Confcommercio Magazine n.2

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Confcommercio Magazine n.2
Dal boom alla soglia della depressione
NORMATIVA
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di Alessandro Ambrosi
Completata la disciplina sull’apprendistato nel Terziario
di Mauro Portoso
Le spese di manutenzione e riparazione ordinarie
di Vito D’Ingeo
Nuove pensioni e nuova cultura previdenziale
a cura di ENASCO
Mediazione civile in ambito RC auto: luci ed ombre
ALIMENTAZIONE E SALUTE
di Pierluigi Damiani
Alimentazione e attività fisica
ATTUALITAʼ
Pag. 12
a cura di Giovanna Spilotros
In copertina: La Chiesa del Purgatorio. Situata
in Piazza A. Moro, fu costruita tra il 1722 e il 1758.
Di stile barocco, è a una navata con cappelle laterali. La FACCIATA è tripartita da quattro lesene su
zoccolo, aventi doppio toro e capitelli ionici. Il
PORTALE, con stipiti cordonati, è sormontato da
ovale, contornato da cornice a cordone, in cui è
racchiuso un dipinto raffigurante la Madonna col
Bambino sulle ginocchia e in basso le anime purganti. Nella parte posteriore si eleva il CAMPANILE di stile barocco in due piani smussati negli
angoli e aperti in ogni lato da monofore; è terminato da piramide esagonale adorna da tre ordini
di cornici. La chiesa è suddivisa in tre cappelle
laterali, rispettivamente suddivise nel lato destro
e sinistro. La nicchia centrale dell’ALTARE MAGGIORE racchiude la statua della Madonna del
Carmine, in onore della quale in sacrestia sono
conservati alcuni interessanti ex voto.
•••
Iscritto presso ilTribunale di Bari in data 12/01/2009
- N. 69/2009 del Ruolo generale; N. 51 del Ruolo
sezionale; N. 2 del registro stampa
L’Italia ri-piace agli Italiani
…ma servono le braccia per danzare?
SPECIALE “CASAMASSMA”
“Castrum-Maximi”
CULTURA
Violetta Valery ieri e oggi: la Traviata
Il Palazzo dell’Acquedotto Pugliese
Il mare di lato
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di Vito Antonio Loprieno
Una gita in Nuova Zelanda
di Francesco Rossini
Il riso tra storia, tradizione e cultura
di Vittorio Polito
“Mistero Sciacca”
di Steven Tranquilli
Elsa Schiaparelli rivive dopo 60 anni
CONFCOMMERCIO INFORMA
di Viviana Rubini
a cura della Redazione
Anatocismo e commissione di massimo scoperto
Direttore Responsabile: PANTALEO CARRIERA
EAT Ruvo di Puglia, un nuovo modo di fare consorzio
Per le inserzioni pubblicitarie su
“CONFCOMMERCIO MAGAZINE” rivolgersi alla
redazione, oppure chiamare i segg. numeri:
393.7848124 – 334.3609779, oppure scrivere alla
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Pag. 22
di Magda De Pasuale
Editore: Confcommercio della Provincia di Bari
legale rappresentante ALESSANDRO AMBROSI
Stampa: SEDIT S.r.l. Servizi Editoriali
Via delle Orchidee n. 1, 70026 Modugno (BA)
Tel. 080.5857439 - Fax 080.5857427
Pag. 18
di Sara Spagnoletti
Anno IV n. 2 - 2012
Impaginazione e grafica: Saverio Matarrese
[email protected]
16
a cura della Redazione
Da Federdettaglianti Orafi a Federpreziosi:
una evoluzione sostanziale
Redazione: Via Amendola 172/c, 70125 Bari
Tel. 080/5481110 - Fax 080/5481077
e-mail: [email protected]
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di Alessia De Giosa
Periodico di informazione, aggiornamento e cultura a cura della Confcommercio della Provincia di
Bari – Distribuzione gratuita
Coordinamento editoriale: EMANUELE PANZA
Pag. 14
di Michele Carriera
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di Alessandro Fusco
di Emanuele Panza
Donne e governance
di Alessia De Giosa
Contro la crisi FIDES scende in campo con Confcommercio
a cura della Redazione
ASSOORO, prezzi in vetrina
a cura della Redazione
Confederazione mondiale degli orafi – Congresso 2012
a cura della Redazione
Scadenzario fiscale
L@ POSTA
a cura di Michele Carriera
Lettere al Direttore: La direttiva Bolkestein
a cura di Leo Carriera
Pag. 48
SOMMARIO
EDITORIALE
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2
EDITORIALE
Dal boom
alla soglia della
depressione
di Alessandro Ambrosi
C
inque anni di storia del mercato automobilistico disegnano alla “perfezione” la debacle
del sistema economico italiano. Un sistema
“schizofrenico”, quello che appare sulle riviste specializzate del settore, alla spasmodica ricerca di
suggerimenti per ridare ossigeno ad una delle voci
trainanti del nostro Paese, per occupazione, indotto
e giro d’affari.
Non può essere altrimenti, nella terra di grandi
passioni motoristiche, patria della Rossa di
Maranello e del Tridente della Maserati, in
quest’Italia che fino a qualche anno fa era il secondo Paese d’Europa per numero di vetture in circolazione rispetto alla popolazione residente munita di
La 500L è l’ultimissima versione
della rinnovata utilitaria di FIAT,
su cui la Casa torinese punta
molto per dare una spallata alla
crisi del mercato dell’auto
patente, dietro solo alla corazzata Germania.
Numeri che forse non faranno contenti gli ambientalisti più estremi, ma che hanno permesso la
modernizzazione del territorio, lo sviluppo del turismo, un posto di lavoro – quasi – assicurato per
tutti e, infine, un fiume di denaro nelle tasche dello
Stato sotto forma di imposte, ad onor del vero sempre più opprimenti.
Tutto in crescita, fino al 2007, l’anno del boom
appunto. Poi di colpo il meccanismo si è inceppato,
la crisi ha iniziato a mordere il freno, banche e
finanziarie hanno stretto i rubinetti, le fabbriche
hanno dovuto chiudere i battenti e licenziare, le
famiglie si sono tenuti stretti i propri sempre più
poveri risparmi.
Risultato: in soli tre anni si è scesi di quasi
800mila automobili immatricolate in dodici mesi,
anzi le auto in meno superano il milione se il raffronto è con il “mitico” 2007. A questo punto si
sono azzardate le ipotesi più varie: meno passione,
propensione ad usare mezzi alternativi sia per gli
spostamenti brevi che per i tragitti più lunghi,
troppe vessazione contro gli automobilisti e la
“seccatura” dei controlli fiscali per chi azzarda in
città anche a bordo di una medio-grossa cilindrata. Colpa, s’è pure ipotizzato, dei designer alle
prese con un appiattimento progettuale che non
sforna più prodotti particolarmente eccitanti e per
i quali possa valere la pena staccare un assegno da
migliaia di euro. Infine, la sentenza di quelli che
sanno sempre tutto: colpa delle case automobilistiche che propongono modelli scadenti a prezzi
sempre più alti.
Eppure, mai affermazione sarebbe più falsa di
quest’ultima. Di auto se ne vendono sempre di meno, ma i listini sono in costante calo. Gli esperti del
settore hanno fatto un raffronto tra i modelli più
popolari del 2007 e le versioni aggiornate e sempre
più cariche di tecnologia a favore di sicurezza e
comodità, e le sorprese sono davvero molte.
Affermano i redattori di Quattroruote, per esempio, che la Fiat Grande Punto 1.2 tre porte, cinque anni fa costava 11.300 euro; oggi per acquistare la Nuova Punto con la stessa cilindrata, occorrono secondo i
listini dichiarati 11.650 euro, ma la vettura è dotata di
serie dell’Esp (un indispensabile sistema antisbandamento). La Nissan Micra 1.2 nel 2007 costava 12.300
euro, oggi 11.060. E la modaiola Mini One? 17.550
euro cinque anni fa, 16.150 adesso. Ancora, la Kia
Sportage Crd Vgt Active: il suo prezzo è calato di più
di 5mila euro. E l’intramontabile Golf, nella sua ultimissima versione, si porta in garage risparmiando
circa mille euro. Alla fine sono stati esaminati più di
quaranta modelli: i rincari – è il risultato dell’analisi –
non c’entrano con la Caporetto delle vendite semplicemente perché non ci sono stati, e anzi acquistare
un’auto adesso quasi sempre sarebbe un affare.
Ma ci sono altri particolari che dovrebbero far
riflettere e, possibilmente, far correre ai ripari con
un repentino cambio di rotta. Assieme alle vendite
sono calati drammaticamente i livelli occupazionali, l’indotto è andato in crisi, le concessionarie sono
costrette a chiudere ed è in grave pregiudizio perfino la sicurezza, con gli italiani ormai “costretti” a risparmiare sugli autoricambi e le necessarie operazioni di manutenzione dei veicoli. E non è tutto,
perché per paradosso colpendo gli automobilisti
con una serie infinita di accise e imposte, lo Stato ha
ottenuto esattamente il risultato opposto a quello
cercato: le casse pubbliche nazionali e locali, com’è
noto, reclamano di continuo denaro, e invece tra
mancata Iva all’acquisto, mancate tasse di registro e
proprietà, mancati introiti sui carburanti, dovranno
fare a meno, secondo alcuni conteggi per difetto, di
una cifra compresa tra i tre e i cinque miliardi di
euro, l’equivalente di una piccola finanziaria.
Abbiamo parlato del mercato dell’auto perché è
forse il più significativo e adatto a descrivere con
chiarezza quanto sta avvenendo e anche perché
quando finisce in default provoca effetti maggiormente disastrosi economicamente e socialmente
sulla crescita del sistema Paese.
Particolare di una delle due torri di vetro della
Volkswagen ad Autostadt, ognuna delle quali ha venti
piani di auto pronte per essere consegnate ai clienti con
un sofisticato sistema di montacarichi.
Ma spostandoci su altri settori la situazione
resta simile, se non, in alcuni casi, più grave.
Perfino un comparto a prova di crisi, quale quello
della telefonia mobile, oggi fa segnare un calo nelle
vendite di circa il 13,4 per cento; e il mercato dell’elettronica di consumo sta anche peggio, con un
meno 20 per cento.
Siamo convinti che ognuno a questo punto
debba fare la propria parte. La recessione in atto ha
portato ad un profondo, spesso obbligato cambiamento degli stili di vita e di comportamento.
Probabilmente rimettere in moto la macchina dei
consumi anche in tempo di crisi è in parte possibile
solo intercettando i nuovi bisogni degli italiani, con
prezzi concorrenziali e senza rinunciare alla qualità. Innovare stando insieme, condividendo progetti comuni, creando qualcosa di concreto affinché
ogni azione dei singoli possa assumere una forma
ufficiale e strutturata per trovare le forze e le risorse necessarie, in modo tale che questa idea, questo
progetto possano diventare solide realtà. Riuscendo
ad imporre scelte coraggiose e non più rinviabili da
parte di tutti i protagonisti dello sviluppo del
nostro Paese.
E mai più sottovalutare, ignorare, dimenticare ben altri dati, quelli che questa volta giungono dall’Istat: le famiglie italiane si scoprono
povere, con un potere di acquisto che in pochi
mesi è sceso ai livelli di dodici anni fa e con un
reddito reale che già ad inizio anno, dopo un
2011 negativo, è diminuito ulteriormente dell’1
per cento sul trimestre precedente e del doppio
rispetto a dodici mesi fa.
Mercato dell’auto in caduta libera a giugno
In base ai dati resi noti dal ministero dello Sviluppo, nello scorso mese di giugno sono state immatricolate in Italia 128.388 auto contro le 169.870 di un anno fa (-24,4%); a maggio il mercato aveva registrato un calo del 13,9% rispetto allo stesso mese del 2011. Nel primo semestre dell’anno la flessione è stata
del 19,73% a 814.179 auto, 200mila in meno rispetto al 2011. La previsione dell’Unrae – l’associazione
degli importatori di veicoli esteri – e del Centro studi Promotor vede un 2012 a 1,4 milioni di unità contro gli 1,75 milioni dell’anno scorso (-20%). L’Unrae evidenzia nella sua analisi come la congiuntura
stia colpendo duramente soprattutto gli acquisti da parte delle famiglie (-23% nei sei mesi, con una
quota calata al 63%); tengono meglio le auto aziendali (-16%) e i noleggi (-9%). L’Anfia chiede al
Governo un «alleggerimento della fiscalità, incominciando da comparti specifici come le auto a basse
emissioni e le auto aziendali».
EDITORIALE
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NORMATIVA
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Completata la
disciplina
sull’apprendistato
nel Terziario
di Mauro Portoso
In
attuazione della normativa contrattuale relativa alle assunzioni degli
apprendisti, è stato siglato il
23/04/2012 l’Accordo Collettivo Nazionale nel
settore Terziario.
La procedura per assumere apprendisti
passa attraverso :
1) La richiesta di parere di conformità (art. 4
comma 1 dell’accordo di riordino dell’apprendistato del 24 marzo 2012) così come
predisposta nel format;
2) Il riconoscimento del parere di conformità
da parte dell’Ente Bilaterale (o silenzio
assenso) SE NON SI RICEVE RISPOSTA
ENTRO 15 GIORNI come previsto all’art
47 Ccnl Terziario) il datore di lavoro potrà
procedere all’assunzione;
3) Entro 30 giorni dalla data di assunzione il
datore di lavoro dovrà predisporre il
piano formativo individuale (di cui all’art
3 comma 1 dell’Accordo sull’apprendistato del 24/3/2012), che resterà in azienda tra
datore di lavoro e apprendista e che non
dovrà essere inviato all’Ente Bilaterale.
4) Inviare ai soli fini dell’Osservatorio sul
Mercato del Lavoro copia del modello
UNILAV presso l’Ente Bilaterale;
Pertanto l’Accordo rende obbligatorio il
passaggio dall’Ente Bilaterale al fine dell’assunzione degli Apprendisti.
A tutt’oggi si discute sull’obbligatorietà del
passaggio all’Ente Bilaterale di cui si attende
risposta dal Ministero del Lavoro, ma riteniamo
che a prescindere dall’obbligatorietà l’iscrizione
all’Ente deve essere vista dalle aziende come un
opportunità per i servizi che lo stesso offre e non
solo come obbligo.
L’accordo prevede che bisogna aver mantenuto in servizio NON MENO DELL’80% nei
ventiquattro mesi precedenti (fatte salve le
cause di dimissioni, licenziamenti per giusta
causa, recesso del lavoratore al fine del periodo
di formazione) e la limitazione NON SI APPLICA quando nel biennio precedente è scaduto un
solo contratto.
Viene inoltre prevista la durata dell’apprendistato che varia a seconda del livello finale del
dipendente da minimo di 24 a massimo 36 mesi
con divieto di assumere apprendisti per determinate qualifiche di basso profilo ( dattilografi,
archivio e/o protocollo).
L’accordo prevede degli OBBLIGHI a carico
DEL LAVORATORE che deve seguire con diligenza le istruzioni del datore di lavoro e partecipare attivamente e con diligenza alle attività formative previste dal piano e prestare la sua opera
con diligenza nonché svolgere la formazione del
piano anche se è in possesso di adeguato titolo di
studio.
Sono posti a carico dell’Azienda nell’ impartire o far impartire il necessario “insegnamento”
per conseguire la capacità di diventare dipendente qualificato e di svolgimento della formazione prevista nel Piano Formativo nonché
rispettare l’accordo nazionale in materia di attività formativa, modalità di erogazione della formazione e registrazione della formazione;
Nelle modalità di erogazione delle Formazione l’accordo precisa che la formazione può
essere svolta in AULA, on the JOB, in FAD e con
strumenti di E-LEARNING in tele-affiancamento
o in video comunicazione remota e l’Azienda
deve essere in grado di erogare formazione con
risorse idonee e con ambienti adeguati e ha il
compito di ATTESTARE la formazione 30 giorni
prima della scadenza del periodo formativo,
anche ai fini della registrazione sul libretto formativo.
I profili formativi e la formazione da impartire all’apprendista sono indicati nell’accordo nei
profili formativi allegati quale formazione
INTERNA all’azienda.
Per quanto riguarda la FORMAZIONE
ESTERNA è solo quella di BASE o TRASVERSALE demandata alle Regioni. La Regione Puglia
con DISEGNO DI LEGGE del 26/04/2012 ha
previsto la FORMAZIONE ESTERNA di BASE o
TRASVERSALE di 120 ore di cui 60 il primo
anno, 40 il secondo anno, e 20 il terzo anno ed il
Finanziamento Pubblico nei limiti delle risorse
disponibili e coinvolgimento dei fondi di formazione professionale di settore (FORTE).
Confcommercio della Provincia di BARI
attraverso le sue strutture collegate CAT CONFCOMMERCIO BARI sarà in grado di offrire
la formazione esterna e di seguire l’iter di formazione dell’Apprendista ivi compreso la pratica per il rilascio del parere di conformità tramite l’Ente Bilaterale del Terziario di BARI.
La modulistica è presente sul sito www.ebiterbari.com o è possibile inviare email per
informazioni alla indirizzo [email protected]
NORMATIVA
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NORMATIVA
6
Le spese di
manutenzione e
riparazione ordinarie
di Vito D’Ingeo
Le
spese di manutenzione e riparazione sono sostenute dall’impresa
per mantenere in efficienza le
immobilizzazioni materiali.
In particolare, le spese di manutenzione
sono dirette a garantire la vita utile prevista
nonché la capacità e produttività originarie e
possono essere oggetto di programmazione,
mentre le spese di riparazione sono sostenute
per “sistemare” i guasti e le rotture e, in genere,
non possono essere programmate, ancorché,
entro certi limiti, possono essere “ragionevolmente previste”. Sia le spese di manutenzione
che di riparazione costituiscono comunque
un’unica classe di costi denominati “di manutenzione”.
Le stesse si distinguono in:
- ordinarie e straordinarie;
- su beni propri e su beni di terzi.
Di seguito si esamina il trattamento contabile e fiscale delle spese di manutenzione
ordinaria su beni propri.
ASPETTI CONTABILI
Le spese di manutenzione ordinaria, ossia
di natura ricorrente, sono finalizzate a mantenere i beni in efficienza e in buono stato di
funzionamento ovvero a riparare i guasti e le
rotture verificatesi, in modo da garantire la
vita utile prevista, nonché la capacità produttiva originaria (si tratta ad esempio, degli
interventi di verniciatura, pulizia, sostituzione di parti deteriorate dall’uso).
Tali spese costituiscono componenti negativi di competenza del periodo in cui sono
sostenute
In particolare:
- i materiali utilizzati per la manutenzione
(con esclusione dei pezzi di ricambio), se di
basso costo unitario e di uso ricorrente,
vanno rilevati come spese d’esercizio, mentre se di maggior costo devono essere rilevati tra le rimanenze di magazzino;
- i pezzi di ricambio:
1) se di basso valore unitario e totale nonché
di uso ricorrente vanno rilevati come
spese d’esercizio;
2) se di rilevante costo unitario e di uso non
ricorrente vanno classificati tra le immobilizzazioni materiali ed ammortizzati
sulla vita utile del bene cui si riferiscono
o, se inferiore, sulla loro vita utile;
3) se di rilevante valore unitario e di uso
molto ricorrente vanno inclusi tra le
rimanenze di magazzino.
ASPETTI FISCALI
L’art. 102, comma 6, TUIR, disciplina
espressamente il trattamento fiscale da riservare alle spese di manutenzione, riparazione, ammodernamento e trasformazione,
“che dal bilancio non risultino imputate ad
incremento del costo dei beni ai quali si riferiscono”, ossia alle spese di manutenzione
ordinaria.
In particolare le stesse sono deducibili, nel
periodo di competenza, nel limite del 5% del
costo complessivo di tutti i beni materiali
ammortizzabili risultante all’inizio dell’esercizio dal registro dei beni ammortizzabili.
Per le imprese di nuova costituzione, per
il primo esercizio va fatto riferimento al costo
complessivo dei beni risultante alla fine dell’esercizio.
L’eventuale eccedenza (differenza tra le
spese di competenza e il limite del 5%) non è
persa ma è deducibile per quote costanti nei
5 esercizi successivi.
Va tenuto presente che, secondo quanto disposto dall’art. 16, comma 5, DPR n. 600/73,
l’importo delle spese eccedenti il limite del 5%
va iscritto nel registro dei beni ammortizzabili in un’apposita voce in base all’anno di
formazione.
E’ stata soppressa la necessità di ragguagliare la deduzione alla durata del possesso
del bene.
Tale modifica decorre dal periodo d’imposta in corso al 29.4.2012 e pertanto dal 2012
per i soggetti con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare.
Infine, va evidenziato che se la durata dell’esercizio è inferiore o superiore a 12 mesi,
l’importo deducibile va ragguagliato alla
durata dell’esercizio.
CALCOLO DEL PLAFOND DI
DEDUCIBILITÀ
Ai fini del calcolo del limite del 5% va
tenuto presente che:
- vanno considerati anche i beni completamente ammortizzati, nonché quelli di costo
unitario non superiore a € 516,46, iscritti
nel registro dei beni ammortizzabili;
- vanno esclusi i beni per i quali sono stipulati contratti di manutenzione periodica (ad
esempio, personal computer, stampanti,
fotocopiatrici); i relativi canoni di manutenzione sono infatti deducibili in base al principio di competenza. Si ritiene comunque
possibile “optare” per la deduzione con il
limite del 5%; in tal caso i beni vanno ricompresi nell’ammontare rilevante ai fini del
calcolo di tale limite. Detto criterio va utilizzato per tutti i periodi d’imposta di durata
del contratto;
- per i veicoli il costo va assunto, nei limiti rilevanti ai fini della deduzione dell’ammortamento e pertanto, relativamente alle autovetture, nel limite pari a € 7.230,40 (18.075,99 x
40%) ovvero, per gli agenti e rappresentanti
di commercio, a € 20.658,28 (25.822,85 x 80%);
- per gli altri beni a deducibilità limitata (ad
esempio, telefoni cellulari) il costo va assunto nel limite fiscalmente rilevante (80%);
- relativamente ai beni oggetto di rivalutazione, è necessario considerare la decorrenza dei relativi effetti fiscali.
- è irrilevante il costo del terreno occupato
dai fabbricati strumentali, pari al 20% (30%
per i fabbricati industriali);
- non vanno considerati i beni in leasing,
posto che gli stessi rappresentano beni di
terzi le cui spese di manutenzione sono
deducibili nell’esercizio di competenza,
senza limitazioni.
Con riguardo a determinati settori di attività, il limite del 5% è sostituito da specifici
limiti, come di seguito evidenziato:
- Generalità delle imprese 5% (*)
- Imprese operanti nei settori della siderurgia
e metallurgia 11% (*)
- Imprese operanti nel settore estrattivo, 15% (*)
Soggetti:
- esercenti attività di autotrasporto di cose
per conto terzi iscritti nel relativo Albo
- concessionari di autoservizi pubblici di linea
- titolari di licenze per il trasporto di persone
con autoveicoli da piazza (taxi) e da noleggio con conducente (c.d. NCC)
- esercenti attività di locazione di autoveicoli
senza conducente
- titolari di scuole per conducenti di veicoli a
motore (scuole guida)
- per le spese relative agli automezzi, compresi quelli per il trasporto interno (***) 25% (**)
Per quanto riguarda l’eccedenza delle
spese in esame rispetto al limite del 5%:
1) per le imprese in contabilità ordinaria è
necessario effettuare:
- nell’anno di competenza delle spese e
quindi di formazione dell’eccedenza, una
variazione in aumento per il relativo
ammontare;
- nei 5 anni successivi (ovvero 3 anni per le
imprese individuate dal citato DM
13.7.81) una variazione in diminuzione
corrispondente ad 1/5 (ovvero 1/3) dell’eccedenza;
2) per le imprese in contabilità semplificata
va riportata esclusivamente la quota (1/5
ovvero 1/3)
(*) l’eccedenza è deducibile in quote costanti nei 5 periodi d’imposta successivi
(**) l’eccedenza è deducibile in quote costanti nei 3 periodi d’imposta successivi
(***) le spese per gli pneumatici sono interamente deducibili al
100% nell’esercizio di competenza
NORMATIVA
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NORMATIVA
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Nuove pensioni e
nuova cultura
previdenziale
a cura di ENASCO
P
er fare cassa non si può proprio fare a
meno d intervenire sulle pensioni. Non
ha fatto eccezione la Manovra “Salva
Italia” messa a punto dal nuovo governo
“Monti”.
Una riforma che ha scontentato un po’ tutti,
partiti di ex maggioranza e opposizione, organizzazioni sindacali, lavoratori e pensionati.
Il risultato concreto di questa riforma e che
tutti andranno in pensione più tardi e con una
rendita ridotta rispetto alle aspettative con cui
si era partiti.
Una scomoda e amara verità che deve fare
da stimolo per una riflessione seria e definitiva,
sulle necessità di investire sul proprio futuro.
Con un giusto mix tra copertura pubblica (da
conoscere e monitorare) e pensione di scorta.
Negli ultimi 20 anni il nostro sistema previdenziale è stato oggetto di nove riforme (quasi
una ogni due anni) ed oggi con la “riforma
Il ministro Fornero
ed il premier Mario Monti
Fornero” ha forse trovato il suo equilibrio e il
cerchio, a questi punto, dovrebbe essere chiuso.
I principi su cui poggiano i nuovi provvedimenti sono, in sintesi:
- L’affermazione del metodo contributivo come
criterio di calcolo delle pensioni, in un’ottica di
equità finanziaria intra/intergenerazionale;
- La sostanziale eliminazione delle pensioni di
anzianità;
- La parificazione definitiva dell’età pensionabile tra uomini e donne anche nel privato e
nel settore del lavoro autonomo;
- La flessibilità nell’età di pensionamento, che
consente al lavoratore maggiori possibilità di
scelta nell’anticipare – ma con penalizzazioni
– o posticipare il ritiro dal mercato del lavoro;
- La semplificazione e la trasparenza dei meccanismi di funzionamento del sistema, con
l’abolizione delle “finestre” e di altri meccanismi che non rientrino esplicitamente nel
modello contributivo;
L’abbattimento delle posizioni di privilegio.
Si armonizzano, infatti, età, aliquote contributive e modalità di calcolo delle prestazioni; si
individuano requisiti minimi per accedere alla
pensione, in linea con la speranza di vita per le
diverse fasce di età e in coerenza con gli altri
ordinamenti europei.
Gli interventi legislativi, dunque, hanno
prodotto effetti certamente significativi. Ma
proprio perché la sostenibilità sembra raggiunta, sarebbe miope e riduttivo pensare che proprio la sostenibilità possa essere l’unico criterio
di riflessione sul sistema previdenziale.
Tutti abbiamo preso confidenza con il problema del risparmio personale e familiare; tutti
abbiamo l’abitudine di controllare almeno men-
silmente il nostro conto in banca. Quasi nessuno
si pone l’obiettivo di controllare periodicamente
il proprio conto previdenziale, da cui dipenderanno le prestazioni di cui potremo disporre alla
fine della nostra carriera lavorativa.
Mentre ci sono già circa otto milioni di lavoratori il cui futuro previdenziale è regolato dal
sistema contributivo “puro ”, tutti gli altri, da
quest’anno, debbono essere consapevoli che
riceveranno una pensione (anche se in pro-rata:
retributiva e contributiva insieme) la cui consistenza complessiva sarà determinata dal montante contributivo che stanno accumulando.
E qui si innesta il problema della cultura
previdenziale.
Non ci si può solo soffermare sulla sostenibilità economico-finanziaria del sistema previdenziale, ma va anche considerata quella “sociale”.
Non c’è società che non elabori cultura. Non
c’è sostenibilità sociale in tema di pensioni che
non debba costruire una cultura previdenziale,
condivisa.
Oltre ai conti, è la cultura ad assicurare il patto tra le generazioni. E una cultura previdenziale nasce dalla riflessione e dalla consapevolezza.
Il sistema contributivo aggancia rigorosamente le prestazioni ai contributi effettivamen-
te versati durante l’intera vita lavorativa. E
impone oltre all’assicurazione obbligatoria, la
necessità di costruire una posizione integrativa. In questo i fondi più vicini ai lavoratori
(negoziali o di categoria) possono fare tanto.
Certamente molto più di quello che spetta
all’Inps il cui ruolo fondamentale è quello di
essere sempre di più l’architrave dello Stato
Sociale garante delle prestazioni “di base”, sia
per la previdenza che per l’assistenza.
Gli spazi di collaborazione tra l’Istituto previdenziale e i Patronati sono molti. Primo fra tutti
quello della informazione e comunicazione.
Il nostro patronato 50&Più Enasco, che assiste da sempre, gratuitamente su tutto il territorio nazionale, tutti i lavoratori e i pensionati, è
in grado – con il collegamento on-line – di
favorire la conoscenza della situazione personale, tramite la consultazione del proprio
conto previdenziale e predisponendo, tra l’altro, una proiezione di calcolo sulla liquidazione della futura pensione.
Ricevere in anticipo consigli e suggerimenti
mettono in condizioni tutti di non partire dal
punto zero. Il futuro, soprattutto quello previdenziale, è dunque nelle nostre mani, preoccupiamocene in tempo.
NORMATIVA
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NORMATIVA
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Mediazione civile in
ambito RC auto:
luci ed ombre
di Pierluigi Damiani
D
al 20 marzo 2012 l’istituto della
mediazione civile, introdotto con
Dlgs 28/2010, diviene obbligatorio
anche per i danni da circolazione stradale.
Esso rientrerebbe (il condizionale è d’obbligo) nell’alveo delle ADR (alternative dispute resolution); si tratta di strumenti alternativi
al Giudice, sorti per consentire un allargamento dell’accesso alla giustizia, da esercitarsi facoltativamente ed in via alternativa al
ricorso giudiziale, risparmiando su tempi e
costi.
La particolarità della mediazione rca risiede viceversa nella sua obbligatorietà, ponendosi come inderogabile condizione di procedibilità della domanda giudiziale.
Il legislatore, in questo modo, pare abbia
sovvertito il criterio ispiratore delle ADR
(ampliamento giustizia), tentando di incentivare forzatamente le parti a non adire il
Giudice, con la speranza di un effetto collaterale deflattivo.
Uno strumento mediativo efficace, sia
qualitativamente che economicamente, non
dovrebbe avere bisogno di essere reso obbligatorio, con condizioni impeditive dell’esercizio dell’azione giudiziaria.
Il risultato concreto evidenzia invece una
serie di ostacoli e lungaggini, che minano,
ancora una volta, il diritto di difesa del danneggiato.
Dopo un sinistro, la parte, ove insoddisfatta del risarcimento offerto o negato dalla
compagnia assicurativa, dovrà necessariamente indire il tentativo obbligatorio di
mediazione, e solo all’esito potrà proporre
domanda giudiziale.
Questo nuovo percorso, pone il grave problema delle spese, in ragione delle scarsissime chance del suo esito positivo, di cui le
statistiche già parlano.
La procedura di mediazione dovrà svolgersi presso un organismo accreditato cui
andrà corrisposta l’indennita di mediazione
complessiva.
L’art.16 del Dm 180/2010 precisa che
l’indennità comprende le spese di avvio
del procedimento (a tariffa fissa pari a 40
euro a salire dal primo scaglione) e le
spese di mediazione in relazione al valore
della lite, come tabellarmente determinate.
La circolare ministeriale 20 dicembre 2011
aggiunge poi che, oltre all’indennità complessiva (spese di avvio e spese di mediazione) saranno dovute anche le spese vive,
cosi conteggiate e documentate dall’organismo di mediazione.
Se la parte aderisce e si raggiunge la
conciliazione, è prevista in favore del
mediatore la maggiorazione di un quarto;
se il mediatore formula soltanto una proposta la maggiorazione sarà di un quinto.
Se la parte non aderisce alla procedura,
nella successiva eventuale causa subirà la
condanna al pagamento di una somma di
importo corrispondente al prescritto contributo unificato, e tale assenza, ove ingiustificata, verrà valutata dal Giudice ai
sensi dell’art.116 c.p.c. quale argomento di
prova.
Se nessuna delle controparti aderisce,
saranno dovute dal proponente solo le
spese di avvio.
Appare in tutta la sua evidenza, l’onerosità di una simile procedura da qualunque
prospettiva la si esamini, in quanto a tempi
(quattro mesi nella previsione del legislatore) e spese (irrecuperabili).
Ad esempio, la parte, in virtù di una trattativa pregressa con l’avversario, pur consapevole dell’insuccesso dell’eventuale mediazione, sarà obbligata a promuoverla ed
affrontarne costi (non ripetibili) e tempi,
solo per arrivare davanti al Giudice ad affermare finalmente il proprio diritto; si pensi
anche all’invitato che dovrà sottostare alla
convocazione e pagarne anch’egli il dazio,
pur ritenendo le avverse ragioni del tutto
infondate, onde evitare le sanzioni connesse
alla mancata comparizione.
Ebbene, in un sistema che funzioni, con
tempi delle cause ragionevoli ed una cultura
della mediazione, tale strumento sarebbe
eccellente per perseguire la giustizia a costi
ridotti con l’effetto di ridurre il contenzioso
dei Tribunali; viceversa sperare negli effetti
collaterali di una medicina che nasce per
guarire altre malattie (abbiamo detto allargare l’accesso alla giustizia,) rischia solo di
aumentare squilibri e sperequazioni.
Il rischio è che la vittima di un incidente
tra la prima richiesta all’assicuratore e l’avvio dell’iter risarcitorio debba aspettare
almeno un anno, sempre muovendosi in una
corsa ad ostacoli.
In breve i passi verso la definizione,
secondo la legge:
- risarcimento diretto o procedura ordinaria
risarcimento del danno - da 2 a 4 mesi;
- ove la procedura non abbia portato al
ristoro dovuto mediazione obbligatoria
– 4 mesi;
- ove la mediazione non abbia portato al
ristoro dovuto la parte può adire il
Magistrato competente – tra notifica atto
di citazione e prima udienza da 2 a 12
mesi, a seconda delle Corti.
Rimane dunque l’interrogativo: cui prodest?
NORMATIVA
11
ALIMENTAZIONE E SALUTE
12
Alimentazione
e attività fisica
a cura di Giovanna Spilotros
P
rima di parlare della relazione esistente tra
alimentazione e attività fisica, è bene chiarire la differenza esistente tra attività fisica
e sport, termini spesso utilizzati indifferentemente. Lo sport è un’attività fisica che prevede l’impegno di sforzi fisici, generalmente intensi e prolungati, come nuoto, basket, ciclismo, pallavolo ecc.
L’attività fisica comprende, anche tutte le semplici attività quotidiane come salire le scale, passeggiare, fare giardinaggio, senza doversi necessariamente cimentare in attività sportive. Inoltre, è
importante considerare l’attività lavorativa che si
Josefa Idem, Valentina Vezzali (pag. a fianco in alto) e Federica
Pellegrini (pag. a fianco in basso), tre esempi di eccellenza nel
mondo dello sport grazie ad una preparazione fisica di prim’ordine e
ad una sana ed equilibrata alimentazione
svolge, perché un lavoro abbastanza pesante,
come il muratore o il contadino, costituisce già di
per sé un’ottima occasione per fare attività fisica,
e non è, quindi, strettamente necessario impegnarsi anche in attività sportive.
Tutto l’organismo può trarre giovamento da
uno stile di vita attivo. L’attività fisica fa bene a
ossa e muscoli, permettendo di mantenere al
meglio la loro funzionalità. Lo sforzo fisico richiede un certo impegno al cuore, che si mantiene
“allenato” a sopportare carichi di lavoro più
intensi, prevenendo, quindi molte cardiopatie.
La pratica dell’attività fisica nell’infanzia e
nell’adolescenza è di fondamentale importanza
per la crescita e per lo stato di salute futuro dell’individuo. È infatti nella fase di crescita che il
metabolismo si programma per tutto il resto
della vita. Un bambino obeso avrà, quindi, alte
probabilità di essere obeso anche da adulto, con
poche possibilità di poter cambiare.
Oggi si sente spesso parlare delle malattie del
benessere quali diabete, obesità, dislipidemia,
ipertensione ecc, tutte patologie derivate dal
miglioramento della condizioni economiche
della gente, con conseguente maggiore disponibilità di generi alimentari e sedentarietà, due
parametri che, a lungo andare, potrebbero portare ad un peggioramento dello stato di salute. Una
sana alimentazione abbinata ad una leggera attività fisica quotidiana, riduce sensibilmente i
rischi di soffrire delle succitate patologie.
E’ troppo ottimista chi si illude di poter avere
dalla sola dieta risultati straordinari, ma sbaglia
chi pensa che la dieta abituale non abbia influenza sul rendimento fisico e sulla prestazione nello
sport. L’attività fisica deve essere scelta sulla base
delle proprie inclinazioni, in quanto deve essere
svolta con piacere e non assolta come un obbligo.
La frequenza ottimale sarebbe 3 volte a settimana,
nel caso in cui questo non fosse possibile, può
andar bene una bella passeggiata giornaliera, a
passo svelto. Questi consigli riguardano lo sportivo amatore (cioè la persona che fa attività fisica o
sport come hobby) e non del professionista, che
generalmente è seguito da un team di specialisti
che ne controlla l’alimentazione, l’allenamento e
lo stato di salute.
E’ fondamentale pianificare la dieta in base a
rigorosi principi nutrizionali, per fornire l’apporto energetico e proteico necessari per allenarsi correttamente e senza deficit di nessun genere.
La quantità di energia richiesta dall’attività
fisica dipende da diversi fattori come l’età e il
sesso (il metabolismo cambia con l’età ed è
diverso tra i due sessi), il clima (praticare sport
quando il clima è caldo e umido non è la stessa
cosa che quando il clima è freddo e secco).
In ciascuna dieta devono essere presenti carboidrati (fonte principale di energia per l’organismo), proteine (costruiscono e riparano
muscoli e tessuti), grassi (fonte di energia alimentare più concentrata), vitamine, sali minerali e acqua (partecipano ai processi cellulari
vitali e alla regolazione dei liquidi corporei),
ma la combinazione di questi nutrienti varia
sensibilmente a seconda del risultato che si
vuole raggiungere e se si pratica sport. In linea
di principio, l’organismo brucia i carboidrati
quando deve far fronte a richieste energetiche
immediate, intense e brevi, mentre utilizza i
lipidi per gli sforzi medio leggeri e di durata
più lunga.
È importante mantenere il livello di glicemia
entro un intervallo di valori adeguato al
fabbisogno del sistema nervoso centrale e
degli eritrociti (globuli rossi) al fine di
prevenire durante l’attività fisica un
“calo di zuccheri” con conseguente affaticamento, nausea, cefalea. L’assunzione
complessiva raccomandata di carboidrati è
intorno al 55-60% dell’energia totale. Il
consumo di zuccheri semplici (glucosio, fruttosio ecc.) non dovrebbe tuttavia superare il 1012% delle calorie totali in quanto essi
forniscono
energia immediata che termina subito. Gli alimenti contenenti carboidrati complessi (amidi), invece, oltre a fornire energia a più lento rilascio,
rispetto a quelli semplici, apportano anche altri
nutrienti fondamentali all’equilibrio generale
della dieta.
Non bisogna dimenticare di assumere acqua
mentre si pratica attività fisica, per consentire il
funzionamento del meccanismo di termoregolazione corporea ed evitare, quindi, il rischio di
disidratazione. La termoregolazione serve per
mantenere costante la temperatura interna del
nostro corpo (circa 37°C), indipendentemente
dallo sforzo che si compie e dalla temperatura
esterna. Quando ci si muove, la temperatura corporea tende naturalmente ad aumentare e, l’organismo reagisce con la sudorazione allo scopo di
dissipare il calore in eccesso e mantenere costante la temperatura. Durante l’attività fisica bisognerebbe bere circa 100-200 ml di acqua ogni 1520 minuti.
Uno degli errori più frequentemente commessi
da chi pratica attività sportiva a livello amatoriale
è quello di aumentare l’assunzione di alcuni
nutrienti, pensando che questo possa giovare alle
proprie prestazioni sportive o alla forma fisica.
Eccedere con i nutrienti potrebbe portare a problemi di diverso tipo dovuti allo stress metabolico al
quale è sottoposto l’organismo quando si trova a
dover gestire un eccesso di nutrienti. In particolare, è sbagliato eccedere con le proteine
nell’intento di aumentare la massa muscolare in quanto, le proteine in eccesso rispetto
ai fabbisogni, non possono essere accumulate, ma vengono smaltite, con un grosso e
rischioso carico di lavoro per i reni.
Alla luce di tutto questo si evince
come attività fisica e corretta alimentazione possano prolungare
la vita, migliorare l’umore
e proteggere dalle
malattie della vita
moderna.
ALIMENTAZIONE E SALUTE
13
ATTUALITA’
14
L’Italia ri-piace
agli italiani
Un piacevole effetto collaterale della crisi economica
sta nel fatto che gli italiani stiano riscoprendo l’Italia
come meta per le proprie vacanze estive
a discapito di località al di fuori della penisola
di Michele Carriera
S
ono anni che la crisi c’è e si fa sentire. Nel settore dell’industria, del commercio e del turismo. Ma se è vero che nella cultura italiana il
valore del sacrificio è radicato, altrettanto vero è che
le vacanze sono un must a cui difficilmente si
rinuncia.
Che si tratti di un weekend o di una settimana
poco importa, è un piacere di cui tutti vogliono usufruire.
Dopo anni in cui le località italiane venivano
snobbate, eccezion fatta per le mete di lusso, a
favore di località estere più o meno economiche,
quest’anno la tendenza sembra essersi invertita.
Addio, almeno in parte, a mete come Croazia,
Montenegro, Grecia che prevedono lunghi viaggi
in mare e servizi in loco di bassa qualità e…bentornati in Italia!
Anche perché l’Italia non ha niente da invidiare
ad altre destinazioni: dalla Liguria alla Sicilia, passando per l’Emilia Romagna e la Campania, il mare
Italiano non sfigura affatto in confronto a località
sopra citate; inoltre, se si cerca attentamente si possono trovare in tante località Italiane numerose proposte a basso costo. Sulla costa ligure ci sono cittadine bellissime affacciate su un mare dai colori cristallini e spiagge da sogno, intervallate da insenature rocciose. Splendida vegetazione, mare limpido e
località interessanti caratterizzano tutto il Ponente
Ligure. Scendendo verso sud la costa romagnola è
indicata per una vacanza all’insegna del relax,
divertimento e risparmio.
Inoltre, in Italia è facile unire il relax al divertimento, la buona cucina allo sport e usufruire dei
tanti intrattenimenti per i bambini. Al sud Italia c’è
l’imbarazzo della scelta. Sia la Campania che la
Puglia offrono un mare davvero unico. La Costiera
amalfitana con le sue località e il suo panorama
mozzafiato è una meta turistica molto ambita. Il
Gargano, caratterizzato da pinete e boschi che si
affacciano sul mare azzurro, offre una vacanza
ideale a chi vuole riposare e godere del fresco che
caratterizza tutta la zona.
E facendo qualche passo in giù non possiamo
non menzionare il Salento, nel quale la percentuale
di turisti negli ultimi anni si è praticamente decuplicata, e la Calabria, una delle regioni con le spiagge più incontaminate dell’intera penisola; e come
dimenticare la Sicilia e la Sardegna, le due isole
famose in tutto il mondo per il loro mare e la loro
natura incontaminata?
Insomma, i posti non mancano e offrono alternative di ogni genere; non sorprende quindi che dai
ragazzi alla loro prima esperienza di vacanza alle
famiglie con bambini la scelta del viaggio estivo stia
ricadendo sulla nostra penisola. Anzi, arrivati a
questo punto, viene da chiedere a molti come mai
per anni si sia deciso di
abbandonare la penisola
proprio nel periodo estivo,
in cui è risaputo che offre il
suo maggior spettacolo.
La risposta forse è più
banale di quello che sembra. Fino a qualche anno
fa spendere molto e
“ostentare” il poter spendere per abbigliamento o
vacanze era uno status
sociale ambito da tutti, a
voler dimostrare che “più
si spende più bella è la
cosa che si compra”, sia
questa un prodotto o un servizio. A fronte, invece,
della nuova cultura del risparmio la tendenza è
invertita e quindi ci si trova spesso a apprezzare il
ribasso dei prezzi delle cose che acquistiamo.
Anzi, si tende maggiormente ad ostentare il
risparmio e il basso prezzo delle cose acquistate
che il contrario. E le vacanze rientrano in questa
categoria.
ATTUALITA’
15
Quindi, il risparmio su voli aerei internazionali,
spesso con prezzi esorbitanti, a favore di un viaggio
in macchina o in treno, la scelta di b&b piuttosto
che di alberghi lussuosi, di
spiagge libere e incontaminate invece che lidi superaccessoriati ma molto
costosi è non solo un’alternativa che torna ad essere
presa in considerazione ma
quasi una moda.
Poter risparmiare, rilassarsi e divertirsi: sono queste le parole d’ordine di
quest’estate all’insegna del
low cost. Perché, se è vero
che spesso parlando di crisi
la si vede in termini astratti, come se tutti debbano
dire che “c’è la crisi” anche se effettivamente non
tutti la sentono, e soprattutto non tutti ne hanno
subito le conseguenze nella stessa misura, è anche
vero che un po’ di risparmio nei piccoli come nei
grandi acquisti ormai lo cerchiamo tutti.
Non resta quindi che iniziare le vacanze…
l’Italia che piace nuovamente a tutti gli italiani, da
nord a sud isole incluse, ci aspetta!
Nella pagina a fianco, sotto il titolo il castello di Gallipoli e nella foto in basso una celebre veduta della costa garganica; in questa pagina, in alto scorcio del centro storico di Ostuni, al centro
uno scorcio delle isole Tremiti e qui in basso una suggestiva insenatura di Polignano a mare.
ATTUALITA’
16
...ma servono le
braccia per danzare?
Un viaggio alla scoperta dell’abilità differente
di Alessia De Giosa
“
Disabili”, “Diversamente Abili“ o forse sarebbe
più corretto chiamarli “Abili diversamente”.
La storia della Disabilità è una storia ricca di
nomi, di etichette, di terminologia proposta, acclamata e accantonata all’insegna del politically correct.
Dall’antica Roma fino agli anni dell’Olocausto, la
società ha cercato di costruire i modelli sociali e di
pensiero che miravano ad escludere la “diversità“.
La storia della disabilità è costellata di prove che
testimoniano il suo scontro con l’ “ortodossia” sia
questa religiosa, filosofica che sociale.
Possono esser citati, pur senza un ordine cronologico, esempi che ci dimostrano di come il fenomeno abbia assunto aspetti inquietanti.
Ricordiamo il filosofo Platone che, partendo dal
concetto di come l’uomo fosse costituito da anima e
corpo, proponeva di accettare solo i figli delle donne
e degli uomini migliori o praticare, in alcuni casi, l’in-
fanticidio; o magari Seneca che scriveva: “Soffochiamo i nati mostruosi, anche se fossero nostri figli. Se
sono venuti al mondo deformi o minorati dovremo
annegarli. Ma non per cattiveria. Ma perché è ragionevole separare esseri umani sani da quelli inutili…”.
Non mancò chi, come Aristotele, propose, invece, una
legge che proibiva di allevare i figli minorati; o magari chi, come Cicerone, affermava che un bambino orribilmente deforme dovesse essere ucciso immediatamente, secondo la legge delle Dodici Tavole.
Non da meno sono state le stesse religioni che
credono nella reincarnazione, le quali, partendo dal
presupposto che le esperienze passate sono responsabili di ciò che avviene nell’esistenza successiva,
hanno storicamente sostenuto che il vero colpevole è
lo stesso handicappato e le malformazioni genetiche
sono manifestazioni del suo karma negativo accumulato nelle vite precedenti. Pertanto solo sostenendo una vita di sofferenze fisiche e psichiche, otterrà
che la sua vita successiva possa essere piena di gioie.
Questa teoria della punizione divina è riscontrabile anche in altre religioni: soltanto la religione
Cristiana cambiò il corso di questa tragica storia,
proprio perché Gesù vede nell’uomo la sua sofferenza e non l’inutilità o la ripugnanza: “Siamo tutti
figli di Dio”.
Il mondo della disabilità che vede oggi, dopo
tante battaglie, sofferenze e umiliazioni, i diversamente abili, finalmente e giustamente, riappropriarsi dei loro diritti, grazie all’evolversi delle
leggi con il tempo, è stato caratterizzata dal passaggio di una serie di tabù linguistici, che hanno
sostituito, sempre più, termini offensivi e discriminatori un tempo di uso comune.
ATTUALITA’
17
Dall’ormai quasi dimenticato “mongoloide“,
carico di valori dispregiativi, anche se nasce
come termine proprio dalla Sindrome di Down,
al già citato “handicappato” o nella sua versione
mite “portatore di handicap“, per poi passare al
termine “persona disabile“ fino ad arrivare al
termine “diversamente abile“.
Quest’ultima espressione pone l’enfasi sulla differenza qualitativa nell’uso delle abilità, perché
esso viene utilizzato per specificare che attraverso
modalità diverse si raggiungono gli stessi obiettivi.
Ovviamente vi sono situazioni di disabilità in
cui l’uso del termine può essere adeguato, ma ci
sono anche delle situazioni in cui può risultare
fuorviante o magari ingannevole, in quanto
“nasconde“ il fatto che tali prestazioni sono inferiori rispetto a quelle tipiche della normalità.
Vorremmo, però, spingermi più in là chiedendoci: “perché non chiamarli Abili Diversamente?“.
Il 15 Aprile di quest’anno, presso il Teatro Royal di
Bari, l’Associazione UNITINSIEME ONLUS, nata
dall’esperienza decennale di volontari attivi nel territorio Barese portata avanti da un appassionato dirigente, Sante Scaranello, nell’ambito delle iniziative
finalizzate a sostenere il progetto “ La Nostra Casa “,
ha organizzato con la collaborazione della Parrocchia
di San Marcello di Bari, lo spettacolo di danza di
Simona Atzori, accompagnata dalle giovani allieve
delle scuole baresi Heron e Rossana.
Simona Atzori è proprio una di quelle persone
che chiameremmo: “abili diversamente“. Simona
ha oggi 38 anni ed è conosciuta dal pubblico nazionale per la sua capacità di danzare pur non avendo
le braccia; è giunta agli onori della cronaca per esser
stata ambasciatrice per la danza nel Grande
Giubileo del 2000 e protagonista nella cerimonia di
apertura delle Paraolimpiadi di Torino nel 2006.
Simona Atzori non è solo una ballerina, ma, grazie all’amore per l’arte nella sua totalità e soprattutto per la vita, è una pittrice e scrittrice; infatti di
recente ha pubblicato il suo primo libro “Cosa ti
manca per essere felice“ grazie al quale ha avuto la
possibilità di conoscere ed esprimere la parte più
profonda di sé.
Simona dipinge con la bocca e quando danza,
non vedi che è stata “disegnata“ senza braccia, per-
ché la sua marcia in più è il sorriso ed a ferirla sono
solo i limiti che gli altri le impongono e che vivono
solo negli occhi di chi la osserva. Per lei la danza è
una grande forma di espressione e comunicazione
del corpo che racconta quello che c’è dentro e fuori
del proprio “io“.
Quando ti guarda, ritrovi in quegli occhi la luce,
l’energia, la voglia di fare e quell’autoironia che la
fa sorridere dei limiti che gli altri vedono in lei. Nel
suo libro ricorda che: “non importa se hai le braccia o
non le hai, se sei lunghissimo o alto un metro e un tappo,
se sei bianco, nero, giallo o verde, se ci vedi o sei cieco o
hai gli occhiali spessi così, se sei fragile o una roccia, se
sei biondo o hai i capelli viola o il naso storto, se sei
immobilizzato a terra o guardi il mondo dalle profondità
più inesplorate del cielo. La diversità è ovunque, è l’unica cosa che ci accomuna tutti ”.
Sarebbe quindi Simona Atzori da considerare
semplicemente una persona “diversamente abile“,
nonostante sia una ragazza che t’insegna non solo
la bellezza della vita, ma anche il rifiuto del dolore
e dalla disperazione?.
Lei è nata così, senza braccia; nel progetto divino della sua creazione non era prevista la “perfezione del suo fisico” come siamo abituati quasi sempre
a vedere, ma erano previsti ugualmente dei piedi
meravigliosi che avrebbero svolto le stesse funzioni
delle mani.
Tuttavia c’è nel suo viso un messaggio più profondo che va al di là dell’imperfezione fisica: l’inno
alla vita perche “lei ce l’ha fatta … possiamo farcela anche noi“
SPECIALE “CASAMASSIMA”
18
“Castrum
Maximi”
a cura della Redazione
CENNI STORICI
Alcuni ritengono che Casamassima sia stata
fondata da un generale romano della famiglia dei
Massimi durante il periodo delle guerre tarantine. In ogni modo, non esistono documenti che
attestino la validità di questa ipotesi e, pertanto,
va scartata. Probabilmente tale ipotesi, apparsa
per la prima volta in uno scritto dell’Arciprete
Sergio De Bellis della fine del sec. XVII e in un
documento anonimo del 1738, servì alla difesa,
attraverso la nobilitazione della cittadina di
Casamassima, contro gli Arcivescovi di Bari che
tentavano di mettere in dubbio i privilegi e le
prerogative della Chiesa di Casamassima.
Altri, invece, ritengono che Casamassima
fosse un villaggio popolato da abitanti prove-
Facciata principale della Chiesa Madre; in alto, sotto il
titolo, piazza Aldo Moro, con il monumento ai caduti e, a
sinistra, la Porta dell’Orologio.
nienti dagli antichissimi casali di Tominia e di
Casal Antico, in seguito distrutti. Fino al sec. X
non è possibile documentare le notizie storiche.
Il primo documento tratto dal Codice
Diplomatico Barese che parli di Casamassima è
del 962 d.C., durante la dominazione di Bisanzio.
Tale pergamena dimostra l’esistenza di una comunità organizzata sotto il profilo religioso e legale,
secondo gli usi e le consuetudini longobarde, con
onomastica longobarda. I recenti scavi archeologici effettuati all’interno della chiesa matrice, ove è
stato rinvenuto un ricco sepolcreto, avrebbero
confermato la suddetta datazione, compreso
l‘esame con l‘ausilio del carbonio 14 effettuato su
campioni ossei che ha fissato come data convenzionale l’anno 875 d.C.. L‘esame antropologico
sembra aver evidenziato le caratteristiche negroidi di alcuni individui, probabilmente saraceni che
avevano conquistato la Puglia e che si erano integrati con la popolazione di Casamassima.
E’ dal 1179 che conosciamo le diverse vicende
storiche cui andò soggetto il feudo, che ebbe origine sotto i Normanni. Il primo feudatario normanno fu Guido da Venosa. Secondo il Beatillo,
autore di una “Storia di Bari“, Casamassima, che
era un nucleo abitato, fu concessa alla famiglia
Massimi o Massimo dall’imperatore Enrico VI di
Svevia, nel 1195, con l’obbligo per tale famiglia di
cambiare il proprio cognome da quello di
Massimi o Massimo in quello di Casamassima.
Umiliata dall‘imperatore Federico II che tolse ai
Casamassima il feudo, Casamassima fu restituita
ai legittimi proprietari dall’imperatore Corrado
IV di Svevia che sostava con le sue truppe nel
largo di Padula, nel 1252.
Nel 1348 Casamassima subì il sacco delle
truppe ungheresi, comandate da Filippo di Sulz,
venute in Italia per punire la regina Giovanna I
d’Angiò accusata dell’uccisione del marito
Andrea, fratello di Luigi Re d‘Ungheria.
Nel 1384 Casamassima faceva parte del principato di Taranto. Quando, nel 1455, la figlia del
principe Orsini di Taranto, Caterina Orsini Del Balzo, sposò Antonio Acquaviva, figlio di Giosia duca
d‘Atri, portò in dote il contado di Conversano che
comprendeva anche Casamassima.
Per lunghi secoli Casamassima era stata alla
mercé di vari feudatari che spadroneggiavano
nelle nostre contrade, tra cui i Brienne, i
D‘Enghien, i Lussemburgo, gli Orsini, e finalmente gli Acquaviva che diventarono gli
Acquaviva d‘Aragona per un privilegio ottenuto
a causa dei loro servizi dai monarchi aragonesi.
Nel 1608 fu comprata da Michele Vaaz, conte di
Mola, che fondò il Casale di San Michele nella
zona del quattrocentesco castello del Centurione.
Dai Vaaz passò ai De Ponte di Napoli, imparentati negli ultimi tempi, attraverso l‘ultima feudataria di tale nome, Maria Giuseppa De Ponte,
con Nicola Caracciolo di Vietri di Potenza, e da
questi tenuta fino agli inizi dell‘800 quando, nel
1806, Giuseppe Bonaparte, re di Napoli, abolisce
la feudalità in tutto il Reame.
Durante il XX secolo il paese attraversa un
periodo di ampliamento urbanistico, con un‘economia fondata soprattutto sull’agricoltura. La
cittadina è dominata dalla borghesia del paese
irrobustitasi grazie all‘acquisto di beni ecclesiastici appartenuti al capitolo della Collegiata e ai
monasteri soppressi di Santa Chiara e delle
Monacelle. Dall‘inizio del secolo XX la popolazione è cresciuta notevolmente procedendo a un
ricambio nella vita amministrativa e sociale.
A SPASSO NEL BORGO ANTICO
Molto interessante dal punto di vista turistico
è il Borgo antico, sorto nel secolo VIII e caratterizzato da viuzze medioevali, dai chiassi, dalle corti
e dalle tipiche basse abitazioni, alcune delle quali
tinteggiate di colore azzurro, tipico dell’antica
tradizione che vuole Casamassima riconosciuta
proprio come “Paese Azzurro” o “Paese delle Fate”.
Partendo da piazza A. Moro, l’ingresso principale del centro storico è costituito da Porta
Orologio: realizzata nel 1841 su progetto dell’architetto A. M. Pesce, la sua immagine spesso
viene adottata come simbolo del paese.
La Chiesa matrice fu edificata nel 1321, ma è
stata più volte rimaneggiata. Gli ultimi lavori di
restauro, nonché gli scavi archeologici effettuati
nel 1996, hanno portato alla luce un fitto sepol-
Il Convento delle Monacelle.
creto che sarà ammirato grazie a telecamere a circuito chiuso, mentre le camere sepolcrali sono
visitabili. All’interno della chiesa, che è a tre
navate, si può ammirare il grande Crocifisso in
pietra sintetica dello scultore Adolfo Rollo, la
preziosa scultura in pietra della Madonna delle
Grazie attribuita a Stefano da Putignano (XVI
sec.), nonché numerose tele di scuola napoletana.
Il monastero di Santa Chiara il più rappresentativo ed imponente edificio del borgo antico.
Fondato nel 1573 da Antonio Acquaviva
d’Aragona come orfanotrofio, nel 1660 fu trasformato in monastero di Clarisse. Dopo l’Unità
d’Italia fu soppresso subendo negli anni numerosi cambi di destinazione d’uso. Attualmente il
LA GIUNTA DEL COMUNE DI
CASAMASSIMA
BIRARDI Domenico
Sindaco
COLUMBO Nicolasanti
Vicesindaco e Assessore con delega a “Politiche fiscali
e finanziarie, tributi”
GENGO Giuseppe
Assessore con delega a “Pubblica istruzione,
informatizzazione e innovazione tecnologica, ambiente,
A.T.O., rifiuti e verde pubblico”
MONTANARO Maria Santa
Assessore con delega a “Servizi sociali, politiche giovanili e del
lavoro, servizio demografico ed elettorale, pari opportunità”
PETRONI Luigi
Assessore con delega a “Attività produttive,
politiche agricole, industria e commercio”
PADALINO Giuseppe
Assessore con delega a “Urbanistica e assetto del territorio,
lavori pubblici, infrastrutture”
SPECIALE “CASAMASSIMA”
19
SPECIALE “CASAMASSIMA”
20
Il Monastero di S. Chiara.
complesso risulta inagibile e bisognoso di radicali interventi di ristrutturazione.
Al centro del borgo antico vi è un altro complesso bisognoso di restauro: il Palazzo Ducale,
denominato “castello”. Dal secolo XII è stato
dimora dei feudatari. Sottoposto a numerosi
rimaneggiamenti, interessante è il portale con
bugnato alternato a punta di diamante d’ispirazione spagnola.
L’arco delle ombre prese tale nome quando il
borgo antico era scarsamente illuminato e coloro
che vi transitavano di sera portavano un lume,
per cui da lontano si aveva la sensazione di vedere fantasmi in movimento.
Il Convento delle Monacelle sorse dall’adattamento di un antico palazzo appartenuto alla
famiglia De Bellis. L’ultimo proprietario, don
Domenico
Console,
donò
l’edificio
all’Orfanotrofio dell’Addolorata, dove furono
istruite ed educate tante fanciulle orfane.
L’edificio ospitò pure uno dei primi Conservatori
di musica della provincia di Bari ed un convento
di Suore Oblate.
Il complesso, di proprietà comunale, viene
utilizzato per le manifestazioni culturali di un
certo rilievo ed è destinato ad ospitare la
Biblioteca Comunale ed una pinacoteca. Annesso
al Convento delle Monacelle è la chiesa
dell’Addolorata o del “Sacro Cuore”, dallo stile
architettonico barocco e dal campanile con cuspide a cipolla.
Nel borgo antico è possibile pure visitare la
cappella di San Michele, edificata nel 1658 da
Donato Amenduni sui ruderi dell’antica cappella
del Divino Amore.
ALTRI MONUMENTI
Interessante, sotto l’aspetto architettonico, è
Piazza Aldo Moro, con i suoi palazzi del ‘700 e
dell’800, fra cui si distingue il Palazzo Natale,
casa - museo che è possibile visitare contattando
gli attuali proprietari: all’interno si possono
ammirare arredi vari, oggetti artistici di pregevo-
le fattura, nonché un’ampia raccolta di vasi
appuli.
In Piazza Moro si trova anche il Monumento
ai Caduti per la Patria, opera dello scultore De
Bellis, con la statua bronzea raffigurante la
Vittoria.
Sempre in piazza A.Moro si può visitare la
chiesa del Purgatorio, costruita tra il 1722 e il
1758. Di stile tardo barocco, la chiesa è dotata di
un ampio campanile. L’interno è a navata unica
con cappelle laterali.
La chiesa di Santa Maria delle Grazie, in
corso V. Emanuele, è annessa all’ex convento, ora
sede d’ospedale. Chiesa tipica francescana, fu
edificata nel 1575. Ad una navata con cappelle
laterali ha il presbiterio sopraelevato rispetto al
piano della navata. La cripta è pavimentata artisticamente con mattonelle maiolicate. Al suo
interno si possono ammirare pregevoli dipinti
risalenti al secolo XVII.
Vi si trovano, tra l’altro, stemmi e sepolture di
famiglie gentilizie.
Accanto al cimitero comunale è possibile visitare la chiesa di Santa Maria del Soccorso, detta
anche di “Santa Lucia” poiché al suo interno vi si
venera una grande statua in pietra della Santa.
Fu edificata nel sec: XIII dai Monaci Basiliani,
subendo negli anni numerosi rimaneggiamenti.
La facciata si è, tra l’altro, arricchita di un protiro
in gotico francese nonché di un piccolo campanile a vela. All’interno si può ammirare un pregevole affresco raffigurante la Madonna con
Bambino.
Sulla via per Turi, a circa 2.500 metri, si trova
la Badia di San Lorenzo, appartenente al capitolo di S. Nicola di Bari. Ex complesso monastico, è
ubicata a ridosso della Lama San Giorgio. Negli
ultimi anni è stata restaurata e recuperata al culto
grazie alla locale sede dell’Archeoclub d’Italia.
Tra l’altro, sono stati riportati all’antico splendore pregevoli affreschi risalenti approssimativamente al secolo XV. All’alba del 10 agosto, in ricorrenza della festività di San Lorenzo, i
casamassimesi raggiungono la chiesa anche a
piedi per assistere ai riti sacri e per festeggiare,
degustando prodotti tipici locali.
Il territorio di Casamassima ospita il cimitero
militare polacco “Korpusu”, a circa quattro chilometri a nord del paese, sulla via per Bari. In
esso riposano le salme di 431 polacchi deceduti
durante l’ultimo conflitto mondiale. Ogni anno,
il 2 novembre, nel sacrario militare si svolge una
suggestiva cerimonia di commemorazione alla
presenza di varie autorità.
Il territorio di Casamassima è ricco di masserie e di chiesette rurali, testimonianza di fede e di
civiltà contadina. Alcune ville ottocentesche
arricchiscono ulteriormente l’agro del paese, che
può vantare anche la presenza di due menhir.
MIMMO BIRARDI
IL SINDACO SPORTIVO
Altro che gli azulejos di Lisbona!
Il “centro medievale più bello del mondo” come lo definì il pittore Vittorio Viviani, il “paese
azzurro”, per le tipiche abitazioni popolari intonacate di azzurro a ricordo del manto della
Madonna che stese la sua ala protettrice per salvare, secondo la leggenda, il paese dalla peste;
Casamassima è il trionfo di un colore bellissimo che simboleggia, al di là della leggenda, il cielo
e il mare.
E’ con passione che Mimmo Birardi, sindaco di Casamassima, inizia a parlarci del suo paese.
Classe 1963, consulente del lavoro, laurea in Scienze politiche, grande sportivo (è stato campione di ginnastica artistica conseguendo ottimi risultati a livello regionale, nazionale e internazionale; attualmente è tecnico federale e giudice nazionale della Federazione Ginnastica d’Italia),
il sindaco regge l’Amministrazione dall’1 Giugno 2011 dopo essere riuscito a convogliare su di
sé i voti di varie forze politiche (Il Popolo delle Libertà, l’UDC, la Puglia Prima di Tutto, il
Movimento Politico Schittulli, il Nuovo PSI e una lista civica composta da Noi Sud e
Controvento)..
Non è certamente un compito facile, come, in realtà, non lo è per nessun Comune; ma
Mimmo, come tutti lo chiamano, sta riuscendo a sfruttare le opportunità finanziarie offerte
dagli organismi regionali, nazionali e comunitaria ottenendo finanziamenti finalizzati alla crescita del comune.
La valorizzazione della piazza centrale del paese, nel passato maltrattata e devastata da abusi
edilizi, passa attraverso sequestri e sospensioni di lavori per poter dare una svolta, unitamente
ad un‘animazione di alto livello con eventi ogni sabato e domenica, concerti (Katia Ricciarelli a
Natale, Rocco Zifarelli che ha importanti trascorsi con Ennio Morricone), opere (I Pagliacci al
palazzo dello sport), il presepe vivente a Gennaio, complessi di livello internazionale. Sono previsti arrivi in piazza di griffe nazionali, verde pubblico, panchine, aperture di bar e locali pubblici per rendere sempre più vivo il centro della città.
“Ma non è solo in centro cittadino – ci dice Mimmo - che è oggetto dell’attenzione dell’Amministrazione. Stiamo lavorando per completare il complesso Monacelle, vicino alla Piazza; stiamo ottenendo
finanziamenti dalla Provincia per costruire altre 25 aule all’ITC; abbiamo appena inaugurato due ponti di
circonvallazione della città e due rotatorie per eliminare pericoli nella circolazione; abbiamo avuto finanziamenti per 930.000 euro per la ristrutturazione della Chiesa dell’Addolorata; stiamo lavorando per la
sistemazione delle strade adiacenti il centro storico; e ancora, lavori per il Convento di Santa Chiara, per
un teatrino con locali per serate live”.
Mimmo ricorda anche il contributo di 25.000 euro per 90 cittadini in graduatoria per la ristrutturazione delle proprie abitazioni, i progetti per un nuovo Stadio non solo per il calcio, ma anche
per eventi e spettacoli, e di un Parco Urbano attrezzato con bar e locali di ritrovo finanziato dal
ricavato della dismissione del carcere.
Da uomo attento alle aziende ed all’economia delle PMI, Birardi ricorda con orgoglio la propria politica di continua ricerca di sinergie tra la struttura commerciale comunale e la grande
distribuzione presente a Casamassima con Auchan: la differenziazione nelle modalità distributive si devono concretizzare in offerte differenziate prediligendo, da parte delle PMI, la produzione tipica artigianale.
Casamassima, città sicura; la microcriminalità ha una presenza al di sotto dei livelli medi, non
ci sono problemi di integrazione con i tanti cinesi, egiziani ed altri extra comunitari. Lo si deve
ad un senso di umana accoglienza dei cittadini ed anche alla discreta, ma forte, presenza delle
forze dell’ordine della locale stazione dei CC comandati dal Maresciallo Rocco Colacicco.
E’ rassicurante Mimmo; è propositivo, operativo, concreto, da serio professionista che ha trasferito nella politica cittadina il suo modus operandi da consulente che sa dare e concretizzare consigli ai propri concittadini.
SPECIALE “CASAMASSIMA”
CRONACA
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ATTUALITA’
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“Violetta Valery”
ieri e oggi
LA TRAVIATA
di Sara Spagnoletti
T
utti conoscono la celeberrima “Traviata”,
opera lirica musicata da Giuseppe Verdi,
tratta dal dramma “La dame aux camelias”
di Alexandre Dumas figlio, sulle parole del librettista Francesco Maria Piave rappresentata per la
prima volta nella stupenda cornice del Teatro “La
Fenice” di Venezia il 6 marzo 1853.
Eseguita nei teatri di tutto il mondo, continua
ancora oggi a suscitare emozione e commozione,
con quest’opera si è chiusa la prima stagione del
rinato Teatro “Petruzzelli” di Bari.
La vicenda si svolge nei fastosi e frivoli salotti
della Parigi ottocentesca, ma l’ambientazione potrebbe essere quella meno opulenta e più cupa delle
nostre strade periferiche, i calici di cristallo essere
sostituiti da bottiglie di birra, i decolté sontuosi
mutarsi in microgonne, non cambierebbe la sostanza.
Un rapido excursus sulla storia, rinverdirà il
ricordo del melodramma.
Una recente rappresentazione della Traviata al
Teatro Petruzzelli di
Bari; in alto a destra la
locandina della prima
rappresentazione dell’opera verdiana
(Atto I) Siamo a Parigi, musica e balli in casa di
Violetta Valery, bella e ricca amante del barone Douphol,
c’è la cremé de la cremé dell’aristocrazia parigina, con la
sua coorte di “signore” più o meno blasonate, poco nobili e
poco morali. In questo trionfo di vanità spicca la figura di
Alfredo Germont da tempo innamorato della bella Violetta.
Nel salone si aprono le danze, tutti ballano tranne Violetta
colta da un violentissimo accesso di tosse, al suo fianco
rimane Alfredo preoccupato per la sua salute, la donna si
burla del suo amore, mai nessuno l’ha amata veramente, lo
congeda beffarda donandogli una camelia e chiedendogli di
tornare quando sarà appassita. Rimasta sola medita sulle
rivelazioni del giovane, riflette sul turbamento che l’ha
colta, spaventata dall’altra se stessa s’interroga, dubita, poi
ritorna la Violetta di sempre.
(Atto II) Il sentimento prevale, Violetta lascia il barone
per seguire Alfredo nella casa di campagna. Il loro idillio è
breve, una mattina Violetta entra sorridente nella sala, apre
la posta, accantona gli inviti degli amici, retaggio di un passato che non le appartiene più, il domestico le annuncia l’arrivo di un signore, sull’uscio s’inquadra la figura di Giorgio
Germont (padre di Alfredo), che con tono grave e severo
l’accusa di essere la rovina economica e morale del proprio
figlio. Violetta s’ affanna a convincerlo del contrario e gli
mostra i documenti che provano come stia lei stessa spogliandosi di ogni avere. Germont le confida di avere una
figlia in procinto di sposarsi, il fidanzato la lascerà se Alfredo non interromperà la sua peccaminosa relazione. Violetta propone di allontanarsi temporaneamente dall’amato,
implacabile Germont insiste: dovrà lasciarlo per sempre. La
donna esterna la profondità del sentimento che la lega ad
Alfredo, svela che la tisi le lascia poco da vivere, ma il vecchio egoista insinua che l’amore è legato alla bellezza e
quando questa sfiorirà finirà l’amore di Alfredo. L’amara
constatazione e l’innata bontà convincono la giovane donna, in breve decide: farà credere all’amato di non poter abbandonare la vita frivola che ha sempre condotta; per sé
chiede soltanto che Alfredo, dopo la sua morte, sappia la verità. Violetta fugge a Parigi. Alfredo, credendo di essere stato abbandonato per l’antico rivale Douphol, accecato dalla
gelosia parte per raggiungerla e vendicarsi dell’abbandono.
Nel palazzo di Flora, amica di Violetta, si svolge una
festa in maschera, la separazione dei due amanti è già nota,
l’arrivo di Alfredo sorprende i presenti, giunge anche
Violetta al braccio di Douphol, la tensione è estrema.
Alfredo vince al gioco il suo rivale; gli invitati si accomodano per a cena, Violetta chiama in disparte l’amato tremando, teme la sua ira, ma Alfredo è troppo innamorato e
disperato per non correre al richiamo, tenta di convincerla
a riprendere la vita insieme, la donna lo implora di partire
per scongiurare il duello con il barone e per strapparlo da
sé, disperata, pronuncia l’estrema menzogna, alla domanda di Alfredo: “Dunque l’ami?” risponde “Ebben,
l’amo!”. Sconvolto dall’ira Alfredo chiama i presenti e
dileggiando Violetta le lancia, con disprezzo, una manciata di denari: “Questa donna pagata io l’ho”.
(Atto III) Nella camera da letto in penombra Violetta
sta morendo, accanto a lei vigile, addolorata, fedele, è rimasta soltanto la domestica Annina. Fuori il carnevale impazza, giunge attenuata la musica di canti e danze. Violetta
trae dal corsetto una lettera gualcita e legge: “Teneste la premessa, la disfida ebbe luogo, il barone fu ferito, per, migliora. Alfredo è in stranio suolo. Il vostro sacrificio, io stesso gli
ho svelato. Egli a voi tornerà pel suo perdono. Io pur verro,
curatevi, mertate un avvenir migliore. Giorgio Germont”.
“E’ tardi” mormora, ma pur consapevole dell’immediatezza
della propria fine, attende tra speranza e disperazione il
ritorno dell’amato. Annunciato dalla fedele domestica
Alfredo entra, l‘abbraccia commosso, nasce una folle speranza lasciare Parigi per cercare una vita nuova e “la tua saluTraviata nell’ineguagliabile scenografia
all’Arena di Verona; in alto Maria Callas,
forse la più grande interprete di “Violetta”
ATTUALITA’
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te rifiorirà”. Violetta vorrebbe partire subito, ma le forze
l’abbandonano, si accascia sul divano, consapevole e rassegnata, pone tra le mani di Alfredo un ritratto “Prendi, quest’è l’immagine dei miei passati giorni, a rammentar ti torni
colei che sì t’amo. Se una pudica vergine, degli anni suoi nel
fiore a te donasse il core sposa ti sia, lo vo’ Deh prendi quest’effige, dille che donno ess’è di chi ne Ciel tra gli angeli,
prega per lei per te.” Alfredo piange disperato. La morente
Violetta sembra riprendere respiro, si alza e avvicinandosi
alla finestra mormora incredula: “E’ strano, cessarono gli
spasmi del dolore, in me rinasce, palpita insolito vigore, ma
io ritorno a vivere, oh gioia!”. E’ il suo ultimo anelito di vita,
esanime scivola lentamente tra braccia di Alfredo.
Questa è la tristissima storia della “Traviata”,
fatta di vile mercimonio e di sublime sacrificio.
In questi tempi sono tante le “Violetta Valery” ,
ferme sul ciglio delle strade, hanno età diverse,
diversi colori di pelle, alcune inseguono sogni, altre
non sanno più sognare, vendono l’unica cosa che
possiedono, ad ucciderle non è la tisi, ma muoiono
poco a poco, giorno dopo giorno.
In un mondo governato da leggi economiche
ferree ed implacabili tutto si compra, “montblanche”, tablet, fuoristrada, anche la vita di queste infelici “Violette del 2000” è una merce che non si esibisce, ma si acquista, si usa e si getta per una manciata di sporchi denari.
Il Palazzo
dell’Acquedotto
simbolo dell’ingegno e
dell’intraprendenza pugliese
di Magda De Pasquale
U
na delle più grandi opere frutto dell’intraprendenza del popolo pugliese e della
mentalità meridionale fatta di ingegnose
intuizioni, è l’Acquedotto Pugliese.
La realizzazione di questo grande monumento di ingegneria idraulica fu lunga e travagliata,
e l’opera finale fu il frutto di menti eccellenti che
nel giro di circa sessant’anni credettero nella possibilità di portare l’acqua nelle case del popolo.
Il primo ad avere l’idea di poter convogliare
l’acqua dal fiume Sele fino a Bari attraverso un
tracciato lungo 140 km. fu l’ingegnere Camillo
Rosalba nel 1868. Ma l’impresa fu ritenuta troppo ardita e costosa. Nel 1886 Francesco Zampari
pensò a come poter ridurre i costi attraverso
“l’autofinanza”, ma ancora una volta l’idea fallì.
Nel 1889 però Matteo Renato Imbriani riuscì
finalmente a far approvare una proposta di legge
per la costruzione dell’acquedotto e i lavori partirono nel 1906. L’acqua arrivò nel territorio barese nel 1915 e più precisamente la prima zona ad
essere servita fu quella risalente all’attuale provincia BAT.
L’impresa ciclopica vide l’impiego di circa
20.000 persone, e dei lavori se ne occupò una
società genovese, la “Ercole antico”, creando dissensi nel popolo pugliese che avrebbe preferito
una società locale. Così nel 1919 venne istituito
“l’Ente Autonomo Acquedotto Pugliese”, di cui
fu eletto Presidente Gaetano Postiglione.
Quest’ultimo, insieme all’ingegnere Cesare
Brunetti, fece realizzare in Puglia due palazzi
rappresentativi, uno a Foggia e uno a Bari. Ed è
proprio da quest’ultimo che parte la nostra visita
guidata, alla scoperta di una storia tutta barese,
con un palazzo simbolo ancora oggi di un popolo che non si arrende di fronte alle difficoltà.
Nella struttura si svolgevano le attività gestionali dell’Acquedotto, dalle analisi chimico batteriologiche per verificare la qualità dell’acqua, alle
attività direzionali ed inoltre era presente l’appartamento presidenziale. Attualmente, oltre ad essere sede di uffici, vi sono presenti spazi museali
aperti al pubblico e una sala per convegni.
CULTURA
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CULTURA
Entrando nel palazzo il primo ambiente ad
essere illustrato è l’androne che anticipa ciò che
si troverà nelle sale, con riferimenti espliciti o
metaforici all’acqua. Proseguendo la visita, nel
ballatoio delle scale che porta al piano superiore
troviamo la decorazione in marmo di un’anfora
che versa acqua, e le vetrate presentano nell’ornamento un’anfora e una spiga di grano, a firma
di Cambellotti.
Il giro prosegue in uno snodo di sale e saloni
tra lunghi corridoi e luccicanti marmi, con decorazioni parietali e pavimentali che ripetono sempre il tema degli archi e dell’acqua attraverso
simboli e metafore come cavalli, donne e anfore
presenti anche negli intarsi dei mobili.
Il progetto esecutivo, dell’importo complessivo di 5.100.000 lire, fu appaltato nel 1927 e affidato alla dita Provera, Carrassi e C. di Roma che
fu l’unica a rispondere all’invito dell’Ente
Autonomo.
L’imponente edificio - ubicato nel centro del
capoluogo, in via Cognetti, alle spalle del teatro
Petruzzelli -, fu realizzato in circa trentasei mesi
ed inaugurato nel 1932, forte di duecento
ambienti effettivi. Personaggio chiave, che determinò quello che è l’aspetto estetico e il decoro
delle sale per il pubblico e dell’appartamento
presidenziale, fu Duilio Cambellotti.
L’Acquedotto Pugliese si basa sui principi
dell’Acquedotto Romano, la cui peculiarità
era il susseguirsi di archi e sono proprio questi ultimi a costituire l’elemento decorativo
che si ripete in ogni dettaglio. Sono infatti
presenti sul portone principale, sulle maniglie
delle porte, nelle decorazioni delle pareti o dei
pavimenti e persino nei ferretti utilizzati per
bloccare le porte. Tutto l’ornamento è curato
nei minimi particolari, in un continuo rimandare a ciò da cui ebbe origine il tutto: l’acqua.
L’edificio all’esterno fu opera dell’ingegner
Brunetti e si presenta ancora oggi in modo imponente e ricercato. Realizzato in pietra bianca di
Trani, propone soggetti decorativi in cui, al segno
ondivago dell’acqua, vengono accostati elementi
vegetali tipici pugliesi, come ulivi, spighe di
grano o viti.
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CULTURA
L’ambiente che meglio racchiude la volontà di Cambellotti di trasmettere la magnificenza dell’opera idraulica e del Palazzo che
la rappresenta è la Sala del Consiglio. Grandi
tele dai colori luminosi ricoprono tutte le
pareti, con protagonisti l’acqua, i poveri, il
tubo dell’acquedotto, il paesaggio pugliese
con i suoi ulivi e la sua feconda terra, e in
lontananza una bianca Bari. Al centro, un
grande tavolo con una decorazione in madreperla che rappresenta la sorgente.
All’ultimo piano è ubicato l’appartamento
presidenziale. La parte più singolare è l’area
dedicata allo studio e al riposo dei bambini, dove
si possono notare piccoli letti accoglienti come
culle, e leggii fatti su misura per loro. Anche qui
la decorazione è curata nel dettaglio.
Infine, giungendo nel cortile centrale, non si
può non notare una particolare fontana, sempre
opera del Cambellotti, la cui forma ricorda un
tronco da cui sgorga acqua bagnando alcune
sculture rappresentanti le principali città servite
dall’acquedotto. Sulle pareti del cortile piccole
bisce in ferro battuto, poste sui tubi di scarico,
riprendono in modo ancora nuovo il simbolo dell’acqua.
Nel 2000 l’edificio ha subito alcune trasformazioni, soprattutto al primo piano, per l’apertura
di un museo della Storia dell’AQP, di una sala
conferenze e di una biblioteca con archivi multimediali e fotografici. Il palazzo è oggi sede della
presidenza e di una parte degli uffici amministrativi.
Si conclude così una interessante visita
improntata alla cultura, con l’intento di ricordare,
attraverso un Palazzo simbolo, uno scorcio di storia, arte, ingegno e intraprendenza barese che ha
cambiato la quotidianità della gente, e che riflette
e onora l’impresa idraulica dell’Acquedotto.
Le visite guidate per conoscere il Palazzo
dell’Acquedotto Pugliese e non dimenticare così
un importante periodo storico che ha indelebilmente segnato la nostra vita attuale oltre ad aver
portato un importante innovazione, si svolgono
tutte le domeniche mattina alle ore 10:00 o alle
ore 11:00, gratuitamente.
CULTURA
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RUOTA INTORNO AL MARE
E ALLE GENTI DI PUGLIA LA STORIA DEL NUOVO LAVORO
DI VITO ANTONIO LOPRIENO,
CHE GIUNGE DOPO IL SUCCESSO DI “LORODIPUGLIA”
E CHE VI PRESENTIAMO
ATTRAVERSO LE PAROLE DELLO STESSO AUTORE
“Il mare di lato”
Il
passato rivive ogni giorno perché non è
mai passato.
Così recita un antico proverbio africano.
Di quell’Africa, a sud del mondo, da cui tutti
siamo venuti.
Ed in effetti il passato non ci lascia mai. Lo
portiamo dentro di noi, sempre, anche se molto
L’autore del libro, Vito Antonio Loprieno;
nella foto sotto il titolo,
un momento della presentazione del libro
nel Foyer del Teatro Petruzzelli.
spesso lo disconosciamo, illudendoci del futuro.
Rinnegare il passato significa rinnegare noi stessi, la nostra storia, la nostra cultura, le nostre
tradizioni, le nostre frustrazioni, le nostre conquiste.
Ed è per questo che amo raccontare romanzi
storici, della nostra bellissima terra, a sud
dell’Europa. Un altro sud. Lo stesso sud.
“Il mare di lato”, il mio nuovo lavoro, vuole
essere proprio questo, una testimonianza di quello che il mare nel novecento ha rappresentato per
noi pugliesi.
Due anziani, nuovi amici, rileggono attraverso lo scorrere del tempo le vicissitudini che
hanno coinvolto i pescatori dell’Adriatico, dal
fascismo, passando per la seconda guerra mondiale, sino all’emigrazione sulle coste pugliesi di
albanesi e nordafricani. E fanno ciò ripercorrendo la storia della loro vita e delle loro famiglie. Lo
fanno sotto gli occhi di un gabbiano, un essere
immortale che volando di costa in costa lungo il
Mediterraneo, ruba agli uomini le storie da
tempo immemore. Divenendo, così, l’unico testimone di quelle storie minori che non si leggono
sui libri di scuola, ma che rappresentano al
meglio il nostro passato, attraverso il quale poter
costruire un futuro, nè nuovo, nè migliore, semplicemente un futuro altro.
E così impariamo che la storia si ripete, cambiano gli uomini, la loro origine, cambia il colore
Conosciamo i “Radicanto”
La presentazione del libro “Il mare di lato” ha avuto
il felice corollario della esibizione del gruppo barese dei
“Radicanto”. II progetto culturale Radicanto, costituito
in associazione, nasce per volontà di Giuseppe De
Trizio il 30 giugno 1996 con l’intento di recuperare e
riproporre in chiave originale le musiche tradizionali
del sud Italia e dei sud del mondo, conducendole attraverso composizioni d’autore e miscellanee sonore capaci di unire passato e presente in un unico e cangiante
insieme musicale.
In questi anni l’ensemble ha collaborato con alcuni dei
maggiori esponenti della canzone popolare e d’autore italiana come Teresa De Sio e Raiz (ex Almamegretta).
Di seguito allo studio svolto sul campo alla ricerca delle memorie musicali nonché ad una intensa attività concertistica nei maggiori festival italiani ed europei del settore, ha frequentato la via del
teatro (compagnia Piccolo Teatro di Bari, Nuove Produzioni spettacolari, compagnia Piccola Ribalta,
Anonima Gr) e del cinema (colonna sonora del film ‘Mia figlia fa la madonna’, del regista Nino
Tropiano prodotto dall’accademia del cinema di Dublino nel 2000; colonna sonora del film ‘All’alba
saliremo il monte’, 2002; colonna sonora originale del film ‘La casa delle donne’ del regista
Domenico Mongelli, 2003; colonna sonora del film ‘Dediche di un viandante del sud...il verso del
nord’, Romeo Conte, 2003, colonna sonora del film ‘II tramite’ 2004, prodotto dalla Rai per la regia
di Stefano Reali), partecipando, inoltre, alla colonna sonora dello spettacolo di danza ‘Savor
Mediterraneo’ dei coreografo Vittorio Biagi. Inoltre partecipa a programmi e format radiofonici e
televisivi: ‘Terre da Musica’, Raì due, ‘Stereonotte’, Radio uno, “La stanza della musica”, Radio Tre
suite, ‘Notturno Italiano’, Rai International, ‘Tg3 Primo Piano’, Rai tre, ‘Linea Blu’, Rai uno.
Nel 2006 il gruppo è finalista del premio De Andrè, nel 2007 del Premio Musicultura, nel 2009 del
Premio Tenco. Dal 2008 l’ass. Radicanto dirige la rassegna musicale “Di Voce in voce” presso
l’Auditorium Diocesano La Vallisa di Bari con il contributo del Comune di Bari e della Regione Puglia.
I Radicanto hanno rappresentato l’Italia al “festival europeo del cinema in Romania”, al “Festival
dei paesi del Mediterraneo”, al Vittoriano di Roma, scelti dal direttore artistico Vincenzo Mollica e
al “Festival dell’arte Russa” a Mosca.
Nella foto, oltre ai tre componenti del gruppo durante una loro esibizione, si riconoscono Maria
Laterza, Vito Antonio Loprieno, il direttore della Gazzetta del Mezzogiorno Carlo Bollino, e il
sovrintendente Giandomenico Vaccari.
della loro pelle, ma la rappresentazione è sempre
la stessa. Così per Aurelio partito da Ceglie
Messapica prima della guerra alla volta di
Milano, alla ricerca di un lavoro, semplice e
dignitoso. Così per Amadou Dior, ventiquattro
anni, senegalese, fuggito dal deserto del Sahel, e
approdato involontariamente sulle coste italiane.
Due uomini così diversi, eppure così uguali, che
sperano in un futuro altro da quello che appare
già scritto indelebile sulla sabbia.
“Ho visto il mare in una lacrima ed ho capito”,
dirà Aurelio all’amico Francesco, comprendendo
solo dopo settant’anni della sua vita le ragioni
del mare, il suo grande cuore. Quel mare che a
poco a poco stiamo uccidendo, sfruttandolo e
avvelenandolo, dimenticando che egli è una
creatura vivente, che ci ha dato la vita. Una
mamma grande e sconfinata che genera amore,
dalla notte dei tempi del genere umano. Ma non
per sempre e il lento scorrere del tempo ce lo
dimostra. Il mare così come lo conosciamo non
sarà per sempre e tanto meno l’uomo, destinato a
pagare i propri errori, le proprie debolezze, le sue
misere vanità.
Eppure, oggi, il mare nostro è ancora li.
Percorrendo con un Intercity la ferrovia che da
Bari porta a Pescara ci accompagna il mare di
lato. Sempre li. Rassicurante. Sembra proteggerci
accarezzando il nostro fianco. Speranzoso che
l’uomo rinsavisca e si decida attraverso il sentimento della condivisione di provare a vivere in
armonia con se stesso e i propri simili, rispettando la natura e amando il mare. Quella condivisione che allontana gli uomini dalle bestie, in questo
lungo viaggio intrapreso dal genere umano.
Anche per chi non crede fa bene ricordare le
parole di Gesù “Siate viandanti nella società dei
sedentari, perché la strada è il luogo della speranza e il
viandante è l’uomo della speranza”.
Parole che vengono da molto lontano, ma il
passato rivive ogni giorno perchè non è mai passato. Tempo ce n’è. Per un’altra vita.
CULTURA
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CULTURA
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Una gita in
Nuova Zelanda
Simile all’Italia, si trova dall’altra parte del mondo, agli
antipodi rispetto a noi. E’ costituita da due isole maggiori e molte altre minori. E’ la Nuova Zelanda, che oggi visitiamo nel racconto del nostro amico Francesco Rossini
di Magda De Pasquale
N
atale in Nuova Zelanda, a Whangamata,
per quattro giorni nel territorio a Nord di
Auckland, una città moderna e piena di
vita, sino alla punta estrema dove si incontrano
l’Oceano Pacifico e il Mar di Tasmania.
La nostra meta è Paihia a 360 km. da Whangamata. L’autostrada attraversa la città da sud a nord
con grandi ponti e cavalcavia, in quanto Auckland,
tanto ad est quanto ad ovest, è letteralmente sul mare.
Superata Auckland ci troviamo sull’Hauraki Gulf,
dove hanno disputato le regate della America’s Cup.
La costa è frastagliata, piena di insenature, promontori, lunghe spiagge, e la strada per un po’ ne segue la
tortuosità; poi puntiamo verso l’interno ed attraversiamo ampie foreste verdissime, piene di alberi e di
felci alte. Nel primo pomeriggio raggiungiamo la
nostra meta: Paihia sulla “ Bay of Island ”: a due passi
l’imbarcadero, dove ci aspetta un piccolo traghetto
per Russell, dall’altro lato della baia. Russell è un’antica cittadina sorta nei primi dell’800, che a suo tempo
era base di baleniere, porto frequentato da gente di
tutte le razze. Le costruzioni tutte in legno, qualcuna
più importante in stile vittoriano, la rendono molto
caratteristica e particolare. Qui ci fermiamo per cena,
presso l’hotel-restaurant più antico della Nuova
Zelanda: il “ Duke of Marlborough“.
Dall’ultimo traghetto che ci riaccompagna a
Paihia possiamo ammirare la bellezza di queste due
città tutte illuminate.
Il giorno seguente decidiamo di fare una crociera nella “ Bay of Island “ disseminata di isole e isolotti, di cui solo alcune sono abitate. Ad un certo
punto, durante il viaggio, assistiamo ad un vero
spettacolo: un branco di delfini che salta e si accosta alle barche, come se fossero addestrati. Ci dirigiamo verso l’isola più lontana dell’arcipelago,
Motukokako, dove godiamo un secondo spettacolo: “Hole in the Rock“ letteralmente “ Buco nella
roccia ”, un arco nella roccia che, in base alle condizioni del mare, la nave attraversa avendo un margine di un po’ più di un metro per lato. La manovra viene eseguita con perizia e il tutto viene
immortalato dai tanti flash delle macchine fotografiche. Ci dirigiamo, quindi, verso l’isola di
Urupukapuka, località di Othei-bay per uno “stopover”, dove ne approfittiamo per un buon pranzo
a base di “ fish e chips ”.
Il nostro battello è un catamarano con due ponti,
stabile con la possibilità di fermarsi in acque basse.
Dopo un’oretta riprendiamo la navigazione, durante la quale ci spiegano che tra grandi e piccole le
isole nella baia “ in toto “sono 144, tutte davvero
molto belle. Sulla via del ritorno, sostiamo nuovamente a Russell, approfittando del bel tempo, e
CULTURA
31
dopo pochi minuti arriviamo a Paihia in perfetto
orario, per una salutare sosta in albergo.
Dopo una giornata così avventurosa e ricca di
emozioni, decidiamo di dirigerci verso sera a
Waitangi, a pochissimi chilometri dall’hotel. Questa
località ha un importante valore storico, perché qui
fu firmato il 6 febbraio 1840 lo storico trattato tra i
capi maori della zona ed i rappresentanti del governo della regina Vittoria; successivamente il trattato
fece il giro del paese e molti altri capi maori vi apposero la propria firma o il proprio segno distintivo.
Questo trattato è tutt’ora in vigore ed è spesso oggetto di contestazioni dalla minoranza maori. Così visitiamo il “ visitor centre “ e lo storico prato su cui
avvenne la cerimonia. Completato il giretto, mentre
torniamo a Paihia, concludiamo la serata con un’ottima degustazione di frutti di mare della zona, cozze
e ostriche, presso il miglior ristorante della zona: “
Only Seafood “ (che sia stato fondato da un barese?).
Il terzo giorno dopo qualche chilometro, in direzione di Waipapakauri Beach, poco più a nord di
Kaitaia, il pullman prende una stradina sterrata ed
approda sulla spiaggia: inizia così il percorso delle “
Ninety Mile beach”. Sono 90 km percorsi in velocità
sulla dura sabbia della bassa marea; è un’autostrada
vera e propria, ma incredibilmente siamo a pochissimi metri dalla linea del bagnasciuga. La traversata è
fantastica, ma allo stesso tempo pericolosa se non la
si fa con autisti esperti e con mezzi robusti.
Riprendiamo subito il nostro viaggio fino a fermarci su un tratto di sabbia dura ai piedi di un’alta e
ripida duna dove l’autista ci fornisce di alcune tavole, per arrampicarci sulla sabbia finissima fino in
cima e di lì poi partire per la discesa ad alta velocità:
è questo il cosiddetto “Sandboarding at Te Paki“.
Dopo esserci divertiti come ragazzini, ci dirigiamo verso la nostra meta principale, Cape Reinga.
Percorriamo il sentiero sino al faro e dall’alto vediamo distintamente le onde dell’Oceano Pacifico e del
mar di Tasmania che, scontrandosi, creano delle
chiazze color turchese, che possono anche raggiungere l’altezza di 10 metri durante le tempeste. Cape
Reinga è presente nella mitologia dei maori e sulla
sua punta estrema si vede l’albero di Pohutukawa
che ha almeno 800 anni di vita, le cui radici nascondono l’ingresso al mitico oltretomba dei maori.
Questa zona è sacra ed infatti luogo di culto per
numerose famiglie maori giunte in pellegrinaggio,
oltre i tantissimi visitatori di tutte le nazionalità. La
località è veramente bella e sprigiona un senso di
potenza avvolto da un fascino di mistero.
Ripartiamo e, dopo aver fatto tappa a Te Haipua
per una tavolata self-service di specialità locali,
riprendiamo il viaggio di ritorno in albergo.
Quarto, ed ultimo, giorno….ed anche questa
volta ci tocca una levataccia perché c’è da fare molta
strada per la visita alla Waipoua Forest ed il ritorno
a Whangamata. La nostra destinazione è la
Waipoua Kauri Forest, per rendere omaggio al “
Tane Mahuta “, il più grande Kauri (tipo di albero
gigantesco) della Nuova Zelanda, con un’età stimata di circa 2000 anni. La zona che attraversiamo,
spostandoci dalla costa est sull’Oceano Sud Pacifico
a quella ovest sul Mar di Tasmania, è densamente
abitata dalla popolazione Maori e l’ambiente naturale che ci circonda è decisamente meraviglioso.
Una volta arrivati, ci inoltriamo nella foresta,
percorrendo un sentiero su una passerella, fino a
giungere al cospetto del gigante: il Tane-Mahuta,
che prende il nome dalla divinità maori della foresta. E’ un albero di una imponenza straordinaria;
alto più di 51 metri la sua chioma ricca e folta si
erige nella foresta al di sopra di tutti gli altri alberi.
Al cospetto di questo gigante della foresta si prova
un’emozione particolare, c’è un gruppo di maori
che recita versetti salmodiando come se si trovassero in un luogo sacro; infatti per loro la natura tutta
è un luogo sacro e le foreste dei Kauri ne sono la
manifestazione più evidente. Passiamo, così,
un’oretta al suo cospetto, nonostante il freddo
all’interno della foresta, e scattiamo molte altre foto.
Risaliamo in macchina, direzione sud ed il mio
Tom Tom indica 450 km per il ritorno….la strada è
ancora lunga, i chilometri sono tanti….ma indimenticabili saranno questi quattro giorni trascorsi in queste
meraviglie della natura del continente neozelandese.
CULTURA
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Il riso tra storia,
tradizioni
e curiosità
di Vittorio Polito
Le
origini del riso non sono certe,
si ritiene che le varietà più antiche siano comparse oltre quindicimila anni fa lungo le pendici dell’Hi-
Silvana Mangano, indimenticabile
interprete di “Riso amaro”
malaya. Pare che durante l’Impero Persiano il riso si propagò verso l’Asia occidentale e poi si estese in altre direzioni.
Quel che pare certo è che dalle specie primordiali di questa graminacea se ne siano
differenziate una ventina. Solo due di queste hanno tutt’oggi una certa rilevanza a
scopo alimentare: Oryza sativa, di origine
asiatica, e Oryza glaberrima, di origine africana.
Le più antiche ciotole in argilla contenenti riso, Oryza sativa, rinvenute in
Indocina, risalgono a oltre 5000 anni a.C. e
il termine tamil Arisi, da cui pare derivi il
nome latino, compare poco più tardi in
India, ma i preziosi chicchi giungono in
Occidente solo in epoca cristiana, nella
Roma imperiale. A coltivare per primi il
riso, secondo gli storici, furono gli Arabi in
Sicilia, e poi gli Aragonesi: sta di fatto che a
metà del XIV secolo il riso si diffonde in
Italia grazie ai dominatori spagnoli. La
prima notizia certa sulla coltura del riso riconduce a
quella che ancora oggi è
la
patria
risicola
d’Italia, la Lomellina.
È, infatti, nel feudo di
Robbio Lomellina che
Ludovico il Moro,
Duca di Milano, avvia
una coltivazione con la
semente ricevuta dal cugino
Gonzaga.
Di li a pochi anni il Ducato di Milano si
specchierà in migliaia di ettari d’acqua in
cui germoglieranno piantine di riso. Anche
Gian Galeazzo Sforza, secondo gli storici,
contribuì alla diffusione della pianticella,
mandando qualche sacco ai Duchi di
Ferrara che disponevano di acquitrini.
Oggi siamo i maggiori produttori
d’Europa.
Perché il riso è coltivato in
nord Italia? La ricchezza
di acqua delle regioni
Piemonte e Lombardia,
in particolare Vercelli,
Novara e Milano, fa
vantare il primato di
produzione tra i paesi
dell’Unione Europea,
non solo, si coltiva anche
un riso di primissima qualità
e varietà per cui il suo utilizzo è
sempre più moderno e attuale.
In riferimento poi alle tradizioni il riso è
diventato anche motivo di culto. Dalla
Thailandia a Giava, dalla Corea al
Giappone, senza dimenticare la Cina,
l’oriente è ricco di miti, storie e racconti,
ricchi di fascino che rivelano il rispetto e la
gratitudine verso questa pianta. Vi sono
credenze che ritengono il riso una pianta
che possiede un’anima, per cui si organizzano feste e riti propiziatori per rendere
benevolo il destino e ottenere raccolti
abbondanti.
In Italia, invece, diventato molto più
tardi di uso comune, ha lasciato tracce
importanti nel costume. Non a caso si usa
lanciarlo nei matrimoni per augurare prosperità e ricchezza agli sposi nonché giorni
felici di fecondità e di buona salute. Il riso
ha inciso anche sulle abitudini di vita di
molte generazioni, dando vita
a figure popolari, come
quelle delle mondine,
che nel corso dei mesi
di coltivazione, dalla
primavera ai mesi invernali, si recavano
nelle zone di raccolta
affrontando grandi difficoltà e sacrifici. Ovviamente ci riferiamo al periodo
in cui il riso era coltivato manualmente ed il lavoro delle mondine consisteva nello strappare erbacce.
Per le caratteristiche organolettiche e la
sua versatilità il riso è usato moltissimo in
campo alimentare. In Giappone, ad esempio, è possibile anche bere vino di riso, si
chiama Sakè e rappresenta una bevanda
tradizionale che in precedenza veniva
usata come bevanda propiziatoria nelle cerimonie religiose.
Forse il miglior uso del
riso lo fanno gli italiani.
Probabilmente perché
considerato un piatto
povero ma ricco sul
piano
nutrizionale.
Oggi non è più povero
e gli innumerevoli risotti che abbiamo il piacere di
assaporare non si contano. È
appena il caso di ricordarne uno
in particolare: quello ai frutti di mare.
Per i baresi poi, ricordiamo la celebre
tiella di “riso, patate e cozze” che non teme
né confronti né concorrenza con nessun’altro piatto. La celebre tiella, infatti, ha vinto
nel 2001 l’Oscar al Salone Internazionale
del pesce di Bologna, classificandosi tra i
primi 15 piatti regionali del mare. Vi pare
poco?
CULTURA
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CULTURA
34
Nell’accattivante narrazione
di Giuseppe Rajola
si svela il mistero del corallo di Sciacca
“Mistero Sciacca”
di Steven Tranquilli
“
Sono stato sempre affascinato, sin da piccolo,
dal suono particolare che faceva il Corallo di
Sciacca quando lo lasciavo cadere”. Chi parla
è Giuseppe Rajola, uno dei “nomi” più illustri del
“Pianeta Corallo”, autore di numerose pubblicazioni e che si presenta con questa nuova, affascinante
sfida alla scoperta del “Mistero Sciacca”, ovvero
rivelare il segreto che si cela dietro il corallo che in
quantità incredibilmente grande (14 milioni di
Kg!!!) fu pescato nei mari antistanti Sciacca tra il
1875 ed il 1900.
Correva il 1875 quando fu rinvenuto, a una
trentina di miglia al largo della città di Sciacca, in
Sicilia, un banco di corallo. Era un corallo di uno
strano colore arancio, diverso da quello che si raccoglieva in quell’area. Ancora più strano era che
tanto, tantissimo corallo risultava ammucchiato,
accatastato, in spazi molto ristretti del fondo marino.
In breve la notizia si sparse e in pochi anni ben
17.000 pescatori di corallo professionisti vi accorsero da ogni dove, da Torre del Greco in primis.
Quando sembrava che il banco si stesse per esaurire, ne fu trovato un secondo più grande, e poi un
terzo più grande ancora. Questa incredibile pesca
durò oltre venti anni, sino alla fine del secolo. Si calcola che furono estratti dal mare oltre 14 milioni di
kg di quel particolare corallo che avrebbe fatto la
differenza per Torre del Greco, favorendo l’evoluzione del piccolo artigiano in imprenditore, anche
se sempre con peculiarità artigianali.
Scienziati dell’epoca furono incaricati di studiare il fenomeno, di capire il perché di tutto quel
corallo, di verificare se una pesca così massiccia
potesse danneggiare la riproduzione dello stesso
corallo nell’area. La risposta fu sempre la stessa:
tutto quel corallo era lì in quanto in quella zona si
trovava un vulcano che, pochi anni prima, aveva
dato origine all’isola Ferdinandea, la famosa “isola
che non c’è”. Si trattava di un corallo morto e, in
quanto tale, non poteva riprodursi. Nessuno si
chiese perché mai ce ne fosse tanto nello stesso
luogo, né come fosse possibile che un materiale
organico, quale è il corallo, si conservasse a dispetto di temperature così alte…
Lo ha fatto Giuseppe Rajola, imprenditore con la
“passione” della biologia del corallo. La ricerca,
attraverso fasi successive sempre più incalzanti ed
avvincenti, si arricchisce di storie, aneddoti, raccolte sia a Sciacca che a Torre del Greco: due facce della
stessa medaglia.
E’, comunque, una ricerca rigorosamente scientifica, portata avanti con il contributo dei più bei
nomi della scienza, a livello internazionale, attraverso la quale si può comprendere cosa è successo
sotto il mare, in un’area, quale il Canale di Sicilia,
che per secoli e secoli è stata una autentica “pentola a pressione”, in particolare presso l’area vulcanica dell’Isola Ferdinandea.
Una ricerca che aggiunge un nuovo fascino ad
una materia di per sé già così affascinante quale il
corallo e che è diventata un bel libro dal titolo
“Mistero Sciacca – Storia di un corallo di altri
tempi” arricchito da approfondimenti tecnici di
Margherita Superchi per anni Direttore del Cisgem
di Milano e Presidente della sezione Pietre Preziose
della CIBJO, the World Jewellery Confederation, la
quale ha curato le schede tecniche del libro che
narra la storia di questa ricerca e a breve disponibile nelle maggiori librerie.
Proprio da un pour parler tra Rajola e Superchi
nasce la scintilla dalla quale parte la ricerca:racconta Rajola della incredibile pesca di corallo fatta a
Sciacca, e dello strano suono che faceva, cadendo,
questo corallo.
E mette a parte l’amica della sua teoria circa il
corallo di Sciacca: “Il corallo è carbonato di calcio,
materiale organico: come è possibile che tanto
corallo sia arrivato fino a noi, ammassato in così
grande quantità in secche sul fondo del mare, senza
deteriorarsi, con questo strano colore arancio?
Perché questo strano suono quando lo si maneggia?
Secondo il mio parere ci sono stati degli agenti
esterni, quali manifestazioni di vulcanismo marino,
che ne hanno modificato la struttura. Non solo: una
così enorme quantità si giustifica solamente se
immaginiamo che tutto questo materiale si sia
deposto, ammucchiato sul fondo marino in un
periodo lunghissimo di tempo”.
Queste affermazioni hanno solleticato la dottoressa Superchi, che ha chiesto a Rajola di inviarle
una serie di pezzetti di corallo, provenienti da tutto
il Mediterraneo e, naturalmente, da Sciacca:“Voglio
fare un esperimento”.
E, infatti, sottopone i campioni di corallo ad analisi fatte col la Raman, un macchinario con il quale
si determina lo spettro del corallo e che dà risultati
molto interessanti: tutto il Corallium Rubrum, proveniente da una qualsiasi area del Mediterraneo, ha
identico spettro. Solo quello proveniente da Sciacca
risulta modificato.
Decidono allora di tentare un’ulteriore esperimento, e Rajola si rivolge ad uno Statunitense, il
Prof. Robert Bodnar, uno dei massimi esperti di
Geochimica al mondo, affinché faccia delle analisi
sul chimismo del Corallo di Sciacca. Anche a
Bodnar vengono inviati campioni di Corallium
Rubrum di varia provenienza e i risultati sono
estremamente interessanti.
Giuseppe Rajola
Sessantacinque
anni, sposato con
Grazia, due figli:
Vincenzo e Mariella.
Rappresenta la quarta
generazione di una
famiglia che dai primi
del ‘900 lavora il corallo. Circa 40 anni fa è
stato tra i fondatori
dell’Associazione
Produttori Corallo,
Cammei ed Affini
(Assocoral) di cui è
stato più volte, in epoche diverse, Presidente.
Promotore ed organizzatore di innumerevoli eventi
volti alla tutela, valorizzazione, promozione del
corallo, tra cui due Convegni Internazionali tenutisi
sotto l’egida della Fao, membro di numerosi Comitati
Scientifici e promotore del Gruppo “Rouge Corail” di
cui fanno parte 21 tra Università e Istituti di
Biologia Marina Europei ed extraeuropei. Autore di
numerose pubblicazioni. A buon titolo viene considerato uno dei maggiori esperti, a livello mondiale, sul
corallo.
Le analisi effettuate con la tecnica “Laser
Ablation ICPMS” dimostrano che i coralli provenienti da Sciacca hanno subito notevoli alterazioni
della composizione chimica.Scrive Bodnar a Rajola:
“I coralli di Sciacca sono molto arricchiti in ferro,
manganese, rame ed uranio rispetto agli altri coralli analizzati. Questi elementi sono tipicamente associati con attività idrotermale sottomarina, così che
la tua idea che il corallo di Sciacca è da mettere in
relazione con il vulcanismo appare tale da essere
confermata”.
E’ un tassello importante, nel puzzle che faticosamente si va delineando. La prossima, sarà l’analisi definitiva, quella che scioglierà ogni dubbio: la
datazione! Viene affidata al Cedad, Centro per la
Datazione dell’Università del Salento, Lecce che
effettuerà delle analisi su alcuni reperti di corallo
proveniente da Sciacca. I risultati sono stupefacenti: dei quattro coralli esaminati, due sono di circa
2.000 anni fa, il terzo di 4.000 ed il quarto di 9.000
anni fa! E’ la conferma che la teoria di Rajola è giusta! Segue poi la prova di durezza con il metodo
Knoop, e – anche in questo caso – vengono confermati i dati: anche la durezza si è modificata.
Il Corallo di Sciacca è un corallo sub-fossile, e
come tale si è potuto conservare così a lungo in
acqua e arrivare fino a noi. Un’altra tessera aggiunta da Rajola – fra i fondatori di Assocoral, di cui fu
anche presidente per più mandati – al mosaico
della comunicazione del valore e della cultura del
gioiello.
Da non perdere!!
STEVENTRANQUILLI - Direttore Federazione Nazionale Dettaglianti Orafi Gioiellieri Argentieri Orologiai CONFCOMMERCIO IMPRESE PER L’ITALIA - Via ReTancredi – ROMA - Tel: 06-44.04.105 Fax.: 06-44.25.12.29
CULTURA
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CULTURA
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Elsa
Schiaparelli
rivive dopo
60 anni
a cura di Viviana Rubini
Q
uest’anno si celebra Elsa Schiaparelli: il
suo genio creativo e la sua moda provocatoria in mostra a New York insieme al
rilancio del marchio sul mercato da parte di un
italiano.
Nata a Roma nel 1890 da una famiglia di intellettuali piemontesi, voleva fare l’attrice, provò a scrivere poesie e divenne creatrice di moda quasi per
caso. Donna sfortunata nel privato, dopo la separazione dal marito e una breve parentesi newyorkese, approda a Parigi dove diviene ben presto protagonista indiscussa della moda e dell’arte.
Le sue prime originali creazioni sono i pullover a stampe trompe l’oeil in stile optical bianco e
nero e le maglie lavorate a mano con applicazioni a scheletro. Sull’onda del successo arriva
anche la linea di costumi da bagno e pigiama da
spiaggia. Successivamente si cimenta in nuovi
esperimenti creativi arricchendo gli abiti con bottoni a forma di labbra, realizzando lunghi guanti
con le unghie, una giacca con tasche a forma di
cassetto, le zip a vista colorate, l’invenzione di un
nuovo colore: il rosa shocking. I bijoux, gli accessori e il profumo “Shocking” (con la bottiglia
sexy che ricalca le forme di Mae West) sono
oggetto di scandalo.
Muore con discrezione a Parigi nel 1973, ma il
suo coraggio e la sua audacia sono stati ispirazione per molti negli anni.
Il suo mito rinasce oggi con l’annuncio del
rilancio del marchio ad opera di Diego Della
Valle, proprietario di Tod’s, uno dei gruppi più
importanti del lusso italiano (controlla Tod’s,
Fay, Hogan e Roger Vivier) che nel 2007 ha acquistato il brand insieme all’archivio e alla sede dell’atelier in Place Vendome al numero 21 (stesso
indirizzo dove aprì nel 1935). A luglio, durante le
giornate parigine dell’Haute Couture, sarà riaperto lo storico atelier e a settembre verrà annunciato il nome dello stilista; solo nel 2013 arriverà
la prima collezione. Volto della Maison sarà l’attrice e modella francese Farida Khelfa.
L’ambizione è di collocarsi nella fascia altissima di mercato. La cifra stilistica della nuova collezione sarà la sperimentazione e l’anticonvenzionalità: creazioni speciali e al tempo stesso
riconoscibili, con un’attenzione particolare al
mondo degli accessori.
Altra importante occasione per celebrare il
talento della “Schiap” è la mostra inaugurata
recentemente al Metropolitan Museum, dal titolo
Schiaparelli and Prada: Impossibile Conversations.
Due icone della moda italiana, due designer
d’avanguardia impavide e temerarie, si incontrano in un dialogo immaginario. Il titolo dell’evento
rende omaggio alle Interviste Impossibili realizzate
per la rivista Vanity Fair e illustrate dal caricaturista Miguel Covarrubias negli anni ’30: si trattava
di conversazioni tra personaggi di epoche diverse
che non avrebbero mai potuto incontrarsi..
Visitando la mostra si percepisce come gli universi di Schiaparelli e Prada, nonostante fortemente contrastanti, vivano in perfetta armonia,
tra passato e presente. E se Elsa Schiaparelli attingeva idee ed energie dal movimento futurista e
surrealista, disegnando le sue creazioni con
Salvator Dalì, Jean Cocteau, Alberto Giacometti,
Miuccia Prada ha risentito della corrente postmodernista, ed è colei che è riuscita a sintetizzare al meglio il minimalismo e il
rigore con la stravaganza.
La forza travolgente dell’esibizione risiede nelle creazioni
stesse: il celeberrimo cappelloscarpa o la giacca ricamata con i
segni zodiacali della Schiaparelli, gli abiti grondanti di
pietre o gli accessori estrosi di
Prada.
Frasi tratte da “The Shocking
Life”
l’autobiografia
della
Schiaparelli affiancate a dichiarazioni che Miuccia Prada ha rilasciato ai curatori dell’evento,
vengono proiettate in una serie
di video diretti dal regista Baz
Luhrmann (autore di celebri pellicole quali Romeo+Giulietta di
CULTURA
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William Shakespeare o Moulin Rouge). L’installazione è invece creata da un altro grande creativo
del cinema, lo scenografo Nathan Crowley
(Batman Begins, Braveheart): ambienti in cui la lacca
rossa e nera si alterna a teche di plexiglas e giochi
di specchi. E’ così che Miuccia ed Elsa (interpretata da Judy Davis) sedute a bere champagne nel
salone di un antico palazzo, chiacchierano della
loro personale visione della moda.
La mostra resterà aperta al grande pubblico
fino al 19 agosto e analizza come queste due
grandi artiste abbiano sovvertito le nozioni convenzionali legate alla bellezza, al gusto, alla femminilità e al glamour.
CONFCOMMERCIO INFORMA
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Maggiore rappresentativita’ per il settore orafo di Confcommercio
Da Federdettaglianti Orafi
a Federpreziosi: una
evoluzione sostanziale
Riconfermato Presidente Giuseppe Aquilino,Vice Presidente di Confcommercio Bari
a cura della Redazione
La
Federazione Nazionale Dettaglianti
Orafi Gioiellieri Argentieri Orologiai –
Confcommercio, si è costituita ufficialmente in Federpreziosi – Federazione Nazionale delle Imprese Orafe Gioielliere Argentiere Orologiaie –
Confcommercio Imprese per l’Italia.
L’accesso sarà esteso a tutte le categorie del mondo orafo rappresentate in Confcommercio, dai distributori all’ingrosso, ai fabbricanti, agli artigiani, ai
rappresentanti, e non più limitato, quindi, ai commercianti al dettaglio.
E’ un passaggio di fondamentale importanza che
conferma in concreto l’obiettivo già da tempo perseguito da parte di Federdettaglianti: raggiungere una
maggior unità e rappresentatività del settore nei
confronti delle Istituzioni Governative, Autorità, Enti, Associazioni e Sindacati a livello nazionale e internazionale, attraverso un sostanziale ampliamento
della base associativa.
Secondo il riconfermato presidente Giuseppe
Aquilino, primo presidente di Federpreziosi, “Federdettaglianti ha da tempo intrapreso un fruttuoso
cammino concentrando tutti i suoi sforzi per comprendere a fondo e quindi rappresentare con la massima efficacia possibile le esigenze e le istanze di
tutte le categorie associate. Un lavoro non facile che
abbiamo affrontato sul campo, con incontri mirati
sul territorio, un vero e proprio ‘porta a porta’. La
Federazione ha accresciuto la propria credibilità e, al
contempo, rafforzato la sensibilità rispetto a temi e
problematiche di fondamentale rilievo non solo per
il commercio orafo. I risultati già ottenuti a livello
governativo – ha pure affermato Aquilino - sono
motivo di grande soddisfazione per noi. Questo
importante passo verso un ulteriore sviluppo è stato
accuratamente preparato: la federazione ha saputo
crescere e agire in un’ottica di forte e concreta coesione e questo non può che renderci fiduciosi nei confronti delle future e impegnative sfide, consci che in
un momento così critico per il nostro Paese e per
l’economia globale, solo una voce forte, affidabile e
chiara riuscirà a farsi sentire.”
A Federpreziosi possono aderire sindacati o associazioni rappresentativi del settore orafo-argentieroorologiaio che operano in ambito provinciale o
regionale costituiti in seno alle organizzazioni territoriali affiliate a Confcommercio, associazioni autonome, operatori individuali che svolgano attività in
province dove non vi sia sindacato o nel caso in cui
questo non sia aderente alla Federpreziosi.
Anche Enti e Istituzioni che ne condividono filosofia e scopi avranno la possibilità di associarsi secondo
modalità e condizioni deliberate dalla Giunta.
Federpreziosi, a completamento del proprio Statuto
approvato dal Consiglio generale Confcommercio lo
scorso 26 Gennaio 2012, adotta in toto lo Statuto e il
Codice Etico di Confcommercio-Imprese per l’Italia;
utilizza, inoltre, il logo confederale accompagnato dalla
propria specifica denominazione, facendosi garante
dell’uso da parte di organismi associativi o strutture societarie costituite al proprio interno, aderenti o, comunque, espressione diretta della propria Organizzazione.
Anatocismo e commissione
di massimo scoperto
a cura della Redazione
In
questo periodo di crisi finanziaria, il problema di natura creditizia è quello che
attira l’attenzione di molti. Diverse aziende, con grandi strutture organizzative, si scontrano
quotidianamente con un mercato che ormai non è
più recettivo e nutrono sempre più la voglia di un
confronto sano ed equilibrato.
Proprio per questo la Federazione Moda Italia Bari ha approvato una convenzione con lo Studio dell’Avvocato Massimo Melpignano (a destra nella foto),
che difende da tanti anni i clienti dal sistema bancario,
dando così loro la possibilità di chiedere il rimborso
delle commissioni di massimo scoperto e anatocismo.
Lo stesso Presidente di Federazione Moda Italia
Bari, Carlo Saponaro, ha sottolineato l’importanza
di questa convenzione che si pone l’obiettivo di far
conoscere alle micro e PMI i propri diritti e le tutele possibili, in modo da poter recuperare i costi che
ingiustamente, ed anche illegittimamente, sono
stati affibbiati alle aziende dalle banche, sotto
forma d’interessi, nell’applicazione delle commissioni di massimo scoperto sui fidi concessi.
Nel corso dell’incontro, l’Avvocato Massimo
Melpignano, Vice Presidente Adusbef Puglia, ha
rimarcato l’accento su quanto gli interessi anatocistici e commissioni di massimo scoperto siano
costi esosi che per anni le banche hanno fatto gravare su tutti i clienti; solo attraverso un lungo iter
giurisprudenziale si è riconosciuta l’illegittimità di
tali oneri.
Infatti per quanto riguarda l’anatocismo, ossia la
capitalizzazione degli interessi sugli interessi, a
partire dal 1999 ben tre pronunce della Corte di
Cassazione hanno stabilito la nullità della clausola
di capitalizzazione trimestrale e, pertanto, le
somme calcolate a tale titolo non possono essere
richieste dalla banche; inoltre se sono state precedentemente percepite, devono essere interamente
restituite perché indebitamente trattenute.
Per quanto riguarda, invece, le Commissioni di
Massimo Scoperto, l’Avvocato Melpignano ha messo
ben in evidenza che più di 16 miliardi di Euro sarebbero stati illegittimamente addebitati ai correntisti
dalle banche in base alle “Commissioni di Massimo
Scoperto“. Anche questi, come gli interessi anatocistici, sono costi per gli utenti bancari privi di qualsiasi giustificazione. Perfino la Banca di Italia ha espresso dei dubbi in merito, definendola: “un istituto poco
difendibile sul piano della trasparenza”.
Per Commissione di Massimo Scoperto s’intende
una percentuale calcolata al tasso convenuto, sulla
massima esposizione avuta sul conto corrente durante il trimestre di riferimento ed essa si aggiunge agli
interessi convenzionali. La natura della commissione
e la giustificazione per la sua applicazione si sono
modificate nel tempo, perché la commissione di massimo scoperto si giustifica in ragione del maggior
rischio assunto dalla banca sulla somma massima utilizzata nel periodo. Nei contratti bancari normalmente sottoscritti dalla clientela non sono indicate le
modalità di calcolo della commissione di massimo
scoperto, ma soltanto il tasso della stessa.
La materia è stata disciplinata dal decreto-legge
29 novembre 2008, n. 185 convertito in legge 28 gennaio 2009, n. 2, ove si è stabilito che la commissione
di massimo scoperto è valida solo in relazione a
sconfinamenti assistiti da fido e di durata superiore
a 30 giorni.
Con nota del 29 dicembre 2009, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha gravemente
censurato la disciplina, ritenendo “che sia per gli
affidamenti che per gli scoperti transitori di conto
corrente, si è verificato un innalzamento dei costi
per i correntisti“.
Le commissioni di massimo scoperto non sono
pertanto dovute alla banca ed è possibile richiederne la restituzione.
L’anatocismo e le commissioni di massimo scoperto sono due dei tanti problemi gravi che hanno in
qualche modo ucciso i bilanci e creato un confronto
non paritario tra banche e clienti, perché non abbiamo solo doveri ma anche diritti nei confronti degli
istituti di credito…spetta soltanto a noi se attuarli, e
questo lo si può fare solo grazie all’informazione.
CONFCOMMERCIO INFORMA
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CRONACA
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CONFCOMMERCIO INFORMA
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“EAT Ruvo di Puglia”
un nuovo modo
di fare consorzio
di Emanuele Panza
N
on è stato il solito convegno, ma, come l’ha
definito la guest star della serata, il Sen.
Antonio Azzollini, un convegno formativo.
Parliamo della presentazione a Ruvo di Puglia del
nuovo Consorzio “EAT Ruvo di Puglia”: significa
Esercenti Associati per il Turismo, ma si legge
“Mangia Ruvo”, giocando sull’acronimo che in
inglese significa, appunto, mangiare.
E che si giochi tutto sull’alimentazione intesa
nella sua massima accezione lo si capisce bene se
solo si scorre l’elenco dei consorziati: agenzie turistiche e tour operator, alberghi, bed & breakfast,
aziende agrituristiche e di produzione di prodotti
tipici locali, ristoranti, bar, pub, pizzerie.
Da sinistra nella foto, Antonella Millarte, Dino Saulle, il Presidente della
CCIAA Alessandro Ambrosi ed il sindaco di Ruvo, Ottombrini.
Il consorzio è nato nel 2012 per il forte impulso
della Confcommercio locale e del suo Presidente
Dott. Vito D’Ingeo, che ha saputo catalizzare le
energie propositive di imprenditori con gran voglia
di fare qualcosa per le proprie aziende coinvolgendo, in un circolo virtuoso, il territorio tutto e non
solo di Ruvo di Puglia, ma esteso ai Comuni viciniori anche della BAT.
Ma va riconosciuta la grande attività propulsiva
del Presidente del Consorzio, Dino Saulle, che ha saputo coinvolgere nel progetto la Pro Loco ed altre associazioni come CONRUVO oltre ad un gran numero
di imprenditori che condividono con lui il progetto.
Condivisione ed apprezzamento che sono
emersi il 15 Giugno nella sala Comunale di Ruvo
di Puglia quando, sapientemente coordinati
dalla giornalista Antonella Millarte della Gazzetta del Mezzogiorno, esperta del settore, si
sono avvicendati, nel sottolineare la novità di
questo progetto e la sua grande valenza economica, turistica e sociale, il sindaco di Ruvo Vito Ottombrini, il Presidente della CCIAA Alessandro
Ambrosi, il Presidente di Confcommercio Ruvo
Vito D’Ingeo, l’Assessore Provinciale all’Innovazione Agricola Aziendale Francesco Caputo,
il Presidente della Cantina CRIFO Biagio Stragapede, il presidente Confcooperative Puglia
Marco Pagano, il presidente del Consorzio di
Tutela Vini Doc Castel del Monte Francesco
Liantonio, il presidente di Uliveti d’Italia Nicola
Ruggiero ed il coordinatore Puglia delle Città
dell’Olio Benedetto Miscioscia.
Il sindaco Ottombrini ha ricordato il grande
affiancamento della sua amministrazione a questa
iniziativa sulla scia della concretizzazione di uno
dei punti del suo programma, quello di colloquiare
con le imprese per creare opportunità con il turismo
e l’enogastronomia; dal canto suo Vito D’Ingeo,
esponendo i dati elaborati in un dettagliato dossier
dal dott. Fusco di Confcommercio, ha evidenziato
quale sia il ruolo pregnante del Commercio nell’economia sia di Ruvo che dell’intera Provincia
come volano dell’economia stessa; quindi
Francesco Liantonio ha rilevato come il consorziarsi sia una scelta di vita che si adegua al cambiamento nel rispetto del trinomio uomo-territorio—prodotto; infine Nicola Ruggiero e Benedetto
Miscioscia hanno messo in evidenza le qualità salutari dell’olio extra vergine di oliva, così come ormai
accertato dalla moderna stampa scientifica.
Il leit motiv di tutti gli interventi è stato, comunque, l’apprezzamento per un’iniziativa che si
muove nel solco della fattività concreta e non dell’inutile chiacchiericcio. Tutti si sono dichiarati
pronti a collaborare in un qualcosa che va al di là
di un semplice consorzio, ma che punta a promuovere concretamente lo sviluppo vocazionale di un
intero territorio per il turismo di qualità che si configuri come scoperta di una cultura antica che si
accompagna alla bellezza dei territori ed all’eccellenza dei propri prodotti naturali così come elaborati e resi gustosamente fruibili da autentici maestri.
Dino Saulle ha, con la sua solita passione, indicato i tre percorsi già avviati da EAT Ruvo di
Puglia:
- Itinerari turistici per le visite guidate a cantine e
frantoi;
- Eventi: ne sono previsti oltre 100 mettendo insieme tutte le iniziative del territorio;
- Acquisti consorziati.
Molto argomentato l’intervento di Alessandro
Ambrosi che evidenzia come non si debba più par-
Il Presidente di
Confcommercio Ruvo,
Vito D’Ingeo.
lare di crisi, ma di cambiamento continuo. Il sistema economico non procede più a comparti separati, ma va sul livello multidisciplinare; non possiamo, cioè, permetterci di produrre ottimo olio e vino
e farceli sfuggire verso altre regioni che sanno
meglio commercializzarlo. “Bisogna – ha sostenuto
il Presidente della CCIAA – stare insieme e non giocare più da soli. Dobbiamo fare marketing territoriale smettendo di considerare la nostra azienda
come quella che va dalla soglia d’ingresso all’interno, ma bisogna capire che la nostra azienda è il territorio: dobbiamo capire, cioè, che bisogna cambiare cultura d’impresa, con la formazione e la ricerca
non della quantità (su questo terreno non possiamo
competere con i giganti della produzione) ma della
qualità sulla quale non siamo secondi a nessuno. Si
deve aprire al resto del territorio anche utilizzando
nuovi strumenti come i contratti di rete”.
Il convegno, ed è anche questo un momento di
differenziazione, si è concluso con un percorso storico e architettonico con guida turistica, con visita
in via Veneto, via Traiana e all’ultracentenario panificio Cascione, Palazzo Caputi, torre dell’orologio,
cattedrale e ipogeo, torrioni e museo Jatta; e un percorso del gusto con visita alla Cantina Crifo e
all’elaiopolio Coop. Ri. Fo. “Il Rosone”.
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Donne e
governance
di Alessia De Giosa
C
he le donne siano poco presenti nei luoghi decisionali delle organizzazioni
politiche, economiche e sociali è un
dato, purtroppo, ormai appurato a causa di
uno “ squilibrio di genere” ancora presente sul
nostro territorio, nonostante alcuni progressi ai
quali abbiamo assistito negli ultimi anni.
In Italia, nonostante l’attuazione di politiche antidiscriminatorie e di pari opportunità,
le disparità rimangono e, anzi, vanno ad
influenzare le dinamiche sociali e le condizioni
sia di produzione che di riproduzione del
nostro paese.
Il mercato del lavoro italiano, e in particolare quello pugliese, registra ancora, infatti, un
divario tra il genere maschile e quello femminile, che si evince dai tassi di attività e di occupazione delle donne ancora al di sotto di quelli europei.
Dunque le donne, pur rappresentando una
risorsa preziosa e insostituibile, restano i soggetti più esposti a rischio di discriminazione e
di esclusione.
Un altro elemento importante è la disuguaglianza nell’accesso ai ruoli di responsabilità e di
decisione, vista la scarsa presenza delle donne
nei ruoli dirigenziali della pubblica amministrazione, delle imprese private, delle università,
della rappresentanza politica, nelle istituzioni,
internazionali, nazionali e locali ma anche nei
consigli di amministrazione di enti pubblici e
privati. Questa scarsa presenza femminile fa
emergere, dunque, l’esistenza di un “ deficit di
democrazia “ che richiede di modificare le forme
di partecipazione delle donne alla vita economica, culturale, sociale e politica del paese.
E’ stato questo il tema discusso il 21 maggio
presso la Camera di Commercio di Bari nel
convegno nazionale “Donne e Governance
un’impresa
possibile“
promosso
da
Confcommercio Provincia di Bari e Bat –
Terziario donna, in collaborazione con l’ente
camerale barese, che vede come obiettivo principale quello di affermare la democrazia paritaria nella nostra società per cambiare la classe
dirigente ed imprenditoriale italiana. Sono
intervenuti Loredana Capone, vice presidente
Regione Puglia, Renato Borghi, vice presidente
nazionale di Confcommercio Imprese per
l’Italia, Patrizia Di Dio, presidente nazionale di
Confcommercio Terziario Donna, Francesca
Lamalfa, Presidente III Sez. Penale Tribunale di
Bari, Roberta De Siati, presidente del Comitato
Pari Opportunità dell’Ordine degli Avvocati di
Bari, Annarita Fioroni, senatrice PD, Serenella
Molendini, consigliera di Parità della Regione
Puglia ed infine Rosy Daleno, vice presidente
di Confcommercio Terziario Donna.
Il convegno è stato aperto con i saluti
del Presidente della Camera di Commercio
di Bari, Alessandro Ambrosi, che ha affermato: “Più di 93mila imprese femminili in
Puglia, in incremento rispetto a quelle
maschili che invece diminuiscono, un tasso
di femminilizzazione imprenditoriale del
24,3%. Numeri che rivelano quanto tutte le
donne, e non solo quelle imprenditrici, siano
una risorsa strategica per la nostra società.
Al pari dei giovani. Il dolore per la perdita
di Melissa Bassi e per il ferimento delle altre
ragazze ci invita a riflettere su quanto si
faccia e quanto in più c’è da fare per assicurare un domani ai nostri giovani più propositivo e meno conflittuale. Opportunità sì,
ma anche valori positivi: lo sviluppo come
crescita collettiva frutto dell’impegno di
ciascuno senza alcuna distinzione di sesso,
riservando la massima importanza al merito, al talento ed alle capacità individuali”.
Dello stesso pensiero è stata la vice presidente della Regione Puglia, Loredana Capone,
la quale ha spiegato che non è più sufficiente
parlare di “quote rosa “, ma bisogna lavorare
su ambiti diversi che vanno dalla famiglia,
oggi il maggior ammortizzatore sociale, alla
politica, alla società in generale; inoltre la vice
presidente rimarca l’accento sul valorizzare la
differenza tra uomo e donna, affinché la crisi
possa esser letta come opportunità di coesione
familiare e sociale.
Anche la Presidente del Comitato Pari
Opportunità dell’Ordine degli Avvocati,
Roberta De Siati, ha sottolineato l’importanza
di una maggior presenza delle donne che deve
esser vista come questione di civiltà, di merito,
di legittimità e di opportunità economica per
un intero paese.
A chiudere il convegno sono state le conclusioni della vice presidente nazionale di Terziario
Donna, Rosy Daleno, che ha puntualizzato su
alcuni aspetti come: l’esigenza di intraprendere
azioni positive finalizzate a rimuovere le cause
di discriminazione e a promuovere la valorizzazione della componente femminile in tutti i contesti politici, economici e istituzionali; inoltre la
scarsa presenza delle donne nei luoghi di ambito politico-economico che evidenziano un “deficit democratico”; ed infine l’esigenza di riqualificare la rappresentanza femminile nei contesti
lavorativi, che devono essere basarsi solo su
principi meritocratici.
In definitiva Confcommercio propone di
puntare non su nuove leggi per la scarsa presenza femminile, ma di concentrarsi su quelle
esistenti, traendo spunto da quanto è stato ben
espresso da sentenze che sono entrate proprio
nel merito della democrazia paritaria.
E’ necessario quindi risvegliare l’economia
dormiente, costituito da ben il 52% della popolazione e costituire una democrazia paritaria,
come richiedono in primis le donne imprenditrici di Confcommercio e non solo, perché
risvegliare l’economia è una problematica che
ormai non riguarda più soltanto gli uomini.
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Contro la crisi
FIDES scende in campo
con Confcommercio
Di Prizio: “La ripresa economica é una responsabilità collettiva”
a cura della Redazione
A
nche uno sport come la pallavolo può combattere la crisi. L’Unione Sportiva Fides, nata
a Triggiano nel 1946, ha partorito una efficace iniziativa in grado rinforzare il mercato locale agevolando le tasche dei cittadini. Con il sostegno di
una fitta rete di negozi al dettaglio, è nata la Fides
Card, una carta/sconto totalmente gratuita per tutte
le famiglie aderenti all’associazione sportiva e non
solo, che oggi conta un indotto di oltre 1000 persone.
Panetteria, ottico, ferramenta, sanitaria, bar, pasticceria, pizzeria, erboristeria, macelleria, abbigliamento,
mobili, salotti…insomma, c’è tutto. Una vera opportunità per risparmiare tutti i giorni anche nelle spese
importanti lasciando a fine mese qualche decina di
euro in più nel portafogli.
Il neo presidente del comprensorio comunale di
Confcommercio-Triggiano, Piero Diprizio.
Archiviata la promozione in Serie C, Fides lascia
il rettangolo da gioco per dedicarsi al territorio a
tempo pieno, fino alla ripresa della prossima stagione. Dopo aver stanziato sei borse di studio in tutte le
scuole medie ed elementari di Triggiano e dopo aver
avviato la campagna di devoluzione del 5x1000 in
favore della ricerca sulle leucemie, l’Unione Sportiva
Fides continua a fortificare il legame con la città di
Triggiano scendendo in campo per combattere la
crisi, aiutando le famiglia a risparmiare.
“La Fides Card è uno degli strumenti strategici con cui
la nostra società sportiva ha innovato le politiche di marketing e di comunicazione, nell’ambito delle partnership e
delle politiche di fund raising (raccolta fondi). Il mondo
della pubblicità è cambiato, moltissimo. E le società sportive vivono prevalentemente di quello. Nel nostro team
abbiamo introdotto figure professionali capaci di sviluppare proposte credibili in grado di offrire opportunità reali
alle aziende che decidono di sostenerci.”
Queste le parole di Michele Franco, presidente
di U.S. Fides insieme a Michele Ardito, che alla
nuova gestione della società sportiva hanno dato
un forte imprinting imprenditoriale vista l’esperienza professionale che da 15 anni vede entrambi a
capo della nota Emme Emme srl.
“Siamo contrari - ha continuato il numero uno di
Fides - ai pellegrinaggi “porta a porta” di chi chiede
aiuti per eventi, tornei, etc., in cambio di un logo posizionato su un manifesto, su un volantino o su uno striscione a margine di un palco o di un campo da gioco. Le tecniche di comunicazione moderna sono ben altre ed invito tutte le associazioni a sviluppare una “coscienza della
domanda”, ovvero una capacità critica di riconoscere le
reali potenzialità delle proposte sostenibili da sponsorizzazioni. Insieme a Confcommercio attiveremo workshop
per le imprese locali per rieducare le parti nel gioco tra
chi chiede e chi sponsorizza onde evitare che il continuo
proliferare di associazioni e di eventi possa portare a
fenomeni di assuefazione e di inflazione.”
La Fides Card è stata creata per la rete dei soli
commercianti di Triggiano. Sono oltre 25 i negozi
affiliati, scelti tra i migliori del panorama commerciale locale, ciascuno con formula esclusiva per la
categoria merceologica di riferimento. Non esistono
doppioni, come ad esempio, due erboristerie o due
negozi di scarpe.
“Si tratta di una testimonianza reale di scambio di
benefici tra la società sportiva ed i suoi partner.
Generalmente - ha concluso Michele Franco - le affiliazioni ai circuiti come questi sono gratuite. Nel nostro
caso aderire a Fides Card ha due costi: una quota di affiliazione ed una quota di sconto in euro da praticare sulla
spesa per chi espone la carta alla cassa. Ciò vuol dire che
l’aiuto dei partner non ha limiti, poichè ogni centesimo
di sconto praticato sul consumatore, ogni giorno, non è
che un ulteriore atto di sostegno in favore dell’associazione, nella fattispecie in favore dei possessori della Fides
Card, recando benefici al bilancio di tante famiglie.”
La carta è attiva dal 18 Gennaio 2012, per i negozi che espongono il marchio dell’iniziativa. Per
conoscere tutti i negozi affiliati e gli sconti praticati
basta collegarsi sul sito ufficiale http://www.volleyfides.it/fides-card. La Fides Card è gratuita per
tutte le famiglie aderenti a U.S. Fides attraverso le
iscrizioni alla scuola di minivolley, il tesseramento
degli atleti di tutte le categorie, gli eventi on line,
l’ingresso al campo di gara e l’acquisto del merchandising.
“Confcommercio ha approvato e lodato il circuito
della Fides Card perchè la rete delle associazioni può veicolare la comunicazione con efficacia e modalità non
tracciate dai nostri canali. Se una società sportiva manifesta una tale sensibilità alle questioni socio/economiche,
vuol dire che gli sforzi necessari alla ripresa possono
essere corali e diversificati. Preoccuparsi del futuro, specie della propria collettività, piccola o grande che sia,
credo sia una pratica quotidiana che non può escludere
nessun soggetto, persona, ente o associazione.”
Così ha promosso l’iniziativa di Fides il neo presidente del comprensorio comunale di Confcommercio-Triggiano, Piero Diprizio, imprenditore,
assessore alle politiche sportive e agli affari generali del Comune di Triggiano nella scorsa legislatura.
“Anche lo sportello nazionale di Confcommercio che
oggi conta 700.000 imprese - ha continuato Diprizio ha avviato politiche di fidelizzazione con grandi partner
per promuovere reti virtuose capaci favorire consumo e
impresa, contemporaneamente. La simbiosi con il territorio è fondamentale. A Triggiano, con il sostegno dell’ente provinciale di Confcommercio Bari presieduto dal dott.
Alessandro Ambrosi, componente della giunta nazionale, cercheremo di superare il ruolo politico e di rappresentanza. Incrementeremo la costituzione del Gruppo
Giovani Imprenditori e del Gruppo Terziario Donna.
Il primo è composto dagli associati “under 40”, il
secondo dalle imprenditrici associate o che vorranno
associarsi. Il circuito della carta sconto istituito dalla
società pallavolistica Fides apre a spunti positivi e a
visioni ottimistiche del nostro territorio. Una operazione
simile, intrapresa con successo da un ente sportivo che
sicuramente non nasce per risollevare i problemi economici di un paese, rivela un dato importante: le nostre
imprese, anche piccole, anche a conduzione familiare,
hanno ancora le orecchie spiegate ad ascoltare la voce di
chi vuole ancora scommettere, perchè le nostre aziende
hanno voglia di scommettere e di attraversare questa
crisi per uscirne rinforzati. Ed è da qui che bisogna ripartire. Apriremo entro giugno il nuovo sportello di
Confcommercio in Piazza Madonna della Croce a
Triggiano. Avvieremo un processo di consultazione, di
accoglienza, con strumenti di monitoraggio e di indagine che dovranno in breve termine consegnarci il quadro
complessivo delle istanze, dei problemi, delle urgenze e
delle visioni anche più a lungo termine dei nostri
imprenditori. Stavolta, saranno le nostre orecchie a dovere ascoltare.
Prima di risolvere il problema dei parcheggi, delle
zone a traffico limitato, prima di individuare aree da
destinare a capannoni per risanare quel gap dell’emigrazione della nostra impresa nelle zone Pip dei paesi limitrofi (prima Capurso, poi Noicattaro), occorre riflettere
una volta per tutte su quale vocazione, quale posizione
può assumere Triggiano nella scena del mercato locale,
regionale e perchè no nazionale. In tal modo anche le proiezioni fatte sul centro storico troverebbero delle linee
guida. Cos’è una vocazione economica? E’ semplice.
Vuol dire non aprire una distilleria di whisky laddove
non hai una sorgente di acqua sotto i piedi. Vuol dire non
aprire un tomaificio se nella tua terra non si coltiva il
caucciù. Ad oggi, è evidente, che anche le scelte urbanistiche approvate dopo decenni di beghe, rischiano di essere inattuali, scollegate da un ‘epoca economica, tecnologica e sociale che si rinnova rapidamente, incompatibile
con i tempi elefantiaci con i quali le amministrazioni
pubbliche sviluppano, approvano e realizzano progetti.
Malgrado ciò il rapporto di Confcommercio con il
Comune di Triggiano, in vista di una ripianificazione
commerciale, dovrà essere imprescindibile, di forte alleanza e propositività.
Con Confcommercio intercetteremo le competenze
professionali, anche locali, in grado di parlare alle imprese, in termini strategici, di crescita oltre che di assistenza. Insieme a loro, grazie a progetti finanziabili, cercheremo di costruire percorsi formativi in grado di riallineare le aziende agli standard attuali, per recuperare fiducia,
potenziale di mercato e competitività. Anche il capitolo
Bariblu, può essere risolto con la stessa filosofia che crea
identità e posizione nel mercato attraverso una precisa
vocazione o la differenziazione dell’offerta. Pensare di
dividere merceologicamente senza sovrapposizioni l’offerta della rete dei negozianti triggianesi da quella del
centro commerciale potrebbe essere una soluzione che
consentirebbe la convivenza e la sinergia tra i due sistemi commerciali attraverso il principio della compensazione e non della concorrenza”.
Così ha concluso il nuovo presidente della confederazione dei commercianti triggianesi, lanciando la nuova ricetta per traghettare la categoria in
questa crisi ormai stratificata.
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ASSOORO
Prezzi in vetrina
La Puglia si allinea alla normativa nazionale
a cura della Redazione
A
seguito dei controlli sull’esposizione dei prezzi nelle oreficerie,
da parte delle autorità, nei principali capoluoghi di provincia della Puglia,
la Confcommercio regionale, su sollecitazione del Presidente di Assoro Confcommercio Provinciale Giuseppe Aquilino,
ha richiesto ai competenti uffici della
regione Puglia chiarimenti in merito.
La risposta non si è fatta attendere e
sulla base della circolare n. 3467/C emanata dal Ministero dell’Industria il 28
maggio 1999, in risposta ad un quesito
della Federazione Nazionale Dettaglianti Orafi, con la lettera pubblicata
a fianco, viene consentito apporre sul
singolo prodotto realizzato in metallo
prezioso un cartellino prezzi, recante
l’indicazione del prezzo per esteso, visibile dall’interno e non dall’esterno del
negozio, purchè gli stessi siano ben collegati agli oggetti. In alternativa è possibile apporre un cartello prezzi, per ogni
singolo prodotto.
Confederazione mondiale
degli orafi: Congresso 2012
a cura della Redazione
Si
sono conclusi il 20 maggio scorso, a
Vicenza i lavori del Congresso CIBJO (The
World Jewellery Confederation) 2012 che
si à tenuto nell’ambito del World Jewellery Forum,
l’incontro che, sotto l’egida di Fiera Vicenza e parzialmente in coincidenza con VicenzaOroSpring, ha
visto per la prima volta svolgersi contemporaneamente anche la riunione del WDC, World Diamond
Council, richiamando da tutto il mondo i massimi
rappresentanti del settore della gioielleria. 143 i
delegati provenienti da ogni parte del mondo.
L’annuale incontro è l’occasione per le riunioni
dell’Assemblea Generale e delle varie commissioni
della Confederazione Mondiale della Gioielleria,
fondata nel 1961 ed attualmente presieduta dall’italiano Gaetano Cavalieri, unica associazione non
governativa riconosciuta nell’ambito del Consiglio
Economico delle Nazioni Unite.
L’assemblea generale è stata presieduta dal presidente di CIBJO, l’italiano Gaetano Cavalieri, come
italiani sono due dei consiglieri eletti nel 2011, il
presidente di Federdettaglianti Orafi Confcom-
mercio, Giuseppe Aquilino e Corrado Facco,
direttore generale di Fiera Vicenza.
“Un’occasione di confronto - ha affermato
Aquilino - con realtà associative tra le più variegate ma sopratutto la possibilità, per tutti noi delegati, di contribuire fattivamente alla crescita e allo sviluppo del comparto orafo. Una esperienza decisamente formativa”.
Varie le tematiche toccate durante i quattro giorni di lavori congressuali, fra cui la creazione di una
Commissione Fiere, con l’obiettivo di raggruppare
le maggiori fiere orafe internazionali; la creazione
di un gruppo di lavoro per sicurezza, assicurazione
e logistica, che opererà per fornire appoggio e servizi sempre più avanzati ai membri degli enti associati alla Confederazione; la ripresa delle attività
della Commissione Etica, presieduta da Cecilia
Gardner; la creazione di un gruppo di lavoro dedicato in maniera specifica all’industria del corallo;
infine la costituzione di una task force strategica,
guidata da Eli Avidar, presidente dell’Israel
Diamond Institute e membro del consiglio di presidenza CIBJO che avrà, tra gli altri compiti, quello di
rafforzare la base associativa e finanziaria.
SCADENZARIO FISCALE
a cura di Michele Carriera
ADEMPIMENTO
• Versamento ritenute alla fonte su redditi di lavoro autonomo,
dipendente e redditi di capitale diversi corrisposti (o maturati) nel mese precedente
• Versamento addizionali regionali/comunali
su redditi di lavoro dipendente del mese precedente
• Versamento dell’IVA mensile del mese precedente
• Versamento dell’IVA trimestrale (secondo trimestre dell’anno corrente)
• Versamento contributi ENPALS dovuti per il mese precedente
a favore dei lavoratori dello spettacolo
• Versamento contributi INPS DM10
• Autoliquidazione INAIL - Seconda rata
• Versamento dei contributi previdenziali sui compensi corrisposti
nel mese precedente - Gestione separata INPS
• INPS versamento contributi artigiani e commercianti IVS quota fissa sul minimale
• ENASARCO Agenti e rappresentanti versamento contributi secondo trimestre
• CONAI dichiarazione mensile
• Presentazione elenchi mensili Intrastat
• Presentazione elenchi trimestrali Intrastat
AGOSTO SETTEMBRE
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L@ POSTA
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Lettere al Direttore
La direttiva
Bolkestein
a cura di Leo Carriera
A
lcuni colleghi, operatori su aree pubbliche, mi hanno chiesto delucidazioni
sulla Direttiva “Bolkestein”.
Si tratta di una norma che, se approvata,
avrebbe una ricaduta pesantissima in termini
di disoccupazione (2 milioni di posti di lavoro
a rischio compreso l’indotto) sugli operatori
del commercio in forma itinerante.
Gli ambulanti, attualmente, lavorano in
virtù di Concessioni Comunali di durata
decennale acquisite o ereditate da genitori
La Direttiva Bolkestein, dando un colpo di
spugna al passato, prevede che i Comuni non
rinnovino più le concessioni ai vecchi possessori cancellando quindi “i diritti acquisiti” fino
ad ora.
Se la Direttiva verrà attuata nei termini previsti dalla UE, i Comuni avranno la facoltà di
mettere le concessioni “all’incanto” e la partecipazione alle aste sarà aperta anche alle
Società di capitali.
La sperequazione economica tra il piccolo
operatore che da sempre conduce una vita di
affanni e disagi per guadagnare onestamente
la “mercede” giornaliera e le grosse imprese di
capitali è di tutta evidenza e rischia di
ingrossare, ulteriormente, le fila dei disperati
che perdendo il lavoro perdono la vita.
A titolo esemplificativo si potrebbe ipotizzare che una Società offra, per acquisire
posteggi in una manifestazione fieristica o una
Sagra, cifre con le quali ad un ambulante
sarebbe impossibile competere. Continuando
con le esemplificazioni potrebbe darsi il caso di
Società di Servizi che acquistino interi pacchetti di concessioni per cederle, in subaffitto, agli
stessi ambulanti espropriati a prezzi, ovviamente, maggiorati.
Il commercio ambulante, risorsa con una
tradizione soprattutto nell’Italia meridionale,
restituisce una dimensione più umana anche
alle grandi città, i mercatini sono una piccola
oasi di colore e folklore nel grigiore spersonalizzato ed opprimente dell’asfalto urbano.
Molto è stato fatto e molto ancora deve essere fatto dai Sindacati di Categoria perché questa Direttiva capestro non passi, o venga rimodulata.
La FIVA-CONFCOMMERCIO ha affrontato
in maniera determinante la questione
Bolkestein, perseguendo una strategia sindacale incentrata sul confronto con le Istituzioni.
Il 4 giugno u.s. presso la Sala Convegni
della Camera di commercio di Bari si è tenuto
il Convegno “Direttiva Bolkestein e commercio
su aree pubbliche”; una manifestazione che ha
visto la partecipazione compatta ed attiva di
moltissimi operatori del settore giunti da ogni
parte dalle provincia di Bari e BAT, ma anche
da province limitrofe. Erano presenti Alessandro AMBROSI; presidente Confcommercio
provincia di Bari; Andrea NAZZARINI, presidente Fiva-Puglia; Giacomo ERRICO, presidente nazionale Fiva-Confcommercio; Armando ZELLI, segretario generale Fiva-Confcommercio; Pietro TRABACE, dirigente politiche
per lo Sviluppo economico Regione Puglia;
Loredana CAPONE, assessore Attività produttive Regione Puglia; Luigi PERRONE, presidente Anci Puglia; Franco ALBORE, assessore
Attività produttive Comune di Bari. Ferdinando Cocozza Segretario Provinciale FIVA
Confcommercio. I numerosi interventi sono
stati applauditi calorosamente perché tutti
erano e sono consapevoli che stroncare il commercio significa distruggere il cuore pulsante
dell’economia italiana, forse l’unico cuore dal
battito pulito ed ancora incorrotto.
In attesa di ricevere il reportage sull’avventuroso viaggio di nozze sulle Ande peruviane e
boliviane, esprimiamo i nostri auguri a
Giovanni Panza, nostro articolista finanziario
e turistico, per le nozze con Tonia Recchia,
anche lei appassionata turista estrema.