“Linux per tutti - Ubuntu facile
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“Linux per tutti - Ubuntu facile
Noi non abbiamo fatto nessun comunicato su questa cosa, però l'autorità ci ha risposto. L'autorità ci ha risposto che si sta occupando di altre cose, cioè sta valutando Microsoft sotto altri profili. E comunque l'Antitrust solitamente impone delle multe anche molto salate, ma in sostanza la situazione non cambia, il monopolio non viene scalfito... Infatti, le azioni dell'Antitrust non cambiano la situazione, assolutamente. Almeno l'Antitrust italiano ci aveva dato la soddisfazione di riconoscere il diritto al rimborso. Quali sono state le motivazioni che vi hanno spinto a intraprendere questa battaglia? Questa iniziativa è partita da Pieraccioli, che lavorando con Linux e quindi facendo parte della sua comunità, ha a cuore lo sviluppo del Software Libero e della concorrenza in materia di software. Queste sono battaglie che nascono per passione. Richiedono un grande dispendio di tempo e di energie, ma, essendo cause pilota, fanno sì che il nostro lavoro – in termini di atti, di scritture, di presenze dal Giudice di Pace, etc. - possa servire ad altri che vogliano seguire il nostro esempio. Sicuramente, se rimane un caso isolato, si arriva poco lontano; la battaglia è appena iniziata e non è neppure finita giudizialmente.. speriamo in una conferma della sentenza in appello..ma anche se si arrivasse ad una sentenza definitiva, è una..i tribunali sono tanti (in Italia, nel mondo). E purtroppo i comportamenti vessatori delle aziende non cessano se tutti, o almeno coloro che ci credono, non si impegnano in questo tipo di azioni, spendendo un po' del proprio lavoro e del proprio tempo. Comprendiamo che sono questioni di principio, ma in Italia è così. La lotta si fa su vari fronti: c'è la lotta parlamentare, come quella giurisdizionale. Speravo in una risposta di questo tipo. Nel senso che chi è lontano dal mondo dell'informatica potrebbe pensare che sia solo una questione di riavere indietro un centinaio di euro. Credo quindi che sia importante riuscire a comunicare in modo chiaro il fatto che la class action non è tanto un'iniziativa contro MS né un qualcosa che si limiti alla richiesta di un rimborso e basta, bensì un'iniziativa a favore della liberalizzazione del mercato e quindi dei sistemi operativi alternativi e delle economie locali che stanno nascendo intorno ad essi (come indicato nel punto 2.8 del vostro esposto alla Commissione Europea). Certo, e questa è una motivazione importante perché dietro alla libertà del software ci sono tante realtà intellettuali, lavorative, creative. Senza entrare nel merito della bontà dei programmi proprietari rispetto a quelli liberi...è un principio. E in ogni caso è anche una questione di legalità: se ho una licenza che mi dice che ho diritto a un rimborso, non vedo perché questo diritto debba essere negato. Ci si potrebbe fermare anche al contratto, tralasciando il problema dell'abuso di posizione dominante. Ti ringrazio per l'impegno che hai dedicato finora a questa causa, che sta a cuore da anni a tutta la comunità del Software Libero. E in bocca al lupo! Crepi! Nuovo manuale gratuito, con video-guide: “Linux per tutti - Ubuntu facile Manuale” Liberamente accessibile dalla home: http://www.istitutomajorana.it o direttamente dal link: http://www.istitutomajorana.it/index.php?option=com_content&task=view&id=358&Itemid=33 Un modo facile ed inaspettato per passare a "Linux" Sono già disponibili i primi capitoli dell'opera e presto seguiranno gli altri. Impariamo ad utilizzare, gratuitamente, le enormi risorse che ci offre il software libero. E del resto i tempi sono lunghi. Immagino che siano state tutte queste difficoltà a spingervi a tentare la strada della class action.. Certo, perché fare una causa di 150€ è di per sé antieconomico, e quindi poco conveniente fatta eccezione per chi è mosso da una questione di principio. Chi può permettersi o ha voglia di perdere le mattinate in udienza, nonché altro tempo ed energie per capire la questione e prepararsi? L'idea della class action nasce proprio dal fatto che, pur essendo una questione giuridicamente semplice - c'è un contratto che deve essere rispettato - le difese della controparte sono così forti e così tenaci che abbiamo pensato che i cittadini singoli non possano sfondare questo muro da soli. La class action – a parte il fatto che ora la vogliono rinviare e nonostante i difetti e i limiti della nostra legge – rappresenta sicuramente lo strumento giusto, perchè noi portiamo avanti la vittoria da un punto di vista giuridico, dopodiché nella camera di conciliazione che si crea a seguito della sentenza, i cittadini che hanno aderito (anche fino all'ultimo) possono chiedere un rimborso sulla base della propria vicenda e quindi trattare in quella sede il proprio rimborso senza doversi accollare costi e tempi che comporta un processo individuale. E ottenere subito il rimborso? No, non subito. La class action è divisa in due fasi. La prima è quella dell'analisi delle questioni giuridiche al termine della quale il giudice giunge a una conclusione (se l'azienda è tenuta a rimborsare i consumatori oppure no). Nella seconda fase, postgiudiziale, l'azienda, stante la sentenza, si mette d'accordo con i singoli aderenti sulle modalità con cui adempiere alle decisioni del giudice. Se questa camera di conciliazione non funziona – magari perché l'azienda non partecipa – a quel punto il cittadino deve fare causa individuale...magari facendosi forte della sentenza della class action, ma comunque deve fare una causa individuale per ottenere quanto gli spetta. Alcuni ritengono che una class action contro Microsoft non sia legittima, perché di fatto sono i produttori hardware a negare/ostacolare il rimborso. Ma la class action è contro i produttori, non contro Microsoft. Se leggi bene il sito, vedi che l'idea è quella di raccogliere per ora preadesioni, per capire quali sono i produttori contro cui fare la class action. Nessuno farà causa a MS, perché MS non è chiamabile in causa. L'atteggiamento vessatorio è dei produttori...a nostro avviso perché soggiogati dal potere e dalla posizione dominante di MS; però tale questione compete il garante dell'Antitrust, non è una que- stione giudiziale. Quindi la class action sarà tecnicmente rivolta ai produttori hardware. Quindi il form presente sul sito dell'ADUC serve proprio a questo.. Sì, per darci modo di preselezionare il materiale, decidere contro chi fare la class action e iniziare a raccogliere anche persone motivate che, nel momento in cui noi facciamo questa azione collettiva, diano il sostegno documentale e l'adesione immediata fin dalle prime parti del processo. Insomma, siano di pari passo con noi. In fondo, noi non la facciamo per noi, la facciamo per loro. Quali sono i limiti della class action italiana (rispetto al modello americano, ritenuto superiore)? Sembra che l'attuale governo voglia rinviare l'attuazione della legge sulla class action perché ritenuta inadeguata. La senatrice Donatella Poretti dei Radicali-PD, in collaborazione con l'ADUC, sta elaborando un nuovo disegno di legge: ci puoi sintetizzare i punti chiave di questa proposta? Sul secondo punto non sono molto preparata, perché di quella proposta di legge si stanno occupando altri collaboratori di ADUC. Posso invece sintetizzarti i limiti della legge italiana sulla class action. Il primo è la distinzione – che già abbiamo visto – tra fase giudiziale e fase conciliativa. Si introduce un assurdo logico: una volta che è intervenuta una sentenza, non vedo cosa ci sia da trattare; una sentenza può stabilire un risarcimento e fare in modo che questo risarcimento venga attuato immediatamente, quindi dall'ufficiale giudiziario e non in camera di conciliazione. Questa distinzione allunga i tempi e rende necessarie successive azioni individuali che non dovrebbero esistere, visto che si fa la class action apposta per evitare ai cittadini l'onere delle difese individuali. A nostro avviso è un modo per ritardare le “mazzate” per le aziende. Nel corso della trasmissione Blog del 4 giugno 2088, diretta da Raffaele Festa Campanile, l’avvocato Francesco Elia e l’avvocato(già magistrato) Gennaro Francione hanno avanzato l’idea del Giudice di Quartiere ovvero di un giudice decentralizzato che, in civile e penale, sia a diretto contatto col territorio, cioè a stretto ridosso delle zone dove sorgono le situazioni sociali conflittuali. Questa figura, secondo diverse modalità, è già realizzata in alcuni paesi europei e corrisponde alla necessità di realizzare una più efficiente “giustizia di prossimità”. Si tratterebbe in Italia di creare questa figura autonoma e valorizzarla appieno in tutte le sue potenzialità, facilmente accessibile dal cittadino per risolvere velocemente e con spesa irrisoria se non gratis sia conflitti civili che penali di minimo rilievo. In civile i due avvocati, ideatori del blog “Le avanguardie del diritto” http://flash.studiolegaleelia.it/index_resize.html), hanno individuato figure già esistenti quali il conciliatore e l’arbitro, in funzione il primo di mediatore secondo equità e conciliatore delle controversie; il secondo di vero giudice parallelo a quello ordinario, veloce e facilmente accessibile. Al conciliatore e all’arbitro di quartiere civilisti si affiderebbe una funzione conciliativo-mediatoria-decisoria nei casi più comuni come le controverse di condominio, le liti di vicinato etc..Si tratta di situazioni talora esplosive acuite dalla lentezza della procedura normale che porta all’impossibilità pratica di rivolgersi a un giudice ordinario. Proprio la tensione protratta e il senso di non giustizia portano spesso questi contrasti a degenerare, creando “reati di cortile”(ingiurie, minacce, lesioni etc.), talora sfociati in veri e propri omicidi. In penale i due avvocati hanno avanzato il progetto di un nuovo giudice ad hoc che gestisca reati minori o comunque con pena minima con un criterio assolutamente nuovo e rivoluzionario, espresso da Francione nel suo recente libro IL DIRITTO PENALE TRA REALTA' E UTOPIA, (Herald Editore, Roma 2008). Francione ha creato il Movimento per il Neorinascimento della Giustizia(http://www.antiarte.it/eugius/) che si batte per una giustizia sostituente al medioevale “diritto penitenziale”(fondato sulla punizione) il nuovo “diritto medicinale”, basato su cura, sanzioni e misure di sicurezza per la repressione dei reati con l'au- silio delle nuove tecnologie(es. braccialetti elettronici), della psicoterapeutica, e grazie all'estensione del controllo dei devianti direttamente sul territorio. Nel crimine, in prospettiva neoumanistica, non deve più contare quello che si è fatto, ma perché lo si è fatto e quale il rimedio per prevenire e guarire. Questa la chiave di volta di un processo medicinale e microstrutturato. Punire semplicemente il deviante e abbandonarlo all’uscita del carcere significherebbe ritrovarselo addosso peggio e più attrezzato di prima. Un compito di prevenzione e recupero tanto più facile da realizzare quanto più il giudice sia a stretto contatto col territorio assegnatogli che controlla e gestisce con equipe di esperti. Un modello immediato di giudice di prossimità è stato avanzato da Francione nel SEMINARIO SULLO STALKING ALLA REGIONE LAZIO tenutosi il 10 giugno 2008 a Roma. Là andando controcorrente, ma riscuotendo ampi consensi, il relatore ha contestato la necessità di un nuovo reato di stalking (persecuzione) in esame al parlamento, ritenendo che siano sufficienti le norme già esistenti(violenza privata art. 610 c.p., minacce, 612 c.p., molestia o disturbo alle persone art. 660 c.p.). Integrando la proposta di legge regionale del consigliere Claudio Bucci, ha invece avanzato la necessità di instaurare un dialogo tra la vittima e l’autore del comportamento deviante, spesso una persona normale disturbata da eccesso d’amore, ricorrendo alla nuova figura del Giudice Mediatore di Quartiere. Si tratta di un giudice con funzioni confidenziali amministrativo-pregiurisdizionali di prevenzione e conciliazione, attrezzato per le sue capacità comunicative e multisciplinari ma soprattutto con l’ausilio di esperti di intervenire sui fatti illeciti prima del loro insorgere. Un autentico Pacificatore Sociale di Quartiere. dell’opinione pubblica. Le vicende giudiziarie e mediatiche che hanno visto come protagonisti uno dei membri di “Casa Savoia” ed il fotografo Corona sono, al riguardo, assai eloquenti. Negli articoli di stampa, lo spazio dedicato alle notizie dell’inchiesta vera e propria è stato minimo, se rapportato a quello, assai piu’ ampio e dettagliato, riservato a storie di sesso vero o presunto, a millanterie, a turpiloqui, a carriere di persone non indagate e via dicendo. L’inchiesta ribattezzata “Calciopoli” ha visto, per settimane intere, tutti i quotidiani dedicare molte pagine alla pubblicazione delle intercettazioni e, addirittura, un noto editore pubblicare, al prezzo certamente remunerativo di € 5,90 cadauno, ben due volumi (rispettivamente di 426 e 243 pagine) aventi il medesimo integrale oggetto. L’accusa di abuso del diritto di informazione, di scandalismo e voyeurismo mediatico, da piu’ parti sollevata, trova nelle predette vicende un qualche sicuro fondamento ed impone meditate ma non meno ferme riflessioni. L’obbiettivo ineludibile è, ovviamente, quello di trovare un punto di equilibrio tra il diritto di cronaca e il diritto di ogni individuo ad essere rispettato nella propria dignità, nella propria identità e nella propria intimità. Le possi bi l i sol u zi on i Nel conflitto tra interessi egualmente garantiti dalla Costituzione, il bilanciamento tra il diritto alla riservatezza ed il diritto di informazione non pare, però, suscettibile di soluzioni aprioristiche ovvero di una qualsivoglia minuziosa codificazione di regole preventive. In effetti, la molteplicità e la varietà delle vicende di cronaca e dei soggetti che ne sono coinvolti non consentono di stabilire ex ante ed in modo categorico quali particolari e quali notizie possano essere raccolti e diffusi. Spesso, anzi, la pubblicazione che appare legittima in un determinato contesto, non potrebbe esserlo in un contesto diverso. Dunque, come evidenziato dal Garante della Privacy con un documento datato 11.6.2004, appare inevitabile che “il bilanciamento tra i diritti e le libertà di cui sopra resta in sostanza affidato in prima battuta al giornalista il quale, in base a una propria valutazione (che può essere sindacata) acquisisce, seleziona e pubblica i dati utili ad informare la collettività su fatti di rilevanza generale, esprimendosi nella cornice della normativa vigente -in particolare, del Codice Deontologicoe assumendosi le responsabilità del proprio operato”. Peraltro, con specifico riferimento alla pubblicazione delle intercettazioni telefoniche, con una precedente decisione datata 29.10.1997 il Garante ebbe a precisare: - che “il giornalista ha il dovere di acquisire lecitamente i documenti relativi alla trascrizione di intercettazioni effettuate nel corso di una inchiesta giudiziaria e di utilizzarli nel rispetto delle finalità perseguite”; - che “la diffusione di i nterc ettazioni t elefoniche deve t ener conto dei limiti del diritto di cronaca posti a tutela della riservatezza anche quando il fatto rivesta un interesse pubblico”; - che “la notizia ed il dato personale pubblicato senza il consenso dell’interessato deve rispettare il principio della essenzialità della informazione”; - che, pertanto, l’interessato “ha diritto a che rimangano riservate quelle parti delle conversazioni intercettate che attengono a comportamenti strettamente personali non connessi alla vicenda giudiziaria o che possono riguardare la sfera della sua vita intima”. Né dovrebbe sottacersi, quanto alle stesse persone indagate, che con deliberazione in data 8.11.2004 il Garante ebbe a stabilire che “i nomi degli indagati e degli arrestati possono essere resi noti, ma il giornalista deve valutare con cautela i giudizi sulle persone indagate nei primi passi dell’indagine e la stessa necessità di divulgare subito le generalità complete di chi si trova interessato da una indagine ancora in fase iniziale”. Volgendo per un attimo nuovamente il pensiero alle vicende mediatiche alle quali s’è fatto cenno, quand’anche l’acquisizione dei documenti relativi alla trascrizione delle intercettazioni sia avvenuta in modo lecito, appare arduo sostenere che la loro pubblicazione abbia avuto luogo, in tutto o in parte, nel rispetto di tali principi (con particolare riguardo a persone e fatti estranei alle vicende giudiziarie, nonché al carattere intimo e riservato di alcune delle conversazioni date alla stampa). Facile è, pertanto, sospettare che, sovente, anziché il diritto all’informazione venga privilegiato può vietare il trattamento” (art. 139). Pur prevedendo, inoltre, l’esenzione da alcune restrizioni previste per altre categorie (ad esempio, in materia di dati giudiziari), stabilisce che, in ogni caso, debbano restare“fermi i limiti del diritto di cronaca a tutela dei diritti di cui all’art.2 e, in particolare, quello dell’essenzialità dell’informazione riguardo a fatti di interesse pubblico” (art. 137). Il Garante, nell’ipotesi accertata di violazioni del Codice della Privacy (e del Codice Deontologico), può adottare una serie di misure che varia dal blocco al divieto totale o parziale del trattamento (art. 143), che può essere preceduta dalla prescrizione, anche d’ufficio, di ogni cautela opportuna (ivi compreso il divieto o il blocco del trattamento dei dati: art. 154). L’inosservanza dei provvedimenti del Garante è sanzionata penalmente (art. 170). I diritti sanciti dal Codice della Privacy possono, naturalmente, essere fatti valere in via alternativa anche davanti all’autorità giudiziaria (art. 145). U n probl em a n on sol o i ta l i a n o. In verità, la problematica delle intercettazioni telefoniche e dell’uso fattone dalla stampa non è di carattere esclusivamente nazionale. Nel mese di giugno del 2006 il Congresso degli Stati Uniti d’America ha approvato a maggioranza (227 voti contro 183) una risoluzione contro le fughe di notizie considerate “dannose per la sicurezza nazionale” con esplicito invito ai media ad applicare criteri di autocensura. Obbiettivo della maggioranza trasversale creatasi in seno al Parlamento statunitense è stata, in verità, la pubblicazione di intercettazioni telefoniche non autorizzate, riguardanti centinaia di migliaia di persone, anche non residenti negli States, che il governo ha motivato con fini di lotta al terrorismo, non considerati tali da alcuni autorevoli quotidiani (quali: New York Times, Wall Street Journal e Los Angeles Time): è stata, invece, respinta una proposta del senatore repubblicano John Cornyn che prevedeva di investire del problema, con un divieto sanzionato, non i giornali ma i funzionari governativi (considerati colpevoli di trasmettere alla stampa le informazioni sulle intercettazioni). Per tutta risposta, il New York Times ha ribadito di ritenere illegali le intercettazioni e obbligo civile dei mass media rivelarle alla Nazione, mentre il Wall Street Journal, pur ritenendo che “quando un governo manda a processo i giornalisti si finisce nella censura”, ha di fatto accolto l’invito a dare vita ad una propria forma di autocensura. Come si vede, pur con ovvie differenze politiche e culturali, il cuore del problema è ovunque riconducibile al rapporto tra giustizia e informazione o, se si vuole, tra potere e diritti dei cittadini. I prota g on i sti d el n ostro si stem a : m a g i stra ti e g i orn a l i sti Se una democrazia tra le più attente alla libertà dell’informazione è divisa su un tema così delicato, per quanto ci concerne credo che occorra prendere lo spunto da recenti fatti di cronaca (che hanno visto, di volta in volta, coinvolti il mondo bancario, del calcio, della nobiltà, dello spettacolo e della politica) al fine di analizzare i comportamenti posti in essere dai veri protagonisti, anche mediatici, di tali vicende. Il nostro Paese ha sovente riconosciuto a magistrati e giornalisti il merito e la capacità di mettere in luce interi settori inquinati della vita civile ed istituzionale: da troppo tempo, peraltro, si rinnova l’immancabile rituale delle reciproche accuse e dei vicendevoli rimbrotti, soprattutto quando l’oggetto del contendere è rappresentato dalla attuazione e dalla pubblicazione delle intercettazioni telefoniche. Ognuno imputa all’altro violazioni di norme di legge ovvero del senso della misura, invocando la corretta applicazione delle regole del diritto e della deontologia professionale. Le ragioni della magistratura vengono, spesso, racchiuse nel seguente assioma: le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni telefoniche, oltre che previste e disciplinate dalla legge, sono mezzi di ricerca della prova insostituibili nell’epoca moderna, nella quale sovente chi delinque non lascia ulteriori tracce dei propri comportamenti. Le ragioni del giornalismo sono solitamente riassumibili nel presunto obbligo deontologico di dover pubblicare tutto il materiale in qualunque modo acquisito, allo scopo di rispettare quella sorta di patto etico stipulato con i lettori, che impone il disvelamento della realtà e della verità, ancor piu’ dovuto quando sono coinvolte nei fatti persone di rilievo pubblico. Senza la presunzione di poter stabilire in modo inequivoco da quale parte stia la ragione, non sarà inopportuno offrire alcuni dati e qualche sommaria riflessione su di essi. I d a ti L’escalation che negli ultimi anni ha vissuto tale strumento di indagine è, oggettivamente, stata così impressionante da indurre alcuni osservatori a qualificarla come forma di vera e propria “bulimia intercettatoria”. In effetti, secondo i dati forniti da Eurispes, l’incremento delle intercettazioni negli ultimi 7 anni è stato notevole: se nell’anno 2001 i telefoni intercettati erano 32.000 circa, nel 2002 sono diventati 45.000, nel 2003 quasi 78.000, nel 2004 quasi 93.000, nel 2005 oltre 107.000, con un ulteriore incremento nell’ultimo biennio sino a giungere al numero di 112.623 nell’anno 2007. regalare a dei ragazzini di 12 anni un telefono dotato di fotocamera o di telecamera. La presenza di questi strumenti invita ad un uso anche troppo “creativo” del cellulare ed espone il ragazzino ad una serie di rischi francamente inutili. Il mio personalissimo consiglio è di non regalare uno strumento dotato di microcamera prima dei 14 o 15 anni (sarebbe meglio 18, ma chi ci riesce?). Gli “altri” Ho un vecchio PC, dotato di interfaccia Wi-Fi. Il mio vicino di casa ha una connessione Wi-Fi non protetta a cui riesco ad accedere. Ho deciso che lascerò questo PC, privo di antivirus e di firewall, nelle mani di mio nipote, che ha 12 anni. Gli permetterò di accedere ad Internet attraverso la Wi-Fi del vicino e di installare tutti i giochi che vuole. Tanto, anche se si becca un virus, il mio PC resta protetto sulla mia rete di casa, dietro al mio firewall. Non c'è motivo di spendere soldi in antivirus e cose simili. Sarà qualcun altro a subire le conseguenze della incompetenza di mio nipote e della mia totale mancanza di senso di responsabilità. Sono una vera carogna, non è vero? Un lurido bastardo che permette ad un innocente di spargere infezioni e di fare danni ad altri inno- centi solo per non dedicare alla sicurezza quel minimo di attenzioni che sarebbero necessarie. Ecco: questo è ciò che penseranno di voi se permetterete ad un ragazzino di accedere ad un PC senza alcun controllo e di spargere delle infezioni in Rete. Dal vostro punto di vista, gli altri sono le persone come me. Ma dal nostro punto di vista, gli altri siete voi. Se voi non vi occupate di noi, noi non ci occuperemo di voi. Cercate di capire questo banale concetto una volta per tutte e di comportarvi in maniera socialmente responsabile. Conclusioni Spero di non avervi strapazzato troppo. Certi artifizi verbali sono necessari per “attraversare lo schermo” ma non vanno presi troppo sul serio. Spero anche di esservi stato di aiuto nel gestire il difficile rapporto tra voi, i vostri figli e la tecnologia digitale. Tenete presente che basta cercare “internet bambini sicurezza” da Google per trovare migliaia di pagine in italiano che possono aiutarvi ad approfondire questo tema. Ci sono anche molte mailing list a cui è possibile rivolgersi per scambiare qualche opinione e trovare aiuto. Internet è la vostra migliore amica, ricordatevelo. I bambini ed il web “tradizionale” Internet è vostra amica. Non solo: è la migliore amica di cui possano godere i vostri figli. Non ci credete? Fate questo esperimento: quando vostro figlio vi chiede qualcosa che avete studiato 30 anni fa e che ora non ricordate più, provate a cercarlo con Google. Ad esempio, quando vi chiederà qualcosa del Paradosso di Zenone, che affascina sempre i ragazzini, provate a cercarlo con Google. Scoprirete che esistono circa 10.000 (diecimila) pagine che ne parlano, tra cui quella di Wikipedia. Vi basterà leggerla per evitare le solite mezze figure da matusa fuori esercizio. Oppure, quando vi chiederà qualcosa del Kazakhistan, provate a cercarlo con Google Maps e/o con Wikipedia. Farete un figurone. Il web “tradizionale”, cioè quello di Google, di Wikipedia e di Repubblica Online, è una fonte di informazioni inesauribile e non deve essere sottovalutato. Naturalmente, vostro figlio questo lo sa già e, infatti, quando gli chiedono una ricerca sui Babilonesi si limita a cercare la pagina relativa su Wikipedia, stamparla e consegnarla all'insegnante (senza leggerla, ovviamente). Non preoccupatevi di questo: gli insegnanti sanno benissimo come affrontare la situazione. Basteranno un paio di domande “mirate” per convincerlo a studiare un po' meglio le cose che scarica dal web. Il web tradizionale comporta solo un tipo di rischio “reale”: quello di imbattersi in contenuti pornografici (o comunque sgraditi). Potete evitare situazioni imbarazzanti usando un sistema di “parental control” locale od un apposito portale di accesso ad internet. I sistemi di parental control sono semplicemente dei filtri che impediscono agli utenti del PC di vedere determinati siti web. L'elenco dei siti web viene compilato e mantenuto aggiornato dal produttore, per cui non occorre che ve ne preoccupiate. Se vi imbattete in qualcosa che non gradite, e che il sistema non ha filtrato, potete aggiungere il sito all'elenco usando gli appositi comandi. Quasi tutti i sistemi di parental control permettono di avere un trattamento diverso per i diversi utenti dello stesso PC per cui voi, che avete 40 anni, non sarete limitati ai soli siti web della Disney ma vostro figlio, che ne ha 12, non potrà vedere le donnine nude. I sistemi di parental control sono inclusi in quasi tutti i pacchetti dei moderni antivirus (Norton Antivirus, McAfee, Kaspersky, AVG, etc.). Consultate la guida del vostro antivirus per capire come configurare il suo sistema di parental control. Potete anche trovare altri sistemi ed altre informazioni cercando “parental control” con Google o con Wikipedia. I portali per bambini sono dei “proxy server” che svolgono la stessa funzione dei sistemi di parental control. In questo caso, si configura il browser web in modo che si colleghi automaticamente al portale e poi si continua la navigazione da lì. Il portale provvede a filtrare i contenuti indesiderati. Ovviamente, questi sistemi sono abbastanza semplici da scavalcare. Potete trovare portali di questo tipo cercando “portale bambini” da Google. I bambini ed il web “sociale” Il cosiddetto web 2.0, cioè quello orientato alla creazione di comunità di utenti, è un altro paio di maniche. La stragrande maggioranza delle applicazioni del web 2.0 è assolutamente innocua ma in alcuni casi queste applicazioni espongono i bambini a due tipi di rischi. Da un lato i bambini rischiano di imbattersi in materiale destinato agli adulti e che il sistema di parental control non è in grado di filtrare. Tanto per capirci: se YouTube viene “abilitato” per permettere al ragazzino di vedere le clip dei cartoni animati lo sarà anche per vedere i filmati pornografici (YouTube provvede a filtrare internamente i contenuti ma il filtro è facilissimo da bypassare). Dall'altro lato, sui siti destinati alla socializzazione, i bambini rischiano di incontrare qualche malintenzionato. Non c'è motivo di essere paranoici per questo. Le statistiche ci dicono che solitamente i ragazzini passano dei guai a causa di persone che appartengono al loro ambiente familiare ed al loro intorno sociale, non a causa di incontri occasionali su Internet. Tuttavia, un minimo di prudenza è necessaria. Che diremo ai bambini? Le tecnologie digitali ed i minori Se avete dei figli di età compresa tra i 6 ed i 12 anni, di sicuro avrete notato quanto essi siano a loro agio con i computer. Di fatto, sono molto più a loro agio loro coi PC di quanto riusciremo mai ad esserlo noi, che pure siamo dei professionisti. Non è certamente un caso che le mamme che hanno dei bambini di questa età siano solite ripetere: “Mio figlio è bravissimo coi computer.” La velocità con cui questi ragazzini “pestano” sulla tastiera è effettivamente impressionante. Ma, al di là delle mitologie urbane, sarà poi vero che questi micidiali ragazzini siano così bravi coi computer? Fate questo esperimento: chiedete ad uno di questi ragazzini di creare un account di posta su Yahoo e/o di configurare il programma di posta (Thunderbird o MS Outlook) in modo da inviare e ricevere messaggi. Non è un compito difficile come potrebbe sembrare. In realtà, una volta che gli sia stato mostrato come fare, quasi qualunque ragazzino di 10 o 12 anni è in grado di ripetere l'esercizio con successo. Come potrete notare, però, quasi nessun ragazzino di età compresa tra i 6 ed i 14 anni è in grado di farlo da solo, senza la guida di un adulto od una dimostrazione precedente. La ragione di questo fallimento è che per completare questo esercizio è necessario sapere cosa di deve fare (cioè bisogna trovare e leggere le “istruzioni”), bisogna saper usare la tastiera (non i tasti cursore, che si usano per i giochi), bisogna identificare e avviare un programma sul PC (cioè bisogna sapere che un PC può ospitare più programmi), bisogna identificare ed usare l'apposita pagina di configurazione ed infine bisogna saper raggiungere un risultato per tentativi ed errori. In altri termini, si tratta di un esercizio di “problem solving” tutt'altro che banale. Troppo difficile? Provate a chiedere ad uno di questi ragazzini di scrivere un documento con MS Word o OpenOffice Writer e fare in modo che il programma generi automaticamente il sommario. Si tratta semplicemente di posizionare il cursore dove si desidera che appaia il sommario e attivare il relativo comando “Inserisci sommario” dal menù “Modifica”. Nulla di complicato ma... il vostro ragazzino c'è riuscito? Quasi certamente no. Se frequenta le scuole medie, a scuola gli dovrebbero aver già insegnato a scrivere un documento Word ma, quasi sicuramente, non gli avranno mostrato questa funzione ed il ragazzino, da solo, non sarà riuscito a trovarla e farla funzionare (soprattutto se non sa cosa sono gli stili). La realtà è che i ragazzini di oggi sono bravissimi a giocare sul PC (con uno dei molti videogame disponibili) ma non sanno affatto usare un PC, nemmeno per quel poco che gli viene insegnato a scuola. Sono due attività completamente diverse ed il fatto di eccellere nell'una (il gioco) non significa affatto essere bravi nell'altra (uso ed amministrazione del PC). Soprattutto, saper pestare sulla tastiera per distruggere questo o quel mostro virtuale non significa affatto aver compreso cosa sia un computer e quali conseguenze comporti il suo utilizzo. NOTA: La situazione è del tutto diversa in USA, dove si insegna spesso ad usare ed amministrare i PC anche a ragazzini di 8 – 12 anni. Questo ritardo della nostra scuola è uno dei molti motivi della nostra arretratezza. I bambini ed i PC Questa situazione dovrebbe essere tenuta ben presente quando si affida il proprio PC ad un ragazzino di meno di 14 anni, anche se apparentemente sveglio. La statistica ci dice che quasi certamente il ragazzino sarà in grado di scaricare da Internet ed installare i suoi videogame preferiti ma altrettanto certamente non sarà in grado di agire nel rispetto del PC e degli altri suoi utenti (cioè voi). Il risultato finale potrebbe essere un PC inutilizzabile e gli utenti del PC disperati per l'inaccessibilità dei loro documenti. Uno dei rischi maggiori è che il ragazzino, insieme ad uno dei suoi videogame, installi sul PC anche un virus od un programma