Le nuove forme di aggregazione d`impresa Antonio Picciotti

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Le nuove forme di aggregazione d`impresa Antonio Picciotti
LE NUOVE FORME DI AGGREGAZIONE D’IMPRESA
Antonio Picciotti - Università degli Studi di Perugia
L’aggregazione di imprese rappresenta, tradizionalmente, un tema di particolare rilevanza
ed interesse per gli studi economici e di management. Infatti, data l’elevata diffusione in
Italia di imprese che presentano, in termini occupazionali, dimensioni estremamente
ridotte e che operano prevalentemente in settori manifatturieri tradizionali o specialistici, è
ampiamente diffusa l’opinione che le strategie finalizzate a stabilire accordi di
collaborazione interaziendale possano rappresentare una valida ed efficace opzione di
crescita (Capaldo, 2004; Zazzaro 2010). In altri termini, secondo questa prospettiva
teorica, si ritiene che il superamento dei vincoli dimensionali ed economici, derivanti dalla
carenza strutturale di risorse finanziarie ed organizzative, possa avvenire attraverso la
condivisione di progettualità, di visioni e di iniziative strategiche, ossia mediante la
costruzione di reti di imprese. A tal fine, viene evidenziata la capacità di tali aggregazioni di
generare vantaggi competitivi che si manifestano nella possibilità, per le imprese, di
maturare competenze distintive, di condividere e trasferire conoscenze e di introdurre e
sviluppare innovazioni (Ricciardi, 2003).
Nello scenario nazionale, il fenomeno delle reti di imprese ha trovato la sua massima e
principale diffusione nell’esperienza dei distretti industriali, ovvero nelle aggregazioni di
piccole imprese operanti in un determinato settore economico, concentrate in un’area
geografica circoscritta e caratterizzate dall’esistenza congiunta di due specifici connotati: da
un lato, una complementarità tecnico-economica delle lavorazioni realizzate dalla quale
traevano origine una molteplicità di relazioni industriali di natura sia orizzontale (di
settore) che verticale (di filiera); dall’altro lato, la presenza di fattori socio-culturali ed
istituzionali che, storicamente sedimentati, hanno permesso la condivisione di valori
culturali e l’emergere di una forte coesione economica e sociale (Becattini, 1991; Ferrucci,
1996). È per questi motivi che i distretti industriali sono diventati, spesso, i contesti
nell’ambito dei quali sono state sperimentate ed attuate ulteriori forme di collaborazione
formale tra imprese. Quelle più “leggere” erano costituite dai consorzi di piccole imprese
che, almeno in passato, hanno avuto la finalità di regolare intere fasi di trasformazione
manifatturiera e/o di promuovere l’attività delle imprese associate nei mercati nazionali ed
esteri (Ferrucci e Picciotti, 2005). Le forme di collaborazione più strutturate hanno
condotto, invece, alla costituzione di veri e propri gruppi distrettuali (Cainelli e Iacobucci,
2005), ossia all’emergere di imprese che hanno assunto, in un’ottica di gerarchizzazione
delle relazioni interorganizzative, partecipazioni di controllo in altre realtà imprenditoriali,
guidando, in questo modo, le traiettorie di sviluppo di interi distretti industriali e
divenendo quelle che, dapprima, sono state definite le imprese leader distrettuali (Varaldo
e Ferrucci, 1997) e, successivamente, le medie imprese del quarto capitalismo italiano
97
(Coltorti, 2007; Micelli, 2007; Varaldo et al. 2009), capaci di integrarsi in reti globali di
conoscenza e di produzione manifatturiera (Corò, Grandinetti, 1999; Rullani, 1992).
In questo contesto, l’Umbria denota delle proprie specificità. Innanzitutto, al pari di altre
regioni italiane, l’Umbria presenta un’elevata diffusione di imprese di piccola dimensione
(Ferrucci, 2010) che, tuttavia, non ha dato origine, storicamente, alla formazione di
distretti industriali1. Allo stesso tempo, il sistema manifatturiero regionale mostra una
significativa presenza di imprese di media dimensione, caratterizzate, prevalentemente, da
sistemi di governance familiare, che sono divenute, spesso, leader nazionali o
internazionali nei loro settori economici di appartenenza (Castellani e Pompei, 2013) e che,
per tale motivo, sono state, in diversi casi, oggetto di acquisizione da parte di
multinazionali estere (Mutinelli, 2013). Queste caratteristiche dell’economia umbra
(sostanziale assenza di distretti industriali, rilevanza significativa di imprese di media
dimensione e processi di acquisizione condotti da multinazionali estere), considerate
congiuntamente, non hanno certo favorito, nel corso degli anni, l’emergere di relazioni
interorganizzative e la costruzione di reti di imprese. È per questo motivo che la politica
industriale regionale è intervenuta con diverse iniziative volte proprio ad incentivare e
favorire lo sviluppo dei rapporti di collaborazione tra imprese e la costruzione di reti
formali, prevedendo, nel panorama regionale, nuove modalità di organizzazione territoriale
delle attività economiche, non solo manifatturiere, tra le quali emergono i progetti integrati
di filiera e i quattro Poli di Innovazione che raggruppano imprese operanti nei settori delle
energie rinnovabili, della meccanica avanzata e meccatronica, dei materiali speciali e
micro/nano tecnologie e delle scienze della vita.
È in questo quadro che, nel 2010, anche a fronte delle istanze che sostenevano il
riconoscimento formale delle relazioni di collaborazione tra imprese e la conseguente
adozione di adeguati meccanismi di regolazione (Cafaggi, 2004; Iamiceli, 2009) che viene
introdotto un nuovo strumento legislativo: il contratto di rete2. Attraverso questa nuova
modalità di aggregazione, le imprese possono sia stabilire accordi contrattuali finalizzati
alla realizzazione di progetti specifici, mantenendo una loro indipendenza giuridica ed
economica (le cosiddette “reti contratto”), sia procedere alla costituzione di nuovo
soggetto indipendente e partecipato dalle imprese stesse, dotato di una propria personalità
giuridica (le cosiddette “reti soggetto”). In qualsiasi caso, gli elementi di novità apportati da
questa nuova forma di aggregazione delle imprese sono diversi. Per la prima volta, nel
panorama nazionale, vengono superate logiche di collaborazione basate su criteri
prevalentemente settoriali (tipiche dei consorzi) e territoriali (tipiche, invece, dei distretti
industriali) e viene ammessa la possibilità di stabilire accordi improntati ad un’estrema
1 Sotto questo aspetto, è sufficiente evidenziare, ad esempio, che il Servizio Studi e Ricerche di Intesa San
Paolo, nella sua periodica pubblicazione sui distretti industriali (Monitori dei Distretti), ne individua e considera
solo tre in Umbria, rappresentati dalla Maglieria e abbigliamento di Perugia, dal Mobile dell’Alta Valle del
Tevere e dall’Olio umbro (Foresti, 2013).
2 Come stabilito dalla normativa (Decreto Legge n. 5/2009 convertito nella Legge n. 33/2009 e successivamente
modificata dalla Legge n. 134/2012 e dalla Legge n. 221/2012), “con il contratto di rete più imprenditori
perseguono lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria
competitività sul mercato e a tal fine si obbligano, sulla base di un programma comune di rete, a collaborare in
forme e in ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese ovvero a scambiarsi informazioni o
prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica ovvero ancora ad esercitare in comune una
o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa”.
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flessibilità. Ogni impresa, infatti, mantiene la propria autonomia gestionale e, allo stesso
tempo, può conferire e condividere risorse finanziarie ed organizzative per la realizzazione
di specifiche iniziative progettuali. Data la loro recente introduzione, la letteratura sui
contratti di rete non presenta ancora un numero elevato di contributi. Considerando alcuni
di tali studi, è possibile però rinvenire due distinti approcci. Da un lato, vi sono le indagini
di natura economica che, mediante analisi di tipo quantitativo, pervengono alla definizione
di uno scenario alquanto problematico, in cui i contratti di rete: a) sono finora diffusi
maggiormente nelle aree distrettuali del paese, contrariamente alle aspettative; b) vedono la
partecipazione soprattutto di imprese più strutturate e di maggiori dimensioni che
dispongono di risorse effettive da condividere, non agevolando il superamento degli
ostacoli dimensionali alla crescita delle piccole imprese; c) non possono essere, allo stato
attuale, oggetto di valutazione economica, in termini di effetti generati per le imprese
aderenti; d) possono determinare, per la presenza di incentivi fiscali e finanziari, distorsioni
nel funzionamento dei meccanismi di mercato (Bentivogli et al., 2013a, 2013b; Colombo
et al., 2014). Dall’altro lato, alcuni studi gli studi di management, sulla base di approcci di
natura qualitativa, pongono l’attenzione sulle opportunità derivanti da tale forma di
aggregazione, pur sottolineando le difficoltà di applicazione della nuova normativa e di
valutazione delle performance aziendali (Tunisini et al., 2013; Vernizzi e Martini, 2013).
La metodologia della ricerca
Nell’ambito del contesto teorico appena delineato, il presente lavoro si pone la finalità di
identificare, descrivere ed interpretare le principali caratteristiche delle reti di impresa
presenti in Umbria. Questa finalità viene perseguita considerando quattro distinti aspetti
analitici che potrebbero contribuire a delineare il profilo identitario delle reti di impresa.
Il primo di tali aspetti è rappresentato dall’ampiezza delle reti, ossia dal numero delle
imprese che sono coinvolte nelle diverse aggregazioni. Questo indicatore esprime, quindi,
la numerosità assoluta delle imprese regionali che hanno deciso di stipulare un contratto di
rete o di costituire un nuovo soggetto imprenditoriale e permette di definire,
comparativamente alle altre regioni italiane, la dimensione e la struttura delle reti,
distinguendo tra quelle di piccola (fino a tre imprese), media (da 4 a 10 imprese), mediogrande (da 11 a 20 imprese) e grande dimensione (oltre 20 imprese).
Il secondo aspetto che viene considerato è costituito dall’estensione geografica delle reti,
riconducibile al numero di regioni in cui una singola rete è presente. Questo indicatore
rappresenta, pertanto, una misura del grado di apertura delle reti e fornisce informazioni
sulla capacità delle imprese umbre, sempre comparativamente alle altre regioni italiane, di
proiettarsi in ambiti extraregionali e di stabilire rapporti di collaborazione con altre realtà
imprenditoriali. A tal fine, i valori assunti da questo indicatore permettono di identificare
reti con un grado di apertura nullo (ossia reti mono-regionali), basso (reti presenti in due
regioni), medio (reti presenti un tre regioni) o alto (reti presenti in più di tre regioni).
Il terzo aspetto è riferito all’appartenenza settoriale delle reti. In relazione a questa
dimensione analitica e con riferimento alle sole imprese umbre, è necessario evidenziare
che sono state compiute due distinte elaborazioni. Da un lato, sulla base del codice di
attività economica Ateco 2007, viene individuata la specifica attività svolta dalle singole
imprese che hanno costruito contratti e soggetti di natura reticolare. Dall’altro lato,
considerando l’attività di tali imprese, viene definita anche la natura specifica delle reti
99
distinguendo tre differenti tipologie: reti mono-settoriali, plurisettoriali e di filiera. Nel
primo caso, le reti vengono costituite da imprese che operano nel medesimo settore
economico di attività (considerando come tale quello contraddistinto dalla stessa divisione,
ossia dallo stesso codice numerico Ateco 2007 a due cifre), ed assumono, quindi, una
natura orizzontale. Nel secondo caso, invece, le imprese operano in settori economici
differenti e, spesso, distanti e le reti si presentano come diversificate, aggregando imprese
in un’ottica di complementarità e/o di estensione della gamma delle lavorazioni e dei
servizi offerti. Nell’ultimo caso, le reti presentano una connotazione verticale in quanto,
pur essendo composte da imprese che svolgono attività differenti, emerge, dall’oggetto
specifico della rete stessa o dalla preponderanza di imprese che operano nello stesso
comparto, un’attività economica prevalente e una varietà di altre attività che, collocate a
monte e a valle della filiera, sono funzionalmente collegate a quella principale.
Infine, l’ultimo aspetto investigato, è costituito dalla finalità perseguita della rete. Con
questo termine si fa riferimento all’obiettivo, allo scopo che le imprese intendono
raggiungere attraverso la costituzione di una rete. Per questo motivo, la finalità può essere
considerata come la determinante, la motivazione principale che induce le imprese a
stabilire simili rapporti di collaborazione. Nello specifico e in relazione alla sola esperienza
della reti presenti in Umbria, le informazioni per identificare questo connotato distintivo
vengono dedotte ed estrapolate dall’oggetto sociale delle reti stesse. Tuttavia, la
realizzazione di questa attività ha determinato alcuni problemi di natura interpretativa. In
molteplici casi, infatti, l’oggetto delle reti presenta un elevato grado di genericità e di
indeterminatezza e ciò può essere ricondotto a due ordini di ragioni. Da un lato, vi è
l’opportunità e la tendenza a stabilire, da parte delle imprese, oggetti sociali quanto più
possibile ampi, in modo da non escludere a priori attività che potrebbero essere realizzate
in futuro. Dall’altro lato, invece, la generalità dell’oggetto sociale potrebbe essere
considerata, presumibilmente, come l’espressione diretta di una debole capacità delle
imprese di identificare gli obiettivi della rete o di condividere le attività che la rete stessa
dovrebbe svolgere. In qualsiasi caso, l’indeterminatezza dell’oggetto sociale conduce alla
difficoltà di stabilire in modo univoco la finalità della rete. È per tale ragione che, mentre
in alcuni casi è stato possibile identificare l’oggetto specifico della rete finalizzata, ad
esempio, a promuovere e ad agevolare la realizzazione congiunta di determinate attività
(ricerca e sviluppo, produzione, internazionalizzazione in specifiche aree geografiche, ecc.),
in altri casi, come si avrà modo di verificare dai risultati emersi nel corso dell’indagine
empirica, la finalità della rete appare più articolata (ossia composta da una pluralità di
attività), se non addirittura astratta e generica (come nel caso di reti finalizzate ad
aumentare la capacità competitiva delle imprese).
A conclusione di questa premessa metodologica, è necessario evidenziare ulteriori aspetti
che hanno contraddistinto la realizzazione dell’indagine empirica. Innanzitutto, il concetto
di rete è stato esaminato in modo esteso, considerando al suo interno sia gli accordi che
hanno condotto alla stipulazione di contratti di rete, sia quelli che hanno permesso la
costituzione di soggetti aventi una loro autonoma personalità giuridica. A tal fine, la fonte
dati utilizzata è la banca dati degli accordi di rete predisposta dalle Camere di Commercio e
la versione sulla base della quale sono state predisposte le diverse elaborazioni è quella
pubblicata il 1 settembre 2014. Di seguito, vengono quindi esposti i risultati dell’indagine
empirica.
100
I risultati della ricerca
Il numero di reti presenti in Italia, al 1 settembre 2014, è di 1.709 mentre il numero delle
imprese coinvolte in tali accordi è di 8.674. La loro distribuzione regionale è riportata nella
tabella seguente3.
Tab. 1 - La distribuzione regionale delle reti e delle imprese aderenti
Reti
N.
%
Lombardia
544
22,1
Emilia Romagna
334
13,6
Lazio
222
9,0
Veneto
208
8,5
Toscana
166
6,7
Abruzzo
153
6,2
Piemonte
124
5,0
Puglia
121
4,9
Marche
104
4,2
Campania
97
3,9
Friuli-Venezia Giulia
58
2,4
Liguria
52
2,1
Sicilia
51
2,1
Trentino-Alto Adige
49
2,0
Sardegna
47
1,9
Umbria
43
1,7
Calabria
36
1,5
Basilicata
31
1,3
Molise
17
0,7
Valle d'Aosta
3
0,1
Italia
2.460
100,0
Fonte: elaborazione dell’autore su dati Camere di Commercio
Regioni
Imprese
N.
1.969
1.095
604
689
901
571
371
424
325
338
181
151
157
101
260
197
169
133
35
3
8.674
%
22,7
12,6
7,0
7,9
10,4
6,6
4,3
4,9
3,7
3,9
2,1
1,7
1,8
1,2
3,0
2,3
1,9
1,5
0,4
0,0
100,0
Come emerge in modo evidente, ad eccezione di qualche caso specifico, come ad esempio
il Piemonte, sono le regioni più estese e che tradizionalmente denotano un maggior grado
di sviluppo economico, sia manifatturiero che terziario, quelle in cui è presente, in termini
assoluti, il numero più elevato di reti e di imprese aderenti.
3 Considerando questi primi risultati, si ritiene indispensabile avanzare tre distinte precisazioni di carattere
metodologico. In primo luogo, in relazione alla numerosità delle imprese, è necessario specificare che nell’analisi
condotta, oltre all’esclusione delle imprese recesse, non sono state considerate quelle che partecipano ad una
pluralità di reti. In altri termini, le imprese che hanno stipulato più contratti di rete o costituiscono la base
sociale di un nuovo soggetto giuridico sono state computate un’unica volta, in modo da non generare una
sovrastima della loro entità effettiva. In secondo luogo, è doveroso sottolineare che tali risultati, a causa,
presumibilmente, di possibili refusi presenti nella versione originaria della banca dati, non coincidono con quelli
pubblicati dalle Camere di Commercio, sia in termini di numerosità delle reti (pari a 1.728), sia in termini di
numerosità delle imprese coinvolte (pari a 8.646, escluso le recesse). Infine, è necessario specificare che il
numero complessivo delle reti riportato in tabella è superiore a quello effettivo in quanto, per ogni regione,
sono state computate le reti in cui vi è la partecipazione di imprese regionali. In altri termini, le reti che
prevedono la partecipazione di imprese appartenenti ad una pluralità di regioni, sono state conteggiate più volte,
per ognuna delle regioni in cui sono presenti, al fine di considerare la loro appartenenza multi-territoriale.
101
Questo risultato appare alquanto ovvio in quanto è logico ritenere che il fenomeno delle
reti sia particolarmente diffuso in contesti dove il numero delle imprese è maggiore e
quindi più alta è la probabilità che tali aggregazioni vengano costituite in modo spontaneo
ed immediato. Per questo motivo, al fine di poter effettuare un confronto interregionale è
necessario procedere ad una relativizzazione di questi dati assoluti e verificare, in termini
comparati, il grado di diffusione delle reti di impresa. Con la costruzione di un indice di
densità delle reti, rappresentato dal numero di imprese coinvolte ogni 1.000 imprese
presenti nella regione, la situazione appena descritta appare, infatti, sostanzialmente
diversa (graf. 1)4.
Graf. 1 - Il numero di imprese aderenti alle reti ogni 1.000 imprese per regione
Imprese in rete ogni 1.000 imprese
5
4,4
4
3
2
2,6 2,5 2,5 2,4 2,4
2,1 1,9
1,8 1,7 1,6
1
1,3 1,3 1,1 1,1 1,1
1,0 0,9
0,7
0,4 0,2
0
Fonte: elaborazione dell’autore su dati Camere di Commercio e Movimprese
Rispetto al dato medio nazionale, pari a 1,67 (che mostra che circa due imprese ogni 1.000
aderiscono ad accordi di rete), la situazione delle regioni italiane denota una bipartizione
quasi perfetta. Nove regioni mostrano valori superiori alla media dell’Italia. Tra queste,
oltre all’Abruzzo – in cui il fenomeno delle reti appare particolarmente diffuso – e alle
“precedenti” regioni caratterizzate da una maggiore dimensione (quali Lombardia, Emilia
Romagna e Toscana), vi è anche l’Umbria, con un valore di tale indicatore pari a 2,40, a
dimostrazione di un chiaro orientamento delle imprese di questa regione a stipulare
accordi rete. La situazione complessiva delle regioni italiane può essere ulteriormente
descritta con la definizione di un indice aggiuntivo, la dimensione media delle reti,
rappresentato dal rapporto tra il numero delle imprese regionali aderenti agli accordi di
rete e il numero delle reti presenti in ogni regione (graf. 2).
Considerando congiuntamente questi due indicatori (densità e dimensione media delle reti)
e le regioni in cui essi presentano valori superiori alla media nazionale, si perviene
all’individuazione di un gruppo di regioni che mostrano un’evidente propensione alla
costituzione e diffusione delle reti di impresa.
Il numero di imprese totali presenti in ogni regione, ossia il denominatore dell’indicatore proposto, è costituito
dal totale delle imprese attive nell’anno 2013, così come risultante dal registro Movimprese.
4
102
Graf. 2 - La dimensione media delle reti di impresa
6,0
Numero di imprese per rete
5,0
4,0
5,5 5,4
4,7 4,6
4,3
3,7 3,6
3,5 3,5 3,5
3,3 3,3
3,0
3,1 3,1 3,1
3,0 2,9
2,7
2,1 2,1
2,0
1,0
1,0
0,0
Fonte: elaborazione dell’autore su dati Camere di Commercio
Tale gruppo assume, in termini geografici, un connotato di trasversalità in quanto include
al suo interno una regione del nord (la Lombardia), due del centro (la Toscana e l’Umbria)
e tre del sud Italia (l’Abruzzo, la Basilicata e la Sardegna).
In definitiva, sulla base di questi primi risultati, è possibile affermare che la diffusione delle
reti di impresa rappresenta, almeno allo stato attuale, un fenomeno di difficile
interpretazione. Essa, infatti, non può essere ricondotta, in modo univoco, al livello di
industrializzazione preesistente o, in generale, di sviluppo economico di una determinata
regione. Non sembra valere, in altri termini, una relazione positiva, una corrispondenza
diretta secondo la quale le reti si affermano e si diffondono nelle regioni in cui la crescita
dell’economia risulta essere particolarmente intensa. Tale affermazione potrebbe essere
valida per la Lombardia e, in parte, per la Toscana ma non fornirebbe validi elementi di
comprensione del fenomeno per le regioni dell’Italia meridionale. Allo stesso tempo,
sembra che non possa essere utilizzata nemmeno una chiave interpretativa basata sui
modelli di sviluppo economico che, storicamente, hanno caratterizzato le diverse regioni
italiane. Le reti di impresa, infatti, sono particolarmente diffuse sia in regioni
contraddistinte dalla presenza di grandi imprese private (secondo una prospettiva tipica del
primo capitalismo), come nel caso della Lombardia, sia in regioni con una forte presenza
di distretti industriali (secondo una prospettiva del terzo capitalismo), come nel caso della
Toscana, sia, infine, in altre regioni, soprattutto meridionali, in cui il tessuto manifatturiero
e la componente del terziario avanzato sono tradizionalmente deboli. Per questi motivi, è
possibile avanzare una prima riflessione, sicuramente positiva, sulle reti di impresa: esse
potrebbero rappresentare una nuova traiettoria di sviluppo economico, in grado di
103
contribuire, da un lato, in contesti caratterizzati da tessuti imprenditoriali robusti e diffusi,
al rafforzamento delle relazioni preesistenti e alla realizzazione di nuovi e più avanzati
programmi di investimento e, dall’altro lato, in aree tradizionalmente deboli e in
condizioni di ritardo, alla costruzione di relazioni interorganizzative, strumentali e
finalizzate all’attivazione di nuovi percorsi di crescita economica e sociale.
Considerando, inoltre, in un’ottica temporale, la dinamica di costituzione delle reti di
impresa, emerge la progressiva diffusione di questo nuova modalità di coordinamento
delle attività imprenditoriali (graf. 3)5.
Graf. 3 - I periodi di costituzione delle reti di impresa
500
450
432
400
350
Numero di reti
300
280
264
237
250
Italia
200
Umbria
161
158
150
100
5
0
58
47
50
20
0
0
1
4
7
4
5
14
7
1
Semestri
Fonte: elaborazione dell’autore su dati Camere di Commercio
Il periodo in cui si registra la crescita più elevata delle reti di impresa è il secondo semestre
del 2013, con un incremento del 65,8% rispetto a quello precedente e dell’85% rispetto
allo stesso periodo del 2012. Complessivamente, le reti costituite nel corso del 2013
rappresentano circa il 42% del totale, a dimostrazione di come quest anno possa essere
considerato quello in cui tale strumento ha trovato la sua massima diffusione. Le ragioni
alla base di tale fenomeno possono essere diverse ma, considerando le indagini che sono
tate finora realizzate su questo tema, emerge il presumibile ruolo assunto dalle risorse
finanziarie destinate dagli enti pubblici alla costituzione di nuove aggregazioni
imprenditoriali. In particolare, anche se nel recente rapporto di RetImpresa, Conferenza
delle Regioni e delle Province Autonome e Gruppo Impresa, del febbraio 2014, viene
Il numero totale delle reti considerate nel presente grafico è di 1.705 e non corrisponde a quello complessivo
(1.709) in quanto per quattro reti non è disponibile la nota di costituzione.
5
104
esplicitamente affermato che “gli incentivi pubblici influenzano le reti di impresa ma il
fenomeno dei contratti di rete non è una conseguenza degli incentivi pubblici” e che “gli
incentivi pubblici fruiti dalle imprese in rete non derivano da provvedimenti attivati
esclusivamente per le reti di imprese”, una certa relazione di causalità potrebbe essere
rinvenuta. Il 2013 è, infatti, l’anno in cui l’entità dei fondi stanziati assume valori massimi
(dalla data di introduzione del contratto di rete, ossia dal 2010), con un ammontare
complessivo di 462 milioni di euro, corrispondente a “più di un terzo dell’ammontare
complessivo dei fondi messi in campo dalle Regioni” per l’intero periodo di riferimento
(Bortoli et al., 2014).
In sintesi, dalla definizione di questo scenario introduttivo, è possibile sostenere che
l’esperienza attuale delle reti di’impresa è caratterizzata da luci ed ombre. Le prime sono
riconducibili alla capacità delle reti di attivare nuovi percorsi di sviluppo, in modo quasi
indipendente rispetto ai contesti preesistenti, rappresentando, pertanto, una nuova e
diversa possibilità di crescita per quelle imprese e per quei territori che da sempre hanno
manifestato condizioni di ritardo economico e sociale. Le seconde, invece, sono relative
alle politiche di finanziamento di natura pubblica e al conseguente comportamento delle
imprese che, agendo secondo una logica di tipo pull (in cui la costituzione della rete è
sostanzialmente “tirata” dalle risorse rese disponibili dall’operatore pubblico), potrebbero
intraprendere iniziative deboli, sia in termini di finalità perseguite, sia in termini,
soprattutto, di capacità progettuali e propositive.
Partendo da queste informazioni generali, è possibile quindi procedere all’esame delle
caratteristiche assunte dalle reti d’impresa, esplorando le diverse dimensioni analitiche
proposte e descritte nella parte metodologica.
In primo luogo, considerando l’ampiezza delle reti, ossia la numerosità delle imprese
aggregate, si osserva che, in Italia, le reti più diffuse sono quelle di dimensione media (da 4
a 10 imprese) che rappresentano oltre la metà del totale (il 51,1%) e, in seconda battuta,
quelle di dimensioni minori (fino a 3 imprese) che costituiscono il 35,7% del totale (tab. 2).
La preponderanza di reti di media dimensione è presente indistintamente in tutte le regioni
italiane e mostra un’accentuazione significativa in Umbria, in cui quasi il 63% delle reti
assume una simile configurazione (rappresentando il valore modale a livello nazionale). In
dettaglio, le reti umbre si posizionano su classi dimensionali maggiori in quanto anche
quelle medio-grandi (da 11 a 20 imprese) e grandi (più di 20 imprese) denotano
un’incidenza più elevata del dato medio nazionale (rispettivamente, l’11,6% e il 9,3%).
Rispetto a regioni geograficamente più estese e che tradizionalmente presentano un più
alto livello di industrializzazione e in una situazione di crisi che da diversi anni colpisce
l’economia regionale, le imprese umbre sembrano quindi aver avviato percorsi di
aggregazione estesa, in modo da generare un’adeguata massa critica che permetta loro di
realizzare nuovi progetti di investimento ed aumentare il loro livello di competitività.
In secondo luogo, dall’esame dell’estensione geografica delle reti, emerge in modo
evidente una forte tendenza alla concentrazione territoriale (tab. 3). In Italia, oltre il 50%
delle reti viene costituito, infatti, da imprese localizzate nella medesima regione e solo il
13% circa delle reti coinvolge imprese presenti in più di tre regioni. Considerando in
dettaglio i singoli contesti regionali, possono essere proposte diverse riflessioni.
105
Tab. 2 - L’ampiezza delle reti per numero di imprese aderenti (valori %)
Regione
Fino a 3
Da 4 a 10
Da 11 a 20
Piemonte
29,8
51,6
12,1
Valle d'Aosta
33,3
33,3
33,3
Lombardia
38,7
52,5
6,4
Trentino-Alto Adige
38,8
44,9
12,2
Veneto
36,1
50,0
10,1
Friuli-Venezia Giulia
36,2
55,2
5,2
Liguria
23,1
53,8
11,5
Emilia Romagna
43,2
46,8
7,5
Toscana
22,4
55,8
14,5
Umbria
16,3
62,8
11,6
Marche
36,5
52,9
8,7
Lazio
35,9
53,2
7,3
Abruzzo
37,9
52,9
6,5
Molise
35,3
47,1
5,9
Campania
39,4
42,4
9,1
Puglia
40,0
45,8
6,7
Basilicata
29,0
48,4
9,7
Calabria
19,4
58,3
11,1
Sicilia
33,3
47,1
7,8
Sardegna
29,8
57,4
10,6
Italia
35,7
51,1
8,6
Fonte: elaborazione dell’autore su dati Camere di Commercio
Più di 20
6,5
0,0
2,4
4,1
3,8
3,4
11,5
2,4
7,3
9,3
1,9
3,6
2,6
11,8
9,1
7,5
12,9
11,1
11,8
2,1
4,6
Totale
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
Le regioni che denotano un maggior grado di “chiusura”, sono, da un lato, quelle più
estese del centro e del nord Italia, in cui tradizionalmente esiste un forte tessuto di
relazioni imprenditoriali, soprattutto di natura manifatturiera (come nel caso dell’Emilia
Romagna, della Lombardia, della Toscana e delle Marche) e, dall’altro lato, alcune regioni
del sud Italia che presentano un elevato grado di autonomia (come nel caso della
Sardegna) o che, presumibilmente, hanno adottato politiche volte ad incentivare tali
aggregazioni (come nel caso dell’Abruzzo e della Puglia).
D’altro canto, le regioni più aperte, ovvero in cui il grado di apertura territoriale delle reti è
più elevato, sono, ad eccezione della Liguria, in prevalenza meridionali (come nel caso
della Sicilia, della Campania e della Calabria), ad evidenziare la propensione delle imprese
localizzate in queste regioni a stabilire relazioni extra-regionali ed attivare forme di
partecipazione a network che assumono, con un’elevata frequenza, una dimensione
nazionale. In termini di presenza e di articolazione geografica, potrebbe quindi
configurarsi una sorta di dicotomia delle reti d’impresa che, in alcune regioni, (quelle
maggiormente sviluppate, in cui sono particolarmente diffuse le aggregazioni di natura
distrettuale) assumerebbero la finalità di rafforzare e di formalizzare i legami già esistenti
sul territorio mentre, in altre regioni (quelle in situazioni di ritardo nei percorsi di sviluppo
economico) avrebbero l’obiettivo di stabilire nuove relazioni, di permettere alle imprese di
aderire e di inserirsi in circuiti interregionali.
106
Tab. 3 - L’estensione geografica delle reti (valori %)
Regione
Mono-regionali
2 regioni
Piemonte
33,6
34,4
Valle d'Aosta
0,0
33,3
Lombardia
59,3
25,4
Trentino-Alto Adige
20,4
42,9
Veneto
42,3
29,3
Friuli-Venezia Giulia
46,6
27,6
Liguria
19,2
34,6
Emilia Romagna
60,4
21,9
Toscana
53,6
20,5
Umbria
37,2
34,9
Marche
51,9
26,0
Lazio
38,7
32,0
Abruzzo
66,0
20,9
Molise
41,2
23,5
Campania
41,2
27,8
Puglia
58,0
21,8
Basilicata
38,7
25,8
Calabria
47,2
16,7
Sicilia
37,3
23,5
Sardegna
72,3
14,9
Italia
50,6
26,0
Fonte: elaborazione dell’autore su dati Camere di Commercio
3 regioni
12,8
0,0
8,5
22,4
14,4
10,3
21,2
7,2
12,7
9,3
7,7
15,8
7,2
17,6
8,2
5,0
16,1
13,9
13,7
6,4
10,6
Più di 3 regioni
19,2
66,7
6,8
14,3
13,9
15,5
25,0
10,5
13,3
18,6
14,4
13,5
5,9
17,6
22,7
15,1
19,4
22,2
25,5
6,4
12,8
Totale
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
Considerando la situazione dell’Umbria, possono essere evidenziati alcuni elementi di
specificità. Innanzitutto, l’incidenza delle reti mono-regionali si attesta ad un livello
significativamente più basso rispetto alla media nazionale (37,2%). Allo stesso tempo,
appaiono particolarmente diffuse sia le reti che coinvolgono imprese appartenenti a due
regioni (34,9%), sia quelle che si estendono su più di tre regioni (18,6%). Questi dati
mostrano, pertanto, un’evidente propensione e capacità delle imprese di proiettarsi su
dimensioni extraregionali. Ciò è dovuto, con ogni probabilità, alle ridotte dimensioni
regionali e alla relativa necessità di stabilire legami che oltrepassano i confini territoriali.
Nella maggioranza dei casi, questi rapporti di collaborazione vengono detenuti con
imprese localizzate in regioni limitrofe, come Lazio, Toscana ed Emilia Romagna. Altre
volte, invece, le relazioni coinvolgono imprese appartenenti a regioni geograficamente più
distanti, come nel caso della Lombardia (tab. 4).
In termini settoriali, inoltre, le relazioni sono sviluppate, prevalentemente nel comparto
manifatturiero (con particolare riferimento a Lombardia e Toscana) mentre assumono un
certo interesse le reti realizzate con imprese della Regione Lazio che operano nel settore
del turismo.
Complessivamente, ponendo in relazione l’ampiezza delle reti presenti in Umbria e la loro
estensione geografica, emerge, anche se in modo debole, una certa relazione (graf. 4). In
particolare, le reti umbre tenderebbero ad assumere una duplice configurazione.
107
Tab. 4 - Il numero e i settori di appartenenza delle imprese extraregionali che
partecipano alle reti presenti nella Regione Umbria (numero di imprese in unità,
settori in percentuale)
Regione
N. di imprese
Lazio
Lombardia
Toscana
Emilia Romagna
Campania
Piemonte
Abruzzo
Veneto
Marche
Calabria
Puglia
Sicilia
Trentino-Alto Adige
Liguria
Friuli-Venezia Giulia
Molise
Totale imprese
30
28
28
24
15
12
9
8
7
6
5
5
3
3
2
1
186
Agricoltura
e Pesca
6,7
10,7
16,7
26,7
11,1
14,3
50,0
20,0
Industria e
Artigianato
23,3
64,3
67,9
45,8
26,7
66,7
77,8
100,0
57,1
20,0
20,0
100,0
Comm.
Servizi
Turismo
6,7
14,3
3,6
30,0
10,7
21,4
37,5
33,3
25,0
11,1
23,3
13,3
8,3
33,3
20,0
20,0
7,1
28,6
16,7
40,0
60,0
66,7
100,0
Altro
settore
10,0
33,3
100,0
Fonte: elaborazione dell’autore su dati Camere di Commercio
Graf. 4 - La distribuzione delle reti in Umbria per estensione geografica ed ampiezza
45
40
35
R² = 0,526
Numero di imprese
30
25
20
15
10
5
0
0
2
4
6
Numero di regioni
Fonte: elaborazione dell’autore su dati Camere di Commercio
108
8
10
12
Da un lato, vi sono reti di medie dimensioni che vengono realizzate con imprese
appartenenti a poche regioni geograficamente limitrofe, con le quali, presumibilmente, già
erano state sperimentate esperienze di collaborazione in passato e che, pertanto,
potrebbero essere finalizzate alla costruzione di network solidi e durevoli. Dall’altro lato, si
assiste alla presenza di reti che includono un elevato numero di imprese localizzate in una
pluralità di regioni che potrebbero costituire iniziative e progetti specifici realizzati in
ambito nazionale, in cui le imprese umbre assumono il ruolo di “semplici” partner.
Esaminando gli altri aspetti oggetto di analisi, è possibile verificare, in terzo luogo, i settori
di appartenenza delle reti d’impresa presenti in Umbria (tab. 5).
Tab. 5 - I settori economici delle reti in Umbria
Settore
Monosettoriale, di cui:
Agroalimentare
1
Manifatturiero tradizionale
3
Chimica
1
Meccanica
2
Costruzioni ed impiantistica
3
Servizi
1
Turismo
1
Filiera, con attività prevalente:
Agroalimentare
4
Manifatturiero tradizionale
4
Metallurgia e meccanica
6
Costruzioni ed impiantistica
2
Commercio
1
Turismo
2
Plurisettoriale
Totale
Fonte: elaborazione dell’autore su dati Camere di Commercio
N.
%
12
27,9
19
44,2
12
43
27,9
100,0
La maggioranza di esse, oltre il 44%, assume la natura di filiera, integrando imprese che
svolgono attività differenti ma funzionalmente collegate e che, considerate
congiuntamente, sono riconducibili a diversi macrosettori economici (dall’agro-alimentare,
alla meccanica, sino ad arrivare ai settori tradizionali, come il tessile-abbigliamento, la
fabbricazione di articoli in pelle, la fabbricazione di ceramiche e la stampa e riproduzione
di supporti registrati). Questo dato rappresenta, con ogni probabilità, il risultato di
politiche industriali attuate in passato che hanno favorito e sostenuto, attraverso diversi
interventi regionali, la costituzione di filiere integrate sul territorio. Le reti di impresa, in
questo caso, non sarebbero altro che una naturale evoluzione di forme di collaborazione
che erano già state introdotte e sperimentate nel contesto regionale. Le altre reti, invece, si
presentano come organizzazioni mono o plurisettoriali (ognuna delle quali con un peso di
circa il 28%). Le prime sono diffuse principalmente nei settori manifatturieri tradizionali
(confezione di articoli di abbigliamento, fabbricazione di mobili e stampa e riproduzione di
supporti registrati), in quello delle costruzioni, sia di edifici che di realizzazione di lavori
specializzati e, infine, in quello della meccanica, relativo alla fabbricazione di macchinari ed
apparecchiature. Le seconde, invece, raggruppano imprese che svolgono attività
109
eterogenee, la cui aggregazione è determinata, probabilmente, dalla volontà di costruire e
presentare sul mercato gamme di prodotti estese e coordinate.
Infine, l’ultima dimensione di analisi è rappresentata dalla finalità che ha indotto le imprese
a stipulare accordi di rete (tab. 6).
Tab. 6 - Le finalità delle reti in Umbria
Finalità
Ampliamento del mercato
Internazionalizzazione
Ricerca
Mista, di cui:
Ricerca e ampliamento del mercato
3
Ricerca e produzione
4
Produzione e ampliamento del mercato
2
Altro
Totale
Fonte: elaborazione dell’autore su dati Camere di Commercio
N.
%
21
9
1
9
48,8
20,9
2,3
20,9
3
43
7,1
100,0
Come si desume dai dati esposti, quasi la metà delle reti viene costituita con l’obiettivo più
o meno esplicito di ampliare i mercati delle imprese. Si tratta, in altri termini, di reti che si
pongono la finalità, come spesso viene affermato nello stesso oggetto sociale, di
incrementare la competitività delle imprese che aderiscono alle diverse iniziative e di
accrescere la loro capacità di presidio e di penetrazione dei mercati sia nazionali che
internazionali. Tuttavia, la genericità che spesso contraddistingue le formule utilizzate
nell’esplicitazione degli obiettivi della rete potrebbe generare alcuni dubbi sulla capacità
delle imprese di definire e, soprattutto, di condividere un’adeguata progettualità strategica.
In questi casi, infatti, la rete potrebbe realmente costituire l’occasione per far convergere
risorse finanziarie ed organizzative e per sviluppare funzioni che, tradizionalmente,
soprattutto nelle imprese di piccola e media dimensione, sono assenti o debolmente
strutturate. In quest’ottica, gli accordi di rete potrebbero consentire di implementare
nuove competenze di marketing o tecnologiche e di realizzare attività commerciali o di
ricerca e sviluppo comuni. In caso contrario, ovvero se ciò non dovesse manifestarsi nelle
azioni e nei comportamenti futuri delle imprese, gli accordi di rete non rappresenterebbero
altro che una semplice (se non addirittura un’ennesima) dichiarazione di intenti, espressa
per il solo fine di omologarsi, secondo una prospettiva istituzionale, alle “tendenze del
momento” o, ancora peggio, per acquisire risorse finanziarie, spesso di origine pubblica,
da destinare alle tradizionali e consolidate attività di gestione. Le altre finalità che inducono
le imprese a costituire accordi di rete sono riconducibili all’attuazione di specifiche
strategie di internazionalizzazione, alla realizzazione di attività di ricerca e sviluppo e alla
gestione di una serie di altre attività più articolate. Nel primo caso, si tratta di reti
fortemente omogenee al loro interno e che, spesso, identificano anche i mercati esteri nei
confronti dei quali vengono progettate ed indirizzate le diverse politiche di
internazionalizzazione. Il secondo caso, invece, riguarda l’esperienza di un’unica rete che
ha come singolo ed esplicito obiettivo quello di sviluppare, tra le imprese partecipanti,
un’attività congiunta di ricerca e sviluppo. L’ultima determinante include, invece, reti che
110
perseguono il coordinamento di più attività, con una particolare propensione
all’integrazione delle funzioni di ricerca e sviluppo e di produzione.
A questo punto, sulla base dei risultati finora emersi e delle considerazioni esposte, è
possibile procedere ad una lettura trasversale del fenomeno delle reti di impresa in
Umbria, combinando le diverse dimensioni di analisi e cercando di verificare alcune ipotesi
interpretative.
Una prima chiave di lettura è rappresentata dalla possibilità di considerare in modo
congiunto la finalità delle reti e la loro connotazione settoriale, ipotizzando l’esistenza di
una relazione tra queste due dimensioni (tab. 7).
Tab. 7 - La distribuzione delle reti in Umbria per settore economico di attività e finalità
(valori in unità)
Settore
Ampl. del
Mercato
7
Internazional.
Monosettoriale, di cui:
Agroalimentare
Manifatturiero tradizionale
2
Chimica
Meccanica
2
Costruzioni ed impiantistica
3
Servizi
1
Turismo
1
Filiera, con attività prevalente:
9
Agroalimentare
1
Manifatturiero tradizionale
2
1
Metallurgia
Meccanica
3
2
Costruzioni ed impiantistica
2
Commercio
Turismo
2
Plurisettoriale
5
Totale
21
Fonte: elaborazione dell’autore su dati Camere di Commercio
Ricerca
Mista
2
Altro
3
1
1
1
4
1
5
3
1
1
1
3
9
1
1
9
3
3
In particolare, la prospettiva è che la finalità riconducibile alla realizzazione di attività di
ricerca congiunta dovrebbe manifestarsi, con una maggior frequenza, per reti che operano
in settori tecnologicamente avanzati mentre la finalità di natura commerciale (ampliamento
del mercato) dovrebbe caratterizzare, in misura prevalente, reti collocate in settori
tradizionali o in quello agroalimentare.
I risultati confermerebbero, almeno in parte, queste supposizioni. Infatti, la maggioranza
delle reti costituite nell’ambito dei settori tradizionali, in quello delle costruzioni e nel
comparto del turismo si pone la finalità di rafforzare la presenza delle imprese sui mercati.
La logica che spinge quindi all’aggregazione è quella di estendere la gamma dell’offerta,
con l’integrazione di una pluralità di prodotti e di servizi, e di rafforzare le attività di natura
commerciale. Allo stesso tempo, la ricerca viene stabilita, quale finalità esclusiva, da
un’unica rete in cui le imprese appartengono alla filiera della metallurgia. In altri casi,
invece, la ricerca viene prevista unitamente ad altre finalità, quali l’attività di produzione e
l’ampliamento del mercato. Rientrano nel primo caso (ricerca e produzione) sia una rete
111
del settore chimico, sia altre reti (una di un settore tradizionale, quale il tessile, una
dell’agroalimentare e quella del commercio, il cui obiettivo è quello di sviluppare prodotti e
soluzioni tecnologiche per gli allevamenti di bestiame) mentre appartengono al secondo
caso (ricerca ed ampliamento del mercato) due reti dell’agroalimentare. In sintesi, sulla
base di tali risultati, l’ipotesi di ricerca sembra essere verificata, con l’eccezione “positiva”
delle reti appartenenti al settore agroalimentare che, organizzate in filiera, prevedono
anche la realizzazione di attività finalizzate alla ricerca, alla sperimentazione e
all’introduzione di nuovi processi manifatturieri e di nuovi prodotti.
Una seconda chiave di lettura è costituita dalla possibile relazione esistente tra la finalità
della rete e la sua ampiezza, ossia la numerosità delle imprese aggregate (tab. 8).
Tab. 8 - La distribuzione delle reti in Umbria per ampiezza e finalità (valori in unità)
Finalità
Fino a 3
Imprese
3
1
Da 4 a 10
Imprese
12
7
Ampliamento del mercato
Internazionalizzazione
Ricerca
Mista
3
5
Altro
3
Totale
7
27
Fonte: elaborazione dell’autore su dati Camere di Commercio
Da 11 a 20
imprese
5
Più di 20
imprese
1
1
1
1
5
4
Totale
21
9
1
9
3
43
L’ipotesi di fondo, in questo caso, deriva dal fatto che le attività di ricerca, dato il
necessario investimento e coordinamento di competenze specialistiche e considerando le
problematiche derivanti dall’appropriabilità dei risultati, potrebbero essere condotte da un
numero limitato di imprese mentre, al contrario, le attività commerciali potrebbero essere
realizzate più agevolmente da un numero elevato di imprese che, raggiungendo
un’adeguata massa critica, riuscirebbero a conseguire una riduzione dei costi e una
maggiore efficacia delle iniziative intraprese.
I risultati derivanti dall’indagine sembrano non confermare pienamente tale ipotesi di
ricerca e mostrare, piuttosto, la prevalenza di un determinato assetto dimensionale delle
reti umbre, quello medio, che risulta essere indipendente rispetto alla finalità perseguita.
Infatti, considerando le attività di ricerca, l’unica aggregazione che si pone in modo
esclusivo questo obiettivo è una rete nazionale che raggruppa ben 32 imprese
(appartenenti ad 8 regioni). La maggioranza delle aggregazioni, ossia 5 reti, che intendono
effettuare ricerca congiuntamente ad altre attività (siano esse di produzione o di
ampliamento del mercato) è, invece, di medie dimensioni (da 4 a 10 imprese)6. Allo stesso
modo, le reti che si prefiggono l’obiettivo di accrescere le capacità commerciali delle
imprese sono prevalentemente aggregazioni di dimensione media (12 reti su 21, pari al
57% del totale).
Infine, un’ultima chiave di lettura è riconducibile alla possibile relazione esistente tra il
settore economico di appartenenza delle reti di impresa e la loro estensione geografica
(tab. 9).
L’unica eccezione è costituita da una rete composta da tre imprese appartenenti al settore tessile che, nel
proprio oggetto sociale, dichiara di voler realizzare sia attività di ricerca che di produzione.
6
112
Tab. 9 - La distribuzione delle reti in Umbria per settore economico di attività ed
estensione geografica (valori in unità)
Monoregionali
6
1
1
2 regioni
3 regioni
Monosettoriale, di cui:
4
Agroalimentare
Manifatturiero tradizionale
2
Chimica
Meccanica
1
1
Costruzioni ed impiantistica
1
1
Servizi
1
Turismo
1
Filiera, con attività prevalente:
5
9
Agroalimentare
2
1
Manifatturiero tradizionale
1
2
Metallurgia
Meccanica
1
3
Costruzioni ed impiantistica
1
1
Commercio
1
Turismo
1
Plurisettoriale
5
2
Totale
16
15
Fonte: elaborazione dell’autore su dati Camere di Commercio
-
Settore
Più di
3 regioni
2
1
1
2
1
1
3
1
1
1
2
4
3
8
Totale
1
3
1
2
3
1
1
4
4
1
5
2
1
2
12
19
12
43
In quest ultimo caso, potrebbe essere rilevata l’esistenza, in determinati settori, di rapporti
di collaborazione tra le imprese umbre ed altre realtà imprenditoriali appartenenti a
regioni, soprattutto limitrofe, che tradizionalmente denotano un’elevata specializzazione
nei medesimi comparti manifatturieri. In altri termini, a titolo di esempio, è presumibile
ritenere che le imprese umbre operanti nel settore tessile stabiliscano accordi di
collaborazione, in misura significativa, con aziende della Toscana, regione in cui tale
comparto è tradizionalmente diffuso, così come è probabile che, nel settore calzaturiero, le
reti vengano costituite prevalentemente con imprese localizzate nelle Marche, regione in
cui, storicamente, vi è una presenza diffusa di distretti industriali specializzati in questo
settore economico. Anche in questo caso, tuttavia, l’ipotesi è debolmente confermata in
quanto emerge una varietà di comportamenti che sembra non essere determinata, in modo
esclusivo, dalla specializzazione settoriale dei territori.
In particolare, nei settori tradizionali, la situazione risulta essere la seguente. Esistono: un
accordo di rete nel comparto della stampa con imprese della Regione Toscana e un’altra,
dello stesso settore, con aziende toscane e venete; una rete nel settore della fabbricazione
dei mobili con imprese dell’Abruzzo; una rete del tessile con imprese delle Marche e una
rete per la fabbricazione di articoli in pelle con imprese del Lazio. Nel settore della
meccanica è possibile rinvenire, invece, una relazione più significativa. Delle cinque reti
pluri-regionali che coinvolgono le imprese umbre, quattro aggregano in modo esclusivo
(ossia sono reti costituite da imprese di due sole regioni) aziende della Toscana, del Lazio e
della Campania. Solo una rete si articola in più regioni comprendendo, oltre ad imprese
umbre, realtà del Lazio, della Campania e della Puglia. Infine, è nel settore del turismo che
emerge la relazione più evidente tra imprese e territori. Com’era logico attendersi, date le
caratteristiche specifiche dei territori (presenza diffusa di attrazioni culturali e
113
naturalistiche) e considerando le attività svolte dalle imprese (agenzie di viaggio e strutture
ricettive), in questo comparto le imprese umbre hanno proceduto alla costituzione di reti,
in una logica di networking, con altre imprese appartenenti a due sole regioni,
geograficamente contigue: il Lazio e la Toscana.
In definitiva, è possibile sostenere che esiste una debole relazione tra l’attività delle
imprese (e quindi della rete) e la vocazione economica dei territori e ciò appare
particolarmente evidente per alcuni settori, come quelli tradizionali. Emerge, pertanto, una
“direzionalità” delle reti che solo in parte è determinata da una matrice settoriale e/o da
una vicinanza geografica e che, invece, potrebbe essere generata da altri fattori,
riconducibili a relazioni interorganizzative e a progettualità strategiche preesistenti.
A conclusione di questa indagine sulle reti di impresa in Umbria, viene proposta una
semplice evidenza delle performance economiche conseguite da alcune imprese regionali
che hanno deciso di stipulare accordi rete. È necessario sottolineare che si tratta di un
riscontro estremamente debole, per le ragioni che vengono di seguito esposte e che,
pertanto, ha solo finalità descrittive, non assumendo, nel modo più assoluto, la pretesa di
rappresentare una valutazione dei risultati economici indotti sulle imprese dalla
partecipazione ad una rete. Questo limite dipende, come evidenziato da altri studi condotti
sul tema e richiamati nella parte teorica del presente lavoro, da una condizione di
impossibilità oggettiva di disporre di dati significativi, data la recente introduzione di
questo nuovo strumento. Per tale ragione, almeno allo stato attuale, diviene difficilmente
praticabile la realizzazione di tentativi o di approcci volti a stimare gli effetti economicofinanziari generati dalle reti di imprese. A titolo esemplificativo, è possibile descrivere,
infatti, i diversi passaggi metodologici che sono sati realizzati per individuare il numero
estremamente ridotto di imprese per le quali sono stati identificati i dati esposti nelle
tabelle successive.
In primo luogo, è agevole comprendere la necessità di considerare soltanto le reti più
longeve, in modo da disporre di una adeguata serie di dati. In Umbria, tuttavia, nessuna
rete è stata costituita nel 2010 e solo cinque, delle 43 reti complessive, sono sorte nel 2011
(cfr. graf. 3).
In secondo luogo, pur non considerando la loro diversa natura (monosettoriali, di filiera o
plurisettoriali), queste cinque reti aggregano, di fatto, soltanto undici imprese umbre,
appartenenti, tra l’altro, ad una varietà di settori estremamente diversificata (dall’industria
tessile al commercio all’ingrosso, dalla fabbricazione di prodotti in metallo, alla produzione
di software, ecc.).
Infine, dalla consultazione della banca dati Aida, contenente i bilanci delle imprese
organizzate in forma di società di capitali e cooperativa, con un fatturato superiore ai
centomila euro, emerge che quattro di queste imprese non presentano una situazione
contabile aggiornata al 2013 e una non dispone di una serie di dati completa, relativa ad un
periodo di riferimento pari almeno a 5 anni (dal 2009 al 2013).
In sostanza diviene possibile considerare la situazione di sole sei imprese, di cui tre che
svolgono attività manifatturiera – una nel comparto del finissaggio dei tessili (codice
13.30), una nella fabbricazione di tessuti non tessuti (codice 13.95) e una nella
fabbricazione di apparecchiature elettromedicali (codice 26.60) – e tre che operano in altri
settori, ovvero nel commercio all’ingrosso di articoli medicali (codice 46.46.3), nel
commercio all’ingrosso di minerali metalliferi (codice 46.72.1) e nei servizi di
114
disinfestazione (codice 81.29.1). È per questi motivi, data la limitatezza dei dati disponibili
e, allo stesso tempo, l’estrema eterogeneità delle attività svolte, che diviene sostanzialmente
impossibile realizzare qualsiasi tentativo di valutazione dei risultati, non essendo possibile
ricondurre le performance economiche delle imprese alla partecipazione o meno a reti di
impresa. In qualsiasi caso, vengono di seguito esposti la variazione del fatturato e i
principali indicatori di redditività presentati dalle tre imprese manifatturiere umbre che
hanno aderito a contratti di rete.
Tab. 10 - I risultati economici di alcune imprese appartenenti a reti umbre (valori %)
Settori
Variazione fatturato
ROI
2009-2011
2011-2013
13.3
38,1
5,0
13.95
-8,8
-7,6
26.60
22,6
2,6
Fonte: elaborazione dell’autore su dati Aida
2011
1,1
6,7
15,1
ROE
2013
2,7
5,4
11,3
2011
1,1
5,7
19,5
2013
0,1
5,1
16,4
Tab. 11 - I risultati economici di alcune imprese appartenenti a reti umbre e dei
rispettivi settori economici di attività (valori %)
Variazione fatturato
2011-2013
Impresa
Settore
13.3
5,0
-7,2
13.95
-7,6
11,6
26.60
2,6
2,2
Fonte: elaborazione dell’autore su dati Aida
Settori
ROI 2013
Impresa
2,7
5,4
11,3
ROE 2013
Settore
6,2
6,4
-0,4
Impresa
0,1
5,1
16,4
Settore
11,2
13,0
-20,9
Conclusioni
A conclusione dell’indagine condotta sulla diffusione e le caratteristiche delle reti di
imprese, possono essere avanzate alcune riflessioni di sintesi che presentano una valenza
sia generale, riferita all’intero contesto nazionale, sia specifica, relativa all’esperienza della
Regione Umbria.
Sotto il primo aspetto, la ricerca fa emergere risultati ambivalenti rispetto ad altri
precedenti studi condotti su questa particolare tematica. Infatti, da un lato viene
sicuramente messa in discussione la prospettiva secondo la quale le reti di imprese
mostrano una particolare diffusione nelle regioni che vantano una tradizione distrettuale.
In termini di presenza territoriale, questi nuovi percorsi di aggregazione imprenditoriale
assumono, piuttosto, un connotato di trasversalità, accomunando regioni appartenenti alle
diverse macroaree geografiche dell’Italia, con caratteristiche, storie e dinamiche di sviluppo
estremamente differenziate. Dall’altro lato, coerentemente con altre evidenze empiriche
presenti nella letteratura economica, vengono invece confermate le perplessità concernenti
il ruolo assunto dai sistemi di incentivazione pubblica. Le risorse finanziarie destinate alla
costituzione delle reti potrebbero influire e generare distorsioni nei processi decisionali e
nelle scelte delle imprese, determinando l’opzione di perseguire una simile strategia di
115
aggregazione indipendentemente dalle condizioni, dalle competenze e dai reali fabbisogni
delle imprese.
È per questi motivi che le reti sono e dovrebbero essere considerate non un’opportunità di
finanziamento, quanto, invece, uno strumento di politica industriale e, per quanto tali,
essere funzionali alla realizzazione di concreti progetti di investimento e di iniziative
finalizzate alla condivisione effettiva di risorse e di competenze.
Sotto il secondo aspetto, è possibile affermare che le reti di imprese presenti nella Regione
Umbria mostrano uno specifico profilo identitario. Esse sono: a) aggregazioni di media
dimensione (con una prevalenza di reti che raggruppano da 4 e 10 imprese); b) che
evidenziano una limitata articolazione geografica, con una presenza di imprese
appartenenti soprattutto a regioni limitrofe; c) che assumono, nella maggioranza dei casi,
una configurazione di filiera; d) che vengono costituite principalmente con la finalità di
rafforzare la posizione competitiva delle imprese sui mercati nazionali ed internazionali.
Questi aspetti costituiscono i connotati distintivi delle reti di imprese regionali e
forniscono alcuni spunti di riflessione. Nello specifico, è possibile evidenziare come il
contratto di rete costituisca lo strumento attraverso il quale le imprese decidono di
rafforzare legami e rapporti di collaborazione che, presumibilmente, erano stati già
sviluppati in passato, in una logica di filiera. Ciò potrebbe essere particolarmente
interessante e, quindi, oggetto di futuri percorsi di ricerca di tipo qualitativo, non solo per
le imprese operanti in alcuni settori rilevanti dell’economia regionale, come quello della
meccanica, ma anche per alcune esperienze intraprese nel settore agroalimentare e in
quello del turismo che denotano un significativo potenziale di innovazione. Allo stesso
tempo, la rilevanza dell’ampliamento del mercato quale finalità delle reti potrebbe
costituire un elemento di criticità in quanto sintomo di un orientamento di breve periodo e
di una debole progettualità strategica. Sono questi, pertanto, i possibili spazi di intervento
della politica industriale regionale che potrebbe, in futuro, non solo realizzare un costante
monitoraggio delle attività e delle performance conseguite dalle imprese ma anche
introdurre adeguati meccanismi di selezione (e di conseguente incentivazione) dei contratti
di rete.
116
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