Recupero e manutenzione di strutture esistenti
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Recupero e manutenzione di strutture esistenti
Recupero e manutenzione di strutture esistenti Dal ripristino strutturale alla protezione preventiva per la durabilità dell’opera L’Aquila, 11 novembre 2010 Premessa al convegno – inquadramento e finalità Dal degrado fisiologico delle strutture agli eventi sismici distruttivi, il patrimonio edilizio necessita di adeguata analisi e progettazione per gli interventi manutentivi, non solo di carattere demolitivo e ricostruttivo, ma anche e soprattutto per la salvaguardia dell’esistente che ha segnalato problematiche puntuali o limitate ancorché impegnative dal punto di vista materico e di durabilità futura. Sia che si parli di strutture industriali in cemento armato sia che si tratti di edifici residenziali con telaio strutturale e tamponamenti in laterizio intonacato, le problematiche sono spesso di stabilità delle parti più esterne (copriferri e/o intonaci rispettivamente) e di conseguente degrado innescato ed in accelerazione nel tempo, anche a causa delle infiltrazioni d’acqua e di problemi di ristagno di vapor d’acqua e batteri, muffe. Spesso i copriferri del cemento armato non hanno più, e frequentemente non avevano già dall’inizio, spessori e omogeneità corrette al fine di svolgere la sua funzione di rendere collaborante l’armatura proteggendola in ambiente alcalino. Questo spiega anche il più veloce degrado di strutture più recenti rispetto a cementi armati dell’immediato dopoguerra che, almeno per spessori ed omogeneità, erano senz’altro più costanti. Ripristinare porzioni di cemento armato non significa solo “rimettere in sagoma” trave o pilastro, ma implica anche garantirne la durabilità nel tempo e dovrebbe sempre ricomprendere anche un trattamento protettivo finale quale separazione dall’ambiente esterno. Nel caso poi di intonaci esterni su tamponamenti in laterizi o prefabbricati, le problematiche sono di diminuzione di aderenza per errori costruttivi, condensazione di vapor d’acqua, fessurazioni per assestamenti o distacchi, infiltrazioni d’acqua. Dopo aver ottemperato alla risarcitura delle porzioni danneggiate o decoese è poi importante poter disporre di tecnologie che consentano la protezione elastica ed impermeabile della facciata che, al contempo, non costituisca barriera al vapore onde non innescare fenomeni di condensazione e degrado ex-novo. La trattazione seguente presenta un approccio alle problematiche della manutenzione, seguito dall’iter di ricerca e definizione di parametri e filosofie di intervento che hanno guidato la ricerca scientifica di settore al fine di definire cicli di intervento “portabili” ed affidabili. Il tutto trova logico compendio in esemplificazioni pratiche e richiami normativi, laddove pertinenti, specificatamente nel campo del ripristino e protezione delle strutture in cemento armato, in cui si stanno affacciando anche le marcature CE e le nuove norme tecniche relative a identificazione dell’idoneità dei sistemi e a tutela dei progettisti, direttori lavori e collaudatori che ne faranno uso secondo gli obblighi richiamati dalle leggi cogenti. Recupero e Manutenzione di strutture esistenti Ricostruzione Ristrutturazione Adeguamento e Norme tecniche Massimo Grisolia L’Aquila, 10 Novembre 2010 Riferimenti Normativi NTC - D.M. 14.01.2008 Progettare, costruire, verificare Opere Sicure Funzionali Durevoli Stabilità e funzionalità basate su Verifiche degli SLU e SLE basate sull’impiego di Coefficienti Parziali A - Sulle Azioni M - Sulla resistenza del “materiale terreno” Diverse Combinazioni di riferimento A1+M1 – A2+M2 Classe di Opera – Durata – Edifici Esistenti 2 SICUREZZA E PRESTAZIONI ATTESE 2.1 PRINCIPI FONDAMENTALI Le opere e le componenti strutturali devono essere progettate, eseguite, collaudate e soggette a manutenzione in modo tale da consentirne la prevista utilizzazione, in forma economicamente sostenibile e con il livello di sicurezza previsto dalle presenti norme…. ……La durabilità, definita come conservazione delle caratteristiche fisiche e meccaniche dei materiali e delle strutture, proprietà essenziale affinché i livelli di sicurezza vengano mantenuti durante tutta la vita dell’opera, deve essere garantita attraverso una opportuna scelta dei materiali e un opportuno dimensionamento delle strutture, comprese le eventuali misure di protezione e manutenzione. 2.4.1 VITA NOMINALE La vita nominale di un’opera strutturale VN è intesa come il numero di anni nel quale la struttura, purché soggetta alla manutenzione ordinaria, deve potere essere usata per lo scopo al quale è destinata. La vita nominale dei diversi tipi di opere è quella riportata nella Tab. 2.4.I e deve essere precisata nei documenti di progetto. 2.5.1.1 Classificazione delle azioni in base al modo di esplicarsi a) dirette: forze concentrate, carichi distribuiti, fissi o mobili; b) indirette: spostamenti impressi, variazioni di temperatura e di umidità, ritiro, precompressione, cedimenti di vincolo, ecc. c) degrado: - endogeno: alterazione naturale del materiale di cui è composta l’opera strutturale; esogeno: alterazione delle caratteristiche dei materiali costituenti l’opera strutturale, a seguito di agenti esterni. 2.5.4 DEGRADO La struttura deve essere progettata così che il degrado nel corso della sua vita nominale, purché si adotti la normale manutenzione ordinaria, non pregiudichi le sue prestazioni in termini di resistenza,stabilità e funzionalità, portandole al di sotto del livello richiesto dalle presenti norme. Le misure di protezione contro l’eccessivo degrado devono essere stabilite con riferimento alle previste condizioni ambientali. La protezione contro l’eccessivo degrado deve essere ottenuta attraverso un’opportuna scelta dei dettagli, dei materiali e delle dimensioni strutturali, con l’eventuale applicazione di sostanze o ricoprimenti protettivi, nonché con l’adozione di altre misure di protezione attiva o passiva. 6.10 consolidamento geotecnico di opere esistenti Il progetto degli interventi di deve derivare dalla individuazione delle cause che hanno prodotto il comportamento anomalo dell’opera. Tali cause possono riguardare singolarmente o congiuntamente la sovrastruttura, le strutture di fondazione, il terreno di fondazione. In particolare devono essere ricercate le cause di anomali spostamenti del terreno conseguenti al mutato stato tensionale indotto da modifiche del manufatto, da variazioni del regime delle pressioni interstiziali, dalla costruzione di altri manufatti in adiacenza…. 6.10 consolidamento geotecnico di opere esistenti Nella scelta del metodo di consolidamento si deve tener conto della circostanza che i terreni di fondazione del manufatto siano stati da tempo sottoposti all’azione dei carichi permanenti e ed altre azioni eccezionali. 6.11.2 caratterizzazione geotecnica ai fini sismici Le indagini geotecniche devono essere predisposte dal progettista in presenza dii un quadro geologico adeguatamente definito…le indagini devono comprendere l’accertamento degli elementi che influenzano la propagazione di onde sismiche... 8 COSTRUZIONI ESISTENTI 8.1 OGGETTO Il presente capitolo definisce i criteri generali per la valutazione della sicurezza e per la progettazione,l’esecuzione ed il collaudo degli interventi sulle costruzioni esistenti… 8.2 criteri generali La valutazione della sicurezza e la progettazione degli interventi su costruzioni esistenti debbono tener conto dei seguenti aspetti: -la costruzione riflette lo stato delle conoscenze dell’epoca -possono essere insiti palesi difetti di impostazione o esecuzione -la costruzione può essere stata soggetta ad azioni anche eccezionali con effetti non completamente manifesti 8.3 VALUTAZIONE DELLA SICUREZZA Le costruzioni esistenti devono essere sottoposte a valutazione della sicurezza quando ricorra anche una delle seguenti situazioni: -riduzione evidente della capacità resistente…. e/o dovuta ad azioni ambientali (sisma, vento, neve e temperatura)…, …significativo degrado e decadimento delle caratteristiche meccaniche dei materiali,… --provati errori di progetto o di costruzione -Il Progettista dovrà esplicitare, in un’apposita relazione, i e le eventuali conseguenti limitazioni da imporre nell’uso della costruzione. 8.4 CLASSIFICAZIONE DEGLI INTERVENTI Si individuano le seguenti categorie di intervento: - interventi di adeguamento atti a conseguire i livelli di sicurezza previsti dalle presenti norme; - interventi di miglioramento atti ad aumentare la sicurezza strutturale esistente, pur senza necessariamente raggiungere i livelli richiesti dalle presenti norme…. - riparazioni o interventi locali 8.4.2 INTERVENTO DI MIGLIORAMENTO Rientrano negli interventi di miglioramento tutti gli interventi che siano comunque finalizzati ad accrescere la capacità di resistenza delle strutture esistenti alle azioni considerate 8.6 MATERIALI Gli interventi sulle strutture esistenti devono essere effettuati con i materiali previsti dalle presenti norme; possono altresì essere utilizzati materiali non tradizionali, purché nel rispetto di normative e documenti di comprovata validità.... 11 MATERIALI E PRODOTTI PER USO STRUTTURALE I materiali e prodotti per uso strutturale devono essere: - identificati univocamente a cura del produttore, secondo le procedure applicabili; - qualificati sotto la responsabilità del produttore, secondo le procedure applicabili; - accettati dal Direttore dei lavori mediante acquisizione e verifica della documentazione di qualificazione, nonché mediante eventuali prove sperimentali di accettazione. 8.7 valutazione e progettazione in presenza di azioni sismiche In presenza di edifici in aggregato, contigui, a contatto od interconnessi con edifici adiacenti…occorre tenere conto delle possibili interazioni derivanti dalla contiguità strutturale con gli edifici adiacenti. 8.7.4 CRITERI E TIPI D’INTERVENTO La scelta del tipo, della tecnica, dell’entità e dell’urgenza dell’intervento dipende dai risultati della precedente fase di valutazione… In generale dovranno essere valutati e curati gli aspetti seguenti: -riparazione di eventuali danni presenti - riduzione delle carenze dovute ad errori grossolani; ……….. -- miglioramento del sistema di fondazione, ove necessario 8.7.5 PROGETTO DELL’INTERVENTO Per tutte le tipologie costruttive, il progetto dell’intervento di adeguamento o miglioramento sismico deve comprendere: - verifica della struttura prima dell’intervento con identificazione delle carenze e del livello di azione sismica per la quale viene raggiunto lo SLU (e SLE se richiesto); - scelta motivata del tipo di intervento; - scelta delle tecniche e/o dei materiali; - dimensionamento preliminare dei rinforzi e degli eventuali elementi strutturali aggiuntivi; - analisi strutturale considerando le caratteristiche della struttura post-intervento; verifica della struttura post-intervento con determinazione del livello di azione sismica per la quale viene raggiunto lo SLU (e SLE se richiesto). Conclusioni ? Recupero e Manutenzione di strutture esistenti Ricostruzione Ristrutturazione Adeguamento e Norme tecniche GRAZIE ED AUGURI Massimo Grisolia L’Aquila, 10 Novembre 2010G RECUPERO E MANUTENZIONE DI STRUTTURE ESISTENTI: DAL RIPRISTINO STRUTTURALE ALLA PROTEZIONE PREVENTIVA PER LA DURABILITÀ DELL’OPERA VOLTECO S.p.A. 10 Novembre 2010 Sala convegni Hotel Canadian L’Aquila ADEGUAMENTO E MIGLIORAMENTO SISMICO DEL COMPLESSO TERRENO-STRUTTURA DI FONDAZIONE Prof. Ing. Gianfranco Totani, Dott. Ing. Ferdinando Totani Università degli Studi di L’Aquila 1 Evoluzione Normative sismiche nazionali ed internazionali (ultimi 25 anni) Crescente importanza assegnata ai fattori legati: •al sito •al terreno di fondazione La valutazione delle azioni sismiche sulle opere è legata a tre elementi fondamentali: • caratteristiche del terremoto • condizioni del sito e del terreno di fondazione •caratteristiche della costruzione Scenari legati alle condizioni di sito e ai terreni di fondazione: 1) Effetti di Locali: fenomeni di instabilità (liquefazioni, frane, perdita di capacità portante, collassi, cedimenti incompatibili con la stabilità della struttura) 2) Effetti di sito: caratteristiche del moto sismico alla superficie del deposito diverse rispetto a quelle del moto alla base rocciosa (tali effetti amplificano alcune componenti e ne attenuano altre). Per la valutazione di tali aspetti le NTC/2008 raccomandano di condurre l’analisi della RISPOSTA SISMICA LOCALE (1D,2D o 3D) Informazioni richieste 1) Caratteristiche del terremoto di riferimento (accelerogrammi) 2) Posizione del bedrock e rapporti stratigrafici 3) Parametri dinamici dei terreni: • G0 e Vs (prove in sito) • Curve G/G0(γ) e D(γ) (prove di laboratorio) 4) Indagini geotecniche in sito di tipo corrente: sondaggi, prove SPT, CPT, DMT ecc. (tali indagini devono coprire il territorio in modo il più possibile regolare e diffuso) Informazioni richieste Le informazioni di cui ai punti 2 e 3 vengono ricavate da campagne di indagine (in sito ed in laboratorio) molto mirate condotte usualmente da gruppi di ricercatori della comunità scientifica nazionale ed internazionale. A tale proposito vengono mostrate le indagini condotte di recente dal gruppo di ricerca dell’Università dell’Aquila nel sottosuolo del centro storico per lo studio della risposta sismica locale. CAMPAGNA DI INDAGINI GEOLOGICHE, GEOTECNICHE E GEOFISICHE PER LO STUDIO DELLA RISPOSTA SISMICA LOCALE DEL SOTTOSUOLO DELLA CITTÀ DI L’AQUILA Gruppo di lavoro: Sara Amoroso Francesco Del Monaco Flavio Di Eusebio Paola Monaco Bruno Taddei Marco Tallini Ferdinando Totani Gianfranco Totani quota profondità tipo di sondaggio raggiunta perforazione (m) (m slm) prova per la misura delle Vs sondaggio località S1 Fontana delle 99 cannelle 630 140 carotaggio continuo SDMT S2 Piazza Duomo 717 300 a distruzione di nucleo SDMT S3 Madonna del Ponte 617 192 a carotaggio continuo cross-hole S4 Madonna del Ponte 617 90 a carotaggio continuo cross-hole profondità (m) 0,00 – 4,00 forma zioni Depos iti colluvi ali 60,00 – 192,00 192,00 – 195,00 195,00 Deposito colluviale e/o di frana: limi e limi-argillosi di colore marrone scuro e limi-sabbiosi con abbondanti frammenti calcarei biancastri. La parte superiore Sabbie e sabbie limose consistenti grigio-avana: 4,00 – 19,00 20,00 – 60,00 descrizione Sabbie in matrice limosa con scarsissimi ciottoli di colore grigio-avana. Diverse superfici di discontinuità di colore Limi e ocraceo e grigio-nerastro. sabbi Sabbie e sabbie limose consistenti essenzialmente grigie: e lacust Sabbie come sopra ma con una frazione limo-argillosa ri e maggiore. Il colore tende nettamente al grigio. fluvial Limi e limi argillosi con sabbia: i limi ed argille in scarsa matrice sabbiosa di colore grigioverdastro e grigio passante con incluse venature e plaghe color ruggine, di consistenza elevata e con inclusi minuti frammenti calcarei millimetrici. Calcar eniti del Mioce ne inf.? Bedrock carbonatico: Calcari a Briozoi e litotamni Calcareniti grigie con intercalazioni di calcareniti più fini biancastre. FINE SONDAGGIO Località Madonna del Ponte note profondità (m) 0,00 – 3,00 formazioni Riporto 3,00 – 8,00 Terre residuali limi-sabbiosi con abbondanti frammenti calcarei e pezzi di laterizi di colore marrone scuro. Deposito colluviale: limi e limi-argillosi di colore marrone scuro in scarsa matrice sabbiosa. Pochi ciottoli di dimensioni centimetriche Brecce dell’Aquila frammenti essenzialmente calcarei, e subordinatamente selciosi, eterometrici, spigolosi e sub-arrotondati in più o meno abbondante matrice sabbiosa e/o limoso-sabbiosa di colore tendenzialmente nocciola, a tratti quasi del tutto assente e a tratti prevalente sulla frazione grossolana. All’interno di questo pacco di materiale si intercalano lenti o livelli limo-argillosi grigiastri di spessore modesto ma estremamente variabile. Brecce calcaree biancastre : frammenti essenzialmente calcarei, e subordinatamente selciosi, eterometrici, spigolosi e sub-arrotondati in più o meno abbondante matrice sabbiosa e/o limoso-sabbiosa di colore essenzialmente biancastro , a tratti quasi del tutto assente e a tratti prevalente sulla frazione grossolana. All’interno di questo pacco di materiale si intercalano lenti o livelli limo-argillosi grigiastri di spessore modesto ma estremamente variabile. Sabbie-limose e limi-argillosi: 75/80,00 – 105 105,00 – 300,00 300 note Brecce calcaree nocciola : 8,00-21,00 21,00 – 75/80,00 descrizione Materiali di riporto: Limi e sabbie lacustri e flluviali sabbie in matrice limo-argillosa di colore grigiastro con frammenti calcarei ed arenacei (i frammenti arenacei ocracei appartengono probabilmente allo strato di sabbie cementate del momento di chiusura della fase fluvio-lacustre) Limi e limi argillosi con sabbia: limi ed argille in scarsa matrice sabbiosa di colore grigioverdastro e grigio passante con incluse venature e plaghe color ruggine, di consistenza elevata e con inclusi minuti frammenti calcarei millimetrici. FINE SONDAGGIO Località Piazza Duomo Probabile falda alla profondità di dal p.c. profondità (m) 0,00 – 3,00 3,00 – 17,00 17,00-19,00 19,00 – 25,00 25,00 – 35,00 35,00 – 40,00 40,00-42,00 42,00-55,00 55,00-56,00 56,00-63,00 63,00-66,00 66,00-70,00 70,00-74,00 74,00-80,00 80,00-85,00 85,00-87,00 87,00-95,00 95,00-97,00 97,00-115,00 115,00-124,00 124,00-129,00 129,00-130,00 formazioni descrizione Materiali di riporto: riporto limi-sabbiosi con abbondanti frammenti calcarei e pezzi di laterizi di colore marrone scuro. Brecce calcaree nocciola : Brecce frammenti essenzialmente calcarei non cementati, eterometrici, dell’Aquila spigolosi e sub-arrotondati in più o meno abbondante matrice sabbiosa e/o limoso-sabbiosa. Sabbie e ghiaie di colore ocra Sabbie-limose: sabbie in matrice limosa di colore grigiastro. Sabbie grigie Limi argillosi Sabbie e limi con gusci bianchi Sabbia fine grigia Limo argilloso Sabbia fine limosa Sabbia grossolana Sabbia fine Limo sabbioso fine Sabbia fine Limo sabbioso Sabbia limosa fine Limo Sabbia grossolana Limo argilloso con sabbia Sabbia Limosa Sabbia grossolana con frammenti dispersi di lignite e ciottoli calcarei Limi nerastri con frammenti di lignite 130,00-131,70 Limi sabbiosi 131,70-132,00 Livello di lignite 132,00-135,00 Limo-sabbioso 135,00-138,70 Sabbia fine 138,70-139,00 Livello di lignite 139,00-140,00 Sabbia fine FINE SONDAGGIO Località 99 Cannelle note D E P O S I T I F L U V I O L A C U S T R I Località 99 Cannelle Determinazione in sito delle curve di decadimento del modulo G/G0(γ γ) 1 0.9 0.8 0.7 G/G0 0.6 0.5 0.4 0.3 0.2 0.1 0 0.0001 Resonant Column Test Cese di Preturo S3 C1 SDMT Cese di Preturo S3 C1 Resonant Column Test Cese di Preturo S3 C3 SDMT Cese di Preturo S3 C3 Cyclic Simple Shear Test Pianola S1 C1 SDMT Pianola S1 C1 Resonant Column Test Roio Piano S3 C1 SDMT Roio Piano S3 C1 Cyclic Simple Shear Test Roio Piano S3 C2 SDMT Roio Piano S3 C2 0.001 0.1-0.5 % 0.01 0.1 g (%) 1 10 Curve di decadimento del modulo G/G0(γ γ) e dello smorzamento D(γ γ) per ghiaie addensate Curve di decadimento del modulo G/G0(γ γ) e dello smorzamento D(γ γ) per roccia non alterata Struttura di fondazione o “fondazione” La fondazione è quella parte della struttura alla quale viene affidato il compiti di trasferire i carichi al terreno, nel rispetto dei requisiti generali: • sussistenza di prefissati margini di sicurezza nei confronti della rottura dell’insieme terreno-fondazione; • compatibilità dei cedimenti assoluti e differenziali sia con la statica che con la funzionalità della struttura; • compatibilità dello stato di sforzo nella fondazione con i requisiti strutturali riguardanti la resistenza dei materiali, l’insorgenza di stati di fessurazione e la durabilità. Tipologie di fondazioni Travi e plinti Graticci e platee Pali Comportamento delle fondazioni Condizionato dai seguenti fattori: • terreni di fondazione (successione stratigrafica, proprietà fisiche e meccaniche dei terreni, regime delle pressioni interstiziali); • fattori ambientali (caratteri moirfologici del sito, deflusso delle acque superficiali, presenza di manufatti esistenti nelle vicinanze:canali, acquedotti, gallerie, ecc); • configurazione del piano di posa: è opportuno che il piano di posa sia tutto allo stesso livello. Principali meccanismi di rottura delle fondazioni • rottura fragile per flessione (non è preceduta da fessurazione) • rottura duttile (è preceduta da ampia fessurazione e non osservabile poiché interessa la faccia a contatto con il terreno) • rottura per taglio • eccessiva fessurazione (SLE) con conseguente corrosione delle armature che porta a rottura per flessione Quest’ultimo aspetto è importante perchè: • le fondazioni operano in ambiente umido e talvolta aggressivo; • la fessurazione non è osservabile direttamente. Condizioni delle fondazioni delle costruzioni esistenti Nella maggior parte dei casi la conoscenza delle condizioni è limitata. La circolare alla NTC/2008 (vedasi l’appendica C8A recita): “…in assenza di un rilievo diretto, o di dati sufficientemente attendibili, è opportuno assumere, nelle successive fasi di modellazione, analisi e verifiche, le ipotesi più cautelative…” 18 Condizioni delle fondazioni delle costruzioni esistenti Quando disponibili, le informazioni derivano da: • documenti di progetto (con particolare riferimento alla relazione geologica e alla relazione geotecnica); • eventuali testimonianze; Se non disponibili (oppure insufficienti e/o contraddittorie) sono necessari accertamenti diretti in sito attraverso: • pozzetti di ispezione; • carotaggi (verticali ed inclinati) Accertamento sulle fondazioni di Palazzo Camponeschi Criteri progetto e tipologie di intervento in fondazione L’adeguemento sismico degli edifici esistenti deve prevedere una verifica delle condizioni delle fondazioni. Nel caso delle fondazioni non collegate è necessario intervenire quantomeno per un miglioramento del comportamento sismico delle fondazioni stesse. Le tipologie di intervento delle fondazioni superficiali possono essere distinte tra: • allargamento della base di appoggio; • trasformazioni in fondazioni profonde mediante interventi con micropali; Adeguamento mediante trasformazione Rilievo della fondazione esistente Rilievo della fondazione esistente Esecuzione dei micropali Esecuzione dei micropali Disposizione dei micropali Travi di adeguamento Travi di adeguamento Travi di adeguamento e solaio di isolamento Completamento con interventi sui pilastri Tipologie di interventi per fondazioni superficiali di edifici esistenti in muratura Le tipologie di interventi devono mirare a collegare le fondazioni tra di loro con elementi capaci di resistere anche a trazione. Tale collegamento può essere realizzato mediante cordoli in cemento armato esternamente alla muratura esistente lungo il perimentro dell’edificio (quando possibile) collegati alla fondazione esistente mediante cucitura con barre in acciaio. Nel caso in cui la base di appoggio fosse insufficiente a sostenere i carichi verticali ed orizzontali di natura sismica dovrà essere realizzato un ampliamento delle fondazioni esistenti o eventualmente una sottofondazione mediante scavo per conci. 32 Intervento per edifici in muratura Intervento per edifici in muratura Interventi per il miglioramento dei terreni di fondazione VIA SILA-PERSICHELLI (SAN GIULIANO) VIA SILA-PERSICHELLI (SAN GIULIANO) VIA SILA-PERSICHELLI (SAN GIULIANO) VIA SILAPERSICHELLI (SAN GIULIANO) Strato limo superficiale (13/14 m) Vs ≤ 360 m/s Terreno tipologia C attenzione Le NTC 2008 definiscono il terreno di tipologia E come: “Terreni dei sottosuoli di tipo C o D per spessore non superiore a 20 m, posti sul substrato di riferimento (con Vs > 800 m/s)”. SOTTOSUOLO VIA SILA PERSICHELLI CATEGORIA E Miglioramento del terreno di fondazione JET-GROUTING 1. 2. Sistem a m onofluid o 3. 4. 5. m isce la 1. SISTEMA MONOFLUIDO BIFLUIDO TRIFLUIDO Sistem a bifluid o 3. 2. 4. 5. PRESSIONE [MPa] a ria m isce la a ria A/C 0,7 - 2,5 0,7 - 2,0 0,7 - 1,5 sistema miscela aria acqua monofluido 25-60 bifluido 25-60 0,5-0,6 trifluido 1,5-4 0,5-0,6 30-60 a ria m isce la a ria 1. 2. Sistem a trifluido 3. 4. 5. a ria a cqu a a ria m isce la a ria a cq u a a ria m isce la p erforazione fin e p e rforazione in iz io g e ttin iezione e stra zion e b atte ria d ura nte la g e ttin iezione tra ttam en to colon nare u ltim ato Interventi nei centri storici Inserimento di dispositivi antisismici mediante realizzazione di un piano interrato al di sotto di un isolato Considerazioni conclusive Dalla circolare (appendice al Capitolo C8): “…L’inadeguatezza delle fondazioni è raramente la causa del danneggiamento osservato nei rilevamenti post sisma...” “..è in generale possibbile omettere interventi sulle strutture di fondazione, nonchè le relative verifiche a meno che: nelle costruzioni non siano presenti importanti dissesti di qualsiasi natura attribuibili a cedimenti delle fondazioni..” “..e/o poggi su terreni dalle caratteristiche geomeccaniche inadeguate al trasferimento dei carichi..” 51 Considerazioni conclusive Il corpus normativo (disposti di leggi, ordinanze OPCM, decreti dei vari commissari, ecc) che a vario titolo disciplina sotto il profilo tecnico la ricostruzione ha raggiunto una complessità di applicazione non indifferente. Spetta a noi tecnici operare semplificando la soluzione senza eludere e/o semplificare i problemi. Recupero e manutenzione strutture esistenti Lecture: Seismically Isolated Structures Project: EOC (Emergency Operation Center) San Francisco, CA Ing. Mario DiNicola Email: [email protected] Project site Ing. Mario Di Nicola Seismically Isolated Structures Description: The EOC is located in San Francisco and has an isolation system that utilizes elastomeric bearings, a type of bearing commonly used for seismic isolation of buildings. The isolation system for the building is composed of high-damping rubber (HDR) elastomeric bearings. HDR bearings are constructed with alternating layers of rubber and steel plates all sheathed in rubber. • Located in a region of very high seismicity, the building is subject to particularly strong ground motions. • The isolation system must accommodate large lateral displacements (e.g., in excess of 2 ft). Dott. Ing. Mario Di Nicola Analisi probabilistica del rischio sismico Design Approach The design of isolated structures has two objectives: 1) 2) achieving life safety in a major earthquake and limiting damage due to ground shaking. To meet the first performance objective, the isolation system must be stable and capable of sustaining forces and displacements associated with the maximum considered earthquake MCE and the structure above the isolation system must remain essentially elastic when subjected to the design earthquake. Limited ductility demand is considered necessary for proper functioning of the isolation system. If significant inelastic response was permitted in the structure above the isolation system, unacceptably large drifts could result due to the nature of long-period vibration. Limiting ductility demand on the superstructure has the additional benefit of meeting the second performance objective of damage control. Dott. Ing. Mario Di Nicola Analisi probabilistica del rischio sismico The design concept presumes a structure can be substantially decoupled from potentially damaging earthquake ground motions. By decoupling the structure from ground shaking, isolation reduces the level of response in the structure that would otherwise occur in a conventional, fixed-base building. Conversely, base-isolated buildings may be designed with a reduced level of earthquake load to produce the same degree of seismic protection. That decoupling is achieved when the isolation scheme makes the fundamental period of the isolated structure several times greater than the period of the structure above the isolation system. Ing. Mario Di Nicola Seismically Isolated Structures Ing. Mario Di Nicola Seismically Isolated Structures Ing. Mario Di Nicola Seismically Isolated Structures Hazard Curves IMT = PGA 1 P( a >z) IMT = SA; SA Period = 0.1; SA Damping = 5.0 IMT = SA; SA Period = 0.2; SA Damping = 5.0 0,1 IMT = SA; SA Period = 0.3; SA Damping = 5.0 IMT = SA; SA Period = 0.5; SA Damping = 5.0 IMT = SA; SA Period = 1.0; SA Damping = 5.0 0,01 IMT = SA; SA Period = 2.0; SA Damping = 5.0 0,001 0,0001 0,01 0,1 1 Ing. Mario Di Nicola Seismically Isolated Structures Sa (g)10 1 P( a >z) IMT = PGA Hazard Curves IMT = SA; SA Period = 0.1; SA Damping = 5.0 IMT = SA; SA Period = 0.2; SA Damping = 5.0 IMT = SA; SA Period = 0.3; SA Damping = 5.0 IMT = SA; SA Period = 0.5; SA Damping = 5.0 IMT = SA; SA Period = 1.0; SA Damping = 5.0 IMT = SA; SA Period = 2.0; SA Damping = 5.0 0,1 0,01 0,001 0,0001 0,01 Sa (g') 0,1 1 10 Sa (g) Constant Hazard Spectrum 10% in 50yrs 2 1,8 1,6 1,4 1,2 1 0,8 0,6 0,4 0,2 0 0,01 Ing. Mario Di Nicola 1 Seismically Isolated Structures 0,1 T, sec 10 De-aggregazione per ground motions of T = 1 sec e RP = 475 anni Ing. Mario Di Nicola Seismically Isolated Structures Preliminary Design Based on the ELF Procedure The equivalent lateral force (ELF) procedure is a displacement-based method that uses simple equations to determine isolated structure response Ing. Mario Di Nicola Seismically Isolated Structures KEY PARAMETERS Key parameters of inherently nonlinear, inelastic isolation systems in terms of amplitude-dependent linear properties are: • • 1) Effective Stiffness 2) Effective Damping Ing. Mario Di Nicola Seismically Isolated Structures KEY PARAMETERS Ing. Mario Di Nicola Seismically Isolated Structures The isolation system displacement for the design earthquake is determined by using DD = (g/4ᴨ^2)*SD1*TD/BD Questa equaz. illustra lo spostamento spettrale della struttura isolata considerata come un sistema ad un grado di liberta’ con periodo TD e smorzamento βD. per lo spettro di risposta elastico di progetto SD1 BD = damping factor The design displacement, DD, and maximum displacement, DM, represent peak earthquake displacements at the center of mass of the building without the additional displacement, that can occur at other locations due to actual or accidental mass eccentricity. Le forze di taglio di progetto sono: Vb = kDmax*DD kDmax is the maximum effective stiffness of the isolation system at the design displacement, DD. Design earthquake response is reduced by a factor for design of the superstructure above the isolation interface, as given by Vs = Vb / RI Ing. Mario Di Nicola Seismically Isolated Structures For designs using the ELF procedure, the lateral forces, Fx, must be distributed to each story over the height of the structure Fx = Vs wx hx / ∑ wi*hi I =1,n Because the lateral displacement of the isolated structure is dominated by isolation system displacement, the actual pattern of lateral force in the isolated mode of response is distributed almost uniformly over height. Ing. Mario Di Nicola Seismically Isolated Structures As the period is increased, design forces decrease and design displacements increase linearly. Plots like those shown in Figure 11.3-3 can be constructed during conceptual design once site seismicity and soil conditions are known (or are assumed) to investigate trial values of effective stiffness and damping of the isolation system. In this particular example, an isolation system with an effective period falling between 2.5 and 3.0 seconds would not require more than 22 in. of total maximum displacement capacity (assuming TM < 3.0 seconds). Design force on the superstructure would be less than about eight percent of the building weight (assuming TD $ 2.5 seconds and RI = 2.0) Ing. Mario Di Nicola Seismically Isolated Structures Ing. Mario Di Nicola Seismically Isolated Structures Verifiche fondamentali per la progettazione del sistema terreno -struttura 1) Spostamento massimo isolatori 2) Forze di taglio e momenti su isolatori e fondazioni 3) Momenti ribaltanti sulla struttura, 4) Forze di trazione sugli isolatori e sulle fondazioni 5) Forze di taglio sismiche alla base e alle varie altezze di piano Ing. Mario Di Nicola Lecture: Seismically Isolated Structures Ing. Mario Di Nicola Seismically Isolated Structures Materials Concrete: Strength fc ' = 3 ksi Weight (normal) γ =150 pcf Steel: Columns fy = 50 ksi Primary first-floor girders (at column lines) fy = 50 ksi Other girders and floor beams fy = 36 ksi Braces fy = 46 ksi Steel deck: 3-in.-deep, 20-gauge deck Seismic isolator units (high-damping rubber): Maximum long-term-load (1.2D + 1.6L) face pressure, σLT 1,400 psi Maximum short-term-load (1.5D + 1.0L + QMCE) face pressure, σST 2,800 psi Minimum bearing diameter (excluding protective cover) 1.25DTM Minimum rubber shear strain capacity (isolator unit), γmax 300 percent Minimum effective horizontal shear modulus, Gmin 65 - 110 psi Third cycle at γ = 150 percent (after scragging/recovery) Maximum effective horizontal shear modulus, Gmax 1.3 × Gmin First cycle at γ = 150 percent (after scragging/recovery) Minimum effective damping at 150 percent rubber shear strain, βeff 15 percent Ing. Mario Di Nicola Seismically Isolated Structures Gravity Loads Dead loads: Main structural elements (slab, deck, and framing) self weight Miscellaneous structural elements (and slab allowance) 10 psf Architectural facades (all exterior walls) 750 plf Roof parapets 150 plf Partitions (all enclosed areas) 20 psf Suspended MEP/ceiling systems and supported flooring 15 psf Mechanical equipment (penthouse floor) 50 psf Roofing 10 psf Reducible live loads: Floors (1-3) 100 psf Roof decks and penthouse floor 50 psf Live load reduction: The 1997 UBC permits area-based live load reduction, of not more than 40 percent for elements with live loads from a single story (e.g., girders), and not more than 60 percent for elements with live loads from multiple stories (e.g., axial component of live load on columns at lower levels and isolator units). EOC weight (dead load) and live load: Penthouse roof WPR = 965 kips Roof (penthouse) WR = 3,500 kips Third floor W3 = 3,400 kips Second floor W2 = 3,425 kips First floor W1 = 3,425 kips Total EOC weight W = 14,715 kips Live load (L) above isolation system L = 7,954 kips Reduced live load (RL) above isolation system RL = 3,977 kips Ing. Mario Di Nicola Seismically Isolated Structures Calculation of Design Values •Total displacement DD = (g/4ᴨ^2)*SD1*TD/BD = 9.8*0.9*(2.5) / 1.35 = 16.3 inch spostamento di progetto BD = 1.35 The 1.35 value of the damping coefficient, BD, is given assuming 15 percent effective damping at 16.3 in. of isolation system displacement. Effective periods of 2 to 3 seconds and effective damping values of 10 to 15 percent are typical of high-damping rubber (and other types of) bearings. DM = 24.5 inch Spostamento massimo La stabilita degli isolatori va verificata considerando lo spostamento massimo The total displacement of specific isolator units (considering the effects of torsion) is calculated based on the plan dimensions of the building, the total torsion (due to actual, plus accidental eccentricity), and the distance from the center of resistance of the building to the isolator unit of interest. the total design displacement, DTD, and the total maximum displacement, DTM, of isolator units located on Column Lines 1 and 7 are calculated for the critical (transverse) direction of earthquake load as follows: DDT = DD*[ 1 +y(12e/(b*b + d*d))] = 19.7 in DTM = 30 inch •Minimum and Maximum Effective Stiffness Ing. Mario Di Nicola Seismically Isolated Structures •Minimum and Maximum Effective Stiffness The effective period at the design displacement in terms of building weight (dead load) and the minimum effective stiffness of the isolation system, kDmin. Rearranging terms and solving for minimum effective stiffness: ⎝⎠⎝⎠ kDmin = (4ᴨ / g)*W/ TD^2 = 240 kip/in This stiffness is about 6.9 kips/in. for each of 35 identical isolator units. The effective stiffness can vary substantially from one isolator unit to another and from one cycle of prototype test to another. Typically, an isolator unit’s effective stiffness is defined by a range of values for judging acceptability of prototype (and production) bearings. The minimum value of the stiffness range, kDmin, is used to calculate isolation system design displacements; the maximum value of the stiffness, kDmax, is used to define design forces. The variation in effective stiffness depends on the specific type of isolator, elastomeric compound, loading history, etc., but must, in all cases, be broad enough to define maximum and minimum values of effective stiffness based on testing of isolator unit prototypes. Over the three required cycles of test at DD, the maximum value of effective stiffness (for example, at the first cycle) should not be more than about 30 percent greater than the minimum value of effective stiffness (for example, at the third cycle). On this basis, the maximum effective stiffness, kDmax, of the isolation system is limited to 312 kips/in. (that is, 1.3 × 240 kips/in.) Ing. Mario Di Nicola Seismically Isolated Structures •Lateral Design Forces The lateral force required for the design of the isolation system, foundation, and other structural elements below the isolation system, is given by Vb = kDmax DD = 312(16.3) = 5,100 kips The lateral force required for checking stability and ultimate capacity of elements of the isolation system, may be calculated as follows: VMCE = kDmax DM = 312(24.5) = 7,650 kips The (unreduced) base shear of the design earthquake is about 35 percent of the weight of the EOC, and the (unreduced) base shear of the MCE is just over 50 percent of the weight. In order to design the structure above the isolation system, the design earthquake base shear is reduced by the RI factor Vs = kDmax DD /RI = 312(16.3) = 2,550 kips This force is about 17 percent of the dead load weight of the EOC, which is somewhat less than, but comparable to, the force that would be required for the design of a conventional, fixed-base building of the same size and height, seismic-force-resisting system, and site seismic conditions. Story shear forces on the superstructure are distributed vertically over the height of the structure. Ing. Mario Di Nicola Seismically Isolated Structures Design of the Isolation System The displacements and forces calculated provide a basis to Develop a detailed design of the isolator units Developing a detailed design of an elastomeric bearing, requires a familiarity with rubber bearing technology, that is usually beyond the expertise of most structural designers; and often varies based on the materials used by different manufacturers. This example, like most recent isolation projects, will define design properties for isolator units that are appropriate for incorporation into a performance specification (and can be bid by more than one bearing manufacturer). Even though the specifications will place the responsibility for meeting performance standards with the supplier, the designer must still be knowledgeable of available products and potential suppliers, to ensure success of the design. • Size of Isolator Units The design properties of the seismic isolator units are established based on the calculations of ELF demand, recognizing that dynamic analysis is required to verify these properties (and will likely justify slightly more lenient properties). The key parameters influencing size are: Ing. Mario Di Nicola Seismically Isolated Structures 1. Peak displacement of isolator units, 2. Average long-term (gravity) load on all isolator units, 3. Maximum long-term (gravity) load on individual isolator units, and 4. Maximum short-term load on individual isolator units (gravity plus MCE loads) including maximum uplift displacement. As rule of thumb, elastomeric isolators should have a diameter, excluding the protective layer of cover, of no less than 1.25 times maximum earthquake displacement demand. In this case, the full displacement determined by the ELF procedure would require an isolator diameter of: Diameter, Φ ISO > 1.25 (29.6) = 37 in. (0.95 m) A single size of isolator unit is selected with a nominal diameter of no less than 35.4 in.(0.90 m). Although the maximum vertical loads vary enough to suggest smaller diameter of isolator units at certain locations (such as at building corners), all of the isolator units must be large enough to sustain MCE displacements; which are largest at building corners, due to torsion. An isolator unit with a diameter of 35.4 in., has a corresponding bearing area of about Area, Ab = 950 square in. The maximum long-term face pressure is about 1,100 psi (i.e., 1,053 kips/950 in.2), which is less than the limit for most elastomeric bearing compounds. Average long-term face pressure is about 500 psi (i.e., 477 kips/950 in.2) indicating the reasonably good distribution of loads among all isolator units. Ing. Mario Di Nicola Seismically Isolated Structures The minimum effective stiffness is 6.9 kips/in. per isolator unit at the design displacement (i.e., about 16 in.). The height of the isolator unit is primarily a function of the height of the rubber, hr, required to achieve this stiffness, given the bearing area, Ab, and the effective stiffness of the rubber compound. The EOC design accommodates rubber compounds with minimum effective shear modulus (at 150 percent shear strain) ranging from G150% = 65 psi to 110 psi. Numerous elastomeric bearing manufacturers have rubber compounds with a shear modulus that falls within this range. Since rubber compounds (and in particular, high-damping rubber compounds) are nonlinear, the effective stiffness used for design must be associated with a shear strain that is close to the strain level for the design earthquake (e.g., 150 percent shear strain). For a minimum effective shear modulus of 65 psi, the total height of the rubber, hr, would be: Isolator Height, hr = G150%Ab / Keff = (65 lb/sqi * 950sqi) / 6900 lb/in = 9 inches The overall height of the isolator unit, H, including steel shim and flange plates, would be about 15 in. For compounds with an effective minimum shear modulus of 110 psi, the rubber height would be proportionally taller (about 15 in.), and the total height of the isolator unit would be about 24 in. Ing. Mario Di Nicola Seismically Isolated Structures Ing. Mario Di Nicola Seismically Isolated Structures RECUPERO E MANUTENZIONE DI STRUTTURE ESISTENTI Dal ripristino strutturale alla protezione preventiva per la durabilità L'AQUILA 10 Novembre 2010 METODI DI ANALISI PER EDIFICI ESISTENTI IN MURATURA E TECNICHE DI INTERVENTO PER IL MIGLIORAMENTO SISMICO Secondo il DM Infrastrutture 14.01.08 e la Circolare n. 617 del 2.01.09 ING. MAURIZIO MARIA MALATESTA 10 Novembre 2010 1 ANALISI DI UN EDIFICO ESISTENTE IN MURATURA (indice) Rilievo geometrico, strutturale ed analisi in situ Rilievo geometrico e strutturale (caratterizzazione tipologica dei materiali dettagli costruttivi e tessitura e tipologia di solai e coperture); Quadro fessurativo e rilievo dei danni; Individuazione dei meccanismi locali di danno (fuori piombo, frecce eccessive, rotazione di elementi murari fuori dal loro piano, dissesti di archi e volte. Comportamento globale sismico dell’edificio (relativi all’intera impegnano i pannelli murari prevalentemente nel loro piano) costruzione che Caratterizzazione meccanica dei materiali da costruzione (in particolare: murature, legno elementi in calcestruzzo o laterocemento) Determinazione del livello di conoscenza e del conseguente fattore di confidenza Progetto delle verifiche in situ sulle elevazioni e sulle fondazioni dell’edificio Progetto delle indagini in situ ed in laboratorio dell’edificio in elevazione, in fondazione e sul terreno di sedime. 2 VERIFICA DELLA SICUREZZA DELL’EDIFICIO (indice) La verifica della sicurezza dell’edificio avviene attraverso sia l’analisi sismica dei meccanismi locali di danno che attraverso l’analisi sismica globale della struttura. La sicurezza della costruzione deve essere valutata nei confronti di entrambi i tipi di meccanismo. Per prima cosa si studiano i meccanismi locali poiché prima di passare all’analisi globale devono essere eliminate le vulnerabilità intrinseche delle sottostrutture che compongono la fabbrica muraria; queste vulnerabilità attengono all’assenza, o scarsa efficacia, dei collegamenti tra le pareti (incroci murari a martello o terminali) e tra pareti ed orizzontamenti. Oltre a ciò si devono verificare i cinematismi di collasso quali rotazioni fuori dal piano di pannelli murari, o porzioni di muratura, martellamenti tra edifici contigui, dissesti di volte, di archi ecc. Per tali verifiche si possono utilizzare : L’analisi cinematica lineare (applicando il principio dei lavori virtuali) L’analisi cinematica non lineare (utilizzando la curva di capacità). 3 Interventi di risanamento locali (indice) Dall’analisi locale derivano gli interventi locali di risanamento che riportano la struttura ad un “unicum” strutturale che giustifichi l’adozione di un modello scatolare dell’edifico con collegamenti tra elementi murari e orizzontamenti efficaci sul quale effettuare l’analisi sismica globale. Analisi sismica globale (indice) L’analisi sismica globale deve considerare, per quanto possibile, il sistema strutturale reale della costruzione, con particolare attenzione alla rigidezza dei solai ed all’efficacia dei collegamenti degli elementi strutturali, la presenza di cordoli, architravi, tipologia e tessitura dei solai e delle coperture. 4 Edifici in aggregato (indice) In presenza di edifici in aggregato, continui, a contatto od interconnessi con altri edifici adiacenti, occorre tener conto delle possibili interazioni derivanti dalla contiguità con gli altri edifici. A tal fine dovrà essere individuata l’unità strutturale (US) per l’applicazione dell’analisi sismica globale evidenziando le azioni che su di essa possono derivare dalle unità strutturali contigue. La porzione di aggregato che costituiscono l'US, dovrà comprendere cellule tra loro legate in elevazione ed in pianta da un comune processo costruttivo, oltre che considerare tutti gli elementi interessati dalla trasmissione a terra dei carichi verticali. Per l’individuazione delle US, si terrà conto principalmente della unitarietà del comportamento strutturale di tali porzioni di aggregato nei confronti dei carichi sia statici che dinamici in modo da indirizzare gli interventi di risanamento e miglioramento sismico verso soluzioni congruenti con l’originaria configurazione strutturale, ed omogenei per l’intera US e possibilmente per l’intero aggregato. 5 INTERVENTI DI RISANAMENTO E MIGLIORAMENTO SISMICO (indice) INTERVENTI VOLTI A RIDURRE LE CARENZE DEI COLLEGAMENTI: inserimento di tiranti (catene), metallici. Cerchiature esterne, con elementi metallici o materiali compositi, allo scopo di “chiudere” la scatola muraria e di offrire un efficace collegamento tra murature ortogonali. Ammorsatura, tra parti adiacenti o tra murature che si intersecano, Perforazioni armate Cordoli in sommità Interventi atti a ripristinare l’efficace connessione dei solai di piano e delle coperture alle murature. INTERVENTI SUGLI ARCHI E SULLE VOLTE: Gli interventi sulle strutture ad arco o a volta possono essere realizzati con catene, contrafforti o ringrossi murari. fasce di materiale composito. INTERVENTI VOLTI A RIDURRE L’ECCESSIVA DEFORMABILITÀ DEI SOLAI INTERVENTI IN COPERTURA INTERVENTI VOLTI AD INCREMENTARE LA RESISTENZA NEI MASCHI MURARI: scuci e cuci, iniezioni di miscele leganti, chiusura di nicchie vecchie aperture nella muratura, canne fumarie, ristilatura dei giunti, diatoni artificiali, intonaco armato, placcaggio con tessuti o lamine in altro materiale resistente a trazione. 6 COSTRUZIONI ESISTENTI. ( Cap. 8 NTC 2008) Nuove norme tecniche per le costruzioni D.M. Infrastrutture 14.01.2008 VALUTAZIONE DELLA SICUREZZA: Il capitolo 8 delle nuove norme NTC 2008 definisce i criteri generali per la valutazione della sicurezza e per la progettazione, l’esecuzione ed il collaudo degli interventi sulle costruzioni esistenti. Cap. 8.2: La valutazione della sicurezza e la progettazione degli interventi su costruzioni esistenti devono tenere conto dei seguenti aspetti: - la costruzione riflette lo stato delle conoscenze al tempo della sua realizzazione; - possono essere insiti e non palesi difetti di impostazione e di realizzazione; - la costruzione può essere stata soggetta ad azioni, anche eccezionali, i cui effetti non siano completamente manifesti; (sequenza nel tempo di sismi lievi, medi e forti, sollecitazioni da vibrazione dovute al traffico leggero o pesante nelle immediate vicinanze dell'edificio - le strutture possono presentare degrado e/o modificazioni significative rispetto alla situazione originaria. (mancanza di manutenzione, modificazioni nelle tramezzature, nei muri portanti, rifacimento di solai, variazioni di destinazioni d'uso, apertura o chiusura di porte e finestre). Nella definizione dei modelli strutturali, si dovrà, inoltre, tenere conto che: - la geometria e i dettagli costruttivi sono definiti e la loro conoscenza dipende solo dalla documentazione disponibile e dal livello di approfondimento delle indagini conoscitive; - la conoscenza delle proprietà meccaniche dei materiali non risente delle incertezze legate alla produzione e posa in opera ma solo della omogeneità dei materiali stessi all’interno della costruzione, del livello di approfondimento delle indagini conoscitive e dell’affidabilità delle stesse; - i carichi permanenti sono definiti e la loro conoscenza dipende dal livello di approfondimento delle indagini conoscitive. Si dovrà prevedere l’impiego di metodi di analisi e di verifica dipendenti dalla completezza e dall’affidabilità dell’informazione disponibile e l’uso, nelle verifiche di sicurezza, di adeguati “fattori di confidenza”, che modificano i parametri di capacità in funzione del livello di conoscenza relativo a geometria, dettagli costruttivi e materiali, (si può aggiungere tipologia e caratteristiche delle fondazioni). 7 Cap. 8.3: Valutazione della sicurezza. La valutazione della sicurezza e la progettazione degli interventi sulle costruzioni esistenti potranno essere eseguiti con riferimento ai soli SLU; nel caso in cui si effettui la verifica anche nei confronti degli SLE i relativi livelli di prestazione possono essere stabiliti dal Progettista di concerto con il Committente. La valutazione della sicurezza dovrà effettuarsi ogni qual volta si eseguano gli interventi strutturali per miglioramento, adeguamento o riparazioni con interventi locali, e dovrà determinare il livello di sicurezza prima e dopo l’intervento. Il Progettista dovrà esplicitare, in un’apposita relazione, i livelli di sicurezza attuali o raggiunti con l’intervento e le eventuali conseguenti limitazioni da imporre nell’uso della costruzione.(agibilità sismica degli edifici con miglioramento sismico) Tutti gli interventi di miglioramento o adeguamento sismico devono essere sottoposti a collaudo statico. Cap. 8.5: Procedure per la valutazione della sicurezza e la redazione dei progetti. Cap. 8.5.1: Analisi storico critica. Ai fini di una corretta individuazione del sistema strutturale esistente e del suo stato di sollecitazione è importante ricostruire il processo di realizzazione e le successive modificazioni subite nel tempo dal manufatto, nonché gli eventi che lo hanno interessato. Cap. 8.5.2: Rilievo. Il rilievo geometrico-strutturale dovrà essere riferito sia alla geometria complessiva dell’organismo che a quella degli elementi costruttivi, comprendendo i rapporti con le eventuali strutture in aderenza. Nel rilievo dovranno essere rappresentate le modificazioni intervenute nel tempo, come desunte dall’analisi storico-critica. 8 VERIFICHE IN SITU Verifiche in-situ limitate: (LC1) sono basate su rilievi di tipo visivo effettuati ricorrendo, generalmente, a rimozione dell'intonaco e saggi nella muratura che consentano di esaminarne le caratteristiche sia in superficie che nello spessore murario, e di ammorsamento tra muri ortogonali e dei solai nelle pareti. Verifiche in-situ estese ed esaustive: (LC2/LC3) sono basate su rilievi di tipo visivo, effettuati ricorrendo, generalmente, a saggi nella muratura che consentano di esaminarne le caratteristiche sia in superficie che nello spessore murario, e di ammorsamento tra muri ortogonali e dei solai nelle pareti. L’esame è opportuno sia esteso in modo sistematico all’intero edificio. Nota. Per questo tipo di verifiche occorre una impresa con scale, trabattelli o impalcature per le ispezioni in quota, luci artificiali, martelli demolitori per rimozione intonaco, utensili per spicconature e dispositivi di prevenzione individuali antinfortunistici. Cap. C8A.1.4.2: Costruzioni in muratura: dettagli costruttivi I dettagli costruttivi da esaminare sono relativi ai seguenti elementi: a) qualità del collegamento tra pareti verticali; b) qualità del collegamento tra orizzontamenti e pareti ed eventuale presenza di cordoli di piano o di altri dispositivi di collegamento; c) esistenza di architravi strutturalmente efficienti al di sopra delle aperture; d) presenza di elementi strutturalmente efficienti atti ad eliminare le spinte eventualmente presenti (catene o contrafforti); e) presenza di elementi, anche non strutturali, ad elevata vulnerabilità (murature in laterizio forato); f) tipologia della muratura (a un paramento, a due o più paramenti, con o senza riempimento a 10 sacco, con o senza collegamenti trasversali, etc.), e sue caratteristiche costruttive (eseguita in mattoni o in pietra, regolare, irregolare, etc.). Indagini in situ Indagini in-situ limitate (LC1): Servono a completare le informazioni sulle proprietà dei materiali ottenute dalla letteratura, o dalle regole in vigore all’epoca della costruzione, e per individuare la tipologia della muratura (in Tabella C8A.2.1 sono riportate alcune tipologie più ricorrenti). Sono basate su esami visivi della superficie muraria. Tali esami visivi sono condotti dopo la rimozione di una zona di intonaco di almeno 1m x 1m, al fine di individuare forma e dimensione dei blocchi di cui è costituita, eseguita preferibilmente in corrispondenza degli angoli, al fine di verificare anche le ammorsature tra le pareti murarie. È da valutare, anche in maniera approssimata, la compattezza della malta. Importante è anche valutare la capacità degli elementi murari di assumere un comportamento monolitico in presenza delle azioni, tenendo conto della qualità della connessione interna e trasversale attraverso saggi localizzati, che interessino lo spessore murario. Indagini in-situ estese (LC2): le indagini di cui al punto precedente sono effettuate in maniera estesa e sistematica, con saggi superficiali ed interni per ogni tipo di muratura presente. Prove con martinetto piatto doppio e prove di caratterizzazione della malta (tipo di legante, tipo di aggregato, rapporto legante/aggregato, etc.), e eventualmente di pietre e/o mattoni (caratteristiche fisiche e meccaniche) consentono di individuare la tipologia della muratura (si veda la Tabella C8A.2.1 per le tipologie più ricorrenti). È opportuna una prova per ogni tipo di muratura presente. Metodi di prova non distruttivi (prove soniche, penetrometriche per la malta, etc.) possono essere impiegati a complemento delle prove richieste. Qualora esista una chiara, comprovata corrispondenza tipologica per materiali, pezzatura dei conci, dettagli costruttivi, in sostituzione delle prove sulla costruzione oggetto di studio possono essere utilizzate prove eseguite su altre costruzioni presenti nella stessa zona. 11 Indagini in-situ esaustive (LC3): Servono per ottenere informazioni quantitative sulla resistenza del materiale. In aggiunta alle verifiche visive,ai saggi interni ed alle prove di cui ai punti precedenti, si effettua una ulteriore serie di prove sperimentali che, per numero e qualità, siano tali da consentire di valutare le caratteristiche meccaniche della muratura. La misura delle caratteristiche meccaniche della muratura si ottiene mediante esecuzione di prove, in situ o in laboratorio (su elementi non disturbati prelevati dalle strutture dell’edificio). Le prove possono in generale comprendere prove di compressione diagonale su pannelli o prove combinate di compressione verticale e taglio. Metodi di prova non distruttivi possono essere impiegati in combinazione, ma non in completa sostituzione di quelli sopra descritti. Qualora esista una chiara, comprovata corrispondenza tipologica per materiali, pezzatura dei conci, dettagli costruttivi, in sostituzione delle prove sulla costruzione oggetto di studio possono essere utilizzate prove eseguite su altre costruzioni presenti nella stessa zona. C8A.1.A.4 Costruzioni in muratura: livelli di conoscenza Con riferimento al livello di conoscenza acquisito, si possono definire i valori medi dei parametri meccanici ed i fattori di confidenza secondo quanto segue: il livello di conoscenza LC3 (esaustivo) si intende raggiunto quando siano stati effettuati il rilievo geometrico, verifiche in situ estese ed esaustive sui dettagli costruttivi, indagini in situ esaustive sulle proprietà dei materiali; il corrispondente fattore di confidenza è FC = 1; il livello di conoscenza LC2 (esteso) si intende raggiunto quando siano stati effettuati il rilievo geometrico, verifiche in situ estese ed esaustive sui dettagli costruttivi ed indagini in situ estese sulle proprietà dei materiali; il corrispondente fattore di confidenza è FC = 1.2; il livello di conoscenza LC1 (limitato) si intende raggiunto quando siano stati effettuati il rilievo geometrico, verifiche in situ limitate sui dettagli costruttivi ed indagini in situ limitate sulle proprietà dei materiali; il corrispondente fattore di confidenza è FC = 1.35. 12 TABELLA C8A.2.1 VALORI DI RIFERIMENTO DEI PARAMETRI MECCANICI DELLE MURATURE 14 Tabella C8A.2.2 -Coefficienti correttivi dei parametri meccanici (indicati in Tabella C8A.2.1) da applicarsi in presenza di: malta di caratteristiche buone o ottime; giunti sottili; ricorsi o listature; sistematiche connessioni trasversali; nucleo interno particolarmente scadente e/o ampio; consolidamento con iniezioni di malta; consolidamento con intonaco armato 15 MECCANISMI LOCALI E D'INSIEME NELLE MURATURE 8.7.1 COSTRUZIONI IN MURATURA Nelle costruzioni esistenti in muratura soggette ad azioni sismiche, particolarmente negli edifici, si possono manifestare meccanismi locali e meccanismi d’insieme. I meccanismi locali interessano singoli pannelli murari o più ampie porzioni della costruzione, e sono favoriti dall’assenza o scarsa efficacia dei collegamenti tra pareti e orizzontamenti e negli incroci murari. I meccanismi globali sono quelli che interessano l’intera costruzione e impegnano i pannelli murari prevalentemente nel loro piano. La sicurezza della costruzione deve essere valutata nei confronti di entrambi i tipi di meccanismo. Per l’analisi sismica dei meccanismi locali si può far ricorso ai metodi dell’analisi limite dell’equilibrio delle strutture murarie, tenendo conto, anche se in forma approssimata, della resistenza a compressione, della tessitura muraria, della qualità della connessione tra le pareti murarie, della presenza di catene e tiranti. Con tali metodi è possibile valutare la capacità sismica in termini di resistenza (applicando un opportuno fattore di struttura) o di spostamento (determinando l’andamento dell’azione orizzontale che la struttura è progressivamente in grado di sopportare all’evolversi del meccanismo). 16 C8A.4 ANALISI DEI MECCANISMI LOCALI DI COLLASSO IN EDIFICI ESISTENTI IN MURATURA Negli edifici esistenti in muratura spesso avvengono collassi parziali per cause sismiche, in genere per perdita dell'equilibrio di porzioni murarie; la verifica nei riguardi di questi meccanismi, secondo le modalità descritte nel seguito, assume significato se è garantita una certa monoliticità della parete muraria, tale da impedire collassi puntuali per disgregazione della muratura. Meccanismi locali si verificano nelle pareti murarie prevalentemente per azioni perpendicolari al loro piano, mentre nel caso di sistemi ad arco anche per azioni nel piano. Le verifiche con riferimento ai meccanismi locali di danno e collasso (nel piano e fuori piano) possono essere svolti tramite l’analisi limite dell’equilibrio, secondo l’approccio cinematico, che si basa sulla scelta del meccanismo di collasso e la valutazione dell’azione orizzontale che attiva tale cinematismo. L’applicazione del metodo di verifica presuppone quindi l’analisi dei meccanismi locali ritenuti significativi per la costruzione, che possono essere ipotizzati sulla base della conoscenza del comportamento sismico di strutture analoghe, già danneggiate dal terremoto, o individuati considerando la presenza di eventuali stati fessurativi, anche di natura non sismica; inoltre andranno tenute presente la qualità della connessione tra le pareti murarie, la tessitura muraria, la presenza di catene, le interazioni con altri elementi della costruzione o degli edifici adiacenti. 17 L’approccio cinematico permette inoltre di determinare l’andamento dell’azione orizzontale che la struttura è progressivamente in grado di sopportare all’evolversi del meccanismo. Tale curva è espressa attraverso un moltiplicatore “α”, rapporto tra le forze orizzontali applicate ed i corrispondenti pesi delle masse presenti, rappresentato in funzione dello spostamento “d k” di un punto di riferimento del sistema; la curva deve essere determinata fino all’annullamento di ogni capacità di sopportare azioni orizzontali (α=0). Tale curva può essere trasformata nella curva di capacità di un sistema equivalente ad un grado di libertà, nella quale può essere definita la capacità di spostamento ultimo del meccanismo locale, da confrontare con la domanda di spostamento richiesta dall’azione sismica. Per ogni possibile meccanismo locale ritenuto significativo per l’edificio, il metodo si articola nei seguenti passi: - Trasformazione di una parte della costruzione in un sistema labile (catena cinematica), attraverso l’individuazione di corpi rigidi, definiti da piani di frattura ipotizzabili per la scarsa resistenza a trazione della muratura, in grado di ruotare o scorrere tra loro (meccanismo di danno e collasso); - Valutazione del moltiplicatore orizzontale dei carichi αo che comporta l’attivazione del meccanismo (stato limite di danno); - Valutazione dell’evoluzione del moltiplicatore orizzontale dei carichi α al crescere dello spostamento dk di un punto di controllo della catena cinematica, usualmente scelto in prossimità del baricentro delle masse, fino all’annullamento della forza sismica orizzontale; -Trasformazione della curva così ottenuta in curva di capacità, ovvero in accelerazione a* e spostamento d* spettrali, con valutazione dello spostamento ultimo per collasso del meccanismo (stato limite ultimo), definito in seguito; - Verifiche di sicurezza, attraverso il controllo della compatibilità degli spostamenti e/o delle 18 resistenze richieste alla struttura. Per l’applicazione del metodo di analisi suddetto si ipotizza, in genere: resistenza nulla a trazione della muratura; assenza di scorrimento tra i blocchi; resistenza a compressione infinita della muratura. Tuttavia, per una simulazione più realistica del comportamento, è opportuno considerare, in forma approssimata: gli scorrimenti tra i blocchi, considerando la presenza dell’attrito; le connessioni, anche di resistenza limitata, tra le pareti murarie; la presenza di catene metalliche; la limitata resistenza a compressione della muratura, considerando le cerniere adeguatamente arretrate rispetto allo spigolo della sezione; la presenza di pareti a paramenti scollegati. Per effettuare la verifica dei meccanismi locali di collasso si possono utilizzare due metodi: C.8.A.4.1 Analisi cinematica lineare (applicando il principio dei lavori virtuali) C.8.A.4.2 Analisi cinematica non lineare (curva di capacità) 19 MECCANISMI LOCALI DI COLLASSO VALUTAZIONE DELLE AZIONI DI COLLASSO CINEMATICO PER L’ELIMINAZIONE DEI MECCANISMI LOCALI DI COLLASSO E RICONDURRE L’ELEMENTO EDILIZIO AD UN COMPORTAMENTO SCASTOLARE METODI DI ANALISI GLOBALE Cap. 7.8.1.5 Metodi di analisi(Generali per edifici nuovi o esistenti) Cap. C7.8.1.5.1 generalità Le strutture in muratura,essendo caratterizzate da un comportamento non lineare risultano, in ogni caso, più significativamente rappresentate attraverso un’analisi statica non lineare. 7.8.1.5.2 Analisi lineare statica È applicabile nei casi previsti al § 7.3.3.2., anche nel caso di costruzioni irregolari in altezza, purché si ponga l = 1,0. Le rigidezze degli elementi murari debbono essere calcolate considerando sia il contributo flessionale sia quello tagliante. L’utilizzo di rigidezze fessurate è da preferirsi; in assenza di valutazioni più accurate le rigidezze fessurate possono essere assunte pari alla metà di quelle non fessurate. Nell’ipotesi di infinita rigidezza nel piano dei solai, il modello può essere costituito dai soli elementi murari continui dalle fondazioni alla sommità, collegati ai soli fini traslazionali alle quote dei solai. In alternativa, gli elementi di accoppiamento fra pareti diverse, quali travi o cordoli in cemento armato e travi in muratura (qualora efficacemente ammorsate alle pareti), possono essere considerati nel modello, a condizione che le verifiche di sicurezza vengano effettuate anche su tali elementi. 22 Possono essere considerate nel modello, travi di accoppiamento in muratura ordinaria, solo se sorrette da un cordolo di piano o da un architrave resistente a flessione efficacemente ammorsato alle estremità. Per elementi di accoppiamento in cemento armato, si considerano efficaci per l’accoppiamento elementi aventi altezza almeno pari allo spessore del solaio. In presenza di elementi di accoppiamento l’analisi può essere effettuata utilizzando modelli a telaio, in cui le parti di intersezione tra elementi verticali e orizzontali possono essere considerate infinitamente rigide. 7.8.1.5.3 Analisi dinamica modale È applicabile in tutti i casi, con le limitazioni di cui al § 7.3.3.1. Quanto indicato per modellazione e possibilità di ridistribuzione nel caso di analisi statica lineare vale anche in questo caso. Il modello può essere a telaio equivalente o ad elementi finiti Le verifiche fuori piano possono essere effettuate separatamente, adottando le forze equivalenti indicate al punto precedente per l’analisi statica lineare. 7.8.1.5.4 Analisi statica non lineare L’analisi statica non lineare è applicabile agli edifici in muratura anche nei casi in cui la massa partecipante del primo modo di vibrare sia inferiore al 75% della massa totale ma comunque superiore al 60%. Il modello geometrico della struttura può essere conforme a quanto indicato nel caso di analisi statica lineare ovvero essere ottenuto utilizzando modelli più sofisticati purché idonei e adeguatamente documentati. 23 I pannelli murari possono essere caratterizzati da un comportamento bilineare elastico perfettamente plastico, con resistenza equivalente al limite elastico e spostamenti al limite elastico e ultimo definiti per mezzo della risposta flessionale o a taglio di cui ai §§ 7.8.2.2 e 7.8.3.2. Gli elementi lineari in c.a. (cordoli, travi di accoppiamento) possono essere caratterizzati da un comportamento bilineare elastico perfettamente plastico, con resistenza equivalente al limite elastico e spostamenti al limite elastico e ultimo definiti per mezzo della risposta flessionale o a taglio. Cap. 7.8.1.5.5 Analisi dinamica non lineare Si applica integralmente il § 7.3.4.2 facendo uso di modelli meccanici non lineari di comprovata e documentata efficacia nel riprodurre il comportamento dinamico e ciclico della muratura. I modelli strutturali da utilizzare devono consentire una corretta rappresentazione del comportamento degli elementi strutturali in termini di resistenza, anche in funzione di possibili fenomeni di degrado associati alle deformazioni cicliche e di comportamento post elastico. L’analisi sismica globale deve considerare, per quanto possibile, il sistema strutturale reale della costruzione, con particolare attenzione alla rigidezza e resistenza dei solai, e all’efficacia dei collegamenti degli elementi strutturali. Nel caso di muratura irregolare, la resistenza a taglio di calcolo per azioni nel piano di un pannello in muratura potrà essere calcolata facendo ricorso a formulazioni alternative rispetto a quelle adottate per opere nuove, purché di comprovata validità. 24 MODELLI STRUTTURALI MODELLO 3D CON ELEMENTI FINITI CHE SCHEMATIZZI LA STRUTTURA COME ELEMENTI BIDIMENSIONALI (PIASTRA, MEMBRANA, SHELL) CON TALI ELEMENTI NON SPECIALIZZATI. 25 MODELLO 3D AGLI ELEMENTI FINITI CHE SCHEMATIZZA LA STRUTTURA COME ELEMENTI BIDIMENSIONALI (PIASTRE, MEMBRANE, SHELL9 SPECIALIZZATI: ELEMENTI VERTICALI CIELO-TERRA COME MASCHI MURARI, FASCIE DI COLLEGAMENTO SOPRA/SOTTO FINESTRA COME TRAVI CON RESISTENZA A TAGLIO 26 MODELLO A TELAIO EQUIVALENTE: MASCHI MURARI COLLEGATI DA FASCIE DI PIANO EFFICACI A FLESSIONE E TAGLIO COLLEGATE AI MASCHI CON TRONCHI RIGIDI. MODELLO A MENSOLA: MASCHI MURARI COLLEGATI DA PENDOLI DI PIANO (FASCIE DEBOLI O NON RINFORZATE) Bibliografia: Nuove norme tecniche per le costruzioni D.Min Infrastrutture 14 gennaio 2008. Circolare 2 febbraio 2009, n. 617 C.S. LL.PP. Istruzioni per l’applicazione delle “Nuove norme tecniche per le costruzioni di cui al Decreto Ministeriale 14 gennaio 2008”. Linee guida Reluis per il rilievo, l'analisi ed il progetto di interventi di riparazione e consolidamento sismico degli edifici in muratura in aggregato – Terremoto dell’Aquila del 6/04/2009. Immagini gentilmente concesse dal Prof. Ing. Graziano Leoni – Università degli Studi di Camerino, Facoltà di Architettura. 27 RECUPERO E MANUTENZIONE DI STRUTTURE ESISTENTI Dal ripristino strutturale alla protezione preventiva per la durabilità L'AQUILA 10 Novembre 2010 METODI DI ANALISI PER EDIFICI ESISTENTI IN MURATURA E TECNICHE DI INTERVENTO PER IL MIGLIORAMENTO SISMICO Secondo il DM Infrastrutture 14.01.08 e la Circolare n. 617 del 2.01.09 EDIFICI IN AGGREGATO 10 Novembre 2010 1 AGGREGATI EDILIZI C8A.3 AGGREGATI EDILIZI Un aggregato edilizio è costituito da un insieme di parti che sono il risultato di una genesi articolata e non unitaria, dovuta a molteplici fattori (sequenza costruttiva, cambio di materiali, mutate esigenze, avvicendarsi dei proprietari, etc.). Nell’analisi di un edificio facente parte di un aggregato edilizio occorre tenere conto perciò delle possibili interazioni derivanti dalla contiguità strutturale con gli edifici adiacenti, connessi o in aderenza ad esso. A tal fine dovrà essere individuata, in via preliminare, l’unità strutturale (US) oggetto di studio, evidenziando le azioni che su di essa possono derivare dalle unità strutturali contigue. La porzione di aggregato che costituisce l'US dovrà comprendere cellule tra loro legate in elevazione ed in pianta da un comune processo costruttivo, oltre che considerare tutti gli elementi interessati dalla trasmissione a terra dei carichi verticali dell’edificio in esame. Ove necessario, tale analisi preliminare dovrà considerare l’intero aggregato, al fine di individuare le relative connessioni spaziali fondamentali, con particolare attenzione al contesto ed ai meccanismi di giustapposizione e di sovrapposizione. In particolare, il processo di indagine sugli aggregati edilizi si dovrebbe sviluppare attraverso l’individuazione di diversi strati d’informazione: - i rapporti tra i processi di aggregazione ed organizzazione dei tessuti edilizi e l’evoluzione del sistema viario; - i principali eventi che hanno influito sugli aspetti morfologici del costruito storico (fonti storiche); - la morfologia delle strade (andamento, larghezza, flessi planimetrici e disassamenti dei fronti edilizi); la disposizione e la gerarchia dei cortili (con accesso diretto o da androne) ed il posizionamento delle scale esterne; tale studio favorisce la comprensione del processo formativo e di trasformazione degli isolati, dei lotti, delle parti costruite e delle porzioni libere in rapporto alle fasi del loro uso; 2 L’allineamento delle pareti; verifiche di ortogonalità rispetto ai percorsi viari; individuazione dei prolungamenti, delle rotazioni, delle intersezioni e degli slittamenti degli assi delle pareti (ciò aiuta ad identificare le pareti in relazione alla loro contemporaneità di costruzione e quindi a definire il loro grado di connessione); - I rapporti spaziali elementari delle singole cellule murarie, nonché i rapporti di regolarità, ripetizione, modularità, ai diversi piani (ciò consente di distinguere le cellule originare da quelle dovute a processi di saturazione degli spazi aperti); - la forma e la posizione delle bucature nei muri di prospetto: assialità, simmetria, ripetizione (ciò consente di determinare le zone di debolezza nel percorso di trasmissione degli sforzi, nonché di rivelare le modificazioni avvenute nel tempo); - I disassamenti e le rastremazioni delle pareti, i muri poggianti “in falso” sui solai sottostanti, lo sfalsamento di quota tra solai contigui (ciò fornisce indicazioni sia per ricercare possibili fonti di danno in rapporto ai carichi verticali e sismici, sia per affinare l’interpretazione dei meccanismi di aggregazione). Per la individuazione dell'US da considerare si terrà conto principalmente della unitarietà del comportamento strutturale di tale porzione di aggregato nei confronti dei carichi, sia statici che dinamici. A tal fine è importante rilevare la tipologia costruttiva ed il permanere degli elementi caratterizzanti, in modo da indirizzare il progetto degli interventi verso soluzioni congruenti (tra loro e) con l’originaria configurazione strutturale. L’individuazione dell'US va comunque eseguita caso per caso, in ragione della forma del sistema edilizio di riferimento a cui appartiene l'US (composta da una o più unità immobiliari), della qualità e consistenza degli interventi previsti e con il criterio di minimizzare la frammentazione in interventi singoli. Il progettista potrà quindi definire la dimensione operativa minima, che talora potrà riguardare l’insieme delle unità immobiliari costituenti il sistema, ed in alcuni casi porzioni più o meno estese del contesto urbano. 3 L’US dovrà comunque avere continuità da cielo a terra per quanto riguarda il flusso dei carichi verticali e, di norma, sarà delimitata o da spazi aperti, o da giunti strutturali, o da edifici contigui costruiti, ad esempio, con tipologie costruttive e strutturali diverse, o con materiali diversi, oppure in epoche diverse. Tra le interazioni strutturali con gli edifici adiacenti si dovranno considerare: carichi (sia verticali che orizzontali, in presenza di sisma) provenienti da solai o da pareti di US adiacenti; spinte di archi e volte appartenenti ad US contigue; spinte provenienti da archi di contrasto o da tiranti ancorati su altri edifici. La rappresentazione dell'US attraverso piante, alzati e sezioni permetterà di valutare la diffusione delle sollecitazioni e l’interazione fra le US contigue. Oltre a quanto normalmente previsto per gli edifici non disposti in aggregato, dovranno essere valutati gli effetti di: spinte non contrastate causate da orizzontamenti sfalsati di quota sulle pareti in comune con le US adiacenti; effetti locali causati da prospetti non allineati, o da differenze di altezza o di rigidezza tra US adiacenti, azioni di ribaltamento e di traslazione che interessano le pareti nelle US di testata delle tipologie seriali (schiere). Dovrà essere considerato inoltre il possibile martellamento nei giunti tra US adiacenti. L'analisi di una US secondo i metodi utilizzati per edifici isolati, senza una adeguata modellazione oppure con una modellazione approssimata dell'interazione con i corpi di fabbrica adiacenti assume un significato convenzionale. Di conseguenza, si ammette che l’analisi della capacità sismica globale dell'US possa essere verificata attraverso metodologie semplificate, come descritto di seguito. C8A.3.1 VERIFICA GLOBALE SEMPLIFICATA PER GLI EDIFICI IN AGGREGATI EDILIZI Nel caso di solai sufficientemente rigidi, la verifica convenzionale allo Stato limite di salvaguardia della vita e allo Stato limite di esercizio di un edificio (US unità strutturale) in aggregato può essere svolta, anche per edifici con più di due piani, mediante l'analisi statica non lineare analizzando e verificando separatamente ciascun interpiano dell'edificio, e trascurando la variazione della forza assiale nei maschi murari dovuta all'effetto 4 dell'azione sismica. Con l'esclusione di unità strutturali d'angolo o di testata, così come di parti di edificio non vincolate o non aderenti su alcun lato ad altre unità strutturali (es. piani superiori di un edificio di maggiore altezza rispetto a tutte le US adiacenti), l'analisi potrà anche essere svolta trascurando gli effetti torsionali, ipotizzando che i solai possano unicamente traslare nella direzione considerata dell'azione sismica. Qualora i solai dell'edificio siano flessibili si procederà all'analisi delle singole pareti o dei sistemi di pareti complanari che costituiscono l'edificio, ciascuna analizzata come struttura indipendente, soggetta ai carichi verticali di competenza ed all'azione del sisma nella direzione parallela alla parete. In questo caso l'analisi e le verifiche di ogni singola parete seguiranno i criteri esposti al § 7.8.2.2 delle NTC per gli edifici in muratura ordinaria di nuova costruzione, con le integrazioni riportate al § 7.8.1.5. 8.7.1 COSTRUZIONI IN MURATURA (in aggregato) In presenza di edifici in aggregato, contigui, a contatto od interconnessi con edifici adiacenti, i metodi di verifica di uso generale per gli edifici di nuova costruzione possono non essere adeguati. Nell’analisi di un edificio facente parte di un aggregato edilizio occorre tenere conto delle possibili interazioni derivanti dalla contiguità strutturale con gli edifici adiacenti. A tal fine dovrà essere individuata l’unità strutturale (US) oggetto di studio, evidenziando le azioni che su di essa possono derivare dalle unità strutturali contigue. L’US dovrà avere continuità da cielo a terra per quanto riguarda il flusso dei carichi verticali e, di norma, sarà delimitata o da spazi aperti, o da giunti strutturali, o da edifici contigui strutturalmente ma, almeno tipologicamente, diversi. Oltre a quanto normalmente previsto per gli edifici non disposti in aggregato, dovranno essere valutati gli effetti di: spinte non contrastate causate da orizzontamenti sfalsati di quota sulle pareti in comune con le US adiacenti, meccanismi locali derivanti da prospetti non allineati, US adiacenti di differente altezza. 5 L'analisi globale di una singola unità strutturale assume spesso un significato convenzionale e perciò può utilizzare metodologie semplificate. La verifica di una US dotata di solai sufficientemente rigidi può essere svolta, anche per edifici con più di due piani, mediante l'analisi statica non lineare, analizzando e verificando separatamente ciascun interpiano dell'edificio, e trascurando la variazione della forza assiale nei maschi murari dovuta all'effetto dell'azione sismica. Con l'esclusione di unità strutturali d'angolo o di testata, così come di parti di edificio non vincolate o non aderenti su alcun lato ad altre unità strutturali, l'analisi potrà anche essere svolta trascurando gli effetti torsionali, nell’ipotesi che i solai possano unicamente traslare nella direzione considerata dell'azione sismica. Nel caso invece di US d’angolo o di testata è comunque ammesso il ricorso ad analisi semplificate, purché si tenga conto di possibili effetti torsionali e dell’azione aggiuntiva trasferita dalle US adiacenti applicando opportuni coefficienti maggiorativi delle azioni orizzontali. Qualora i solai dell'edificio siano flessibili si potrà procedere all'analisi delle singole pareti o dei sistemi di pareti complanari, ciascuna parete essendo soggetta ai carichi verticali di competenza ed alle corrispondenti azioni del sisma nella direzione parallela alla parete. Linee guida Reluis per il rilievo, l'analisi ed il progetto di interventi di riparazione e consolidamento sismico degli edifici in muratura in aggregato La scelta del tipo di analisi sismica e del criterio di modellazione della struttura (Capitolo 4) è strettamente connessa da un lato alla tipologia strutturale, dall’altro al tipo di intervento progettuale. L’adozione di modelli di calcolo di dettaglio per la valutazione della risposta globale (ad esempio approccio di modellazione ad elementi finiti o quello a telaio equivalente come proposto recentemente nelle Norme Tecniche per le Costruzioni D.M. 14/01/2008) risulta in generale applicabile esclusivamente ad aggregati di limitata estensione, per i quali risulti accettabile l’onere conseguente associato alla fase conoscitiva, oppure al caso di singole unità, quando sia possibile stimare ragionevolmente l’effetto equivalente associato all’interazione con le unità adiacenti. 6 Di norma, in alternativa, nel caso in cui non sia possibile acquisire i dati necessari per sostanziare modelli più accurati (il cui uso quindi risulterebbe inficiato dal grado di incertezza associato ai parametri impiegati od alle ipotesi assunte), risulta preferibile l’adozione di modelli semplificati (cfr. § 8.7.1 delle Norme Tecniche per le Costruzioni, D.M. 14.01.2008 e corrispondente § C8A.3 della Circolare 2 febbraio 2009 n. 617). Viceversa anche l’applicazione di modelli per l’analisi di meccanismi locali (secondo l’approccio cinematico per macroelementi) è subordinata ad una valutazione qualitativa circa il sistema di ripartizione dei carichi in base a fattori, quali ad esempio l’orditura e deformabilità dei solai, la rigidezza delle pareti verticali, la qualità delle connessioni. La possibilità di elaborare modelli complessivi è comunque limitata dalla dimensione complessità dell’aggregato, mentre l’elaborazione di modelli parziali o le analisi di singoli elementi (secondo l’approccio cinematico per macroelementi) sono subordinati ad una valutazione qualitativa circa il sistema di ripartizione dei carichi in base a fattori, quali ad esempio l’orditura e deformabilità dei solai, la rigidezza delle pareti verticali, la qualità delle connessioni. Nelle suddette linee guida, vengono però introdotti nuovi concetti non presenti nelle NTC 2008 ossia: UMI unità minima di intervento e UA unità minima di analisi in alternativa o in affiancamento delle US delle NTC 2008. Ciò non rende certo più semplice l'approccio al problema ma al momento si sta valutando l'efficacia dei nuovo sottoinsiemi degli aggregati proposti da Reluis. UMI: L'unità minima di intervento si configura come una porzione di aggregato, costituita da una o più Unità strutturali omogenee (edifici) che sarà oggetto di intervento unitario. UA: L'unità minima di analisi è definita quella porzione di aggregato, generalmente più ampia della UMI, da includere nella fase conoscitiva e di diagnosi del danno sismico e della vulnerabilità, in modo da poter valutare eventuali effetti di interazione da parte di Unità strutturali adiacenti alla UMI. 7 Cap. 4.4) Per quanto riguarda le verifiche di sicurezza sismica, è opportuno distinguere tra i criteri di verifica per i meccanismi locali e quelli globali di resistenza. Le verifiche dei meccanismi locali di danno e collasso, possono essere svolte applicando i principi di analisi limite dell’equilibrio, secondo l’approccio cinematico. L’applicazione del metodo di verifica presuppone la verifica di ciascuno dei meccanismi locali ritenuti significativi per l'UA (unità di analisi) nella fase di interpretazione dei dati acquisiti nel processo conoscitivo. Per quanto riguarda i metodi di analisi adottati per le verifiche di sicurezza il metodo standard consigliato dell’analisi cinematica lineare. Per quel che riguarda le verifiche di sicurezza da effettuarsi in relazione all’analisi di meccanismi globali di resistenza, in generale l’analisi della capacità sismica globale dell'US (unità strutturale omogenea – edificio) può essere verificata attraverso metodologie semplificate come indicato nel cap. 8.7.1 delle NTC2008 e cap. C8A.3.1 della circolare 617/2009. E’ importante osservare che quando, a seguito delle analisi conoscitive e della verifica diagnosi interpretativa si ritiene che la costruzione non manifesta un chiaro comportamento d’insieme (ad esempio nel caso di aggregati estesi e di geometria complessa non dotati di solai rigidi e resistenti nel piano né di efficaci e diffusi sistemi di tiranti) ma piuttosto tende a reagire al sisma come un insieme di sottoinsiemi (meccanismi locali), la verifica su un modello globale può NON avere rispondenza rispetto al suo effettivo comportamento sismico. In tali casi, la verifica complessiva della risposta sismica del manufatto non richiede necessariamente il ricorso ad un modello globale della costruzione e può essere effettuata attraverso un insieme esaustivo di verifiche locali effettuate in modo generalizzato e sistematico su diversi elementi della costruzione, purché la totalità delle azioni sismiche sia coerentemente ripartita dei meccanismi locali considerati in ragione delle diverse rigidezze ve dei collegamenti e si tenga correttamente conto, anche in modo approssimato, delle forze scambiate tra i sottoinsiemi strutturali considerati (macroelementi). 8 Nota: con rif. alle Ordinanze 3820/09 e 3832/10, se l’aggregato ha una dimensione maggiore di 1000 mq come impronta a terra, può essere diviso in “porzioni” (UMI) con impronta a terra superiore o uguale a 300 mq 10 11 12 Bibliografia: Nuove norme tecniche per le costruzioni D.Min Infrastrutture 14 gennaio 2008. Circolare 2 febbraio 2009, n. 617 C.S. LL.PP. Istruzioni per l’applicazione delle “Nuove norme tecniche per le costruzioni di cui al decreto ministeriale 14 gennaio 2008”. Linee guida Reluis per il rilievo, l'analisi ed il progetto di interventi di riparazione e consolidamento sismico degli edifici in muratura in aggregato – Terremoto dell’Aquila del 6/04/2009. Immagini gentilmente concesse dal Prof. Ing. Graziano Leoni – Università degli Studi di Camerino, Facoltà di Architettura. RECUPERO E MANUTENZIONE DI STRUTTURE ESISTENTI Dal ripristino strutturale alla protezione preventiva per la durabilità L'AQUILA 10 Novembre 2010 METODI DI ANALISI PER EDIFICI ESISTENTI IN MURATURA E TECNICHE DI INTERVENTO PER IL MIGLIORAMENTO SISMICO Secondo il DM Infrastrutture 14.01.08 e la Circolare n. 617 del 2.01.09 1 TECNICHE DI INTERVENTO PER IL MIGLIORAMENTO SISMICO 1 10 Novembre 2010 C8A.5 CRITERI PER GLI INTERVENTI DI CONSOLIDAMENTO DI EDIFICI IN MURATURA. Nel presente allegato si forniscono criteri generali di guida agli interventi di consolidamento degli edifici in muratura, con riferimento ad alcune tecniche di utilizzo corrente. Ovviamente non sono da considerarsi a priori escluse eventuali tecniche di intervento non citate, metodologie innovative o soluzioni particolari che il professionista individui come adeguate per il caso specifico. Gli interventi di consolidamento vanno applicati, per quanto possibile, in modo regolare ed uniforme alle strutture. L’esecuzione di interventi su porzioni limitate dell’edificio va opportunamente valutata e giustificata calcolando l’effetto in termini di variazione nella distribuzione delle rigidezze. Nel caso si decida di intervenire su singole parti della struttura, va valutato l’effetto in termini di variazione nella distribuzione delle rigidezze. Particolare attenzione deve essere posta HHHHHH anche alla fase esecutiva degli interventi, onde assicurare l’efficacia degli stessi, in quanto l’eventuale cattiva esecuzione può comportare il peggioramento delle caratteristiche della muratura o del comportamento globale dell’edificio. Le indicazioni JJJJJ KKK che seguono non devono essere intese come un elenco di interventi da eseguire comunque e dovunque, ma solo come possibili soluzioni da adottare nei casi in cui K siano dimostrate la carenza dello stato attuale del fabbricato ed il beneficio prodotto dall’intervento. Per quanto applicabile, i criteri e le tecniche esposte possono essere estesi ad altre tipologie costruttive in muratura. 2 C8A.5.1 INTERVENTI VOLTI A RIDURRE LE CARENZE DEI COLLEGAMENTI Tali interventi sono mirati ad assicurare alla costruzione un buon comportamento d’assieme, mediante la realizzazione di un buon ammorsamento tra le pareti e di efficaci collegamenti dei solai alle pareti; inoltre, deve essere verificato che le eventuali spinte prodotte da strutture voltate siano efficacemente contrastate e deve essere corretto il malfunzionamento di tetti spingenti. La realizzazione di questi interventi è un prerequisito essenziale per l’applicazione dei metodi di analisi sismica globale dell’edificio, che si basano sul comportamento delle pareti murarie nel proprio piano, presupponendone la stabilità nei riguardi di azioni sismiche fuori dal piano. Tali interventi sono mirati ad assicurare alla costruzione un buon comportamento d’assieme, mediante la realizzazione di un buon ammorsamento tra le pareti e di efficaci collegamenti dei solai alle pareti; inoltre, deve essere verificato che le eventuali spinte prodotte da strutture voltate siano efficacemente contrastate e deve essere corretto il malfunzionamento di tetti spingenti. La realizzazione di questi interventi è un prerequisito essenziale per l’applicazione dei metodi di analisi sismica globale dell’edificio, che si basano sul comportamento delle pareti murarie nel proprio piano, presupponendone la stabilità nei riguardi di azioni sismiche fuori dal piano. L’inserimento di tiranti (catene), metallici o di altri materiali, disposti nelle due direzioni principali del fabbricato, a livello dei solai ed in corrispondenza delle pareti portanti, ancorati alle murature mediante capochiave (a paletto o a piastra), può favorire il comportamento d’assieme del fabbricato, in quanto conferisce un elevato grado di connessione tra le murature ortogonali e fornisce un efficace vincolo contro il ribaltamento fuori piano dei pannelli murari. Inoltre, l’inserimento di tiranti migliora il comportamento nel piano di pareti forate, in quanto consente la formazione del meccanismo tirante-puntone nelle fasce murarie sopra porta e sotto finestra. Per i capochiave sono consigliati paletti semplici, in quanto vanno ad interessare una porzione di muratura maggiore rispetto alle piastre; queste sono preferibili nel caso di murature particolarmente scadenti, realizzate con elementi di piccole dimensioni (è in genere necessario un consolidamento locale della muratura, nella zona di ancoraggio). È sconsigliabile incassare il 3 capochiave nello spessore della parete, specie nel caso di muratura a più paramenti scollegati. Cerchiature esterne, in alcuni casi, si possono realizzare con elementi metallici o materiali compositi, allo scopo di “chiudere” la scatola muraria e di offrire un efficace collegamento tra murature ortogonali. Tale intervento può risultare efficace nel caso di edifici di dimensioni ridotte, dove i tratti rettilinei della cerchiatura non sono troppo estesi, o quando vengono realizzati ancoraggi in corrispondenza dei martelli murari. È necessario evitare l’insorgere di concentrazioni di tensioni in corrispondenza degli spigoli delle murature, ad esempio con opportune piastre di ripartizione o in alternativa, nel caso si usino fasce in materiale composito, procedendo allo smusso degli spigoli. Un’idonea ammorsatura, tra parti adiacenti o tra murature che si intersecano, si può realizzare, qualora i collegamenti tra elementi murari siano deteriorati (per la presenza di lesioni per danni sismici o di altra natura) o particolarmente scadenti; si precisa infatti che questi interventi di collegamento locale sono efficaci per il comportamento d’assieme della costruzione in presenza di murature di buone caratteristiche, mentre per le murature scadenti è preferibile l’inserimento di tiranti, che garantiscono un miglior collegamento complessivo. L’intervento si realizza o attraverso elementi puntuali di cucitura (tecnica “scuci e cuci” con elementi lapidei o in laterizio) o collegamenti locali con elementi metallici (chiodature) o in altro materiale. L’uso di perforazioni armate deve essere limitato ai casi in cui non siano percorribili le altre soluzioni proposte, per la notevole invasività di tali elementi e la dubbia efficacia, specie in presenza di muratura a più paramenti scollegati; in ogni caso dovrà essere garantita la durabilità degli elementi inseriti (acciaio inox, materiali compositi o altro) e la compatibilità delle malte iniettate. Anche in questo caso, l’eventuale realizzazione di un buon collegamento locale non garantisce un significativo miglioramento del comportamento d’assieme della costruzione. 4 Cordoli in sommità alla muratura possono costituire una soluzione efficace per collegare le pareti, in una zona dove la muratura è meno coesa a causa del limitato livello di compressione, e per migliorare l’interazione con la copertura; va invece evitata l’esecuzione di cordolature ai livelli intermedi, eseguite nello spessore della parete (specie se di muratura in pietrame), dati gli effetti negativi che le aperture in breccia producono nella distribuzione delle sollecitazioni sui paramenti. Questi possono essere realizzati nei seguenti modi: •in muratura armata, consentendo di realizzare il collegamento attraverso una tecnica volta alla massima conservazione delle caratteristiche murarie esistenti. Essi, infatti, devono essere realizzati con una muratura a tutto spessore e di buone caratteristiche; in genere la soluzione più naturale è l’uso di una muratura in mattoni pieni. All’interno deve essere alloggiata un’armatura metallica o in altro materiale resistente a trazione, resa aderente alla muratura del cordolo tramite conglomerato, ad esempio malta cementizia. La realizzazione di collegamenti tra cordolo e muratura, eseguita tramite perfori armati disposti con andamento inclinato, se necessaria risulta efficace solo in presenza di muratura di buona qualità. Negli altri casi è opportuno eseguire un consolidamento della muratura nella parte sommitale della parete. •in acciaio, rappresentando una valida alternativa per la loro leggerezza e la limitata invasività. Essi possono essere eseguiti attraverso una leggera struttura reticolare, in elementi angolari e piatti metallici, o tramite piatti o profili sui due paramenti, collegati tra loro tramite barre passanti; in entrambi i casi è possibile realizzare un accettabile collegamento alla muratura senza la necessità di ricorrere a perfori armati. In presenza di muratura di scarsa qualità, l’intervento deve essere accompagnato da un’opera di bonifica della fascia di muratura interessata. I cordoli metallici si prestano particolarmente bene al collegamento degli elementi lignei della copertura e contribuiscono all’eliminazione delle eventuali spinte. •in c.a., solo se di altezza limitata, per evitare eccessivi appesantimenti ed irrigidimenti, che si sono dimostrati dannosi in quanto producono elevate sollecitazioni tangenziali tra cordolo e muratura, con conseguenti scorrimenti e disgregazione di quest’ultima. In particolare, tali effetti si sono manifestati nei casi in cui anche la struttura di copertura era stata irrigidita ed appesantita. 5 L’efficace connessione dei solai di piano e delle coperture alle murature è necessaria per evitare lo sfilamento delle travi, con conseguente crollo del solaio, e può permettere ai solai di svolgere un’azione di distribuzione delle forze orizzontali e di contenimento delle pareti. I collegamenti possono essere effettuati in posizioni puntuali, eseguiti ad esempio in carotaggi all’interno delle pareti, e allo stesso tempo non devono produrre un disturbo eccessivo ed il danneggiamento della muratura. Nel caso di solai intermedi, le teste di travi lignee possono essere ancorate alla muratura tramite elementi, metallici o in altro materiale resistente a trazione, ancorati sul paramento opposto. C8A.5.2 INTERVENTI SUGLI ARCHI E SULLE VOLTE Gli interventi sulle strutture ad arco o a volta possono essere realizzati con il ricorso alla tradizionale tecnica delle catene, che compensino le spinte indotte sulle murature di appoggio e ne impediscano l'allontanamento reciproco. Le catene andranno poste di norma alle reni di archi e volte. Qualora non sia possibile questa disposizione, si potranno collocare le catene a livelli diversi purché ne sia dimostrata l'efficacia nel contenimento della spinta. Tali elementi devono essere dotati di adeguata rigidezza (sono da preferirsi barre di grosso diametro e lunghezza, per quanto possibile, limitata); le catene devono essere poste in opera con un’adeguata presollecitazione, in modo da assorbire parte dell’azione spingente valutata tramite il calcolo (valori eccessivi del tiro potrebbero indurre danneggiamenti localizzati). In caso di presenza di lesioni e/o deformazioni, la riparazione deve ricostituire i contatti tra le parti separate, onde garantire che il trasferimento delle sollecitazioni interessi una adeguata superficie e consentire una idonea configurazione resistente. 6 Per assorbire le spinte di volte ed archi non deve essere esclusa a priori la possibilità di realizzare contrafforti o ringrossi murari. Questi presentano un certo impatto visivo sulla costruzione ma risultano, peraltro, reversibili e coerenti con i criteri di conservazione. La loro efficacia è subordinata alla creazione di un buon ammorsamento con la parete esistente, da eseguirsi tramite connessioni discrete con elementi lapidei o in laterizio, ed alla possibilità di realizzare una fondazione adeguata. È possibile il ricorso a tecniche di placcaggio all'estradosso con fasce di materiale composito. La realizzazione di contro-volte in calcestruzzo o simili, armate o no, è da evitarsi per quanto possibile e, se ne viene dimostrata la necessità, va eseguita con conglomerato alleggerito e di limitato spessore. Il placcaggio all’intradosso con materiali compositi è efficace se associato alla realizzazione di un sottarco, in grado di evitare le spinte a vuoto, o attraverso ancoraggi puntuali, diffusi lungo l’intradosso. C8A.5.3 INTERVENTI VOLTI A RIDURRE L’ECCESSIVA DEFORMABILITÀ DEI SOLAI Il ruolo dei solai nel comportamento sismico delle costruzioni in muratura è quello di trasferire le azioni orizzontali di loro competenza alle pareti disposte nella direzione parallela al sisma; inoltre essi devono costituire un vincolo per le pareti sollecitate da azioni ortogonali al proprio piano. La necessità di un irrigidimento per ripartire diversamente l’azione sismica tra gli elementi verticali è invece non così frequente. Per le suddette ragioni risulta talvolta necessario un irrigidimento dei solai, anche limitato, di cui vanno valutati gli effetti; a questo si associa inevitabilmente un aumento della resistenza degli elementi, che migliora la robustezza della struttura. 7 L’irrigidimento dei solai, anche limitato, per ripartire diversamente l’azione sismica tra gli elementi verticali comporta in genere un aumento della resistenza, che migliora la robustezza della struttura. Nel caso dei solai lignei può essere conseguito operando all’estradosso sul tavolato. Una possibilità è fissare un secondo tavolato su quello esistente, disposto con andamento ortogonale o inclinato, ponendo particolare attenzione ai collegamenti con i muri laterali; in alternativa, o in aggiunta, si possono usare rinforzi con bandelle metalliche, o di materiali compositi, fissate al tavolato con andamento incrociato. Un analogo beneficio può essere conseguito attraverso controventature realizzate con tiranti metallici. Il consolidamento delle travi lignee potrà avvenire aumentando la sezione portante in zona compressa, mediante l'aggiunta di elementi opportunamente connessi. Nei casi in cui risulti necessario un consolidamento statico del solaio per le azioni flessionali, è possibile, con le tecniche legno-legno, conseguire contemporaneamente l’irrigidimento nel piano e fuori dal piano, posando sul tavolato esistente, longitudinalmente rispetto alle travi dell’orditura, dei nuovi tavoloni continui, resi collaboranti alle travi mediante perni anche di legno, irrigiditi nel piano del solaio con l’applicazione di un secondo tavolato di finitura. La tecnica di rinforzo con soletta collaborante, in calcestruzzo eventualmente leggero, realizza anche un forte irrigidimento nel piano del solaio; gli effetti di tale intervento vanno valutati sia in relazione alla ripartizione delle azioni tra gli elementi verticali sia all’aumento delle masse. Nel caso in cui gli elementi lignei non siano adeguatamente collegati alle murature, è necessario collegare la soletta alle pareti, tramite elementi puntuali analoghi a quelli già indicati, o ai cordoli, se presenti e realizzati come successivamente descritto. Nel caso di solai a travi in legno e pianelle di cotto, che presentano limitata resistenza nel piano, possono essere adottati interventi di irrigidimento all'estradosso con caldane armate in calcestruzzo alleggerito, opportunamente collegate alle murature perimetrali ed alle travi in legno. 8 Nel caso di solai a putrelle e voltine o tavelloni è opportuno provvedere all'irrigidimento mediante solettina armata (meglio se con calcestruzzo alleggerito ad elevate prestazione) resa solidale ai profilati e collegata alle murature perimetrali. Nel caso di solai a struttura metallica, con interposti elementi in laterizio, è necessario collegare tra loro i profili saldando bandelle metalliche trasversali, poste all’intradosso o all’estradosso. Inoltre, in presenza di luci significative, gli elementi di bordo devono essere collegati in mezzeria alla muratura (lo stesso problema si pone anche per i solai lignei a semplice orditura). C8A.5.4 INTERVENTI IN COPERTURA È in linea generale opportuno il mantenimento dei tetti in legno, in quanto limitano l’entità delle masse nella parte più alta dell'edificio e garantiscono un’elasticità simile a quella della compagine muraria sottostante. È opportuno, ove possibile, adottare elementi di rafforzamento del punto di contatto tra muratura e tetto. Oltre al collegamento con capichiave metallici che impediscano la traslazione, si possono realizzare cordoli-tirante in legno o in metallo opportunamente connessi sia alle murature che alle orditure in legno del tetto (cuffie metalliche), a formare al tempo stesso un bordo superiore delle murature resistente a trazione, un elemento di ripartizione dei carichi agli appoggi delle orditure del tetto e un vincolo assimilabile ad una cerniera tra murature e orditure. Ove i tetti presentino orditure spingenti, come nel caso di puntoni inclinati privi di semicatene in piano, la spinta deve essere compensata. Nel caso delle capriate, deve essere presente un buon collegamento nei nodi, necessario ad evitare scorrimenti e distacchi in presenza di azioni orizzontali. Questo può essere migliorato con elementi metallici o in altri materiali idonei resistenti a trazione, ma tale collegamento non deve comunque contrastare il movimento reciproco (rotazionale) delle membrature, condizione essenziale per il corretto funzionamento della capriata. In generale, vanno il più possibile sviluppati i collegamenti e le connessioni reciproche tra la parte terminale della muratura e le orditure e gli impalcati del tetto, ricercando le configurazioni e le tecniche compatibili con le diverse culture costruttive locali. 9 C8A.5.5 INTERVENTI CHE MODIFICANO LA DISTRIBUZIONE DEGLI ELEMENTI VERTICALI RESISTENTI L’inserimento di nuove pareti può consentire di limitare i problemi derivanti da irregolarità planimetriche o altimetriche ed aumentare la resistenza all’azione sismica; tali effetti devono ovviamente essere adeguatamente verificati. La realizzazione di nuove aperture, se non strettamente necessaria, va possibilmente evitata; nel caso in cui la conseguente riduzione di rigidezza risulti problematica per la risposta globale, sarà disposto un telaio chiuso, di rigidezza e resistenza tali da ripristinare per quanto possibile la condizione preesistente (cerchiatura in acciaio dell’apertura). Un incremento della rigidezza delle pareti murarie, con conseguente modifica del comportamento sismico, si ottiene attraverso la chiusura di nicchie, canne fumarie o altri vuoti, purché venga realizzato un efficace collegamento dei nuovi elementi di muratura con quelli esistenti attraverso la tecnica dello scuci e cuci. La chiusura di queste soluzioni di continuità nella compagine muraria rappresenta anche un intervento positivo nei riguardi dei collegamenti. C8A.5.6 INTERVENTI VOLTI AD INCREMENTARE LA RESISTENZA NEI MASCHI MURARI Gli interventi di rinforzo delle murature sono mirati al risanamento e riparazione di murature deteriorate e danneggiate ed al miglioramento delle proprietà meccaniche della muratura. Se eseguiti da soli non sono sufficienti, in generale, a ripristinare o a migliorare l’integrità strutturale complessiva della costruzione. Il tipo di intervento da applicare andrà valutato anche in base alla tipologia e alla qualità della muratura. Gli interventi dovranno utilizzare materiali con caratteristiche fisico-chimiche e meccaniche analoghe e, comunque, il più possibile compatibili con quelle dei materiali in opera. L'intervento deve mirare a far recuperare alla parete una resistenza sostanzialmente uniforme e una continuità nella rigidezza, anche realizzando gli opportuni ammorsamenti, qualora mancanti. 10 L'inserimento di materiali diversi dalla muratura, ed in particolare di elementi in conglomerato cementizio, va operato con cautela e solo ove il rapporto tra efficacia ottenuta e impatto provocato sia minore di altri interventi, come nel caso di architravi danneggiati e particolarmente sollecitati. A seconda dei casi si procederà: - a riparazioni localizzate di parti lesionate o degradate; - a ricostituire la compagine muraria in corrispondenza di manomissioni quali cavità, vani di varia natura (scarichi e canne fumarie, ecc.); - a migliorare le caratteristiche di murature particolarmente scadenti per tipo di apparecchiatura e/o di composto legante. L’intervento di scuci e cuci è finalizzato al ripristino della continuità muraria lungo le linee di fessurazione ed al risanamento di porzioni di muratura gravemente deteriorate. Si consiglia di utilizzare materiali simili a quelli originari per forma, dimensioni, rigidezza e resistenza, collegando i nuovi elementi alla muratura esistente con adeguate ammorsature nel piano del paramento murario e se possibile anche trasversalmente al paramento stesso, in modo da conseguire la massima omogeneità e monoliticità della parete riparata. Tale intervento può essere utilizzato anche per la chiusura di nicchie, canne fumarie e per la riduzione dei vuoti, in particolare nel caso in cui la nicchia/apertura/cavità sia posizionata a ridosso di angolate o martelli murari. L'adozione di iniezioni di miscele leganti mira al miglioramento delle caratteristiche meccaniche della muratura da consolidare. A tale tecnica, pertanto, non può essere affidato il compito di realizzare efficaci ammorsature tra i muri e quindi di migliorare, se applicata da sola, il comportamento d’assieme della costruzione. Tale intervento risulta inefficace se impiegato su tipologie murarie che per loro natura siano scarsamente iniettabili (scarsa presenza di vuoti e/o vuoti non collegati tra loro). Particolare attenzione va posta nella scelta della pressione di immissione della miscela, per evitare l’insorgere di dilatazioni trasversali prodotte dalla miscela in pressione. 11 Nel caso si reputi opportuno intervenire con iniezioni su murature incoerenti e caotiche, è necessario prendere provvedimenti atti a ridurre il rischio di sconnessione della compagine muraria e di dispersione della miscela. Particolare cura dovrà essere rivolta alla scelta della miscela da iniettare, curandone la compatibilità chimico-fisicomeccanica con la tipologia muraria oggetto dell’intervento. (indispensabili le prove di laboratorio sulle malte esistenti all’interno della muratura da iniettare). L’intervento di ristilatura dei giunti, se effettuato in profondità su entrambi i lati, può migliorare le caratteristiche meccaniche della muratura, in particolare nel caso di murature di spessore non elevato. Se eseguito su murature di medio o grosso spessore, con paramenti non idoneamente collegati tra loro o incoerenti, tale intervento può non essere sufficiente a garantire un incremento consistente di resistenza, ed è consigliabile effettuarlo in combinazione con altri. Particolare cura dovrà essere rivolta alla scelta della malta da utilizzare. L’eventuale inserimento nei giunti ristilati di piccole barre o piattine, metalliche o in altri materiali resistenti a trazione (fibre di vetro o di carbonio), può ulteriormente migliorare l’efficacia dell’intervento. L’inserimento di diatoni artificiali, realizzati in conglomerato armato (in materiale metallico o in altri materiali resistenti a trazione) dentro fori di carotaggio, può realizzare un efficace collegamento tra i paramenti murari, evitando il distacco di uno di essi o l’innesco di fenomeni di instabilità per compressione; inoltre, tale intervento conferisce alla parete un comportamento monolitico per azioni ortogonali al proprio piano. È particolarmente opportuno in presenza di murature con paramenti non collegati fra loro; nel caso di paramenti degradati è opportuno bonificare questi tramite le tecniche descritte al riguardo (iniezioni di malta, ristilatura dei giunti). Nel caso in cui la porzione muraria che necessita di intervento sia limitata, una valida alternativa è rappresentata dai tirantini antiespulsivi, costituiti da sottili barre trasversali imbullonate con rondelle sui paramenti; la leggera presollecitazione che può essere attribuita rende quest’intervento idoneo nei casi in cui siano già evidenti rigonfiamenti per distacco dei paramenti. Tale tecnica può essere applicata nel caso di murature a tessitura regolare o in pietra squadrata, in mattoni o blocchi. 12 L’adozione di sistemi di tirantature diffuse nelle tre direzioni ortogonali, in particolare anche nella direzione trasversale, migliorano la monoliticità ed il comportamento meccanico del corpo murario, incrementandone la resistenza a taglio e a flessione nel piano e fuori del piano. Il placcaggio delle murature con intonaco armato può essere utile nel caso di murature gravemente danneggiate e incoerenti, sulle quali non sia possibile intervenire efficacemente con altre tecniche, o in porzioni limitate di muratura, pesantemente gravate da carichi verticali, curando in quest’ultimo caso che la discontinuità di rigidezza e resistenza tra parti adiacenti, con e senza rinforzo, non sia dannosa ai fini del comportamento della parete stessa. L’uso sistematico su intere pareti dell’edificio è sconsigliato, per il forte incremento di rigidezza e delle masse, oltre che per ragioni di natura conservativa e funzionale. Tale tecnica è efficace solo nel caso in cui l’intonaco armato venga realizzato su entrambi i paramenti e siano posti in opera i necessari collegamenti trasversali (barre iniettate) bene ancorati alle reti di armatura. È inoltre fondamentale curare l’adeguata sovrapposizione dei pannelli di rete elettrosaldata, in modo da garantire la continuità dell’armatura in verticale ed in orizzontale, ed adottare tutti i necessari provvedimenti atti a garantire la durabilità delle armature, se possibile utilizzando reti e collegamenti in acciaio inossidabile (o almeno zincate). Per evitare fastidiosi fenomeni di elevata umidità stagnante all’interno della muratura placcata con intonaco armato, e muffe all’interno dei locali, è consigliabile adottare malte premiscelate pozzolaniche traspiranti al elevata pres Tazione (350/400 kg/cmq) al posto dell’intonaco cementizio tradizionale. Il placcaggio con tessuti o lamine in altro materiale resistente a trazione può essere di norma utilizzato nel caso di murature regolari, in mattoni o blocchi. Tale intervento, più efficace se realizzato su entrambi i paramenti, da solo non garantisce un collegamento trasversale e quindi la sua efficacia deve essere accuratamente valutata per il singolo caso in oggetto. L’inserimento di tiranti verticali post-tesi è un intervento applicabile solo in casi particolari e se la muratura si dimostra in grado di sopportare l’incremento di sollecitazione verticale, sia a livello globale sia localmente, in corrispondenza degli ancoraggi; in ogni caso deve essere tenuta in considerazione la perdita di tensione iniziale a causa delle deformazioni differite della muratura. 13 posizionamento di fibre lungo i maschi Con chiodature Edificio in muratura Cintura di fibre in testa con chiodature Posizionamento di fibre lungo le fasce di piano con chiodature Le fibre consigliate per le murature sono quelle tessute a mesh bidirezionale incollate al sottostrato di mattoni con betoncini speciali traspiranti pozzolanici senza resine ad alte prestazioni. 14 C8A.5.7 INTERVENTI SU PILASTRI E COLONNE Tenendo presente che pilastri e colonne sono essenzialmente destinati a sopportare carichi verticali con modeste eccentricità, gli interventi vanno configurati in modo da: • ricostituire la resistenza iniziale a sforzo normale, ove perduta, mediante provvedimenti quali cerchiature e tassellature; • eliminare o comunque contenere le spinte orizzontali mediante provvedimenti, quali opposizione di catene ad archi, volte e coperture e, ove opportuno, realizzazione o rafforzamento di contrafforti; • ricostituire i collegamenti atti a trasferire le azioni orizzontali a elementi murari di maggiore rigidezza. Sono da evitare, se non in mancanza di alternative da dimostrare con dettagliata specifica tecnica, gli inserimenti generalizzati di anime metalliche, perforazioni armate, precompressioni longitudinali ed in generale, salvo i casi di accertata necessità, gli interventi non reversibili volti a conferire a colonne e pilastri resistenza a flessione e taglio, che modificano il comportamento di insieme della struttura. C8A.5.8 INTERVENTI VOLTI A RINFORZARE LE PARETI INTORNO ALLE APERTURE Negli interventi di inserimento di architravi o cornici in acciaio o calcestruzzo di adeguata rigidezza e resistenza, occorre curare il perfetto contatto o la messa in forza con la muratura esistente. (cerchiature) 15 C8A.5.10 INTERVENTI VOLTI AD ASSICURARE I COLLEGAMENTI DEGLI ELEMENTI NON STRUTTURALI C8A.5.10 INTERVENTI VOLTI AD ASSICURARE I COLLEGAMENTI DEGLI ELEMENTI NON STRUTTURALI DEGLI ELEMENTI NON STRUTTURALI Occorre verificare i collegamenti dei più importanti elementi non strutturali (cornicioni, parapetti, camini), tenendo conto della possibile amplificazione delle accelerazioni lungo l’altezza dell’edificio. C8A.5.12 REALIZZAZIONE DI GIUNTI SISMICI La realizzazione di giunti può essere opportuna nei casi di strutture adiacenti con marcate differenze di altezza che possano martellare e quindi dar luogo a concentrazioni di danno in corrispondenza del punto di contatto con la sommità della struttura più bassa. Tale situazione è molto frequente nei centri storici, dove gli edifici in muratura sono spesso costruiti in aderenza l’uno all’altro e frequentemente sono connessi strutturalmente, magari in modo parziale. In tali casi tuttavia la realizzazione di giunti sismici può risultare di fatto impraticabile e volte addirittura non raccomandabile, in quanto potrebbe introdurre perturbazioni notevoli e di difficile valutazione all’equilibrio di un sistema molto complesso. In alternativa, si può valutare nel possibilità di realizzare il collegamento strutturale; in particolare, il collegamento può essere realizzato a livello dei solai se: a) i solai sono approssimativamente complanari, b) il complesso risultante ha caratteristiche di simmetria e regolarità non peggiori di quelle delle due parti originarie. 16 Bibliografia: Norrme tecniche per le costruzioni D.Min Infrastrutture 14 gennaio 2008. Circolare 2 febbraio 2009, n. 617 C.S. LL.PP. Istruzioni per l’applicazione delle “Nuove norme tecniche per le costruzioni di cui al decreto ministeriale 14 gennaio 2008”. Linee guida Reluis per il rilievo, l'analisi ed il progetto di interventi di riparazione e consolidamento sismico degli edifici in muratura in aggregato – Terremoto dell’Aquila del 6/04/2009. Immagini gentilmente concesse dal Prof. Ing. Graziano Leoni – Università degli Studi di Camerino, Facoltà di Architettura. La Volteco è un’azienda italiana nata a Treviso nel 1976 in ambito di impermeabilizzazioni interrate ed ha sviluppato, grazie ai suoi fondatori, spiccate doti ed interessi nell’innovazione delle soluzioni per l’impermeabilizzazione e protezione delle strutture in ogni loro aspetto. Conoscenze ed intuito hanno portato anche a proporre approcci innovativi, soprattutto per gli anni ’80, al ripristino di strutture in cemento armato e muratura, partendo dall’umiltà di chi, avendo esperienza di cantiere … del “fare”, conosce da sempre la differenza tra teoria e pratica e sa come sia difficile dare soluzioni definitive, ovvero sicure per il cliente. Il fulcro di tale tipologia di approccio è la sostanziale passione per il proprio lavoro e per il raggiungimento dei risultati attesi dalla propria committenza, senza poter lasciare nulla al caso. Marcatura CE ed innovazione tecnologica Ing. Fabrizio Brambilla # Norme tecniche e responsabilità – il nuovo approccio nel “costruire” Da una sintesi dello status normativo all’implementazione della marcatura CE per i materiali strutturali rivolti al ripristino e protezione dell’edificato. Una proposta di lettura della norma UNI EN 1504 e del capitolo 11 del DM 14/01/2008 anche in riferimento alle responsabilità accresciute del direttore lavori per l’applicazione e l’impiego di prodotti a marcatura CE. Lo scenario a cui stiamo assistendo in questi ultimi mesi in Italia è il sostanziale passaggio da un modus operandi demandato alla sostanziale esperienza del “costruttore” senza norme stringenti, se non in riferimento alla sua responsabilità rispetto al committente, ad un ambito operativo in cui sempre più norme tecniche definiscono riferimenti e limiti operativi sia per gli operatori che per i materiali da impiegarsi. Lungi da voler riassumere lo scibile normativo in poche pagine, in questa breve sintesi si vuole tratteggiare il passaggio dal “mastro costruttore” sopra citato alle responsabilità “in solido” che oggi accomuna tecnici ed imprese costruttrici, con lo scopo dichiarato di proporre punti di riferimento per meglio comprendere i cambiamenti in atto e consentire le debite attività di approfondimento e formazione continua che ogni tecnico, giustamente, deve mettere in atto per rimanere al passo con i tempi, sia in merito alle specifiche tecniche che alle tecnologie ed ai nuovi materiali disponibili, e sempre in evoluzione. Una chiave di lettura dell’evoluzione normativa potrebbe essere anche questo passaggio da una visione di centralità del costruttore a quella più moderna di tecnico progettista e direttore lavori, quale regista delle diverse specialità che necessitano oggi in un cantiere edile, a tutela di durabilità e risultati per la committenza. Ovvia conseguenza è considerare anche quali siano le reali garanzie messe in campo per tutelare gli investimenti fatti. Dall’approvazione del Codice Civile l’Articolo 1669 è sempre stato ben conosciuto a costruttori e committenti con l’ovvia parametrizzazione del periodo decennale di garanzie anche per le coperture assicurative sui suoi dieci anni. Un tale periodo prolungato è nato a garanzia del committente per proteggerlo dai cosiddetti “vizi occulti” che impiegano molti anni a sviluppare la propria azione ed evidenza. Fondazioni e strutture inadeguate o mal studiate o realizzate, “presentano infatti il conto” a distanza di tempo, a causa della plasticizzazione di strutture e terreni che hanno comportamenti “viscosi” o comunque rallentati in presenza di situazioni “border line”. Lasciando agli esperti geotecnici e strutturisti il merito della questione, giova sottolineare come, in assenza di fenomeni spiccatamente disastrosi, gli effetti sulle strutture si rivelano a distanza di anni o in concomitanza di eventi particolari (sismi…). Nel nuovo approccio alle costruzioni si parla infatti di “vita utile” e “manutenzione ordinaria” per il cosiddetto “organismo edilizio”, affinchè questi possa esprimere le sue vere potenzialità attese in termini di tempo/prestazioni. Per questo la legge impone che sia il progettista stesso, “inventore” della struttura, a dichiararne la sua durabilità di progetto, purchè soggetta a manutenzione, così come avviene per qualsiasi macchinario come elettrodomestici. ad esempio la nostra auto o i nostri Già nella formulazione del testo unico del 2005 si sono recuperate molte norme tecniche già esistenti e che erano conosciute da pochi “esperti” a causa della loro specificità e, soprattutto della loro mancanza di controlli d’applicazione nelle realizzazioni di strutture in opera. Quanto più una struttura è esposta ad intemperie ed aggressivi e quanto più esprime un forte deterioramento arrivando a degradi notevoli per periodi di esercizio relativamente brevi, anche di pochi anni. Logica vuole che meno si espongono i materiali a sbalzi fisici (temperature, umidità … ) e ad attacchi chimici e quanto meno si innescano in essi forme di degenerazione chimica o fessurazioni/cedimenti della massa. Quando si progetta una struttura per un pilastro interno ad un condominio gli aspetti di degrado sono sostanzialmente ininfluenti, mentre quando si progetta una pila di un pontile marino si devono considerare: moto ondoso, aerosol marino, alternanza acqua/aria (ossigeno e anidride carbonica sono elementi molto reattivi rispetto al cemento), salinità... A questo si aggiungano le azioni combinate di tutti gli elementi citati e le intrinseche prestazioni del conglomerato cementizio in termini di “auto protezione” ovvero di bassa permeabilità superficiale e di bassa porosità efficace, in riferimento anche alla qualità dei componenti di base del calcestruzzo stesso. La capacità di “auto protezione” del conglomerato si raggiunge con un perfetto bilanciamento delle qualità di ogni suo componente, a partire dai leganti e dagli inerti e dalla loro reciprocità fisica (dimensioni e distribuzione) e chimica (reattività e congruenza). Un elemento basilare in questo gioco delle parti è fornito dall’acqua di impasto e maturazione che deve approssimarsi il più possibile a quella stechiometrica per evitare che gli eccessi liberati dopo la presa ed indurimento del calcestruzzo lascino libere porosità tali da veicolare gli aggressivi e l’acqua stessa all’interno della struttura con molteplici problematiche di degrado possibile come bibliografia insegna La diminuzione di esposizione può avvenire grazie ad un riposizionamento delle strutture laddove possibile rispetto all’involucro edilizio (pareti ventilate …) oppure grazie all’isolamento dall’ambiente esterno grazie a protettivi tecnologicamente studiati a tale scopo. Ovvia conclusione è che per poter definire una vita nominale dell’opera si debba “progettarne” anche la durabilità ovvero tutti quagli aspetti materici e stratigrafici atti a prolungarne le possibilità di impiego. Evitare il degrado e mettersi nelle condizioni di poter eseguire ordinaria manutenzione (es.: verificare isolamenti e protettivi e poterli rinnovare e ripristinare) è alla base di una seria progettazione per ottenere la durabilità attesa e da dichiarare. Ogni committente di un edificio ha l’ovvia attesa che il proprio investimento “nel mattone” non sia destinato a durare al massimo dieci anni, mentre l’orizzonte temporale delle medie imprese in Italia era in quest’ordine di grandezza, in funzione delle proprie responsabilità perseguibili a norma di legge. A questa sorta di equivoco generato dal lasso di tempo previsto per l’evidenziarsi dei difetti costruttivi di cui all’Art.1669 del C.C., si è posto rimedio con l’enunciazione dei principi ordinari e straordinari di durabilità per strutture civili ed industriali. Durate fino a dieci anni sono da considerarsi per opere accessorie o provvisorie mentre per qualsiasi opera ordinaria il limite temporale è di 50 anni, periodo che si è misurato dal dopo guerra ad oggi come orizzonte raggiungibile da un buon calcestruzzo armato ben realizzato e ben protetto. Orizzonti anche maggiori sono da prevedersi per quelle opere il cui impatto in termini di mancata funzionalità avrebbero ricadute anche sociali importanti quali ospedali, viadotti, ferrovie… Come poter pensare quindi a durate anche maggiori rispetto a quelle verificate in mezzo secolo di esperienze ? Il segreto principale è proprio quello di progettare anche l’applicazione di elementi protettivi verificabili e mantenibili che isolino completamente la struttura dall’ambiente esterno e dai relativi aggressivi ivi presenti in riferimento sia al conglomerato che all’armatura in esso contenuta. Quando ci si riferisce alla tutela della sicurezza ovvero dell’incolumità delle persone è naturale il livello altissimo di attenzione e reazione che si pone in atto, specie in concomitanza di eventi drammatici come un terremoto. Il sisma dell’Aquila dell’aprile 2009 ha provocato la verifica statica di molti edifici e le considerazioni inevitabili circa la scarsa qualità di opere anche di recente costruzione, con l’ovvia spinta politica ad attivare subito uno strumento nato a recepimento degli euro codici e che doveva attivarsi definitivamente nel 2010. Questa spinta spiega anche perché i legislatori hanno imposto la sua applicazione in forma immediata, dal 1° luglio 2009, anche per cantieri in essere con riguardo alla realizzazione delle strutture. Oltre alle indicazioni progettuali ed alle condizioni al contorno da prevedersi in funzione della localizzazione ed uso dell’edificio, molte innovazioni sono anche riferibili ad elementi finora quasi sottaciuti ma che sono letteralmente basilari per la buona riuscita delle strutture: materiali impiegati e loro messa in opera e verifica. Molte erano le norme tecniche presenti che indicavano come misurare i parametri necessari ma mancava l’inquadramento e gli obblighi di legge per farli applicare in forma diffusa e continuata al patrimonio edilizio. Non si parla inoltre solamente delle nuove costruzioni ma anche delle azioni di ripristino e protezione di edifici esistenti, ancor più complesse non conoscendone nemmeno teoricamente lo status. Come già esplicitato non era tanto l’assenza di norme tecniche che non aveva consentito finora la regimentazione degli interventi secondo canoni dichiaratamente idonei, quanto la mancanza di un “controllore” e di relative sanzioni a costrizione dei vari attori della commessa edilizia nell’applicazione delle leggi stesse. Il binomio investitore-costruttore ha visto l’istituzione di un arbitro con funzioni di verifica e collaudo di tutto il processo : il direttore lavori. Di fatto non è una vera novità normativa, ma la responsabilizzazione di questa figura già presente sul teatro della commessa in termini assoluti come si ritrova nel testo unico è una vera novità. La “responsabilità in solido” con l’impresa del tecnico, implica una presa in carico anche di eventuali errori dell’impresa stessa, specialmente qualora questa sparisca dalla scena per fallimenti o cessazione d’opera. Per questo gli obblighi del DL in termini di identificazione dei materiali impiegati, verifica della loro qualificazione secondo norme con relativa accettazione, non si traducono solo in applicazioni burocratiche ma si compendiano in un aspetto di direzione continuativa del cantiere che era finora disattesa. La giurisprudenza ci ha insegnato che se non era contrattualizzata l’indennità di guardiania, la DL non poteva chiamarsi responsabile degli errori fatti dall’impresa in sua assenza, implicitamente accettando quest’ultima come prassi per molte attività di cantiere. Ora le cose non possono più essere gestite così. Il testo unico entra nel merito di questi aspetti nel capitolo 11 chiarendo quali siano gli aspetti imprescindibili del DL rispetto alla scelta ed impiego dei materiali strutturali: “materiali e prodotti per uso strutturale … il loro impiego nelle opere è possibile soltanto se in possesso della Marcatura CE”. Nessuna mezza misura quindi dall’entrata in vigore delle norme convalidanti l’idoneità tecnica dei materiali per impiego strutturale. E’ invalso il diritto del tecnico di validare i materiali stessi in assenza di specifica normativa attraverso “la qualificazione con le modalità e le procedure indicate nelle presenti norme”, quindi senza possibilità di deroghe rispetto ai risultati attesi. “Materiali e prodotti per uso strutturale innovativi” che non siano ricompresi tra quelli normati dovranno inoltre “essere in possesso di un Certificato di Idoneità Tecnica all’Impiego rilasciato dal Servizio Tecnico Centrale sulla base di Linee Guida approvate dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici”. Non vi sono scappatoie secondo legge e questo dovrebbe “far pulizia sul mercato” rispetto a molti prodotti e materiali a basso costo e basse e disomogenee prestazioni a tutela della vita dei fruitori del mercato delle costruzioni. Il marchio CE è quindi una vera rivoluzione che dovrebbe portare nel tempo ad un cambiamento drastico e definitivo anche nelle proposte commerciali sul mercato interno, con riferimenti certi e comparabili, non più demandate alla capacità dialettica dei product manager. Nello specifico dei ripristini e protezioni dei cementi armati, la norma di riferimento per la marcatura CE dei materiali è la UNI EN 1504. Tale norma tecnica è composta di dieci parti che trattano in dettaglio argomenti specifici e non tutti sono di interesse specifico per i produttori come la parte 1 (definizioni …) e la 8 (conformità di processo del produttore, ovvero sistema di gestione per la qualità ancorché non certificato). Il secondo capitolo della norma tratta dei protettivi ovvero dei materiali deputati ad isolare la struttura dall’ambiente esterno così come il Cutis Protector della Volteco. Il fatto di aver posto quale primo capitolo tecnico operativo quello sui protettivi depone a favore delle scelte progettuali anche per la protezione del nuovo, senza aspettare di aver compromesso la struttura per poterla proteggere e rendere durevole e mantenibile. Solitamente in Italia è invalso il concetto di struttura nuova non protetta, salvo poi analizzare i protettivi dopo aver toccato con mano gli effetti del degrado cui si è posto rimedio con i ripristini resisi necessari. I ripristini strutturali sono sviluppati nei capitoli 3 e 7 per quanto attiene a malte e protettivi di armatura, mentre altri interventi specialistici sono gestiti nei rimanenti punti di norma 4, 5 e 6. Volteco presenta un pacchetto di malte da ripristino perfettamente allineate ai requisiti di norma a compendio di un approccio esaustivo ed integrato di problemi così complessi come quelli in esame. Perché utilizzare una malta premiscelata quando si può usare il buon vecchio sabbia-cemento per ripristinare un cemento armato deteriorato ? Perché complicarsi la vita in cantiere ? Leggendo tra le righe delle prescrizioni di norma la risposta è ovvia: per evitare che il ripristino si stacchi non per degrado ma ancor prima per semplice ritiro volumetrico o mancanza di adesione, per instabilità dettata da comportamenti fisico-meccanici differenti rispetto al supporto (sigma di distacco per schock termico) ed inadeguatezza di adesione, per suzione capillare e/o permeabilità all’acqua con veicolazione di agenti aggressivi (prima tra tutti proprio l’acqua) all’interfaccia con il supporto … Le malte premiscelate hanno rapporti acqua/cemento calibrati con fluidificanti che rendono applicabile la malta senza neecessità di acqua in eccesso, dispongono di espansivi che agiscono in parallelo ai fenomeni di ritiro annullandoli, dispongono di additivi antischiuma che evitano l’inglobamento di aria e quindi la formazione di porosità, dispongono di apporti polimerici a migliorarne deformabilità ed aggrappo… in una parola identificano la soluzione ottimale. La UNI EN 1504 presenta anche due capitoli finali specificatamente studiati per la definizione delle caratteristiche in sede progettuale (parte 9) e in sede cantieristica e di collaudo (parte 10), con una sinteticità e praticità che portano ad affermare siano una sorta di check list ideale per ogni buon tecnico approcci queste tipologie di intervento; quel che si dice una sorta di “codice di buona pratica”. Tra i principi basilari enunciati nel capitolo 9 della norma si legge l’importanza dell’impermeabilità all’acqua per interventi durevoli. L’acqua è senz’altro il miglior solvente in natura e veicola gli aggressivi all’interno della struttura ma genera anche azioni chimiche dirette sugli stessi componenti il conglomerato attivando molecole leganti non ancora idratate o interagendo con eventuali inerti reattivi, azioni fisiche (gelività …) o meccaniche (asportazione…). La norma è pervasa di attenzioni inerenti la presenza di acqua sia in forma di permeazione che di evapotraspirazione, arrivando così ad individuare il suo allontanamento dalla struttura come elemento distintivo dell’intervento di protezione. La protezione e riparazione di marciapiedi e gronde è una risposta a questa evidente necessità di diminuire la commistione acquastruttura. Insieme all’acqua l’altro elemento importante ai fini protettivi è l’anidride carbonica che creando carbonatazione nel calcestruzzo cambia il PH ambientale in cui le armature in acciaio trovano il loro ambito protettivo ideale, innescandone processi degenerativi accelerati. Ovviamente cloruri e solfati sono altrettanto deteriori con la loro azione disgregante sulla pasta cmentizia per formazione di Sali di ettringite e thaumasite, fortemente espansivi, che si configurano per il cmeneto così come l’ossidazione dei ferri, la ruggine, opera nei confronti delle armature metalliche. Sempre la norma fa chiarezza sui rivestimenti protettivi indicandone limiti dimensionali accettabili e categorizzandoli per tipologia ed efficacia. Un’impregnazione idrofobica tratta la superficie esterna del supporto generandone un’azione sulla molecola d’acqua che non ne facilita la rottura e quindi assecondandone lo scorrimento in assenza di pressione. Di fatto porosità e disomogeneità restano aperte verso l’ambiente esterno ed il grado di esposizione non varia sostanzialmente. L’impregnazione vera e propria riesce a trattare i primi micron di profondità del supporto arrivando anche a rivestire le porosità maggiori ed a occludere i pori più piccoli. Non genera però spessore e non riesce a lavorare in modo autonomo ma praticamente varia la superficie del supporto pre-esistente. Il rivestimento o coating è invece l’elemento isolante per antonomasia, secondo normativa, arrivando ad isolare integralmente la struttura dall’esterno e diminuendo quindi l’esposizione secondo anche le riflessioni già fatte in termini di durabilità e vita utile. Il rivestimento deve ovviamente avere spessori congrui, di alcuni millimetri, risultare continuo, impermeabile ad acqua ed aggressivi, traspirante rispetto alla permeabilità al vapor d’acqua del calcestruzzo. Pur configurandosi anche l’intonaco quale elemento protettivo esterno, il vero rivestimento protettivo deve avere peculiarità che il normale intonaco in uso non riesce a raggiungere in termini di deformabilità ed impermeabilità, così come di congruenza con i movimenti del supporto. Il rivestimento o coating è l’unico elemento protettivo che assolve egregiamente ad ogni aspetto protettivo richiesto dalla norma. Considerando tutti gli elementi di attenzione, i principi, per i fenomeni di degrado, la norma evidenzia come il rivestimento sia l’unico in grado di assolvere in modo completo alle esigenze protettive. Il completo isolamento dall’ambiente esterno mantenendo fuori l’acqua esterna, consentendo la traspirazione del residuo vapor d’acqua del calcestruzzo, resistendo agli aggressivi quali cloruri e solfati, si deve compendiare anche con una adeguata barriera all’anidride carbonica. Secondo norma la protezione secondo cui un rivestimento si può definire “barriera alla CO2” è uno spessore d’aria equivalente (SD) pari o superiore a 50 m. Sostanzialmente il rivestimento deve generare una resistenza al passaggio della CO2 pari a quella generata da uno spessore di 50 m di aria. Nello specifico il Cutis Protector 2 di Volteco ha ottenuto certificazione da enti terzi di un SD pari a 335 m, ben oltre sei volte il limite di norma. Va anche precisato che la certificazione CE ha introdotto non solo metodi di verifica ma anche parametri numerici da superare decisamente impegnativi al fine di ottenere l’idoneità tecnica. Resta peraltro la capacità di sviluppo tecnologico di produttori leader di settore, in grado di ottenere prestazioni assolutamente vincenti, ed al momento irraggiungibili sul mercato, grazie ad esperienza pluridecennale nel settore con esperienze e competenze pratiche. Oltre ad isolare la struttura dall’ambiente esterno, si è detto che la norma specifica l’importanza di controllare l’umidità consentendone lo smaltimento quando questa si accumuli o si trasferisca all’interno della massa del conglomerato. Una traspirabilità adeguata consente infatti di evitare accumuli a tergo del rivestimento protettivo con rischi di distacco per gelività o solubilità di parti del supporto (inerti o leganti) non completamente combinate. Un capitolo importantissimo è poi l’aspetto delle fessurazioni che ingenerano vie preferenziali di accesso profondo per aggressivi ed acqua by-passando l’eventuale trattamento esterno qualora questo presenti cedimenti. La difficoltà di intervento è determinata dal fatto che non si sta parlando di giunti preordinati e visibili/identificabili, ma del supporto nel suo insieme che può cavillare in modo disomogeneo e pressoché casuale, determinato da fattori come composizione e maturazione, o sollecitazioni termiche indotte dal contatto con l’ambiente. Situazioni del genere inducono l’apertura di fessure posteriormente alla posa del protettivo ed in modo assolutamente imprevedibile, con necessità di poter disporre di coating deformabili ed estensibili, in grado di compensare il fenomeno puntualmente ed in modo diffuso. L’apertura di una fessura crea sollecitazioni fortissime nel rivestimento che deve reagire assottigliandosi per crea la maggior lunghezza necessaria: Crack Bridging Ability La direttiva europea sancisce la tipologia di marcatura e la legge italiana che la richiama ratifica sia le tipologie di materiali sottoposti a marcatura CE che, attraverso le specifiche norme tecniche, i metodi per verificarne idoneità ed applicabilità. Rammentando come il tutto si obbligatorio ormai dal 1 luglio 2009 per ogni struttura edificando o in fase di manutenzione e ripristino, risulta evidente come sia importante anche conoscere i vari tipi di marcatura CE e i metodi per riconoscerli e verificarli. In primis etichettature e specifiche di scheda tecnica non possono essere inventati o adattati dal produttore che deve attenersi ad uno specifico format ben espresso anche in forma grafica nella norma. Vi sono poi caratteristiche obbligatorie altrimenti non è commercializzabile il prodotto mentre altri sono di carattere volontario o meglio identificano la specializzazione del prodotto. Usare ad esempio un protettivo rigido su una struttura in elevazione soggetta a movimenti termici vanifica l’intervento a causa delle fessurazioni che possono creare by-pass al rivestimento da parte degli aggressivi: spetta al progettista verificare tali elementi. La permeabilità al vapore deve essere commisurata a quella espressa dal supporto, mentre l’impermeabilità ad acqua ed aggressivi deve essere comprovata per poter parlare di isolamento protettivo vero e proprio. Ragionamenti analoghi vanno fatti anche in riferimento alle malte da ripristino ed ai relativi campi di impiego secondo norme. Per quanto riguarda poi le marcature CE va precisato che quanto analizzato in questa sede riguarda quelle di tipo strutturale ovvero quelle soggette a sistema di verifica 2+, che significa gestione e controllo del processo, verifica prestazioni in controllo di qualità e test iniziali di certificazione prestazionale con verifica di ente terzo sia sui test iniziali che periodicamente sul processo. Questa tipologia di marcatura è la più articolata e riguarda sia i materiali strutturali che quelli impermeabilizzanti quali teli impermeabili (Volgrip …), questi ultimi a far data dal settembre 2005. Mancando un controllore e delle sanzioni dedicate, il settore dell’impermeabilizzazione soffre ancora non verificandosi l’applicazione delle norme come per le strutture. Un’altra categoria di marcatura CE è quella degli intonaci che sostanzialmente si configura come autocertificazione (sistema 4) con possibilità di verifiche a campione da parte di ente di certificazione. In sostanza sono state introdotte norme che sono finalizzate a inquadrare e riordinare il mercato aspettandosi che il mercato stesso finisca per selezionare i fornitori idonei a sostenerlo, grazie alle scelte di progettisti, direttori lavori, imprese e committenze avvedute e che pretendono qualità reali a fronte del loro investimento finanziario così come di competenze o lavoro. L’edilizia italiana non è più un’isola ed il confronto con il resto dei paesi europei, anche a casa nostra, sarà la sfida dei prossimi anni, con obiettivo di riqualificare il settore. Marcatura CE ed innovazione tecnologica Ing. Fabrizio Brambilla # Protezione del cemento armato e dell’involucro edilizio Sintetizzando gli aspetti salienti dei protettivi si passa all’analisi delle tipologie tecnologiche in uso per esplicitare l’approccio Volteco alla ricerca scientifica ed innovativa nel settore. Da una felice intuizione sviluppata nei tardi anni ’80 ad un’esperienza maturata sul cantiere a partire dai primi anni ’90 per una comprovata esperienza nel settore della protezione impermeabile dell’edificio, sia per le parti ipogee che per quelle in elevazione. La protezione dell’involucro edilizio e delle sue strutture è un argomento vasto e che attraversa varie tipologie costruttive. La protezione del cemento armato è un elemento distintivo degli ultimi anni anche a fronte dell’esperienza dell’edificato dal dopoguerra ad oggi con evidenza dei problemi di durabilità e relativo degrado. Impermeabilità all’acqua quale elemento fondante per le specificità di questo ottimo solvente in termini di degrado diretto ed in funzione di solvente per molteplici aggressivi. Protezione dall’ingresso degli aggressivi più comuni a partire dall’anidride carbonica per il suo effetto di carbonatazione del calcestruzzo con induzione di degrado accelerato nei confronti delle armature metalliche. Elasticità e deformabilità per evitare che il protettivo venga by-passato dalle sostanze di cui sopra. I rivestimenti tipici sono classificabili come elementi esterni alla struttura e che determinano una sorta di separazione dall’ambiente esterno. Tale separazione può estrinsecarsi in alcuni millimetri di intonaco o in pochi micron di pittura con effetti finali sulla durabilità decisamente differenti e comunque non esaustivi, a meno di utilizzare protettivi speciali appositamente studiati per ottemperare alle richieste di isolamento rispetto a sostanze specifiche. Altrettanto importante ai fini della stabilità e durata del rivestimento è la sua congruenza con il sottostante supporto con il quale deve condividere fessurazioni. sollecitazioni e movimenti evitando distacchi e Le tecnologie in uso si possono riassumere in tre grandi famiglie dal punto di vista dei leganti impiegati: resine organiche, resine organicominerali e leganti minerali. Le prime due famiglie annoverano tipicamente prodotti filmogeni o comunque con spessori di pochi micron, mentre la famiglia dei leganti minerali parte dai rasanti da un millimetro per arrivare fino agli intonaci da vari millimetri di spessore, tendenzialmente rigidi. Facendo in un certo senso “un passo in dietro” nel tempo, è opportuno riassumere brevemente quanto sia stato sviluppato in termini di protettivi deformabili a spessore di tipo cementizio. Quello che Volteco (prima del settore ad aver formulato e prodotto materiali di questo genere) ha denominato “guaine cementizie” a simboleggiarne le caratteristiche principali di deformabilità/elasticità e la base legante cementizia, ha visto innumerevoli segmentazioni tecnologico-applicative. L’intuizione Volteco negli anni ottanta-novanta era stata quella di non inseguire una resistenza meccanica esasperata, a fronte di caratteristiche che privilegiassero congruenza meccanica e chimica con il supporto sottostante. A fronte di fessurazioni che potevano aprirsi in tempi successivi alla stesura del materiale si è ricercato un protettivo impermeabile capace di aderire con continuità, ed allo stesso tempo fosse in grado di assottigliarsi per mantenersi continuo e chiuso “scavalcando” ovvero “facendo ponte” sulle discontinuità del supporto. La deformabilità del materiale era necessaria sia per ottenere il comportamento elastico sopra descritto, che per mantenere la stabilità con il supporto, spesso degradato o povero, in modo da evitare il crearsi di sollecitazioni di strappo di quest’ultimo, a fronte di adesioni richieste anche notevoli. Il principio ha trovato applicazione anche nella produzione di malte da ripristino a basso modulo che oggi sono divenute uno standard di riferimento, ma che all’epoca erano assolutamente controtendenza in confronto a malte premiscelate di altre aziende leader, che peraltro proponevano alta resistenza meccanica quale parametro di durabilità. In assoluta controtendenza con quanto proposto dal mercato, Volteco ha, fin dall’inizio e per prima, approcciato il problema dal punto di vista “naturale” privilegiando la congruenza e la continuità rispetto all’imposizione di elementi avulsi dal contesto. La ricerca di materiali compatibili che consentissero comportamenti così diversi ha portato ad impiegare resine acriliche insieme a leganti cementizi. Quanto fino a quel momento era usato in basse quantità per migliorare fluidità e porosità dei getti, venne utilizzato in modo “massiccio” come co-legante delle fasi inerti, ottenendo materiali combinati e complessi sia per comportamento che per formulazione. Basilare era ed è la coazione dei due leganti in fase di miscelazione, presa e “indurimento” del prodotto, con necessità di omogeneo comportamento chimico e temporale (ndr: stessi tempi). Le prime ipotesi di formulazione che produssero il primo Plastivo nel 1990 sono state poi verificate in ambiti scientifici e la felice intuizione misurata a livello di test meccanici in laboratorio LTE Volteco hanno trovato riscontri anche nelle indagini strumentali di alto livello. L’idea che la produzione dei collegamenti da parte dei cristalli di cemento si combinasse con la reticolazione del polimero acrilico, formando un connettivo misto con capacità di deformazione e resistenza, venne poi fotografata al microscopio elettronico. La sua parametrizzazione avviene tramite test di deformabilità con dinamometri strumentati e attrezzature di pull-out classiche. Varie ricerche scientifiche sono state implementate negli anni con varie università quali: Padova, Trento e Venezia. Trovare la giusta combinazione che garantisse stabilità e funzionalità di un prodotto anche in un ambiente eterogeneo e complesso come il cantiere edile ha significato effettuare anche molti test direttamente in ambito operativo, che poi sono stati ripresi nel tempo verificandone anche la durabilità in scala reale (1990-2008). Questo fattore trasferisce molta tranquillità nella proposta tecnologica Volteco in quanto l’invecchiamento accelerato in laboratorio, pur possibile ed effettuato secondo normative, non genera gli stessi effetti di scala della posa in cantiere su materiali così innovativi. La presenza di specie chimiche note insieme a elementi combinati di cui non erano note funzionalità e sensibilità, sono da sempre stati fattori controllati con attenzione da Volteco anche in applicazioni reali. Gli stessi inerti che, per definizione, non dovrebbero interagire creando problematiche ma, semmai, fornire utile scheletro al connettivo del legante; sono stati oggetto di continui affinamenti finalizzati ai diversi impieghi: impermeabilizzazione contro acque in pressione, protezione da pioggia e sbalzi termici. Tutti gli elementi inseriti in miscela sono da sempre stati vagliati con attenzione per effetti diretti e collaterali in un bi-componente che necessitava omogenea distribuzione sia nella parte polvere che in quella liquida al fine di ottenere omogeneità di protettivo finale. Da sempre Volteco ha ragionato in termini di protezione considerando l’impermeabilizzazione quale elemento distintivo e di discontinuità tra ambiente esterno, virtualmente aggressivo, e struttura/edificio. La resistenza agli agenti esterni si è sempre dovuta sposare con la necessità di congruenza con il supporto minerale a base cementizia per garantirne isolamento e durabilità. Da questo approccio la creazione delle cosiddette “guaine cementizie polimero modificate” proprio in funzione di questo felice connubio tra mondi così differenti e distanti: quello minerale e quello polimerico. La scelta del polimero acrilico quale connettivo deformabile è stata sempre riconfermata dai vari progetti di ricerca scientifica, anche con finanziamenti pubblici per riconosciuta innovazione tecnologica a livello ministeriale, quale ottimale per le peculiarità comportamentali del materiale. La resina acrilica è sensibile all’acqua che ne comporta modificazioni comportamentali importanti. Può sembrare quantomeno anomalo affrontare le impermeabilizzazioni con materiali sensibili all’acqua, ma il connubio tra cemento e polimero ne comporta stabilità e durata proprio per la bilanciata funzione di entrambi i leganti nel mix design del prodotto. L’acqua è l’elemento che consente la combinazione chimica di acrilica e cemento che non sono semplicemente miscelati meccanicamente tra loro con azioni fisico meccaniche conseguenti, ma che si interconnettono a livello molecolare stabilizzandosi vicendevolmente. L’interazione chimica con legami ionici è alla base del buon funzionamento di un bi-componente Volteco proprio grazie al rapporto stechiometrico tra i componenti. L’eccesso di uno dei due elementi leganti cambia l’ambiente d’interazione a livello chimico cambiandone anche gli effetti sul risultato finale. In buona sostanza il calcio del legante cementizio funge da nuovo legame tra le catene polimeriche comportandosi un po come lo zolfo nella chimica della gomma. In effetti un risultato simile alla vulcanizzazione della gomma è quello osservabile sui bicomponenti che arrivano ad avere caratteristiche meccaniche e stabilità eccelse proprio come la gomma vulcanizzata rispetto a quella di partenza. Guaine cementizie quindi perché il comportamento è un misto tra guaine deformabili e prodotti cementizi, prendendo da ogni settore le caratteristiche necessarie a soddisfare i parametri necessari. Stabilità all’acqua pur dipendendo da questa per l’interazione chimica di tipo ionico tra i leganti componenti il prodotto. Compatibilità ed interazione con il supporto quale esigenza primaria per durabilità e stabilità degli interventi. Conferimento di caratteristiche meccaniche inusitate grazie alla commistione di diversi campi della chimica e dei relativi risultati. Capacità di adesione continua e totale, ancorché tenace, abbinata alla possibilità di deformarsi senza staccarsi e senza creare sollecitazioni di distacco sul supporto. Possibilità di integrarsi completamente con il pacchetto costruttivo classico così come sui pacchetti di ultima generazione come i rivestimenti “a cappotto”. Tutti questi elementi giocano il loro ruolo insieme ad una porosità bilanciata che consente di mantenere fuori l’acqua allo stadio liquido senza essere barriera al vapore ma, anzi, risultare traspiranti rispetto ad esso. Vista la durabilità di un cemento armato a bassa porosità così come rilevato dagli studi scientifici e le richieste di durata espresse secondo le nuove normative, non ultimo il testo unico sulla progettazione, è evidente l’importanza di un protettivo integrato come quello in presentazione. Impermeabilizzare è proteggere visto che l’elemento primario di degrado, in forma diretta o quale veicolo, è la presenza di acqua. Questa è la motivazione che ha portato Volteco ad occuparsi dei protettivi per le strutture in elevazione con la stessa meticolosità ed attenzione posti in essere per la difesa delle strutture ipogee dall’acqua in pressione. Gli stessi protettivi per facciate e strutture in cemento armato sono testati anche con i medesimi permea metri utilizzati per gli impermeabilizzanti utilizzati per contenimento acque e protezione degli interrati profondi, con analoga severità (test di impermeabilità a 5 metri di carico idraulico per protettivi da facciata). Laddove si debba considerare l’esposizione continua di un edificato a piogge, anche aggressive ed acide, sbalzi di temperatura ed assestamenti, è di basilare importanza prevedere protettivi idonei che siano in grado di lavorare sul proprio spessore (quindi non semplici vernici caricate) per ottenere la Crack Bridging Ability (capacità di far ponte su lesioni postume) necessaria a garantire al continuità del protettivo nel tempo, senza distacchi e con impermeabilità totale. Anche in questo senso Volteco ha precorso i tempi proponendo test e analisi dal 1990 su questi fattori che sono stati normati a livello europeo solo negli ultimissimi anni. Continuità e isolamento della finitura rispetto all’ambiente esterno è un fattore chiave per tutto il sottostante pacchetto costruttivo, quale che sia lo standard utilizzato per il medesimo, ed anche a tutela di altre tecnologie quali isolamento termico e finiture interne. Da queste ricerche ed esperienze è stato generato il Cutis Protector 2, appositamente studiato per la protezione impermeabile e deformabile di strutture in cemento armato. Gli aspetti di protezione e durabilità della struttura sono basilari per l’intero settore delle costruzioni come ampiamente evidenziato dall’implementazione dei testi unici e delle varie norme e decreti degli ultimi anni. A far data dall’entrata in vigore del DM 14/01/2008 (01/07/2009) è infatti obbligatorio utilizzare materiali a marcatura CE per costruzione e ripristino di strutture in cemento armato. Perfettamente in linea con la norma UNI EN 1504 dal punto di vista di idoneità tecnica e conseguente marcatura CE, il Cutis Protector 2 è altamente performante anche rispetto agli elevati standard richiesti. A fronte di un minimo SD (spessore d’aria equivalente) di 50 per considerarsi “barriera alla CO2” secondo normativa, il Cutis Protector 2 sviluppa un valore di ben 335 m (ben oltre le 6 volte la soglia) certificato da ente terzo rispetto a Volteco. Questo a dimostrazione che la proposta tecnologica Volteco, che ha precorso anche la normativa vigente, ha profonde radici di competenza e sviluppa proposte di altissimo livello sia per risultati che per affidabilità. Giova infatti rammentare che il progenitore del Cutis Protector 2 ha visto la luce nel 1991 con il nome di Plastivo Concrete Protection, sviluppando referenze importanti e durevoli verificabili tuttora. Nella quotidianità di ognuno è leggibile l’evidenza della problematica della durabilità del costruito, anche attraverso la semplice analisi visuale di quanto ci circonda in termini di facciate. L’esposizione agli agenti atmosferici produce varie tipologie di effetti evidenti come l’esfoliazione superficiale di vernici e pitture così come di taluni intonaci. Formazione di depositi di sporco e di muffe evidenziano la cosiddetta “presa di sporco” delle finiture che sono un primo passo verso depositi di ogni tipo che, combinati con acqua, producono l’ambiente idoneo alla proliferazione di varie tipologie di aggressivi L’assenza di gronde e sporgenze che evitino lo scorrimento delle acque meteoriche lungo le pareti esterne degli edifici è senz’altro un aspetto di modernità architettonica che peraltro non recupera la conoscenza atavica del saper costruire evitando i problemi alla radice. Anche laddove si costruisce in modo tradizionale si legge comunque come la mancata continuità e congruenza tra elementi costruttivi differenti inneschi fenomeni di assestamento ben evidenti tramite fessurazioni di varia entità e distacchi delle porzioni più esterne dell’edificio. Oltre all’evidenza del fenomeno questo implica anche la creazione di vie preferenziali di accesso di aggressivi dall’esterno direttamente in profondità nell’involucro edilizio. Partendo dalla finitura pittorica si arriva alla struttura. Infiltrazioni di acqua così come esposizione più diretta delle strutture agli aerosol marini così come semplicemente all’anidride carbonica pregiudicano consistenza e durata dei materiali impiegati a partire dal legante tipico: il cemento. Quando poi le permeazioni di acqua derivano da by-pass di protezioni e coperture, il fenomeno si evidenzia, prima ancora che esternamente, sui materiali di interfaccia tra i vari strati costruttivi, con innesco di delaminazioni e distacchi delle porzioni di rivestimento più esterno, accompagnate da disgregazione materica per formazione di sali e per fenomeni gelivi. La definizione delle tecnologie prestazionali idonee è oggettivamente la strada corretta per risolvere le problematiche. Talvolta però anche questo approccio non garantisce i risultati desiderati, specie in termini di durabilità, a causa di una scorretta impostazione tecnica che vede come “prestazionale” ovvero “ottimale” l’impiego di materiali con alte resistenze, nell’ottica che rigidità e resistenza siano sinonimi automaticamente di soluzione duratura. L’equivoco di fondo è legato proprio ai parametri necessari di congruenza tra materiali e tecnologie di intervento e supporto/contesto su cui si opera. Non è pensabile di contrastare movimenti ed assestamenti con la sola finitura esterna in quanto sarebbe come tentare di mantenere insieme un edificio con una benda rigida, risultato: distacco e crepe. Per questa ragione un’azienda come Volteco, nata nel 1976 in Italia nel settore delle impermeabilizzazioni, si è occupata negli anni dei vari aspetti che isolamento e protezione dall’acqua implicano nel settore delle costruzioni civili ed industriali. L’approccio a problemi così diversi è molto differente in funzione che si debba isolare l’edificio da acqua in pressione piuttosto che evitarne la permeazione per eventi meteorici o facilitarne evaporazione e traspirazione quando la sua presenza è intriseca all’edificio stesso. Diversi sistemi tecnologici sono stati approntati all’uopo, con precipua volontà di ricerca delle cause scatenanti i fenomeni, per garantirne soluzioni certe, esaustive ed affidabili nel tempo. Affrontare le problematiche delle facciate significa anche e soprattutto predisporre soluzioni affidabili e durature che evitino il ricorso a manutenzioni frequenti e, quindi, costose. Infatti i maggiori oneri di tali lavorazioni sono sostanzialmente riferibili all’installazione del cantiere, in termini di occupazione del suolo e di ponteggi, nonché di mano d’opera. Oltre a questi aspetti economico-organizzativi si deve poi ragionare su cosa significhi non riuscire ad ottenere una soluzione duratura in termini di degrado progressivo che potrebbe non subire una reale soluzione di continuità, con incremento progressivo delle problematiche nel tempo. In tal senso è nota “la legge del 5” che indica la progressione con cui i costi di manutenzione incrementano con l’attesa di intervento. Di fatto le principali esigenze esplicite di un rivestimento per facciata sono: l’impermeabilità per evitare permeazioni di acqua meteorica, traspirabilità per evitare accumulo e condensazioni interstiziali del vapor d’acqua tipicamente creatosi all’interno degli edifici nella stagione fredda, ed elasticità per poter assecondare i movimenti del supporto sia in termini di risposta alle variazioni climatiche che per gli assestamenti tipici di tutti gli edifici. Per queste motivazioni Volteco è partita a studiare con un pool di esperti esterni il costruito dal dopo-guerra ad oggi in ogni regione italiana per evidenziare i pacchetti costruttivi tipici e le ricorsività tecnologiche che potevano tornare utili alla standardizzazione dei modelli di calcolo. A fronte di questi elementi si sono definite le caratteristiche ideali per un protettivo in termini di traspirabilità e deformabilità. Le tipologie più stratificate, soprattutto se le stratigrafie non sono corrette in senso igrometrico di passaggio del vapore, sono ovviamente risultate quelle più a rischio, a fronte di situazioni più omogenee che sono oggettivamente più stabili anche se magari meno isolate termicamente. Quello che sembrava essere un elemento problematico come lo sbalzo termico è risultato essere solo un elemento vincolante mentre quello scatenante i fenomeni più complessi e problematici è risultata la percentuale di umidità ambientale: più che basse temperature è la presenza di nebbia o condense atmosferiche a creare problemi. Applicando a questi elementi i calcoli stagionali ed annuali per ogni provincia italiana e verificandone le incidenze puntuali, nei momenti peggiori, con diagrammazioni Glaser, si sono graficizzati i comportamenti dei singoli pacchetti costruttivi. Dall’evidenza dei calcoli si è potuto riscontrare che per qualsiasi situazione esente da problematiche di condensa, l’applicazione del protettivo bicomponente Cutis Protector 1 non ha innescato alcun problema o variazione del ciclo igrotermico. Laddove la situazione è risultata già compromessa l’aggiunta del Cutis Protector 1 non ha fatto degenerare la situazione pur non potendola risolvere da solo ma necessitando una implementazione di isolamento termico opportunamente posizionato. Nelle situazioni chiamate “border-line” il Cutis Protector 1 non ha creato le condizioni per la degenerazione dei fenomeni condensanti garantendo comunque la traspirabilità residua già instaurata dal pacchetto esistente. Volendo quindi proporre al mercato un sistema che impermeabilizzasse l’esistente senza creare scompensi in situazioni bilanciate ma nemmeno in altre “a rischio” si è congiuntamente ritenuto ottimale il livello di prestazioni individuate. Quanto riscontrato in fase di ricerca universitaria è divenuto poi il pacchetto di richieste base per il Cutis Protector 1 perseguendone la relativa formulazione ed i successivi test sul campo, portati avanti per due anni in tutta Italia prima della commercializzazione. Focalizzando l’aspetto dell’impermeabilizzazione traspirante, il Cutis Protector 1 garantisce prestazioni assolutamente di livello con una capacità isolante garantita con test di 5 m di battente idraulico, a certezza di qualsiasi esposizione meteorica. Un approccio di questo tipo può sembrare anche esagerato considerando l’assenza di pressione in acqua meteorica in caduta libera, ma va detto che la pressione esercitata dal vento piuttosto che situazioni architettoniche particolari possono ingenerare situazioni altamente pregiudicanti un normale film protettivo semplicemente idrorepellente. Meno acqua riesce ad entrare o, meglio, assicurandosi che non ne possa entrare per nulla si ottengono le migliori garanzie di assenza di carico di umidità nelle muratura. Infatti è molto più spesso questo il fattore scatenante i peggiori problemi in edilizia piuttosto che la sola condensa, fattore problematico ma che sottende a quantità di acqua decisamente minori del precedente. Volendo quindi trattare l’aspetto di passaggio del vapor d’acqua, la ricerca Volteco ha creato pacchetti protettivi compositi che, visti da vicino, esprimono appieno questa “apertura” calibrata. Il fattore di protezione ottenuto con Cutis Protector 1 è stato poi volontariamente certificato secondo le severe prove della UNI EN 1504 ottenendo la marcatura CE quale certificazione di idoneità del pacchetto proposto quale protettivo impermeabile. Le caratteristiche ottimali per un protettivo come quello proposto collimano anche con i parametri individuati per interventi su facciate quali la bassa “presa di sporco” e la capacità precipua di essere utilizzato su supporti minerali o verniciati (purché stabili), grazie alla sua dualità di legante: minerale e polimerico. Dall’analisi al microscopio elettronico si può apprezzare poi l’estrema differenza con le immagini delle guaine cementizie impermeabilizzanti già riportate (più compatte e massicce), ad evidenziare la stratificazione impermeabile continua, ma “aperta” al passaggio delle molecole del vapor d’acqua, che risulta calibrata al massimo per ottenere i risultati attesi. La stessa tipologia di inerti è completamente differente dagli altri prodotti bi-componenti così come la tipologia di leganti cementizi e lo stesso polimero. Il mix design si spinge anche a livello di questi composti che sono a loro volta oggetto di idonee miscele di componenti performanti. Ottenere stratificazioni calibrate senza depositi e separazione tra le differenti fasi del bi-componente non risulta agevole soprattutto a causa dei differenti pesi specifici e della miscelazione “eterogenea” che spesso può avvenire in cantiere. La partenza sincrona delle fasi di presa del cemento e della reticolazione del polimero è inoltre caratteristica basilare per ottenere combinazioni bilanciate dei due leganti grazie al legame ionico che si instaura stabilizzando il bi-componente per come è stato strutturato. Dopo tanti aspetti storici e scientifici passiamo a vedere gli sviluppi pratici e tecnologici di una così consolidata e padroneggiata tecnica formulativa e produttiva. Il mercato del “costruito” e della manutenzione è estremamente eterogeneo e presenta problemi articolati che devono essere risolti da specialisti di settore in grado di integrarsi perfettamente con le altre tecnologie concorrenti al risultato finale (isolamento, impianti …). A fronte di un prodotto come il Cutis Protector 1 si è sviluppato un intero pacchetto di prodotti studiati come sistema integrato per un approccio segmentato e mirato alle facciate. L’ulteriore prestazionalità in termini di Crack Bridging Ability si può ad esempio raggiungere, soprattutto su superfici già cavillate in modo distribuito e differenziato, con l’interposizione tra prima e seconda mano di Cutis Protector 1 dell’apposita rete Flexonet con funzione di moltiplicatore delle capacità di allungamento, contrariamente a quanto normalmente avviene con le classiche retine porta-intonaco presenti sul mercato. A completamento del sistema è stata studiata e prodotta un’apposita malta premiscelata denominata Fibromix 41, per il ripristino dell’intonaco quando mancante o eliminato perché decoeso ed instabile. Il pacchetto si completa poi con la pittura acril-silossanica Paint-Air che completa e mantiene le prestazioni del Cutis Protector 1 sia in termini di protezione impermeabile che di traspirabilità. Interventi fuoriquota di recupero delle strutture in c.a. Ing. Gianluca Belverde – Servizio Tecnico Volteco S.p.A. # Degrado delle strutture L’argomento che andremo a trattare è talmente vasto e bibliograficamente ricco che giocoforza procederemo, nella trattazione seguente, con il contestualizzarlo relativamente a quelli che sono gli obiettivi dell’incontro odierno, cioè alla finalità di presentare delle tecnologie per il recupero delle strutture in cemento armato che si caratterizzano per il loro alto livello di prestazionalità. L’importanza della materia ci obbligherà comunque a, seppur brevi, cenni teorici e normativi, per meglio illustrare quei fenomeni che è necessario considerare allorquando ci si trovi a dover operare su manufatti in cemento armato che abbiano subito, e stiano subendo, processi di degrado. Sovente l’osservazione delle strutture in cemento armato presenti nelle nostre città consente di evidenziare fenomeni macroscopici di degrado; questi possono apparire sotto forma di “semplice” fessurazione, oppure presentare aspetti di disgregazione superficiale, di esfoliazione, di essudazione, fino ad arrivare a situazioni di vera e propria espulsione di materiale e disgregazione profonda, con la messa a nudo delle armature. Come è noto il fenomeno del degrado del cemento armato può essere determinato da differenti cause, come - carbonatazione - attacco dei solfati - reazione alcali-aggregato - attacco dei cloruri - dilavamento - cicli gelo/disgelo che spesso agiscono simultaneamente. Per esempio in città gli edifici in cemento armato sono soggetti, oltre che all’azione delle intemperie, a quella dell’acqua percolante da fioriere e balconi, che contribuisce notevolmente alla creazione di situazioni di ammaloramento. Le tipiche azioni degli agenti chimici presenti nell’ambiente (quelle dei cloruri, attacchi di tipo acido, solfatico, reazioni alcali aggregato che procedono e sono esaltate dai fenomeni di fessurazione tipici del calcestruzzo ecc. ) vengono infatti comprensibilmente accentuate dall’azione di erosione e dilavante dell’acqua, che completa la disgregazione delle parti del manufatto soggette a tale fenomeno Nelle zone fortemente antropizzate le continue emissioni di gas nocivi rendono ragione del fatto che gli edifici possano presentare parti notevolmente ammalorate soprattutto laddove non siano stati preventivamente adottati sistemi per la protezione a garanzia della durabilità del calcestruzzo; questo comporta che spesso è possibile rilevare anche la presenza di ferri completamente “fuoriusciti” dal calcestruzzo, con le ovvie considerazioni che ne possono seguire dal punto di vista strutturale. All’erronea convinzione del calcestruzzo visto come “materiale eterno” è seguita quindi nel corso degli anni la consapevolezza di dover provvedere alla manutenzione periodica delle strutture in conglomerato ed alla protezione delle stesse sin dalla fase della loro realizzazione. Consapevolezza ben presente anche nel legislatore come è vero che le NTC non solo responsabilizzano riguardo ai materiali ma si preoccupano di indicare che la “durabilità” deve essere garantita anche comprendendo eventuali misure di protezione e manutenzione; è intuibile come un idoneo sistema di protezione del calcestruzzo consentirà di dilatare quindi gli intervalli temporali tra gli interventi manutentivi in facciata, con ovvi benefici in termini economici. Il tecnico incaricato di progettare un intervento di recupero o di manutenzione di una struttura in cemento armato avrà come ____ riferimento anche la norma UNI EN 1504 “Prodotti e sistemi per la protezione e la riparazione delle strutture di calcestruzzo” norma che fissa i requisiti essenziali dei prodotti dedicati alla protezione ed al ripristino del calcestruzzo. Al professionista, al quale già in fase di elaborazione del progetto di intervento viene richiesta una determinazione qualitativa e quantitativa dello stato di fatto del manufatto oggetto del futuro intervento, le procedure stabilite dalla norma UNI richiedono anche che già a partire dall’indagine conoscitiva dovranno essere indicate le modalità di ripristino e protezione, gli obiettivi e le risultanze prestazionali in funzione della garanzia di durabilità e di efficienza prescritte per quel tipo di costruzione. Un’attenta campagna di indagine dovrà consentire perciò di individuare la profondità delle parti di c.a. ammalorate e quindi dimensionare, quanto più correttamente possibile, i volumi di intervento e l’eventuale ripristino delle armature laddove queste risultassero mancanti o eccessivamente compromesse da fenomeni di ossidazione. Il ciclo di ripristino e protezione del cemento armato dovrebbe quindi comprendere le seguenti fasi: - indagine diagnostica; - demolizioni; - pulizia; - trattamento e protezione dei ferri mediante utilizzo di passivanti di natura cementizia, al fine di non creare strati di separazione tra armature e successive malte da ripristino; - ricostruzione dei volumi originari mediante idonee malte da ripristino, aventi differente comportamento meccanico a seconda di spessori e tipologie strutturali certificate secondo normativa vigente per gli usi alle quali saranno destinate (marcatura CE in rif. al D.M. 14/01/2008 ed UNI EN 1504); - rasatura protettiva al fine di garantire protezione e durabilità dell’intervento mediante idoneo rasante certificato mediante marcatura CE (rif. D.M. 14/01/2088 “Principi fondamentali” e UNI EN 1504); - eventuale finitura protettiva decorativa. Ovviamente l’adozione di materiali regolarmente certificati da marcatura CE mentre da un lato servirà a garantire efficacia e durabilità dell’intervento, dall’altro tutelerà Progettazione e Direzione Lavori sulla bontà della scelta dei materiali e delle procedure operative. Ricordiamo infatti come delle dieci parti nella quale è suddivisa la norma UNI EN 1504 le prime otto riguardino essenzialmente produttori e prodotti, mentre la nona sia dedicata alle scelte di intervento e prodotti (mirata quindi alla progettazione) e la decima alla posa, al cantiere ed ai controlli (ovvero a quel che concerne la direzione lavori ed il collaudo). Le fasi di indagine e diagnosi potranno procedere secondo il seguente iter procedurale: - raccolta di notizie utili (storicità); - sopralluoghi (esami visivi); - prove in sito; - eventuali prove in laboratorio; - confronto critico dei dati; - diagnosi finale. Per la valutazione degli spessori di calcestruzzo che dovranno essere asportati è di particolare importanza la determinazione della profondità delle zone di calcestruzzo carbonatato. A tal proposito si potrà effettuare una stima della profondità di carbonatazione procedendo con prelievi mediante carotaggi; la profondità di carotaggio dovrà essere stabilita in relazione allo spessore di cls che si ritiene poter influenzare lo stato dell’armatura. Laddove i copriferri appaiano visibilmente staccati dall’armatura i campioni per le analisi potranno essere prelevati anche “manualmente” con l’ausilio di appositi utensili. Il numero di campioni dovrà quindi essere ovviamente sufficiente per consentire la stima degli spessori carbonatati di tutta la struttura. In cantiere è pratica usuale mettere in evidenza le superfici di calcestruzzo carbonatate bagnando le stesse con una soluzione alcolica di fenolftaleina (soluzione di fenolftaleina all’1% in alcol etilico), che vira al rosso al contatto con materiale il cui pH sia maggiore di 9,2 e rimane incolore per valori di pH minori; ovviamente a colorarsi di rosso sarà la superficie non carbonatata Oltre a quanto sopra riassunto possono anche essere realizzati altri tipi di prove atte a fornire una stima delle caratteristiche meccaniche del calcestruzzo del manufatto in oggetto. Per esempio una stima della resistenza cubica locale a compressione del calcestruzzo potrà essere realizzata mediante prove a compressione su provini ricavati da carote. Si procederà effettuando carotaggi nel cls prelevando campioni di diametro 100 mm ed effettuando la stima della resistenza cubica a compressione del calcestruzzo equivalente ai “controlli di accettazione” del calcestruzzo in opera per strutture nuove stabiliti dal D.M. 14/01/2008. Il prelievo di carote potrà consentire anche la determinazione del profilo di penetrazione degli ioni cloruro estraendo i cloruri dal calcestruzzo con acqua o con acido nitrico. Prove colorimetriche alla fluoresceina potranno essere utilizzate per verificare la presenza di degradazioni causate da cloruri. Sempre mediante esami delle carote potrà altresì essere valutato un attacco solfatico. Le operazioni ovviamente dovranno essere eseguite sia in zone con calcestruzzo sano sia in quelle che presentino degradazioni per poter verificare la provenienza del solfato (se esterna o già contenuta nella pasta cementizia per un errato confezionamento). Al fine di diagnosticare la presenza di ettringite, si potrà effettuare _ un’analisi diffrattometrica dei raggi X (DRX); sempre con l’analisi diffrattometrica potranno evidenziarsi eventuali reazioni alcali aggregati. A volte le classiche prove sclerometriche potrebbero risultare invece poco attendibili laddove sia presente un diffuso stato di degrado della superficie. Per l’analisi dei ferri si potrà effettuare una valutazione delle dimensioni degli stessi post rimozione delle parti ossidate mediante energica spazzolatura; mediante prove in laboratorio (analisi diffrattometriche) si potrà eventualmente determinare la composizione chimica della lega; al microscopio elettronico a scansione (SEM), si potrà accertare la presenza di un attacco perforante (pitting), dovuto a cloruri e/o solfati, o di una corrosione uniformemente distribuita, la cui causa sarà da ricercare nella carbonatazione del calcestruzzo. Una volta determinati i volumi delle parti ammalorate si potrà procedere con la rimozione di queste anche quando solo soggette ad efflorescenze ed a fenomeni di umidità secondo procedure e metodologie descritte nella UNI EN 1504-9 e UNI EN 1504-10. La rimozione dei calcestruzzi che risultino essere degradati e che non rappresentino un supporto sufficientemente affidabile per l’applicazione degli strati di ripristino dovrà ovviamente essere totale. Le superfici interessate da questa rimozione dovranno, prima dell’applicazione di qualsiasi strato di materiale successivo, essere accuratamente pulite da polveri ed incrostazioni di eventuali materiali distaccanti. Eliminando tali zone si potranno effettuare i successivi interventi su un supporto sufficientemente sano e pulito, requisito necessario per il successo di qualsiasi intervento di ripristino. Dovranno essere eliminate anche tutte le eventuali strutture metalliche ammalorate presenti nelle parti soggette a reintegro al fine di consentire il corretto ripristino dei volumi interessati. Sarà quindi necessario procedere alla nuova passivazione e protezione delle armature, (dopo una loro accurata pulizia) con un apposito rivestimento cementizio applicabile a pennello su tutte le superfici (anche quelle rivolte verso il calcestruzzo) dei ferri che dovranno essere esposti dalle demolizioni delle circostanti zone ammalorate. A tal proposito Volteco propone Sanofer, rivestimento a base di polimeri in dispersione acquosa, leganti cementizi ed additivi specifici per la protezione dei ferri di armatura che abbiano già subito fenomeni di aggressione chimica. Sanofer si impiega per la passivazione delle barre di acciaio scoperte nei calcestruzzi ammalorati di ogni tipo di struttura in cemento armato prima del riporto in sagoma con malte Volteco. Ovviamente, laddove le strutture interessate dall’intervento lo richiedano, potrebbe rendersi necessario prevedere un’ integrazione delle armature da individuarsi mediante apposita progettazione strutturale. Successivamente si potrà procedere alle fasi di ripristino del calcestruzzo per le quali sarà opportuno adottare tecnologie diverse in funzione dello spessore da riportare e del tipo di riporto da _ ottenere (strutturale o corticale). Le zone seriamente intaccate dovranno essere ripristinate con la malta Volteco Fibromix 40, malta premiscelata tixotropica e fibrorinforzata a medio modulo di elasticità da impiegare nella riparazione e rinforzo di strutture che non possono essere casserate e/o ove siano richieste buone resistenze meccaniche. La malta sarà applicata a cazzuola in strati dello spessore massimo di 5 cm oppure con intonacatrice fino a 3 cm. Per spessori superiori, tra l’esecuzione di uno strato e l’altro, occorrerà attendere almeno 60 minuti. Peculiarità di Fibromix 40 sono un’elevata impermeabilità all’acqua, buona resistenza agli aggressivi chimici atmosferici e ai cicli di gelo e disgelo, un’ottima tixotropia (che consente l’applicazione senza necessità di casseratura), un’elevata adesione al calcestruzzo ed ai ferri d’armatura, un’ottima lavorabilità ed una buona finitura superficiale, la colorazione chiara, la possibilità di applicazione a cazzuola fino a 5 cm per strato ed una consistenza tale da consentire eventualmente anche l’applicazione a spruzzo. Per ripristini corticali delle strutture Volteco ha realizzato la malta a basso modulo di elasticità Flexomix 30, idonea per i ripristini estetici o per il rifacimento di copriferri deteriorati, da applicarsi a cazzuola o a spatola in strati dello spessore massimo di 2 cm alla volta, dati con intervalli di almeno 60'. Questa potrà essere applicata in tutte le strutture snelle soggette a deformazione che non abbiano funzioni _ portanti nella struttura (es. frontalini dei balconi, spigoli, ecc..). Flexomix 30 presenta un’elevata impermeabilità all’acqua, una buona resistenza agli aggressivi chimici atmosferici e ai cicli di gelo e disgelo, un’ottima tixotropia, assenza di fessurazioni da ritiro, una elevata adesione al calcestruzzo ed ai ferri d’armatura, la possibilità di applicazione da 3 a 20 mm in un’unica mano, un basso modulo di elasticità e consente una buona finitura superficiale ottenibile grazie alla granulometria fine. Laddove si ravviserà di dover provvedere a reintegrazioni strutturali mediante l’esecuzione di getti casserati queste potranno essere realizzate mediante utilizzo della malta premiscelata cementizia colabile a ritiro compensato Flowmix 70, applicata secondo le modalità descritte in scheda tecnica, aggiungendo ghiaietto asciutto e pulito di granulometria opportuna (4÷8 mm), fino al 30% in peso. Una volta terminate le operazioni di ripristino con la completa maturazione delle malte applicate sui volumi interessati sarà, per quanto sopra detto, opportuno considerare l’applicazione di un idoneo sistema protettivo che ricopra ed impermeabilizzi la struttura al fine di garantire la durabilità dell’intervento. L’applicazione del rivestimento protettivo a ciclo di risanamento terminato dovrà creare un’efficace protezione delle strutture impedendo l’assorbimento degli agenti aggressivi ambientali e ritardando anche i fenomeni di corrosione delle armature (effetto anticarbonatazione), impermeabilizzare le strutture evitando l’ingresso dell’acqua e di _ conseguenza anche i danni dovuti ai cicli gelo/disgelo, realizzare un’efficace barriera ai raggi ultravioletti ed infine avere la capacità di sigillare le microfessurazioni postume del calcestruzzo (Crack Bridging Ability); il rivestimento dovrà quindi essere impermeabile, protettivo ed elastico, in accordo a quanto riportato nella UNI EN 1504-2 “Sistemi di protezione della superficie di calcestruzzo”. Senza ripetere quanto già esposto dall’Ing. Brambilla relativamente agli aspetti tecnologici e normativi riguardanti i sistemi per la protezione del calcestruzzo procediamo quindi ad illustrare l’applicazione dell’apposito rivestimento elastico CP2 (Cutis Protector 2), bicomponente, studiato ed impiegato per la protezione superficiale di strutture in cemento armato in grado di ritardare i fenomeni di corrosione delle armature. CP2 è un rasante minerale impermeabile, elastico, traspirante, bicomponente, a base cementizia, di colore grigio. L’applicazione di CP2 dovrà effettuarsi in doppia mano per uno spessore totale di circa 2 mm, seguendo le indicazioni riportate nella relativa scheda tecnica. Il bassissimo modulo di elasticità di questo materiale permetterà una sua elevata deformabilità e quindi capacità di assecondare i normali comportamenti della struttura. Eventuali fessurazioni future potranno essere assorbite dal suo allungamento, mentre il minimo valore del suo coefficiente di permeabilità all’acqua consentirà di ottenere anche l’impermeabilizzazione delle superfici trattate. In presenza di fessurazioni evidenti sarà necessario applicare, come fascia di rinforzo, l'apposita rete flessibile in polipropilene Flexonet, annegandola in uno strato di CP2 che fungerà da prima mano. Vantaggi di CP2, come sopra descritto, sono una ottima flessibilità anche a basse temperature (-15°C) e un’ottima impermeabilità all’acqua piovana ed ai sali in essa generalmente disciolti. CP2 presenta un’efficace capacità di protezione nei confronti dei normali agenti aggressivi presenti in atmosfera (anidride carbonica, anidride solforosa, sali solfatici, aerosol marino, sali decongelanti, ecc) e quindi aumenta la vita utile della struttura, contribuendo a ridurre, nel contempo, i costi di manutenzione. CP2 ha inoltre una buona resistenza ai cicli gelo\disgelo, buona traspirabilità al vapor d’acqua ed una buona resistenza ai raggi UV. L’adesione di CP2 su supporti cementizi e su molti altri materiali da costruzione risulta essere ottima. Dal punto di vista estetico si potrà completare la seconda mano di Cutis Protector 2 finendola con fratazzatura a fresco per ottenere una piacevole finitura a civile, oppure lavorandola con fratazzi metallici o in plastica per lisciarne la superficie. Una misura del livello di protezione offerto da CP2 è fornito dalla sua certificazione (rilasciata da ente terzo) come barriera alla CO2; CP2 presenta valori di massimo rispetto: 335 m di SD rispetto ai 50 di minimo richiesti dalla EN 1062-1. Il completamento del sistema potrà avvenire con l’applicazione dell’apposita vernice di finitura Paint Protection, idonea per caratteristiche chimiche e meccaniche ad ad essere applicata su CP2. Ovviamente, per quanto detto all’inizio di questo incontro, CP2 trova applicazione anche nelle nuove costruzioni, contribuendo ad aumentare la durabilità delle stesse, come richiesto dalla normativa vigente, in virtù delle sue eccezionali proprietà di protettivo per il calcestruzzo. Laddove ci si troverà nella necessità di realizzare la protezione (e finitura estetica) di facciate intonacate (tamponature e stratigrafie murarie complesse comprendenti al loro interno anche strati isolanti) si utilizzerà invece il sistema CP1 (Cutis Protector 1), rasante protettivo di nuova generazione adatto ad essere utilizzato per l’appunto su facciate intonacate di vecchie e nuove edificazioni. CP1, come precedentemente illustrato dall’Ing. Brambilla, coniuga e fa collaborare tre prestazioni fondamentali: - impermeabilità all’acqua ed all’umidità, per proteggere dal degrado le murature di supporto; - elasticità (Crack Bridging Ability), per coprire le cavillature e le fessurazioni dell’intonaco di supporto; - traspirabilità dall’interno verso l’esterno per prevenire la formazione di muffe e distacchi del coating dal supporto. L’applicazione di CP1 verrà realizzata in doppia mano, seguendo le indicazioni riportate nella relativa scheda tecnica, per uno spessore finale di circa 2 mm, avvalendosi, dove necessario, dell’apposita rete Flexonet. Per la riparazione di quelle parti di intonaco ammalorato, che dovranno essere asportate e ripristinate prima dell’applicazione di CP1, si dovrà utilizzare l’apposita malta Fibromix 41, idonea per il ripristino di intonaci cementizi. CP1 si presenta peraltro di colore bianco ed una lavorazione a frattazzo potrà consentire una finitura dello stesso paragonabile ad un normale rasante civile, risultando quindi esteticamente gradevole anche senza verniciatura. Qualora si volesse procedere alla sua verniciatura questa potrà essere effettuata con Paint Air, pittura a base di una emulsione acquosa acril-silossanica in grado di ________ assecondare e non alterare le caratteristiche del rasante. Quanto sopra descritto evidenzia quindi come Volteco si ponga all’avanguardia dal punto di vista tecnologico e normativo nel settore della manutenzione edilizia e del recupero del cemento armato; la Committenza, il Progettista, il Direttore Lavori e l’Impresa potranno verificare come la marcatura CE, rilasciata da ente terzo, sia presente sulle schede tecniche non solo di quelle tecnologie per le quali risulta obbligatoria, ma anche per quelle che ad oggi non ne necessitano, come nel caso del CP1. Innovazione tecnologica e garanzia di qualità sono infatti, secondo quanto riportato nel Sistema di Gestione Aziendale Integrato (ISO 9001 - OHSAS 18001- ISO 14001), le caratteristiche che sin dal 1976 hanno contraddistinto e contraddistinguono Volteco ed i suoi Sistemi Tecnologici. Interventi sotto quota di recupero e manutenzione delle strutture in c.a. e non Geom. Claudio Tripelli Servizio Tecnico Volteco Spa # Degrado delle strutture Nell’ambito del recupero e manutenzione delle strutture interrate in c.a e non, l’approccio di Volteco è di tipo sistemico grazie alla possibilità di interazione tra una serie di prodotti quali cementi (Plastivi, Bi mortar, Calibro), bentoniti (Volgrip, VP1, VP1F), giunti (WT102, Adeka KM, P201) e accessori (Primer, Bentoseal, SS100). Le strutture su cui si può intervenire sono in c.a., in muratura di qualsiasi tipo e anche mista (c.a./muratura), creando, all’interno delle stesse, una vera e propria rifodera impermeabile sia all’acqua che all’umidità/percolamenti presenti nell’interrato stesso. Il sistema, quindi, si adatta perfettamente a qualsiasi tipo di situazione in cantiere. Sarà cura del progettista interagire con il Servizio Tecnico Volteco per studiare la soluzione che meglio si sposi con il recupero di un qual si voglia struttura interrata. Tipi d’intervento: Struttura Struttura in c.a.: possibilità di una (orizzontale/verticale), Struttura in c.a.: possibilità di una solo in orizzontale Struttura in muratura: possibilità di c.a. (orizzontale/verticale) Struttura in muratura: possibilità di c.a. solo in orizzontale in c.a.: possibilità di una controstruttura in c.a. controstruttura in c.a. una controstruttura in una controstruttura in controstruttura in c.a. (orizzontale/verticale) Sull’orizzontale si può scegliere se utilizzare la membrana bentonitica (Volgrip) o il pannello bentonitico (VP1 o VP1F) sfruttando la capacità, in ambo i casi, dell’espansione e l’autosigillatura della bentonite di sodio naturale in essi contenuta, tale caratteristica è fondamentale perché impermeabile, cosa permette non usuale anche di con più i forare il comuni manto sistemi d’impermeabilizzazione, tale caratteristica può permettere allo strutturista di utilizzare dei connettori da inserire nella vecchia struttura così da poterci legare l’armatura della nuova platea e così da minimizzare al massimo gli spessori garantendo comunque la capacità, della nuova struttura, di resistere alla spinta idraulica dell’acqua. La membrana bentonitica è consigliata nel caso in cui la platea esistente presenta notevoli venute d’acqua e un cls decisamente scabro e ammalorato, così da poter sfruttare le seguenti caratteristiche: la facilità di posa della membrana, si srotola velocemente sul piano vengono inglobate, dopo i getti , nel calcestruzzo della nuova platea, così garantendo un’eccezionale adesione meccanica di tutti gli strati che compongono il prodotto alla struttura, quindi sfruttando l’estrusione del gel bentonitico si garantisce la saldatura dei sormonti, la sigillatura di eventuali corpi passanti, nidi di ghiaia e fessurazioni postume ed infine evita la migrazione dell’acqua tra il Volgrip e il calcestruzzo. Il pannello bentonitico, invece, viene consigliato laddove la platea si presenta, in fase di cantiere, asciutta e in buono stato, così da poter sfruttare alcune sue caratteristiche peculiari come la facilità di posa (l’attenzione dovrà essere posta nel rispettare le linee di sormonto), le dimensioni (1,22x1,22cm) decisamente ridotte e il peso (8,09kg); tutto questo ovviamente ne facilita la movimentazione. facendo attenzione a rispettare le linee di sormonto tra un telo e L’applicazione l’altro; l’abbinamento dei due tessuti, assemblati meccanicamente utilizzando le apposite rondelle anti sfondamento (FIX), sfruttando la con un sistema di agugliatura, uno tessuto non tessuto inferiore il capacità della bentonite di sodio naturale di autoripararsi; il pannello quale conferisce un autoconfinamento della bentonite stessa e l’altro è fatto di cartone kraft biodegradabile (VP1) oppure con tessuto poroso superiore, che permette alla bentonite, dopo essersi riciclata a veloce degrado (VP1F), così, quando il cartone viene a autoagganciato al cls e dopo che la stessa si sia idratata, di contatto con la sola umidità, questo, si deteriora permettendo al gel di fuoriuscire verso la nuova struttura garantendo l’impermeabilità della aderire tenacemente al cls impermeabilizzandolo uniformemente e stessa; la capacità dei due tessuti di contenere la bentonite, anche se garantendo la saldatura dei sormonti. idratata, per il tempo necessario per approntare la nuova armatura e Nel caso in cui la nuova platea sia attraversata da corpi passanti fare il getto di calcestruzzo della nuova platea; la capacità di (pilastri, tubi, pozzetti ecc.) si consiglia l’utilizzo degli accessori autoaggancio del telo che viene garantita dalle fibre del TNT poroso (WT102, P201, Bentoseal e SS 100), nel caso di riprese di getto si esterno che fuoriescono appositamente dal tessuto inferiore le quali utilizza il viene WT fatta 102 attraverso e, infine, la semplice nel caso chiodatura di carta giunti di movimento o giunzioni con rampe, l’utilizzo della guarnizione idrofila Adeka KM. In verticale, Volteco propone sempre l’utilizzo del pannello bentonitico, portando l’impermeabilizzazione fino al piano campagna, avendo cura di creare la continuità tra l’impermeabilizzazione orizzontale e verticale allo scopo di realizzare, una volta gettate le contro strutture, una vasca continua perfettamente stagna; nel caso in cui l’impermeabilizzazione sia con i pannelli VP1 o VP1F basterà risvoltare gli stessi in verticale sempre al di sopra dell’altezza della platea per almeno 20 cm così da poter realizzare suddetta continuità con l’impermeabilizzazione verticale. Gettata la nuova platea si potrà così procedere ad armare le pareti verticali avendo cura di presidiare le riprese di getto perimetrali (orizzontale/verticale) utilizzando il waterstop bentonitico WT 102 e tutti gli eventuali corpi passanti attraverso l’impermeabilizzazione o attraverso la struttura con gli accessori (WT102, P201, Bentoseal e SS 100). Quindi si potrà procedere al getto delle pareti perimetrali così per completare la controstruttura. Struttura in c.a.: possibilità di una controstruttura in c.a. solo in orizzontale: Fermo restando che la soluzione orizzontale è la stessa precedentemente esposta, quindi utilizzo del Volgrip, del VP1 o VP1F, in verticale, non potendo fare controstrutture in c.a., si potrà utilizzare un rivestimento impermeabile ad elevata elasticità composto da inerti, leganti cementizi e polimeri acrilici che, dopo la miscelazione, consentirà la realizzazione di una guaina cementizia continua ed impermeabile idonea per applicazioni in spinta idrostatica negativa come il Plastivo 250; prima dell’applicazione si dovrà verificare l’idoneità delle strutture ai carichi idrostatici, pulire il supporto da ogni presenza di disarmante o grasso e rimuovere le parti incoerenti (incrostazioni), ripristinare il supporto, dove necessita, con idonea malta Volteco, sigillare con mastice P201 le eventuali fessurazioni marcate e corpi passanti, rimuovere i distanziatori stuccando poi con malta rapida Spidy 15, nel caso di venute d’acqua localizzate effettuare la sigillatura con malta idraulica a presa rapida Tap3. Nel caso di superfici vecchie e polverose, di supporti parzialmente imbibiti d’acqua, applicare il primer Profix 30 prima dell’applicazione della guaina cementizia elastica. Il Plastivo 250 dovrà essere applicato su tutta la superficie verticale, almeno fino al piano di campagna e su tutti i pilastri presenti nella struttura; dovrà essere posato anche in orizzontale, sulla vecchia platea, per almeno 50/100 cm. lungo il perimetro della struttura e intorno ai pilastri che attraversano la vecchia e nuova platea così da poter creare una continuità con l’impermeabilizzazione orizzontale. Particolare attenzione si dovrà dare proprio alla ripresa di getto tra orizzontale e verticale. Nel caso in cui il manto impermeabile in orizzontale sia il Volgrip sarà opportuna che questo sia immorsato tra due pezzi di pannelli bentonitici il tutto posizionato sul Plastivo 250 precedentemente applicato. Quindi, in base alla dimensione in spessore della nuova platea, si utilizzerà nell’angolo, lungo tutto perimetro o dove ci siano corpi passanti (pilastri, pozzetti, tubazioni ecc.), o il waterstop bentonitico WT102 oppure il mastice idroespansivo P201. Struttura in muratura: risanamento murature interessate da risalita capillare e salinità diffusa. Innanzitutto una breve premessa: nel caso di strutture interrate interessate da umidità di risalita si dovrà provvedere alla deumidificazione con il sistema Calibro Plus Evaporation, sistema specificatamente formulato per realizzare intonaci antiumidità, antisale ed anticondensa. Il sistema è composto da un rinzaffo in grado di garantire l’adesione sulla muratura anche in presenza di forte salinità e da un intonaco che, attraverso una struttura porosa, altamente traspirante consente alla muratura di raggiungere l’equilibrio tra la quantità d’acqua presente a causa del fenomeno della risalita capillare e la quantità d’acqua che viene smaltita per evaporazione. Il sistema si completa con un rasante di finitura a base di calce aerea e leganti idraulici. Struttura in muratura: possibilità di una controstruttura in c.a. (orizzontale/verticale) Nel caso che l’interrato sia interessato da permeazione d’acqua di falda o meteorica si potrà applicare il sistema bentonitico previa regolarizzazione delle superfici nel caso di utilizzo del pannello bentonitico (VP1 o VP1F), mentre risulterà sufficiente la planarità generale con risarcimento dei vuoti maggiori se si utilizza il telo bentonitico Volgrip. Applicato il prodotto impermeabile, fino a superare il massimo livello raggiungibile dall’acqua esterna a partire dal sottofondo presente su cui realizzare la platea, si potrà procedere al getto della controstruttura in c.a. (come precedentemente spiegato), avendo cura di utilizzare il cordolo bentonitico WT 102 o il mastice idroespansivo P201 per riprese di getto ed eventuali corpi passanti. Struttura in muratura: possibilità di una controstruttura in c.a. solo in orizzontale Per l’impermeabilizzazione di strutture in muratura, sia che siano interessate da permeazione d’acqua di falda sia soggette alla sola acqua meteorica, Volteco propone la seguente soluzione; in verticale trattamento impermeabilizzante che presuppone la formazione di un intonaco strutturale impermeabile agganciato alla muratura stessa. Per ottenere una idonea interconnessione tra intonaco e muratura si deve predisporre una rete d’armatura inox o zincata tassellata alla parete e posizionata ad una distanza di circa 1/2 cm dal muro. L’intonaco impermeabile viene realizzato utilizzando il Bi Mortar opportunamente applicato sulla superficie della muratura, avendo cura di inglobare completamente la rete tassellata precedentemente applicata. Gli spessori idonei del trattamento sono di circa 3/4 cm, a cui si deve aggiungere lo spessore necessario alla regolarizzazione superficiale della parete, sull’orizzontale si procederà come al punto precedente utilizzando in alternativa i pannelli bentonitici VP1 o VP1F oppure la membrana bentonitica Volgrip, in entrambi i casi la superficie orizzontale dovrà essere trattata sino al contatto continuativo con l’intonaco Bi Mortar precedentemente applicato. Realizzata l’impermeabilizzazione in modo continuo e completo (inclusi risvolti su scale o rampe) si procederà alla posa del waterstop bentonitico WT 102, a sigillo del passaggio tra l’impermeabilizzazione orizzontale con quella verticale. Approccio al ripristino delle murature ed innovazione tecnologica Ing. Fabrizio Brambilla # Analisi dello stato di fatto ed approccio al consolidamento di murature Da alcuni cenni sulle metodologie del costruito in ambito di murature storiche, si passa ad analizzare l’approccio conoscitivo e diagnostico per tratteggiare i principali sistemi di intervento di ripristino e consolidamento. La riaggregazione muraria con iniezione di malte fluide compatibili quale base tecnologica per il ripristino massivo della muratura: innovazione tecnologica dei materiali quale base fondante per una tecnologia nota ma spesso vanificata per l’uso di materiali inidonei. Nelle costruzioni in muratura, specie se di tipo misto, la grande variabilità dei materiali presenti e la frequenza dei re-interventi avvenuti nel passare degli anni, rende complessa l’analisi strutturale e l’individuazione corretta di eventuali problematiche. Passando dalle costruzioni in pietra e legante a quelle in mattoni si ottiene una maggiore continuità dell’apparecchiatura muraria con una sorta di industrializzazione del processo grazie anche alla cosiddetta “pietra artificiale” ovvero al laterizio. La maggior regolarità del mattone consente una migliore congruenza del costruito e permette anche la realizzazione di paramenti a vista regolari e di estetica anche pregevole. Sfruttando questo aspetto e volendo contenere i costi ed i tempi di costruzione si arrivò negli anni a realizzare il cosiddetto “muro a sacco” utilizzando sostanzialmente due paramenti esterni, normalmente in mattoni, quali “casseri a perdere” per i successivi riempimenti di materiale sfuso. Il riempimento tipico era formato da malta di allettamento in cui venivano annegati inerti di varia natura e provenienza quali cocci e mattoni rotti, pietrame etc. … a creare un conglomerato in opera estremamente variabile da punto a punto della muratura. Lo stesso legante risulta frequentemente composto non solo da calce ma anche da argille, gesso e altro materiale con comportamento plastico in fase di miscelazione, utile a comporre e riempire la muratura in modo semplice e veloce. I frequenti rimaneggiamenti della struttura con inserimento di materiali differenti e il conseguente cambiamento dei carichi in gioco e della loro ripartizione complica ulteriormente il quadro generale. Fondazioni spesso di entità poco rilevante si trovano a sopportare carichi differenti e a trasmettere al terreno sollecitazioni che inducono assestamenti e cedimenti in tutta la struttura a partire dal terreno stesso. Frequentemente le fondazioni erano realizzate come semplici ribassi delle murature perimetrali, tolto il primo terreno di coltura, e con allargamenti della sezione corrente ad aumentare la superficie di appoggio sul terreno. Il terreno sotto le fondazioni veniva addizionato solo talvolta di ghiaia o pietrame per migliorarne le qualità meccaniche. Nelle fortificazioni o nei monumenti si poneva maggiore cura arrivando anche a creare pi lastrature o murature di prolungamento nel terreno a profondità che poi venivano reinterrate e compattate, ma nel restante panorama del costruito tali accorgimenti sono praticamente assenti. Per diminuire i carichi in gioco e chiudere grosse superfici si è impiegato nei secoli anche il legno sottoforma di travi, travetti a capriate, sfruttandone le doti di flessibilità e resistenza a trazione. La sua commistione con le murature massive tipicamente resistenti a compressione e taglio, ha reso possibile costruzioni più ampie e con meno murature portanti. Le differenze comportamentali tra legno e murature non si fermano agli aspetti meccanico-strutturali ma comportano anche diverse sensibilità chimico-fisiche. Oltre a ovvie diversità nella rigidezza dei materiali, la presenza di umidità e di aggressione chimica e batterica crea un contesto di degrado differenziato dei componenti lignei rispetto alla restante parte della muratura, con esigenze di analisi specifiche ed altrettante specifiche tipologie di intervento conservativo e di ripristino. In architetture povere ed in assenza di controventature i “fuori piombo” sono frequenti e spesso risultano ripresi e corretti con accorgimenti volti alla fruizione dell’edificio e non al ripristino del funzionamento statico nel suo complesso. Oltre al legno anche i mattoni presentano varie forme di degrado legato a umidità e gelività, cedimenti meccanici, scarsa durezza e facilità di asportazione degli strati superficiali anche solo a causa di vento ed animali (tipicamente uccelli…). Spesso si configurano differenze di durabilità anche tra mattoni e leganti con gli uni o gli altri che esplicano maggiore resistenza al passare del tempo e del degrado. La calce idraulica resiste meglio di altre malte, anche cementizie, alle aggressioni saline dovute all’umidità tipica di queste murature. Un’analisi dello stato di fatto non può prescindere dalla valutazione di tutti questi fattori diversificati per poter considerare lo stato dell’apparecchiatura muraria quale organismo complesso. L’aggressione chimica dovuta a solfati e cloruri induce la formazione di ettringite e thaumasite nei leganti cementizi con forte aumento di volume e disgregazione della malta o dell’intonaco. Presenza di nitrati e ammine creano, insieme a muffe e batteri, altre condizioni di degrado anche in murature in pietre miste proprio a causa della presenza di malte di allettamento ed intonaci normalmente molto sensibili e reattivi verso tutte queste sostanze. Il riuso edilizio di vecchie stalle o casolari che hanno visto presenza di animali o la semplice povertà del costruito a partire dai materiali costituenti, comporta normalmente una serie di cause di degrado intrinseche alla muratura stessa. Qualsiasi intervento deve necessariamente considerare questi aspetti e valutarne gli impatti sui materiali che si intendono utilizzare. Molte sono le diagnostiche proposte nel settore anche se quelle più ovvie come carotaggi ed analisi termo igrometriche spesso lasciano adito a difficili interpretazioni. I carotaggi di una muratura mista risultano spesso un semplice “macinato” di differenti materiali a causa della loro diversa durezza e resistenza all’azione del carotiere. Le analisi termografiche non possono invece prescindere dall’analisi igrometrica ad evitare false interpretazioni indotte non da cavità o disuniformità ma da umidità di risalita o di ristagno nella muratura stessa; trattandosi così spesso di una vera e propria campagna diagnostica articolata. I migliori risultati si ottengono con misurazioni meccaniche in sito a mezzo di martinetti piatti, che riproducono nel muro una sorta di pressa idonea a valutarne la resistenza a compressione. Dopo opportuna tracciatura di riferimenti puntuali si procede a realizzare le feritoie per l’inserimento dei martinetti sfruttando le fughe tra pietre e mattoni opportunamente asportate con mezzi meccanici. Ad inserimento delle doppie lamine componenti i martinetti si procede con la messa in pressione degli stessi tramite un circuito oleodinamico arrivando a generare pressioni controllate sulla muratura. Dopo aver misurato lo stato di carico della muratura stessa si può arrivare anche a verificarne la resistenza in esercizio ed a rottura su campioni indisturbati, quindi significativi, del muro. Un altro sistema estremamente versatile è quello delle analisi soniche che, attraverso la sollecitazione meccanica di un martello strumentato, generano un’onda di propagazione nel muro misurandone tempi ed energie di attraversamento. Misurati i tempi tramite gli accelerometri e conoscendone le distanze per le misurazioni effettuate, si ricavano agevolmente le velocità di propagazione nel solido potendo confrontarsi poi con vari studi di settore per valutare la resistenza meccanica, eventualmente tarando le curve tramite qualche analisi ai martinetti piatti. L’impiego di analisi ultrasoniche non è applicabile su murature miste a causa dell’estremo abbattimento di tali segnali. Pur disponendo di alcune diagnostiche ottimali, come appena delineato, la difficoltà primaria risiede nella estrema variabilità del costruito, che potrebbe portare a basare il progetto di intervento su parametri validi solamente per qualche porzione della muratura. La diagnostica principale ed ineluttabile risulta quindi l’analisi del quadro fessurativo, che consente di interpretare assestamenti e cedimenti con conseguente possibilità di finalizzare le misurazioni diagnostiche puntuali nelle porzioni murarie di maggior interesse. L’analisi della varianza dei materiali utilizzati impone di parametrizzare tipologie diverse di murature che poi andranno mappate grazie a rilievo generalizzato, ottenendo così modelli tipologici utili alla definizione degli interventi, diversificati zona per zona. Queste “letture” “dell’apparecchiatura muraria “ sono assolutamente necessarie anche per la definizione di interventi fondazionali e di tirantatura dei componenti l’edificio, per garantirne la staticità. In questi casi non si deve cercare di riportare a zero i cedimenti avvenuti, in quanto si genererebbero ulteriori stati tensionali e cedimenti in altre porzioni dell’edificato. Si deve altresì cercare di bloccare i fenomeni per come si sono rilevati, rimuovendo peraltro le cause originali affinché non si inducano nuove sollecitazioni. Naturalmente tutti questi aspetti devono porsi all’attenzione del progettista in forma preventiva alle decisioni progettuali di intervento. Partendo dalle fondazioni il tipico intervento che si può realizzare in casi di cedimenti o insufficienze fondazionali è quello dei micropali o pali radice. In buona sostanza si prolunga la fondazione ad intercettare uno strato di terreno ad idonea portanza e, quindi, si devono fare prospezioni ed analisi geotecniche per mappare la stratigrafia del terreno sottostante per progettare l’intervento. Quello che spesso si vede come approccio è l’inserimento di micropali inclinati nella fondazione esistente utilizzata quale base di ripartizione carichi. Questo sistema può essere pericoloso se la muratura originaria non è in grado di sopportare questi nuovi carichi puntuali molto alti e, soprattutto, se la lunghezza dei micropali non è sufficiente ad intercettare uno strato di terreno estremamente stabile. In questo caso infatti si inducono sforzi rilevanti per piccoli assestamenti: una sorta di “leva” all’interno del muro. Meglio utilizzare i micropali verticalmente con cordoli di rinforzo e collegamento alla muratura originaria a formare una vera fondazione continua in acciaio e cemento armato: una struttura a telaio. Le sottomurazioni sono poi un altro sistema canonico per realizzare abbassamenti fondazionali, soprattutto in caso di debba realizzare ambiti interrati in edifici che non li prevedevano in origine. In questo caso devono comunque prevedersi interventi preventivi di aggregazione muraria per le strutture originarie ad evitare cedimenti. Un fenomeno tipico nelle murature storiche è quello della formazione di giunti naturali e fessurazioni, anche di scorrimento, sia a causa di cedimenti ed assestamenti fondazionali che per spinte di solai e volte sui muri verticali. Il sistema classico per risolvere queste problematiche è quello di inserire tiranti metallici a “cucire” le porzioni di muratura da mantenere in posizione. Premesso quanto già evidenziato per gli interventi fondazionali, in quanto devono rimuoversi tali cause prima di tirantare le murature, si deve anche precisare che le “cuciture” individuano tensioni puntuali anche molto forti che devono trovare adeguate soluzioni di diffusione e scarico. Analogamente l’impiego di fibre speciali (carbonio o simili) possono agevolare l’azione di chiusura e tirantatura della struttura, a patto di individuare un idoneo sistema di fissaggio sia come tipologia di interfaccia che come posizione. Non è infatti sufficiente incollare una fibra che resiste tonnellate di trazione su un mattone vecchio per ottenere il meccanismo desiderato, in quanto si otterrebbe semplicemente il cedimento del supporto con delaminazione del laterizio e distacco del “cerotto” tecnologico. Devono inoltre individuarsi zone della struttura in cui trasformare l’azione di trazione della fibra in compressione nel piano della muratura (es. “arco armato” – Politecnico Milano). Storicamente staffe e piastre sono state utilizzate per distribuire i carichi sulle superfici esterne di murature in mattoni e pietre. In presenza di rivestimenti lapidei o di modanature in pietra si possono utilizzare tali elementi costruttivi per ripartire le varie tonnellate di carico del tirante su una porzione di muratura il più vasta possibile. Questa attenzione è basilare considerando che queste murature sono in grado di resistere molto bene a carichi di compressione ma reagiscono poco e male a sollecitazioni di trazione o taglio. In questo senso la congruenza “dell’apparecchiatura muraria” è essenziale al funzionamento finale di ogni intervento di tirantatura. Il funzionamento massivo della muratura risulta quindi letteralmente basilare per ogni altro intervento. Tale funzionamento si ottiene ripristinando la muratura sia tramite operazioni di scuci-cuci (sostituzione/integrazione di mattoni e pietre) che tramite iniezioni di riaggregazione allo scopo di intasare ogni fessurazione e distacco con malte leganti idonee a garantirne continuità statica. La difficoltà di raggiungere fessure piccole a profondità notevoli in murature eterogenee ha portato spesso a misconoscere tale tecnologia, che invece deve affrontarsi a partire dalla scelta di idonei materiali fluidi e con assenza di bleeding, in grado di resistere ad attacchi di Sali ed umidità tipicamente presenti nelle murature storiche. Il consolidamento delle murature, siano esse realizzate in pietrame, mattoni o miste, può realizzarsi tramite iniezioni di leganti appositamente studiati per penetrare a fondo in ogni fessurazione e cavillo lasciato pervio da assestamenti e degrado, per ottenere nuovamente una struttura integra che possa resistere in modo massivo ai carichi ad essa demandati. Volteco, già dagli anni ’80, ha messo a punto leganti idraulici superfluidi in grado di penetrare a fondo in minime fessurazioni e porosità efficaci, arrivando a ripristinare i legami interni della muratura stessa, rimettendola “a nuovo”, talvolta anche migliorandola. La linea Microlime identifica proprio questi leganti a base di calci idrauliche in grado di riaggregare le murature riconnettendone i singoli componenti. Il Microlime Novecento è un legante idraulico iniettabile con estrema fluidità ed a bassa pressione o addirittura per caduta in caso di riaggregazione di intonaci o cavità pervie. L’estrema ritenzione idrica dei leganti Microlime garantisce la completa assenza di bleeding in fase di infiltrazione nella muratura, evitando il ben noto problema di suzione da parte di materiali a forte igroscopicità quali i laterizi o leganti non completamente combinati. Analogamente anche il Microlime Gel beneficia di questa particolare formulazione che ne garantisce stabilità e forte penetrazione, senza variazioni di composizione, con l’ovvio risultato di ottenere un materiale che attraversa la muratura senza risentirne. Al fine di ottenere dimostrazione scientifica di tale processo si sono predisposte colonne di componenti tipici delle murature storiche onde verificare il comportamento del materiale iniettato. Soprattutto la presenza di laterizi ingenera una suzione su ogni materiale limitrofo, incluse le malte iniettate nelle murature stesse. La perdita di acqua cambia sostanzialmente il rapporto legante/inerti/acqua con ovvio aumento di viscosità e conseguente aumento di pressione richiesto per l’avanzamento del materiale iniettato. Per questo motivo è importante evitare questo fenomeno endemico in ogni malta, sia essa cementizia o a base calce, laddove questa debba entrare in contatto con un insieme di materiali estremamente eterogenei come tipicamente avviene nelle murature storiche, specialmente in caso di murature “a sacco”. In sostanza le prove di iniezione sono state svolte, già negli anni ’80, verificando sia la fluidità dei materiali iniettati che la loro composizione anche dopo l’attraversamento del cilindro iniettato. Riscontrando la costanza del materiale anche dopo aver saturato la colonna ed esserne fuoriuscito, e la viscosità sostanzialmente inalterata, si è potuto procedere con l’affinamento e la specializzazione delle malte da iniezione. Tali malte devono infatti realizzare un conglomerato in sito, utilizzando inerti e componenti presenti nella muratura, arrivando a legarli tra loro in modo durevole. Oltre all’estrema fluidità a bassa pressione, condizione necessaria a permeare in modo fluido e continuativo la muratura evitando sfoghi puntuali in presenza di cavità e crepe di maggiori dimensioni senza poi “impregnare” la rete di capillari circostante; si è testata anche la capacità aggregante del composto. Estratta la “carota” artificiale così creata, si sono realizzati dei provini sezionandola e sottoponendo il tutto a prove di compressione in pressa idraulica. In presenza di ghiaino o silice i risultati sono risultati paragonabili ad un buon calcestruzzo romano, con costanza di qualità e ottima distribuzione delle caratteristiche meccaniche nei provini medesimi. Ovviamente gli inerti non sono sempre di caratteristiche meccaniche ottimali e, spesso, anche la vecchia malta di allettamento, frequentemente calce miscelata a terra argillosa o gesso, determina una diminuzione marcata delle resistenze meccaniche finali. Il concetto peraltro è di ottenere una completa congruenza tra i singoli componenti la muratura sfruttandone le caratteristiche meccaniche presenti e facendoli lavorare insieme, per quello che possono fornire come risultati finali. Miglioramenti statici si possono ottenere con operazioni di tirantatura, aggiunte strutturali o sostituzioni di componenti murari laddove questo si renda necessario e sia ammissibile dal punto di vista storico ed architettonico, anche nel rispetto Soprintendenza per i beni sottoposti a vincolo. di indicazioni della L’assenza di ritiro e la maturazione compatibile con i leganti a base calce di tipo storico, comporta tipicamente una stabilità del conglomerato creatosi, verificabile anche con attente analisi materiche. La totale assenza di reattività ai Sali comunemente presenti nelle murature storiche evita inoltre la creazione dei ben noti Sali di ettringite e thaumasite, fuorieri di disgregazione profonda nella matrice dei leganti cementizi spesso usati in operazioni di ripristino. La metodologia di iniezione si avvale di una tracciatura regolare normalmente parametrizzata sul metro quadrato di superficie, con la realizzazione di una prima serie di fori in cui avviene la iniezione della prima fase di riaggregazione. Naturalmente si procede dal basso verso l’alto sfruttando anche la gravità per meglio intasare ogni porosità efficace. Successivamente si procede con una maglia di fonometrie poste nei baricentri dei precedenti quadrati disegnati dalle iniezioni, allo scopo dichiarato di intasare per approssimazioni successive la murature, stante il fatto che la muratura stessa a causa della sua variabilità, non è facilmente prevedibile come reazione alle operazioni di intasamento. Molto raramente, e per murature di spessore ragguardevole (oltre il metro), si presenta talvolta la necessità di prevedere una terza serie di iniezioni da gestire come le precedenti due, sempre sfruttando i baricentri geometrici individuati dalle prime maglie. I fori devono essere realizzati inclinati verso il basso per circa il 45% e devono interessare almeno il 60% dello spessore per murature massive. Nel caso di murature a sacco la profondità di iniezione può anche essere percentualmente inferiore, sfruttando la consueta disomogeneità materica e le conseguenti fessurazioni, spesso interconnesse. In ogni caso l’inclinazione è necessaria per intersecare il maggior numero di letti di malta, frequente ambito in cui si verificano distacchi e fessurazioni a casua della differenza materica e del conseguente diverso comportamento meccanico, fisico e chimico. Dopo aver effettuato i fori molta cura deve porsi nel rimuovere il pulviscolo generato dall’azione di perforazione, aspirando il grosso del materiale di risulta e lavando con getti d’acqua il resto a rifiuto. Sia per queste operazioni che per quelle successive di iniezione, risulta necessario disporre di intonaci su entrambe la facciate della muratura a contenimento dei fluidi iniettati per lavaggi e consolidamento. Tali intonaci possono essere quelli esistenti o il primo strato di quelli definitivi o un intonaco “di sacrificio” a basso tenore di legante per asportarlo al meglio dalla muratura qualora debba restare “faccia a vista”. Le iniezioni devono procedere a bassa pressione per evitare rischi agli operatori e riflussi indesiderati di malta. A fronte di quanto enunciato un cantiere di iniezioni presenta una serie di cannule, normalmente trasparenti per valutare eventuali reinterventi in caso di svuotamento, opportunamente fissate alla muratura. Una ulteriore possibilità è anche quella di rasare “a zero” le fughe della muratura per evitare riflussi, senza dover effettuare alcun intonaco aggiuntivo. Ovviamente questo approccio lascia murature esteticamente discutibili in alcuni casi e con minor aggrappo per eventuali intonaci effettuati in tempi successivi. Anche i tiranti o le barre di miglioramento statico possono iniettarsi con Microlime Volteco ottenendo una perfetta congruenza con la muratura pre-esistente. In tal caso non si avranno alte resistenze della barra per attrito laterale ma si otterrà un comportamento più organico rispetto alle performance tipiche delle murature storiche. La tracciatura delle iniezioni può avvenire su intonaci pre-esistenti così come su murature a vista, prediligendo in questi ultimi casi il foro nel letto di malta di allettamento più vicino per salvaguardare l’aspetto estetico finale in caso di “faccia a vista”. In ogni caso non si devono effettuare tutti i fori di prima e seconda fase ma procedere in due step successivi per ottenere il massimo del rendimento dal punto di vista dell’intasamento, stante il fatto che si lavora comunque “alla ceca” in un manufatto intrinsecamente ignoto. Il segreto per ottenere una riaggregazione omogenea è quello di agire con basse pressioni, lasciando il tempo alla malta per rifluire nelle cavillature e fessure di minore entità. Cercare di accelerare il processo genera tipicamente dei “tappi” in zone a basso assorbimento e dei riflussi in cavedi o nel terreno negli altri casi. Appare evidente come il materiale da iniezione sia importantissimo per poter perseguire tali metodologie, assolutamente inapplicabili con normali boiacche, ancorchè fluide. I macchinari migliori per mettere in opera con buoni rendimenti il Microlime sono le comunissime intonacatrici a coclea, previa miscelazione preventiva del materiale a piè d’opera. Per l’iniezione delle fessurazioni si consiglia di realizzare fonometrie inclinate sui due labbri della fessura in modo da intersecarne l’andamento in profondità. In caso di grosse cavità si può procedere anche con inghisaggio degli iniettori direttamente nella crepa, sfruttando in questo caso le capacità ricettive della lacuna muraria. In caso di inghisaggio di barre d’armatura si consiglia l’uso di barre inox o zincate a tutela della durabilità d’intervento in quanto, pur con tutte le attenzioni del caso nel posizionamento della barra stessa, possono innescarsi fenomeni elettrolitici per contatti differenziati con la muratura a diversa composizione ed umidità, con evidenti e noti effetti di degrado della barra medesima in tempi brevi. Nelle murature miste ci si trova frequentemente nella necessità di sostituire o integrare grosse porzioni di muratura con operazioni di scuci-cuci. Che si utilizzi materiali coevi (anastilosi) o che si impieghi materiali moderni, l’operazione crea inevitabilmente dei vuoti a tergo degli ultimi elementi posizionati, per una semplice ragione geometrica: per poter inserire un elemento si deve avere un lasco nella muratura superiore al suo volume. Anche in questi casi la iniezione riaggregante, anche se eseguita su interventi recenti o addirittura concomitanti, risulta necessaria ed indispensabile affinché si arrivi a compimento con la messa in contatto ed esercizio di tutti gli elementi inseriti. Laddove si rilevi la presenza di murature in pietrame di grosse dimensioni o si abbia un rivestimento lapideo superficiale, si può realizzare anche una stilatura delle fughe con funzione di contenimento delle iniezioni e finalità estetiche. Anche la malta da utilizzarsi per tali operazioni deve avere caratteristiche di bassa permeabilità e suzione capillare e buona tixotropia e lavorabilità per una posa in opera ottimale. Da ricordare infatti che in fase di stilatura si avranno frequenti e diffusi vuoti a tergo della malta che non deve adagiarsi nella sede. L’operazione può essere eseguita anche con macchinari appositi per omogeneità estetica di fuga e per industrializzare al meglio il processo dal punto di vista cantieristico. Sviluppato per un contesto assolutamente speciale come il consolidamento dei rii (canali) a Venezia, il Microlime Gel ha presentato fin dall’inizio peculiarità interessanti per molteplici impieghi. Dovendo intervenire su fondazioni di edifici realizzati in ambito lacustre, previo svuotamento del canale in questione ma con flussi d’acqua a tergo e sotto l’edificio stesso, risultava necessario disporre di un materiale fluido per la penetrazione nella muratura ma che non si disperdesse a causa dei filetti d’acqua presenti nel terreno limaccioso e nelle zone limitrofe. Si è quindi sviluppato un materiale che, con basse pressioni, viene pompato all’interno della muratura ma che al cessare dell’azione di spinta della pompa si “gelifica”, senza andare in presa, ma opponendo una viscosità idonea ad evitare qualsiasi riflusso. Alla ripresa dell’azione di pompaggio nel giro di pochi minuti il materiale ritorna fluido e continua a permeare la struttura. Il Microlime Gel venne presentato nel 1998 durante un corso di formazione tenuto dal Ministero ai Soprintendenti italiani presso il Castello dell’Aquila, con annesso test reale di iniezione nella muratura medesima. Da allora risulta essere l’unico materiale con queste caratteristiche presente sul mercato mondiale, con infinite applicazioni anche per fondazioni e murature massive laddove si desideri intervenire in modo “chirurgico” senza dispersioni. Il seminario tenuto presso il Castello dell’Aquila non fù l’unico evento realizzato da Volteco per la presentazione del Microlime Gel e si realizzarono anche alcuni interventi su porzioni di edifici storicomonumentali che avevano denotato grosse problematiche di cedimenti e fessurazioni. Testimonianza autorevole di tali eventi si trova nel testo pubblicato dal Ministero riguardante il patrimonio storico architettonico, anche in relazione al terremoto. Purtroppo duole rilevare come situazioni di recupero e ripristino per sismi del passato abbiano trovato nuovo risalto a causa degli eventi luttuosi e disastrosi patiti dalla città dell’Aquila nell’aprile 2009. Restando in campo tecnico si è ottenuto peraltro un test estremamente severo per i lavori fatti nel 1998 e che sono verificabili tuttora proprio alla luce di questi nuovi eventi. Nella Basilica di S.Maria di Collemaggio si intervenne nel 2000 sulla navata sinistra (Porta Santa) che risultava pesantemente degradata, con una serie di interventi di iniezioni di Microlime Volteco. Dopo le nuove e recenti scosse telluriche si può rilevare come il quadro fessurativo riguardi le altre porzioni dell’edificio ma senza traccia nelle parti riaggregate con Microlime. Ovviamente il merito del superamento del sisma è nella capacità dei costruttori dell’epoca che ha però trovato nella “rimessa a nuovo” con riaggregazione dell’apparecchiatura muraria, la possibilità affrontare il nuovo sisma senza dover scontare eventi precedenti. di L’arte costruttiva messa in campo all’epoca dai mastri costruttori ha generato una struttura evidentemente in grado di assorbire il sisma occorso nel 2009. Si può ipotizzare che la massa della muratura unita al suo comportamento viscoso nel transitorio di sollecitazioni sussultorie ed oscillatorie abbia fornito quelle componenti di smorzamento che l’odierna tecnica delle costruzioni ci chiede per il miglioramento statico di murature. Senz’altro non dover scontare precedenti disaggregazioni e cedimenti ha messo nelle condizioni ottimali la struttura per poter affrontare con successo questa prova impegnativa. Altro caso analogo per interventi fatti nel 2002 con Microlime e successive prestazioni ottimali in termini di resistenza al sisma del 2009 è S. Silvestro a l’Aquila. Il lato sinistro della navata, oggetto degli interventi del 2002, è risultato indenne da successivi danneggiamenti nel 2009. Probabilmente al suo interno si saranno create cavillature e assestamenti ad assorbire le sollecitazioni anomale subite, senza peraltro ingenerare giunti e discontinuità marcate tali da richiedere interventi di emergenza e, soprattutto, presentandosi ancora integro e stabile nel suo complesso per le parti trattate. Risulta implicito come un trattamento generalizzato anche per le parti meno ammalo rate avrebbe probabilmente dato frutti migliori. Ulteriore esempio di quanto presentato è S.Maria dei Centurelle a Navelli (AQ) con analogo approccio parziale nel 2004 sulle zone più degradate e altrettanto analogo risultato post sisma 2009. La riaggregazione muraria per iniezioni di Microlime consente alla struttura di tornare a lavorare nella sua interezza utilizzando ogni suo componente per il massimo del contributo statico possibile. Su una situazione stabilizzata di assestamenti e cedimenti dovuti al terreno ed all’aumento progressivo dei carichi in esecuzione dell’opera, aggravato dal degrado materico e da eventi subiti negli anni, si riesce con queste tecnologie Volteco a rimettere “a nuovo” la struttura in una situazione assestata e stabile di partenza, con murature integre e coese. Ringraziamenti Si ringraziano tutti i relatori per il prezioso apporto al sapere comune in un’ottica di interventi pratici ed applicabili a supporto dei tecnici che sul territorio devono quotidianamente affrontare tali tematiche, e che ha riunito ancora una volta vari esponenti di rilievo della cultura scientifica italiana con tecnici di un’azienda presente sul territorio nazionale a partire dai suoi cantieri edili. La presente trattazione è stata impostata a fini di impiego pratico e di riferimento per eventuali approfondimenti tecnico-scientifici, con la convinzione che la prima soluzione di un problema sia quella di riconoscerlo e sapere che esistono domande da porsi per poterlo risolvere. Ad ogni tecnico l’arduo compito di adattare l’approccio generale al proprio caso specifico, ritenendo che esempi pratici e elenchi di applicazioni specifiche possano, quantomeno, dare spunti per una progettazione attenta ad aspetti materici e comprensiva di quegli elementi fisico-chimici che, talvolta, rimangono teoria e cultura. Nella speranza che l’unione di esponenti di rilievo in ambito scientifico universitario ed esperienze di un’azienda leader di mercato abbia potuto fornire un utile strumento di analisi del settore, si ringraziano tutti i relatori per la paziente collaborazione e disponibilità demandando eventuali approfondimenti alle pubblicazioni universitarie relative o al sito aziendale: www.volteco.it