzati
in un’area strategica quella del Mof di
Fondi che unisce sud, centro e nord Italia
ed apre le rotte per i mercati europei.
Ma non sono certamente queste superabilissime cause tecniche ad impedire
l’accesso ai treni. Fondi e il mercato ortofrutticolo sono stati e rimangono una
sorta di laboratorio dove le mafie tradizionali italiane una volta infiltratesi nel
settore del commercio dell’agro alimentare hanno contaminato pesantemente
pezzi di economia, di politica e di criminalità locale.
Nei fatti quei treni non entrano e non
entreranno mai fino a quando la Quinta
Mafia, non lo riterrà opportuno”.
La quinta mafia
Circa trent’anni che segnano giorno
dopo giorno il fallimento di quello che
allora poteva essere un riuscito progetto
economico, un treno, è proprio il caso di
dirlo che per il Mof non passerà mai.
- Ma comunque qualcosa in movimento c’è, un soggetto nuovo che piano piano si definisce e che Libera chiama oggi la Quinta Mafia. Di cosa stiamo parlando?
“La Quinta Mafia – continua Turri -
I Sicilianigiovani – pag. 26
rappresenta l’evoluzione del sistema mafioso e cioè un mix esplosivo composto
dalle mafie tradizionali ‘ndrangheta, cosa
nostra e camorra capaci di contaminare
la criminalità autoctona, pezzi dell’economia e della politica al di sopra del confine geografico fino agli anni ’80 rappresentato dal fiume Garigliano che segnava
il confine tra la Campania prima regione
del meridione e l’Italia del centro- nord.
Armi e droga fra gli ortaggi
È questa joint-venture criminale che ha
ritenuto conveniente e meno rischioso
fare viaggiare armi e droga celati tra gli
ortaggi e la frutta sulle migliaia di tir che
annualmente partono o fanno scalo dal
Mof. Del resto sarebbe stato impensabile
organizzare i traffici illeciti utilizzando i
treni delle Ferrovie dello Stato”.
L’operazione condotta nel 2010 dalla
Dia di Napoli denominata Sud Pontino,
partendo proprio dal mercato ortofrutticolo di Fondi dimostra non solo quanto
sia saldo l’asse camorra - ‘ndrangheta mafia nella gestione del trasporto dei
prodotti ortofrutticoli su gomma e nel
commercio di armi e sostanze stupefacenti, ma anche come emergano dal giro
famiglie autoctone, laziali, dai ruoli tutt’altro che secondari.
Armi e droga fra gli ortaggi
C’è però una svolta. La Mof spa dichiara che “la dirigenza e i suoi operatori
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“Il mancato
scioglimento
del Consiglio
comunale”
quella commissione “a titolari di attività
commerciali pienamente inserite nel
mercato ortofrutticolo di Fondì”.
La sentenza di primo grado
costituiscono il primo baluardo di contrasto contro tentativo di infiltrazione
criminosa nel suo tessuto sano”, e si costituisce parte civile nel processo Sud
Pontino.
Il Mof legittimamente reagisce ma
con un precedente che fa comunque ombra.
Il silenzio per un'altra inchiesta
Ovvero il silenzio per un’altra inchiesta, la Damasco 2, quella nota ai più per
la vicenda del mancato scioglimento del
consiglio comunale di Fondi.
Il processo inizia il 20 ottobre 2010, le
parti civili vengono ammesse ma il Mof,
da più parti chiamato in causa, comunque non si fa avanti.
- La pressione mediatica sale e supera anche i confini nazionali, l’immagine del Mof non viene di certo lesa
meno che per l’operazione Sud Pontino. Perché la costituzione di parte civile non arriva?
“Penso siano fortemente significative
le risultanze della commissione di accesso nominata dall’allora Prefetto di
Latina Bruno Frattasi – spiega Turri – in
cui si evincevano senza ombra di dubbio
le connessioni tra famiglie della
‘ndrangheta, della camorra casertana e
di cosa nostra legate anche per via
parentale ad elementi di spicco della
criminalità organizzata del basso Lazio,
a loro sono legate a figure di vertice del
Comune di Fondi, nonché, come si
legge negli atti redatti dagli ufficiali di
polizia giudiziaria che componevano
I Sicilianigiovani – pag. 27
Tutto questo trova anche un riscontro
giudiziario nella sentenza di primo grado recentemente emessa per il processo
cosiddetto Damasco 2.
Tra gli imputati ce ne sono sette condannati per associazione a delinquere di
stampo mafioso o delitti ad esso collegati e tra questi ben cinque sono politici, o
imprenditori nati e da sempre residenti
nella regione Lazio.
Infiltrate e radicate
Questo a dimostrazione di come le
mafie una volta infiltratesi e radicatesi
su altri territori siano capaci di contaminare”.
Le vie del commercio sono rimaste
chiuse per i treni, sono state aperte per
migliaia di camion, poi c’è un terzo tragitto, quello scelto dai clan per arrivare
sulle tavole delle famiglie italiane. E
non è una questione di gusti.
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Strage di via D'Amelio
Depistaggio
di Stato?
Dietro la richiesta di
revisione del processo
per l'assassinio di Paolo Borsellino e della
sua scorta
di Lorenzo Baldo
antimafiaduemila.com
“Cortese Signora Agnese e figli, Signora Rita e figli, signor Salvatore e figli, sono Scarantino Vincenzo che Le
scrive e mi creda non è una cosa facile
per me essendo con uno stato d'animo
difficilissimo. (...) Io non avevo nessun
motivo di depistare le indagini ne tanto
meno ne avevo voglia, ma per la mia fragilità nelle decisioni è diventata un'arma
infallibile per chi invece ne aveva di motivi e di voglie per depistare tutto. Fatto
sta che hanno vinto loro. Le indagini
sono state depistate. Infatti oggi sono rimasto un uomo solo e abbandonato da
tutta la famiglia e da tutti. Sono sicuro
che quel poco che fino a ora ho scritto
non darà mai la rispettabilità dovuta al
dottor Borsellino. Lui è stato tradito dalla mia inconsapevole fragilità, ma anche
da chi volutamente ha fatto capire altro.
Detto tutto ciò vengo da voi a chiedervi
umilmente perdono per quanto accaduto
e per il coraggio che non ho mai avuto a
fermare quella macchina di disobbedienti e di menti più qualificate della mia. Vi
chiedo perdono per tutto e vi ringrazio
per essere stati la fonte di un coraggio a
me sconosciuto il quale da oggi mi libererà da un peso terribile. Perdono”.
Mafiosi, pentiti, depistatori
E’ il 2 ottobre del 2010 quando Vincenzo Scarantino scrive questa lettera dal
carcere di Velletri.
A distanza di un anno, il 14 ottobre
2011, le agenzie diramano la notizia che
il procuratore generale di Caltanissetta,
Roberto Scarpinato, ha avanzato alla
Corte di Appello di Catania l’istanza di
revisione dei processi per la strage di via
D’Amelio denominati “Borsellino uno” e
“Borsellino bis” per alcuni imputati già
condannati in via definitiva.
Le dichiarazioni di Gaspare Spatuzza,
ex uomo d’onore del mandamento di
Brancaccio, sono risultate attendibili a tal
punto da scardinare la versione fornita da
Scarantino rivelatosi un collaboratore di
giustizia falso e soprattutto “imbeccato”.
La richiesta di sospensione della pena
e di revisione riguarda quegli stessi imputati condannati per strage sulle dichiarazioni di quest’ultimo: Salvatore Profeta, Gaetano Scotto, Cosimo Vernengo,
Giuseppe Urso, Gaetano Murana, Giuseppe La Mattina, Natale Gambino (già
condannati all’ergastolo) e Salvatore
Candura, lo stesso Vincenzo Scarantino,
Giuseppe Orofino e Salvatore Tomaselli
(condannati a pene fino a 9 anni).
Per Orofino, Candura e Tomaselli l’istanza riguarda unicamente la revisione
del processo in quanto i tre hanno già
scontato la pena per i reati in ordine ai
quali era stata ritenuta la loro responsabilità.
In attesa della Cassazione
Le revisioni dei processi “Borsellino
uno” e “Borsellino bis” si faranno. Ma
non subito. La decisione della Corte di
Appello di Catania si basa su un orienta-
I Sicilianigiovani – pag. 28
mento giurisprudenziale.
Per poter celebrare un nuovo dibattimento occorre un'altra sentenza definitiva che accerti responsabilità di altre persone e che quindi contrasti con il primo
verdetto.
Al momento si resta quindi in attesa di
una sentenza di Cassazione relativa alle
nuove ricostruzioni di Gaspare Spatuzza,
così come quelle di Fabio Tranchina, sull'eccidio del 19 luglio 1992.
La richiesta di sospensione dell’esecuzione della pena viene invece accolta immediatamente per: Salvatore Profeta, Cosimo Vernengo, Giuseppe Urso, Giuseppe La Mattina, Natale Gambino e Gaetano Murana. Tutti liberi.
Anche per Vincenzo Scarantino si
aprono le porte del carcere, ma su di lui
viene attivato un servizio di protezione
lontano da Palermo per evitare
prevedibili vendette mafiose nei suoi
confronti. Gaetano Scotto, l’uomo di
Cosa Nostra legato ai Servizi, resta invece in carcere per scontare il residuo di
pena di due condanne definitive.
Le pagine dei magistrati nisseni
I principali protagonisti delle vecchie e
nuove indagini sulla strage del 19 luglio
1992 si ritrovano uno dopo l’altro nelle
pagine scritte dai magistrati nisseni. A
partire da Salvatore Candura che per primo accusa Vincenzo Scarantino di essere
colui che lo ha incaricato di rubare la
Fiat 126 convertita in autobomba.
Nelle carte vengono successivamente
riscontrate le dichiarazioni del pentito
Fabio Tranchina che indica Giuseppe
Graviano come colui che, nascosto in un
giardino dietro un muretto in fondo a via
D’Amelio, avrebbe premuto il telecomando collegato all’autobomba.
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“Quali istituzioni
avevano interesse
a depistare
le indagini?
E perché?”
Su Antimafia Duemila n.68
il dossier completo
sulla strage di via D’Amelio
In base alla ricostruzione di Tranchina
e ad altre prove raccolte dagli investigatori cade quindi la pista del Castello Utveggio quale possibile luogo dal quale i
killer di Borsellino avrebbero premuto il
telecomando. Al posto del castello torna
sotto i riflettori la pista del palazzo dei
fratelli Graziano, situato di fronte a via
D’Amelio, dalla cui terrazza il mafioso
di Brancaccio, Fifetto Cannella, avrebbe
avvisato Giuseppe Graviano dell’arrivo
di Borsellino.
La figura del boss di Brancaccio e dei
suoi collegamenti con Forza Italia viene
passata ai raggi X al pari di quella di Arnaldo La Barbera, allora capo del pool
che investigava sulla strage di via D’Amelio (deceduto nel 2002). Contro di lui
e contro altri tre componenti della sua
squadra si scagliano oggi Scarantino e i
suoi due compari Candura e Andriotta
che li accusano di violenze e pressioni
per obbligarli a recitare una parte all’interno di una pista già prestabilita.
Un copione preordinato?
La memoria conclusiva della procura
di Caltanissetta e l’istanza della procura
generale nissena rappresentano un punto
di partenza dal quale si deve necessariamente ripartire per poter giungere alla totale verità sulla strage di via D’Amelio.
L’ultima versione di Vincenzo Scarantino
e dei suoi compari di sventura, scaturita
dopo le rivelazioni di Gaspare Spatuzza,
riapre gli scenari su possibili depistaggi
istituzionali già presenti nelle stragi di
Stato che hanno insanguinato il nostro
Paese.
Siamo di fronte ad una regia occulta
capace di scrivere il copione che è stato
fatto leggere a Candura, Scarantino e Andriotta?
A quali ordini ha obbedito Arnaldo La
Barbera, alias “Rutilius” (nome in codice
ai tempi della sua collaborazione con i
Servizi), quando lui e i suoi uomini
impartivano “lezioni” a Scarantino e
compagni? Dal canto suo il picciotto
della Guadagna ha riferito negli anni una
quantità di bugie che sono crollate
miseramente con l’avvento di Gaspare
Spatuzza. Ma altresì ha saputo fornire
elementi veritieri, successivamente
confermati dai nuovi collaboratori.
Secondo quale strategia si è deciso
quali notizie “confidenziali” dovevano
essere messe in bocca a Scarantino, Candura e Andriotta? Alcune di queste dovevano essere veritiere, altre invece erano
destinate a sbriciolarsi. Un grave errore o
un rischio da correre sull’altare di una
“ragione di Stato” figlia di una “trattativa” tra mafia e istituzioni vigente da decenni? E soprattutto quale “trattativa” è
stata intuita da Paolo Borsellino al punto
che la sua scoperta ha accelerato il programma del suo omicidio?
Al momento le indagini sulla strage di
via D’Amelio proseguono. Ma anche
questa volta è una lotta contro il tempo.
Contro l’oblio che incombe sulla fragile
memoria del nostro Paese. Indifferente e
complice a tanti crimini commessi.
La risposta di Agnese Borsellino a Vincenzo Scarantino restituisce integra quella dignità e quella sete di giustizia calpestata ripetutamente da chi non vuole la
verità sulla strage di via D’Amelio. A futura memoria.
La lettera di Agnese Borsellino
Caro Vincenzo,
ti fa onore che tu abbia avvertito il bi-
I Sicilianigiovani – pag. 29
sogno di chiedermi perdono, è un sentimento che io accetto.
Mi chiedo tuttavia quali siano i motivi
per i quali mi chiedi perdono, quale ribellione ha la tua coscienza, come sei
stato coinvolto in questa immane tragedia? Prima della strage quali sono stati i
referenti che ti hanno indirizzato nella
cattiva strada approfittando delle tue
fragilità?
Dopo la strage di via d’Amelio quali
sono le persone che ti hanno “zittitto” e
“minacciato”?
Quali istituzioni avevano interesse a
depistare le indagini? E secondo te perché?
Tutto quello che mi scrivi può essere
anche realtà. Aiuta chi ti ascolterà a conoscere la verità su questo drammatico
depistaggio, talmente grave che i suoi
autori meritano di essere puniti e smascherati quanto coloro che hanno armato la mano degli attentatori.
Inizia una nuova vita rivelando tutto
quello che sai ai magistrati di Caltanissetta, i tempi sono cambiati, solo così ti
sentirai un uomo libero; racconta tutta
la verità evidenziando prove valide ai
fini processuali, un vero uomo deve possedere in tutti i momenti della sua vita il
coraggio delle proprie azioni, siano esse
cattive siano esse buone, non ti arrendere dinnanzi alle difficoltà, solo così guarirai definitivamente dalla depressione e
onorerai la memoria di un santo uomo
quale verosimilmente è stato mio marito
Paolo.
Parla solo e soltanto con il procuratore della Repubblica di Caltanissetta, il
dottor Sergio Lari, che ti assicuro paternamente ti ascolterà.
Con umana cristianità ti auguro tutto
il bene possibile.
Agnese Borsellino
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Fortezza Sicilia
Le guerre future
di Sigonella
La Sicilia sacrificata
sull’altare del dio di
tutte le guerre. Quelle
di oggi e quelle future.
Negli oceani, in cielo,
in terra
di Antonio Mazzeo
Guerre satellitari, spaziali, stellari.
Disumanizzate e disumanizzanti. Da
combattere su un monitor a migliaia di
chilometri distanti. Con aerei senza pilota e bombe teleguidate. Ordigni di
ogni tipo, forma e dimensione. Al laser
o all’uranio impoverito, killer elettromagnetici o nucleari. Target “virtuali”
ma terribilmente reali: bambini, donne, anziani di cui nessuno conoscerà
mai volti e identità. Corpi da spezzare,
stuprare, dilaniare. Continenti da affamare. Popoli da sterminare.
I signori e i marcanti di morte hanno
ipotecato ruolo e funzioni dell’isola:
trampolino di guerra per colpire regimi
disobbedienti e perpetuare ingiustizie e
disuguaglianze planetarie; enorme centrale di spionaggio per incunearsi nelle
vite di ognuno, dall’Atlantico agli Urali,
dall’Africa all’estremo oriente. Il territorio siciliano è divorato dal cancro Sigonella, la più grande base militare Usa,
Nato ed extra-Nato nel Mediterraneo.
lE metastasi hanno pervaso Niscemi,
Birgi, Augusta, Pantelleria, Lampedusa,
Marsala, Noto-Mezzogregorio, Pachino,
sedi di supersegrete installazioni militari
e laboratori sperimentali dell’olocausto
del terzo millennio.
Sigonella principale base AGS
A Bruxelles, l’ultimo summit dei ministri della difesa della Nato ha ufficializzato la scelta di Sigonella come “principale base operativa” dell’AGS (Alliance
Ground Surveillance), il nuovo sistema
di sorveglianza terrestre dell’Alleanza:
un Grande Orecchio per monitorare il
globo 24 ore al giorno, individuare gli
obiettivi e scatenare il first stike, convenzionale o nucleare, in nome della guerra
globale e permanente, preventiva e distruttiva.
Entro cinque anni, nella grande
stazione aereonavale saranno ospitati i
sistemi di comando e di controllo dell’AGS che analizzeranno le informazioni
intercettate da migliaia di sistemi radar
satellitari, aerei, navali e terrestri. Per poter poi pianificare e ordinare gli attacchi,
ovunque e comunque. Senza vincoli e regole morali.
Il più grande velivolo senza pilota
Strumento cardine del nuovo sistema
Nato, il più grande e sofisticato velivolo
senza pilota mai progettato, l’RQ-4
“Global Hawk”, un falco globale di 13
metri e mezzo di lunghezza e un’apertura
alare di oltre 35, in grado di volare a circa 600 chilometri all’ora a quote di oltre
20.000 metri. Con un’autonomia di 36
ore, è in grado di perlustrare un’area di
I Sicilianigiovani – pag. 30
103.600 chilometri quadrati, in qualsiasi
condizione meteorologica, grazie ad un
potentissimo radar e all’utilizzo di
telecamere a bande infrarosse. La sua
rotta è fissata da mappe predeterminate,
un po’ come accade con i famigerati
missili da crociera “Cruise”, ma da terra
gli operatori possono cambiare le
missioni in qualsiasi momento. Un
velivolo a tecnologia avanzata che tra
ricerca, sviluppo e produzione comporta
un costo unitario di 125 milioni,
sperimentato proprio da Sigonella in
occasione del recente conflitto alla Libia.
Predatori teleguidati
Per gli strateghi del Pentagono, la Sicilia dovrà fare da vera e propria caput
mundi di falchi e predatori teleguidati:
una decina i “Global Hawk” che l’aeronautica e la marina militare Usa si apprestano a dislocare; ancora più numerosi i
“Predator” e i “Reaper” lanciamissili e
lanciabombe. Per l’AGS di Sigonella, i
“Global Hawk” dovrebbero essere ufficiosamente quattro, forse cinque e magari sei. O perfino otto, come riferì in Parlamento il 12 giugno 2009 l’allora ministro della difesa Ignazio La Russa.
“L’Alleanza atlantica acquisterà un
sistema di sorveglianza aerea basato su
una flotta di otto velivoli a pilotaggio
remoto e un segmento terrestre di guida e
controllo, da integrare nell’ambito del
sistema C4ISTAR della Nato”, annunciò
il ministro che più si è battuto per fare di
Sigonella la centrale strategica del nuovo
sistema di sorveglianza.
Di otto falchi globali ha parlato pure
Ludwig Decamps, caposezione dei programmi di armamento della Nato.
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“Un radicale
cambiamento
nei rapporti
tra piano strategico,
operativo e tattico”
“Il sistema AGS sarà fondamentale per
le missioni alleate nell’area mediterranea
ed in Afghanistan, così come per assistere i compiti della coalizione navale contro la pirateria al largo della Somalia e
nel Golfo di Aden”, ha dichiarato.
“L’AGS fornirà un preciso quadro della situazione operativa soprattutto per
tutti i responsabili della Nato Response
Force, la forza d’intervento rapido alleata, accrescendo le capacità di sorveglianza aerea. Il sistema consentirà inoltre di
supportare i crescenti requisiti operativi
anche per la gestione delle crisi, la sicurezza nazionale e gli aiuti umanitari”.
Apprendisti stregoni
Per comprendere appieno la vocazione
umanitarista degli odierni apprendisti
stregoni bisogna dare un’occhiata alla
nuova dottrina strategica dell’Alleanza,
denominata NCW Network Centric Warfare. “L’AGS è di vitale importanza per
poter applicare sul campo la NCW e puntare all’integrazione in tempo reale delle
forze militari in un’unica rete informativa globale”, spiegano a Bruxelles.
“La NCW prevede un radicale cambiamento nei rapporti tra piano strategico,
operativo e tattico e un diverso modo di
comunicare, pianificare ed operare tra
Comandi e forze militari”.
Per farla breve, stabiliti gli obiettivi
prioritari “senza limiti geografici”, gli interventi vengono demandati alle componenti spaziali, aeree, navali e terrestri che
operano “in piena autonomia” nei teatri
di guerra.
Un network dunque che azzererà le tradizionali catene di comando-decisionali e
impedirà qualsivoglia forma d’interfe-
renza da parte delle autorità politiche sulle scelte e l’operato delle forze armate.
Un modello ritenuto “indispensabile”
perché “il campo di battaglia è ormai indefinito, la minaccia è asimmetrica e il
nemico è invisibile, onnipresente e capace di colpire ovunque”. Un’orgia di follia, mentre cresce l’assuefazione dei giusti e dei pii all’odore acre della morte.
Come in Iraq, Afghanistan, Pakistan, Libia, Somalia. E il sonno della ragione genera nuovi e più terribili mostri.
AGS, affare Usa sulle tasche Nato
Come dare torto al segretario della difesa USA, Leon Panetta. È sicuramente
un “ottimo accordo” quello raggiunto tra
i paesi Nato per l’AGS a Sigonella. Ottimo per i massimizzare i profitti delle industrie chiave del complesso militare industriale degli Stati Uniti d’America e
trasferire ai partner europei gli oneri finanziari e gli insostenibili impatti ambientali e sociali.
La patria dei falchi globali
Merita di essere rammentata la storia
che ha portato a fare della Sicilia la patria-colonia dei falchi globali per le missioni di guerra del XXI secolo.
Maturata la decisione di dar vita a
quello che per voce di Bruxelles è il più
“ambizioso e costoso” programma della
storia dell’alleanza atlantica, l’ultimo governo Prodi candidò l’Italia quale main
operating base del sistema AGS, negli
stessi mesi in cui offriva segretamente
l’ex scalo Dal Molin di Vicenza alle truppe aviotrasportate dell’esercito USA e la
riserva naturale “Sughereta” di Niscemi
al MUOStro per le telecomunicazioni
spaziali della Us Navy.
I Sicilianigiovani – pag. 31
Il 19 e 20 febbraio 2009, durante il
vertice dei ministri della difesa Nato,
venne raggiunto un accordo di massima
per assegnare a Sigonella i comandi e gli
aerei senza pilota AGS, dopo una lunga e
lacerante trattativa che aveva visto ridurre progressivamente a 13 il numero dei
paesi disposti a contribuire economicamente al programma (Stati Uniti, Italia,
Bulgaria, Repubblica ceca, Estonia, Germania, Lettonia, Lituania, Lussemburgo,
Norvegia, Romania, Slovacchia e Slovenia).
Commesse ultramilionarie
Originariamente, il piano di sviluppo
del sistema di sorveglianza vedeva associate 23 nazioni. Tutte determinate a dividersi le ultramilionarie commesse per
allestire aerei e centri d’intelligence.
“C’erano in gara due consorzi d’industrie che proponevano piattaforme diverse, la Transatlantic Industrial Proposed
Solution (TIPS) ed il Cooperative Transatlantic AGS System (CTAS)”, ha riferito l’esperto John Shimkus all’Assemblea
Parlamentare della Nato.
“Tutti e due i consorzi proponevano di
utilizzare lo stesso sistema radar di base.
La principale differenza era il tipo di
piattaforma aerea suggerita. TIPS prospettava una combinazione del velivolo
europeo Airbus A321 e dell’aereo senza
pilota Global Hawk di produzione statunitense, mentre CTAS prevedeva un’associazione di Bombardier e Predator.
Quest’ultima proposta sarebbe risultata
meno costosa per l’acquisto del velivolo,
ma avrebbe presupposto il doppio di stazioni a terra rispetto al sistema TIPS (49
contro 24)”.
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“I velivoli
senza piloti
disturbano
l'aeroporto
civile”
Fu così che il vertice Nato di Istanbul
dell’aprile 2004 attribuì al consorzio
TIPS la ricerca e la progettazione delle
apparecchiature terrestri e aeree dell’AGS. La scelta accontentava quasi tutti
i maggiori protagonisti dell’industria bellica transatlantica: dai colossi Usa Northrop Grumman e General Dynamics, al
gruppo aerospaziale franco-tedesco-olandese EADS, ai francesi di Thales, agli
spagnoli di Indra sino alle italiane Selex
e Galileo (gruppo Finmeccanica).
Senza consultarsi con gli alleati
Nel novembre 2007, il colpo di scena.
Senza consultarsi con gli alleati, l’amministrazione degli Stati Uniti annunciò
l’abbandono della soluzione “mista” e
affidò in esclusiva la realizzazione dell’intero sistema AGS alla Northrop
Grumman, produttrice dei Global Hawk.
La delusione degli europei fu incontenibile e, uno dopo l’altro, Belgio, Francia, Ungheria, Olanda, Portogallo, Grecia
e Spagna ritirarono il proprio appoggio
finanziario ed industriale, con la conseguenza che aumentò l’onere a carico dell’Italia.
Centosettanta miliardi di euro
In cambio di una subfornitura delle due
aziende Finmeccanica di apparecchiature
destinate alle stazioni terrestri e alle comunicazioni e la trasmissione dei dati, il
governo italiano si accollò una spesa di
177,23 milioni di euro, pari al 12,26%
del costo globale del programma (stimato in 1.335 milioni di euro).
Nel settembre 2009, il memorandum
sottoscritto in sede Nato per definire il
quadro giuridico, organizzativo e finanziario dell’AGS ha tuttavia stimato i costi finali del programma a non meno di 2
miliardi di euro. Ciò significherà per il
nostro paese un esborso di 245 milioni
circa, a cui si aggiungeranno i costi per
le trasformazioni infrastrutturali necessarie ad ospitare a Sigonella il personale
Nato preposto al funzionamento del sistema, 800 militari circa, secondo l’ex
ministro La Russa. Con la conseguente
spinta ad accrescere la già asfissiante
pressione militare sui territori della regione.
Le ombre più funeste riguardano però
il futuro del traffico aereo in Sicilia.
Quando le autorità spagnole che in un
primo tempo avevano candidato Zaragoza come base operativa dell’AGS decisero di ritirarsi, spiegarono che i velivoli
senza pilota avrebbero pregiudicato il
normale funzionamento del vicino aeroporto della città.
I rischi per l'aeroporto di Catania
“Dato che le aeronavi della Nato voleranno continuamente per catturare le informazioni, si potevano generare restrizioni al traffico aereo, saturazione nello
spazio aereo e problemi durante gli atterraggi e i decolli”, dichiarò un portavoce
dell’allora governo Zapatero.
Una valutazione dei rischi per la sicurezza dei sei milioni e mezzo di passeggeri in transito annualmente dallo scalo
di Catania-Fontanarossa che i governi
Prodi, Berlusconi e Monti non si sono
sentiti di dover fare.
Il 31 marzo 2008, l’allora comandante
del 41° Stormo dell’Aeronautica militare
italiana, colonnello Antonio Di Fiore,
I Sicilianigiovani – pag. 32
aveva assicurato un parlamentare e i rappresentante della Campagna per la smilitarizzazione di Sigonella che mai sarebbero stati trasferiti nella base siciliana i
Global Hawk in quanto “la gestione di
quel tipo di aerei senza pilota non è compatibile col traffico civile del vicino aeroporto civile Fontanarossa”.
L'appalto alla CMC di Ravenna
Oggi, però, nella base ci sono attivi
perlomeno tre falchi globali e il Congresso ha approvato un piano di 15 milioni di
dollari per installarvi una selva di antenne e generatori di potenza per supportare
le telecomunicazioni via satellite dell’Unmanned Aircraft System (il sistema
degli aerei senza pilota) e gestire le operazioni dei droni.
“Nel nuovo centro sorgeranno dodici
ripetitori con antenne, attrezzature e
macchinari, con la possibilità di aggiungere altri otto ripetitori della stessa tipologia”, è riportato nella scheda progettuale del Dipartimento della difesa.
Intanto procedono celermente i lavori
di realizzazione del Global Hawk Aircraft Maintanance and Operations Complex, il complesso che consentirà ai militari Usa di eseguire a Sigonella la manutenzione dell’intera flotta senza pilota
schierata in Europa e Medio oriente.
L’appalto per 16 milioni e mezzo di
euro è stato assegnato dal Pentagono alla
CMC - Cooperativa Muratori Cementisti
di Ravenna, società di costruzioni leader
della “rossa” Lega Coop. Rossa di vergogna per aver disseminato l’Italia di basi e
infrastrutture Usa e Nato. E gestire da
mercenaria i centri-prigione per migranti,
rifugiati e richiedenti asilo.
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Emigranti
Vita di un“invisibile”
da Rosarno a Roma
Saydou sta in cucina a
pelare patate da mettere in forno: al centro
sociale c'è una cena di
autofinanziamento. Si
lascia andare ai ricordi: “Quando stavo a
Rosarno era brutto...”
di Bruna Iacopino
Saydou scuote la testa e sorride.
“Eh” mi fa “ niente acqua, niente luce
e poi porte e finestre rotte, troppo
freddo, come si fa ?” Lo dice come se
raccontasse un brutto sogno, una cosa
ormai passata che non può più far
male, come la racconterebbe a un figlio, se lo avesse. Ripercorre le tappe
di una storia costellata di violenza, di
soprusi, ma anche di battaglie e di piccole vittorie. Sì, perchè Saydou la sua
vittoria ce l'ha in tasca e se la tiene anche stretta.
Il permesso ottenuto per motivi umanitari appena lo scorso anno dopo una fitta
serie di manifestazioni, sit-in, assemblee,
interviste a giornali e televisioni è stato
rinnovato per un altro anno. Saydou respira e sorride.
Le iniziative promosse a gennaio in
tutta Italia contro il lavoro nero e lo
sfruttamento nel settore agricolo – specie
per gli immigrati: 274.000 regolari e
400.000 in nero sotto caporale - hanno
compiuto un piccolo miracolo: far sì che
la mannaia di una scadenza (la conversione del permesso umanitario in permesso di lavoro) non costringesse questi
uomini a tornare nel limbo
dell'invisibilità.
“Vogliamo i documenti!”
Invisibili sono sempre i “fratelli” che
lavorano ancora nelle campagne di Rosarno o nel foggiano, in quel non-luogo
che tutti ormai chiamano “Gran ghetto”,
giunti in forze nella capitale, per la manifestazione del 13 gennaio: presidio la
mattina davanti al Ministero dell'Agricoltura, pomeriggio in piazza all'Esquilino.
Un viaggio lungo una notte, una giornata di lavoro persa, e una sola richiesta,
urlata a gran voce: “Vogliamo i documenti!”.
Permesso di soggiorno, sanatoria generalizzata, estensione dell'articolo 18, abolizione della Bossi-Fini, politiche pubbliche di sostegno all’agricoltura contadina... Sono queste le richieste dei braccianti agricoli stranieri che affollano le
I Sicilianigiovani – pag. 33
nostre campagne, pagati venti euro al
giorno, assoldati da caporali, oggi come
nel 2010 quando il mondo intero scoprì
la vergogna di Rosarno.
Queste richieste giacciono in attesa di
risposta presso il Ministero delle politiche agricole e forestali, quello del Lavoro, quello dell'Interno e quello della Solidarietà. Ma qualche frutto l'hanno già
hanno sortito.
Una piccola vittoria
Quei cento permessi rinnovati sono
una piccola conquista, frutto di un cammino di lotta iniziato ormai due anni fa.
Dalla rivolta di Rosarno all'arrivo (la
deportazione, come la definiscono gli antirazzisti della capitale) a Roma, alla solidarietà civile che ha fatto muro attorno a
questi ragazzi abbandonati a se stessi,
fino all'inizio di un percorso di auto-determinazione con la costituzione dell'assemblea dei lavoratori africani di Rosarno a Roma (Alar), incoraggiata e sostenuta passo passo dall'Osservatorio antirazzista Pigneto-Prenestino.
Le domeniche pomeriggio passate a discutere hanno così portato un centinaio
di africani a confrontarsi direttamente
con la politica di palazzo e con le associazioni di categoria, dalla prefettura alla
sede di Confagricoltura, al grido di:
“Agricoltura sì, lavoro nero no!”
E la lotta, in questo caso, ha pagato.
Saydou aspetta. Il suo permesso lo tiene in tasca e per campare si fa la stagione
a Foggia, lavorando in nero.
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L'avventura di Sgarbi in Sicilia
Sindaco di Giammarinaro
Alla faccia dei siciliani
La provincia di Trapani, fiore all'occhiello
della borghesia mafiosa, ha bisogno di ripulirsi l'immagine. Serve
qualcuno che non faccia troppe domande e
che si presti...
di Rino Giacalone
Salemi non è un paese qualsiasi né della
provincia di Trapani né della Sicilia, ma il
luogo dove la mafia borghese ha cominciato a piazzare le sue radici mentre nel
resto dell’isola i mafiosi si ammazzavano
per la droga o ancora per i latifondi.
Due nomi su tutti, quelli degli esattori
Salvo, i cugini Nino e Ignazio, eredi di un
altro notabile, Luigi Corleo, scomparso
dopo un sequestro “anomalo”.
A questi nomi si potrebbe aggiungere
quello dell’imprenditore Ignazio Lo Presti, il personaggio, ammazzato poi da Riina, che sotto anonimato parlava per telefono coll sig. Roberto che stava in Brasile
e al quale confidava, preoccupato, la mattanza di uomini che stava insanguinando
la Sicilia, questi altri non era che Tommaso “Masino” Buscetta.
Il paese di Pino Giammarinaro
Salemi. Cominciamo dalle dimissioni
del critico d’arte Vittorio Sgarbi da sindaco di Salemi? O dalle dimissioni che
annunciate sino all’8 febbraio sono state presentate solo il 15 febbraio in un
Consiglio comunale super affollato
dove ognuno ha cercato di avere la sua
“fetta di notorietà” e Sgarbi ancora ha
stupito tutte, mi dimetto – ha detto –
ma dalle 21 del 21 febbraio”? O dalla
relazione degli ispettori prefettizi che
hanno accertato l’inquinamento mafioso dell’attività amministrativa e politica
del Comune di Salemi? O ancora dal
maxi sequestro di beni da 35 milioni di
euro che ha colpito l’ex deputato regionale della Dc e capo degli andreottiani
trapanesi, Pino Giammarinaro, “rais”
di Salemi, la cosidetta operazione “Salus Iniqua” condotta nella primavera
dell’anno scorso?
Salemi è anche il paese dove si trovano
i segni della mafia irruenta, violenta, quella che muove i grandi traffici di droga,
che ha come suo uomo il potente Salvatore Miceli, che riesce a parlare con Riina
quanto con Provenzano e quindi con l’odierno super latitante Matteo Messina Denaro. Anche Miceli è mafioso per eredità,
è nipote di un altro mafioso e trafficante
di droga, salemitano, Salvatore Zizzo.
Ma Salemi è oggi il paese di Pino
Giammarinaro, “Pinuzzu” per gli amici, o
ancora “Pino Manicomio” come si dice
sia appellato, non per dileggio, dai suoi
amici di oggi, gli stessi che frequentavano
il sindaco che Giammarinaro volle fortissimamente volle…Vittorio Sgarbi.
Giammarinaro, imprenditore edile, cominciò le sue fortune con l’imprenditore
Lo Presti; negli anni ’80 conobbe la sanità
pubblica, diventando presidente della Usl
di Mazara. Da allora non ha lasciato questo terreno fertile, di voti, consensi e mazzette, costruendo una ampia tele di relazioni e di potere. Nel 1991 l’elezione plebiscitaria all’Ars con oltre 50 mila voti di
I Sicilianigiovani – pag. 34
preferenza presi con la Dc. Poco tempo
dopo l’ordine di arresto e la latitanza, cominciata su un peschereccio partito da
Mazara verso la Tunisia e finita in Croazia dove la Finanza andò ad arrestarlo,
mentre contro di lui si aprivano altre indagini sulla malasanità trapanese.
Pino Giammarinaro non è stato mai
condannato per mafia, è uscito assolto da
un processo, quello che mentre era in corso fu condizionato dall’entrata in vigore,
retroattiva, della cosidetta legge sul giusto
processo, e praticamente non si poterono
utilizzare le dichiarazioni di accusa fatti
contro di lui dai pentiti che nel dibattimento entrarono attraverso la produzione
dei vari verbali di interrogatorio.
La nuova norma vuole che le
dichiarazioni dei pentiti siano utilizzabili
solo se il collaboratore di giustizia ripete
le accuse davanti ai giudici. Il pm Ingroia
dovette chiedere l’assoluzione per
Giammarinaro, e però quelle dichiarazioni
finirono dentro il procedimento per la
misura di prevenzione, e a Giammarinaro
furono inflitti 4 anni di sorveglianza
speciale.
Gli incontri con Cuffaro
Misura che non gli impedì di continuare
a fare politica, addirittura di candidarsi all’Ars e sfiorare per una manciata di voti la
rielezione, sorvegliato speciale che riceveva nella sua casa di Salemi politici importanti come l’allora Governatore della
Sicilia Totò Cuffaro. O di muoversi, grazie a certificati medici di favore, per andare a Palermo a incontrarsi con altri maggiorenti della politica come l’on. Saverio
Romano, capo dell’Udc siciliana.
Tutti sapevano che Giammarinaro era
un sorvegliato speciale per mafia, ma facevano spallucce. E se non stava a Salemi
oenon andava a Palermo, Pino Giammarinaro era facile incontrarlo davanti all’ingresso della Usl di Trapani, a ricevere i
“clienti” mandati dagli amici.
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“E' stato eletto sindaco senza bisogno
di campagna elettorale. L'importante
era l'appoggio di don Pinuzzo Giammarinaro...”
Sicilia
Un documentario di Stefano Maria
Bianchi (uno della «truppa» di Santoro)
ha fotografato, anni fa, la «mafia bianca»,
ossia gli interessi di Cosa nostra nel filone
sanitario siciliano. Nel 2005 la Commissione nazionale antimafia in missione a
Trapani si interessò alle ingerenze mafiose nella sanità trapanese.
Ma le infiltrazioni dei boss dentro il
mondo sanitario non sono di oggi ma di
molti decenni fa. Bisogna risalire al 1926
ad un certo dottore Melchiorre Allegra,
«punciutu» e primo vero pentito di mafia.
Certo, il rapporto tra mafia e camici bianchi da allora si è evoluto. Ma sempre borghesia mafiosa, bianca come il colore dei
camici dei sanitari.
Un capo mafia famoso è stato il medico
Michele Navarra di Corleone. Oggi si
sentono fare i nomi di altri medici, palermitani, ma legati a Matteo Messina Denaro, come Antonino Cinà e Giuseppe Guattadauro, fratello di Filippo cognato diretto
del boss latitante, il numero 104 nei pizzini di don Binnu.
Medico e capomafia
Mafioso e pentito come Melchiorre Allegra è l’alcamese Vincenzo Ferro, figlio
di Giuseppe che con la sanità ha avuto un
altro genere di legame, riuscì per anni a
fingersi pazzo, poi scoperto decise di seguire il figlio nella strada della collaborazione. Altro medico-mafioso ad Alcamo è
Ignazio Melodia, altro camice bianco famoso è stato il partannese Vincenzo Pandolfo, seguì il «patriarca» della mafia belicina, don Ciccio Messina Denaro nella
latitanza per garantirgli assistenza medica,
si consegnò in carcere nel 2006, due anni
addietro ancora giovane è morto in cella.
Insomma la mafia i «colletti bianchi» li
ha sempre avuti, e non solo come affiliati
ma addirittura fra i capi. Non a caso si
parla di «borghesia mafiosa» perchè qui a
comandare non sono stati mai i «viddani»
alla corleonese, ma persone istruite, di un
certo «lignaggio». Allegra parlò della mafia trapanese come di una organizzazione
dove l’onore aveva un senso «cavalleresco».
All'ombra delle cosche
Una situazione che non è cambiata, ricalca quella odierna dove a comandare le
cosche restano i "borghesi" forti della loro
in sospettabilità, quelli che pretendono rispetto e lo ottengono ancora meglio di un
vero mafioso, quelli che proteggono la latitanza di Matteo Messina. Una atmosfera
di grandi connivenze dove tutto spesso si
palesa alla luce del sole in un territorio
dove si dice che la mafia non c’è più solo
perché non si ammazza più.
Vittorio Sgarbi, arrivato da ultimo in
provincia di Trapani, è stato plebiscitariamente eletto sindaco di Salemi senza una
sola ora di campagna elettorale. E' bastato
che lo volesse Pinuzzu Giammarinaro. E
ha cominciato a recitare una parte che lo
aveva già visto protagonista, l'attacco
frontale ai soggetti più esposti nella lotta
alla mafia. Ha detto subito che la mafia
non esiste esistono i mafiosi sparsi, che
non contano nulla. La mafia è nell’eolico,
ha continuato, sfondando una porta investigativamente già aperta. Il mandato di
sindaco l’ha trascorso attaccando, un giorno si e l’altro pure, l’attivismo (per la verità mai molto acceso, per mancanza di
forze) dell’antimafia.
Con l’arrivo di Sgarbi, sindaco a Salemi, scoppiò l’apocalisse. La prima ad insediarsi fu una squadra di “dandy”, assessori chiamati da Sgarbi, come Oliviero
Toscani. Salemi diventa il palcoscenico di
una sorta di reality show. Non c’è fine settimana che non arrivino a Salemi troupe
tv. Sgarbi riempie la scena, il resto lo fanno i suoi assessori, mostre, musei, anche
quello della mafia (“la mafia non esiste
più”, roba da museo secondo lui, ma una
diffida gli fa presto togliere tutto ciò che
riguarda l’esattore Nino Salvo, morto sen-
I Sicilianigiovani – pag. 35
za condanne). Un'iniziativa pubblica è
quella della vendita ad un euro delle case
abbandonate e diroccate del centro storico: sulla carta vengono vendute, ma in
realtà la magistratura di Marsala le ha sequestrate perché la vendita non ha eliminato i pericoli di crollo. Crescono le iniziative propagandistiche di Sgarbi e con
esse i debiti fuori bilancio. Lui con gli
scritti al vetriolo del suo addetto stampa
smentisce e minaccia querele.
Tutto questo regge finchè non arriva il
sequestro di beni contro l’on. Giammarinaro e non saltano fuori le intercettazioni
che svelano come l’ex deputato fuori dal
Comune di fatto era e restava il deus ex
machina. Dal maggio scorso ad ora è storia contemporanea.
Lunedì 6 febbraio il sindaco Vittorio
Sgarbi ha annunciato le dimissioni. Anzi:
appreso dal Fatto Quotidiano.it che gli
ispettori nominati dal Viminale (e anche
questa nomina “scaturiva” da una sua richiesta avanzata appena 24 ore prima dell’ufficializzazione all’allora ministro Maroni) avevano concluso l’ispezione proponendo lo scioglimento per inquinamento
mafioso degli organi politici del Comune,
dapprima aveva detto che la notizia non
era vera, annunciando richieste di risarcimento milionarie, poi dopo qualche ora
accertando che bugia non era annunciava
la nomina a vice sindaco di Pino Giammarinaro, dopo qualche ora ancora l’annuncio delle dimissioni e la notizia di un
incontro col ministro Cancellieri per la
giornata dell’8 febbraio.
A presentarlo al ministro un’altra dichiarazione dirompente: “Mi sentivo in
pericolo e me ne torno al Nord. Incontrerò
il ministro Cancellieri alle 9 di mercoledì
prossimo per riferire il mio
compiacimento per questa scelta".
Gli ispettori, un vice prefetto, un commissario di Polizia e un tenente dei carabinieri, hanno lavorato nei termini affidati, e la conclusione è stata inequivocabile:
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“Qui c'è mafia”
disse Toscani.
E Sgarbi: “Visionario!
Omosessuale!”
l’amministrazione del sindaco Vittorio
Sgarbi “è stata oggetto di infiltrazione
mafiosa”. L’amministrazione, non la città
come ha voluto dire il sindaco Sgarbi.
L'amministrazione, non la città
Gli ispettori hanno “fotografato” la realtà che era stata descritta dall’ordinanza di
sequestro di beni – oltre 35 milioni di
euro – che ha colpito l’ex deputato Giammarinaro. Gli ispettori hanno certificato
che Giunta e Consiglio comunale, i vertici
della burocrazia, hanno subito pressioni e
influenze nelle decisioni da prendere fuori
da ogni contesto di democrazia e confronto, ma con un metodo tipicamente mafioso. Punto di partenza l’onorevole Giammarinaro rispetto al quale Sgarbi non ha
mai rinnegato il legame.
Dopo che per l’operazione “Salus Iniqua”, Sgarbi aveva minacciato querele per
il questore Esposito e per il comandante
della stazione di Salemi dei carabinieri,
maresciallo Teri, alla notizia del contenuto della relazione ispettiva ha preannunciato querele per i tre ispettori: «Ho lavorato come un matto, ho io contrastato gli
interessi mafiosi, come nel caso delle pale
eoliche e ora mi attaccano. Sa che faccio?
Nomino vice sindaco Pino Giammarinaro;
se accetta continuerò a fare il sindaco».
«E non è - precisa - una provocazione.
Non mi sono mai accorto in tutti questi
anni di infiltrazioni mafiose nel Comune
di Salemi e non sono verificate in alcun
atto. Non sono mai stato condizionato nella mia attività. Ero sotto scorta - aggiunge
- e tutti vedevano quello che facevo. Penso che la Sicilia non abbia possibilità di
fare qualcosa di nuovo, di ipotizzare un
futuro diverso. Invito il consiglio comunale a dimettersi prima che i consiglieri vengano smobilitati, sarebbe una cosa non
onorevole. Io ho creato il museo della mafia - prosegue - ho portato Picasso, Rubens, Caravaggio stavo portando Van
Gogh e hanno trovato infiltrazioni mafio-
se ignari delle infiltrazioni culturali. Non
ho alternative devo ringraziarli...».
Sui contatti con Giammarinaro, ha risposto risposto: «Non c'è nessun legame,
semmai c'è' stato nell'aver sostenuto la
mia candidatura a primo cittadino di Salemi. È poi va sottolineato che Giammarinaro non è indagato: è un politico democristiano che si è occupato di realizzare le
mie liste. Francamente non credo che questo sia un atto politicamente rilevante». Per Sgarbi perfettamente legittimo che Giammarinaro può avere avuto
dalla sua assessori, consiglieri, funzionari
e dipendenti comunali.A raccontare un’altra storia, rispetto a quella recitata da
Sgarbi, è stato il famoso fotografo Olieviero Toscani, assessore nella sua Giunta.
“Qui c’è mafia”, ha detto Toscani e Sgarbi
gli ha dato del visionario e anche “omosessuale”.
La “tassa” per diventare deputato
La storia dello zio Calò. C'è un «filo
rosso» all'interno dell'indagine che ha portato al sequestro dei beni nei confronti
dell'ex parlamentare regionale Pino Giammarinaro. Ed è il filo dei collegamenti politici che comprende il retroscena dell'elezione a deputato dell'ex presidente dell'ordine dei medici Pio Lo Giudice. Questo fu
convinto da Giammarinaro a candidarsi e
fu alle ultime regionali l'unico parlamentare dell'Udc eletto. Già in campagna elettorale qualcosa era suonato in modo strano, in particolare gli incontri elettorali ai
quali Giammarinaro era sempre presente e
che concludeva con una «novella»: raccontava, parlando con Lo Giudice, della
storia di un politico potente agrigentino,
"u zu Calò" che un giorno notificò al parlamentare che era eletto che non lo sarebbe stato più, dandogli pubblicamente
dell'«ex» quando ancora era in carica.
Il «messaggio» a Lo Giudice insomma
arrivò forte e chiaro su quello che avrebbe
dovuto fare e su come sarebbe finita se
I Sicilianigiovani – pag. 36
avesse girato a lui le spalle. Non contento
a Lo Giudice a risultato ottenuto notificò
una richiesta: il pagamento di 200 mila
euro per spese elettorali sostenute. Lo
Giudice protestò, si rivolse al segretario
del partito Romano e da questi ebbe ad
apprendere che a Giammarinaro direttamente erano stati consegnati 40 mila euro
di rimborso elettorale che in realtà sarebbero spettati a lui.
Terreni confiscati
Ma nell'indagine c'è anche altro: la storia di un terreno confiscato al narcotrafficante mafioso di Salemi Salvatore Miceli.
Confiscato da oltre 10 anni non è stato
mai assegnato. Incartamento rimasto fermo al Comune e ancora di più da quando
è sindaco Sgarbi. C'era un progetto per assegnarlo a Slow Food e a Libera, ma il
sindaco Sgarbi è stato intercettato a
parlare con un assessore vicino a Giammarinaro, l'avv. Caterina Bivona, mentre
assicurava che Giammarinaro non sarebbe
andato deluso, «A don Ciotti quel terreno
non verrà mai dato».
Parlando con Giammarinaro, Sgarbi poi
si faceva dire a chi doveva assegnarlo e
Giammarinaro gli indicò l'Aias e il signor
Francesco Lo Trovato. Ad oggi comunque
l'assegnazione non è andata avanti e il terreno, 70 ettari, resta non produttivo. L’agenzia nazionale dei beni confiscati se lo
è ripreso indietro, e Sgarbi ha presentato
la circostanza come una vittoria e non una
sconfitta. E il mafioso, arrestato in Venezuela dai carabinieri e ora in carcere, se la
ride.
E il mafioso se la ride
Il ministro dell’Interno Cancellieri nella
giornata di mercoledì 8 febbraio ha
incontrato Sgarbi, ancora sindaco di Salemi, a Roma. Il Viminale non ha fatto comunicati sulla “visita”, Sgarbi ha diffuso
un lungo documento.
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“Cala il sipario,
parte la pubblicità...”
Nessun cenno alle dimissioni, assunzione dei poteri prefettizi per avviare l’accesso in tutti gli enti locali della provincia, rilascio del nulla osta di bontà sull’operato
di Giammarinaro a Salemi dove aveva
pieno diritto a fare il “rais”. Perché la sintesi risulti riscontrata, diamo di seguito il
comunicato stampa di Sgarbi.
Il comunicato di Sgarbi
< Vittorio Sgarbi ha incontrato stamane a Roma, nella sede del Viminale, il ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri. Nel corso del colloquio, durato poco
più di un’ora, Sgarbi ha esposto la situazione di Salemi e illustrato «l’azione di
rinnovamento e di pieno contrasto ad
ogni abuso, anche nella tutela del centro
storico e nello sforzo di impedire abbattimenti e distruzioni». Il ministro ha molto
lodato, tra le altre cose, l’iniziativa delle
«Case a 1 euro», «dispiacendosi dell’interruzione del procedimento di assegnazione delle case che riterrebbe opportuno
anche in altre città di Sicilia». «Ho detto
al ministro – spiega Sgarbi – di ritenere
la richiesta di scioglimento ingiusta e discriminatoria. Ho difeso la dignità, l’onore di Salemi e dei consiglieri regolarmente eletti nelle liste promosse dall’ex deputato Pino Giammarinaro che aveva dunque legittimo titolo a discutere progetti e
proposte politiche».
Vittorio Sgarbi ha manifestato al ministro «la decisione di inoltrare un esposto,
oltre che al ministro stesso, alla magistratura e al Prefetto di Trapani, per chiedere perché la valutazione delle presunte
“infiltrazioni mafiose” sia stata ritenuta
“necessaria” soltanto per il Comune di
Salemi, dove l’azione dell’ex deputato
Giammarinaro è stata legittimata da libere elezioni con presentazione di liste approvate dalla Prefettura e con un programma esposto in liberi comizi alla presenza delle forze dell’ordine, senza che
nessuno mettesse sull’avviso il sindaco
della, se non illegittimità, della inopportunità di fare attività politica con l’esplicito sostegno e accordo del suddetto
Giammarinaro». «Né il Prefetto né il
Questore e neppure il Comandante dei
Carabinieri della locale stazione, che
pure ben conosceva e conosce Giammarinaro – ha sottolineato Sgarbi al ministro
– hanno mai manifestato perplessità o
critiche al suo pubblico ruolo di leader
politico che aveva titolo e obbligo di rappresentare la maggioranza, con lui, legittimamente eletta. Su queste ovvie considerazioni il ministro ha convenuto». «Ho
inoltre annunciato al Ministro – rivela
Sgarbi – la mia decisione di chiedere “
l’accesso agli atti” in tutti i comuni in cui
sia provata l’influenza politica di Pino
Giammarinaro e la presenza di rappresentanti della sua corrente politica, tanto
più senza la presentazione di liste elettorali, ma solo sul piano della persuasione
e delle conoscenze personali (ciò che può
essere conseguentemente considerato
“infiltrazione” o “regia occulta”.
A Salemi la “regia” fu manifesta e il
sindaco fu il primo attore). «Chiedo così
che venga verificata l’influenza politica
di Pino Giammarinaro a Mazara del Vallo, dove ha appoggiato la lista del candidato sindaco sostenuto dall’ex Pm Massimo Russo, in una singolare coincidenza
tra quello che fu il magistrato inquirente
e il suo indagato; a Castelvetrano, dove
Giammarinaro ha indicato rappresentanti
della sua corrente politica in giunta, oltre
ad avere consiglieri di suo riferimento; a
Marsala, dove vi sono consiglieri e assessori espressione sempre di Giammarinaro; ed ancora ad Alcamo, Calatafimi, Gibellina e Partanna. E alla Provincia regionale di Trapani dove la corrente di
Giammarinaro ha espresso consiglieri e
assessori che a lui rispondono. Ovvero in
quelle città – osserva Sgarbi – in cui sono
stati eletti consiglieri o nominati assessori amici, conoscenti, sodali, esponenti po-
I Sicilianigiovani – pag. 37
litici della stessa area del noto “ex sorvegliato speciale”».
«Solo a Salemi – ricorda Sgarbi – di
cui si propone, senza alcuna indicazione
di fatti ma solo sulla base di supposizioni,
lo scioglimento dell’amministrazione, l’ex
deputato Pino Giammarinaro ha agito
alla luce del sole, con ciò negando il
principio stesso di “regia occulta” o “infiltrazioni mafiose”. Su questo piano
Giammarinaro può aver condizionato
qualunque amministratore e, anche in
passato, non si è mai, da parte delle Forze dell’Ordine, omissivamente, indicato la
sua influenza occulta. L’unica amministrazione che non era in grado di influenzare, per la presenza di un sindaco, senza
liste politiche, che lo ha culturalmente e
democraticamente contraddetto e contrastato su ogni proposta, è quella di Salemi.
«Il paradosso vuole che – aggiunge Sgarbi – che quando Giammarinaro “influenzava” realmente, le amministrazioni sono
state risparmiate. Quando invece non era
in grado di farlo, e i suoi stessi consiglieri non rappresentavano le sue istanze,
com’è accaduto a Salemi, si è proposto
un immotivato scioglimento. Gli ispettori
e gli inquirenti sembrano avere agito sulla suggestione di un noto mistificatore di
professione, abituato a creare illusioni:
Oliviero Toscani. Il quale ha chiamato
mafia, come egli stesso ammette, la burocrazia». In compenso, contro la volontà
di Giammarinaro – conclude Sgarbi – ho
realizzato infinite iniziative per restituire
onore al nome di Salemi, tra le quali, paradossalmente, lo stesso “Museo della
Mafia”. Stessa scena in Consiglio comunal. Con l’annuncio che lui da Salemi
non va via, o almeno resta il nome perché
a Salemi avrà sede la sua fondazione. >
Cala il sipario
A questo punto, tanti saluti. Cala il sipario, parte la pubblicità, arrivederci alla
prossima puntata.
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Sicilia/ Cronache di democrazia
“No al mostro Megastore
Fuori dal mio paese!”
La provincia di Catania
ha il record dei centri
commerciali: molti
(non cristallini) investimenti, pochissimo
lavoro. Il più terrificante di tutti è previsto
a Scordia. La gente del
posto non è d'accordo
di Attilio Occhipinti
di Generazione zero
E' il 10 febbraio, pioviggina a Scordia, una macchia di case nella valle del
Calatino. Il sole non sembra aver voglia di uscire stamattina. Sono le 9,30
circa, c'è freddo, il tipico freddo di febbraio. La sciarpa al collo è d’obbligo.
Davanti al municipio si raduna un po'
di gente, studenti con lo zaino in spalla
e signori fra i quaranta e i sessanta che
parlano tra di loro. Fumano nervosamente, come se il fuoco delle sigarette
possa confortarli dal freddo, mentre la
pioggia leggera smette di cadere e, finalmente, qualche timido raggio di
sole trafigge il cielo nuvoloso.
"Siamo tutti per il no! Il sindaco è l'unico contro i suoi concittadini! Deve andare via! Non lo vogliamo ‘sto Megastore!" grida quaòcuno dalla folla, mentre
un altro, uno sulla quarantina con la
barba lunga e una giacca nera, urla:
"Dicono che il Comune ha bisogno dei
seicentomila euro di ‘sto centro
commerciale, ma la verità è che il
sindaco cura solo i propri interessi! E a
noi commercianti chi ci pensa?". Ed
eccone un altro che, fissandoci negli
occhi e agitando le mani, incalza:
"Questo sindaco non ha orecchie per la
gente di Scordia!!". Già, la gente di
Scordia.
Sulle scale del municipio un ragazzo si
sistema la kefiah intorno al collo guardando la folla, poi avvicina le labbra al
megafono: "Popolo di Scordia, commercianti e studenti, oggi siamo qui per dire
no... Una volta per tutte!". Applausi.
"Non vogliamo lo Scordia Megastore!
Facciamolo capire a questi signori!". Applausi e cori.
“Posti di lavoro finti”
Ma perché sono qui? Che ragioni muovono questa gente? Fra un'ora inizierà al
municipio la conferenza dei servizi: Camera di Commercio, Regione Sicilia,
Provincia Regionale di Catania e il Sindaco di Scordia, Agnello, decideranno se
costruire o meno il centro commerciale
“Scordia Megastore”.
Dal megafono continuano a fiorire parole e grida mentre, accanto al gruppo
dei commercianti, una donna soffoca la
sigaretta con la punta dello stivale: è
Lina Basso, presidente della Confcommercio di Scordia. “La Confcommercio
di Scordia oggi è qui per stare vicino ai
propri commercianti e lavoratori e per
dichiarare tutto il proprio dissenso: il
Megastore schiaccerà l'economia di
Scordia. Vengono inoltre promessi dei
posti di lavoro a progetto, cioè finti, e
secondo le nostre analisi per ogni posto
di lavoro di questo tipo se ne perdono tre
normali. Non riusciamo a trovare un motivo per dire sì a questo centro commerciale!".
La Scordia Megastore Srl
Ricomincia a piovere, ma sempre in
modo leggero. I ragazzi di Rifondazione
Comunista e Italia Dei Valori si alternano
al megafono, sono quasi le 11 e c'è davvero molta gente. "La ditta Scordia Megastore Srl risulta essere in mano ai Fratelli Basilotta Immobiliare" dice Marletta
del Prc, occhi scavati, barba di un paio
di giorni. "E Vincenzo Basilotta, uno dei
fratelli, ha ricevuto una condanna definitiva e gli sono stati pure sequestrati beni
per un totale di 30 milioni di euro. A causa di questo sequestro ha dovuto vendere
le azioni della sua ditta ai fratelli, ed è
anche il proprietario della caserma dei
Carabinieri proprio di Scordia!".
SCHEDA
I NUMERI DEI CENTRI COMMERCIALI
Centri commerciali in Italia:
Centri commerciali a Catania:
Centri commerciali prima del 2000:
Centri commerciali oggi:
Centri commerciali provincia di Catania:
I Sicilianigiovani – pag. 38
250 metri quadrati ogni 1000 abitanti
360 metri quadrati ogni 1000 abitanti
40.000 metri quadrati
388.929 metri quadrati
0,5 metri quadri per abitante
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“La povera democrazia del paese
contro i grandi affari decisi altrove”
"Sappiamo - aggiunge - che Basilotta è
molto vicino al presidente Lombardo, ha
svolto dei lavori privati per la moglie di
lui, ed è anche vicino a Rosario Di Dio,
entrambi di Castel di Judica".
“All'aula consiliare!” urlano tutti
Ora piove con più intensità, pare si sia
aperto il cielo. E’ ora di entrare in municipio. Ci dirigiamo insieme alla folla verso la stanza del sindaco Agnello, la dentro ci sarà un tavolo attorno al quale si
decideranno le sorti del Megastore e
quindi di tutta Scordia. La gente vuole
assistere alla conferenza, ma la stanza è
troppo piccola per contenere tutti.
"All'aula consiliare!" urlano dal fondo,
ma i carabinieri schierati davanti alla
porta invitano alla calma. Ore 11,45: ancora nessuna traccia della Regione e della Provincia, un gruppo di studenti si siede sulle scale, c'è chi appoggia la testa al
muro e chi sbadiglia. Aspettiamo ancora.
Ore 12, tutti in aula consiliare. Il sindaco
ha deciso che si svolgerà lì la conferenza
dei servizi.
Ci sediamo in seconda fila, davanti a
noi i tavoli, i microfoni, le poltrone, ma
SCHEDA
I PROTAGONISTI
DEL MEGASTORE
Angelo Agnello, sindaco di Scordia
Vota “no” alla conferenza dei servizi del 10 febbraio. E’ tuttavia
considerato uno dei promotori del Megastore. E' oggetto di intimidazione nell’aprile 2011, quando ignoti gli rubano l’auto, che sarà
poi ritrovata con un foro di proiettile sul cofano posteriore.
Mario Ciancio, editore/imprenditore
Viene citato dal Prc come protagonista di un altro caso di costruzione di centro commerciale sospetto. “Non possiamo dimenticare i milioni di euro che entrarono nelle tasche dell’editore Mario
Ciancio proprietario dei terreni dove è sorto il centro commerciale
del quartiere Pigno”. Proprio dall’episodio in questione sarebbe
poi nato l’interessamento della magistratura catanese a Mario
Ciancio del marzo 2009 (Fatto Quotidiano, Antonio Condorelli).
Nella società che ha realizzato il centro commerciale vicino all’aeroporto di Catania ci sarebbero il fratello del senatore azzurro
Carlo Vizzini e il figlio (incensurato) dell’ex parlamentare di Forza
Italia Tommaso Mercadante. I lavori per la costruzione del centro
sono stati realizzati da Basilotta.
Possiede le tv locali Antenna Sicilia, Teletna, Telecolor e Video 3,
e le radio locali Radio Sis, Radio Telecolor e Radio Video 3. Ha
quote azionarie nei quotidiani Giornale di Sicilia, Gazzetta del
Sud e La Gazzetta del Mezzogiorno. Ha partecipazioni in LA7,
ancora nessuno di quelli che dovranno
decidere ha preso posto, mentre in platea
non ci sono più posti a sedere.
L'impazienza dell'attesa
Commercianti, studenti, rappresentanti
di associazioni o di parte politica hanno
riempito letteralmente l'aula. Sui loro
volti si legge, oltre alla stanchezza,
l'impazienza dell'attesa, come prima di
una grande partita, quando la squadra di
casa è già schierata e pronta a giocare e
si attende la squadra ospite.
MTV, Telecom, Tiscali e L'Espresso/Repubblica. Stampa e distribuisce quotidiani nazionali in Sicilia e Calabria.
Gaetano Anastasi, consigliere comunale Mpa
Genero di Vincenzo Basilotta. Rappresenta l’azienda di famiglia
alla conferenza dei servizi. E’ considerato il tramite per i lavori
privati che Basilotta ha eseguito per Lombardo. E’ consigliere comunale per l’Mpa a Castel di Iudica.
Bisignani Biagio, ingegnere
Progettista Megastore. Nel 2003/2008 docente a contratto per
l’insegnamento di Gestione Urbana, raggrupamento ICAR20,
Università di Catania, Facoltà di Architettura sede Siracusa. Nel
2007/2009 docente a contratto per l'insegnamento di Tecniche
Urbanistiche, modulo interno al laboratorio di Progettazione Architettonica 2a/2b. Nel 2009/2010 docente a contratto per l'insegnamento di Progettazione Urbanistica, Architettura sede Siracusa. Nel 2010/2011, Docente a contratto per l'insegnamento di
Progettazione Urbanistica, Architettura sede Siracusa.
Nel 2005/2007, direzione lavori (60%) e parte di progettazione
dell'area commerciale integrata Etnapolis, Belpasso (zara, Oisho,
Berska, Emmelunga, Camille, C'art, Segafredo, Zona Food);
2005/2009, Pilotage centro commerciale Etnapolis, Belpasso;
2006/2010, progettazione di un centro commerciale a Biancavilla;
2007/2010, altra progettazione analoga a Scordia; 2010, progettazione di un centro servizi-commerciale a Catania.
I Sicilianigiovani – pag. 39
Giulio Pitroso
Generazione zero
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L'attesa è finita, l’orologio segna un
orario imbarazzante, le 12:30. Abbiamo
aspettato un’ora e mezza. Tutti prendono
posto, Camera di Commercio, Regione,
Provincia, Sindaco dietro al tavolo
decisionale, di lato; da una parte la
Confcommercio Sicilia e dall'altro il
rappresentante della società “Scordia
Megastore Srl”, Anastasi ( genero di
Vincenzo Basilotta), e il progettista della
struttura, l'ing. Bisignani (lo stesso
dell'Etnapolis).
“Il piano presenta incoerenze”
Il sindaco apre i lavori, il pubblico rumoreggia, ma appena si accendono i microfoni subentra subito il silenzio. Il rappresentante della Regione Sicilia, Leonardo Pipitone, e quello della Camera di
Commercio, Franco Virgillito, chiedono
di vedere le necessarie autorizzazioni per
la costruzione dell'edificio: viene mostrato il progetto, i vari permessi, i diversi
incartamenti e, dopo una fase di lettura e
analisi molto lunga, si passa agli interventi.
La Confcommercio Sicilia: "Il piano di
impatto commerciale, presentato dalla
società Scordia Megastore Srl, presenta
diverse incoerenze. Parliamo di una
società che stima di fatturare un importo
annuo inferiore a quello che fatturerebbe
un centro commerciale che va male!", e
poi: "Il fatturato previsto è di circa
4.900.000 euro, laddove le altre strutture
fanno 11 milioni di euro, se va male, e 24
milioni se va bene!". Applauso di tutta la
platea.
Lo striscione rimosso
Ora la parola all'ingegner Bisignani, il
quale con un breve intervento sulla "normale non perfettibilità del piano di impatto commerciale", difende il proprio
operato, dato che oltre alla progettazione
della struttura si è anche occupato della
realizzazione del già menzionato piano
di impatto.
Sono circa le 15:45, quando gli addetti
ai lavori sono chiamati a votare. In aula
c'è trepidazione, dietro di noi i commercianti in silenzio sembrano quasi pietrificati, mentre i ragazzi di Rifondazione
Comunista espongono uno striscione:
"NO SCORDIA MEGASTORE". Glielo
faranno togliere poco dopo.
Per prima esprime il suo voto la Camera di Commercio, ed è no; tocca alla Provincia di Catania, ed è un altro no. Adesso si insinua un misto di allegria e preoccupazione tra i cittadini, mentre l’ansia
serpeggia nei loro ventri e sbarra loro gli
I Sicilianigiovani – pag. 40
occhi. Mancano ancora due voti, quello
della Regione e poi quello del sindaco
Agnello. Sì o no.
Il momento della decisione
Alla nostra destra un ragazzo seduto di
fianco a me tiene gli occhi chiusi, muove
leggermente le labbra, come se stesse
pregando. Come prima di un rigore. E
arriva il terzo no, quello della Regione.
Tifo da stadio in aula, c'è il sorriso
stampato sul volto di tutti i presenti e
partono pure i cori.
“Pure il sindaco ha votato no!”
Viene negata la concessione alla realizzazione del centro commerciale Scordia
Megastore. La partita è chiusa. Lasciamo
la sala insieme alla folla, i commercianti
che avevamo sentito stamattina, nervosi,
ora mostrano tutta la loro gioia. C’è un
ragazzo, magrolino con i dread, i jeans a
vita bassa e con uno zainetto sulle spalle;
ci dice: " Scrivetelo che pure il sindaco
oggi ha votato no!"
Verso le 17 lasciamo Scordia, la lasciamo diversa da come l'abbiamo trovata
stamattina. Il sole non c'è, è calata la
sera, ma in cielo non c'è traccia di nuvole.
Catania
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Contro il sacco del lungomare
Appello della società civile
contro il progetto Viabilità di
scorrimento Europa-Rotolo
Al sig. Sindaco di Catania
Al commissario ad acta relativo
al procedimento "Viabilità
di scorrimento Europa-Rotolo"
Il 31 luglio 2009 tredici associazioni
catanesi, numerosissimi cittadini, professionisti, tecnici e docenti universitari
avevano rivolto un appello agli organi di
informazione, alla cittadinanza ed alle
istituzioni affinché non venisse realizzato
il progetto denominato "Viabilità di scorrimento Europa-Rotolo" nei termini descritti in un'inchiesta pubblicata nei giorni precedenti sul "Quotidiano di Sicilia"
a firma di Antonio Condorelli: «400 mila
metri quadri di sbancamento a 10 metri
sul livello del mare, 56 mila metri quadri
di centro commerciale e 48 mila mq di
parcheggi a pagamento spalmati tra una
strada che doveva essere una via di fuga
antisismica e un pezzo di costa lungo
1200 metri, in concessione per 38 anni
ad un gruppo imprenditoriale».
Le conseguenze del progetto
Dopo avere esaminato approfonditamente il progetto, seguì l'8 febbraio 2010
una seconda lettera nella quale altrettante
associazioni argomentarono le loro forti
perplessità affermando che il progetto
così come ideato, originariamente quale
viabilità di scorrimento per motivi di
protezione civile, alla quale venne associata una vasta area commerciale al fine
di poterlo realizzare in project financing,
avrebbe comportato:
- il cambiamento di finalità della strada
V.le De Gasperi, che da prevista viabilità
di scorrimento, sarebbe diventata copertura di un Centro commerciale, perdendo
quindi le sue finalità a servizio della sicurezza in caso di terremoto per diventare una strada di accesso o di avvicinamento al sottostante Centro commerciale
ed ai vari parcheggi, alcuni interrati;
- l'aumento del traffico veicolare ed incremento della quantità complessiva di
cittadini che in caso di pericolo abbandonerebbe l’area con conseguente riduzione
del livello complessivo di sicurezza;
- l'annullamento dell’unicità del Borgo
marinaro di San Giovanni Li Cuti, attualmente separato tramite il lungomare dalla
città, con due soli ingressi, mentre col progetto sarebbe stato integrato al Centro
commerciale essendovi una fusione completa fra il Centro ed il borgo;
- la modifica della visione prospettica
del Borgo di San Giovanni Li Cuti dai
punti di visuale del Lungomare (V.le Ruggero di Lauria);
- la trasformazione del Lungomare in
percorso commerciale e in copertura trasparente dei negozi sottostanti con conseguente perdita della sua attuale funzione di
percorso ambientale, di jogging, di relax;
- la polarizzazione delle attività commerciali verso il lungomare e le aree limitrofe a discapito delle attività commerciali
poste lungo le strade interne della città
come Corso Italia o Via D’Annunzio;
- la disgregazione della scogliera lavica
e delle relative grotte in corrispondenza di
Piazza Tricolore a causa della realizzazione di un altro grande parcheggio interrato
la cui costruzione per dimensioni e posizione avrebbe indebolito la coesione fra le
varie colate nella fascia rimanente fra il
parcheggio ed il mare;
- la mancanza di una pianificazione
complessiva che contemperi e integrari le
diverse esigenze di quell’area della città
col resto della pianificazione urbana.
“Forti perplessità”
Le forti perplessità ed i rilievi tecnici
suesposti sembravano avere incontrato il
consenso dell'Amministrazione comunale
che, infatti, per bocca del Sindaco dichiarò: «Qualunque progetto sia stato elaborato il mio pensiero, che ho sempre illustrato
apertamente, è che non si possa procedere
con un intervento demolitorio che non abbia alla fine effetti benefici per la città.
Questa amministrazione sgombrerà il
campo da dubbi e con chiarezza va detto
che non sarà fatto nulla che possa deturpare il territorio, men che meno si può pensare che questa amministrazione voglia
procedere a una cementificazione selvaggia del lungomare. Quindi dico a tutti, associazioni, consiglieri, cittadini comuni di
stare tranquilli perché il Comune procederà con la massima cautela e attenzione»
(La Sicilia, 3 agosto 2009); e ancora: «Si
tratta di un progetto di finanza già aggiudicato prima del mio insediamento. Per
I Sicilianigiovani – pag. 41
quanto mi riguarda non ho firmato la
relativa convenzione. Sono contrario al
restringimento della carreggiata del
Lungomare e ai progetti invasivi, ma
concordo con il completamento dell’asse
viario di viale De Gasperi. Non
permetteremo altri scempi» (La Sicilia,
21 giugno 2010).
A seguito però di un ricorso esperito
dinanzi al TAR dalle società aggiudicatarie dei lavori per l'asserito comportamento inadempiente del Comune, il giudice
amministrativo ha con sentenza del luglio 2011 nominato nella persona del Segretario del Comune di Messina il commissario ad acta deputato a sostituirsi al
Comune inadempiente per il completamento della procedura relativa al progetto di finanza "Viabilità di scorrimento
Europa-Rotolo". Il commissario risulterebbe essere già insediato con provvedimento del novembre 2011.
“Annullare la gara”
L'inerzia delle istituzioni comunali nel
definire questa vicenda, seppur ereditata
da amministrazioni del passato, ha comportato la soccombenza in un giudizio le
cui non indifferenti spese graveranno sulle tasche dei contribuenti catanesi. Ora
l'auspicio è quello che, subito dopo avere
ottemperato alla sentenza, l'Amministrazione provveda, con i poteri di cui gode,
all'annullamento della gara.
Con la presente, pertanto, le scriventi
ventisette associazioni chiedono al Sig.
Sindaco di assumere senza indugio tutti i
provvedimenti necessari perché venga
posta fine all'ennesima operazione speculativa ai danni dell'ambiente, della cittadinanza, del bene comune.
Cittàinsieme, Comitato Porto Del Sole,
Federconsumatori, Italia Nostra, Legambiente Catania, Lipu Catania - Wwf Catania, Addiopizzo Catania, Centro Astalli
Catania, La Città Felice, Cives Pro Civitate, Decontaminazione Sicilia, Associazione
Domenicani Per Giustizia E Pace, Ecologisti E Reti Civiche Catania, Forum Catanese Acqua Bene Comune, Gapa (Centro Di
Aggregazione Popolare San Cristoforo), I
Cordai, Laboratorio Della Politica, Coordinamento Provinciale Di Libera, Nike, Rifiuti Zero Catania, Ass. Antimafie Rita
Atria, Akkuaria, Artists&Creatives, 51 Pegasi, 25 Novembre Giornata Mondiale
Contro La Violenza Alle Donne, U Cuntu
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Marinai/ Gli occupanti della “Marettimo”
Da mesi dentro la nave
per non perdere il lavoro
Garibaldi doveva sbarcare a Trapani, dicono,
non a Marsala. Un
grande porto, rifinanziato da poco per Coppa America: e tuttavia
è in crisi, coi creditori
non pagati e gli operai
senza lavoro...
di Rino Giacalone
Trapani. Qualcuno li potrebbe anche
chiamare i “forconi” del mare. La loro
è una protesta per il giusto lavoro, per
vedere riconosciuti i propri diritti
dopo che hanno fatto fino in fondo il
loro dovere. A differenza però dei “forconi” certamente nessuno può venire
in mezzo a loro dicendo di avere sentito “odore di mafia”. E poi loro non
hanno fermato alcuna attività, non
hanno determinato chiusura di aziende, cassa integrazione, file ai distributori. Stiamo parlando dei trenta operai
che da quasi tre mesi vivono dentro
una petroliera costruita dal Cantiere
Navale di Trapani e che occupano, abitandovi giorno e notte, una parte del
piazzale del Cnt, sotto una tenda. Il
Cantiere ha conosciuto una crisi improvvisa dopo feste e festicciole, bottiglie di champagne stappate, attorno
alla petroliera che adesso è diventata
la casa della manovalanza del cantiere.
D’improvviso lo stop, il Cnt è in crisi,
non ci sono soldi per pagare gli stipendi,
non ce ne sono per mantenere i livelli occupazionali di prima. L’annuncio di nuove commesse di colpo è come se si fosse
sciolto come neve al sole, il Cnt deve
sbaraccare e deve fare subentrare nella
concessione demaniale una nuova società, la Satin.
Come in tutte le cose siciliane c’è un
risvolto: Cnt e Satin sono due società che
vivono sotto lo stesso gruppo imprenditoriale, quello della famiglia D’Angelo,
Salvatore è un anziano capitano, per anni
consigliere comunale della Dc a Trapani,
a prendere le redini però della società è
stato presto suo figlio Giuseppe. Ad affiancare il gruppo D’Angelo è un ingegnere, Vincenzo Sorge,nel cantiere già da
quando, tantissimi anni fa, era a gestione
pubblica. E' conosciuto anche come ex
attivista prima del Pci e poi del Pd.
Sorge, da direttore tecnico del cantiere,
oggi con i D’Angelo è uno dei componenti del Cda del Cantiere Navale di Trapani. Praticamente i D’Angelo escono
dalla porta con il Cnt e rientrano nemmeno dalla finestra ma dallo stesso cancello
con la Satin, lasciandosi però per strada
un bel po’ di operai. Nella nuova società
infatti non c’è spazio per tutti.
La società ha spento il motore
Gli operai destinati alla mobilità (parola che fa intendere tante cose ma il cui
vero significato è “licenziamento") non
hanno fermato nulla. A spegnere il motore del Cnt è stata la società imprenditoriale. Liquidità azzerata, impossibile tirare avanti nonostante annunci di nuove
commesse (l’ultima da sette milioni e
mezzo di euro da parte della Marina Mi-
I Sicilianigiovani – pag. 42
litare).
La petroliera - Marettimo M. – appartenente a un gruppo armatoriale Mednav
di Catania - doveva essere il fiore all’occhiello della società. Ma dopo un paio di
vari (ha avuto come madrina l’avv. Antonia Postorivo D’Alì, moglie del senatore
Tonino, ex sottosegretario all’Interno di
Forza Italia; il sacerdote che la “benedì”
fu monsignore Ninni Treppiedi, adesso al
centro di indagini su vorticosi ammanchi
di denaro in Curia) è rimasta incompleta.
Quando fu varata, giugno 2009, si diceva che in due mesi sarebbe stata consegnata all’armatore;. L’armatore provò a
prendersela, dopo avere saputo che la società era in crisi ed i lavoratori occupavano già il cantiere, ma gli operai quando
capirono che la “loro” nave stava per essere portata via, sono saliti a bordo per
bloccarla. Da quel giorno non sono più
scesi a terra. A turno i 30 operai si danno
il cambio, in attesa che la loro protesta
sortisca l’effetto sperato, e la disoccupazione venga scongiurata.
Cantieristica navale da sempre
Breve cronistoria. Il Cnt occupa una
delle più estese aree demaniali del porto
di Trapani. Qui si è fatta cantieristica navale da sempre. Un tempo a gestione
pubblica, poi sono arrivati i privati. A disposizione fino a poco tempo fa c’erano
anche due bacini galleggianti. Adesso ne
è rimasto solo uno. La Regione ha mantenuto la proprietà, ha stanziato parecchi
soldi, 9 milioni di euro, per la manutenzione facendo re “regalo” alla società che
gestisce il cantiere. Sullo sfondo non
mancano cronache giudiziarie. Si dice
che quando, molti anni fa, ci fu da mettersi d’accordo su quale cordata dovesse
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prendere in gestione il Cantiere, si mosse
il capo mafia Vincenzo Virga per
“mediare”.
Voci. Nei fatti fu il gruppo D’Angelo,
assieme al gruppo Morici, a prendere in
gestione il cantiere. Morici è uno dei più
grossi imprenditori edili della città, ha
fatto i lavori più importanti, poi uscì dal
cantiere (anche per vicissitudini nei rapporti familiari) per tornare ai lavori edili.
Nel frattempo i Morici, padre e figlio,
Francesco e Vincenzo, sono citati nelle
pagine dell’indagine per mafia nei confronti del senatore D’Alì, a proposito di
rapporti tra mafia, politica e impresa.
Francesco Morici ha anche in tasca un
avviso di garanzia.
Non solo per colpa della crisi
Non si può certo dire che questa sia
un’altra storia. La politica ed i rapporti
politici fanno più che capolino nelle vicende odierne. Questa protesta non è
solo una delle tante storie della nostra
Italia colpita dalla crisi. E’ una storia di
lavoratori che di colpo hanno visto svanire lavoro e stipendi, ma non solo per colpa della crisi. Il che, a Trapani, è paradossale.
Il porto, osannato e festeggiato con le
lussuose barche a vela della Coppa America, trasformato da una infinita serie di
lavori pubblici condotti in un battibaleno
(ma con la super visione di Cosa nostra:
vedi sentenze), è rimasto incompiuto (40
milioni di euro di nuove banchine spesi
senza risultato) quando si è scoperto che
i fanghi provenienti dall’escavazione dovevano finire su di una chiatta per essere
gettati al largo, o ancora finire su dei camion diretti in discariche “abusive”, il
porto di Trapani, quello che la storia dice
doveva essere l’approdo vero di Garibaldi quando invece i Mille finirono con lo
sbarcare a Marsala, il porto che vorrebbe
essere la porta del continente Europeo e
che guarda verso quello Africano, il porto dai mille traffici (anche illegali), ecco,
questo porto che mai avrebbe dovuto conoscere la crisi invece è in crisi. Profonda crisi e già da prima che lo “spread” si
mettesse a fare le bizze.
L'alleanza D'Alì-D'Angelo
Il porto che doveva rinascere, così andavano dicendo i politici locali, che se la
prendevano con la magistratura quando
andava scoprendo illeciti di varia natura,
oggi rischia di scomparire. Quando si andavano facendo quelle dichiarazioni altisonanti sul porto – bipartisan, da destra a
sinistra, passando per il centro – c’erano
una serie di alleanze alle spalle.
La più importante era quella tra l’allora
sottosegretario all’Interno senatore Antonio D’Alì e la famiglia D’Angelo. In
questo scenario un giorno arrivarono a
Trapani imprenditori dalla Sicilia Orientale che chiesero al cantiere navale di costruire la prima di una serie di petroliere.
I politici al cantiere
Comunicati esaltanti, ricchezza fatta
toccare con mano, girandola di meriti tra
politici e imprenditori, ma presto cominciarono i guai. Si ruppe l’alleanza tra i
D’Alì e i D’Angelo, proprio mentre gli
allora candidati premier a Roma e Palermo, Veltroni e Anna Finocchiaro, entravano in pompa magna nel cantiere per
parlare agli operai, coi D’Angelo felici
per essere stati scelti per l’unico appuntamento elettorale trapanese della coppia
aò vertice del centrosinistra.
I Sicilianigiovani – pag. 43
Foto A.Malatesta/Arci
Presto però la società imprenditoriale
cominciò a presentare diversi problemi.
Le proteste degli operai, dopo che avevano affettuosamente lanciato in aria il loro
patron Peppe D’Angelo il giorno che
venne fatta la prova di galleggiamento
della petroliera (filmato su youtube), cominciarono a farsi incessanti, fino a
esplodere. Il Cnt decide di sbaraccare. Le
imprese dell’indotto cominciano a non
vedere arrivare i pagamenti, le imprese
che facevano da satellite al Cantiere Navale di Trapani si rivelano quasi delle
scatole vuote, non c’è giorno che passi
senza che ci sia una protesta.
Casse diverse, ma stesse persone
La soluzione è presto trovata. La società che controlla a sua volta la società
Cantiere Navale di Trapani (Cnt) è la
“Satin” entrambe del gruppo D’Angelo.
La Satin ha lavorato nell’area demaniale
nei lavori per la petroliera commissionata
da “Augusta due”, per un importo pari a
44 milioni di euro. “Augusta due” paga
la “Satin” che, a sua volta, sta corrispondendo il prezzo del subappalto alla società “Cnt”, la società che di fatto ha realizzato il bene per il committente. Tra dare
e avere non si è ben capito chi è in credito e chi ha il debito.
Accade quando a gestire casse diverse
sono le stesse persone. I soldi per pagare
i dipendenti “in crisi” di “Cnt” subiscono
dunque il “filtro” della “Satin” deciso dal
medesimo soggetto amministrante. “Cnt”
è attualmente sotto procedura fallimentare e l'amministratore “in comunione”
vorrebbe mettere in mobilità (leggasi licenziamento) i dipendenti ed ottenere, in
favore della società “Satin”, l'affitto del
ramo di attività della società “Cantiere
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Navale Trapani”. Per la Capitaneria, titolare del rilascio della concessione, si può
far passare il titolo dal Cnt alla Satin.
Nel frattempo i lavori per la petroliera
sono stati completati, “Augusta due” per
ultimare i pagamenti, saldati al 90 per
cento, chiede la consegna della nave ma i
lavoratori a rischio di mobilità (licenziamento) si stanno opponendo poiché non
capiscono per quale ragione “Augusta
Due” abbia pagato la commessa mentre
la società che ha eseguito i lavori (CNT)
è in crisi ed è inoltre orientata ad affittare
l'attività a condizioni agevolatissime alla
“Satin”, che sarebbe sua debitrice.
La storia però non finisce qui. Perché
sugli accordi sindacali c’è una clamorosa
divisione. Cgil, Cisl e Uil hanno infatti
sottoscritto gli accordi con l’azienda. I
trenta operai che protestano, a differenza
degli altri 50 che stanno in silenzio sotto
il “cappello” dei confederali, dicono che
un accordo che non è discusso non può
definirsi sancito da niente. E hanno costituito un sindacato autonomo e di base.
Nel disinteresse della città
La cosa che colpisce è quella che la
protesta di questi operai da mesi va avanti nel disinteresse più assoluto della città.
Pochissimi quelli che sono a loro vicini. I
giovani di Rifondazione, Idv, il circolo
Arci Amalatesta, qualche consigliere
provinciale: il resto delle istituzioni non
s'è visto. L’assessore regionale Venturi si
è fatto avanti riuscendo a convocare le
parti in prefettura ma anche lì c’è stato il
classico buco nell’acqua. La città ha fatto
festa per Natale con tanto di neve sparata
nella piazza del Municipio in occasione
di una festa per la legalità organizzata da
Comune di Trapani e Questura, a distan-
za c’era il serale tam tam dei tamburi che
vengono battuti sulla nave dagli operai
senza più lavoro speranzosi che qualcuno
si ricordi di loro.
Alle sorti di questa 30 operai si è interessata la trasmissione “Piazza Pulita” di
La 7, ma quando le telecamere dovevano
essere accese per la diretta è giunta la
diffida dei proprietari del cantiere, la trasmissione ha rischiato di saltare “per occupazione abusiva” del suolo demaniale,
i tecnici hanno fatto salti mortali ma alla
fine da Trapani il collegamento c’è stato.
Una diffida che non suona proprio bene a
proposito di annunciata volontà al dialogo del gruppo D’Angelo che adesso ha
fatto un’altra diffida stavolta contro gli
occupanti della petroliera e del cantiere.
Licenziati e pure abusivi.
Un'area che fa gola
Ma è proprio vero che il porto e la cantieristica sono così in crisi? A Trapani
non tutti la pensano così, qualcuno è convinto che in crisi sono entrati rapporti
personali e politici. L’area demaniale
oggi occupata dal cantiere Navale di Trapani è un’area che fa gola e altri imprenditori del mare la vorrebbero far propria.
Un nome per tutti? Quello dell’armatore Morace, patron del Trapani Calcio e
prima ancora deus ex machina della
compagnia di navigazione Ustica Lines.
Morace, napoletano verace, è arrivato a
Trapani da Messina, doveva essere una
gita la sua e invece qui si fermò, abbandonando la cantieristica messinese.
apprima qualche aliscafo, poi la flotta
è cresciuta, negli ultimi anni un investimento di oltre 14 milioni di euro per
comprare una serie di navi e traghetti che
però spesso sono rimaste ferme in ban-
I Sicilianigiovani – pag. 44
china, qualcuna di queste navi è stata
usata dalla protezione civile nazionale
per portare via da Napoli immensi carichi di rifiuti. Morace ha ora pensato a
fare anche un suo cantiere. E ha messo
gli occhi sull’area del Cnt. Intanto le sue
navi per i lavori in cantiere a quello di
Trapani, dietro l’angolo, ne preferiscono
uno di Napoli. Il suo sponsor in tutto e
per tutto è l’attuale sindaco di Trapani,
Girolamo Fazio, che è tanto amico di
Morace da avere pensato a lui, e anche
alla moglie dell’armatore, per le prossime elezioni a sindaco. Fazio è al secondo
mandato non può ricandidarsi ma l’erede
vuole sceglierlo lui.
Diffidata anche Libera...
La “Satin” in questi giorni si è fatta risentire. Ha promesso che tutti saranno
riassunti ma non ha voluto sottoscrivere
la dichiarazione. Poi altra alzata d’ingegno. Gli operai potrebbero diventare padroni di se stessi, entrare come soci nella
Satin. E con quali denari? Quelli del
“loro Tfr”. Siccome a quanto pare non ci
sono nelle casse nemmeno i soldi per pagare il Tfr si fa una manovra tutta sulla
carta e quei soldi vengono trasformati in
azioni. Chissà se quei pezzi di carta saranno disposti a prenderseli le banche per
far credito oppure il supermercato sotto
casa dove andare a fare la spesa. Risposta scontata, della serie “non ci provate
neppure”. Noi dalla petroliera non ci
muoviamo. Contro padroni spietati e sindacati che non sono di tutti i lavoratori.
La parola fine a questa storia è messa
da un’altra diffida. Quella fatta sempre
dal gruppo D’Angelo a Libera che l’11
febbraio voleva fare svolgere la sua cena
annuale dentro al cantiere occupato.
Solidarietà/ 1
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“Insieme per
Anna Maria”
Lunedì 20 febbraio
2012, alle ore 9:00, presso la sezione distaccata
del Tribunale di Palmi, a
Cinquefrondi (RC),
udienza per uno dei processi partiti dalle denunce di Anna Maria Scarfò.
Anna Maria aveva 13
anni quando un branco
ha iniziato ad abusare di
lei nel paesino in cui è nata e cresciuta, San Martino di Taurianova.
Le violenze sono proseguite per due anni, finchè Anna non ha trovato il coraggio di denunciare, spinta dall'amore verso la sorellina,
su cui il branco aveva deciso di accanirsi di lì a poco.
Appena quindicenne, dunque, Anna Maria ha iniziato la sua battaglia per riappropriarsi della sua vita. Da sola e contro tutti: contro i suoi stupratori, ma anche contro il suo paese, che l'ha emarginata e condannata, anzichè riconoscerne il coraggio e starle vicina.
Come fosse lei la colpevole. Come una "malanova" da tenere lontana...
Da dieci anni Anna Maria combatte la sua lotta ed è riuscita a far
condannare, con sentenza definitiva in rito abbreviato, sei dei suoi
dodici stupratori. Per gli altri sei è in corso il processo d'appello
con rito ordinario (in primo grado sono stati condannati anche
loro). Inoltre è riuscita a fare ammonire una decina di persone per
stalking.
Le belve e i loro sostenitori hanno ucciso l'adolescenza e la giovinezza di questa ragazza sfortunata e coraggiosa, ma non la sua
dignità e la sua forza.
Due anni fa Anna Maria è stata però costretta a "scappare" da
San Martino, ad abbandonare la sua terra a causa delle minacce e
persecuzioni che continua a subire dalla "sua" gente.. Vive in località protetta, in una terra che non le appartiene, lontana dai suoi affetti, estirpata dalle sue radici per la sola colpa di essersi ribellata
all'ingiustizia, alla violenza, a una mentalità mafiosa e retrograda
che troppo spesso al Sud prende il sopravvento su tutto il resto.
Aiutare Anna Maria a riprendersi la sua vita significa aiutare i
calabresi onesti a riprendersi la loro terra. A far capire, alle "belve"
di ogni tempo e spazio e a chi le protegge e sostiene, che le vere
"malanove" sono proprio loro e che sono loro a dover essere estirpate, come una gramigna che rovina i raccolti.
Associazione “Rita Atria”, Fondazione "Filianoti",
Le Siciliane, Casablanca, Libera Reggio Calabria,
Comitato "Se non ora quando?" Reggio Calabria,
Le autrici di "Non è un paese per donne",
Comitato "Se non ora quando?",
Associazione "Jineca" Reggio Calabria,
Stopndrangheta.it
Solidarietà/ 2
Catania
città aperta?
Vorremmo dire alcune cose in merito all'ennesima aggressione avvenuta il 14 febbraio in un pub del centro storico catanese ai danni di una trans che in quel locale aveva deciso di
trascorrere la serata.
Michelle Santamaria, estetista transessuale di Licata, si trovava in compagnia di un' amica dentro un pub in via Michele
Rapisardi, vicino al Teatro Massimo Bellini. Le ore erano trascorse ballando, festeggiando il giorno di San Valentino ma
verso le 4 del mattino Michelle viene insultata da un ragazzo
con l'immancabile "Bastardo frocio devi morire" e colpita con
un pugno in pieno viso.
Altre persone, il branco, giovani e giovanissimi, la fanno cadere e la colpiscono nuovamente con calci e pugni.
Michelle non viene soccorsa da nessuno, nemmeno dai gestori del locale ma anzi viene inseguita dagli aggressori, alcuni
dei quali armati. Riesce ad arrivare in Questura e denunciare il
fatto, viene soccorsa e medicata all'ospedale Garibaldi dove le
riscontrano trauma cranico e toracico e una vertebra fratturata,
con una progosi di 25 giorni.
Vogliamo esprimere la nostra solidarietà a Michelle, riconoscendole il coraggio di essersi esposta con una denuncia pubblica e augurarle di rimettersi al più presto da questa ignobile
avventura conoscendo perfettamente le dinamiche incontrollabili che scatenano questi accadimenti.
Come Open Mind siamo accorsi in difesa di una trans sieropositiva che a San Berillo non era stata fatta salire in ambulanza, chiamata perché si era sentita male, e tante volte abbiamo
raccolto il disagio, il dolore e le lacrime di volti e anime ferite
nei corpi e nella dignità, accompagnati in questo, dalla solidarietà concreta di donne e uomini, compagne e compagni.Catania non è una città immune dalla violenza contro chi ha il coraggio e il desiderio di mostrare un aspetto diverso e non conforme alla cultura dominante del nostro paese. Le parole di
Michelle ce lo confermano.
"Mi hanno aggredita perché ho un viso maschile e non femminile come si aspettavano". Come a dire che ognuno di noi
deve corrispondere a ruoli e comportamenti normati, che non
diano scandalo.
Se pensiamo che a dicembre una donna, Stefania Noce, una
ragazza giovane e fiere della sua donnità, è stata massacrata
dal suo fidanzato, ci rendiamo conto di come la nostra terra sia
ancora pregna di cultura patriarcale che si traduce in disprezzo
e violenza contro i corpi che la mettono in discussione. Donne,
gay, lesbiche e trans, nella loro identità non normata, e quindi
rivoluzionaria, sono comunemente considerat* soggetti fragili
e a rischio. Capovolgiamo questo paradigma, facciamo diventare il limite una risorsa, così costruiremo un mondo altro.
Sara Crescimone
Open Mind, Catania
I Sicilianigiovani – pag. 45
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Trasporti
Com'era bello il mio treno
Nostalgie ferroviarie
Ne ho fatti di viaggi
sulla Freccia del Sud e
treni simili. Tutto cominciò nel 1969...
di Tommaso Maria Patti
CTzen
Per quasi quattro anni i miei viaggi
Catania-Bologna, dove frequentavo il
triennio di ingegneria, furono incontri
di amore-odio proprio con la Freccia
del Sud: di odio le partenze verso il
freddo e il dovere; di amore i ritorni
verso casa, il caldo, il mare… la mia
ragazza. A quei tempi la Stazione ferroviaria di Catania era sempre affollatissima. Partiva e arrivava tantissima
gente, mentre l’aeroporto, sebbene in
crescita, sembrava ancora quello di
una piccola città.
Nei due anni successivi, trascorsi a
Padova, prendevo il treno per Venezia;
credo si chiamasse Freccia della Laguna. Si è trattato sempre di viaggi in
cuccetta. Poi seguirono trentacinque
anni e più di cuccette e vagoni letto (da
quando ho cominciato a potermelo
permettere) tra Roma e Catania. Ormai però le partenze e i ritorni erano
da Roma e per Roma. La mia ragazza
intanto era diventata mia moglie. Ho
viaggiato anche in macchina, in aereo,
in nave, in pulmann, è vero, ma il treno è stato sempre il mio mezzo di trasporto preferito.
Era divertente il treno. Vi accadeva di
tutto. Mi piaceva. In certi periodi in cui
ho fatto il pendolare settimanale RomaPadova in treno ci ho praticamente
vissuto: ci dormivo due notti a settimana.
Confesso che soffrivo e soffro quando
sento certi commenti, soprattutto a Catania: «Che schifo i treni! Sono carri bestiame. Non capisco come faccia certa
gente a prenderli… lenti, sporchi, mal
serviti, mai puntuali; ci invecchi sui treni…». Io quei treni invece li ho amati,
anche se forse ci sono invecchiato veramente. All’inizio avevo tutti i capelli ed
erano scuri, come la barba. Oggi capelli
ne ho pochissimi e sono bianchi. E bianca è pure la barba. Ma i treni del sud
sono serviti sempre peggio e ormai quelli
per la Sicilia, un po’ alla volta, li stanno
sopprimendo: prima quelli da e per il
nord, poi i notturni da e per Roma.
Alla fine li aboliranno tutti
Alla fine aboliranno anche i diurni.
Costa troppo la gestione dei traghetti ferroviari. Non fanno più neanche la manutenzione di quelli guasti. Ne sono rimasti
solo due operativi dei cinque di una volta. Quando, a breve, saranno anche quelli
inservibili… abbiamo chiuso! Prima o
poi tutti i treni si fermeranno a Villa e si
dovrà traghettare per conto proprio. Nell’isola vinceranno definitivamente i pullman delle compagnie private.
E’ ovvio che allora l’aereo non avrà
più alternative neanche da Roma. Intanto
Alitalia avrà acquistato Windjet e, in
mancanza di concorrenza, torneranno i
prezzi carissimi di una volta.
Che peccato. E che passo indietro per
la Sicilia! Le centinaia di volte che il mio
treno ha dovuto traghettare ho sempre
I Sicilianigiovani – pag. 46
considerato assurdo che si impiegassero
circa due ore e mezza dall’arrivo a Villa
alla ripartenza da Messina. A lungo mi
sono illuso che prima o poi si sarebbe costruito quel benedetto ponte.
E quando ancora non si associava l’idea del ponte a un personaggio preciso e
a una parte politica precisa… quasi tutti
la pensavano come me. Ricordo Giuseppe Fava, che pure era di sinistra e certamente schierato contro la mafia, come lo
auspicava quel ponte. Scrisse pagine infuocate per dimostrarne la necessità.
L'Italia, senza saperlo, cresceva
Ma torniamo ai treni: ricordo che fino
a qualche anno fa il treno occorreva prenotarlo con due mesi di anticipo, soprattutto nei periodi di punta, a Natale, Pasqua, d’estate… altrimenti col cavolo che
la trovavi la cuccetta. Nel periodo che
ancora il dollaro valeva stabilmente 625
lire (la nostra liretta era stabile) e l’Italia,
anche senza accorgersene, cresceva velocemente, la cuccetta costava 1.600 lire.
Poi a lungo il prezzo mi pare sia stato di
1.950 lire. Il biglietto vero e proprio, di
qualche decina di migliaia di lire, variava
in base alla lunghezza del viaggio e alla
classe.
Viaggi a volte avventuros
I viaggi erano abbastanza sicuri, ma
certe volte avventurosi. Scioperi che costringevano a scendere a Villa per risalire
su un altro treno a Messina. Nevicate che
facevano fermare a lungo i treni anche a
pochi chilometri dalle città di destinazione. Pullman sostitutivi per tratti inagibili,
ad esempio per mareggiate in Calabria.
Ne ho viste, ah se ne ho viste! Ricordo
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un viaggio con partenza da Venezia in
piedi… anzi su un piede solo fino a Bologna, poi ho potuto proseguire su due
piedi finché da Firenze in giù sono cominciati i turni per sedersi.
Un'atmosfera di simpatia
Oggi ci si lamenta di treni scomodi e
sporchi… Ma vedeste allora... Ricordo
l’assalto a un aranceto in Calabria, visto
che il treno era fermo da ore e i viveri
erano finiti...
Ricordo certi incontri simpatici. Una
ragazza in particolare: era di Augusta. Fu
un viaggio piacevole, sebbene pieno di
disagi. Avrei volentieri proseguito per
quella città se a Catania non mi avesse
aspettato una persona che per me contava
molto.
Ricordo certe partite a carte, più viste
che fatte. Ricordo certi scompartimenti a
cuccette, pieni di mamme con bambini
neonati che piangevano tutta la notte… e
gli odori... e i rumori... Ricordo che certe
volte nascevano discussioni piuttosto
accese, mentre altre volte si creava una
magica atmosfera di simpatia e armonia.
Un'antica cultura contadina
Ricordo un viaggio speciale un 26 dicembre con l’intera vettura vuota. Eravamo solo mia moglie ed io e nessuno
avrebbe potuto sorprenderci. Ricordo che
i litigi fra i viaggiatori sono sempre stati
rarissimi. La gente era paziente e mostrava un’antica cultura contadina fatta di
saggezza. Mai sentito di furti, ma tanto
di notte ci si chiudeva dentro, bloccando
la porta.
Sul traghetto si andava al bar solo se si
poteva lasciare qualcuno di guardia nello
scompartimento. C’erano anche piacevo-
li abitudini. Ricordo alla stazione di Firenze una voce che gridava «hàffe
hàldo!!!» e quant’era buono quel caffè!
Di ritorno dal nord l’arancino sul traghetto era il primo incontro con la Sicilia. Ricordo la ressa al bar: «A me cinque». «Io
ne voglio due!». «Dieci arancini per
me!».
Una scena non la dimenticherò mai. Al
barista, a un certo punto, ne era rimasto
solo uno, anziché i dieci richiesti. Il
cliente deluso e piuttosto maleducato,
afferrato con rabbia l’unico arancino, lo
scagliò in faccia al povero cameriere.
Erano soprattutto emigranti
Ho visto lentamente cambiare il livello
culturale e l’educazione dei viaggiatori:
soprattutto emigranti prima, povera gente
che le famose valigie di cartone legate
con lo spago le aveva davvero e che
spesso proseguiva per la Germania; studenti, militari, turisti, o gente che viaggia
quotidianamente per lavoro più di recente.
Prevaleva il dialetto prima, l’italiano
oggi. Si fumava dappertutto prima, poi
gradualmente si è smesso e chi ancora
fuma deve scendere alle stazioni. Da un
certo momento in poi hanno istituito gli
scompartimenti a cuccette per sole donne. Per un certo numero di anni sono stati operativi i viaggi «treno con auto al seguito». Che comodi che li trovavo!
Chiedevano “Vuol favorire?”
Dal ’69 è passato tanto tempo. Oggi
nessuno getterebbe l’arancino in faccia
ad un cameriere. Ma in compenso nessuno ti chiederebbe «Vuol favorire?» come
si faceva una volta, quando con modi cerimoniosi, ma quasi sempre sinceri, si of-
I Sicilianigiovani – pag. 47
“Di ritorno dal nord,
l'arancino
del traghetto...”
frivano, tirandoli fuori da incredibili barattoli o da cartocci di carta oleata olive,
acciughe, formaggio…ed era una pena
per me rifiutare, ma francamente non ce
la facevo. Loro ci restavano male…
Quanti ricordi, quanti episodi… troppi
per raccontarli tutti. Per molti quelli erano solo viaggi nella geografia del paese.
Per chi, come me, ha sempre viaggiato su
e giù per l’Italia, si è di fatto trattato di
un incredibile e magico viaggio nel tempo, che peraltro non è ancora finito.
Più ricchi e meno gentili
Oggi la gente non ha più né le gentilezze né le rozzezze di una volta. E’ cambiato tutto. Le persone sono mediamente più
colte, più educate, più ricche, ma forse
anche meno pazienti e gentili. Forse comunque le persone sarebbero anche oggi
ben felici di avere pure al sud e in Sicilia
treni moderni, confortevoli ed efficienti
come i Freccia Rossa. Se si potesse andare a Roma in quattro ore perché prendere
l’aereo?
Ma già oggi, purtroppo, o forse fra
poco, la Sicilia non avrà più neanche i
treni brutti e puzzolenti di una volta…
Mentre i treni comodi e veloci saranno
riservati solo alla parte più ricca del paese, quella che va da una certa latitudine
in su e che è proiettata verso l’Europa.
Poi ci si domanda come e perché nasca il
divario nord-sud… Mah!
Oggi la stazione ferroviaria di Catania
sembra la stazione, poco frequentata, di
una piccola città periferica: ci si vedono
più cani randagi che viaggiatori. L’aeroporto, invece, sembra quello affollatissimo di una metropoli del terzo mondo,
dove i treni non possono permetterseli.
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Trasporti
Siracusa-Milano
Odissea sul binario
Non tutti i chilometri
sono uguali... Dall'estrema Sicilia sono
molto più lunghi
di Francesco Midolo
Ci sono tre imprenditori, Giovanni
di Ragusa, Lucio di Siracusa e Antonio
di Bari. Sono tutti e tre alle stazioni
ferroviarie delle loro città alle ore otto
del mattino. L’imprenditore ragusano
ed l’imprenditore barese, vogliono
raggiungere Milano per promuovere la
loro azienda alla B.I.T. L’imprenditore
siracusano vuole andare a Trapani per
scegliere dei prodotti locali da proporre nella propria azienda. Partono in
treno perché hanno tanto materiale
pubblicitario da portarsi dietro.
Giovanni parte da Ragusa alle otto del
mattino. Arriverà a Milano – facendo due
cambi – alle sei e cinquantacinque del
giorno dopo. 22 ore e 55 minuti di viaggio per 1.447 Km. Il suo treno viaggerà a
62Km/h di media.
Lucio parte da Siracusa alle dieci e
trenta del mattino, perché prima di quell’ora non ci sono treni. Arriverà a Trapani – dopo aver effettuato tre cambi – alle
ventuno e cinquanta. 11 ore e 20 minuti
di viaggio per 489 Km. Il suo treno viag-
gerà a 43 Km/h di media.
Antonio parte da Bari alle otto del mattino. Arriverà a Milano – senza effettuare
cambi – alle quindici e venticinque dopo
appena 7 ore e 43 minuti di viaggio per
880 Km. Il suo treno viaggerà a 118
Km/h di media.
Giovanni e Antonio partecipano alla
B.I.T. Antonio vende più pacchetti viaggi
di Giovanni. Giovanni non andrà mai più
alla B.I.T. Almeno con il treno.
Lucio trova tanti prodotti che potrebbe
essere utili alla sua azienda. Prende ciò
che può e li porta a Siracusa. Ma è poca
roba, dovrebbe tornare. Lucio non andrà
mai più a Trapani. Almeno con il treno.
I personaggi non sono reali. La situazione delle ferrovie dell’estremo sud Italia, sì.
“Siracusa e la Sicilia stanno piano piano perdendo il ruolo di piattaforma economica strategica nel Mediterraneo - afSCHEDA
SUD-NORD IN TRENO
Ragusa-Milano con cambio a
Siracusa e Roma costa 113,65 in
seconda classe per 22 ore e 55 minuti
di viaggio (08:00-06:55).
Siracusa-Trapani con 3 cambi (Messina, Palermo e Piraino) costa 35,60
per 11 ore e 20 minuti di viaggio
(10:30-21:50, 489 Km) .
Bari-Milano (nessun cambio) costa
85 euro in seconda classe per 7 ore e
42 minuti (07:43-15:25, 880 Km).
Fonte: Trenitalia.com
Prezzi calcolati su posti a sedere
I Sicilianigiovani – pag. 48
ferma Roberto Aloisi della Cgil - Le politiche aziendali stanno mettendo in
discussione il diritto alla mobilità delle
persone, senza contare le conseguenze
per il trasporto delle merci“.
Il problema è noto. In un consiglio comunale aperto, tenutosi a Siracusa, convocato dalla conferenza dei capigruppo
su richiesta del consigliere Sergio Bonafede, si è discusso proprio dei tagli dei
treni e degli investimenti ferroviari nell’estremo sud.
Visto dal sud del sud
Il primo a intervenire è stato il sindaco,
Roberto Visentin, che ha denunciato la
sordità di Ferrovie dello Stato rispetto
alle tante richiesta di incontro partite dagli enti locali. Per Visentin, che ha chiesto la firma in tempi brevi del contratto
di servizio tra Regione e azienda, i recenti blocchi stradali hanno dimostrato l’importanza dei collegamenti su rotaie ed è
“inaccettabile” che gli investimenti nel
settore riguardino solo il centro-nord.
L’abbandono di una regione come la Sicilia, ha aggiunto, è un fatto grave e rende vani gli sforzi che gli enti locali, pur
in un momento di crisi finanziaria, mettono in campo per il turismo.
Ad ascoltare le parole del sindaco di
Siracusa, oltre ad una folla di gente accorsa per sapere delle sorti della stazione
ferroviaria, erano presenti i deputati regionali Roberto De Benedictis e Bruno
Marziano e i rappresentati sindacali di
Cgil, Cisl, Uil e Ugl.
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Qualche giorno fa, mi trovavo in un liceo
di Angoulème in Francia, per parlare a
dei ragazzi della storia di Peppino
Impastato che insieme a Marco Rizzo
abbiamo
raccontato
a
fumetti.
Ovviamente parlammo della mafia, e di
come la vivessimo ogni giorno quaggiù
in Sicilia. Domande, curiosità e tanti
luoghi comuni, come potete immaginare.
"Certo che potete venire in Sicilia, non vi
sparano mica addosso come si vede nei
film, è tutto molto diverso da quello che
vi raccontano ".
assassini Gerlando Alberti Jr e Giovanni
Sutera, latitanti di Cosa Nostra nascosti
proprio
a
Villafranca,
verrano
successivamente scoperti e condannati
all'ergastolo.
E' vero, oggi non si spara più, poi a
Messina, si è sempre sparato pochissimo,
a Messina, "la città babba"
non accade quasi mai nulla di rilevante,
figuriamoci a Villafranca Tirrena, il
paese in cui abito e in cui devo dire, si
vive anche abbastanza bene.
L'altro giorno sono venuto a sapere della
morte di Santo Sfameni, presunto boss
del paese, uomo rispettato e di cui so
poco, se non quello che si può appunto
leggere sui quotidiani, e cioè che fu lui a
presentare al sindaco e al maresciallo
dell'epoca quelli che poi diverranno gli
assassini della piccola Graziella.
Quasi 20 anni fa però, era il 1985, la
piccola Graziella Campagna veniva
barbaramente trucidata in quella che
sembrava un'esecuzione mafiosa. Gli
Su questo nulla da dire, in fondo ci sono
tanto di inchieste che hanno parlato del
fatto, e se ci sarà da giudicare, cosa che
non amo fare, non spetta certo a me.
La cosa che però fa riflettere, sono le
parole del parroco Pelleriti "fu un
benefattore perchè aiutò la nostra
comunità", e la presenza dei politici
locali, tra cui il vicesindaco De Marco ed
i vigili urbani.
Tutto sotto l'indifferenza quasi totale del
paese, anche forse per la paura di parlare
di certe cose.
Mi chiedo con non poca emozione, come
ci si possa però dimenticare di Graziella
Campagna, una bambina massacrata
come un cane, di gente come padre
Puglisi, Falcone e Borsellino a cui
restano sterili celebrazioni, inutili targhe
su vie o piazze, come l'obolo pagato da
una coscienza addormentata, per
continuare a dormire.
Credo dunque,
riflessione.
sia
doverosa
una
Mentre scrivo queste righe, il mio
pensiero va a quei ragazzi francesi che
hanno timore a venire qui da noi, che in
fondo ci diciamo, sono solo vittime del
pregiudizio, dell'ignoranza, e a quanto
davvero non abbiano ragione a pensare
certe cose di noi siciliani.
Perchè è vero che oggi non si spara per
strada come nel "Padrino", ma è
altrettanto vero, che la nostra stessa
dignità, la nostra profonda innocenza
viene assassinata ugualmente, giorno
dopo giorno.
Lelio Bonaccorso
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non esiste un “nucleare
civile” senza applicazioni militari derivate, non esiste
“energia atomica pulita” senza
rischi inaccettabili, non esistono
“armi sicure” all’uranio impoverito senza vittime di guerra.
Il figlio di una sopravvissuta alle
radiazioni di Nagasaki ha trasformato in una appassionata
denuncia a fumetti la cronaca
degli incidenti alle centrali nucleari giapponesi e statunitensi, che
sono stati nascosti da un velo di
silenzio.
Nana Kobato, studentessa delle
medie, si affaccia sul “lato oscuro
del nucleare”, e scopre i pericoli
delle centrali atomiche, gli effetti
dei proiettili all’uranio impoverito, le devastazioni ambientali che
uccidono adulti e bambini. In un
racconto a fumetti chiaro e documentato, Rokuro haku descrive
gli effetti delle guerre moderne
sull’uomo e sull’ambiente, e mette a nudo i poteri occulti che sostengono l’energia nucleare.
I
C
L
l libro degli autori di ScaricaBile, il “pdf satirico di cattivo
gusto” che ha ridefinito su
internet la soglia dell’indecenza
con 32 numeri di puro genio e
follia, centinaia di pagine maleducate, migliaia di lettori incoscienti.
Da oggi lo spirito del magazine
più scorretto d’Italia rivive nel libro “The holy Bile”, una raccolta
differenziata di scritti e fumetti
inediti su qualunquismo, castità,
religione e sondini terapeutici.
Un concentrato purissimo di
anticlericalismo, blasfemia, coprofagia, incesto, morte, pedofilia,
prostituzione, sessismo, sodomia,
violenza e volgarità gratuite. In
breve, uno specchio perfetto
dell’Italia moderna, per chi non
ha paura di guardare in faccia la
realtà con le lenti deformanti della satira.
Testi e disegni di Daniele Fabbri,
Pietro Errante, Jonathan Grass,
Tabagista, MelissaP2,Vladimir Stepanovic Bakunin, Eddie Settembrini, Blicero, G., Ste, Perrotta,
Marco Tonus, Mario Gaudio, Flaviano Armentaro, Maurizio Boscarol, Mario Natangelo, Alessio
Spataro, Andy Ventura.
erti fumetti non possono
farli i radical chic col culo
parato o gli intellettuali
da salotto. Ci voleva un lavoratore emigrato come Marco “MP”
Pinna, che si è bruciato due settimane di ferie per partorire la
saga di Nicola, l’antieroe in tuta
blu del terzo millennio.
Un mondo precario dove Nicola
lotta per salvare la sua fabbrica
dalla chiusura, e scopre i trucchi
più loschi con cui i padroni fregano le classi medio–basse.
Più spericolato di Batman, più
sfigato di Fantozzi, più ribelle di
Spartacus e più solo di Ulisse:
Nicola è il simbolo della nostra
voglia di resistere alle ingiustizie.
Contro di lui un padrone senza
scrupoli e una famiglia senza vergogna, incarognita dalle mode più
devastanti del momento.
Uno spietato “reality show” a
fumetti, un micromanuale di economia finanziaria, un prontuario
di autodifesa sindacale ma soprattutto lo sfogo di satira rabbiosa di un “artista–operaio”.
Ottanta pagine di sopravvivenza
proletaria: astenersi perditempo.
a storia di Giuseppe Gatì, 22
anni, pastore per vocazione,
produttore di formaggi per
mestiere, attivista antimafia per
passione.
Il suo volto è salito agli onori delle
cronache nel dicembre 2008 per
la contestazione al “pregiudicato
Vittorio Sgarbi”, che ha scosso la
città di Agrigento al grido di “Viva
Caselli! Viva il pool antimafia!”
Con l’aiuto degli amici e dei familiari di Giuseppe, Gubi e Kanjano hanno scoperto gli scritti, le
esperienze e il grande amore
per la terra di Sicilia di questo
ragazzo, che ha lasciato una eredità culturale preziosa prima di
morire a 22 anni per un banale
incidente sul lavoro.
Un racconto a fumetti che non
cede alle tentazioni del sentimentalismo e della commemorazione,
per restituire al lettore tutta la bellezza di una intensa storia di vita.
www.mamma.am/nonuke
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www.mamma.am/nicola
www.mamma.am/giuseppe
ISBN 9788897194002
ISBN 9788897194026
ISBN 9788897194019
ISBN 9788897194033
48 pagine
di incredibile
godimento.
Da febbraio in libreria. In abbonamento su:
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Weimar?
“Lasciamoli
giocare,
poveri bambini”
George Grosz
Il ceto medio si sta liquefacendo. Ben pochi,
nelle famiglie borghesi, avranno il tenore di vita
dei loro padri. C'è un'aria di Weimar sempre
più insistente. Ma i politici non lo sanno
di Jack Daniel
La casa, ancora bella, era stata un
tempo bellissima. Ora, però, risentiva
degli anni, se non dei secoli, e della penuria di restauri e manutenzioni.
Qualche traccia di umido, l’intonaco
qua e là sbrecciato, graffi su porte e infissi. In cucina, i pensili da tempo non
formavano più una linea dritta e dal
tavolo, nonostante bruciature e anelli
di bicchieri, non era scomparsa la passata bellezza e solidità, nonostante il
disordine di fogli e cartelline che lo ingombravano.
«Il problema sono le rate del mutuo».
«Quando scadono?»,
«A marzo».
Dalla stanza accanto, dalla quale, per
tutta la durata della discussione, era provenuto un brusio di sottofondo, si levò
un urlo di trionfo che li costrinse ad interrompere l’esame dei conti. Trovarono
la forza di sorridere «Beati loro, che riescono a divertirsi…».
«Beati loro, che non si pongono questi
problemi».
Sguardi benevoli e comprensivi.
E poi, scuotendo la testa per non farsi
distrarre da pensieri troppo lievi, «Entro
marzo bisogna trovare quei soldi, quindi.
E dove?».
«Potremmo vendere qualcosa. La macchina, i libri.».
«I libri?» e gli occhi preoccupati e tristi andarono alla libreria carica e affollata grazie a decenni di amorosi acquisti.
«In fondo – le disse prendendole la
mano – ormai se ne trovano tanti in rete.
Non è più necessario averli di carta».
«Lo so. Ma sono ricordi, i nostri ricordi…».
Un barrito di trionfo si levò dalla vicina stanza. Per scaricare la tensione abbatté il pugno sugli estratti conto appoggiati sul tavolo, scostò fragorosamente la
sedia dal tavolo, si alzò facendo volare
altri estratti conto che teneva sulle ginocchia e, aperta la porta, «Volete piantarla,
ragazzi?!».
“Volete piantarla, ragazzi?”
Si levarono deboli e poco convinte
proteste che interruppe con voce ancora
alterata «Con la mamma stiamo parlando
di cose importanti! Cercate di stare buoni, una volta tanto».
Si risedette sospirando, si chinò per
prendere le carte atterrate sotto il tavolo.
«In fondo dobbiamo solo stringere la cinghia per un paio d’anni. Magari se rinunciamo alle vacanze e tagliamo ancora un
I Sicilianigiovani – pag. 56
po’ le spese ce la possiamo fare, e senza
dar via i libri».
«Tagliare le spese? Ancora? Quali?».
La domanda si perse nel silenzio. Un
silenzio breve, di lì a poco interrotto da
nuova grida dalla stanza vicina. Ancora
una volta stava per alzarsi, ma lei lo prevenne, poggiandogli una mano sul braccio.
«Lasciali fare, lasciamoli giocare».
«Ma non si rendono conto di quello
che stiamo passando?».
«Forse no, ma è meglio così, lasciamoli sfogare.»
«Lo facciamo, tutti i giorni, con le leggi elettorali, con l’Art18, con le riforme
costituzionali. Li assecondiamo, passiamo ore con loro quando vogliono fare i
sindacati o i politici. Ma in certi momenti
dovrebbero capire.».
«Forse è meglio che non capiscano,
forse è meglio che non si rendano conto.
Sarà più facile per loro sopportare questi
anni.».
«Hai ragione, Elsa. Ma poi ogni giorno
si svegliano e chiedono un nuovo emendamento, altri fondi, ulteriori spese mentre noi, invece, siamo qui seduti a chiederci se sia il caso di vendere i libri.».
«Devi aver pazienza, Mario. Sono solo
dei ragazzi, lasciamoli giocare.».
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FOTOREPORTAGE
Messina
sepolta viva
La città nasconde, nel ventre, una storia millenaria
che viene fuori appena viene smossa la terra.
Eppure si continua a costruire senza indagini
archeologiche e, a volte, senza fermarsi
davanti al passato che risorge.
di Dino Sturiale e Sebastiano Ambra
I Sicilianigiovani – pag. 57
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Tomba a Tholos ritrovata nel cantiere “I granai”, in
località Gazzi: i lavori per costruire delle palazzine è
sorto lì dove fino a poco tempo fa c’erano dei mulini
dove lavoravano il grano centinaia di lavoratori.
I mulini sono stati chiusi circa due anni fa.
Come finirà? C’è da dire che la presenza di conci
fa intuire che lo scavo deve proseguire,
perché più in là c’è dell’altro.
I Sicilianigiovani – pag. 58
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Una villa di epoca
tardo-romana venuta
alla luce mentre costruivano
un palazzo. I lavori, però,
vanno avanti tranquillamente
I Sicilianigiovani – pag. 59
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La Soprintendenza aveva
previsto delle pompe di
drenaggio da mettere in
funzione per evitare
infiltrazioni d’acqua, ma le
pompe non sono mai partite
a causa di un conflitto di
attribuzione tra il Comune e
l’Ato.
I ritrovamenti più
importanti legati a questo
sito (una metopa e degli
affreschi) sono stati portati
altrove e, di fatto, salvati.
Dietro il Duomo c’è il sito archeologico di “San Giacomo”:
500.000 croceristi l’anno sbarcano a Messina
e quella è loro prima tappa. Il sito è lasciato all’incuria,
ed è posto dove si sa da tempo che scorre dell’acqua ,
quella del torrente “Portalegni”
I Sicilianigiovani – pag. 60
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I Sicilianigiovani – pag. 61
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Cripta normanna decorata barocca nel Duomo.
Un cantiere della soprintendenza che arranca
da oltre 10 anni a causa delle infiltrazioni di acqua (che
rallentano i lavori). Dovrebbero essere cambiati i pluviali
esterni e dovrebbe farlo la curia. Ma c’è un ping-pong fra
curia e soprintendenza e l’acqua si mangia tutto.
I Sicilianigiovani – pag. 62
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Personaggi
Il re dei forconi
Comincia da Palermo
il nuovo corso di Martino Morsello, re defenestrato del Movimento dei Forconi per la
sua vicinanza a Forza
Nuova, e del suo decimato seguito. Sotto la
finestra del governatore Raffaele Lombardo
urlano “dimissioni!”
di Francesco Appari e
Giacomo Di Girolamo
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Il movimento si è spaccato. C’è Morsello, e i suoi pochi intimi, che deposita
il marchio tanto fortunato scatenando
le ire dei ritardatari al seguito di Mariano Ferro, che adesso annunciano le
vie legali. Uno contro l’altro, il teatrino
può cominciare. Ma Martino Morsello
è un tipo tosto, fantasioso e affezionato
al suo broncio da vittima del sistema.
Espressione esatta del Movimento anche da lui fondato: tante mezze verità.
Portabandiera dell’antipolitica, negli
anni ’80 e ’90 ricoprì per diverse volte le
cariche di consigliere comunale e assessore nella sua città, Marsala, col Psi.
Dopo vari saltelli si candida alle regionali proprio con la coalizione di Lombardo
raccogliendo solo 181 voti.
Trova la soluzione ad ogni problema:
contro chi gli oscura i manifesti usa l’arma dello sciopero della fame. Contro la
crisi degli agricoltori trapanesi propone
di coniare una nuova moneta.
Sciopero della fame
Si definisce imprenditore, vittima un
po’ di tutto. Impiegato comunale a Petrosino, piccolo comune trapanese, finisce
sotto processo per truffa e falso continuato. Avrebbe finto più volte di trovarsi in
ufficio, quando in realtà si trovava altrove. Ma è anche imputato per bancarotta
fraudolenta per il fallimento della sua
azienda.
Da qui prende quota il personaggio
Morsello. Si incatena al Comune, racconta le sue avventure in tv. La moglie
Vita, compagna di scioperi della fame, e
la figlia Antonella, addetto stampa del
padre, non lo lasciano mai solo.
L'Ittica Mediterranea
Nei primi anni ‘90 il suo allevamento
di pesci, Ittica Mediterranea, va bene.
Poi inizia il calvario, i pesci vengono
colpiti da un virus e iniziano a morire.
“Mi sono indebitato con le banche per
I Sicilianigiovani – pag. 63
salvare la mia attività, poi il tribunale di
Marsala ci ha fatto fallire”, racconta a
Fabrizio Frizzi.
Nel 2003 l’azienda viene dichiarata
fallita, e Morsello s’ingegna. Stipula un
contratto di affitto dell’Ittica ad un’altra
società intestata alla moglie, Acquacoltura Mediterranea, che prende in custodia i
pesci.
Ma dopo alcuni mesi avanza delle
esorbitanti richieste di rimborso spese
per il mantenimento dei pesci che nel
giro di poco muoiono. E degli 800 mila
euro chiesti al tribunale gliene vengono
concessi 270 mila.
Morsello non è soddisfatto e anche
questa azienda fallisce. Denuncia il curatore fallimentare e il giudice rei, a suo
avviso, di averlo fatto fallire. “I giudici
ce l’hanno con me”.
Scrive al Presidente
Scrive al Presidente del Consiglio, Camera e Senato. E anche al Papa. Nel frattempo l’azienda viene messa in vendita,
ma le aste vanno a vuoto. E puntualmente, poco prima delle aste, i locali subiscono incendi di chiara natura dolosa.
Chi parla delle sue intricate vicende
giudiziarie rischia di essere accostato a
“certi poteri loschi”. Nel suo ultimo volantino elettorale si legge: “Sono un
uomo schietto, umile, testardo, sincero,
con senso di giustizia, legalità, umiltà, rispetto e bontà”.
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Senzatetto/ Milano
Alla faccia della neve
alla faccia
della 'ndrangheta
Per sopravvivere alla
neve e al gelo delle
notti milanesi i senzatetto hanno a disposizione un nuovo dormitorio: il “For a King”,
discoteca sequestrata
alla ‘ndrangheta e riadattata a ricovero grazie a un accordo tra
Sogemi e Comune
di Federico Beltrami
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Quarantacinque nuovi posti letto.
Quarantacinque volti bianchi, neri e
gialli. Qualcuno scavato dal freddo e
dalla fame, qualcun altro rosso di quel
vizio che è ormai necessità, compagnia, distrazione. Quarantacinque
nuovi motivi per sperare. Da mercoledì 8 febbraio, e per le prossime notti, si
trovano al terzo piano di un edificio in
via Lombroso 54, poco fuori dal centro
Lì c’era un locale: “For a King”, “Per
un re”, si chiamava. L’avevano inaugurato una sera di aprile del 2007: le ballerine, le luci, lo champagne. E gli uomini
del clan di Salvatore Morabito.
Due settimane dopo, gli arresti e il sequestro del bene. Cinque anni dopo, i
senzatetto. Merito di un accordo tra il
Comune di Milano e la Sogemi, la municipalizzata che gestisce i mercati annonari della città meneghina.
Se non fosse vera, questa storia, parrebbe una metafora: del male che soccombe ai danni del bene, del puzzo di
uno sfarzo arrogante, di una ricchezza
unta di violenza e disonore cancellati dal
profumo della dignità, del candore di
un’esistenza vissuta senza compromessi,
nel bene e – soprattutto – nel male. Del
fortino dei (pre)potenti espugnato dal silenzioso esercito degli invisibili.
E invece questa storia è vera e non è
tutta rose e fiori: è anche spine. La più
appuntita si trova proprio davanti al ricovero per i senzatetto.
I Sicilianigiovani – pag. 64
Si chiama Ortomercato e insieme a
tanta buona frutta e verdura ospita(va)
chili di droga, oltre a una discreta dose di
violenze e minacce ai danni di sindacalisti, di sfruttati che non vogliono più farsi
sfruttare ma che vi sono costretti, se non
vogliono finire anche loro al terzo piano
del palazzo di fronte al quale lavorano.
Droga all'ortomercato
Lì, come al “For a King”, dominava un
facchino che facchino non era, tanto che
al lavoro c’andava su una fiammante
Ferrari: Salvatore Morabito. A coprirlo, lì
come al For a King, un ex sindacalista
che sindacalista non era più, tanto che
pagava parte degli stipendi dei lavoratori
della sua cooperativa in nero: Antonio
Paolo. Oggi i due lì non ci sono più, condannati a 13 anni e 8 mesi uno e a 7 anni
e 8 mesi l’altro.
A questa storia, però, manca il lieto
fine: a Milano, l’esercito di invisibili
continua a crescere. E pure l’altro.
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Senzatetto/ Catania
Sono rimasti al gelo
ma riscaldati
da tante promesse
Salvo la Caritas e qualche parroco, nessuno
ha pensato a salvare i
più poveri dal frddo
che è arrivato anche
qui. In compenso, i politici ne hanno parlato
tanto
I pochi posti nei dormitori gestiti dai
comuni sono esauriti da tempo. In molte
città non esistono proprio. In parecchi casi
sono stati smantellati. Non è produttivo
impiegarvi qualche soldo. In mancanza di
una certa ed efficace azione pubblica, si
cerca di fronteggiare con l’intervento generoso dei volontari e della Caritas. Una
goccia nel mare, che non può esaurire i
compiti di aiuto, assistenza, accoglienza e
reinserimento sociale. sanciti dalla nostra
Costituzione.
Qualche sindaco si commuove
di Domenico Stimolo
In questa Italia ghiacciata, loro muoiono. Sono i cosiddetti senza tetto, gli
emarginati, i mendicanti; nostrani e
“forestieri”.. Vivono quotidianamente
all’esterno, avvolti negli stracci e in
qualche lercia coperta; molti dentro
un‘improvvisata “latta” montata, a far
da casa. Quanti sono? Decine o centinaia di migliaia? Sono considerati scarti della razza umana, quindi non utili
per il censimento. Le politiche di esclusione montate negli anni li hanno fatti
assurgere alle cronache come sinonimo
di oggetti da bastonare o da bruciare.
Nei giorni del gelo qualche amministratore, nelle grandi città, si commuove; se
va bene si lasciano aperti per la notte gli
atrii d’ingresso delle metropolitane e di
qualche stazione ferroviaria. A Milano,
dove il comune gestisce 1700 posti nei
dormitori, insufficienti per il grande numero dei senza tetto, si spendono 570 milioni per costruire il nuovo edificio della
Regione. A Bari il sindaco mette a disposizione il Teatro cittadino (il Petruzzelli) e
le palestre di due scuole, a guisa di dormitorio.
A Catania, dove non è mai stato realizzato il campo di transito per i Rom – in
città ne sono presenti parecchie centinaia
– e in centro centinaia di emarginati
vivono drammaticamente in una indegna
baraccopoli, siamo alla commedia. Ma
truce.
I Sicilianigiovani – pag. 65
In tutta la città per i senza dimora sono
disponibili 105 posti letto: ottanta gestiti
dalla Caritas e venticinque da un consorzio convenzionato col Comune. Il 6 febbraio è stato comunicato che tra il sindaco
Raffaele Stancanelli e il sottosegretario
Filippo Milone era stato deciso di approntare sessanta posti letto nella caserma
Sommaruga (una grande area con edifici e
grandi cortili, in parte non più utilizzati).
Ma l'idea è naufragata nell’arco di poche ore, per quanto si fossero già messi in
opera i volontari.
L’entusiasmo del sindaco e del sottosegretario non aveva infatti considerato che
in caserma, come si è ufficialmente appreso, per gli ospiti si deve pagare. In questo
caso ovviamente la struttura erogante doveva essere il Comune. Velocissima marcia indietro, e la caserma è rimasta chiusa.
Luoghi pubblici inutilizzati
E dire che la città è piena di ampi luoghi pubblici, privati e di culto - molti gli
appartamenti vuoti - che in questo periodo
di intenso freddo potrebbero ampiamente
accogliere gli emarginati.
Ma le chiacchiere sui simboli hanno totalmente prevaricato la nuda, cruda e
drammatica realtà che riguarda gli umani.
Nel silenzio totale, a parte la Caritas, si
è fatto avanti solo padre Gianni Notaro
parroco di una chiesa cittadina che ha alloggiato dieci disperati nel salone.
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Andare o restare? La storia di Edoardo
«Parto per tornare,
è una battaglia
di civiltà»
Edoardo Cicero farebbe felice il viceministro Martone perché
non ha ancora 28 anni
ed è già laureato. Denuncia le storture
universitarie e intanto
viaggia per gli ospedali
d’Europa, sognando
un futuro nella ricerca.
Ma alla fine torna sempre a Catania
di Claudia Campese
CTzen
Una laurea in medicina, un futuro
sognato da ricercatore in neurologia,
brevi boccate d’aria all’estero ma testa
e cuore sempre a Catania. Nonostante
ministri e viceministri. Edoardo Cicero, 25 anni, si è laureato a ottobre alla
facoltà di Medicina etnea e adesso attende gli esami di abilitazione. Intanto
ha fatto la parte di se stesso in Il pezzo
di carta, il cortometraggio del catanese
Marco Pirrello proiettato in anteprima
lo scorso 13 febbraio al cinema King.
«Ci tengo a far sapere che non stavo
recitando – spiega – manifestavo davvero». Megafono alla mano, denuncia storture e mancanze del sistema universitario
cittadino e nazionale. Le stesse che scoraggiano il protagonista del corto, prossimo alla laurea, e dividono il suo destino
da quello di un amico, in cerca di fortuna
a Milano. Edoardo invece è rimasto, ma
senza arrendersi.
Pazienti abbandonati
Dopo gli sfigati del viceministro al
Lavoro Michel Martone sono arrivati
«i giovani che vogliono lavorare vicino
a mamma e papà» del ministro dell'Interno Anna Maria Cancellieri. Tu che
ne pensi?
«E’ una cosa folle. Di una superficialità e
una cattiveria che non mi aspettavo da un
ministro. La realtà è più complessa. Tra i
reparti degli ospedali vedo tanti pazienti
abbandonati dallo Stato, privi di assistenza. Se non avessero le famiglie vicine,
per loro sarebbe un dramma. In casi
come questi restare è una scelta obbligata, per sopperire alle mancanze di un sistema. Che rabbia sentire la Cancellieri
parlare così di queste persone».
Tu 28 anni ancora non li hai e ti sei
già laureato. Di cosa trattava la tua
tesi? Resterà anche lei in Italia?
«Diagnostica differenziale del Parkinson
e delle sue varianti più aggressive. Detto
in modo semplice, per questa malattia
esistono solo diagnosi cliniche, nessuna
I Sicilianigiovani – pag. 66
analisi di laboratorio che consenta di approfondire la tipologia o lo stadio della
patologia per effettuare una terapia efficace e mirata. Nel mio studio invece tento di dimostrare come sia possibile agire
in modo diverso. Quella contenuta nella
tesi, però, è solo una piccola parte di un
anno di lavoro su 175 pazienti, un campione abbastanza rilevante. La gran parte
dei dati devo ancora analizzarla e organizzarla per scrivere un articolo che spero verrà pubblicato all’estero. Ci sto ancora lavorando».
Abilitazione permettendo, hai già
scelto come vuoi continuare la tua
carriera in medicina?
«Dopo l’esame, si aspettano i bandi di
concorso per le specialistiche. Io sono interessato alla neurologia, alla ricerca. La
mia segreta speranza è quella di contribuire un giorno a trovare la cura per le
malattie neurodegenerative. Come l’alzheimer, per intenderci».
“Anche fuori non cambia molto”
E tutto questo l’hai fatto e sognato a
Catania. Come mai?
«Per comodità. E forse anche per vigliaccheria, non lo nascondo. Perché è stato
più comodo continuare dove sono nato e
cresciuto e perché, fatti i miei conti, i
punteggi da superare ai test d’ingresso
mi consentivano di stare abbastanza sereno rispetto a quelli necessari in altre città
d’Italia. E poi ho anche provato ad andare fuori ma ho scoperto che non cambiava molto».
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Una fuga alla Leopardi. Dove sei
stato?
«Tra il mio terzo e il quarto anno mi
sono trasferito a Roma, all’università Tor
Vergata. Ci sono stato solo due settimane
ma mi sono bastate per capire che la situazione era uguale alla nostra, a Catania. I ragazzi si lamentavano delle stesse
cose, come i tirocini programmati e mai
fatti. Forse loro stanno messi un po’ meLAUREE E SOGNI DI FUGA
UNA SOLA SOLUZIONE:
«NON ARRENDERSI»
Luca vuole restare in Italia. Per i suoi
odori, il suo cibo e il coraggio
nascosto di molti dei suoi abitanti.
Così come un giovane laureando
catanese, deciso a terminare l'università nella sua città. Al contrario di
un suo amico, in partenza per Milano,
verso un'opportunità e di Gustav, il fidanzato di Luca, che vorrebbe andare
via dall'Italia, nauseato dal Rubygate
e scoraggiato dalla fuga delle imprese. Due direzioni opposte in due diverse pellicole: Il pezzo di carta, cortometraggio di Marco Pirrello, e Italy:
love it or leave it, documentario di
Luca Ragazzi e Gustav Hofer. Due
proiezioni che hanno attirato centinaia
di spettatori – moltissimi giovani - al
cinema King, per l'evento organizzato
da CTzen, RadioLab e UPress in collaborazione con il Cinestudio. Una
serata all'insegna di due domande –
Andare? O restare? - ma con una sola
certezza: «No surrender, fratello».
glio dal punto di vista delle infrastrutture, ma i problemi sono gli stessi».
Perché allora, secondo te, si fa un
gran parlare dell’andare o restare?
«Perché è vero che i problemi sono gli
stessi, ma qui sono anche aggravati da
una disastrosa situazione precedente.
L’immobilismo catanese è una condizione che ci trasciniamo dietro da tanto.
Qui, a differenza di altrove, c’è una classe di docenti, quelli che si sono formati
durante le contestazioni studentesche,
che una volta ottenuto il posto ha iniziato
a gestire il potere esattamente come quelli che combatteva da giovani. A questo
aggiungiamo la mancanza di
investimenti unita allo spreco di risorse e
otteniamo questo risultato finale. All’estero, ad esempio, è tutto diverso».
All'estero te la cavi
Quindi all’estero ci sei stato. E’ andata meglio che a Roma?
Ho fatto due tirocini estivi di un mese
negli ospedali di Turku, in Finlandia, e a
Bilbao, nei Paesi Baschi. In Finlandia,
per tornare alla Cancellieri, i ragazzi riescono ad essere indipendenti anche vivendo nella stessa città dei genitori perché ogni studente ha diritto ad un assegno mensile di 400 euro.
Considerato che l’affitto di un appartamento va dai 250, 300 euro, con un lavoretto o l’aiuto della famiglia te la cavi. A
Bilbao, che ha uno dei sistemi sanitari
migliori d’Europa, ho imparato invece
come i docenti siano meno gelosi dei no-
I Sicilianigiovani – pag. 67
“Se non
lo facciamo noi,
non lo farà
nessuno”
stri e più disposti ad insegnare una loro
tecnica in sala operatoria. Il motivo secondo me è abbastanza curioso. In queste
occasioni si parla sempre in inglese, una
lingua che non ha la terza persona. Questo abbatte qualunque distanza anche tra
docente e allievo.
Una cattedra fra noi e loro
Nel cortometraggio ti si sente denunciare proprio la mancanza di dialogo
all’interno dell’università e la condizione di studente come lotta per la sopravvivenza. Che intendi?
Tra noi e i professori c’è sempre una cattedra. Non si sperimentano mai formule
di apprendimento diverse dalla lezione
frontale, magari più creative. L’università
ti lascia solo. E’ difficile reperire informazioni, incontrare i professori, avere un
rapporto con loro al di fuori delle lezioni
e degli esami. Non si crea nessuna comunità.
Ricapitolando: a Bilbao la sanità è
migliore, in Finlandia ti pagano per
studiare, a Roma i professori sono
meno parrucconi. Dopo l’abilitazione
intendi restare o andare?
Se potessi me ne andrei. Ma solo per imparare e poi tornare. L’obiettivo dev’essere restare perché, se lasciamo quella
che a Catania è anche una battaglia di civiltà, ci dichiariamo sconfitti in partenza.
E perché sappiamo che, se non lo facciamo noi, non lo farà nessuno. Oppure lo
faranno quelli che non vorremmo e che
hanno già contribuito allo sfacelo.
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Sicilia/ Una città unita per un giorno
“Cittadini! Viva
Sant'Agata!” Cronaca
da una festa
E' la festa religiosa più
affollata d'Europa. La
gente partecipa in
massa, i mafiosi ne approfittano per fare affari. Quest'anno, dopo
l'inchiesta dei magistrati, la Chiesa è stata
vigile contro la infiltrazioni. Non altrettanto
le autorità civili
di Giovanni Caruso
I Cordai
Osservo la cera ormai raffreddata sul
selciato di via Plebiscito, in quel selciato
ormai lucido e consumato dove si riflettono le luminarie di una festa appena
passata. Immagino l’odore della carne di
cavallo sui focolai che si mescola con gli
odori della “calia abbrustolita”, brusio e
voci che si confondono con le trombette
delle bancarelle, gli ottoni luccicanti che
suonano Cacao meravigliao “.
“Cittadini... Viva Sant'Agata!”. Lo
hanno appena gridato quegli uomini e
quelle donne, con i loro “sacchi bianchi”,
in modo accorato, a tal punto da perdere
la voce.
“Agata, chi sei? - pensa qualcuno - Chi
sei per far sentire tanti e tante, per un
giorno, cittadini, in questa Catania maltrattata?". I volti delle donne del popolo
somigliano tanto al suo, quelle donne che
tengono i bambini in braccio col piccolo
sacco bianco e con una candela in mano
e si spingono sotto la “Vara “ per chiedere un miracolo. Quelle stesse donne di
San Cristoforo che si danno da fare per
allevare i figli; figli che crescono sulla
strada, senza una scuola sicura, costretti
a non lavorare o ad essere sfruttati. Donne che aspettano i mariti alla ricerca di
un lavoro per un giorno, che si vendono
e si mortificano davanti a un “caporale”
o un “padroncino”. "Chi sei Agata? Quale esempio per queste donne?".
Catania 251 d. C. La forza romana domina il mondo. Il suo imperatore Decio
Cesare perseguita i cristiani, uccide e
massacra. Così, come oggi l’emigrante
d’oltre mare, ieri il cristiano ribelle. Agata, cristiana, vive la sua adolescenza ribellandosi all’oppressione, appassionandosi al senso di giustizia e a Cristo. Quel
Cristo che predica una rivolta senza armi,
fatta di parole costruite sulla pace. Agata
dice no a Quinziano, proconsole romano
che schiaccia la città e vuole dominare su
di lei, violando il suo corpo. Agata dice
no, fino alla morte. Le spoglie vengono
disperse, ma il vento della storia le
riporta alla sua Catania.
“Più forte ancora, cittadini!”
Mi piace immaginare che il suo ritorno
ci voglia dire qualcosa. Forse vuole dirci
di resistere ai nuovi oppressori come lei
stessa fece, gli oppressori di oggi che
non rispettano i nostri diritti, gli stessi
oppressori che comprano la nostra dignità per un voto. Gli stessi che "regalano"
spesa e cellulari in via Plebiscito.
Quelli che per stare al potere usano il
malaffare, e si fanno usare dalle mafie.
Quelli con le fasce tricolore che impunemente passeggiano per via Etnea, fra
gli spazi delle festa e la folla.
Cittadini, prima di chiamare Sant’Agata, alzate la testa, guardate gli occhi di
Agata e iniziate a gridare. Gridate e sentitevi…”più forte e più forte ancora, cittadini”… e non solo per un giorno.
FOTO DI ALESSANDRO ROMANO
I Sicilianigiovani – pag. 68
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SANT'AGATA
DURANTE LA CRISI/
CORAGGIO E
COMPROMESSI,
FEDE E ECONOMIA
di Miriana Squillaci
I Cordai
E' necessario spendere 650mila euro
per questa festa? La “Santuzza” preferisce i fuochi d’artificio o le opere di carità? C’è più fede o teatralità? Quante persone, e soprattutto quante donne si riconoscono nel coraggio di Sant’Agata?
Abbiamo chiesto di rispondere a queste domande al signor SiRacusa, macellaio di via Plebiscito “devoto” da 60
anni, e al signor Liuzzo, commerciante
anch’esso di via Plebiscito.
Entrambi ci fanno notare come non si
possa “fare di tutto l’erba un fascio”, i
devoti, quelli veri, continuano ad esserci
e a seguire la festa con la dovuta fede ma
certo non si può negare che c’è anche chi
indossa il sacco non per devozione ma
per “fare teatro”.
Allo stesso modo non si può definire la
festa “commerciale”. “Indubbiamente
quindici anni fa non si vendevano i cuori
di gomma o i cuscini con la scritta “viva
Sant’Agata”, cosi come non si vendeva
carne di cavallo e salsiccia; ma i tempi
sono cambiati e la crisi rende necessario
sfruttare tutte le occasioni per guadagnare qualcosa e portare un po’ di soldi a
casa.”
In via Plebiscito si è interrotta anche
l’usanza di sparare i fuochi d’artificio in
omaggio alla Santa. Il signor Siracusa, ad
esempio, non lo fa più da 4 anni: “Dieci
minuti di fuoco costano 1000 euro, una
“torta” con 600 fuochi costa dagli 800 ai
1000 euro; prima, non dovevo aiutare i
miei figli o i miei nipoti, ma adesso, con
questa crisi preferisco dare a loro questi
soldi, anche se la mia fede resta immutata”.
Viene allora spontaneo chiedersi: visto
che la crisi coinvolge anche il Comune,
non sarebbe più giusto festeggiare in maniera più sobria?
I Sicilianigiovani – pag. 69
“Certo, magari, potrebbero essere ridotti i fuochi ma si potrebbe pensare anche a una soluzione alternativa: invece di
ridurre le spese per la festa, si povrebbero ridurre i costi dei gettoni di presenza
dei consiglieri comunali o di quartiere,
che guadagnano dagli 80 ai 110 euro per
ogni seduta” .
“...'pa Santussa chistu e autru!”
Insomma, 'pa Santuzza chistu e autru!
Ma Sant’Agata, il suo coraggio, ci rappresenta ancora?
“Dipende” ci dice qualche mamma “ ci
sono cose per cui si può cedere e altre
no”.
“Certe volte bisogna scendere a compromessi, non sempre si può prendere
una posizione netta”, ci risponde qualche
altra.
Una posizione netta la prendono, invece, i ragazzi di Addio Pizzo che hanno riempito le vie del centro di fogli con scritto “ SANT’AGATA NON VUOLE LA
MAFIA, E I CITTADINI?” oppure “
SANT’AGATA LIBERACI DAL PIZZO”.
Insomma Catania continua essere una
città piena di contraddizioni, dove una
magnifica festa riesce a mettere insieme
fede ed economia, coraggio e compromessi.
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Sicilia/ Una città sfruttata tutto l'anno
Le infiltrazioni
mafiose nella festa
Parlano i collaboratori di giustizia
Di Raimondo e Giuffrida
Il 29 giugno 2006 davanti al magistrato
Natale Di Raimondo dichiara:
“Sono devoto di Sant’Agata e ancora
oggi seguo la manifestazione tramite la
televisione, via satellite.
Nel 1992 e nel 1993, quale responsabile del gruppo “ Monte Po”, destinai i
proventi di una bisca clandestina ove si
giocava alla “ zicchinetta “ e i cui proventi erano destinati al mio gruppo, per
pagare i portatori della candelora del circolo di Sant’Agata nel quartier Monte
Po’. La candelora stazionò 2/3 giorni nel
quartiere e pernottò sotto casa mia.
Decisi di fare arrivare la candelora nel
quartiere sia per acquisire maggiore prestigio quale “ mafioso “ sia per senso di
devozione verso la Santa. Il quartiere era
perfettamente a conoscenza che la candelora era a Monte Po per mia iniziativa.
Scelsi la candelora del circolo di Sant’Agata in quanto mio zio era una dei
portatori de quella candelora. Mio zio
non faceva parte dell’organizzazione, ma
era “lavoratore” alla fiera di Catania, ove
aveva un posto fisso.
“Acquisire prestigio come mafioso”
La “ venuta “ della candelora nel quartiere, comportò una spesa di circa 30/40
milioni di lire l’anno, che io versai a mio
zio, utilizzando- come ho già detto- i
proventi della bisca. Con tali somme
vennero pagati i portatori, l’lluminazione
del quartiere e i fuochi d’artificio. Io non
mi sono materialmente occupato dell’organizzazione, perché in entrambe le occasioni versai i soldi a mio zio il quale si
ineteressò di tutto.
A celebrazione della venuta della candelora nel quartiere, feci realizzare uno
stendardo con l’indicazione del nome
dellla mia famiglia, con la dicitura “ Di
Raimondo 199271993”, che all’epoca
costò qualche tre milioni di lire. Lo stendardo venne appeso alla candelora del
circolo di Sant’Agata e vi rimase anche
negli anni successivi , mentre io ero detenuto. Poi, nel 1998, quando divenni collaboratore di giustizia, lo standardo venne
tolto. Non so che decise di togliere lo standardo, anche se è chiaro che non venne più
appeso perché io ero diventato collaboratore di giustizia. Io seppi da mia madre
che non era stato più appeso.
Da giovane partecipai attivamente ai festeggiamenti agatini nella città di Catania,
anche vestendomi con il sacco bianco. Poi
ritenni di non essere più degno di vestire il
sacco e partecipai alla festa solo privatamente, recandomi con i miei familiari
presso Piazza Borgo per assistere ai fuochi
di artificio serali.
Ricordo che in una di queste occasioni
vidi anche Nino Santapaola, fratello di
Enzo ed entrambi i figli di Salvatore Santapaola, fratello di Nitto, che vestito del
sacco e portando un grosso cero sulle
spallle, seguiva la processione all’interni
dei cordoni.
Ho conosciuto Pietro Diolosà. Me lo
presentò mio zio come uno di quelli che “
contavano” per la candelora del circolo di
Sant’Agata: ricordo che era alto e con i
baffi.
Nella stessa circostanza della venuta a
Monte Po’ della candelora di Sant’agata,
conobbi il commendatore Maina, che si è
intrattenuto nel quartiere per quell’evento.”
Secondo le indagini, le candelore dei pescivendoli, dei macellai, dei fruttivendoli e
dei pizzicagnoli, proprio queste quattro,
secondo Giuffrida, sarebbero state gestite
dai clan affiliati ai Santapaola.
Ed ecco quanto si legge nelle dichiarazioni di Daniele Giuffrida: “Il cereo dei
pizzicagnoli, candelora dei “fummaggiari”
era gestito dalle famiglie dei Ceusi e Cappello, alle quali il mio gruppo riuscì a sottrarla con la forza nel 1994-1995. Anche
gli altri cerei venivano gestiti da clan mafiosi. Quello dei “pisciari” era gestito dal
clan Savasta. Il cereo dei macellai, invece,
era gestito dai Cappello che gestivano anche il cereo dei fruttivendoli.”
I Sicilianigiovani – pag. 70
Continua Giuffrida: “ L’interesse di gestire un cereo è di natura esclusivamente
economica. Ogni settimana venivano
raccolti offerte dai ciascun esrecente
fino ad arrivare, alla fine dell’anno anche
a 200 milioni di lire. Una parte veniva
utilizzata per pagare i portatori, ai quali
veniva anche fornita gratis cocaina detraendo il costo dalla somma complessiva. Altra parte della somma veniva destinata al pagamento del fuochista. Circa
150 milioni venivano versati in un fondo
cassa del gruppo utilizzato per il pagamento degli stipendi o per acquistare cocaina o armi. Altri interessi economii riguardavano le scommesse che venivano
fatte al momento della salita di San Giuliano e che si basavano sulla durata del
tempo in cui il cereo veniva tenuto sollevato. Ricordo che in una occasione il mio
gruppo scommise circa 15 milioni.
“Altri introiti dalla festa”
Il mio gruppo aveva altri introiti dalla
festa di Sant’Agata. In particolare i devoti offrono al passaggio della Santa numerose candele, che vengono poi scaricate
nelle soste della vara in alcuni camion.
Ebbene, la ditta che si occupava di raccogliere questa cera, era obbligata a consegnare al nostro gruppo la somma di 50
lire per ogni chilogrammo raccolto. Fino
a raccogliere alla fine della festa 15 milioni di lire.
Inoltre ricordo che nel 1994-1995,
mentre ero agli arresti dominiliari, feci
un’evasione. Parlai con una persona che
dirigeva i movimenti della vara. Si trattava di una persona grossa, con baffi e occhiali. Gli dissi che doveva sostare in via
Plebiscito, dopo il bal Lanzafame, a San
Cristoforo. Io deduco che la sosta aveva
lo scopo di fare vedere la Santa a Natale
D’Emanuele, a quell’epoca latitante e
con molta probabilità nascosto in una
casa in quella zona in via Plebiscito, ove
egli possiede numerosi immobili. Di fatto la sosta avvenne per circa dieci minuti,
come richiesto”.
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Storia
Un siciliano
di nome Turiddu
Carnevale
A Roma c’era un comunista di nome Fausto
Gullo che faceva il ministro dell’Agricoltura...
di Elio Camilleri
Il ministro Gullo aveva pensato bene
di abbattere il latifondo e di distribuire
le terre ai contadini, di cambiare le regole secolari della divisione del raccolto
all’interno dei contratti di mezzadria.
Crispi e poi Giolitti ed anche Mussolini
avevano trovato nei latifondisti un
sicuro sostegno politico e la schiera dei
gabelloti, dei campieri e dei sovrastanti
gestiva al meglio l’intermediazione mafiosa parassitaria e assicurava un solido
consenso elettorale.
Nell’ottobre del 1944, i decreti del ministro Gullo alimentarono le speranze di
milioni di contadini e la rabbia dei feudatari, la ferocia dei gabelloti e la determinazione di migliaia di sindacalisti e di attivisti socialisti e comunisti.
A Sciara, nel cuore del feudo della principessa Notarbartolo, passavano i mesi e
gli anni e non cambiava niente; erano
pure arrivate le notizie dei morti di Portella e delle centinaia di contadini ammazzati dalla mafia, ma tutto sembrava lontano,
come accaduto in un altro pianeta.
Solo nel 1951 anche a Sciara arrivò il
momento della frantumazione del silenzio, della organizzazione contro la potenza e la prepotenza di don Peppino Panzeca, gabelloto del feudo Notarbartolo e
boss mafioso e per Salvatore Carnevale fu
l’inizio della fine.
Aveva aperto la sezione del partito socialista e a un contadino comunista che gli
aveva chiesto perché non avesse aperto
quella comunista rispose che non aveva
nulla in contrario con i comunisti, ma che
a causa della massiccia e sistematica propaganda secondo la quale i comunisti
mangiavano i bambini e ammazzavano i
preti, era forse opportuno scegliere
un’opzione più accettabile.
Ma per la mafia non c’era nessuna differenza tra socialisti e comunisti perché
tutti meritavano di essere battuti e abbattuti. Malgrado gli avvertimenti, le minacce Turi Carnevale riuscì ad ottenere, il 1°
settembre 1951, che per l’anno 1951 la
raccolta delle olive sarebbe spettata ai
contadini per il 30% del raccolto, mentre
il 70% sarebbe andato al proprietario; dall’anno successivo il 55% al proprietario e
il 45% al contadino, il raccolto del grano
sarebbe stato ripartito secondo le disposizioni del Decreto Gullo.
Il mese dopo, Turi Carnevale organizzò
la prima occupazione simbolica del feudo
per fare l’applicare la legge regionale 104
sul divieto della proprietà oltre i duecento
ettari e sull’obbligo della buona coltivazione. Più di trecento contadini parteciparono alla manifestazione che a Sciara
ebbe l’effetto dell'atomica: Turi Carnevale
la guidò con cura, evitò che i contadini
cadessero nelle provocazioni di don Peppino Panzeca e compari e i carabinieri
non ebbero alcun motivo per intervenire.
Con la scusa di accompagnarlo in Municipio, i carabinieri lo andarono a prendere a casa e lo portarono in carcere, così,
tanto per dargli una lezione, ma la lotta
sortì i suoi frutti e il 21 luglio 1952 fu
emanato un primo decreto di scorporo
delle terre del feudo eccedenti i duecento
ettari e il 16 marzo 1954 un secondo decreto sancì la fine del latifondo anche se
lo scorporo non produsse
automaticamente proprietà contadina, se
pur individuale, ma nuova proprietà ma-
I Sicilianigiovani – pag. 71
fiosa attraverso una colossale speculazione attivata nelle pieghe stesse della Legge
104.
Fu una vittoria che Turi Carnevale pagò
con la perdita del lavoro e con un biglietto
per andare al nord per trovarne del nuovo
e dell’altro, ma poi tornò a Sciara, richiamato dalla madre e dai compagni contadini per riprendere la lotta.
Un’altra grandiosa occupazione delle
terre del feudo, ancora più imponente ed
impressionante della prima,insostenibile
per la mafia, incontrollabile dai
carabinieri, succubi della mafia e ingestibile politicamente dallo stesso PSI che,
impegnato con la DC, a formare i primi
governi di centrosinistra, lasciò praticamente solo Turi Carnevale.
Migliaia di ettari già confiscati non furono assegnati ai contadini che furono
praticamente espulsi dall’agricoltura e costretti a cercare lavoro in altri settori e ad
emigrare. E tutto rimase come prima,
anzi, peggio di prima perché la contraddittoria applicazioni della legge 104, alla
fine, favorì quell’apparato mafioso e parassitario che già operava sul territorio,
sicché Turi Carnevale lasciò i campi e trovò lavoro come operaio in una cava nella
piana tra Termini e Cefalù.
Ripropose tutti i contenuti della lotta
per i diritti dei lavoratori, per il rispetto
dell’orario di lavoro e per un salario giusto e regolare. Allora nuove intimazioni e
minacce ed un terribile presentimento:
una fucilata al fianco e poi altre quattro
all’alba del 16 maggio 1955.
Il giorno dopo: municipio sbarrato e
sindaco irreperibile, la mamma che avvolge la bara con la bandiera rossa e poi un
funerale infinito.
Dopo sei anni, 21 dicembre 1961, ergastolo per esecutori e mandanti. Dopo otto
anni, il 14 marzo 1963, in appello tutti assolti per insufficienza di prove. Dopo dieci anni, il 3 febbraio 1965, in Cassazione
tutti assolti.
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I Sicilianigiovani – pag. 72
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Teatro
“Il coraggio dei Siciliani”
va in scena a Milano
Sarà il titolo del lavoro
che noi studenti del laboratorio teatrale del
liceo Virgilio di Milano
porteremo in scena
l'8 maggio nell’auditorium di via Peroni
di Beatrice Canali
e Marta Cavallini
laboratorio teatrale sulla memoria
del Liceo Virgilio di Milano
E' un adattamento del libro di Antonio Roccuzzo “Mentre l’orchestrina
suonava Gelosia” che il drammaturgo
Francesco Di Maggio ha elaborato, inserendo l’artificio del coro greco. Contaminazione che , ci ha spiegato, nasce
dai brani di “Cronaca” di Ghiannis
Ritsos. La realtà isolana di Samo e la
realtà catanese: una visione mediterranea che fa riflettere su quanto l'indolenza e, peggio, l'indifferenza sia alla
radice del cancro mafioso.
Il lavoro che il nostro Liceo presenta
nell'ambito della rete tra scuole “Il Futuro è la Memoria” presenta Pippo Fava
come “testimone di verità”, portando un
parallelo tra vittime dei genocidi e vittime
della criminalità organizzata, legata al
contesto di una diffusa corruzione politica
e istituzionale.
Non è semplice capire e interpretare la
realtà della Catania anni '80; noi abbiamo
avuto una grande occasione, da un lato
con un narratore e motivatore come il
professor Giuseppe Teri, dall'altro con
una regista come Lieselotte Zucca.
Abbiamo capito via via di star facendo
qualche cosa di importante, per chi ha vissuto direttamente questa storia e per chi ne
raccoglie oggi il suo significato. Il prof.
Teri è spesso tornato sui suoi ricordi catanesi, con spunti e spiegazioni preziose per
la messa in scena e la recitazione.
La mafia “che non esisteva”
Spesso abbiamo discusso sugli stereotipi
della “mafia che non esisteva” e del falso
mito dei ricchi imprenditori della Sicilia
orientale, i cavalieri del lavoro di Catania
che, anche se collusi e favoriti da Cosa
nostra, erano presentati dalla stampa e dal
gran parte dei politici come la grande occasione di modernizzazione e dello
sviluppo economico della Sicilia. Il 3 febbraio è venuto anche Antonio Roccuzzo,
l'autore. Ci ha colpito il desiderio di verità e l’autentico valore del fare i giornalisti, rivendicati senza condizionamenti e
censure.
C’è una domanda che ritorna sempre in
questo lavoro teatrale: Cosa sarebbe suc-
I Sicilianigiovani – pag. 74
cesso se Pippo Fava fosse stato ascoltato
e la sua denuncia raccolta dallo Stato e
dagli imprenditori? Se “ I Siciliani”
avesse avuto anche un pochino di
pubblicità? Quante cose potevano
cambiare e potrebbero cambiare anche
oggi, se tutti fossimo meno indifferenti e
pigri ?
Bisogna parlare di mafia a Milano?
C'è bisogno di parlare di mafia a Milano? Pippo Fava lo aveva detto 30 anni fa
e tutti girarono la testa dall’altra parte
imbarazzati e un po’ piccati.
Oggi molti avvertono quanto sia sottovalutata questa tematica e quanto inquinato possa essere il mondo politico e
economico anche nel nostro “efficiente”
e ricco Nord. La ricchezza e la possibilità
di impiego di ingenti capitali attira gli
appetiti della criminalità organizzata e le
nostre disattenzioni hanno favorito una
vera e propria colonizzazione.
Essere anche anticonformisti
Per questo vogliamo realizzare questo
piccolo contributo, per ricordare a tutti
come sia importante prendere posizione,
raccontare la verità, essere anche anticonformisti, minoranza che testimonia,
anche se apparentemente isolata.
Come i Siciliani Giovani dell’84, quei
ragazzini che al funerale di Fava gridavano che era stata la mafia e che i mandanti
erano in prima fila a fingere contrizione.
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Musica
Ma l'iPod
conta più
di Stravinsky?
i
Ti vendono le cose, e
va bene. Ma non farti
vendere anche il modo
di sentire la musica...
di Antonello Oliva
Con tutti i problemi che abbiamo e
in tempi così grami l’argomento potrebbe sembrare frivolo, secondario,
ma su ciò che si considera -e perché lo
si considera - prioritario o secondario,
forse ogni tanto qualche piccola pausa
di riflessione non farebbe male.
Non guasterebbe neppure avere idee
più proprie e chiare su ciò che realmente
significa qualità di vita, o anche più semplicemente qualità.Nella riproduzione
musicale domestica il concetto di qualità,
quando si è avuto il bisogno di manifestarlo, lo si è associato prima al termine
stereo, poi ad hi fi, e infine, quando tutto
era già hi fi, ad hi end. Terminologia a
parte, in realtà tale sviluppo non sempre
ha coinciso con un effettivo miglioramento della qualità audio degli apparecchi, anche se questo, pomposamente, veniva dato ogni volta da intendere.
Così è accaduto ad esempio nel passaggio da LP a CD, ovvero dal suono
analogico a quello numerico. Sostanzialmente una bufala, spacciata però, e felicemente recepita, per una conquista, una
specie di sbarco sulla luna della tecnologia finalmente alla portata di tutti. Progresso e democrazia; libertà obbligatoria
avrebbe detto Gaber.
Ma cosa è accaduto davvero in quel
passaggio? Chi ci ha veramente guadagnato? Due conti si fa presto a farli: Un
CD, finito, incellofanato, e con tanto di
bollino Siae, viene a costare al produttore meno di 50 centesimi, un vinile 33 giri
circa 4 euro:otto volte tanto.
Le spese naturalmente non sono solo
queste, ma il rapporto è questo, ed è un
rapporto molto interessante, che in un sol
colpo a suo tempo, ha praticamente portato al raddoppio dei profitti. Bingo! Ma
non solo. Il CD significava novità, tecnologia avanzata, maggior qualità, e queste
sono cose che ovviamente si pagano, altrimenti che si diventa a fare più ricchi. E
infatti il CD fu commercializzato da subito a un prezzo ben più alto dell’LP. Ma
non è finita perché bisogna anche mettere in conto l’indotto che la novità mise in
moto, rottamazione dei vecchi dischi e
giradischi, riacquisto degli stessi titoli
nel nuovo formato più acquisto del CD
Player, etc...
Altra bufala...
Tra i seguaci più fedeli del credo audiophile non pochi furono pure quelli che
cambiarono anche i diffusori, dato che
nel frattempo girava voce accreditata che
quelli vecchi non erano più adatti alle superiori capacità dinamiche delle nuove
macchine. Altra bufala naturalmente,
perché a dire il vero, si trattava esattamente del contrario, erano cioè i giradischi a restituire maggiore spunto dinamico, ma lasciamo perdere, visto che si era
in ballo…
Insomma, cosa più cosa meno l’affare
fu questo. Il vero problema però, quello
che dovrebbe fare riflettere, e seriamen-
I Sicilianigiovani – pag. 75
SCHEDA
Otis Taylor
Contraband
Telarc/ TEL-33188/ Blues
Il blues per definizione è una di quelle
musiche che non necessita di rinnovamento per produrre opere che abbiano
significato, e gli stessi quattro accordi
sono bastati a intere generazioni di
musicisti afro americani per produrre
buona parte del suo sterminato canzoniere. Ma se esiste ancora e continua
ad essere uno dei generi popolari più
diffusi, lo si deve non poco a quei
grandi innovatori che qua e là nel suo
corso si sono affacciati. L’ultimo in ordine di tempo si chiama Otis Taylor, un
musicista di Chicago che si è affacciato alla discografia non più
giovanissimo, ma che ha poi mostrato
una notevole prolificità. Per chi già lo
conosce è sufficiente la semplice segnalazione, per gli altri, cioè quasi tutti, anche se non consapevoli amanti
del genere, è opportuno il consiglio di
ascoltarlo, perché è uno che ha cose
interessanti da dire e lo fa in modo
singolare e coinvolgente.
A.O.
te, fu un altro. Il digitale suonava e suona
tuttora peggio dell’analogico, ciò nonostante nell’immaginario collettivo passò,
in totale adesione con quello pubblicitario, il messaggio opposto. Ecco, è questo
il punto, perché questo si chiama “potere”, in certi casi prende il nome di mafia,
in altri di dittatura, regime, in altri ancora
di democrazia, ma la sostanza non cambia, sono solo i mezzi a cambiare, i modi
di adattarsi alle circostanze.
Il potere resta. Certe forme poi sono
talmente raffinate e redditizie che, in
democrazia ad esempio, i cornuti li
produce già contenti. C’è da chiedersi
però a questo punto cosa centri tutto ciò
col concetto di qualità, perché è questo
che invece frettolosamente percepiamo.
Bene, passo dopo l’altro in questa luminosa via siamo finalmente giunti all’I
pod, che è indubbiamente trendy pratico
e leggero, utile in tanti casi, ed è certamente il mezzo migliore per spararsi al
volo l’ultimo hit di chiunque sia ovunque
ci troviamo. Bene. Ma da che parte si accende per sentirsi La Sagra della Primavera di Stravinsky?
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Apple entrerà nel G-20?
I nuovi Stati:
come cambia il mondo
xxxxx
Apple ha più dollari di
Obama. In soldoni, è la
notizia del Guardian di
due settimane fa, secondo cui nelle casse di
Apple c'è un patrimonio
annuale netto (denaro
disponibile) superiore a
quello del governo degli
Stati Uniti
di Fabio Vita
Coi suoi 468 miliardi di dollari di capitalizzazione, d'altra parte, Apple ha
già superato (come valore azionario) il
prodotto interno lordo di uno Stato di
media importanza come il Belgio. Se
Apple fosse uno Stato – e non è detto
che non lo sia – entrerebbe a pieno diritto nel G-20, l'insieme delle venti nazioni più industrializzate del mondo.
Non ci entrerebbe da sola. La sola Exxon vale già quattrocento miliardi di
dollari. Google centonovantasei.
Ci sono diversi nuovi Stati, nuovi imperi; vassalli che diventano re. Con i loro
eserciti, le loro bandiere. Sono tutti attentissimi ai simboli ed agli stendardi: gli
stemmi – chiamati loghi - dei nuovi stati
sono onnipresenti. Ciascuno di loro ha il
proprio motto (“Think different”, “Don't
be evil”...) analogo a quelli (“E pluribus
unum”, “In God we trust”) delle nazioni
tradizionali.
La nazione Apple
La nazione Apple possiede – se parliamo di eserciti – ben 63mila dipendenti,
di cui 43mila negli stati Uniti. Pochi, rispetto alla Royal Navy o al Corpo dei
Marines, o anche (come fa osservare il
New York Times) rispetto ai 400mila dipendenti della General Motors anni '50 o
a quelli di General Electric anni '80.
Ma ciascuno di questi dipendenti ha
fruttato alla Apple, nell'ultimo anno, più
di 400mila dollari (“più di Goldman Sachs, Exxon Mobil o Google”, chiosa il
N.Y.Times). E soprattutto ad essi si affianca una marea di collaboratori in subappalto, quasi tutti asiatici: più di settecentomila. Un'orda. E qui i paragoni non
vanno fatti più con le nazioni moderne,
ma direttamente con Gengis Khan e Tamerlano.
Le città-stato di Foxconn
Le fabbriche di Foxconn in Cina (cioè
i principali subappalti) hanno dimensioni
galattiche, da città-stato. La più grande, a
Shenzhen, chiamata – ovviamente - Foxconn City, secondo le stime più prudenti
I Sicilianigiovani – pag. 76
possiede 230mila operai (altri dicono 300
o anche 450mila). La maggior parte lavora sei giorni a settimana per dodici ore al
giorno, per diciassette dollari al giorno.
Molti alloggiano nei dormitori adiacenti.
Una buona parte lavora di notte. Nella
cucina centrale si cuociono tre tonnellate
di maiale e quattordici di riso al giorno.
Ci sono trecento guardie per “smistare il
traffico” nelle strade.
Nel giugno 2010, dopo una serie di
suicidi fra gli operai Foxconn, Apple
venne chiamata in causa per rispondere
delle condizioni di lavoro di queste fabbriche. Con molto understatement, Steve
Jobs in persona dichiarò che "hanno ristoranti e piscine... Per essere una fabbrica, è una fabbrica piuttosto bella".
Da quell'ondata di suicidi in poi, se
vuoi lavorare in Foxconn devi firmare
una clausola aggiuntiva in cui t'impegni a
non suicidarti, pena ritorsioni legali verso la tua famiglia. Devi inoltre partecipare, con la maglietta I-Love-Foxconn,
alle manifestazioni in cui si inneggia alla
compagnia e lavorare senza suicidarsi. E
in ogni caso, dal giugno 2010 in poi sono
state installate reti antisuicidio dappertutto.
“Non sarà il 1984”
"Non sarà il 1984 di Orwell" prometteva (ricordate?) la Apple, quando lanciò il
primo Mac nell'84. Beh, Orwell non prevedeva l'uso di robot per sorvegliare i
prigionieri, nel suo romanzo. Nella Corea
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del Sud invece il governo ha annunciato
(magari non c'entra niente, ma
insomma...) che in futuro le carceri saranno sorvegliate da appositi robot che come ci annuncia Repubblica - "hanno
occhi grandi, un simpatico sorriso stampato, e sono capaci di parlare”.
Sempre in Corea, è in costruzione anche la disneyland dei robot. E la solita
Foxconn già mesi fa ha annunciato la costruzione - da parte di essere umani - di
una fabbrica di automi.
Il tablet indiano, il chip cinese
Mercati. Nel 2011 tablet e smartphone
hanno quasi raggiunto i computer (portatili di tutte le taglie e fissi). I processori
Arm stanno quindi superando gli Intel.
Fra i sistemi operativi Android, con Kernel Linux o Apple iOS sta soppiantando
Windows.
Il tablet indiano proposto a 35 dollari
con aiuto governativo per allevare una
generazione di programmatori è una risposta autoctona ai computer di Negroponte e di Intel.
Il processore per Android, interamente
realizzato dalla cinese Icub che integra
processore e scheda grafica in consumi
ridotti mostra i progressi della Cina nel
campo tecnologico, non solo come fucina ma anche come sviluppo e ingegnerizzazione di dispositivi e componenti.
Un milione di prolet
Note sparse. Foxconn ha oltre un milione e trecentomila di lavoratori, e oltre
ad essere in Cina, di cui è primo esportatore, è sparso un po' ovunque: è il secondo esportatore della Repubblica Ceca; ha
fabbriche in Messico, dove produce per
Motorola e Cisco.
Iniziò nel 1974 producendo connettori
in plastica (si possono trovare nell'Atari
2600) e poi schede-madri per computer.
Adesso produce per ditte americane (Apple, Amazon, Dell, HP, Intel), orientali
(Samsung, Sony, Nintendo, Toshiba,
Acer) ed europee (Nokia).
Ancora Apple. L'ex sindaco di San
Francisco, il 77 enne avvocato nero Willie Brown, a dicembre aveva esortato i
LINK
http://www.repubblica.it/scienze/2012/02/05/news/robot_guardie_carcerarie-29022851/
http://www.economist.com/blogs/freeexchange/2012/01/supply-chains?
fsrc=scn/tw/te/bl/appleandtheamericaneconomy
http://www.nytimes.com/2012/01/22/business/apple-america-and-a-squeezed-middle-class.html?
_r=2&pagewanted=all
http://www.guardian.co.uk/technology/2012/jan/29/apple-windfall-spent?CMP=twt_gu
http://www.repubblica.it/economia/2012/02/13/news/apple_vola-29821010/
http://www.sfgate.com/cgi-bin/article.cgi?f=/c/a/2011/12/17/BARA1MD5EO.DTL
http://www.corriere.it/economia/10_giugno_02/foxconn-steve-jobs-fabbrica-carina_201f6a18-6e30-11dfb855-00144f02aabe.shtml
http://en.wikipedia.org/wiki/Foxconn#China
http://www.engadget.com/2012/02/17/visualized-ios-2011-sales-outsells-28-years-of-mac/
I Sicilianigiovani – pag. 77
manifestanti di “Occupy” della sua città
a protestare contro Apple piuttosto che
contro l'amministrazione del suo partito;
erano già nell'aria le manifestazioni degli
Occupy Apple contro l'iper-sfruttamento
dei lavoratori cinesi.
Seguite, mediaticamente, da “accuratissimi” controlli interni di Apple sulle
fabbriche Foxconn. I “controllori” dopo
un giorno di visita guidata nelle fabbriche, dichiarano che in Foxconn si sta meglio che delle altre fabbriche cinesi.
La parola “bolla”
Le previsioni degli analisti sul valore
di Apple sono di ulteriore crescita (quelli
stessi analisti prevedevano una discesa
delle azioni, dopo la morte di Steve Jobs,
che non è successo) ma con la quotazione di Facebook (la più grande IPO della
storia, il 5% delle sue azioni, per un valore stimato della compagnia di 100 miliardi, 30 volte il fatturato, 80 volte gli
utili) si legge la parola “bolla”.
La moneta elettronica
Trend, tecnologia, applicazioni, mercati
Tutto sul bitcoin
(aggiornamenti in tempo reale)
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Inter viste/ Stefano Bartolini
Economia delle relazioni
o economia del Pil?
Un tempo l'economia
era la “scienza umana”
per eccellenza. Per
qualcuno, dovrebbe
esserlo ancora
di Laura Cortina
Stefano Bartolini insegna economia politica a Siena e fa parte di quella nuova
leva di studiosi che si s'è presa l’onere di
spiegare la seconda grande crisi del capitalismo, oltre i numeri e le analisi strettamente finanziarie, cercando di cogliere la
complessità aperta davanti a noi e a tutte
le società occidentali e non. Il suo recente
Manuale per la felicità: come passare dal
ben-avere al ben-essere (Donzelli), raccoglie dieci anni di osservazione e studio
della storia economica, sociale e culturale, dagli Stati Uniti all’Italia, che ha avuto
come epilogo il black-out finanziario del
luglio 2007 e la crisi economica che è poi
sopraggiunta.
La crisi del luglio 2007
Professor Bartolini, possiamo definire
il 2007 la seconda grande crisi del capitalismo, come è opinione comune, oppure, come invece lei in qualche modo
ci induce a riflettere con le sue analisi, il
vero disvelamento del capitale, nella
sua più intima essenza?
Il modello capitalista con la crisi iniziata a luglio 2007 ha senza dubbio tradito la
sua promessa: vi renderò tutti più felici, a
tutti sarà data la possibilità di usufruire di
condizioni di vita migliori.
Come in parte ha fatto, almeno fino ad
un certo punto. Il capitalismo è stato senza dubbio uno strumento per superare indigenza, malattie, ingnoranza, disparità
tra i sessi, condizioni di vita complessivamente misere.
Ma negli ultimi decenni è divenuto un
capitalismo zoppo, soprattutto quello statunitense, perché ha camminato solo sulla
gamba dei consumi garantiti dalla maggiore ricchezza a disposizione. Mentre
l’economia diventava economicismo al
seguito del totem del Pil.
In questi ultimi anni gli economisti di
tutto il mondo stanno infatti rivedendo
gli indici economici che posso realmente
darci la misura della condizione di una
società. La sua proposta è quella di sostituire il Pil con un nuovo indice della
felicità?
Il Pil è un ottimo indicatore dello stato
della congiuntura economica, un elemento
importante ma non sufficiente a comprendere la complessità del ben-essere sociale.
Una società non funziona a compartimenti stagni, né l’individuo può esistere
solo come un’isola. La coesione sociale in
larga parte del mondo occidentale è stata
sopperita dal consumo e più ci si è trovati
soli più si è consumato fino ad indebitarsi
all’inverosimile.
L'implosione dello sviluppo
Questa dinamica perversa è stata più
acuta negli Usa. In questo circolo vizioso
il capitalismo ha tradito: ha reso uomini e
donne sempre più infelici, soli e poveri di
tempo. E per compensazione sempre più
consumatori. La vecchia economia del
Pil deve essere soppiantata da una nuova
economia delle relazioni, umane, sociali,
lavorative. Una società relazionale.
In una parola un’economia che sappia
ridare slancio a quell’idea di fare comune
che è stata spazzata via dall’individualismo e dalla rincorsa edonista di questi ultimi trent’anni di sviluppo capitalista. Si
badi bene, il mio non vuole essere un
semplicistico attacco alla modernità.
Lo sviluppo che abbiamo conosciuto
dal secondo dopoguerra fino ad oggi, ha
subito un implosione. E’ il cosiddetto
nuovo capitalismo Neg, Negative endogenous growth, crescita endogena negativa.
I Sicilianigiovani – pag. 78
Ci può spiegare meglio l’evoluzione
di questo capitalismo Neg, a crescita endogena negativa, di cui lei e altri economisti parlano in questi anni?
L’aumento dei consumi come rivelano
gli studi che ho compiuto insieme ad altri
economisti, sono la cartina di tornasole
della condizione di infelicità. La crisi finanziaria e poi economica cseguita al super indebitamento delle famiglie statunitensi e che ha contagiato tutto il mondo
occidentale è il risultato del capitalismo
Neg. Questo tipo di capitalismo è radicato
soprattutto negli Stati Uniti La competizione sovietica produceva una pressione
per l’umanizzazione del capitalismo.
L'evoluzione europea
Dagli anni Ottanta in poi, col declino e
poi il crollo del sistema socialista, è venuta meno la spinta verso un capitalismo dal
volto umano. Da allora sempre più la gente è stata fatta per l’economia anziché fare
l’economia per la gente. Il capitalismo ha
dato il peggio di sé. Oggi produce cioè infelicità, instabilità, povertà. E isolamento,
una condizione che confligge con la nostra biologia.
Ma Europa e Stati Uniti presentano
però un percorso diverso rispetto a
questo tipo di capitalismo sostanzialmente involutivo che lei ha analizzato
in questi anni nelle sue ricerche.
L’Europa ha avuto un’evoluzione diversa rispetto agli Stati Uniti. Il risultato è
stato che mentre la felicità e la qualità della vita relazionale dell’americano medio
sono peggiorate negli ultimi decenni,
quelle dell’europeo medio sono leggermente migliorate o sono rimaste stabili.
Inoltre in Europa gli orari di lavoro
sono generalmente diminuiti mentre in
America sono aumentati, rendendo la
pressione sul tempo un fenomeno assai
più estremo negli Usa.
Quello europeo è stato un capitalismo
più sociale, che garantiva istruzione e sanità pubbliche, un sistema pensionistico e
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misure di welfare, più protezioni per il lavoro; tutto questo ha garantito meno diseguaglianze e dunque più coesione sociale.
Invece negli Stati Uniti una organizzazione economica, sociale e culturale ossessivamente votata al possesso e alla
competizione ha generato, a partire dagli
anni Ottanta, un circolo vizioso ha portato
alla crisi del 2007: meno felicità, più consumi, ancora meno felicità.
In questo quadro mondiale, tra i capitalismi europeo e statunitense, dove e
come si colloca l’Italia dal suo punto di
vista?
L’Italia ha potuto beneficiare di tutti gli
aspetti positivi di un capitalismo più sociale. Inoltre ha una peculiarità che manca
ad altri paesi europei, quella di avere un
tessuto industriale fatto di distretti, un sistema locale di piccole imprese che in cui
i legami sociali e comunitari giocano un
ruolo importante.
Inoltre in questi sistemi è stata da sempre molto forte la mobilità tra capitale e
lavoro. L’operaio specializzato ha aperto
la sua micro impresa, si è messo in proprio o ha organizzato piccole società con
altri lavoratori. Oggi il nostro paese si trova però in mezzo ad un guado.
Mercato del lavoro duale
Sta somigliando sempre più agli Stati
Uniti, grazie ad una colonizzazione culturale che non ha paragoni in altri paesi europei, e questo riguarda soprattutto le nostri classi dirigenti economiche, e politiche che stanno prendendo la strada del
modello iper competitivo americano.
A questo si aggiunge l’anomalia di un
mercato del lavoro sempre più duale, da
una parte le garanzie inossidabili del pubblico impiego e della media grande industria, dall’altro la deregolamentazione selvaggia che ha prodotto la flessibilità e i
nuovi contratti di lavoro atipici.
Fa da cornice a tutto questo un sistema
di welfare incongruo rispetto alla nuova
società che abbiamo di fronte.
Quello che succederà nei prossimi anni
dipenderà da come la classe politica saprà
affrontare queste grandi sfide sociali ed
economiche.
Quindi secondo lei il nuovo accordo
Fiat va nella direzione di un capitalismo a rischio di implosione?
L’accordo Fiat e l’approccio Marchionne fanno parte di quello stile di management anglosassone, competitività a prezzo
di super sfruttamento del lavoro, che finora non ha prodotto alcun successo industriale. Come si può riscontrare in Gran
Bretagna e negli Stati Uniti, che l'hanno
pagato con una forte deindustrializzazione.
Ci sono altri approcci manageriali,
come quello tedesco, che hanno funzionato meglio e che si concentrano invece sull’innovazione, su l’ideazione di nuovi modelli automobilistici e su relazioni cooperative con i lavoratori e le rappresentanze
sindacali.
Altri approcci manageriali
Se dovesse dettare un’agenda politica
per fronteggiare la condizione di disagio che sta vivendo il Paese…
Una riforma urbana: mobilità sostenibile e qualità degli spazi pubblici. Ridiamo
valore agli urbanisti che purtroppo sono
scomparsi nel ruolo di progettisti delle relazioni e quindi della qualità della vita.
Una riforma della scuola che sappia sostenere non solo intelligenze cognitive ma
intelligenze emotive e creative dei più
giovani e sappia ridare agli studenti un
ruolo attivo nella proposta scolastica.
Una riforma sanitaria che sposti la prevenzione fuori dai sistemi sanitari claustrofobici, ospedali, laboratori di analisti,
e che sappia trasformare il rapporto medico paziente in una relazione terapeutica
già in sé.
Una riforma del mercato del lavoro e
del sistema dei contratti che esca dal dogma del tempo indeterminato e dal mito
della flessibilità come panacea.
I Sicilianigiovani – pag. 79
Quanto alle politiche internazionali...
La deregolazione finanziaria ha creato
un mondo in cui tutti i tipi di istituzioni finanziarie possono comprare e vendere tutti i tipi di prodotti finanziari.
La libertà internazionale di movimento
dei capitali seguita al crollo di Bretton
Woods negli anni ’70, ha profondamente
modificato le abitudini dei risparmiatori
di tutto il mondo. Per esempio in Italia
fino agli anni ’70 le occasioni di investimenti finanziari erano limitate sostanzialmente alla inaffidabile borsa italiana e ai
Bot.
Dopo Bretton Woods
La liberalizzazione ha creato un mondo
di occasioni finanziarie. In questa nuova
era dove si sono prevalentemente diretti i
capitali del mondo? Ovviamente verso i
paesi più affidabili e le piazze finanziarie
più grandi. Cioè verso gli Stati Uniti.
È così che Wall Street ha finito per assorbire gran parte dei capitali del mondo
e, quel che è peggio, del Terzo Mondo.
I ricchi dei paesi poveri hanno sottratto
i capitali da dove ce n’era più bisogno,
per spedirli nel paese più ricco del mondo.
Così l’estrema diseguaglianza tra i paesi
del mondo in tema di credibilità e di dimensione delle piazze finanziarie ha finito
per finanziare i consumi del paese che già
consumava di più.
In questo modo una crisi americana si è
trasmessa al mondo. Perché più o meno
tutto il mondo aveva titoli del debito delle
famiglie americane e il motivo è che la
proliferazione dei titoli era avvenuta basandosi su tale debito. Ed era avvenuta in
modo da non poter più riconoscere la qualità dei titoli, cioè la loro rischiosità.
Non riesco a immaginare altre soluzioni
efficaci diverse dal revocare i cambiamenti legislativi che hanno permesso l’oscura
cartolarizzazione del debito americano, limitare la speculazione ri-regolando il
mercato in modo da segmentarlo e porre
limiti alla mobilità internazionale dei capitali finanziari.
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Società
Colletti sporchi
e politica debole
La mafia è sinonimo di
criminalità. Ma non
solo: spesso è una patologia del potere. Dove sono le sue radici?
di Gabriele Licciardi
Spesso queste manifestazioni del potere mafioso sono state rappresentate con
la famosa immagine della piovra, una testa e tanti tentacoli, senza tenere conto
del fatto che parliamo di gruppi che si affiancano e si sovrappongono, parliamo di
reticoli affaristici sovra locali e spesso
internazionali, ma che riescono a
riconoscersi e a coordinarsi, reticoli
fluidi, almeno quanto i mercati che
cercano di insidiare quotidianamente.
Centro Studi Luccini, Padova
Capitale liquido e mercati legali
Quando l’intreccio fra poteri legali e
poteri criminali mina l’integrità, economica e morale, di un paese, diventa
indispensabile capire da dove nascono
queste pratiche criminali e attraverso
quali canali riescono a manifestare la
loro forza dirompente. Attorno alle
mafie si muovono interessi economici,
politici e sociali, identificabili nell’ampia zona grigia che storicamente ha legato gli interessi strettamente mafiosi,
con quelli di chi con la mafia fa affari
o intreccia pericolosi sodalizi politici,
insomma la variegata gamma dei reati
che la magistratura cerca di colpire attraverso la fattispecie del concorso
esterno in associazione mafiosa.
Nel momento in cui parliamo di mafie
che agiscono in territori lontani da quelli
d’origine, la cerniera rappresentata da
professionisti, uomini d’affari e più in
generale, la tolleranza che un crimine
economico, meno cruento delle stragi
quotidiane degli anni ottanta, ha saputo
costruire nell’immaginario comune, hanno determinato e continuano a
determinare la condizione primaria
affinché il robusto capitale liquido delle
famiglie mafiose possa trovare uno
sbocco nei mercati legali, distorcendone
le forme, aggravandone i profili, ma
soprattutto, deviandone la ragione
sociale, non più profitto in un regime di
libero mercato, ma alterazione delle
libertà economiche in favore dell’arricchimento di criminali, e il conseguente
rafforzamento di quell’asse che lega il
mondo dell’economia mafiosa, con quello dell’economia reale.
Il mondo di sopra e quello di sotto
Di pari passo assistiamo ad un graduale e progressivo aggravarsi dei dati che
I Sicilianigiovani – pag. 80
certificano il diffondersi dei reati contro
la pubblica amministrazione in tutte le
regioni del nord italia; peculato, concussione, corruzione, diventano in questo
modo la chiave d’accesso attraverso cui
il mondo di sotto, quello dei mafiosi, entra in relazione col mondo di sopra, quello ufficiale, determinandone comportamenti e inficiandone l’efficacia.
Nelle regioni settentrionali il pericolo
delle infiltrazioni mafiose non è avvertito
nella sua enorme portata, anche se i comuni sciolti, o i blitz dei mesi scorsi certificano l’esistenza. a volte, anche di un
radicamento ben più profondo di comunque pericolose infiltrazioni.
Una cerniera di invisibilità
Le mafie al nord continuano in modo
invisibile a riciclare i proventi delle attività delittuose grazie alla cerniera di colletti bianchi che ne permettono l’invisibilità, e grazie alla mancanza di una robusta coscienza antimafiosa. A costruire
questo anticorpo dovrebbe pensarci principalmente la politica, che invece sembra declinare il tema secondo le logiche
della polemica interna al sistema.
Così ancora una volta l’antimafia sembra un discorso confinato nel limbo degli
strumenti della repressione, un’emergenza della sicurezza che non lascia spazio
ad iniziative strutturate miranti a codificare un’etica pubblica in grado di riconoscere ed espellere le manifestazioni del
potere mafioso dai gangli del tessuto socioeconomico delle regioni settentrionali.
La mafia al nord non è più un problema marginale, non lo è mai stato, oggi più
di ieri.
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Società
Tecniche d'eliminazione
I diffamati
In Storie di giornalisti
uccisi dalla mafia e sepolti dall’indifferenza
Luciano Mirone li ha
chiamati “Gli insabbiati”. Claudio Fava ha intitolato un suo libro “I
disarmati”
di Salvo Vitale
Ma potremmo chiamarli “I diffamati”, tutti i caduti di su cui si è provato a
gettar fango, in vita e subito dopo la
loro morte. L’esempio di Peppino Impastato è forse il più eclatante:da attivista politico schierato all’estrema sinistra, a terrorista che era saltato in
aria con la sua bomba. Lo schema della diffamazione non poteva essere migliore, tanto più che il pazzo voleva far
saltare in aria gli operai che andavano a Palermo col primo treno. Addirittura, per Sciascia, “se di delitto di mafia si tratta, è un “delitto anomalo”. E
solo perché c’era alle spalle un nucleo
di compagni bene organizzato e deciso,
la provocazione non è passata.
Vogliamo parlare di Beppe Alfano?
Dopo la sua morte, scrive Mirone, “uno
strisciante tam tam si diffonde con rapidità incredibile: Alfano è stato ucciso per
questioni di donne o di debiti di gioco.
Dice il pentito Maurizio Bonaceto:
“Spesso, quando si verificava un omicidio nel barcellonese, veniva fatta girare
la voce che si trattava di storie di donne,
per nascondere la provenienza e la matrice mafiosa del delitto”.
Ma passiamo a Mauro Rostagno: “Un
delitto in famiglia” lo definì il giudice
Garofalo, che curò le indagini per diverso tempo: Rostagno sarebbe stato ucciso
a seguito di una sorta di triangolo amoroso che vedeva sua moglie Chicca Roveri
amante del socialista Cardella, amministratore e finanziatore della comunità
“Saman”: Rostagno drogato, scoppiato,
sovversivo, forse ucciso dai suoi ex
compagni di Lotta Continua o dagli stessi tossicodipendenti della comunità di
Lenzi. Per avviare le indagini sul delitto
di mafia consumato dal mafioso trapanese Virga sono dovuti passare 22 anni e
c’è voluta la testardaggine del giudice Ingroia.
Fava, De Mauro, Rizzotto...
Vogliamo citare Giuseppe Fava? Sin
dal primo giorno venne avviata una campagna di delegittimazione con la quale il
giornalista veniva dipinto come donnaiolo, incallito giocatore di carte, ricattatore.
Perquisita la casa di Fava, la sede de “I
Siciliani”, sospettati gli stessi collaboratori di Fava. Indagini ferme per otto anni,
fino a quando il pentito Giuseppe Pellegriti e dopo di lui Maurizio Avola non
fanno precisi nomi di mafiosi facenti
capo a Nitto Santapaola.
Su Mauro De Mauro è stato detto tutto:
che era un fascista della decima Mas, che
aveva scoperto l’inghippo dietro il delitto
di Enrico Mattei, che sapeva molte cose
del delitto Tandoy, (un commissario PS
assassinato ad Agrigento), che era a conoscenza della preparazione del golpe
poi fallito di Junio Valerio Borghese, che
era rimasto vittima del mondo del traffico degli stupefacenti. Anche qua una catena di depistaggi, mai finita, per tenere
lontana la mafia.
Potremmo continuare all’infinito: Placido Rizzotto, la cui fidanzata sarebbe
stata amante del suo assassino Luciano
I Sicilianigiovani – pag. 81
Liggio, Cosimo Cristina, giovane giornalista che si sarebbe gettato sotto un treno
per delusione amorosa, per arrivare a don
Diana, che una campagna di diffamazione ha tentato di far passare per prete mafioso.
I veleni di Palermo
Perché questa è una delle regole cardini di Cosa Nostra nei confronti dei suoi
nemici: la delegittimazione. E' il primo
gradino, fatto di fango, di calunnie, di
voci messe abilmente in giro, spesso a
conferma che tu sei colluso con coloro
che fingi di combattere: chi non ricorda
la “stagione dei veleni” al Palazzo di giustizia di Palermo e le lettere del “corvo”
contro Giovanni Falcone
Adesso qualcuno ci sta provando con
Piero Grasso, reo di avere barattato la
sua nomina a Procuratore Antimafia con
la rinuncia a indagini che riguardassero i
presunti rapporti tra Forza Italia e Bernardo Provenzano.
Ma anche il procuratore Messineo, tenace e onesto, è entrato nel mirino dei
diffamatori a causa di un suo fratello implicato in vicende di mafia. Per non parlare di Roberto Saviano che in “La bellezza e l’inferno” accenna al calvario di
menzogne, accuse indimostrate, illazioni,
carognate nei suoi confronti anche attraverso giornali nazionali.
E infine, l'ultima soluzione
Il fango che viene ad arte diffuso, prima da “radio ombra”, poi dai mass media, diventa una cortina fumogena che allontana l’immagine reale e la sostituisce
con quella dei comuni mortali, felici di
coinvolgere nella propria mediocrità coloro che cercano di trasmettere un messaggio diverso. La condanna a morte è
l’ultima soluzione, quando i mafiosi si
accorgono che non c’è niente da fare.
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Politica
Identikit del politico
siciliano. E delle
sue amnesie
GAETANO ARMAO
Atene piange ma Sparta non ride: l'una fa i
pateracchi, l'altra finge di non ricordarsene più...
di Giovanni Abbagnato
I costumi dei governanti siciliani
sono caratterizzati da una continuità
che riporta un identikit del malcostume governativo ricorrente nel tempo,
con facce diverse ma spesso identici
vizi. Per capirlo non è necessario partire dalla sostanza di una politica basata
sul favore parcellizzato per controllare
i bisogni primari e gli istinti peggiori
di ampie fasce clientelari. Si può anche
partire dalle forme esterne dell’ostentazione del potere, ampiamente rivelatrici di una precisa idea della gestione
del potere, a tutti i livelli.
La recente vicenda dell’Assessore regionale all’Economia Gaetano Armao
mostra come un atteggiamento da yuppie
rampante non cambi la sostanza del vivere il potere con una certa altezzosa volgarità. In questo senso fa scuola la recente notizia – per la Procura notizia di reato
- dell’uso, a dire poco improprio, dell’auto blu, messa dall’Assessore a disposizione di persona a lui sentimentalmente
vicina, ma che nulla aveva a che fare con
l’Amministrazione.
Se si aggiunge che la persona inopinatamente beneficiata è un Magistrato, si
potrebbe concludere con il detto siciliano: "non si piglia se non si assomiglia".
Continuando su questo livello minimale si può commentare la notizia del posto
d’auto riservato sotto casa – a Palermo
indicatore di status importantissimo – ottenuto in quanto console onorario del Belize, che però l’Assessore si è guardato
bene dal farsi revocare venuta meno la
funzione diplomatica. Peccati veniali?
No, punte di iceberg.
Il problema riguarda solo questa compagine di governo e il suo componente
Armao? Certo che no. Ma almeno la
classe politica di un tempo non osava inneggiare - come suole l’Assessore - alla
trasparenza, la legalità e l’innovazione
etica nell’Amministrazione.
Conflitto d'interesse
Per la verità l’Assessore Armao è stato
anche coinvolto in una polemica ben più
rilevante che riguardava un possibile
conflitto d’interesse tra i suoi ruoli di Assessore competente per il settore dei rifiuti e di consulente di una ditta di termovalorizzatori.
L’esponente dell’allora opposizione
Cracolici, nella sua funzione di capogruppo PD, accusò senza mezzi termini
Armao, oltre che di avere consentito alle
ditte di decidere il numero di inceneritori
da costruire, anche di aver annunciato un
I Sicilianigiovani – pag. 82
possibile indennizzo alla società concessionaria da parte della Regione, producendo un effetto-annuncio a beneficio
delle azioni della Actelios (gruppo Falk)
di cui Armao era stato consulente.
Come mai non ne parlano più?
Armao si difese definendo farneticazioni le illazioni dell’avversario politico
e dichiarando che da due anni aveva
chiuso quella consulenza. E minacciava
querela nei confronti di Cracolici e costringendo il presidente dell'Assemblea
Cascio a richiamare l’articolo 6 dello
Statuto sull’insindacabilità di voto e opinioni dei Deputati nell’esercizio delle
loro funzioni.
La polemica continuò e l’opposizione
richiese le dimissioni di Armao, ma nulla
accadde. Armao confermò il suo ruolo di
Assessore forte del Governo Lombardo,
con l’importantissima competenza dell’Economia, anche nella compagine di
governo appoggiata dal PD.
A questo punto, la domanda: come mai
Cracolici e il suo Partito, dopo la svolta
governativa, non hanno più ripreso la
grave vicenda del conflitto d’interesse
sui termovalorizzatori e si sono guardati
bene dal commentare anche le recenti e
disdicevoli vicende dell’Assessore?
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Politica
Governo in alto,
la gente in basso
e in mezzo un muro
MARIO MONTI
Al supermercato c'è chi “giustifica” i rapinatori:
“Non c'è lavoro, che possono fare?”. Non è proprio una lode per la politica economica corrente...
di Riccardo De Gennaro
Il pensiero del governo Monti in materia di lavoro si può riassumere, a
grandi linee, in tre no: no all’articolo
18, no al posto fisso per i nuovi assunti,
no a un welfare più robusto che garantisca i disoccupati. L’abolizione dell’articolo 18 potrebbe essere sostituita
da un allargamento della casistica prevista delle leggi sui licenziamenti individuali e collettivi, che oggi (fatta salva
la giusta causa) sono permessi solo in
caso di stato di crisi dell’azienda: ciò
permetterebbe ai sindacati di cantare
vittoria sull’art.18.
Ai tre “no” si può aggiungere una pericolosa propensione del governo allo
svuotamento del contratto collettivo,
come da anni chiede Confindustria. Se
tutto questo non è la legge della giungla
applicata al mercato del lavoro poco ci
manca. Sicuramente ci troviamo nell’alveo del liberismo più spudorato.
Con l’aggravante di un’ironia che non
ha fatto ridere nessuno se non i peggiori
esponenti del precedente governo: i giovani che puntano al posto fisso sono pigri, “mammoni” e aspirano a una vita noiosa. È una storia vecchia: si aumenta la
flessibilità del lavoro (una politica che,
come dimostra l’ultimo decennio, non ha
mai aumentato l’occupazione, semmai è
il contrario) e nello stesso tempo si an-
nunciano nuovi ammortizzatori sociali,
che resteranno semplici promesse perché
alla fine, guarda caso, mancheranno le risorse.
“Bisogna spalmare le tutele su tutti”,
ha puntualizzato il ministro Fornero, senza dire dove, come, entro quando. Nel
frattempo, i dati sulla disoccupazione
giovanile e sulla povertà delle famiglie
sono ogni mese più drammatici.
Qualche giorno fa la padrona della tintoria vicino casa mi ha raccontato che la
mattina era stata al supermercato. A un
certo punto hanno fatto irruzione due
giovani decisi, le pistole in pugno, che si
sono avvicinati alle casse e si sono fatti
dare i soldi.
Il “welfare” della mafia
Mi aspettavo che la donna mi manifestasse la sua rabbia nei confronti dei rapinatori, ma mi sbagliavo. Il suo era un
sentimento di comprensione: “Ma è chiaro, non c’è lavoro, cosa possono fare
d’altro?”.
Se vuole evitare che i giovani si diano
alle rapine o si affidino al “welfare” della
mafia è indispensabile che il governo dei
professori cominci a pensare con la testa
degli studenti. Qualcuno ha detto che
mai un governo è stato così lontano dalla
realtà, dalla vita quotidiana del Paese che
I Sicilianigiovani – pag. 83
dovrebbe guidare. Non era difficile prevederlo al momento del suo insediamento, quando cioé ci si è resi conto che il
nuovo esecutivo avrebbe preso ordini dal
sistema bancario internazionle. Chi è più
lontano dal Paese reale di un accademico
o di un banchiere?
E pensare che i professori Monti e Fornero, docenti di economia a Torino, dovrebbero saperlo. Hanno letto Keynes, le
sue formule le avranno scritte migliaia di
volte alla lavagna: il reddito nazionale
aumenta se aumentano i consumi, gli investimenti o la spesa pubblica.
Le prime due leve sono bloccate per la
mancanza di una politica dei redditi
(meno salari uguale meno consumi uguale meno investimenti uguale meno occupazione), mentre la terza è stata “inibita”
ad arte con la costruzione di un’Europa
esclusivamente monetaria, attenta soltanto ai vincoli di bilancio e non al benessere dei cittadini.
I principali flussi finanziari hanno direzioni molto precise, non sarebbe difficile
colpirli, ma chi li governa ha più potere
di chi ci governa e spesso chi li governa
e chi ci governa sono complici. È una
sola gigantesca rapina internazionale che
provoca e continuerà a provocare, se non
muteranno gli equilibri, un’infinità di
piccole rapine ai supermercati di quartiere.
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ANTICIPAZIONI/
Dal prossimo libro di
Pietro Orsatti
Italian
tabloid
“...Li metto così, in fila, in ordine cronologico, i miei appunti, i lanci di agenzia, i ritagli di
giornali su quella giornata. Frammenti di memoria. Questo sono. Memoria. Li metto in fila
così perché non trovo altri modo di farlo questo lavoro che mi gira per la testa. Raccontare di
un tesoro che non si trova più, di un tesoro grande, immenso. Ogni tanto ne compare
qualche traccia, frammenti, poi il nulla. Ma quei soldi ci sono, pesano. Stanno lì. Producono
affari, potere, politica e morte. E dalla morte inizio. Da quella di Stefano Bontade, Bontade
il “Principe di Villagrazia” diplomato al liceo bene di Palermo, il Gonzaga, e diventato a soli
vent’anni capo della famiglia si Santa Maria di Gesù. E’ il 26 aprile del 1981, quel giorno
che cerco di ricostruire. E’ quello il giorno del suo funerale. Lui, il Principe, è morto nel
giorno del suo quarantatreesimo compleanno...”
I Sicilianigiovani – pag. 84
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Questa è una storia difficile da raccontare. Una storia che ha tanti punti di partenza e innumerevoli finali, se si riesce a
trovarne. E’ la storia di un fiume di denaro, il denaro del traffico internazionale di
eroina fra gli anni ’60 e i primi anni ’80.
La storia del valore politico e economico
di un gruppo di potere che è perfino
limitato definire criminale perché si comportava come un governo di uno Stato
che agiva, trattando, con un altro Stato,
quello Italiano. Trattando. Dal 1943, in
preparazione dello sbarco alleato e perfino all'atto della firma dell’Armistizio.
E ancora nel ’47 a Portella della Ginestra nel sangue versato. E che non era
espressione di una criminalità “popolare”
ma di un’élite economica e culturale. Baroni, imprenditori, perfino luminari della
medicina, imprenditori, politici. E una
folla, comunque, di massoni. Tutti mafiosi, tutti Cosa nostra.
La vecchia Cosa nostra
Sto parlando di quella Cosa nostra retta
dal cugino di Michele Greco, Salvatore
detto “Cicchitedda”, il primo capo della
commissione nata dalla “riforma” della
mafia dopo la riunione nell’ottobre del
1957 all’Hotel des Palmes di Palermo fra
i siciliani e gli americani, fra Lucky Luciano e Greco e compagnia bella. Con
tanto di uomo di quel confine indefinibile
fra i due mondi, Tommaso Buscetta, a
presenziare all’incontro.
Un “soldato” al cospetto dei capi e che
con i capi si fa “una parlata”. E quando
mai si è vista una cosa del genere? Ma
c’era bisogno di uomini di confine, di
persone come don Masino, di emissari
verso il mondo degli affari, della politica
e dei “servizi” non solo italiani. Un uomo
di due mondi. Di un boss dei due mondi,
appunto, come Buscetta era soprannominato. Perché si era in piena guerra fredda
e la mafia serviva, su una sponda e sull’altra dell’Atlantico. Serviva la sua capacità militare, il suo controllo del territorio
e il tanto, e davvero era un fiume, denaro
non rintracciabile.
Ai tempi della guerra fredda
Guerra fredda, pochi se ne ricordano
oggi. Dove valeva tutto, anche il patto
con il diavolo per sconfiggere il pericolo
rosso. Meglio i mafiosi di Cosa nostra
che dei sindacati che funzionavano e la
salita al governo di socialisti e soprattutto
di quei comunisti del Pci italiano che erano i più forti dell’Europa occidentale.
Sto parlando di quella Cosa nostra che
nonostante i capi della commissione fossero prima Salvatore Greco, poi Gaetano
Badalamenti e infine Michele Greco alla
vigilia del colpo di Stato e della dittatura
di Totò Riina, era in realtà guidata dal carisma e dalla capacità politica e
imprenditoriale del “principe di Villagrazia”, Stefano Bontate il cui patrimonio fu
solo in parte affidato ai cugini Nino e
Ignazio Salvo, ma soprattutto venne reso
potere assoluto nelle mani e nella rete finanziaria di Michele Sindona, “il salvatore della lira” secondo Giulio Andreotti. E
quei soldi poi nessuno li ha ritrovati.
O forse ne ha trovato un pezzo quel
Bernardo Provenzano, socio di Riina ma
da lui distante galassie nella gestione del
potere. Mafioso vecchio stile era diventato Provenzano a scuola di Cosa nostra
nella sua lunga latitanza a Cinisi sotto l’ala protettrice di Tano Badalamenti (quello
che per intenderci mafieggiava e uccideva Peppino Impastato e, come lui stesso
ammise, contemporaneamente era confidente dei carabinieri).
Riina era l’anomalia. Provenzano divenne, nonostante l’origine, la continuità
con la vecchia mafia. Nella gestione dei
soldi, della politica, dell’invisibilità e dei
rapporti con poteri come quelli della massoneria, chiamiamola così, “deviata”.
Il giudice Pierre Michel
Rileggevo, nella notte, quegli appunti
che avevo tirato giù qualche giorno prima
di incontrare il mio personale Caronte
nell’inferno di Cosa nostra. Quante conferme. Ora. E quante ne aspettavo ancora.
E poi ecco quel frammento su Marsiglia.
Soldi. E un mare di sangue. Una mattanza per prenderli. Una mattanza per
mantenerli.
Questa è una piccola storia. La storia di
un magistrato francese ammazzato a Marsiglia il 21 ottobre 1981. Pierre Michel.
Morto perché indagava, anche in collaborazione con i magistrati palermitani,
sul traffico internazionale di eroina gestito da Cosa nostra ma che vedeva coinvolta anche la criminalità organizzata marsigliese che per prima si era avvicinata al
business e aveva i “chimici” e la preparazione per avviare l’industria più redditizia
dalla fine della Seconda Guerra mondiale. Una storia totalmente rimossa, quella
di Pierre Michel.
I Sicilianigiovani – pag. 85
***
Stava andando a casa sulla sua moto,
Pierre Michel, quando venne affiancato
da un’altra motocicletta con due uomini
sul sellino. Solo due colpi, uno al corpo,
l’altro alla testa. Fine. La sua vita, la sua
carriera e le sue inchieste erano finite lì,
su un viale di Marsiglia all’ora di pranzo.
Giovane, alto e bravo nel suo lavoro. Un
anticonformista in un posto di peso.
In Italia lo avrebbero ribattezzato, senza starci tanto a pensare, un “giudice ragazzino”. Che stava indagando sulla criminalità della grande città del sud della
Francia. Era il 21 ottobre 1981. Ricordiamola quella data, in memoria di un'altra
vittima della guerra di mafia.
***
Perché mi sono trovato a seguire questa
storia praticamente dimenticata è stato
sorprendente. Stavo facendo una ricerca
sulla banca dati delle agenzie di stampa
su un nome: Giusto Sciacchitano. Un magistrato discusso da quando era uno dei
sostituti del procuratore Gaetano Costa.
Uno di quelli che si erano rifiutati di firmare i mandati di arresto richiesti della
grande inchiesta sul traffico di droga
istruita all’inizio degli anni ’80 e che avevano lasciato il procuratore a firmare da
solo e assumersi tutte le responsabilità di
quell’atto. Pochi mesi dopo, il 6 agosto,
Costa era stato ucciso da Cosa nostra.
La conoscevo quella storia. Ma avevo
ricontrollato quel nome per vedere se c’erano novità sulla carriera di Sciacchitano
dopo che Massimo, il figlio di Vito Ciancimino l’ex sindaco e assessore ai lavori
pubblici del “sacco di Palermo”, lo aveva
accusato di essere stato proprio lui a spingerlo a non parlare in tribunale in relazioni agli imbrogli legati alla Gas, la società
creata dal padre con l’aiuto del commercialista Gianni Lapis e con uno stuolo di
soci occulti e il defunto Ezio Brancato.
Brancato era suocero del magistrato palermitano.
Luci ed ombre
Il magistrato, che dai tempi della collaborazione con Gaetano Costa era arrivato
fino a un incarico alla procura nazionale
antimafia (nonostante il parere contrario
dell’ex procuratore nazionale Vigna),
aveva annunciato querele, ma la coincidenza era emersa e non era coincidenza
da poco. Insomma, luci e ombre.
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E facendo quel controllo di routine avevo incrociato la storia dell’omicidio del
giudice Pierre Michel. Perché di cose siciliane il magistrato marsigliese se ne occupava eccome. E da tempo.
ZCZC079/RS
R EST RS
MAGISTRATO UCCISO A MARSIGLIA: LA ” FRENCH CONNECTION”
(ANSA) – PARIGI, 21 OTT – IL
GIUDICE PIERRE MICHEL, UCCISO
OGGI DA DUE MOTOCICLISTI A MARSIGLIA, LAVORAVA DA DIVERSI
MESI, IN COLLABORAZIONE CON I
COLLEGHI ITALIANI, SULLA POSSIBILE RINASCITA DELLA FAMOSA ”
FRENCH CONNECTION” , CIOE’ IL
TRAFFICO DI STUPEFACENTI VERSO
L’ EUROPA E GLI STATI UNITI. I
TRE MAGISTRATI DELLA PROCURA DI
PALERMO CHE EGLI AVEVA RICEVUTO
ALL’ INIZIO DEL MESE A MARSIGLIA, ERANO VENUTI ACCOMPAGNATI
DA GUARDIE DEL CORPO, MEMORI
DELLA MORTE DEL GIUDICE GAETANO
COSTA UCCISO NELLE VICINANZE DI
PALERMO MENTRE SVOLGEVA UN ‘
INCHIESTA SU UN TRAFFICO DI
STUPEFACENTI VALUTATO A CENTO
VENTI MILIARDI DI FRANCHI (UN
FRANCO VALE CIRCA 212 LIRE ITALIANE).
I PRIMI INDIZI DELLA RINASCITA DELLA ” FRENCH CONNECTION”
ERANO STATI SCOPERTI NEL MARZO
1980, NELL’ ALTA LOIRA, FRANCIA
CENTRO SETTENTRIONALE. DIECI
PERSONE AVEVANO ORGANIZZATO UN
LABORATORIO CLANDESTINO PER LA
TRASFORMAZIONE DELLA MORFINABASE IN EROINA. ARRESTATE,
ERANO STATE TUTTE INTERROGATE
DAL GIUDICE MICHEL. FRA LORO
VI ERANO ELEMENTI GIA’ NOTI NEGLI ANNI SETTANTA. L’ INCHIESTA, SVOLTA DALLE POLIZIE ITALIANA E FRANCESE AVEVA CONDOTTO
NEL GIUGNO 1980, ALLO SMANTELLAMENTO DI UN TRAFFICO FRANCO
ITALIANO DI STUPEFACENTI, IL
CUI QUARTIER GENERLE ERA NELLE
VICINANZE DI MILANO. NELL’
AGOSTO DEL 1980 VENIVA SCOPERTO
A PALERMO UN ALTRO LABORATORIO
CLANDESTINO, CAPACE DI PRODURRE
MEZZA TONNELLATA DI EROINA AL
MESE. (SEGUE)
RS/CE
21-OTT-81 21:19 NNNN
E poi, ancora, sempre l’Ansa forniva
dettagli ancora più interessanti su questa
morte totalmente stralciata dal racconto
del business dell’eroina e del traffico internazionale partito dalla Sicilia con l’aiuto dei marsigliesi.
ZCZC041/03
R CRO 03 QBXB
OMICIDIO GIUDICE MARSIGLIA :
INDAGINI A PALERMO
(ANSA) – PALERMO, 22 OTT – LA
POLIZIA FRANCESE HA INVIATO
ALLA QUESTURA DI PALERMO UN
PRIMO RAPPORTO, DEFINITO” INFORMALE” , SULL’ OMICIDIO DEL
GIUDICE PIERRE MICHEL DI MARSIGLIA, CHE DA QUASI UN ANNO LAVORAVA, CON I MAGISTRATI PALERMITANI GIOVANNI BARRILE E GIUSTO SCIACCHITANO SUI COLLEGAMENTI FRA LA MAFIA SICILIANA E
LA MALAVITA. PIERRE MICHEL ERA
ATTESO A PALERMO ENTRO LA META’
DI NOVEMBRE NELL’ AMBITO DI UNA
SERIE DI INCONTRI PROGRAMMATI
DA TEMPO CON I GIUDICI LOCALI,
CHE INDAGANO SUL TRAFFICO DI
EROINA TRA LA SICILIA, LA FRANCIA E GLI STATI
UNITI. (SEGUE)
MP/MC
22-OTT-81 09:44 NNNN
Le indagini di Carlo Palermo
Era bravo, Pierre Michel. Ed era riuscito a mettere le mani su un filone di indagine fondamentale per capire le regole e i
flussi dell’organizzazione internazionale
del traffico di stupefacenti, scoprendo che
i marsigliesi, che fino alla fine degli anni
’50 erano stati i “padroni” dell’eroina in
Europa, alla fine degli anni ’60 erano diventati in pratica solo dei tecnici di laboratorio e degli specialisti nella trasformazione della morfina base in eroina al soldo delle famiglie siciliane che il traffico
del derivato dell’oppio se lo erano preso
tutto in blocco.Perché attraverso i rapporti con i “cugini” americani si erano visti affidare il monopolio del rifornimento
del mercato statunitense.
Rileggevo gli appunti, i lanci di agenzia, i resoconti, pochi, della stampa italiana dell’epoca e i tanti, giustamente, della
stampa francese che su quel delitto clamoroso avevano centrato l’attenzione.
E non riuscivo a prendere sonno. Perché c’era qualcosa che tornava. Che collegava quella storia a un’altra, ancora.
Quella della pista dei soldi seguita da
Carlo Palermo a Trento pochi anni dopo,
e quella seguita, quasi contemporaneamente, da Giovanni Falcone a Palermo.
I Sicilianigiovani – pag. 86
Marsigliesi, turchi, bulgari, siciliani e
“americani”.
Le assonanze fra le indagini, quella di
Palermo e quella di Trento, erano davvero
troppe per considerarle una semplice
coincidenza. Ritrovai un’agenzia “di contorno” relativo al quinto anniversario dell’omicidio di Michel, trattato di straforo
dalla pigra stampa italiana solo perché
alla cerimonia partecipò quello che all’epoca era di fatto il cuore del pool antimafia di Palermo, Giovanni Falcone.
Falcone a Marsiglia
ZCZC220/0B
R EST R16 R29 S0B QBXB
TRAFFICO STUPEFACENTI: GIUDICE FALCONE A MARSIGLIA(2)
(ANSA) – PARIGI 21 OTT. – LE
INDAGINI, COMINCIATE NEL DICEMBRE 1984 IN STRETTA COLLABORAZIONE TRA LA ”DRUG ENFORCEMENT
ADMINISTRATION” DEGLI STATI
UNITI, L’UFFICIO FRANCESE PER
LA REPRESSIONE DEL TRAFFICO DI
STUPEFACENTI, E LA POLIZIA ITALIANA, PORTARONO UN MESE FA ALL’ARRESTO A MARSIGLIA DI MARIANO PIAZZA, PROPRIETARIO DI UNA
PIZZERIA DELLA CITTA’, E DI ALTRI SUPPOSTI COMPLICI. A QUANTO
SCRISSERO ALL’EPOCA ALCUNI
GIORNALI FRANCESI, L’ARRESTO DI
MARIANO PIAZZA FU RESO POSSIBILE DA ASCOLTI TELEFONICI REALIZZATI A PALERMO. ”IL GIUDICE
FALCONE – RIFERI’ ”LE MATIN” –
HA CONSEGNATO ELEMENTI DETERMINANTI AI MAGISTRATI MARSIGLIESI
CHE SONO ANDATI A VEDERLO LA
PRIMAVERA SCORSA”. UNA DELLE
CONVERSAZIONI TELEFONICHE PERMISE DI ACCERTARE CHE LA MORFINA BASE PER LA FABBRICAZIONE
DELL’EROINA VENIVA ACQUISTATA
IN TURCHIA E CHE AL FINANZIAMENTO PARTECIPAVANO ”ELEMENTI
SICILIANI E MARSIGLIESI”, TRA
CUI MARIANO PIAZZA. I MAGISTRATI HANNO QUINDI SEGUITO LA
”PIZZA CONNECTION” DALLA TURCHIA FINO A MIAMI, NEGLI STATI
UNITI, ATTRAVERSO L’ EUROPA SUDORIENTALE. LE INDAGINI SONO
VOLTE ANCHE AD ACCERTARE DOVE
L’EROINA FOSSE RAFFINATA, SE IN
FRANCIA, OPPURE IN ITALIA. A
QUANTO SI E’ APPRESO OGGI, IL
GIUDICE FALCONE CONTA DI TRATTENERSI A MARSIGLIA FINO A GIOVEDI’ PROSSIMO.(ANSA).
PR/AV
21-OTT-86 16:46 NNNN
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“Troppe assonanze, troppe coincidenze.
Tutti e tre i magistrati,
mettendo quegli elementi in fila,
stavano cercando di capire
gli incastri dello stesso puzzle”
Poi andai a cercare le agenzie relative a
uno dei momenti salienti delle indagini a
Trento di Carlo Palermo, il blitz con sessantadue arresti del 29 agosto 1982.
ZCZC030/01
U CRO 01 QBXB
STUPEFACENTI: SESSANTADUE ARRESTI
(ANSA) - MILANO, 29 AGO - A
MILANO, TRENTO E VERONA
POLIZIA E CARABINIERI HANNO
ARRESTATO IERI 62 PERSONE NELL'
AMBITO DI UN' INDAGINE DA TEMPO
AVVIATA DALL' UFFICIO ISTRUZIONE DEL TRIBUNALE DI TRENTO, CHE
HA PORTATO FINORA ALL' EMISSIONE DI 160 MANDATI DI CATTURA E
ALLA SCOPERTA DI ALCUNI QUINTALI DI EROINA E MORFINA. L' ORGANIZZAZIONE, UNA DELLE PIU'
IMPORTANTI MAI SCOPERTE, IMPORTAVA LA MORFINA DALLA TURCHIA,
LA STIPAVA NEI DEPOSITI DI
TRENTO, VERONA E BOLZANO, LA
FACEVA RAFFINARE IN SICILIA E
LA ESPORTAVA NEI MERCATI STATUNITENSI E MARSIGLIESI. IMPORTAVA ANCHE, ATTRAVERSO GLI STESSI
CANALI, EROINA PURA
CHE SERVIVA PER ALIMENTARE I
MERCATI DEL NORD ITALIA. (SEGUE)
VO/SG
29-AGO-82 12:41 NNNN
(...)
ZCZC038/01
U CRO 01 QBXB
STUPEFACENTI: SESSANTADUE ARRESTI (3)
(ANSA) - MILANO, 29 AGO - I
RESPONSABILI DELL' IMPORTAZIONE
IN ITALIA SONO CINQUE, TUTTI
CITTADINI STRANIERI. SI TRATTA
DI SALAH AL DIN WAKKAS, (ARRESTATO IN GRECIA); HZIR HEPGULER
(ARRESTATO ALL' AEROPORTO DI
TUNISI); MEHEMET ALI' KARAKAFA
(SORPRESO A BELGRADO E ARRESTA-
TO INSIEME A VENTI CORRIERI);
MUSTAFA' KISACIK (TROVATO A
ISTAMBUL NEL MAGGIO SCORSO E
FERMATO DALLE AUTORITA' TURCHE
IN ESECUZIONE DI UN MANDATO DI
CATTURA EMESSO DAL GIUDICE ITALIANO, CHE SI TROVAVA NELLA CAPITALE TURCA PEALCUNI ATTI
ISTRUTTORI) E HASAN NEHIR (DA
SOLO ACCUSATO DI SPACCIO DI 230
CHILOGRAMMI DI EROINA E DI
TRAFFICO DI ARMI).
GLI ARRESTI, AVVENUTI CON LA
PIENA COLLABORAZIONE DELLE AUTORITA' DI POLIZIA TURCA E JUGOSLAVA, SI SONO SUCCEDUTI NEI
MESI SCORSI E HANNO PORTATO
ALLA SCOPERTA DEI RESPONSABILI
ITALIANI, UNA PARTE DEI QUALI
FERMATI IERI. MOLTI DI LORO,
GIA' IN CARCERE, SI SONO VISTI
NOTIFICARE IL NUOVO MANDATO DI
CATTURA. TRA QUESTI GERLANDO
ALBERTI, ROSARIO D' AGOSTINO E
MATTEO BUCCOLA (GIA' INQUISITI
PER I DUE LABORATORI PALERMITANI NEI QUALI VENIVA RAFFINATA
LA MORFINA). E, ACCANTO A LORO,
SETTE SICILIANI, ACCUSATI DI
PARTECIPAZIONE ALLA MAFIA, CORRIERI DELLO STUPEFACENTE DAL
TRENTINO ALLA SICILIA. DUE FRATELLI, INVECE, SECONDO GLI INVESTIGATORI TENEVANO I COLLEGAMENTI CON LA '' NDRANGHETA''
CALABRESE.
(SEGUE)
VO/SG
29-AGO-82 13:19 NNNN
Michel, Palermo, Falcone
Poi Carlo Palermo si era trovato ad incrociare, sempre in collegamento con
quella incredibile inchiesta, Bettino Craxi
e una cupa vicenda di tangenti verso il
Psi. Risultato, tutte le inchieste in corso
sospese, poi il trasferimento a Trapani e
I Sicilianigiovani – pag. 87
dopo 55 giorni l’attentato da cui era sfuggito per puro caso ma con una scia di sangue terribile.
Partendo dai soldi e dai movimenti di
soldi collegati ai traffici di eroina.
Seguendoli per mezzo mondo.
Tre magistrati, una sola pista?
Pochi giorni prima di morire Pierre Michel era andato a cena dal padre. Me lo
immaginavo arrivare in moto, con la borsa colma di carte a tracolla, i capelli lunghi spettinati, la cravatta sciolta sotto il
giaccone da motociclista. E quella sera al
padre aveva confessato che stava per
mettere le mani su altri trafficanti, su una
rete ancora più vasta che vedeva coinvolte sempre, oltre ai soliti criminali locali,
le grandi famiglie siciliane.
Non più i vecchi "capi", i grandi del
milieu marsigliese raccontati dai film con
Jean Gabin. Non più i vecchi boss come
Dominique Venturi detto Nick finito dietro alle sbarre come Al Capone per evasione fiscale o Barthèlemy Guerini più
conosciuto come Memè e incastrato per l'
assassinio di un piccolo pesce della criminalità locale.
Comparivano i nuovi padroni. I Mariano Piazza e i suoi soci ancora non individuati. Rimasti, poi, nell'ombra. Come stava accadendo ed era già accaduto in Sicilia. La modernità era il frutto avvelenato
del papavero.
Erano stati dei marsigliesi ad
ammazzare Michel. Anche se nessuno
riuscì a capire davvero chi fossero i veri
mandanti di quell’omicidio. Chi fossero e
soprattutto di quale nazionalità fossero.
Alla fine crollai davanti al monitor.
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Un prete
operaio
a Catania
MEMORIA/ CONCETTO GRECO
“Io penso che vi sia bisogno per ogni confronto di una parità
fra i due. Il sottoscritto ha scommesso la sua vita per i poveri,
mentre altri hanno scommesso la loro perché i propri figli
stessero bene - socialmente, economicamente – o possibilmente meglio degli altri. Questa è la vera disparità che ci separa”
di Fabio D'Urso e Luciano Bruno
Padre Greco è morto da quattro anni.
Nella nostra memoria, rimane la sua testimonianza di un uomo che senza alcun potere ha difeso i poveri, con una pratica
concreta di liberazione, al margine di un
quartiere di perifera di Catania.
Egli ora è cittadino dei cieli: “dei cieli
degli occhi dei bambini, nel cuore dei
semplici, dei sogni dei poeti, dei pastelli
dei pittori, del rincrescimento dei deliquenti, del sostegno dei forti”.
Di padre Greco rimangono moltissimi
scritti, pagine fotocopiate per gli amici,
per il gruppo, per la comunità cristiana,
per il quartiere del Pigno a Catania. Molte
di queste girano in rete, in modo informale come frammenti di una vita evangelica.
Sono pagine scomode che raccontano
un impegno soffocato dall'anonimato dentro la chiesa e la società civile.Pagine che
lui non mai nascosto, e di cui non ha temuto la pubblicazione.
Questa sua testimonianza di vita da padre Giuseppe Ruggieri è stata paragonata
nello stile a quella di Francesco di Assisi,
resta tuttavia nell'oblio di questa cerchia
di fortunate persone, e non ancora consegnata a tutti.
I Sicilianigiovani – pag. 88
Lui ne avrebbe sorriso. Ha rinunciato a
ogni onore, ma non hai mai rinunciato a
vivere con trasparenza, e in solidarietà
con “qualunque uomo, giallo, rosso, nero
o bianco, stanco o pimpante, debole o forte, infermo o sano, scartato o assimnilato,
peccatore o santo, ignorante o sapiente, di
ieri e di domani”.
Ha sognato una chiesa aperta, che infrangesse ogni muro e in cui i soli poveri
fossero i soli protagonisti della sua storia.
Con questa intervista essenziale, fatta lo
stesso anno della sua morte, lo vogliamo
ricordare.
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INTERVISTA
A PADRE GRECO
di Fabio D'Urso
Si chiama Concetto Greco. E' prete da
cinquantasei anni, a Catania. Vive tra la
gente in una periferia della città, il Pigno.
- Da quanto tempo?
“Da trentasette anni”.
- Quanti anni aveva?
“ Quarantadue”.
- Come era il Pigno negli anni settanta? Come ci è arrivato?”.
“Nel 1970, ci sono andato di mia iniziativa, ricevendone il mandato pastorale
dal vescovo Bentivoglio, di cui ero stato
il segretario. Sono venuto a fare il
curato”.
- Lei faceva parte della classe dirigente della chiesa catanese?
“Sì. Così pensavamo in molti. Ero molto attento al messaggio del Concilio, e
alle vicende dei piccoli fratelli del Vangelo”.
- Che vuol dire ?
“Charles de Foucauld è andato a morire
nel cuore dell'Africa”.
- Si è sentito liberato, quando è stato
mandato qui?
“Sì, da una vita comoda, mai ricercata”.
- E poi è venuto a vivere qui?
“Sì, in via dei Sanguinelli, accampato
accanto agli altri”.
- Ci vuol parlare del Pigno?. Questa
periferia sud- ovest della città, dove
nei prossimi anni potrebbe sorgere il
più grande centro commerciale di Sicilia, che occuperà duecentoquaranta
mila metri quadrati di spazio ( si parla
del centro commerciale Porte di Catania, NdR).
“Ti racconterò del giovane proprietario,
Giovanni Pulvirenti. Il Pigno prima degli
anni sessanta era un feudo della sua famiglia. Un vigneto, di cui già il padre aveva
venduto una metà ad un medico, che l'aveva in cura. Nella parte restante sarebbe
passata dritta la tangenziale che collega
con l'autostrada, tra Palermo e Catania.
La parte finale in pratica poteva passare
dove adesso stiamo parlando”.
- Che cosa è successo ?
“Quel terreno per una sorta di obiezione allo stato, è stato venduto sulla parola
e senza soldi, a quelle famiglie che arrivavano fin qui, chi da dentro della Sicilia,
chi da altre regioni, per venire a lavorare
a Catania”.
- Come appariva il Pigno ?
“Era un contesto povero, desolato”.
- Come che la gente è rimasta se non
poteva farsi la casa”.
“Giovanni Pulvirenti portava lui stesso
alla gente i sacchi di cemento, se li caricava e li portava con i suoi mezzi.”.
Alla fine del dibattito in seminario,
partecipato a tutti i prei della diocesi; e
dopo un processo alle intenzioni del rinnovamento della formazione, Ventorino
aveva dato le dimissioni. Così era finita
l'esperienza educativa del Pigno.
- Come lo pensa?
“Con l'animo nobile”.
- Ci racconti del quartiere?
“Dall'inizio degli anni sessanta fino alla
fine degli anni settanta si son formati i diversi isolati del quartiere. Più famiglie
che venivano dallo stesso luogo avevano
qualche cosa che li accomunava e li faceva sopravvivere”.
- Gruppi diversi?
“Volevo fare l'omelia in dialetto. Non
mi capivano, i dialetti erano diversi. La
gente era arrivata da Messina e da Enna,
ma anche dalla Calabria e dalla Romagna”.
- Che cosa ha fatto?
“Alla lunga hanno compreso la lingua
italiana, divenuta simile a tutti.
- La sua scelta ha avuto a che fare
con il rinnovamento della chiesa di Catania, durante gli anni dopo il
Concilio ?
“Alcuni preti furono molto sensibili
alle nuove affermazioni del Concilio,
aderendo non solo con la testa, ma anche
con la vita: Biagio Apa, Giovanni Piro,
Pippo Di Bella, Pippo Gliozzo, Pino Ruggieri, Carmelo Politi”.
Alcuni mesi prima del 1970, prima di
andare al Pigno, padre Greco, dovremo
dire Monsignor Greco, aveva ricevuto il
compito di assistere il rettore del seminario della città, monsignor Francesco Ventorino a formarne gli aspiranti sacerdoti.
Era stati nominato insieme ad altri preti.
Così tra la metà del 1970 e la fine del
1971, essi avevano rielaborato l'esperienza del seminario, a partire dalla vita
comune e dal coinvolgimento dei seminaristi nel lavoro tra la gente nelle parrocchie. Questa vicenda è stata ben raccontata da Nino Indelicato, in un articolo,
dodici anni dopo: “ si voleva dare la
possibilità ai seminaristi di verificare la
scelta, mettendoli in situazione di povertà, e di confronto la vita reale.” Perciò
una parte di questi in aveva scelto di stare nella parrocchia del Pigno.
La formazione degli aspiranti preti
fuori dalle mura del seminario, venne
contrastata da una parte dei preti della
della diocesi.
I Sicilianigiovani – pag. 89
“La storia di questi trentasette anni, qui
al Pigno sono una storia assai stramba”.
- Per quale motivo?
“Ho dovuto dar conto al vangelo, piuttosto che ad altro”.
- Che dice la gente di lei?
“All'inizio non capiva il motivo della
scelta. Vivevo in appartamento piuttosto
che in canonica, del lavoro di fabbro piuttosto che dei soldi che lo stato dà alla
chiesa”.
Padre Greco scrive ad un amico: “Avevo ventitré anni, quando sono stato ordinato . Per diciassette di questi anni sono
esistito dentro la stanza dei bottoni. l'esercizio di un potere. Poi, per la causa
dei poveri. ho fatto il curato in un villaggio con nessuna storia alle spalle”.
E continua a scrivervi dalla gente: “.
(.). con pane e cipolla, si sono rifinita la
casa. Non pochi ragazzi, in questi ultimi
venti anni, son giunti a laurearsi. Quando son venuto al Pigno, non si aveva acqua nelle case, e per lavarmi la faccia,
alle sei del mattino, nelle rigide giornate
d'inverno, andavo sulla strada, dove erano posizionate delle enormi botte di metallo. Quando le famiglie si costruivano
la casa, appena possibile vi si cacciavano dentro; a posto degli infissi appendevano, su due chiodi, povere coperte”.
“Insegnavo in un liceo, ma dopo il primo anno, sono andato a fare il fabbro”.
- Per quanti anni?
“ Per quindici anni, dal 1971 fino al
1985”.
- Poi che cosa è successo?
“Ho avuto un incidente sul lavoro. Oltre non sono riusciuto ad andare”.
- Come si definisce rispetto al lavoro
che ha fatto?
“Sono un anarcoide”
- Che significa?
“ Pressoché anarchico? Chi ti paga diventa il tuo padrone. Ho rinunciato ai soldi dello stato, finché ho potuto”.
- E la parrocchia?
“La sera vivevo il ministero nella parrocchia, insieme alla comunità di credenti”.
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- E i sacramenti ?
“Si vivono a partire dal vissuto dei credenti entro la comunità”.
- Oppure?
“Si fanno discorsi severi e prassi
facili.”
- Cosa le sta a cuore ?
“Che i sacramenti siano segni di una
fede, altrimenti sono segni magici; e poi
questi non vengano pagati”.
- Che pensa di questo tempo ?
“C'è paura e violenza. Riesce difficile
andare avanti. Avverto un senso di soffocamento”.
- Sul Vangelo ?
“Che è possibile che sfugga, che lo si
perda di vista”.
- Un'immagine di Dio?
“Dio - dice Gesù - non è abisso misterioso di forza che giustifica i potenti, non
è mai volto irato che richiede sacrifici”.
- L'uomo?
“ Fidarci di ogni uomo”.
- Che possiamo ancora imparare?
“L'amore. Gesù ridona splendore ad
ogni uomo che scorge in sé una dignità”.
- E la fede?
“ Essa si spende nella vita, con la quotidiana fatica del vivere”.
- Che cosa dire sempre ?
“ La novità del Regno”.
- Che significa?
“Accostarsi a Cristo; distanziarsi dai
potenti del mondo; pace, giustizia, amore,
distacco dalle cose, priorità delle persone
sulle cose, speranza ai disperati”.
- Che cosa fa un cristiano ?
“Rende presente Lui, assume il suo stile e la sua disponibilità ad amare fino alla
croce”.
- E la Chiesa ?
“Ci vuole un confronto serio col suo divino fondatore, il Cristo”.
- Di che cosa si preoccupava
Gesù?”.
“Per lui era fondamentale sapere se era
stata accolta o no la base risolutiva di
ogni etica sessuale e della stessa convivenza civile: una vita spesa nell'amore
gratuito, nel dono di sé”.
- Cosa cosa le preoccupa della Chiesa?.
“Ha enorme difficoltà a riconoscere che
lei non è la salvezza”.
- Ci aiuti a capire.
“La chiesa è un semplice umile mezzo
voluto dal Cristo per l'edificazione del
Regno”.
- E'..?
“Essa è popolo di Dio e poi dotata di
gerarchia. Nasce dove due o tre si uniscono nel Cristo, e spezzano il pane”.
- Le parole della chiesa.?
“Quelle di una comunità di battezzati”.
- In pratica quanto conta il popolo di
Dio, i cristiani laici ?
“Non sono ancora soggetto”.
- Il Concilio ha chiesto alla chiesa di
mettersi in servizio?”.
“...ma deve prima di tutto assumere la
forma di Cristo, il suo stile”.
- E invece?
“L'impressione che non sia essa ad
evangelizzare il mondo ma, al contrario”.
- Che vuol dire?
“Non vedo quel tentativo di non conformarsi”.
- Di che sta parlando?
“La voglia di potere e d'insegnare è ben
presente in maniera patetica”.
- In pratica?
.”... uomini alla ricerca di una diocesi,
di una parrocchia autorevole, di contatti
con gente che conta, perfino di vittorie
elettorali da fare pesare al momento opportuno nelle contrattazioni con i
potenti”.
- Che succede ..?
“Si entra così in una cerchia di compagnie”.
- Che pensa del potere?
“E' un genere quasi sacro. I potenti si
appoggiano a vicenda. Poco importa se
uno è detentore del potere economico, un
altro di quello mafioso, altri di quello politico o religioso”.
- Che valori si perdono?
“Il bene comune, il potere come servizio e la politica come la forma più grande
di amore”.
- Cosa ancora?
“La bella notizia, la risurrezione del
Cristo per l'uomo disperato. In giorni bui
mi chiedo tuttavia se le risposte a queste
domande, importino a molti.”
- In particolare ?
“Mi chiedo se la difficoltà dei seguaci
di Cristo di essere segno del Regno nel
mondo, é presente nella vita degli uomini
di chiesa. Se esiste la coscienza di un
possibile, involontario tradimento del
Vangelo. Ciò sarebbe premessa per la
conversione. Purtroppo non sono ottimista”.
- Cosa la preoccupa ?
“Questo oscillare della Chiesa tra i benpensanti e gli esclusi. Chi, se non la Chiesa, deve mostrare che si sta stravolgendo
I Sicilianigiovani – pag. 90
ogni pietà, ogni fede ed ogni umanità?
- In particolare?
“La Boss- Fini trasforma in delinquente
un disperato. E continuiamo a tacere. Siamo molto titubanti sui Centri di Permanenza Temporanea”.
- Che pensa ?
“Ai tempi di Costantino si mise il segno dello Sconfitto, la croce, sui labari
degli oppressori”.
- E dove altro ancora, oggi ?
“Si benedicono bombe atomiche o portaerei o valorose truppe di occupazione.”
I teologi?.
“Sanno tutto su Dio in cielo, ma così
poco di quel Dio che nei suoi figli approda sulle coste della Sicilia in cerca di un
inferno meno atroce di quello lasciato
alle spalle”.
- E l'ospitalità ?
“Non è un valore politico”.
- Con chi sta la Chiesa ?
“Di chi si preoccupa questa mia madre?
Non dichiaratamente con gli esclusi, non
con i diversi, non con i poveri, non con i
giovani, non con la classe operaia, non
con i disoccupati”.
- Che fa la chiesa?
“ Vede di malocchio quanti dei suoi figli osano trattare non solo il corpo eucaristico di Cristo ma anche il suo corpo mistico, ben visibile tra i crocifissi ed i
reietti del Terzo Mondo e delle nostre periferie urbane?”.
- Senza denuncia?
“Questo silenzio mi scandalizza, mi
soffoca, perché vorrei poter dire, non solo
in nome di Cristo ma vorrei poter dire
che la Chiesa c'è per ogni disperato, lei
portatrice di una felice parola”:
- Infine?
“La chiesa appare come priva della parola. Non è possibile essere Chiesa di
Cristo se non ridiventiamo Chiesa dei poveri e degli esclusi. Non ce la caviamo
senza di loro. Se continuiamo ad essere
sale scipito, cristiani fasulli, saranno fasulli la Chiesa e lo stesso Cristo”.
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UNA TESTIMONIANZA/
DA LIBRINO AL PIGNO
di Luciano Bruno
E' la fine degli anni ottanta, a Librino,
periferia a sud-ovest di Catania, un gruppo di ragazzini decidono di costruire con
le loro mani un campo da calcio. Ogni
pomeriggio usciti da scuola si incontrano
sotto il portone di Rosso, capelli castani,
occhi molto profondi. C'é Pirocchiu,
capelli biondi e occhi azzurri, sembra un
tedesco.Tigna e Luciano.
E' il mese di giugno la scuola sta per finire; ed il pomeriggio, nonostante i quasi
quaranta gradi all’ombra, riescono a finire il campo. Pirocchiu si occupa di fare i
buchi per inserire i pali, Tigna con martello e scalpello in mano toglie i dislivelli
dal terreno. Luciano toglie l’erbacce.
Rosso va in un cantiere li vicino e chiede
al capocantiere, i pali e le traverse.
Dopo settimane il loro campo è pronto.
“Immaginavati tutte le partite che potremmo fare, i campionati che si possono
organizzare”. Il sogno dura poco. Una
mattina mentre Rosso é in cucina, si sente
un rumore di una ruspa. Questi si affaccia
e vede che stanno abbattendo il campo,
scende e va a chiedere spiegazioni:
“Senta, chi sta facennu chistu è u nostru campu.h
“Iu appi l’ordini do Comuni.”
Quel pomeriggio, i giovani sono seduti
sulla ringhiera, non hanno dove andare a
tirare quattro calci al pallone.
Si alza uno di loro, Luciano : “Carusi o
Pignu c’è na sala di giocu, ci iemu? Chi
ni pinsati?”.
Il Pigno è il quartiere autocostruito dalla povera gente vicino a Librino. Ci vanno tutti e prendono quello stradone pericoloso che collega i due quartieri. Entrarono nella sala gioco e restano senza parole guardando “quella grande scoperta”
Aspettano Pirocchiu: “Carusi dda c’è a
carambola, na facemu na pattita?”. Pirocchiu in coppia Luciano, e Minnirossi con
Tigna. Quello rimane il loro posto dove
incontrarsi.
Alcuni anni dopo, sempre al Pigno, conosco Padre Greco, prete alla parrocchia
di San Giuseppe.
“ Senti io vado al Pigno, stasera si riunisce il gruppo vuoi venire?h.
“Sì, meglio di stare solo a casa.”
Quando arriviamo a casa di padre Greco; la prima cosa che mi colpisce è il suo
abito sobrio. Ma non è vestito da prete.
Tiene la barba, e mi restano
in mente quei suoi occhi, la
corporatura robusta. Quando
ho detto quello che pensavo
sulla chiesa mi ha lasciato
libero di parlare. “Un prete
deve stare fra la gente,
insieme agli ultimi.” Lui ha
vissuto in questa periferia,
una delle tante dove i preti
dovrebbero stare.
DUE SCRITTI
di padre Concetto Greco
I deboli in Italia sono usati come cavie.
Quello che di male può succedere, succede prima a loro. Di solito solo a loro.
Sono i porcellini d’India della nostra società. I canarini usati in miniera per evitare gli incidenti da grisou. I deboli vivono
vicino agli inceneritori. I deboli sono
espropriati dei loro appartamenti popolari
dai delinquenti. I deboli non possono mai
permettersi di violare la legge. I deboli
non conoscono gli avvocati. I deboli sono
i primi a essere derubati dal finto esattore
del gas. Dall’offerta della finanziaria a
rate. Se un delinquente esce grazie all’indulto è certamente un vicino di casa dei
deboli. I deboli non possono ammalarsi,
morirebbero. Bevono acqua al cloro, respirano Pm10, hanno il riscaldamento
spento. I deboli sono di solito persone
oneste. Rispettano le istituzioni. Per questo non sono rispettati.
Ogni buona legge ha bisogno di un periodo di sperimentazione. I deboli hanno
questa funzione sociale. E’ meritoria, e
preserva le classi più abbienti da conseguenze indesiderate. Un taglio alle pensioni, un nuovo ticket sanitario, la legge
Biagi, un indulto produrranno reazioni
sociali? I deboli sono qui per questo. Se
loro sopravvivono, allora si può fare. Ai
deboli va la nostra eterna riconoscenza.
Ai deboli voglio dedicare un discorso
proto evangelico. Più proto che evangelico. Il discorso della mezza montagna
I Sicilianigiovani – pag. 91
Beati i deboli, perché di essi sono le
periferie.
Beati i deboli, perché saranno consolati
da Previti.
Beati i deboli, perché erediteranno i debiti dei genitori.
Beati i deboli che hanno fame e sete
della ingiustizia, perché saranno saziati.
Beati i deboli, perché troveranno il pusher sotto casa.
Beati i deboli, perché vedranno la televisione di Stato.
Beati i deboli, perché saranno chiamati
populisti.
Beati i deboli a causa della giustizia,
perché di essi è il regno di Regina Coeli.
Beati voi deboli quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, vi diranno demagoghi per causa mia.
Rallegratevi ed esultate, perché grande
è la vostra funzione sociale: quella di
prenderlo nel c..o.”
***
E' vero o non vero che la chiesa ha negato i funerali a Piergiorgio Welby, per
aver rifiutato l’accanimento terapeutico?
Come se nel vangelo ci fosse scritto, che
qualcuno doveva pur portare una bombola di ossigeno a Gesù in croce, così poteva durare di più e dire qualche altra parola impegnata a san Pietro. È vero o non è
vero che la chiesa ha celebrato i funerali
a Pinochet, un uomo che ha assassinato
migliaia di persone? È vero o non è vero
che la chiesa ha celebrato i funerali a
Franco? È vero o non è vero che la chiesa
ha celebrato i funerali ad un mafioso, della banda della Magliana, dopo essersi levato di torno parecchie persone?
www.isiciliani.it
Io mi chiamo Giovanni Tizian
Cronista sotto scorta
Parte la solidarietà
al contrario
Sono passati due mesi da quando
Giovanni Tizian, giornalista
calabrese di 29 anni e militante
dell’associazione antimafie daSud, è
stato messo sotto scorta a causa delle
sue inchieste giornalistiche sulle
mafie al Nord, in particolare in
Emilia Romagna. A metà gennaio
daSud ha lanciato una campagna a
sostegno del cronista che ha avuto
ampio risalto sui media nazionali,
raccogliendo l’appoggio di diverse
personalità del campo dell’impegno
civile, della politica e dello
spettacolo. Sul sito
iomichiamogiovannitizian.org
sono arrivate migliaia di adesioni
da tutta Italia.
L’associazione daSud ha pensato
sin da subito che la situazione in cui
il giornalista si è trovato suo
malgrado, fosse un’occasione non
per creare l’ennesimo eroe solidario,
simbolo di una lotta antimafia
delegata a poche persone, ma per
ragionare al contrario sul bisogno
dell’impegno collettivo. Se le mafie
si possono permettere di minacciare
giornalisti coraggiosi è perché in
pochi fanno la propria parte. Per
questo motivo la seconda fase della
campagna “Io mi chiamo Giovanni
Tizian” ribalta lo schema e chiede a
chi vuol essere solidale con il
giornalista calabrese di assumersi la
responsabilità di mettere in atto
buone pratiche antimafie. Con un
video disponibile sul sito
www.iomichiamogiovannitizian.org,
su facebook, twitter e youtube,
l’associazione ha raccontato alcune
delle buone pratiche antimafie già
I Sicilianigiovani – pag. 92
esistenti, che riguardano enti locali,
giornalisti, imprenditori,
consumatori, liberi professionisti,
scuole, associazioni, artisti, bloggers
e singoli cittadini.
L’associazione daSud invita tutti i
media a diffondere le buone pratiche
antimafie e ognuno a scambiare la
solidarietà a poco prezzo con
l’impegno quotidiano.
Tutti possiamo fare delle buone
pratiche antimafia. Su
www.dasud.it segnaliamo alcuni
degli esempi più interessanti in
Italia. Una lista, non esaustiva, di
proposte possibili tenendo sempre
presente che le buone pratiche,
grazie all’impegno di tanti, si
moltiplicano di giorno in giorno e
coinvolgono sempre più cittadini.
www.isiciliani.it
IL FILO
Banche
di Giuseppe Fava
...Molto più in alto dei cosiddetti uccisori c'è il livello dei pensatori, con la lontananza, il distacco di autorità che può
esserci tra una fanteria alla quale è affidato soltanto il compito di conquistare,
uccidere, presidiare, morire, e le stanze
imperscrutabili dello Stato maggiore
dove si elabora la grande strategia mafiosa.
“Gli strumenti essenziali sono due: le banche e le grandi imprese economiche. Anzitutto le banche: ricevono il denaro, lo fanno
proprio, lo celano...”
uamente prodotto dall'operazione droga,
cioè la fase ultima e più delicata, quella
appunto che esige una autentica capacità
tecnica e finanziaria. Si tratta infatti di
tiepido carcere americano. All'aria aperta, in libertà, non avrebbe certamente più
di un giorno di vita! Per decifrare perfettamente la tragedia mafiosa sarebbe interessante sapere appunto quante banche e
quali banche con il suo vertiginoso
talento, per cui riusciva a sconvolgere
persino gli alti burocrati della Banca d'Italia, Michele Sindona, piccolo ragionie-
Scopo unico e massimo di questa strategia è la riciclazione del denaro contin-
co, terrorizzato, preferisce starsene in un
ci vuole fantasia, competenza tecnica.
Non a caso abbiamo parlato di un salto
nella cultura mafiosa.
Un salto nella cultura mafiosa
re di provincia, riuscì in meno di quindici
anni a creare in tutta Italia e soprattutto
in Sicilia.
Banche che fiorivano, si moltiplicavano, esplodevano letteralmente nelle gran-
Gli strumenti essenziali sono due: le
di città e nei centri di periferia dove per
essere immessi nel mercato economico e
banche e le grandi imprese economiche.
gestire gli affari economici, i micragnosi
diventare usufruibili, debbono passare at-
Anzitutto le banche: ricevono il dena-
centinaia e migliaia di miliardi che, per
affari della piccola borghesia commercia-
traverso una serie di operazioni legali
ro, lo fanno proprio, lo celano, lo ammi-
le e agricola sarebbe stata già d'avanzo
che li assorbano e magicamente li ripro-
nistrano, conservano, proteggono, reim-
un'agenzia del Banco di Sicilia.
ducano come ricchezza. Ci vuole talento,
piegano (cento miliardi provenienti dalla
____________________________________
droga, alle cui spalle sono decine di per-
“Eccomi, sono la nuova banca!”
La Fondazione Fava
sone miseramente morte o uccise, e mi-
La fondazione nasce nel 2002 per mantenere
vivi la memoria e l’esempio di Giuseppe Fava,
con la raccolta e l’archiviazione di tutti i suoi
scritti, la ripubblicazione dei suoi principali libri,
l'educazione antimafia nelle scuole, la promozione di attività culturali che coinvolgano i giovani sollecitandoli a raccontare. Il sito permette
la consultazione gratuita di tutti gli articoli di
Giuseppe Fava sui Siciliani.
Per consultare gli archivi fotografico e teatrale,
o altri testi, o acquistare i libri
della Fondazione, scrivere a
[email protected]
[email protected]
____________________________________
Banche invece che spalancavano di
gliaia di infelicità umane, possono essere
colpo i battenti: "Eccomi qua, io sono la
impiegati per la costruzione di un gratta-
nuova banca! A disposizione!", tutto l'ap-
cielo, un ponte, una diga, un'autostrada).
parato già pronto, direttori, impiegati,
Le banche gestite e controllate dallo stato
casseforti, banchi di metallo, sistemi
difficilmente potrebbero (ma non è detto
elettronici, computerizzazione, vetri anti-
che non possano) poiché c'è sempre il ri-
proiettile, uscieri, gorilla con la divisa di
Talune banche private ovviamente.
prefetti, "Taglia il nastro la gentile signo-
Pubblica tesi su Giuseppe Fava e i Siciliani, da
quelle di Luca Salici e Rocco Rossitto, che ne
sono i curatori. E' un archivio, anzi un deposito
operativo, della prima generazione dei Siciliani.
Senza retorica, senza celebrazioni, semplicemente uno strumento di lavoro. Serio, concreto
e utile: nel nostro stile.
Non a caso Sindona aveva la vocazione
ra di sua eccellenza", fiori, applausi, ban-
di creare banche, ne aveva l'estro, la fan-
chetto, champagne, capitali già depositati
tasia. Il giorno in cui dovesse decidere di
nelle casseforti.
Il sito “I Siciliani di Giuseppe Fava”
schio di un funzionario di vertice che in-
sceriffo e la Smith Wesson, epiche ceri-
daga, spia, riferisce, protesta, accusa. Le
monie inaugurali con interventi di parla-
banche private.
mentari, sottosegretari, ministri, questori,
raccontare finalmente tutta la verità, molti imperi finanziari vacillerebbero. E in
realtà Sindona, invecchiato, gracile, stan-
I Sicilianigiovani – pag. 93
(Da “I quattro cavalieri dell'apocalisse
mafiosa”, I Siciliani, gennaio 1983)
www.isiciliani.it
I Sicilianigiovani
Rivista di politica, attualità e cultura
Fatta da:
Celeste Costantino, Irene Cortese, Sara Di Bella, Cinzia
Paolillo, Angela Ammirati, Danila Cotroneo, Laura Triumbari,
Gian Carlo Caselli, Nando dalla Chiesa, Paolo Fior, Giulio
Cavalli, Paolo Fior, Salvo Ognibene, Martina Mazzeo, Riccardo
Orioles, Michela Mancini, Nadia Furnari, Francesco Feola, Max
Vacirca, Giorgio Ruta, Maria Sole Galeazzi, Lorenzo Baldo,
Antonio Mazzeo, Bruna Iacopino, Rino Giacalone, Attilio
Occhipinti, Giulio Pitroso, Tommaso Maria Patti, Francesco
Midolo, Mauro Biani, Carlo Gubitosa, Marco Pinna, Lelio
Bonaccorso, Jack Daniel, Dino Sturiale, Sebastiano Ambra,
Fabio Vita, Federico Beltrami, Domenico Stimolo, Francesco
Appari, Giacomo Di Girolamo, Claudia Campese, Giovanni
Caruso, Miriana Squillaci, ElioCamilleri, Giuseppe Scatà,
Beatrice Canali, Marta Cavallini, Antonello Oliva, Laura
Cortina, Gabriele Licciardi, Salvo Vitale, Giovanni Abbagnato,
Riccardo De Gennaro, Pietro Orsatti, Padre Greco, Fabio
D'Urso, Luciano Bruno, Raffaele Lupoli, Luca Salici
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I Siciliani giovani/ Reg.Trib.Catania n.23/2011 del 20/09/2011 / d.responsabile riccardo orioles
I Sicilianigiovani – pag. 94
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FOTO DI JJLICKY
periferie
#Occupiamoci
di Scampia
OccupyScampia? Come dire di no! Anche se non fossimo
all’alba di una nuova guerra di camorra, anche se non ci
che finalmente contribuiamo a restituire un luogo fisico ai suoi
abitanti, i tanti che vorrebbero riprenderselo e affidarlo “in
fossero tweet e articoli di giornale a proporcelo, occupare
custodia” ai nonni, ai nipoti, alle madri, ai sorrisi e alle urla.
fisicamente e occuparsi materialmente di un pezzo di Sud da
#OccupyScampia per costruire una società e un’economia
liberare è un dovere di tutti noi. Ancor più se da quel pezzo di
diverse, perché il quartiere diventi “piazza di spaccio” di
Sud arrivano mille esperienze che ci chiedono di aggiungere le
esperienze positive, di occasioni di lavoro, socialità e
nostre braccia alle loro per dare una spinta forte se non
creatività.
definitiva al controllo mafioso che marchia a fuoco e soffoca
che cominciamo tutti a farci carico di quello che manca e a
un territorio grande quanto una capitale europea. È vero:
sostenere quelli che rappresentano l’altra Scampia – gli amici
l’occupazione è l’essenza stessa di uno spazio pubblico, ma
del Gridas, gli A67, Legambiente, Mammut e tanti altri – è un
l’occupazione di un giorno non fa la piazza e non rende
buon inizio. Occupiamo e occupiamoci di Scampia, dunque,
“pubblico” lo spazio. #Occupy non è e non può essere un
innanzitutto imparando a conoscere la sua vivacità e le sue
pomeriggio in piazza. #OccupyScampia sì, allora, se significa
storie di resistenza che diventa speranza. Raffaele Lupoli
Non accade in un giorno, ma se un giorno accade
I Sicilianigiovani – pag. 95
Nel 1984 gli imprenditori siciliani non facevano
pubblicità sui giornali antimafiosi. E ora?
Un tempo, gli imprenditori siciliani non facevano pubblicità
sui giornali antimafiosi. Perciò i giornali come I Siciliani
alla fine dovevano chiudere. Nessun giornale può sopravvivere
senza pubblicità, per quanto fedeli siamo i suoi lettori.
Noi facciamo la nostra parte. Voi, fate la vostra.
I Sicilianigiovani – pag. 96