Star Trek: BEYOND THE GALAXY

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Star Trek: BEYOND THE GALAXY
Star Trek: BEYOND THE GALAXY
EPISODIO #UNO: IL NEMICO OSCURO
Diario del Capitano - Data stellare 57012.9
L’ammiraglio Jonathan Quinn, in un rapporto preliminare per la USS Shadow, ha indicato il
sistema di Freyak come uno dei possibili avamposti di commercio illegale ferenghi. Appena
varata da due settimane, la USS Shadow sta prontamente dirigendosi alla regione stellare
designata.
Arthur stava analizzando i consueti rapporti mattutini che giungevano da tutte le sezioni della
nave. Oramai erano passate due settimane con una tale rapidità che nemmeno il Capitano
Vespucci credeva possibile. Si alzò risoluto dalla sua poltrona, ed iniziò a rimuginare con il
volto affacciato sull’oblò che dava nello spazio stellato. Sicuramente l’equipaggio aveva
ancora bisogno di adattarsi a quella missione: niente o pochissimi contatti esterni, assoluta
segretezza e soprattutto la forza di volontà per affrontare ogni giornata che passava.
Fortunatamente la USS Shadow non doveva giocoforza viaggiare nell’oscurità imperante: la
Flotta Stellare aveva ideato un emettitore olografico lungo lo scafo esterno che permetteva la
simulazione di molti modelli di astronavi conosciute, in modo da mascherare provvisoriamente
la loro vera identità. Arthur osservò malinconico l’elegante modellino del globo terrestre che
roteava centrale nel soffitto: avrebbe voluto far ritorno immediatamente a casa, ma sentiva
l’attrazione magnetica verso il dovere ed il rispetto per l’intera Federazione. Era rincuorato
dall’alta qualità dei suoi ufficiali, persone accomunate da un destino silenzioso e restrittivo ma
che avrebbe risparmiato la vita di molte persone. Il ronzio metallico del segnale d’ingresso
scosse Arthur che concesse il permesso all’astante appena oltre la soglia.
“Capitano Vespucci…” L’avvenente membro dell’equipaggio prese da sola il proprio posto
nella scrivania del suo superiore, ed accavallando le gambe attese il momento per cominciare.
“Consigliere T’Maren. Come al solito, estremamente puntuale.” Arthur detestava quella
precisione puntigliosa dei Vulcaniani, non tanto per odio sviscerato, quanto per invidia: certe
volte peccava proprio nella qualità opposta. T’Maren curvò il sopracciglio destro, quasi
cosciente dei pensieri del Capitano. “Non si preoccupi, signore: col tempo potrà presentarsi
con qualche secondo d’anticipo…” Quell’umorismo graffiante era tipico della scaltrezza
romulana, e per un malaugurato evento T’Maren aveva visto la sua vita irrimediabilmente
incrociata con la mente di un miliziano di Romulus. Scrollò la testa, e infine cominciò il
rapporto quotidiano: “Capitano, in qualità di Consigliere di bordo non posso che ritenermi
sufficientemente soddisfatta dalla reazione dell’equipaggio. Dobbiamo considerare il fatto che
la natura dell’incarico che pesa sulla Shadow non è minimale, anzi. A quanto posso intendere
c’è una volontà comune che però…Mi risulta ostica, signore.” Quella conclusione deviò
totalmente l’attenzione rigida del Capitano, che cercò di ovviare a quell’impasse logico: “Vede,
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Consigliere, da sempre l’uomo ha tentato di superare gli ostacoli che gli si frapponevano
contro con la forza comune: solo agendo consapevoli delle proprie scelte e del proprio futuro
si può sperare di vedere un’altra alba sorgere…” Arthur aggrottò la fronte, vedendo T’Maren
sporgersi oltre l’oblò che mostrava lo spazio risucchiato dalla rotta speculare. Tornò al suo
posto e commentò innocentemente: “Ma, signore…Io al mattino non vedo alcun sole sorgere
dal mio alloggio.” Il Capitano Vespucci sapeva che il Consigliere sarebbe pur sempre rimasta
una mezza Vulcaniana, e questo la portava ad assurdi concettuali legati alla natura di certe
metafore. Malgrado non ci credesse T’Maren parve rettificare la propria considerazione:
“Forse ho capito, signore…Beh, spero di poter vedere una nuova alba anch’io, domani.”
Arthur attese l’uscita del suo ufficiale, e con aria compiaciuta squadrò la parete a lato della
scrivania. All’estremo angolo sinistro, appena sotto il dispositivo d’illuminazione, si trovava un
reperto storico originale: un tempo l’umanità si serviva di quegli strumenti per calcolare il
tempo. Oggi esistevano i complessi algoritmi delle date stellari, ma ci volle poco al Capitano
Vespucci per capire di essere immancabilmente in ritardo di cinque minuti esatti. Aggiustò
frettolosamente i gradi sul colletto e fece il passo decisivo che lo avvicinava ogni giorno alla
Plancia. Sorrise dentro di sé quando notò un ghigno furtivo e sommesso del Consigliere
T’Maren. Ed era proprio quella la bellezza dell’avventura: sapere che qualcuno ti comprende
per come sei.
“Capitano in Plancia!” La voce rimbombante del Comandante Torlek echeggiò per le consolle
del ponte di comando, e gli ufficiali presenti si alzarono in segno di rispetto. Il Klingon
accompagnò il suo superiore nella propria poltrona di comando per poi sedersi a sua volta:
“Signore, abbiamo stabilito una rotta speculare verso il sistema di Freyak. Dovremo giungere
tra meno di mezz’ora. Stando alle ultime registrazioni dei servizi segreti federali, il terzo
pianeta del settore dovrebbe essere uno dei maggiori centri di smistamento del traffico
illegale ferenghi.” Arthur era contento di poter avere al suo fianco l’esperienza e la saggezza
di un Klingon: finora si era dimostrato un aiuto valido ed un compagno di missione capace di
sacrificarsi per la causa comune. Il Capitano Vespucci si godé i primi momenti della giornata
trascorsi nella Plancia che riverberava di un giallo ambra appena accennato ai margini esterni.
Si alzò dalla sua postazione e diresse i suoi passi verso la consolle del Timoniere Drake.
“Tenente, come procede il viaggio?” Cassandra, agiata nella sua poltrona, fece attendere il
suo superiore mentre rileggeva per sicurezza gli ultimi dati recepiti dal computer: “Direi bene,
signore. La nostra velocità speculare è di quattro punto otto. E’ una vera fortuna disporre di
un generatore autonomo di rotte speculari; sarebbe stato problematico se avessimo dovuto
contattare il Comando di Flotta…!” La giovane ufficiale aveva ragione: il reparto scientifico
della Federazione aveva pensato anche a questo.
Arthur si volse verso la sua poltrona e vide il Comandante Torlek discutere animatamente alla
consolle di Gul Kelmes. “Qualche novità sull’armamento di bordo, Kelmes?” Il Capitano
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Vespucci, essendo a conoscenza del fatto che il suo equipaggio di Plancia era una
commistione di razze non indifferente, preferì non affidare alcun grado al Cardassiano. Voleva
rispettare le origini del suo ufficiale, poiché avrebbe soltanto steso un alone di incontrastato
predominio federale che ostentava solo un potere inutile per l’incarico della Shadow. Il
cordato chinò il capo rispettosamente verso il Capitano e rispose al suo diretto superiore:
“Credo di avere sotto controllo gran parte del quantitativo offensivo della Shadow, signore. La
Federazione non si è certo limitata: quattro banchi phaser potenziati, sette batterie di siluri
fotonici, quattro compartimenti per i gusci al tricobalto e addirittura una bobina posta nella
cupola superiore della nave capace di generare un fascio di capsule quantiche…! Devo ancora
presentarle un rapporto completo sulla Sala armamenti, ma conto di completarla per le ore
15.00.”
Tutto procedeva squisitamente. Finché un’inattesa chiamata dall’Ingegneria colse in
contropiede l’equipaggio di Plancia.
Arthur si sedette incuriosito e rivolse lo sguardo verso l’immagine cristallina del visore che
stava proiettando la Sala macchine apparentemente priva del diretto interlocutore. “Signore,
qui parla il Tenente Tremenov. Abbiamo un problema.” La Shadow non aveva mai presentato
guasti insormontabili, e sicuramente non sarebbe stato uno scherzo condurla di soppiatto fino
ad Utopia Planitia, dato che solo lì era possibile eludere gran parte dei controlli federali. Se si
trattava di una missione totalmente segreta, così doveva essere sempre. Gli ufficiali di Plancia
attesero frementi le parole dell’Ingegnere capo, una figura spettrale - nel vero senso della
parola - che riusciva di tanto in tanto a stabilizzarsi fisicamente. In generale, comunque, i
membri dell’equipaggio erano costretti a colloquiare con un comunicatore fluttuante, e questo
non era di sicuro l’ostacolo più rilevante in quel momento. “Parli pure, Tenente.” Il Capitano
Vespucci scoccò un’occhiata dubbiosa verso il suo primo ufficiale, poi di seguito verso la
Consolle del Tenente Drake che mostrava i primi segni di difficoltà accompagnati da sinistri
ronzii del computer: cosa stava succedendo? “Capitano, abbiamo rilevato uno strano calo di
potenza nei giunti magnetici del nocciolo di curvatura. Abbiamo controllato più volte, e risulta
che qualcuno…” “…Si, Tremenov?” Il Capitano della Shadow temeva il peggio a pochissimi
giorni dal varo della nave, e forse si sarebbe prefigurato il primo scenario di discreta
rilevanza. “Signore, a quanto sembra i riflessi dagli specchi di curvatura si fanno sempre più
deboli. Prevedo che entro cinque minuti la nave sarà costretta ad una manovra d’emergenza.”
Torlek si alzò dalla sua postazione nel preciso momento in cui il volto del Tenente Tremenov
si ricompose al centro del visore, mostrando tutto il suo carico di incertezza. Il Comandante
volse la sua attenzione verso il suo superiore: era ora di correre ai ripari. Raggiunse la
consolle di Cassandra, ed i suoi passi furono marcati dal clangore della corazza klingon. “Mi
ascolti, Tenente: abbiamo bisogno di sfruttare la maggiore spinta possibile per i pochi riflessi
che ci rimangono. Stando alle coordinate attuali dovremo giungere al sistema di Alfa – Gauss
prima che la nave sia costretta ad una manovra di arresto. Nel preciso istante in cui il
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Tenente Tremenov le indicherà l’ultimo riflesso, punti la nave nelle coordinate opposte a
quelle che sta seguendo, e…” Il Consigliere fece percepire la sua intrusione senza parlare:
scrutò il Comandante, convinta che quella manovra avrebbe stroncato la nave. Torlek si volse
di rimando a T’Maren, e con quel briciolo di affabilità che aveva racimolato nella sua carriera
sentenziò: “Consigliere, credo che dopo essere scampato ad un attacco dei Borg possa
almeno dire di conoscere qualche manovra speciale.” In quella notò l’occhiata nascostamente
divertita del Capitano: effettivamente quella mossa sarebbe stata strategica ma
rischiosissima. Gul Kelmes terminò di digitare dati alla sua postazione e fece roteare la
poltrona in direzione del triangolo di comando: “Capitano, i sensori a lungo raggio hanno
stabilito l’origine del disturbo nel percorso speculare: tuttavia sarà necessario arrestare la
nave…” Il Guardiamarina Larsen, stratega di vecchia data, sapeva che tutto questo poteva
mettere a repentaglio la stessa missione della Shadow: di sicuro uscire di balzo da una
traiettoria speculare avrebbe disattivato l’occultamento della nave e sarebbero serviti alcuni
preziosi secondi per ricalibrare i proiettori. Erano attimi di tensione e d’angoscia allo stato
puro: sembrava quasi di spararsi a velocità incredibile contro un muro di cinta, consapevoli di
poterci lasciare la pelle.
“Ora!” Tremenov, in un tentativo grottesco di rimanere visibile, lanciò il segnale al Timone:
adesso spettava alle abili dita di Cassandra gestire la situazione. La nave iniziò a scalpitare,
mossa da una forza sempre più consistente, a tal punto che gli ufficiali al comando furono
costretti a tenersi alle proprie postazioni. Arthur attivò l’interfaccia vocale del computer ed
ordinò di predisporre il visore secondo quanto stava succedendo fuori; ciò che ne scaturì fu
un guazzabuglio senza fine che rimbalzava ai quattro angoli dello schermo e schizzava senza
sosta seguendo la rotta strozzata della nave. “Computer…! Trasferire i comandi del timone
alla postazione del Comandante Torlek!” Il Klingon prese sotto il suo controllo l’intera
astronave azzardando la manovra che aveva dettato al Timoniere. Si fidava ciecamente dei
suoi uomini, ma sentiva che quel compito spettava proprio a lui: in fondo, doveva
salvaguardare la vita del Capitano come quella dell’astronave. La Shadow parve gridare e
squarciare le stelle immobili ed impotenti a quello spettacolo tanto atipico quanto sinistro. La
nave uscì dall’occultamento, mostrando il suo scheletro luminescente e limpido che si
stagliava nello spazio siderale. Le gondole furono sottoposte ad uno sforzo tale che
continuarono a roteare strenuamente imbrigliando ancor più energia del necessario. Le vite di
duecento ufficiali erano nelle mani di un poderoso e fin troppo fiducioso Klingon: il destino
avrebbe deciso tutto.
Silenzio. Da troppo tempo era stato abituato a sentire la voce martellante e paranoica del
vuoto: aprì gli occhi speranzoso, e stavolta poté gioire nel vedere la nave quasi intatta che
manteneva la sua posizione. Torlek squadrò gli altri ufficiali che si trovavano seduti
circolarmente alla sua postazione: lesse nei loro occhi il piacere di rivedere le stelle. Una
nuova volta.
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Il Klingon sentì una mano nodosa massaggiargli la spalla destra: si volse di scatto come un
fiero discepolo di Kahless può fare, ma si trattava del volto autoritario del suo superiore.
Cassandra, pochi attimi prima di perdere il controllo della situazione, aveva capito che
qualcuno aveva trasferito i suoi controlli altrove, ed in cuor suo sapeva che era stato il
Comandante. La Shadow aveva anche bisogno di eroi; e stavolta Torlek aveva vinto una
battaglia personale che durava da troppi anni…Da quell’oscuro incontro con i Borg che
annientò quanto era rimasto in lui di onorevole. Arthur non disse nulla: lasciò allo spirito
granitico del Klingon percepire i suoi pensieri e quelli degli altri ufficiali di Plancia. I continui
battiti pulsanti delle consolle erano l’unica distrazione presente in quel momento perfetto, cui
si accavallò l’ennesima chiamata dalla Sala macchine. “Tremenov a Plancia…A parte qualche
bello scossone, qua va tutto bene. E’ ciò che ci attende fuori che mi spaventa.” L’Ingegnere
capo dalle apparizioni mirabolanti aveva predetto il giusto: la Shadow, ancora disoccultata,
doveva affrontare l’incognita che aveva traviato il suo viaggio.
Il sistema Alfa – Gauss era una regione piuttosto sconosciuta e di scarso interesse: quattro
pianeti di classe H e due stelle già in avanzata evoluzione. Arthur, almeno sicuro di avere la
nave integra, si rivolse risoluto al Cardassiano di bordo: “Kelmes, rapporto tattico.” Il cordato
fece attendere i membri della Plancia per qualche secondo, poi sentenziò: “Ci troviamo nei
pressi del secondo pianeta del sistema Alfa – Gauss, signore. La nave non ha subito danni
irreparabili, ma le gondole di curvatura sono state sottoposte ad uno sforzo eccessivo. Sto
mandando una squadra di riparazione.” Le parole del Cardassiano furono sovrapposte ala
voce sensuale ma salda del Tenente Drake: “Capitano, sto tracciando una traccia di
movimento nel sistema...I registri non riconoscono il vascello.” Tutti quanti si girarono verso
la poltrona del Capitano che si stava sfregando dubbioso il mento alla ricerca di una possibile
soluzione: chi stava attraversando quel sistema pressoché sconosciuto? “Guardiamarina
Larsen, apra un canale di comunicazione ed individui la frequenza della nave. Dobbiamo
scoprire di chi si tratta.” La Shadow non era in missione diplomatica, ed era necessario
mantenere l’assoluto anonimato prima di qualsiasi intervento. Joshua si districò nella giungla
di comandi, compiendo acrobazie sonore tra i pulsanti luminosi che raggiunsero una soluzione
vana. “Capitano, non riesco a modulare le onde di comunicazione. La nave è ancora troppo
lontana, e pare che abbia arrestato i motori.” Arthur appoggiò la testa alla mano accomodata
sul bracciolo destro, e lisciandosi la mascella disse: “Tenente Drake, rotta di intercettazione.
Quando c’è un mistero, la Shadow non manca mai.” Quella frase azzardata fece balzare il
morale degli ufficiali di Plancia, con la sola eccezione del ciglio incurvato del Consigliere
T’Maren. “Signore, se posso intromettermi consiglierei estrema prudenza. Percepisco qualcosa
di piuttosto inquietante se volgo la mia attenzione verso l’astronave sconosciuta…” La mezza
Vulcaniana, forte di un potere accidentale, capì che il suo superiore aveva afferrato il suo
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consiglio prezioso, e muovendo la mano aperta più volte fece intendere al Timoniere di
rallentare la velocità d’impulso.
Come un’ombra nella notte eterna dello spazio, la Shadow non poteva concepire ciò che la
aspettava di nell’arena di Alfa – Gauss: una nuova pedina stava architettando piani ingegnosi
al riparo dall’occhio vigile della Galassia.
La nave federale, prontamente occultata allo sguardo straniero, planò nel tappeto stellato e
slittò tra i recessi siderali del sistema di pianeti scarsamente visitato. “Signore, adesso ricevo
letture più precise…” Il Cardassiano catalizzò l’attenzione della Plancia, mentre il visore
mostrava la sagoma multiforme della stella principale di Alfa – Gauss avvicinarsi lentamente.
“I sensori registrano la presenza di una nave che sta eseguendo una traiettoria circolare ad
ottomila chilometri dal nucleo della stella.” Kelmes mosse gli occhi verso il Capitano:
“Confermo: il modello è sconosciuto. Non rilevo alcun tratto distintivo o familiare.” Arthur
ordinò di ingrandire lo spettro dello schermo principale: la luminescenza della stella si fece più
dirompente, ma ciò che interessava la Shadow si trovava nascosto oltre quella cortina
accecante. “Due navi nascoste: situazione incredibile, Capitano…” T’Maren cercava di
focalizzare la sua mente in qualche particolare rilevante, ma non leggeva nulla nella linea del
tempo che poteva maneggiare per pochissimi istanti. Il Capitano Vespucci si alzò dalla sua
postazione, dirigendosi verso il centro della Plancia. “Dobbiamo scoprire cosa stia
succedendo: essendo l’unica nave federale, la Shadow ha l’obbligo di investigare. Drake, ci
porti a cinquemila chilometri dalla nave; lei, Kelmes, si tenga pronto.” L’astronave slittò ancor
di più senza farsi vedere, ma quella fase di stallo doveva per forza risolversi in un confronto
alla luce della Galassia. “Capitano, credo che sia necessario concludere questa caccia al topo,
come dite voi terrestri. Abbiamo trovato qualcosa che esula dalle nostre conoscenze: sbaglio
o la Federazione si è quasi sempre cacciata in guai inimmaginabili di fronte ad una novità
inaspettata…?” Torlek si affiancò al Capitano della Shadow, e con fare deciso pronunciò:
“Bene, signori, è l’ora che questo gioiello mostri le sue capacità…E sapete cosa intendo.”
Arthur annuì alla proposta del suo primo ufficiale, e subito riprese il suo posto alla poltrona di
comando. “Comunicazione a tutto l’equipaggio: questa non è un’esercitazione. La nave sarà a
breve disoccultata: da questo momento dichiaro in uso la Direttiva Shadow. Ad ogni
postazione saranno inviate le specifiche di identificazione per l’equipaggio e per l’astronave:
non possiamo restare passivi davanti ad un potenziale nemico. Vespucci, chiudo.” Mai prima
d’ora era stato necessario applicare il codice federale predisposto appositamente per la
Shadow. In questi casi la realtà prendeva una piega diversa dal solito: un equipaggio di
dispersi riceveva una nuova identità, una nuova vita cui prestare fede per il tempo necessario
a concludere la missione. Gli ufficiali di bordo presero atto del cambiamento di programma e
si affidarono a quanto il computer centrale aveva elaborato: al USS Shadow NCC-21284, nave
stellare di classe Emperor , sarebbe stata identificata come la USS Incursor NCC-47892,
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intercettore di classe Intrepid in missione diplomatica verso il già noto sistema di Freyak.
“Signori, le danze sono aperte.” Larsen sbucò dal nulla con quella stoccata magistrale: in
realtà T’Maren credeva veramente che il primo contatto con quella nave aliena si sarebbe
paradossalmente risolto con una tenzone a suon di passi di danza, ma conosceva già da
tempo le variopinte espressioni terrestri elaborate per stemperare una situazione tesa.
Avrebbe voluto acquisire quel briciolo di umanità sufficiente per apprezzare l’ecosistema delle
emozioni terrestri, nonostante il suo animo fosse travagliato dall’incrocio casuale di due
mentalità agli antipodi. Serrò la mente, e quando schiuse le sue percezioni si ritrovò nei panni
ideali del Consigliere Relak: avrebbe agito come un dardo invisibile nell’aria, alla ricerca di una
risposta contro una minaccia incombente.
L’antro di nervature artificiali pareva ribollire energicamente, facendo sobbalzare la superficie
gravitazionale che permetteva l’accesso al cuore pulsante della Temponave. La Larva aveva
compiuto ligiamente il suo dovere, impassibile ed affidabile come era sempre stata: era stato
più complesso del previsto calcolare le coordinate di fuga, ma l’ordine era stato chiaro.
Cristallo stellare puro. Nello sconfinato panorama dei Multiversi esistono veri e propri nodi
cristallini cosparsi sporadicamente senza un criterio logico: la Mente a controllo della
Temponave aveva attraversato decine di eoni temporali e miliardi di sistemi stellari con il solo
Pensiero, la forma più evoluta di energia esistente fin dai primordi, per giungere infine nei
recessi remoti di una pezza siderale appartenente ad uno degli Schemi Universali di terza
classe. Nulla che presentasse qualità rilevanti, ma un pozzo anomalo di Cristallo era pur
sempre una scoperta intrigante. La Larva, unica entità presente al momento nell’unica cavità
della Temponave, si sciolse in una forma quasi liquida fondendosi ad un’enorme protuberanza
conica che si allungava sfociando nello spazio aperto: ben presto non lasciò più sue tracce.
Quel silenzio angosciante fu presto rimpiazzato da un ronzio inarrestabile e tamburellante che
scoppiò in un’esplosione azzurra. La faglia che si era aperta nella cavità pulsante si ricucì
dopo pochi istanti, gettando poderosamente due esseri viventi dall’aspetto cupo ed
agghiacciante. Il primo, dalla tonalità spiccatamente verde smeraldo e butterato da squame
sul torso, puntò in direzione di un oblò dall’aspetto cristallino – contaminato da macchie color
ambra lungo la superficie - che mostrò subitamente lo specchio dello spazio esterno. L’altro
simile, poco più alto e fornito di uncini acuminati come lame, socchiuse gli occhi come se
stesse per cadere in uno stato momentaneo di torpore, e di fronte a lui comparvero dei
prolungamenti filamentosi che si dipanarono lungo i suoi arti. La Temponave attivò una
traiettoria ellittica attorno all’obiettivo luminescente sotto il comando della creatura uncinata,
mentre il primo, scuotendosi con un colpo di coda, si dileguò invisibile.
Una presenza. Era tutto ciò che percepiva nell’aria esterna: un presagio annusato con la
tenacia e la forza di sopravvivenza. La Temponave disattivò la propulsione al comando della
creatura che si apprestava a modificare la propria rotta, assestandosi in direzione di un
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vascello alieno squadrato e robusto…Un’insignificante ombra che cercava di oscurare
qualcosa che nemmeno poteva concepire con la propria intelligenza impotente davanti al
mistero più grande dell’esistenza mortale: il Tempo.
Un bagliore giallastro si liberò da una pezza spugnosa posta di fronte alla creatura: quegli
alieni erano più intelligenti di quanto credesse. Volse accontentare una richiesta talmente folle
che sarebbe stata considerata la sentenza finale per una insolente specie galattica, ma
dopotutto la sofferenza è l’unica costante che si ripete pedissequamente nello scacchiere
infinito dei Multiversi. Ogni singolo alito di tempo sembra protrarsi verso il dolore, la
sofferenza e la morte: le fondamenta mortali che si diramano dallo stesso concetto di
esistenza. La creatura pareva sogghignare divertita, singhiozzando singulti macabri trasaliti:
non poteva temere nulla finché avrebbe avuto fiducia in Senzatempo. Lo spazio eterno e
sterminato si fonde in Lui. Gloria per chi lo venera, disfatta per chi lo sfida.
E quegli effimeri paradossi senzienti erano la feccia assoluta pronta a giustiziarsi da sola in
nome di una curiosità che sfocia nell’incoscienza e nella superbia.
“Sono Manuel Devenson, Capitano della nave stellare della Federazione Unita dei Pianeti USS
Incursor. La vostra presenza in questo settore ha destabilizzato la nostra rotta speculare; vi
prego di identificarvi.” Nessuna risposta. Solo il ritmo acustico del visore regnava sovrano
nella Plancia della fittizia astronave di classe Intrepid: gli alieni non rispondevano. Arthur fece
passare la mano destra sotto il collo, ed il Guardiamarina Larsen capì che doveva chiudere il
canale di comunicazione. “Suggerimenti, Consigliere T’Maren?” La mezza Vulcaniana puntò gli
occhi alla nave riflessa nello schermo del ponte di comando mentre stava orbitando
impassibile attorno alla stella di Alfa – Gauss. “Per quanto mi sforzi di focalizzare la mia
mente verso l’astronave aliena, non riesco a prevedere nulla. E’ come se…Se non fossero qui.
“ Torlek scosse la testa senza aver capito a fondo cosa avesse detto il Consigliere di bordo.
“T’Maren, cosa diavolo significa?” Il Klingon, nonostante la brutalità materiale di quella
domanda, aveva centrato il punto della situazione: la mezza Vulcaniana non riusciva ad
afferrare la presenza esterna segnalata dai sensori. Si girò in direzione del Cardassiano ed
ordinò: “Kelmes, provi a fare una scansione approfondita. Noterà…” “…Che il segnale appare
e scompare dalla linea temporale!” L’addetto alla sicurezza della USS Shadow aveva esposto
ciò che T’Maren sentiva come un’eco lontana. Il Tenente Drake avvertì il suo superiore di quel
cambiamento di programma: “Capitano, la nave sta attivando un sistema energetico
esterno…E’ tutto quello che le posso dire: sembra che abbia ripreso la traiettoria ellittica a
maggiore velocità.“
“Bene: una trattativa diplomatica fallita neanche all’inizio ed una nave che si sta avviluppando
attorno allo spettro energetico di una stella. Una giornata tutto sommato accettabile.” Arthur
socchiuse gli occhi verso il Consigliere e scolpì le labbra come tirate sotto la dentatura: era
davvero un enigma inestricabile. Non c’era più tempo per attendere: doveva prendere le
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giuste posizioni ad ogni costo. “Tenente Drake, ci porti in rotta di intercettazione. Kelmes,
phaser e siluri quantici pronti appena può; veda di analizzare la nave, ne scopra i più piccoli
particolari...E soprattutto, trovi un modo per agganciare il segnale.” La finta USS Incursor
attivò i motori ad impulso e si diresse schizzando oltre il terzo pianeta del sistema. Come
d’improvviso la consolle delle Comunicazioni emise un segnale continuo e flemmatico che
Larsen aprì senza esitare. “Signore: un messaggio dalla nave aliena.” Arthur alzò la mano
aperta a palmo, e tutte le operazioni ordinate poco prima cessarono. “Apra il canale, Larsen,
ed attivi il visore.” L’immagine sullo schermo presentò un antro cupo e vivo, come se ogni
atomo presente fosse cosciente della propria esistenza. Era difficile comprendere cosa fosse
apparso: una sala tattica della nave, una proiezione ipotetica di quanto fosse in realtà
oppure…Effettivamente, nessuno sapeva di cosa si trattasse. Quei dubbi insoluti affondarono
non appena il visore mostrò un artiglio luminescente che brancolava nell’oscurità. Lentamente
apparvero i primi tratti di una creatura mai vista prima, assimilabile forse all’aspetto di un
rettile ma fornito di due arti per la locomozione ed altrettante protuberanze scheletriche
dietro il torso. Gli ufficiali di Plancia cercarono di sotterrare il proprio raccapriccio quando si
manifestò il volto dell’alieno, una forma eccezionale ed assolutamente inquietante dalle
venature fitte e tese all’estremo come mille corde di violino. Il ponte di comando della USS
Intrepid echeggiò del tono mellifluo ed allarmante dell’entità aliena, una gamma di suoni che
sfuggiva nell’aria e rimbalzava nelle orecchie degli ascoltatori: “Il vostro sistema linguistico
non è poi così complesso, federali. Se credete davvero di metterci fuori gioco così facilmente,
dovreste ricredervi…Potrei farvi dimenare nel dolore assoluto e farvi emettere il vostro ultimo
respiro mentre tentate di implorare una pietà che non conosco, ma sarebbe troppo facile. Le
nostre strade si dividono, federali: ma non preoccupatevi, l’occhio della morte ha iniziato a
scrutarvi. Gloria a Senzatempo!” La comunicazione visiva venne troncata brutalmente, ed il
visore della Plancia tornò alla schermata spaziale d’inizio. Ancora scossi e rabbrividiti da un
ultimatum mortale, gli ufficiali della USS Intrepid attendevano soltanto gli ordini del loro
Capitano. Arthur non aveva mai affrontato una minaccia di quel calibro, una sfida che
nessuno finora aveva sentito risuonare nelle sconfinate lande spaziali. Il Capitano Vespucci si
allontanò dalla sua postazione, e puntando l’indice destro verso il visore proferì l’unica parola
che avrebbe potuto aprire uno squarcio incancellabile per sempre: “Allarme rosso.”
La USS Incursor si fece più minacciosa e per prima fece sgusciare dal suo scheletro due globi
energetici azzurrastri che si persero nello spazio. Il Comandante Torlek andò accanto alla
consolle Tattica e rimase ad assistere il Cardassiano. Gul Kelmes, accennando una punta di
disperazione, commentò: “Comandante, non riesco a puntare la nave…! Ho già lanciato due
siluri quantici senza riuscire nemmeno a sfiorarla!” Il Klingon impresse negli occhi del suo
sottoposto uno sguardo rassicurante, e da fiero combattente prese le redini di quella
postazione. Era logico che un Cardassiano finora abituato ad incarichi in solitaria fosse in
difficoltà con la tecnologia federale, così il Comandante appoggiò il suo compito
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immediatamente. Mosse la testa verso il Capitano ed annunciò: “Signore, il vascello alieno ha
iniziato una manovra d’avvicinamento al nucleo della stella…” Arthur fece roteare la sua
poltrona, dirigendola al Timone della nave. “Drake, alla via così verso la nave aliena.
Dobbiamo salvare la pelle, ma dobbiamo anche evitare un disastro stellare.” Così cercò di
giustificarsi all’atteggiamento scettico del Consigliere, poi attivò il canale di comunicazione
con l’intera astronave: “A tutti i ponti. Stiamo per avvicinarci al corpo celeste di una stella.
Tenetevi pronti per qualsiasi emergenza, e restate alle vostre postazioni. Non preoccupatevi:
torneremo a casa.” Arthur, d’un tratto, capì di aver commesso uno sbaglio profondo come la
ferita che la Flotta Stellare aveva inferto nel suo equipaggio: non esisteva più una casa. Gli
uomini alla guida della fantomatica USS Shadow dovevano rimanere vigili e pronti ad
intervenire anche sacrificando la propria vita, cancellata dal fato di un passato oramai remoto.
Nel sistema stellare si stava intanto disputando una lotta sudata ed inarrestabile, una corsa
contro il tempo che di tanto in tanto riverberava nei fasci luminosi degli armamenti opposti
fino ad infrangersi nelle navi nemiche. Il Capitano Vespucci sapeva che non doveva fallire: il
compito della USS Shadow era proprio cancellare qualsiasi preludio di un disastro futuro.
“Signore, la nave aliena…Non so come spiegarlo…Ha superato curvatura dieci!”
L’annuncio inquietante del Tenente Drake passò direttamente alla Sala macchine: come era
possibile che un vascello potesse infrangere l’ultima barriera disponibile raggiungendo una
velocità di crociera a dir poco improponibile? Il reparto dell’Ingegneria di bordo fremeva di
colletti color mostarda e voci sussurrate che si facevano fastidiose e mescolate allo scalpiccio
sulla superficie metallica del pavimento.
“Computer, attivare canale visivo con la Plancia.” Il Tenente Tremenov, seduto ad una
postazione nei pressi del nocciolo di curvatura, rimase inerme ad osservare lo spettacolo
atipico che si era generato nello spazio aperto: l’astronave aliena dalla forma di un arto
uncinato stava eseguendo una mirabolante spirale attorno al nucleo della stella come se fosse
un siluro impazzito che rimbalzava nelle pareti del nulla assoluto. “Tremenov a Plancia:
Capitano, credo che sia più sicuro allontanare la nave a distanza di sicurezza…Non sappiamo
cosa stia succedendo là fuori.”
Arthur dovette ammettere di aver perso contro un nemico sconosciuto, così dette l’ordine di
allontanarsi al più presto, pur rimanendo nel raggio visivo disponibile.
Tutto ciò che era rimasto era la semplice osservazione di qualcosa di talmente straniero da
far accapponare la pelle come un incubo notturno.
Finalmente.
La creatura aveva provato un tale disgusto per quei miseri bipedi che avrebbe accelerato la
propria missione anche a costo di fallire: ci sarebbe stato un tempo per l’attacco contro quel
crogiolo indefinito di menti inferiori, e quel momento non sarebbe giunto a breve…Dopotutto,
la morte è come un ospite che si fa desiderare: quando arriva, non si è mai pronti.
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L’entità vivente uncinata fece per sciogliersi dal groviglio di filamenti organici che avevano
avvolto i suoi arti nella procedura iniziale, e con un guizzo strozzato si fuse anch’essa con la
parete pulsante della Temponave. Tutto era pronto. Il vascello iniziò la sua fuga folle senza
sosta, un pandemonio di bagliori da far accecare chi non fosse fornito geneticamente delle
giuste protesi visive. La Mente al controllo del vascello compì il resto: l’ammasso cristallino di
quel remoto Universo fu circondato dall’energia pura dello stesso Pensiero, bordando
all’infinito il nucleo centrale con scariche tachioniche tali da generare un Portale. La
temponave raggiunse la massima velocità sotto uno sforzo impressionante e sgusciò
improvvisa oltre uno squarcio scucito dello spazio siderale.
Il silenzio. Eppure qualcuno viveva ancora in quel sistema. Un’altra creatura.
Se fosse stato un incidente o una mossa strategica, non era dato per ora saperlo. Nel
panorama sconfinato dei Multiversi una presenza era rimasta sfusa dalla propria Mente, come
recisa da un cordone vitale. Aveva appreso istantaneamente le peculiarità di quella porzione
di Multiversi, un granello di sabbia che prima avrebbe considerato insignificante.
Adesso il suo compito era cambiato: doveva affrontare una nuova sfida. Schiuse le
protuberanze scheletriche poste dietro il torso e con la stessa energia siderale schizzò fino a
giungere su di una superficie solida. Si trattava di quello stupido vascello che aveva intralciato
la sua missione alla ricerca dei Cristalli stellari. Non ci sarebbe stato un nuovo risveglio per
quelle forme insignificanti dotate di vita talmente effimera da impallidire davanti alla
dimensione sconfinata dell’esistenza priva di tempo.
“Tutti ai vostri posti, signori: stiamo per riattivare le coordinate speculari verso il sistema
Freyak.”
Gli ordini dalla Plancia erano stati chiari: il primo contatto del tutto fallimentare sarebbe stato
comunicato al Reparto dei servizi segreti federali. La USS Shadow doveva proseguire la
propria rotta. Nonostante questo, il Tenente Comandante Yuri Tremenov annusava nell’aria
quel sapore inconfondibile del preludio alla catastrofe: per quanto avesse visto dalla sua
postazione in Sala macchine, quegli alieni avevano in loro possesso una tecnologia talmente
avanzata da rompere la soglia della massima curvatura senza alcun problema. La breve
schermaglia che era seguita sicuramente era solo un assaggio di ciò che erano capaci: dei
veri e propri sterminatori galattici. Non nascondevano per nulla la loro sete di conquista, la
brutalità maniacale e soprattutto una strana tendenza furtiva, come se cercassero di spiare le
mosse del nemico e nel frattempo preparare il contrattacco necessario. La Flotta Stellare era
all’oscuro di quel nuovo avversario, un Nemico Oscuro proveniente da chissà quale
dimensione – poiché pure questo era giustamente ipotizzabile. Dopo aver dato le ultime
direttive ai suoi uomini, l’Ingegnere capo della nave del Capitano Vespucci si dileguò in
disparte sopra uno scompartimento posizionato al di sotto della piattaforma del nocciolo di
curvatura. Evitando di scomparire senza controllo, Yuri prese fra le mani un guscio grande
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abbastanza da essere afferrato con entrambe le mani e lo pose sopra una piattaforma di
teletrasporto. Fece per attivare il suo comunicatore dalla forma atomica e disse nell’aria:
“Tenente Tremenov a Plancia. Sto inviando un Modudroide da comunicazione direttamente
nell’alloggio del Capitano.” L’ufficiale invisibile digitò alcuni comandi sul display luminoso e del
carapace artificiale non rimase che il ronzio meccanico dell’onda di smaterializzazione. Si
trattava di un prototipo universale di recente creazione: i più illustri ingegneri della Flotta
Stellare avevano cercato di inserire nei circuiti di una piccola unità remota gran parte delle
funzioni che normalmente sono svolte da più periferiche. I droidi modulari – da qui il gioco di
parole quantomeno bizzarro che li battezzava loro malgrado -, per quell’occasione, avrebbero
funto da semplici ed insignificanti rottami stellari scagliati dalla stiva di carico di un’astronave.
In realtà contenevano un rapporto dettagliato che il Capitano e gli ufficiali di Plancia
avrebbero dovuto redigere per conto dell’Ammiraglio Jonathan Quinn in seguito allo strano
incontro nel sistema di Alfa – Gauss.
La nave aveva già ripreso la sua corsa, e Yuri tornò sicuro alla sua postazione. Avrebbe forse
fatto una visita al medico di bordo, poiché da qualche ora stava manifestando strani sintomi.
Sentiva come un brusio irrefrenabile che gli ronzava in testa, l’eco di una voce così lontana
che si era perduta nello spazio lasciando qualche traccia remota eppure visibile agli occhi
della sua mente.
Fu un attimo: ed improvvisamente tutto cambiò. Perse coesione ad una tale velocità che gli
ufficiali attorno a lui sobbalzarono. Erano già abituati a quell’handicap involuto, ma stavolta
era diverso: sembrava quasi che fosse stato risucchiato via.
Yuri riaprì gli occhi frastornato, colpito da una sferzata imprevista che l’aveva trasportato
nella sua immaterialità quotidiana. In quel momento, però, capì di non avere il controllo
totale della sua struttura. Aveva passato anni rinchiuso in una cella temporale mentre il suo
morbo maturava, quella fame di gloria imperitura che l’aveva obbligato ad un’esistenza il cui
unico scopo era l’autocontrollo: una sola distrazione e non avrebbe più ripreso il possesso
della sua coesione mai così desiderata nella vita passata. Nei primi istanti dalla scomparsa
fuggevole dalla realtà materiale pensava si trattasse di una disfunzione mentale, ma non ci
credeva veramente. Sentiva qualcuno dietro tutto questo, un’attrazione a qualcosa che mai
prima d’ora aveva sperimentato. Intorno a lui le immagini solide si scomponevano quasi
fossero sgretolate da un’energia universale ed inarrestabile, ed i ricordi cercavano di sfumare
lentamente nell’aria risucchiata via. Era questo il motivo delle sue paure: cessare
definitivamente di esistere. Un uomo senza memoria era un morente che cammina, un’entità
che non avrebbe mai avuto la certezza di essere viva o meno. Prima che fosse individuato dal
Reparto scientifico dopo il disastro del Centro Maelstrom aveva scoperto le sue qualità innate
e generate dall’implosione tachionica del Nocciolo a Sospensione. Poteva trasformarsi in
un’entità interfasica al proprio volere, ma il rischio era dissolversi in quel nulla creato dal
progresso scientifico.
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Adesso, brancolando nella frangia parallela del mondo che abbandonava ogni istante di più,
aveva percepito il sussurro agghiacciante di una presenza: qualcuno riusciva a vederlo, e non
aspettava altro che stritolare la poche certezze rimaste prima dell’oblio galattico.
Arthur si recò presso il suo piccolo ed elegante studio personale, una saletta nella quale
riceveva saltuariamente delle visite dall’equipaggio di Plancia. Normalmente, in ogni caso,
l’alloggio era sede degli ultimi ritocchi prima di entrare in azione. Stavolta però era diverso: il
Capitano della USS Shadow aveva il difficile compito di programmare una comunicazione da
spedire via Modudroide al Quartier Generale della Flotta Stellare, sezione Servizi segreti.
L’Ammiraglio Jonathan Quinn, forse la mente assoluta dietro il progetto della Shadow, aveva
il diritto di essere informato di quanto accaduto nel sistema di Alfa – Gauss. Adesso la nave,
ritornata alla sua forma originale ed opportunamente occultata, viaggiava spedita nella sua
traiettoria speculare verso il sistema di Freyak, tentando di portare a termine il compito
originario. Ciò che turbava maggiormente il Capitano era la tremenda sensazione che quegli
alieni sarebbero tornati: sentiva come un brivido che corre lungo la schiena e si insinua fin
dentro il sangue, coagulandosi eternamente con le emozioni. Quel contatto aveva svelato le
opportunità distruttive di una razza mai vista prima, ma soprattutto in grado di sperimentare
sul campo tecnologie del tutto spiazzanti. Il Quadrante Alfa avrebbe corso seri pericoli, e ben
presto non soltanto quella porzione di Galassia. Allarmare l’intera Federazione sarebbe stata
considerata una mossa poco strategica: non sarebbe trascorso molto tempo prima dell’esodo
di massa collettivo verso una terra che mai sarebbe stata libera dal giogo di quegli alieni. La
Shadow aveva probabilmente sfiorato il limite invisibile dell’ignoto, e qualcuno dall’altra
sponda aveva notato quei movimenti rapidi e ne aveva approfittato con tutta la sua tenace
violenza e scaltrezza.
Finalmente l’intero modulo era stato predisposto per inserirvi i rapporti degli ufficiali di
Plancia: una relazione sugli armamenti, una sulla propulsione ed una sul briefing
comportamentale della specie aliena. Era un compito ingrato e del tutto meccanico – spesso
si trattava di risolvere i rompicapo generati dal chip elaboratore nella speranza di poter
raccogliere più spazio di memoria possibile -, ed oltretutto la programmazione spettava
all’ufficiale di grado più alto a bordo. Certamente sarebbero state congetture ricavate
dall’analisi dei sensori e delle proiezioni mentali dell’ufficiale di turno, ma era tutto quello che
avevano: il sentore che ci sarebbe stato un nuovo e più duro scontro testa a testa…Se non
peggio.
“Capitano a Sala macchine. Tremenov, ho concluso la programmazione del Modudroide. Le
invio le specifiche della sonda.” Arthur, che aspettava una risposta dal suo sottoposto, in
realtà giunse ad un vicolo cieco. Nessuno rispondeva all’altro capo. Provò più volte a
riallacciare la comunicazione, e alla fine fu costretto ad attivare l’Intelligenza artificiale
adattabile del computer di bordo. Alzò gli occhi al soffitto e pronunciò: “Computer, dammi la
posizione del Tenente Comandante Yuri Tremenov.” La mente programmata fece attendere
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qualche secondo l’impaziente interlocutore, finché non rispose freddamente: “Capitano, i
sensori non registrano la presenza dell’ufficiale Tremenov a bordo. La sua ultima posizione
registrata è l’atrio all’ingresso della Sala macchine.” Arthur strinse le mani lungo le chiome
folte di capelli ambrati, ma un’ulteriore postilla del computer peggiorò quel mistero a bordo
della Shadow: “Rettifico, signore: ho appena registrato un picco anomalo di energia
interfasica nel Ponte tredici, sezione Biologia.” Non c’erano più dubbi: l’Ingegnere capo era
coinvolto in un pericolo che colpiva direttamente le sue capacità mimetiche. Il Capitano della
USS Shadow passò nuovamente la mano sul suo comunicatore atomico e si rivolse all’ufficiale
tattico di bordo: “Vespucci a Gul Kelmes. Emergenza sul Ponte tredici. Arrivo subito da lei.”
Arthur si allontanò dalla poltrona del suo piccolo ufficio, almeno sicuro di una sola cosa:
l’ombra di quegli alieni non si era vaporizzata nel nulla dopo quello squarcio stellare.
Yuri si stava aggirando lungo i ponti della nave come guidato da quel riverbero inesplicabile
che lo attirava verso chissà quale meta. Mai fino a quel momento aveva sentito un’altra
presenza cosciente in quella dimensione interfasica: non poteva assolutamente essere il
ricordo del mondo materiale, e lui lo sapeva bene. Talvolta, nei primi attimi in cui era entrato
in possesso del suo potere straordinario, il Tenente Tremenov si sentiva fluttuare nell’aria
senza mantenere il controllo della propria persona; fortunatamente bastò concentrarsi su
quanto concepiva come se stesso per affiorare nuovamente al livello della superficie,
altrimenti sarebbe scivolato per l’eternità, risucchiato dall’inesperienza e dall’insicurezza. Forse
proprio la fermezza aveva permesso a Yuri di proseguire il suo breve vagabondaggio,
strozzato d’un tratto dentro una cella temporale, per poi trovarsi catapultato a bordo di un
vascello il cui equipaggio non dovrebbe nemmeno esistere.
Quelle pennellate scheggiate in cui la realtà materiale si era frantumata mostravano talvolta
dei riflessi screziati più solidi, probabilmente ufficiali in servizio. Yuri avrebbe voluto chiedere
loro aiuto, ma non poteva farlo: a differenza di quanto aveva appreso in passato, adesso non
aveva più autonomia sulla sua coesione.
Infine sentì che il brusio incessante che l’aveva attratto morì nell’aria senza ossigeno. Il
Tenente Tremenov si voltò, e l’immagine rimbalzò sul portellone di un’area della Shadow: era
la sezione Biologia. L’Ingegnere capo della nave stava per trapassare la barriera in polititanio,
quando un alito freddo e ansimante gli pervase il collo. Era quasi il respiro della morte stessa,
l’oscurità che cala prima della tempesta fragorosa. Trascorsero attimi sospesi nel vuoto, e alla
fine Yuri compì un balzo nella direzione opposta a quella attuale: davanti a lui, nitida e ben
definita, un’accozzaglia raccapricciante di nervature verdastre che cercavano solo una
spietata rivalsa sull’umanità.
Il Capitano Vespucci intraprese una corsa meticolosa lungo i ponti labirintici della Shadow: la
sezione Biologia, infatti, era un’appendice della nave che non era ancora provvista di
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collegamento tramite l’iperascensore. A suo avviso era una fortuna dimenarsi tra gli ufficiali
stupiti piuttosto che intraprendere una corsa mozzafiato dentro quelle capsule che
rimescolavano il malcapitato viaggiatore. Dava più volte occhiate rapide all’ufficiale
Cardassiano addetto alla sicurezza e ai due uomini dal colletto rosso carminio armati in caso
di evenienza. “Signore, ho ricalibrato tutti i phaser quantici…Dovremo catturare qualsiasi
forma di energia fuori fase nel raggio di tre metri.” Gul Kelmes, del tutto elettrizzato
dall’arsenale di bordo che si svelava di giorno in giorno una fucina sorprendente, consegnò al
suo superiore la versione aggiornata del comune mezzo di difesa federale, reso più elegante
ed ergonomico all’impugnatura.
Erano arrivati. I quattro ufficiali si arrestarono poco prima dell’inizio del Ponte 13. “Spero non
sia superstizioso, Kelmes: sa, il tredici non è il mio numero fortunato.” Il Cardassiano,
stratega puntiglioso quale era, avrebbe desiderato imitare quell’accigliare attonito del
Consigliere T’Maren, ma preferì tenere pronto il proprio phaser quantico, anche se l’arma
migliore di ogni guerriero è il fiuto del nemico. Nonostante fosse invisibile.
Il silenzio dominava cupamente nel Ponte della sezione Biologia, un’area oltretutto poco
visitata per la mancanza di ufficiali scientifici; stando a quella presenza, tuttavia, sarebbe
stato presto necessario rimpinguare i corridoi di quella sezione. Arthur aguzzò le sue
percezioni fino a camminare in punta di piedi, come per saggiare il terreno. Non riuscì a
cogliere la dinamica di quanto successe, ma il Cardassiano fece fuoco in un preciso istante
lungo la paratia sinistra del corridoio principale, e gli uomini della Sicurezza seguirono il suo
ordine. Lentamente il contorno di una creatura aliena sbalzò fuori nella realtà materiale, ma
gli ufficiali non fecero in tempo ad attivare un campo di forza che si era già dileguata in un
grido spasmodico, avviluppata da un cono energetico color verde diaspro. Pochi secondi
dopo, un ufficiale trafelato dal colletto mostarda, le mani appoggiate alle ginocchia affaticate,
disse con tono di sfida: “Beh, credo davvero che ce li ritroveremo ben presto tra i piedi.”
Diario del Capitano - Data stellare 57031.4
La Shadow si è imbattuta per la prima volta in una nuova forma aliena che si è presto rivelata
ostile. In verità, credo che la Federazione e l’intero Quadrante Alpha stiano correndo rischi
per un futuro macchiato irrimediabilmente dal Nemico Oscuro, l’unica designazione che
abbiamo sputo dare a questa razza di cui non sappiamo nulla.
“Dunque lei aveva previsto il punto d’impatto del phaser, T’Maren?! Incredibile…”
Effettivamente il Cardassiano si era fidato della dritta del Consigliere di bordo, ma Arthur non
poteva credere che un Cardassiano avesse davvero affidato la sua sorte ad una previsione. Il
Capitano Vespucci, in realtà, avrebbe desiderato sapere come si sarebbe conclusa quella
storia appena iniziata: il Nemico Oscuro aveva gettato la sua ragnatela mortale sul Quadrante
Alpha.
Quale sarebbe stata la prossima mossa di quella partita a scacchi contro il destino?
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