Recupero e manutenzione di strutture esistenti

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Recupero e manutenzione di strutture esistenti
Recupero e manutenzione di
strutture esistenti
Dal ripristino strutturale alla protezione preventiva
per la durabilità dell’opera
L’Aquila, 11 novembre 2010
Premessa al convegno – inquadramento e finalità
Dal degrado fisiologico delle strutture agli eventi sismici distruttivi, il patrimonio edilizio necessita di adeguata analisi e progettazione per gli
interventi manutentivi, non solo di carattere demolitivo e ricostruttivo, ma anche e soprattutto per la salvaguardia dell’esistente che ha
segnalato problematiche puntuali o limitate ancorché impegnative dal punto di vista materico e di durabilità futura.
Sia che si parli di strutture industriali in cemento armato sia che si tratti di edifici residenziali con telaio strutturale e tamponamenti in laterizio
intonacato, le problematiche sono spesso di stabilità delle parti più esterne (copriferri e/o intonaci rispettivamente) e di conseguente degrado
innescato ed in accelerazione nel tempo, anche a causa delle infiltrazioni d’acqua e di problemi di ristagno di vapor d’acqua e batteri, muffe.
Spesso i copriferri del cemento armato non hanno più, e frequentemente non avevano già dall’inizio, spessori e omogeneità corrette al fine
di svolgere la sua funzione di rendere collaborante l’armatura proteggendola in ambiente alcalino.
Questo spiega anche il più veloce degrado di strutture più recenti rispetto a cementi armati dell’immediato dopoguerra che, almeno per
spessori ed omogeneità, erano senz’altro più costanti. Ripristinare porzioni di cemento armato non significa solo “rimettere in sagoma” trave
o pilastro, ma implica anche garantirne la durabilità nel tempo e dovrebbe sempre ricomprendere anche un trattamento protettivo finale
quale separazione dall’ambiente esterno.
Nel caso poi di intonaci esterni su tamponamenti in laterizi o prefabbricati, le problematiche sono di diminuzione di aderenza per errori
costruttivi, condensazione di vapor d’acqua, fessurazioni per assestamenti o distacchi, infiltrazioni d’acqua.
Dopo aver ottemperato alla risarcitura delle porzioni danneggiate o decoese è poi importante poter disporre di tecnologie che consentano la
protezione elastica ed impermeabile della facciata che, al contempo, non costituisca barriera al vapore onde non innescare fenomeni di
condensazione e degrado ex-novo.
La trattazione seguente presenta un approccio alle problematiche della manutenzione, seguito dall’iter di ricerca e definizione di parametri e
filosofie di intervento che hanno guidato la ricerca scientifica di settore al fine di definire cicli di intervento “portabili” ed affidabili. Il tutto trova
logico compendio in esemplificazioni pratiche e richiami normativi, laddove pertinenti, specificatamente nel campo del ripristino e protezione
delle strutture in cemento armato, in cui si stanno affacciando anche le marcature CE e le nuove norme tecniche relative a identificazione
dell’idoneità dei sistemi e a tutela dei progettisti, direttori lavori e collaudatori che ne faranno uso secondo gli obblighi richiamati dalle leggi
cogenti.
Recupero e Manutenzione di strutture
esistenti
Ricostruzione Ristrutturazione Adeguamento
e
Norme tecniche
Massimo Grisolia
L’Aquila, 10 Novembre 2010
Riferimenti Normativi
NTC - D.M. 14.01.2008
Progettare, costruire, verificare Opere
Sicure Funzionali Durevoli
Stabilità e funzionalità basate su
Verifiche degli SLU e SLE basate sull’impiego di
Coefficienti Parziali
A - Sulle Azioni M - Sulla resistenza del “materiale terreno”
Diverse Combinazioni di riferimento
A1+M1 – A2+M2
Classe di Opera – Durata – Edifici Esistenti
2 SICUREZZA E PRESTAZIONI ATTESE
2.1 PRINCIPI FONDAMENTALI
Le opere e le componenti strutturali devono essere
progettate,
eseguite,
collaudate
e
soggette
a
manutenzione in modo tale da consentirne la prevista
utilizzazione, in forma economicamente sostenibile e con
il livello di sicurezza previsto dalle presenti norme….
……La durabilità, definita come conservazione delle
caratteristiche fisiche e meccaniche dei materiali e delle
strutture,
proprietà essenziale affinché i livelli di
sicurezza vengano mantenuti durante tutta la vita
dell’opera, deve essere garantita attraverso una
opportuna scelta dei materiali e un opportuno
dimensionamento delle strutture, comprese le eventuali
misure di protezione e manutenzione.
2.4.1 VITA NOMINALE
La vita nominale di un’opera strutturale VN è intesa come il
numero di anni nel quale la struttura, purché soggetta alla
manutenzione ordinaria, deve potere essere usata per lo
scopo al quale è destinata. La vita nominale dei diversi tipi di
opere è quella riportata nella Tab. 2.4.I e deve essere
precisata nei documenti di progetto.
2.5.1.1 Classificazione delle azioni in base al modo di
esplicarsi
a) dirette: forze concentrate, carichi distribuiti, fissi o
mobili;
b) indirette:
spostamenti impressi, variazioni di
temperatura e di umidità, ritiro, precompressione,
cedimenti di vincolo, ecc.
c) degrado: - endogeno: alterazione naturale del
materiale di cui è composta l’opera strutturale; esogeno: alterazione delle caratteristiche dei materiali
costituenti l’opera strutturale, a seguito di agenti
esterni.
2.5.4 DEGRADO
La struttura deve essere progettata così che il degrado
nel corso della sua vita nominale, purché si adotti la
normale manutenzione ordinaria, non pregiudichi le sue
prestazioni in termini di resistenza,stabilità e funzionalità,
portandole al di sotto del livello richiesto dalle presenti
norme.
Le misure di protezione contro l’eccessivo degrado devono
essere stabilite con riferimento alle previste condizioni
ambientali. La protezione contro l’eccessivo degrado deve
essere ottenuta attraverso un’opportuna scelta dei
dettagli, dei materiali e delle dimensioni strutturali, con
l’eventuale applicazione di sostanze o ricoprimenti
protettivi, nonché con l’adozione di altre misure di
protezione attiva o passiva.
6.10 consolidamento geotecnico di opere esistenti
Il progetto degli interventi di deve derivare dalla
individuazione delle cause che hanno prodotto il
comportamento anomalo dell’opera. Tali cause possono
riguardare
singolarmente
o
congiuntamente
la
sovrastruttura, le strutture di fondazione, il terreno di
fondazione.
In particolare devono essere ricercate le cause di anomali
spostamenti del terreno conseguenti al mutato stato
tensionale indotto da modifiche del manufatto, da variazioni
del regime delle pressioni interstiziali, dalla costruzione di
altri manufatti in adiacenza….
6.10 consolidamento geotecnico di opere esistenti
Nella scelta del metodo di consolidamento si deve tener
conto della circostanza che i terreni di fondazione del
manufatto siano stati da tempo sottoposti all’azione dei
carichi permanenti e ed altre azioni eccezionali.
6.11.2 caratterizzazione geotecnica ai fini sismici
Le indagini geotecniche devono essere predisposte dal
progettista in presenza dii un quadro geologico
adeguatamente definito…le indagini devono comprendere
l’accertamento degli elementi che influenzano la
propagazione di onde sismiche...
8 COSTRUZIONI ESISTENTI
8.1 OGGETTO
Il presente capitolo definisce i criteri generali
per la valutazione della sicurezza e per la
progettazione,l’esecuzione ed il collaudo degli
interventi sulle costruzioni esistenti…
8.2 criteri generali
La valutazione della sicurezza e la progettazione degli
interventi su costruzioni esistenti debbono tener conto
dei seguenti aspetti:
-la costruzione riflette lo stato delle conoscenze
dell’epoca
-possono essere insiti palesi difetti di impostazione o
esecuzione
-la costruzione può essere stata soggetta ad azioni anche
eccezionali con effetti non completamente manifesti
8.3 VALUTAZIONE DELLA SICUREZZA
Le costruzioni esistenti devono essere sottoposte a
valutazione della sicurezza quando ricorra anche una
delle seguenti situazioni:
-riduzione evidente della capacità resistente…. e/o dovuta
ad azioni ambientali (sisma, vento, neve e temperatura)…,
…significativo
degrado
e
decadimento
delle
caratteristiche meccaniche dei materiali,…
--provati errori di progetto o di costruzione
-Il Progettista dovrà esplicitare, in un’apposita relazione, i
e le eventuali conseguenti limitazioni da imporre nell’uso
della costruzione.
8.4 CLASSIFICAZIONE DEGLI INTERVENTI
Si individuano le seguenti categorie di intervento:
- interventi di adeguamento atti a conseguire i livelli di
sicurezza previsti dalle presenti norme;
- interventi di miglioramento atti ad aumentare la sicurezza
strutturale
esistente,
pur
senza
necessariamente
raggiungere i livelli richiesti dalle presenti norme….
- riparazioni o interventi locali
8.4.2 INTERVENTO DI MIGLIORAMENTO
Rientrano negli interventi di miglioramento tutti gli
interventi che siano comunque finalizzati ad accrescere la
capacità di resistenza delle strutture esistenti alle azioni
considerate
8.6 MATERIALI
Gli interventi sulle strutture esistenti devono essere
effettuati con i materiali previsti dalle presenti norme;
possono
altresì
essere
utilizzati
materiali
non
tradizionali, purché nel rispetto di normative e
documenti di comprovata validità....
11 MATERIALI E PRODOTTI PER USO STRUTTURALE
I materiali e prodotti per uso strutturale devono essere:
- identificati univocamente a cura del produttore,
secondo le procedure applicabili;
- qualificati sotto la responsabilità del produttore,
secondo le procedure applicabili;
- accettati dal Direttore dei lavori mediante acquisizione e
verifica della documentazione di
qualificazione,
nonché
mediante
eventuali
prove
sperimentali di accettazione.
8.7 valutazione e progettazione in presenza di azioni
sismiche
In presenza di edifici in aggregato, contigui, a contatto od
interconnessi con edifici adiacenti…occorre tenere
conto delle possibili interazioni derivanti dalla
contiguità strutturale con gli edifici adiacenti.
8.7.4 CRITERI E TIPI D’INTERVENTO
La scelta del tipo, della tecnica, dell’entità e
dell’urgenza dell’intervento dipende dai risultati della
precedente fase di valutazione…
In generale dovranno essere valutati e curati gli aspetti
seguenti:
-riparazione di eventuali danni presenti
- riduzione delle carenze dovute ad errori grossolani;
………..
-- miglioramento del sistema di fondazione, ove necessario
8.7.5 PROGETTO DELL’INTERVENTO
Per tutte le tipologie costruttive, il progetto
dell’intervento di adeguamento o miglioramento sismico
deve comprendere:
- verifica della struttura prima dell’intervento con
identificazione delle carenze e del livello di azione
sismica per la quale viene raggiunto lo SLU (e SLE se
richiesto);
- scelta motivata del tipo di intervento;
- scelta delle tecniche e/o dei materiali;
- dimensionamento preliminare dei rinforzi e degli
eventuali elementi strutturali aggiuntivi;
- analisi strutturale considerando le caratteristiche
della struttura post-intervento;
verifica
della
struttura
post-intervento
con
determinazione del livello di azione sismica per la quale
viene raggiunto lo SLU (e SLE se richiesto).
Conclusioni ?
Recupero e Manutenzione di strutture
esistenti
Ricostruzione Ristrutturazione Adeguamento
e
Norme tecniche
GRAZIE ED AUGURI
Massimo Grisolia
L’Aquila, 10 Novembre 2010G
RECUPERO E MANUTENZIONE DI STRUTTURE ESISTENTI:
DAL RIPRISTINO STRUTTURALE ALLA PROTEZIONE
PREVENTIVA PER LA DURABILITÀ DELL’OPERA
VOLTECO S.p.A.
10 Novembre 2010
Sala convegni Hotel Canadian
L’Aquila
ADEGUAMENTO E MIGLIORAMENTO SISMICO DEL
COMPLESSO TERRENO-STRUTTURA DI FONDAZIONE
Prof. Ing. Gianfranco Totani, Dott. Ing. Ferdinando Totani
Università degli Studi di L’Aquila
1
Evoluzione Normative sismiche nazionali ed
internazionali (ultimi 25 anni)
Crescente importanza assegnata ai fattori legati:
•al sito
•al terreno di fondazione
La valutazione delle azioni sismiche sulle opere è
legata a tre elementi fondamentali:
• caratteristiche del terremoto
• condizioni del sito e del terreno di fondazione
•caratteristiche della costruzione
Scenari legati alle condizioni di sito e ai terreni di
fondazione:
1) Effetti di Locali: fenomeni di instabilità
(liquefazioni, frane, perdita di capacità portante,
collassi, cedimenti incompatibili con la stabilità
della struttura)
2) Effetti di sito: caratteristiche del moto sismico alla
superficie del deposito diverse rispetto a quelle del
moto alla base rocciosa (tali effetti amplificano
alcune componenti e ne attenuano altre).
Per la valutazione di tali aspetti le NTC/2008
raccomandano di condurre l’analisi della RISPOSTA
SISMICA LOCALE (1D,2D o 3D)
Informazioni richieste
1) Caratteristiche del terremoto di riferimento
(accelerogrammi)
2) Posizione del bedrock e rapporti stratigrafici
3) Parametri dinamici dei terreni:
•
G0 e Vs (prove in sito)
•
Curve G/G0(γ) e D(γ) (prove di laboratorio)
4) Indagini geotecniche in sito di tipo corrente:
sondaggi, prove SPT, CPT, DMT ecc. (tali indagini
devono coprire il territorio in modo il più possibile
regolare e diffuso)
Informazioni richieste
Le informazioni di cui ai punti 2 e 3 vengono ricavate da
campagne di indagine (in sito ed in laboratorio) molto
mirate condotte usualmente da gruppi di ricercatori
della comunità scientifica nazionale ed internazionale.
A tale proposito vengono mostrate le indagini condotte
di recente dal gruppo di ricerca dell’Università dell’Aquila
nel sottosuolo del centro storico per lo studio della
risposta sismica locale.
CAMPAGNA DI INDAGINI GEOLOGICHE, GEOTECNICHE E
GEOFISICHE PER LO STUDIO DELLA RISPOSTA SISMICA LOCALE
DEL SOTTOSUOLO DELLA CITTÀ DI L’AQUILA
Gruppo di lavoro:
Sara Amoroso
Francesco Del Monaco
Flavio Di Eusebio
Paola Monaco
Bruno Taddei
Marco Tallini
Ferdinando Totani
Gianfranco Totani
quota
profondità
tipo di
sondaggio raggiunta
perforazione
(m)
(m slm)
prova per
la misura
delle Vs
sondaggio
località
S1
Fontana
delle 99
cannelle
630
140
carotaggio
continuo
SDMT
S2
Piazza
Duomo
717
300
a distruzione
di nucleo
SDMT
S3
Madonna
del Ponte
617
192
a carotaggio
continuo
cross-hole
S4
Madonna
del Ponte
617
90
a carotaggio
continuo
cross-hole
profondità
(m)
0,00 – 4,00
forma
zioni
Depos
iti
colluvi
ali
60,00 –
192,00
192,00 –
195,00
195,00
Deposito colluviale e/o di frana:
limi e limi-argillosi di colore marrone scuro e limi-sabbiosi
con abbondanti frammenti calcarei biancastri. La parte
superiore
Sabbie e sabbie limose consistenti grigio-avana:
4,00 – 19,00
20,00 –
60,00
descrizione
Sabbie in matrice limosa con scarsissimi ciottoli di colore
grigio-avana. Diverse superfici di discontinuità di colore
Limi e ocraceo e grigio-nerastro.
sabbi Sabbie e sabbie limose consistenti essenzialmente
grigie:
e
lacust Sabbie come sopra ma con una frazione limo-argillosa
ri e maggiore. Il colore tende nettamente al grigio.
fluvial Limi e limi argillosi con sabbia:
i
limi ed argille in scarsa matrice sabbiosa di colore grigioverdastro e grigio passante con incluse venature e plaghe
color ruggine, di consistenza elevata e con inclusi minuti
frammenti calcarei millimetrici.
Calcar
eniti
del
Mioce
ne
inf.?
Bedrock carbonatico: Calcari a Briozoi e litotamni
Calcareniti grigie con intercalazioni di calcareniti più fini
biancastre.
FINE SONDAGGIO
Località Madonna del Ponte
note
profondità (m)
0,00 – 3,00
formazioni
Riporto
3,00 – 8,00
Terre
residuali
limi-sabbiosi con abbondanti frammenti calcarei e pezzi di
laterizi di colore marrone scuro.
Deposito colluviale:
limi e limi-argillosi di colore marrone scuro in scarsa matrice
sabbiosa. Pochi ciottoli di dimensioni centimetriche
Brecce
dell’Aquila
frammenti essenzialmente calcarei, e subordinatamente
selciosi, eterometrici, spigolosi e sub-arrotondati in più o meno
abbondante matrice sabbiosa e/o limoso-sabbiosa di colore
tendenzialmente nocciola, a tratti quasi del tutto assente e
a tratti prevalente sulla frazione grossolana.
All’interno di questo pacco di materiale si intercalano lenti o
livelli limo-argillosi grigiastri di spessore modesto ma
estremamente variabile.
Brecce calcaree biancastre :
frammenti essenzialmente calcarei, e subordinatamente
selciosi, eterometrici, spigolosi e sub-arrotondati in più o meno
abbondante matrice sabbiosa e/o limoso-sabbiosa di colore
essenzialmente biancastro , a tratti quasi del tutto assente
e a tratti prevalente sulla frazione grossolana.
All’interno di questo pacco di materiale si intercalano lenti o
livelli limo-argillosi grigiastri di spessore modesto ma
estremamente variabile.
Sabbie-limose e limi-argillosi:
75/80,00 – 105
105,00 – 300,00
300
note
Brecce calcaree nocciola :
8,00-21,00
21,00 – 75/80,00
descrizione
Materiali di riporto:
Limi e
sabbie
lacustri e
flluviali
sabbie in matrice limo-argillosa di colore grigiastro con
frammenti calcarei ed arenacei (i frammenti arenacei ocracei
appartengono probabilmente allo strato di sabbie cementate
del momento di chiusura della fase fluvio-lacustre)
Limi e limi argillosi con sabbia:
limi ed argille in scarsa matrice sabbiosa di colore grigioverdastro e grigio passante con incluse venature e plaghe color
ruggine, di consistenza elevata e con inclusi minuti frammenti
calcarei millimetrici.
FINE SONDAGGIO
Località Piazza Duomo
Probabile
falda alla
profondità
di dal p.c.
profondità (m)
0,00 – 3,00
3,00 – 17,00
17,00-19,00
19,00 – 25,00
25,00 – 35,00
35,00 – 40,00
40,00-42,00
42,00-55,00
55,00-56,00
56,00-63,00
63,00-66,00
66,00-70,00
70,00-74,00
74,00-80,00
80,00-85,00
85,00-87,00
87,00-95,00
95,00-97,00
97,00-115,00
115,00-124,00
124,00-129,00
129,00-130,00
formazioni
descrizione
Materiali di riporto:
riporto
limi-sabbiosi con abbondanti frammenti calcarei e pezzi di laterizi di
colore marrone scuro.
Brecce calcaree nocciola :
Brecce frammenti essenzialmente calcarei non cementati, eterometrici,
dell’Aquila spigolosi e sub-arrotondati in più o meno abbondante matrice
sabbiosa e/o limoso-sabbiosa.
Sabbie e ghiaie di colore ocra
Sabbie-limose:
sabbie in matrice limosa di colore grigiastro.
Sabbie grigie
Limi argillosi
Sabbie e limi con gusci bianchi
Sabbia fine grigia
Limo argilloso
Sabbia fine limosa
Sabbia grossolana
Sabbia fine
Limo sabbioso fine
Sabbia fine
Limo sabbioso
Sabbia limosa fine
Limo
Sabbia grossolana
Limo argilloso con sabbia
Sabbia Limosa
Sabbia grossolana con frammenti dispersi di lignite e ciottoli
calcarei
Limi nerastri con frammenti di lignite
130,00-131,70
Limi sabbiosi
131,70-132,00
Livello di lignite
132,00-135,00
Limo-sabbioso
135,00-138,70
Sabbia fine
138,70-139,00
Livello di lignite
139,00-140,00
Sabbia fine
FINE SONDAGGIO
Località 99 Cannelle
note
D
E
P
O
S
I
T
I
F
L
U
V
I
O
L
A
C
U
S
T
R
I
Località 99 Cannelle
Determinazione in sito delle curve di decadimento
del modulo G/G0(γ
γ)
1
0.9
0.8
0.7
G/G0
0.6
0.5
0.4
0.3
0.2
0.1
0
0.0001
Resonant Column Test Cese di Preturo S3 C1
SDMT Cese di Preturo S3 C1
Resonant Column Test Cese di Preturo S3 C3
SDMT Cese di Preturo S3 C3
Cyclic Simple Shear Test Pianola S1 C1
SDMT Pianola S1 C1
Resonant Column Test Roio Piano S3 C1
SDMT Roio Piano S3 C1
Cyclic Simple Shear Test Roio Piano S3 C2
SDMT Roio Piano S3 C2
0.001
0.1-0.5 %
0.01
0.1
g (%)
1
10
Curve di
decadimento del
modulo G/G0(γ
γ) e
dello smorzamento
D(γ
γ) per ghiaie
addensate
Curve di
decadimento del
modulo G/G0(γ
γ) e
dello smorzamento
D(γ
γ) per roccia non
alterata
Struttura di fondazione o “fondazione”
La fondazione è quella parte della struttura alla quale
viene affidato il compiti di trasferire i carichi al terreno,
nel rispetto dei requisiti generali:
• sussistenza di prefissati margini di sicurezza nei
confronti della rottura dell’insieme terreno-fondazione;
• compatibilità dei cedimenti assoluti e differenziali sia
con la statica che con la funzionalità della struttura;
• compatibilità dello stato di sforzo nella fondazione con
i requisiti strutturali riguardanti la resistenza dei
materiali, l’insorgenza di stati di fessurazione e la
durabilità.
Tipologie di fondazioni
Travi e
plinti
Graticci e platee
Pali
Comportamento delle fondazioni
Condizionato dai seguenti fattori:
• terreni di fondazione (successione stratigrafica,
proprietà fisiche e meccaniche dei terreni, regime delle
pressioni interstiziali);
• fattori ambientali (caratteri moirfologici del sito,
deflusso delle acque superficiali, presenza di manufatti
esistenti nelle vicinanze:canali, acquedotti, gallerie, ecc);
• configurazione del piano di posa: è opportuno che il
piano di posa sia tutto allo stesso livello.
Principali meccanismi di rottura delle fondazioni
•
rottura fragile per flessione (non
è preceduta da fessurazione)
• rottura duttile (è preceduta da
ampia fessurazione e non
osservabile poiché interessa la
faccia a contatto con il terreno)
• rottura per taglio
• eccessiva fessurazione (SLE) con
conseguente corrosione delle
armature che porta a rottura per
flessione
Quest’ultimo aspetto è importante perchè:
• le fondazioni operano in ambiente umido e talvolta aggressivo;
• la fessurazione non è osservabile direttamente.
Condizioni delle fondazioni delle costruzioni
esistenti
Nella maggior parte dei casi la conoscenza delle condizioni
è limitata.
La circolare alla NTC/2008 (vedasi l’appendica C8A recita):
“…in assenza di un rilievo diretto, o di dati sufficientemente
attendibili, è opportuno assumere, nelle successive fasi di
modellazione, analisi e verifiche, le ipotesi più
cautelative…”
18
Condizioni delle fondazioni delle costruzioni
esistenti
Quando disponibili, le informazioni derivano da:
• documenti di progetto (con particolare riferimento alla
relazione geologica e alla relazione geotecnica);
• eventuali testimonianze;
Se non disponibili (oppure insufficienti e/o contraddittorie)
sono necessari accertamenti diretti in sito attraverso:
• pozzetti di ispezione;
• carotaggi (verticali ed inclinati)
Accertamento sulle fondazioni di Palazzo Camponeschi
Criteri progetto e tipologie di intervento in
fondazione
L’adeguemento sismico degli edifici esistenti deve
prevedere una verifica delle condizioni delle fondazioni.
Nel caso delle fondazioni non collegate è necessario
intervenire quantomeno per un miglioramento del
comportamento sismico delle fondazioni stesse.
Le tipologie di intervento delle fondazioni superficiali
possono essere distinte tra:
• allargamento della base di appoggio;
• trasformazioni in fondazioni profonde mediante interventi
con micropali;
Adeguamento mediante trasformazione
Rilievo della fondazione esistente
Rilievo della fondazione esistente
Esecuzione dei micropali
Esecuzione dei micropali
Disposizione dei micropali
Travi di adeguamento
Travi di adeguamento
Travi di adeguamento e solaio di isolamento
Completamento con interventi sui pilastri
Tipologie di interventi per fondazioni superficiali
di edifici esistenti in muratura
Le tipologie di interventi devono mirare a collegare le
fondazioni tra di loro con elementi capaci di resistere
anche a trazione.
Tale collegamento può essere realizzato mediante cordoli
in cemento armato esternamente alla muratura esistente
lungo il perimentro dell’edificio (quando possibile)
collegati alla fondazione esistente mediante cucitura con
barre in acciaio.
Nel caso in cui la base di appoggio fosse insufficiente a
sostenere i carichi verticali ed orizzontali di natura sismica
dovrà essere realizzato un ampliamento delle fondazioni
esistenti o eventualmente una sottofondazione mediante
scavo per conci.
32
Intervento per edifici in muratura
Intervento per edifici in muratura
Interventi per il miglioramento dei terreni di
fondazione
VIA SILA-PERSICHELLI (SAN GIULIANO)
VIA SILA-PERSICHELLI (SAN GIULIANO)
VIA SILA-PERSICHELLI (SAN GIULIANO)
VIA SILAPERSICHELLI
(SAN
GIULIANO)
Strato limo superficiale
(13/14 m) Vs
≤ 360 m/s
Terreno tipologia C
attenzione
Le NTC 2008 definiscono il
terreno di tipologia E come:
“Terreni dei sottosuoli di tipo C
o D per spessore non superiore
a 20 m, posti sul substrato di
riferimento (con Vs > 800 m/s)”.
SOTTOSUOLO
VIA SILA PERSICHELLI
CATEGORIA E
Miglioramento del terreno di fondazione
JET-GROUTING
1.
2.
Sistem a m onofluid o
3.
4.
5.
m isce la
1.
SISTEMA
MONOFLUIDO
BIFLUIDO
TRIFLUIDO
Sistem a bifluid o
3.
2.
4.
5.
PRESSIONE [MPa]
a ria
m isce la
a ria
A/C
0,7 - 2,5
0,7 - 2,0
0,7 - 1,5
sistema miscela aria
acqua
monofluido 25-60
bifluido 25-60 0,5-0,6
trifluido 1,5-4 0,5-0,6 30-60
a ria
m isce la
a ria
1.
2.
Sistem a trifluido
3.
4.
5.
a ria
a cqu a
a ria
m isce la
a ria
a cq u a
a ria
m isce la
p erforazione
fin e p e rforazione
in iz io
g e ttin iezione
e stra zion e
b atte ria
d ura nte la
g e ttin iezione
tra ttam en to
colon nare
u ltim ato
Interventi nei centri storici
Inserimento di dispositivi antisismici mediante
realizzazione di un piano interrato al di sotto di un isolato
Considerazioni conclusive
Dalla circolare (appendice al Capitolo C8):
“…L’inadeguatezza delle fondazioni è raramente la causa
del danneggiamento osservato nei rilevamenti post
sisma...”
“..è in generale possibbile omettere interventi sulle
strutture di fondazione, nonchè le relative verifiche a
meno che: nelle costruzioni non siano presenti
importanti dissesti di qualsiasi natura attribuibili a
cedimenti delle fondazioni..”
“..e/o
poggi
su
terreni
dalle
caratteristiche
geomeccaniche inadeguate al trasferimento dei carichi..”
51
Considerazioni conclusive
Il corpus normativo (disposti di leggi, ordinanze OPCM,
decreti dei vari commissari, ecc) che a vario titolo
disciplina sotto il profilo tecnico la ricostruzione ha
raggiunto una complessità di applicazione non
indifferente.
Spetta a noi tecnici operare semplificando la soluzione
senza eludere e/o semplificare i problemi.
Recupero e manutenzione strutture esistenti
Lecture: Seismically Isolated Structures
Project:
EOC (Emergency Operation Center)
San Francisco, CA
Ing. Mario DiNicola
Email: [email protected]
Project
site
Ing. Mario Di Nicola
Seismically Isolated Structures
Description: The EOC is located in San Francisco and has an
isolation system that utilizes elastomeric bearings, a type of
bearing commonly used for seismic isolation of buildings. The
isolation system for the building is composed of high-damping
rubber (HDR) elastomeric bearings. HDR bearings are
constructed with alternating layers of rubber and steel plates
all sheathed in rubber.
• Located in a region of very high seismicity, the building is
subject to particularly strong ground motions.
• The isolation system must accommodate large lateral
displacements (e.g., in excess of 2 ft).
Dott. Ing. Mario Di Nicola
Analisi probabilistica del rischio sismico
Design Approach
The design of isolated structures has two objectives:
1)
2)
achieving life safety in a major earthquake and
limiting damage due to ground shaking.
To meet the first performance objective, the isolation system must be stable
and capable of sustaining forces and displacements associated with the
maximum considered earthquake MCE and the structure above the
isolation system must remain essentially elastic when subjected to the
design earthquake.
Limited ductility demand is considered necessary for proper functioning of
the isolation system. If significant inelastic response was permitted in the
structure above the isolation system, unacceptably large drifts could result
due to the nature of long-period vibration. Limiting ductility demand on
the superstructure has the additional benefit of meeting the second
performance objective of damage control.
Dott. Ing. Mario Di Nicola
Analisi probabilistica del rischio sismico
The design concept presumes a structure can be substantially decoupled from
potentially damaging earthquake ground motions.
By decoupling the structure from ground shaking, isolation reduces the level of
response in the structure that would otherwise occur in a conventional, fixed-base
building.
Conversely, base-isolated buildings may be designed with a reduced level of
earthquake load to produce the same degree of seismic protection.
That decoupling is achieved when the isolation scheme makes the fundamental
period of the isolated structure several times greater than the period of the
structure above the isolation system.
Ing. Mario Di Nicola
Seismically Isolated Structures
Ing. Mario Di Nicola
Seismically Isolated Structures
Ing. Mario Di Nicola
Seismically Isolated Structures
Hazard Curves
IMT = PGA
1
P( a >z)
IMT = SA; SA Period = 0.1; SA Damping
= 5.0
IMT = SA; SA Period = 0.2; SA Damping
= 5.0
0,1
IMT = SA; SA Period = 0.3; SA Damping
= 5.0
IMT = SA; SA Period = 0.5; SA Damping
= 5.0
IMT = SA; SA Period = 1.0; SA Damping
= 5.0
0,01
IMT = SA; SA Period = 2.0; SA Damping
= 5.0
0,001
0,0001
0,01
0,1
1
Ing. Mario Di Nicola
Seismically Isolated Structures
Sa (g)10
1
P( a >z)
IMT = PGA
Hazard Curves
IMT = SA; SA Period = 0.1;
SA Damping = 5.0
IMT = SA; SA Period = 0.2;
SA Damping = 5.0
IMT = SA; SA Period = 0.3;
SA Damping = 5.0
IMT = SA; SA Period = 0.5;
SA Damping = 5.0
IMT = SA; SA Period = 1.0;
SA Damping = 5.0
IMT = SA; SA Period = 2.0;
SA Damping = 5.0
0,1
0,01
0,001
0,0001
0,01
Sa (g')
0,1
1
10
Sa (g)
Constant Hazard Spectrum 10% in 50yrs
2
1,8
1,6
1,4
1,2
1
0,8
0,6
0,4
0,2
0
0,01
Ing. Mario Di Nicola
1
Seismically Isolated Structures
0,1
T, sec
10
De-aggregazione per ground motions of T = 1 sec e RP = 475 anni
Ing. Mario Di Nicola
Seismically Isolated Structures
Preliminary Design Based on the ELF Procedure
The equivalent lateral force (ELF) procedure is a displacement-based method that uses simple
equations to determine isolated structure response
Ing. Mario Di Nicola
Seismically Isolated Structures
KEY PARAMETERS
Key parameters of inherently nonlinear, inelastic isolation systems in terms of
amplitude-dependent linear properties are:
•
•
1) Effective Stiffness
2) Effective Damping
Ing. Mario Di Nicola
Seismically Isolated Structures
KEY PARAMETERS
Ing. Mario Di Nicola
Seismically Isolated Structures
The isolation system displacement for the design earthquake is determined by using
DD = (g/4ᴨ^2)*SD1*TD/BD
Questa equaz. illustra lo spostamento spettrale della struttura isolata considerata come un sistema ad un grado di
liberta’ con periodo TD e smorzamento βD. per lo spettro di risposta elastico di progetto SD1
BD = damping factor
The design displacement, DD, and maximum displacement, DM, represent peak earthquake
displacements at the center of mass of the building without the additional displacement, that
can occur at other locations due to actual or accidental mass eccentricity.
Le forze di taglio di progetto sono:
Vb = kDmax*DD
kDmax is the maximum effective stiffness of the isolation system at the design displacement, DD.
Design earthquake response is reduced by a factor for design of the superstructure above the
isolation interface, as given by
Vs = Vb / RI
Ing. Mario Di Nicola
Seismically Isolated Structures
For designs using the ELF procedure, the lateral forces,
Fx, must be distributed to each story over the height of the structure
Fx = Vs wx hx / ∑ wi*hi
I =1,n
Because the lateral displacement of the isolated
structure is dominated by isolation system
displacement, the actual pattern of lateral force in
the isolated mode of response is distributed almost
uniformly over height.
Ing. Mario Di Nicola
Seismically Isolated Structures
As the period is increased, design forces decrease and design displacements increase linearly. Plots like those shown in Figure
11.3-3 can be constructed during conceptual design once site seismicity and soil conditions are known (or are assumed) to
investigate trial values of effective stiffness and damping of the isolation system. In this particular example, an isolation
system with an effective period falling between 2.5 and 3.0 seconds would not require more than 22 in. of total maximum
displacement capacity (assuming TM < 3.0 seconds). Design force on the superstructure would be less than about eight
percent of the building weight (assuming TD $ 2.5 seconds and RI = 2.0)
Ing. Mario Di Nicola
Seismically Isolated Structures
Ing. Mario Di Nicola
Seismically Isolated Structures
Verifiche fondamentali per la progettazione del sistema terreno -struttura
1) Spostamento massimo isolatori
2) Forze di taglio e momenti su isolatori e fondazioni
3) Momenti ribaltanti sulla struttura,
4) Forze di trazione sugli isolatori e sulle fondazioni
5) Forze di taglio sismiche alla base e alle varie altezze di piano
Ing. Mario Di Nicola
Lecture: Seismically Isolated Structures
Ing. Mario Di Nicola
Seismically Isolated Structures
Materials
Concrete:
Strength fc ' = 3 ksi
Weight (normal) γ =150 pcf
Steel:
Columns fy = 50 ksi
Primary first-floor girders (at column lines) fy = 50 ksi
Other girders and floor beams fy = 36 ksi
Braces fy = 46 ksi
Steel deck: 3-in.-deep, 20-gauge deck
Seismic isolator units (high-damping rubber):
Maximum long-term-load (1.2D + 1.6L) face pressure, σLT 1,400 psi
Maximum short-term-load (1.5D + 1.0L + QMCE) face pressure, σST 2,800 psi
Minimum bearing diameter (excluding protective cover) 1.25DTM
Minimum rubber shear strain capacity (isolator unit), γmax 300 percent
Minimum effective horizontal shear modulus, Gmin 65 - 110 psi
Third cycle at γ = 150 percent (after scragging/recovery)
Maximum effective horizontal shear modulus, Gmax 1.3 × Gmin
First cycle at γ = 150 percent (after scragging/recovery)
Minimum effective damping at 150 percent rubber shear strain, βeff 15 percent
Ing. Mario Di Nicola
Seismically Isolated Structures
Gravity Loads
Dead loads:
Main structural elements (slab, deck, and framing) self weight
Miscellaneous structural elements (and slab allowance) 10 psf
Architectural facades (all exterior walls) 750 plf
Roof parapets 150 plf
Partitions (all enclosed areas) 20 psf
Suspended MEP/ceiling systems and supported flooring 15 psf
Mechanical equipment (penthouse floor) 50 psf
Roofing 10 psf
Reducible live loads:
Floors (1-3) 100 psf
Roof decks and penthouse floor 50 psf
Live load reduction:
The 1997 UBC permits area-based live load reduction, of not more than 40 percent for elements with
live loads from a single story (e.g., girders), and not more than 60 percent for elements with live loads
from multiple stories (e.g., axial component of live load on columns at lower levels and isolator
units).
EOC weight (dead load) and live load:
Penthouse roof WPR = 965 kips
Roof (penthouse) WR = 3,500 kips
Third floor W3 = 3,400 kips
Second floor W2 = 3,425 kips
First floor W1 = 3,425 kips
Total EOC weight W = 14,715 kips
Live load (L) above isolation system L = 7,954 kips
Reduced live load (RL) above isolation system RL = 3,977 kips
Ing. Mario Di Nicola
Seismically Isolated Structures
Calculation of Design Values
•Total displacement
DD = (g/4ᴨ^2)*SD1*TD/BD = 9.8*0.9*(2.5) / 1.35 = 16.3 inch
spostamento di progetto
BD = 1.35 The 1.35 value of the damping coefficient, BD, is given assuming 15 percent effective damping
at 16.3 in. of isolation system displacement. Effective periods of 2 to 3 seconds and effective damping
values of 10 to 15 percent are typical of high-damping rubber (and other types of) bearings.
DM = 24.5 inch
Spostamento massimo
La stabilita degli isolatori va verificata considerando lo spostamento massimo
The total displacement of specific isolator units (considering the effects of torsion) is calculated based on the plan
dimensions of the building, the total torsion (due to actual, plus accidental eccentricity), and the distance from the
center of resistance of the building to the isolator unit of interest. the total design displacement, DTD, and the total
maximum displacement, DTM, of isolator units located on Column Lines 1 and 7 are calculated for the critical
(transverse) direction of earthquake load as follows:
DDT = DD*[ 1 +y(12e/(b*b + d*d))] = 19.7 in
DTM = 30 inch
•Minimum and Maximum Effective Stiffness
Ing. Mario Di Nicola
Seismically Isolated Structures
•Minimum and Maximum Effective Stiffness
The effective period at the design displacement in terms of building weight (dead load) and the minimum effective
stiffness of the isolation system, kDmin. Rearranging terms and solving for minimum effective stiffness:
⎝⎠⎝⎠
kDmin = (4ᴨ / g)*W/ TD^2 = 240 kip/in
This stiffness is about 6.9 kips/in. for each of 35 identical isolator units.
The effective stiffness can vary substantially from one isolator unit to another and from one cycle of
prototype test to another. Typically, an isolator unit’s effective stiffness is defined by a range of
values for judging acceptability of prototype (and production) bearings. The minimum value of the
stiffness range, kDmin, is used to calculate isolation system design displacements; the maximum value
of the stiffness, kDmax, is used to define design forces.
The variation in effective stiffness depends on the specific type of isolator, elastomeric compound,
loading history, etc., but must, in all cases, be broad enough to define maximum and minimum
values of effective stiffness based on testing of isolator unit prototypes. Over the three required
cycles of test at DD, the maximum value of effective stiffness (for example, at the first cycle) should
not be more than about 30 percent greater than the minimum value of effective stiffness (for
example, at the third cycle).
On this basis, the maximum effective stiffness,
kDmax, of the isolation system is limited to 312 kips/in.
(that is, 1.3 × 240 kips/in.)
Ing. Mario Di Nicola
Seismically Isolated Structures
•Lateral Design Forces
The lateral force required for the design of the isolation system, foundation, and other structural
elements below the isolation system, is given by
Vb = kDmax DD = 312(16.3) = 5,100 kips
The lateral force required for checking stability and ultimate capacity of elements of the
isolation system, may be calculated as follows:
VMCE = kDmax DM = 312(24.5) = 7,650 kips
The (unreduced) base shear of the design earthquake is about 35 percent of the weight of the EOC,
and the (unreduced) base shear of the MCE is just over 50 percent of the weight. In order to design
the structure above the isolation system, the design earthquake base shear is reduced by the RI factor
Vs = kDmax DD /RI = 312(16.3) = 2,550 kips
This force is about 17 percent of the dead load weight of the EOC, which is somewhat less than, but
comparable to, the force that would be required for the design of a conventional, fixed-base building
of the same size and height, seismic-force-resisting system, and site seismic conditions. Story shear
forces on the superstructure are distributed vertically over the height of the structure.
Ing. Mario Di Nicola
Seismically Isolated Structures
Design of the Isolation System
The displacements and forces calculated provide a basis to Develop a detailed design
of the isolator units
Developing a detailed design of an elastomeric bearing, requires a familiarity with rubber bearing technology, that
is usually beyond the expertise of most structural designers; and often varies based on the materials used by
different manufacturers. This example, like most recent isolation projects, will define design properties for
isolator units that are appropriate for incorporation into a performance specification (and can be bid by more
than one bearing manufacturer). Even though the specifications will place the responsibility for meeting
performance standards with the supplier, the designer must still be knowledgeable of available products and
potential suppliers, to ensure success of the design.
• Size of Isolator Units
The design properties of the seismic isolator units are established based on the calculations of ELF demand,
recognizing that dynamic analysis is required to verify these properties (and will likely justify slightly more
lenient properties). The key parameters influencing size are:
Ing. Mario Di Nicola
Seismically Isolated Structures
1. Peak displacement of isolator units,
2. Average long-term (gravity) load on all isolator units,
3. Maximum long-term (gravity) load on individual isolator units, and
4. Maximum short-term load on individual isolator units (gravity plus MCE loads) including
maximum uplift displacement.
As rule of thumb, elastomeric isolators should have a diameter, excluding the protective layer of cover, of no
less than 1.25 times maximum earthquake displacement demand. In this case, the full displacement
determined by the ELF procedure would require an isolator diameter of:
Diameter, Φ ISO > 1.25 (29.6) = 37 in. (0.95 m)
A single size of isolator unit is selected with a nominal diameter of no less than 35.4 in.(0.90 m).
Although the maximum vertical loads vary enough to suggest smaller diameter of isolator
units at certain locations (such as at building corners), all of the isolator units must be large
enough to sustain MCE displacements; which are largest at building corners, due to torsion.
An isolator unit with a diameter of 35.4 in., has a corresponding bearing area of about
Area, Ab = 950 square in.
The maximum long-term face pressure is about 1,100 psi (i.e., 1,053 kips/950 in.2), which is less
than the limit for most elastomeric bearing compounds. Average long-term face pressure is
about 500 psi (i.e., 477 kips/950 in.2) indicating the reasonably good distribution of loads
among all isolator units.
Ing. Mario Di Nicola
Seismically Isolated Structures
The minimum effective stiffness is 6.9 kips/in. per isolator unit at the design displacement (i.e.,
about 16 in.).
The height of the isolator unit is primarily a function of the height of the rubber, hr, required to
achieve this stiffness, given the bearing area, Ab, and the effective stiffness of the rubber
compound.
The EOC design accommodates rubber compounds with minimum effective shear modulus (at
150 percent shear strain) ranging from G150% = 65 psi to 110 psi.
Numerous elastomeric bearing manufacturers have rubber compounds with a shear modulus that
falls within this range. Since rubber compounds (and in particular, high-damping rubber
compounds) are nonlinear, the effective stiffness used for design must be associated with a
shear strain that is close to the strain level for the design earthquake (e.g., 150 percent shear
strain). For a minimum effective shear modulus of 65 psi, the total height of the rubber, hr,
would be:
Isolator Height, hr = G150%Ab / Keff = (65 lb/sqi * 950sqi) / 6900 lb/in = 9 inches
The overall height of the isolator unit, H, including steel shim and flange plates, would be about
15 in. For compounds with an effective minimum shear modulus of 110 psi, the rubber height
would be proportionally taller (about 15 in.), and the total height of the isolator unit would be
about 24 in.
Ing. Mario Di Nicola
Seismically Isolated Structures
Ing. Mario Di Nicola
Seismically Isolated Structures
RECUPERO E MANUTENZIONE DI STRUTTURE ESISTENTI
Dal ripristino strutturale alla protezione preventiva per la durabilità
L'AQUILA 10 Novembre 2010
METODI DI ANALISI PER EDIFICI ESISTENTI IN MURATURA
E TECNICHE DI INTERVENTO PER IL MIGLIORAMENTO SISMICO
Secondo il DM Infrastrutture 14.01.08 e la Circolare n. 617 del 2.01.09
ING. MAURIZIO MARIA MALATESTA
10 Novembre 2010
1
ANALISI DI UN EDIFICO ESISTENTE IN MURATURA
(indice)
Rilievo geometrico, strutturale ed analisi in situ
Rilievo geometrico e strutturale (caratterizzazione tipologica dei materiali dettagli
costruttivi e tessitura e tipologia di solai e coperture);
Quadro fessurativo e rilievo dei danni;
Individuazione dei meccanismi locali di danno (fuori piombo, frecce eccessive, rotazione
di elementi murari fuori dal loro piano, dissesti di archi e volte.
Comportamento globale sismico dell’edificio (relativi all’intera
impegnano i pannelli murari prevalentemente nel loro piano)
costruzione
che
Caratterizzazione meccanica dei materiali da costruzione (in particolare: murature, legno
elementi in calcestruzzo o laterocemento)
Determinazione del livello di conoscenza e del conseguente fattore di confidenza
Progetto delle verifiche in situ sulle elevazioni e sulle fondazioni dell’edificio
Progetto delle indagini in situ ed in laboratorio dell’edificio in elevazione, in fondazione e
sul terreno di sedime.
2
VERIFICA DELLA SICUREZZA DELL’EDIFICIO
(indice)
La verifica della sicurezza dell’edificio avviene attraverso sia l’analisi sismica dei meccanismi
locali di danno che attraverso l’analisi sismica globale della struttura. La sicurezza della
costruzione deve essere valutata nei confronti di entrambi i tipi di meccanismo.
Per prima cosa si studiano i meccanismi locali poiché prima di passare all’analisi globale
devono essere eliminate le vulnerabilità intrinseche delle sottostrutture che compongono
la fabbrica muraria; queste vulnerabilità attengono all’assenza, o scarsa efficacia, dei
collegamenti tra le pareti (incroci murari a martello o terminali) e tra pareti ed
orizzontamenti. Oltre a ciò si devono verificare i cinematismi di collasso quali rotazioni
fuori dal piano di pannelli murari, o porzioni di muratura, martellamenti tra edifici contigui,
dissesti di volte, di archi ecc.
Per tali verifiche si possono utilizzare :
L’analisi cinematica lineare (applicando il principio dei lavori virtuali)
L’analisi cinematica non lineare (utilizzando la curva di capacità).
3
Interventi di risanamento locali
(indice)
Dall’analisi locale derivano gli interventi locali di risanamento che riportano la
struttura ad un “unicum” strutturale che giustifichi l’adozione di un modello
scatolare dell’edifico con collegamenti tra elementi murari e orizzontamenti
efficaci sul quale effettuare l’analisi sismica globale.
Analisi sismica globale
(indice)
L’analisi sismica globale deve considerare, per quanto possibile, il sistema
strutturale reale della costruzione, con particolare attenzione alla rigidezza dei
solai ed all’efficacia dei collegamenti
degli elementi strutturali, la presenza di cordoli, architravi, tipologia e tessitura
dei solai e delle coperture.
4
Edifici in aggregato
(indice)
In presenza di edifici in aggregato, continui, a contatto od interconnessi con altri
edifici adiacenti, occorre tener conto delle possibili interazioni derivanti dalla
contiguità con gli altri edifici. A tal fine dovrà essere individuata l’unità
strutturale (US) per l’applicazione dell’analisi sismica globale evidenziando le
azioni che su di essa possono derivare dalle unità strutturali contigue.
La porzione di aggregato che costituiscono l'US, dovrà comprendere cellule tra
loro legate in elevazione ed in pianta da un comune processo costruttivo, oltre
che considerare tutti gli elementi interessati dalla trasmissione a terra dei
carichi verticali. Per l’individuazione delle US, si terrà conto principalmente
della unitarietà del comportamento strutturale di tali porzioni di aggregato nei
confronti dei carichi sia statici che dinamici in modo da indirizzare gli interventi
di risanamento e miglioramento sismico verso soluzioni congruenti con
l’originaria configurazione strutturale, ed omogenei per l’intera US e
possibilmente per l’intero aggregato.
5
INTERVENTI DI RISANAMENTO E MIGLIORAMENTO
SISMICO
(indice)
INTERVENTI VOLTI A RIDURRE LE CARENZE DEI COLLEGAMENTI:
inserimento di tiranti (catene), metallici.
Cerchiature esterne, con elementi metallici o materiali compositi, allo scopo di
“chiudere” la scatola muraria e di offrire un efficace collegamento tra murature
ortogonali.
Ammorsatura, tra parti adiacenti o tra murature che si intersecano,
Perforazioni armate
Cordoli in sommità
Interventi atti a ripristinare l’efficace connessione dei solai di piano e delle
coperture alle murature.
INTERVENTI SUGLI ARCHI E SULLE VOLTE:
Gli interventi sulle strutture ad arco o a volta possono essere realizzati con catene,
contrafforti o ringrossi murari. fasce di materiale composito.
INTERVENTI VOLTI A RIDURRE L’ECCESSIVA DEFORMABILITÀ DEI SOLAI
INTERVENTI IN COPERTURA
INTERVENTI VOLTI AD INCREMENTARE LA RESISTENZA NEI MASCHI MURARI:
scuci e cuci, iniezioni di miscele leganti, chiusura di nicchie vecchie aperture nella
muratura, canne fumarie, ristilatura dei giunti, diatoni artificiali, intonaco
armato, placcaggio con tessuti o lamine in altro materiale resistente a trazione.
6
COSTRUZIONI ESISTENTI. ( Cap. 8 NTC 2008)
Nuove norme tecniche per le costruzioni D.M. Infrastrutture 14.01.2008
VALUTAZIONE DELLA SICUREZZA:
Il capitolo 8 delle nuove norme NTC 2008 definisce i criteri generali per la valutazione della sicurezza e per
la progettazione, l’esecuzione ed il collaudo degli interventi sulle costruzioni esistenti.
Cap. 8.2: La valutazione della sicurezza e la progettazione degli interventi su costruzioni esistenti devono
tenere conto dei seguenti aspetti:
- la costruzione riflette lo stato delle conoscenze al tempo della sua realizzazione;
- possono essere insiti e non palesi difetti di impostazione e di realizzazione;
- la costruzione può essere stata soggetta ad azioni, anche eccezionali, i cui effetti non siano
completamente manifesti; (sequenza nel tempo di sismi lievi, medi e forti, sollecitazioni da vibrazione
dovute al traffico leggero o pesante nelle immediate vicinanze dell'edificio
- le strutture possono presentare degrado e/o modificazioni significative rispetto alla situazione originaria.
(mancanza di manutenzione, modificazioni nelle tramezzature, nei muri portanti, rifacimento di solai,
variazioni di destinazioni d'uso, apertura o chiusura di porte e finestre).
Nella definizione dei modelli strutturali, si dovrà, inoltre, tenere conto che:
- la geometria e i dettagli costruttivi sono definiti e la loro conoscenza dipende solo dalla documentazione
disponibile e dal livello di approfondimento delle indagini conoscitive;
- la conoscenza delle proprietà meccaniche dei materiali non risente delle incertezze legate alla
produzione e posa in opera ma solo della omogeneità dei materiali stessi all’interno della costruzione, del
livello di approfondimento delle indagini conoscitive e dell’affidabilità delle stesse;
- i carichi permanenti sono definiti e la loro conoscenza dipende dal livello di approfondimento delle
indagini conoscitive. Si dovrà prevedere l’impiego di metodi di analisi e di verifica dipendenti dalla
completezza e dall’affidabilità dell’informazione disponibile e l’uso, nelle verifiche di sicurezza, di
adeguati “fattori di confidenza”, che modificano i parametri di capacità in funzione del livello di
conoscenza relativo a geometria, dettagli costruttivi e materiali, (si può aggiungere tipologia e
caratteristiche delle fondazioni).
7
Cap. 8.3: Valutazione della sicurezza.
La valutazione della sicurezza e la progettazione degli interventi sulle costruzioni esistenti
potranno essere eseguiti con riferimento ai soli SLU; nel caso in cui si effettui la verifica
anche nei confronti degli SLE i relativi livelli di prestazione possono essere stabiliti dal
Progettista di concerto con il Committente.
La valutazione della sicurezza dovrà effettuarsi ogni qual volta si eseguano gli interventi strutturali per
miglioramento, adeguamento o riparazioni con interventi locali, e dovrà determinare il livello di
sicurezza prima e dopo l’intervento.
Il Progettista dovrà esplicitare, in un’apposita relazione, i livelli di sicurezza attuali o raggiunti con
l’intervento e le eventuali conseguenti limitazioni da imporre nell’uso della costruzione.(agibilità
sismica degli edifici con miglioramento sismico)
Tutti gli interventi di miglioramento o adeguamento sismico devono essere sottoposti a collaudo statico.
Cap. 8.5: Procedure per la valutazione della sicurezza e la redazione dei progetti.
Cap. 8.5.1: Analisi storico critica.
Ai fini di una corretta individuazione del sistema strutturale esistente e del suo stato di sollecitazione è
importante ricostruire il processo di realizzazione e le successive modificazioni subite nel tempo dal
manufatto, nonché gli eventi che lo hanno interessato.
Cap. 8.5.2: Rilievo.
Il rilievo geometrico-strutturale dovrà essere riferito sia alla geometria complessiva dell’organismo che a
quella degli elementi costruttivi, comprendendo i rapporti con le eventuali strutture in aderenza. Nel
rilievo dovranno essere rappresentate le modificazioni intervenute nel tempo, come desunte
dall’analisi storico-critica.
8
VERIFICHE IN SITU
Verifiche in-situ limitate: (LC1) sono basate su rilievi di tipo visivo effettuati ricorrendo,
generalmente, a rimozione dell'intonaco e saggi nella muratura che consentano di esaminarne le
caratteristiche sia in superficie che nello spessore murario, e di ammorsamento tra muri
ortogonali e dei solai nelle pareti.
Verifiche in-situ estese ed esaustive: (LC2/LC3) sono basate su rilievi di tipo visivo, effettuati
ricorrendo, generalmente, a saggi nella muratura che consentano di esaminarne le
caratteristiche sia in superficie che nello spessore murario, e di ammorsamento tra muri
ortogonali e dei solai nelle pareti.
L’esame è opportuno sia esteso in modo sistematico all’intero edificio.
Nota. Per questo tipo di verifiche occorre una impresa con scale, trabattelli o impalcature per le
ispezioni in quota, luci artificiali, martelli demolitori per rimozione intonaco, utensili per
spicconature e dispositivi di prevenzione individuali antinfortunistici.
Cap. C8A.1.4.2: Costruzioni in muratura: dettagli costruttivi
I dettagli costruttivi da esaminare sono relativi ai seguenti elementi:
a) qualità del collegamento tra pareti verticali;
b) qualità del collegamento tra orizzontamenti e pareti ed eventuale presenza di cordoli di piano o
di altri dispositivi di collegamento;
c) esistenza di architravi strutturalmente efficienti al di sopra delle aperture;
d) presenza di elementi strutturalmente efficienti atti ad eliminare le spinte eventualmente
presenti (catene o contrafforti);
e) presenza di elementi, anche non strutturali, ad elevata vulnerabilità (murature in laterizio
forato);
f) tipologia della muratura (a un paramento, a due o più paramenti, con o senza riempimento a
10
sacco, con o senza collegamenti trasversali, etc.), e sue caratteristiche costruttive
(eseguita in
mattoni o in pietra, regolare, irregolare, etc.).
Indagini in situ
Indagini in-situ limitate (LC1):
Servono a completare le informazioni sulle proprietà dei materiali ottenute dalla letteratura, o dalle regole
in vigore all’epoca della costruzione, e per individuare la tipologia della muratura (in Tabella C8A.2.1
sono riportate alcune tipologie più ricorrenti).
Sono basate su esami visivi della superficie muraria. Tali esami visivi sono condotti dopo la rimozione di
una zona di intonaco di almeno 1m x 1m, al fine di individuare forma e dimensione dei blocchi di cui è
costituita, eseguita preferibilmente in corrispondenza degli angoli, al fine di verificare anche le
ammorsature tra le pareti murarie. È da valutare, anche in maniera approssimata, la compattezza della
malta.
Importante è anche valutare la capacità degli elementi murari di assumere un comportamento monolitico in
presenza delle azioni, tenendo conto della qualità della connessione interna e trasversale attraverso
saggi localizzati, che interessino lo spessore murario.
Indagini
in-situ estese (LC2):
le indagini di cui al punto precedente sono effettuate in maniera estesa e sistematica, con saggi
superficiali ed interni per ogni tipo di muratura presente. Prove con martinetto piatto doppio e prove di
caratterizzazione della malta (tipo di legante, tipo di aggregato, rapporto legante/aggregato, etc.), e
eventualmente di pietre e/o mattoni (caratteristiche fisiche e meccaniche) consentono di individuare la
tipologia della muratura (si veda la Tabella C8A.2.1 per le tipologie più ricorrenti). È opportuna una prova
per ogni tipo di muratura presente. Metodi di prova non distruttivi (prove soniche, penetrometriche per la
malta, etc.) possono essere impiegati a complemento delle prove richieste. Qualora esista una chiara,
comprovata corrispondenza tipologica per materiali, pezzatura dei conci, dettagli costruttivi, in
sostituzione delle prove sulla costruzione oggetto di studio possono essere utilizzate prove eseguite su
altre costruzioni presenti nella stessa zona.
11
Indagini in-situ esaustive (LC3):
Servono per ottenere informazioni quantitative sulla resistenza del materiale. In aggiunta alle verifiche
visive,ai saggi interni ed alle prove di cui ai punti precedenti, si effettua una ulteriore serie di prove
sperimentali che, per numero e qualità, siano tali da consentire di valutare le caratteristiche
meccaniche della muratura. La misura delle caratteristiche meccaniche della muratura si ottiene
mediante esecuzione di prove, in situ o in laboratorio (su elementi non disturbati prelevati dalle
strutture dell’edificio). Le prove possono in generale comprendere prove di compressione diagonale su
pannelli o prove combinate di compressione verticale e taglio. Metodi di prova non distruttivi possono
essere impiegati in combinazione, ma non in completa sostituzione di quelli sopra descritti. Qualora
esista una chiara, comprovata corrispondenza tipologica per materiali, pezzatura dei conci, dettagli
costruttivi, in sostituzione delle prove sulla costruzione oggetto di studio possono essere utilizzate
prove eseguite su altre costruzioni presenti nella stessa zona.
C8A.1.A.4 Costruzioni in muratura: livelli di conoscenza
Con riferimento al livello di conoscenza acquisito, si possono definire i valori medi dei parametri
meccanici ed i fattori di confidenza secondo quanto segue:
il livello di conoscenza LC3 (esaustivo) si intende raggiunto quando siano stati effettuati il rilievo
geometrico, verifiche in situ estese ed esaustive sui dettagli costruttivi, indagini in situ esaustive
sulle proprietà dei materiali; il corrispondente fattore di confidenza è FC = 1;
il livello di conoscenza LC2 (esteso) si intende raggiunto quando siano stati effettuati il rilievo
geometrico, verifiche in situ estese ed esaustive sui dettagli costruttivi ed indagini in situ estese
sulle proprietà dei materiali; il corrispondente fattore di confidenza è FC = 1.2;
il livello di conoscenza LC1 (limitato) si intende raggiunto quando siano stati effettuati il rilievo
geometrico, verifiche in situ limitate sui dettagli costruttivi ed indagini in situ limitate sulle proprietà
dei materiali; il corrispondente fattore di confidenza è FC = 1.35.
12
TABELLA C8A.2.1
VALORI DI RIFERIMENTO DEI PARAMETRI MECCANICI DELLE MURATURE
14
Tabella C8A.2.2 -Coefficienti correttivi dei parametri meccanici (indicati in Tabella
C8A.2.1) da applicarsi in presenza di: malta di caratteristiche buone o ottime; giunti sottili;
ricorsi o listature; sistematiche connessioni trasversali; nucleo interno particolarmente
scadente e/o ampio; consolidamento con iniezioni di malta; consolidamento con intonaco
armato
15
MECCANISMI LOCALI E D'INSIEME NELLE MURATURE
8.7.1 COSTRUZIONI IN MURATURA
Nelle costruzioni esistenti in muratura soggette ad azioni sismiche, particolarmente negli edifici, si
possono manifestare meccanismi locali e meccanismi d’insieme.
I meccanismi locali interessano singoli pannelli murari o più ampie porzioni della costruzione, e sono
favoriti dall’assenza o scarsa efficacia dei collegamenti tra pareti e orizzontamenti e negli incroci
murari.
I meccanismi globali sono quelli che interessano l’intera costruzione e impegnano i pannelli murari
prevalentemente nel loro piano.
La sicurezza della costruzione deve essere valutata nei confronti di entrambi i tipi di meccanismo.
Per l’analisi sismica dei meccanismi locali si può far ricorso ai metodi dell’analisi limite dell’equilibrio
delle strutture murarie, tenendo conto, anche se in forma approssimata, della resistenza a
compressione, della tessitura muraria, della qualità della connessione tra le pareti murarie, della
presenza di catene e tiranti. Con tali metodi è possibile valutare la capacità sismica in termini di
resistenza (applicando un opportuno fattore di struttura) o di spostamento (determinando
l’andamento dell’azione orizzontale che la struttura è progressivamente in grado di sopportare
all’evolversi del meccanismo).
16
C8A.4 ANALISI DEI MECCANISMI LOCALI DI COLLASSO IN EDIFICI
ESISTENTI IN MURATURA
Negli edifici esistenti in muratura spesso avvengono collassi parziali per cause
sismiche, in genere per perdita dell'equilibrio di porzioni murarie; la verifica nei
riguardi di questi meccanismi, secondo le modalità descritte nel seguito, assume
significato se è garantita una certa monoliticità della parete muraria, tale da
impedire collassi puntuali per disgregazione della muratura. Meccanismi locali si
verificano nelle pareti murarie prevalentemente per azioni perpendicolari al loro
piano, mentre nel caso di sistemi ad arco anche per azioni nel piano. Le verifiche
con riferimento ai meccanismi locali di danno e collasso (nel piano e fuori piano)
possono essere svolti tramite l’analisi limite dell’equilibrio, secondo l’approccio
cinematico, che si basa sulla scelta del meccanismo di collasso e la valutazione
dell’azione orizzontale che attiva tale cinematismo.
L’applicazione del metodo di verifica presuppone quindi l’analisi dei meccanismi
locali ritenuti significativi per la costruzione, che possono essere ipotizzati sulla
base della conoscenza del comportamento sismico di strutture analoghe, già
danneggiate dal terremoto, o individuati considerando la presenza di eventuali stati
fessurativi, anche di natura non sismica; inoltre andranno tenute presente la qualità
della connessione tra le pareti murarie, la tessitura muraria, la presenza di catene,
le interazioni con altri elementi della costruzione o degli edifici adiacenti.
17
L’approccio cinematico permette inoltre di determinare l’andamento dell’azione orizzontale che la
struttura è progressivamente in grado di sopportare all’evolversi del meccanismo. Tale curva è
espressa attraverso un moltiplicatore “α”, rapporto tra le forze orizzontali applicate ed i
corrispondenti pesi delle masse presenti, rappresentato in funzione dello spostamento “d k” di un
punto di riferimento del sistema; la curva deve essere determinata fino all’annullamento di ogni
capacità di sopportare azioni orizzontali (α=0). Tale curva può essere trasformata nella curva di
capacità di un sistema equivalente ad un grado di libertà, nella quale può essere definita la
capacità di spostamento ultimo del meccanismo locale, da confrontare con la domanda di
spostamento richiesta dall’azione sismica.
Per ogni possibile meccanismo locale ritenuto significativo per l’edificio, il metodo si articola nei
seguenti passi:
- Trasformazione di una parte della costruzione in un sistema labile (catena cinematica), attraverso
l’individuazione di corpi rigidi, definiti da piani di frattura ipotizzabili per la scarsa resistenza a
trazione della muratura, in grado di ruotare o scorrere tra loro (meccanismo di danno e collasso);
- Valutazione del moltiplicatore orizzontale dei carichi αo che comporta l’attivazione del meccanismo
(stato limite di danno);
- Valutazione dell’evoluzione del moltiplicatore orizzontale dei carichi α al crescere dello
spostamento dk di un punto di controllo della catena cinematica, usualmente scelto in prossimità
del baricentro delle masse, fino all’annullamento della forza sismica orizzontale;
-Trasformazione della curva così ottenuta in curva di capacità, ovvero in accelerazione a* e
spostamento d* spettrali, con valutazione dello spostamento ultimo per collasso del meccanismo
(stato limite ultimo), definito in seguito;
- Verifiche di sicurezza, attraverso il controllo della compatibilità degli spostamenti e/o delle
18
resistenze richieste alla struttura.
Per l’applicazione del metodo di analisi suddetto si ipotizza, in genere:
resistenza nulla a trazione della muratura;
assenza di scorrimento tra i blocchi;
resistenza a compressione infinita della muratura.
Tuttavia, per una simulazione più realistica del comportamento, è opportuno considerare,
in forma approssimata:
gli scorrimenti tra i blocchi, considerando la presenza dell’attrito;
le connessioni, anche di resistenza limitata, tra le pareti murarie;
la presenza di catene metalliche;
la limitata resistenza a compressione della muratura, considerando le cerniere adeguatamente
arretrate rispetto allo spigolo della sezione;
la presenza di pareti a paramenti scollegati.
Per effettuare la verifica dei meccanismi locali di collasso si possono utilizzare due metodi:
C.8.A.4.1 Analisi cinematica lineare (applicando il principio dei lavori virtuali)
C.8.A.4.2 Analisi cinematica non lineare (curva di capacità)
19
MECCANISMI LOCALI DI COLLASSO
VALUTAZIONE DELLE AZIONI DI COLLASSO CINEMATICO PER L’ELIMINAZIONE DEI
MECCANISMI LOCALI DI COLLASSO E RICONDURRE L’ELEMENTO EDILIZIO AD UN
COMPORTAMENTO SCASTOLARE
METODI DI ANALISI GLOBALE
Cap. 7.8.1.5 Metodi di analisi(Generali per edifici nuovi o esistenti)
Cap. C7.8.1.5.1 generalità
Le strutture in muratura,essendo caratterizzate da un comportamento non lineare risultano, in ogni
caso, più significativamente rappresentate attraverso un’analisi statica non lineare.
7.8.1.5.2 Analisi lineare statica
È applicabile nei casi previsti al § 7.3.3.2., anche nel caso di costruzioni irregolari in altezza,
purché si ponga l = 1,0.
Le rigidezze degli elementi murari debbono essere calcolate considerando sia il contributo
flessionale sia quello tagliante. L’utilizzo di rigidezze fessurate è da preferirsi; in assenza di
valutazioni più accurate le rigidezze fessurate possono essere assunte pari alla metà di quelle
non fessurate.
Nell’ipotesi di infinita rigidezza nel piano dei solai, il modello può essere costituito dai soli elementi
murari continui dalle fondazioni alla sommità, collegati ai soli fini traslazionali alle quote dei solai.
In alternativa, gli elementi di accoppiamento fra pareti diverse, quali travi o cordoli in cemento
armato e travi in muratura (qualora efficacemente ammorsate alle pareti), possono essere
considerati nel modello, a condizione che le verifiche di sicurezza vengano effettuate anche su
tali elementi.
22
Possono essere considerate nel modello, travi di accoppiamento in muratura ordinaria, solo se
sorrette da un cordolo di piano o da un architrave resistente a flessione efficacemente
ammorsato alle estremità. Per elementi di accoppiamento in cemento armato, si considerano
efficaci per l’accoppiamento elementi aventi altezza almeno pari allo spessore del solaio. In
presenza di elementi di accoppiamento l’analisi può essere effettuata utilizzando modelli a
telaio, in cui le parti di intersezione tra elementi verticali e orizzontali possono essere considerate
infinitamente rigide.
7.8.1.5.3 Analisi dinamica modale
È applicabile in tutti i casi, con le limitazioni di cui al § 7.3.3.1. Quanto indicato per
modellazione e possibilità di ridistribuzione nel caso di analisi statica lineare vale anche in
questo caso.
Il modello può essere a telaio equivalente o ad elementi finiti
Le verifiche fuori piano possono essere effettuate separatamente, adottando le forze
equivalenti indicate al punto precedente per l’analisi statica lineare.
7.8.1.5.4 Analisi statica non lineare
L’analisi statica non lineare è applicabile agli edifici in muratura anche nei casi in cui la massa
partecipante del primo modo di vibrare sia inferiore al 75% della massa totale ma comunque
superiore al 60%.
Il modello geometrico della struttura può essere conforme a quanto indicato nel caso di analisi
statica lineare ovvero essere ottenuto utilizzando modelli più sofisticati purché idonei e
adeguatamente documentati.
23
I pannelli murari possono essere caratterizzati da un comportamento bilineare elastico
perfettamente plastico, con resistenza equivalente al limite elastico e spostamenti al limite
elastico e ultimo definiti per mezzo della risposta flessionale o a taglio di cui ai §§ 7.8.2.2 e
7.8.3.2. Gli elementi lineari in c.a. (cordoli, travi di accoppiamento) possono essere caratterizzati
da un comportamento bilineare elastico perfettamente plastico, con resistenza equivalente al
limite elastico e spostamenti al limite elastico e ultimo definiti per mezzo della risposta flessionale
o a taglio.
Cap. 7.8.1.5.5 Analisi dinamica non lineare
Si applica integralmente il § 7.3.4.2 facendo uso di modelli meccanici non lineari di comprovata
e documentata efficacia nel riprodurre il comportamento dinamico e ciclico della muratura. I
modelli strutturali da utilizzare devono consentire una corretta rappresentazione del
comportamento degli elementi strutturali in termini di resistenza, anche in funzione di possibili
fenomeni di degrado associati alle deformazioni cicliche e di comportamento post elastico.
L’analisi sismica globale deve considerare, per quanto possibile, il sistema strutturale reale
della costruzione, con particolare attenzione alla rigidezza e resistenza dei solai, e all’efficacia
dei collegamenti degli elementi strutturali. Nel caso di muratura irregolare, la resistenza a taglio
di calcolo per azioni nel piano di un pannello in muratura potrà essere calcolata facendo ricorso
a formulazioni alternative rispetto a quelle adottate per opere nuove, purché di comprovata
validità.
24
MODELLI STRUTTURALI
MODELLO 3D CON ELEMENTI FINITI CHE SCHEMATIZZI LA STRUTTURA COME
ELEMENTI BIDIMENSIONALI (PIASTRA, MEMBRANA, SHELL) CON TALI
ELEMENTI NON SPECIALIZZATI.
25
MODELLO 3D AGLI ELEMENTI FINITI CHE SCHEMATIZZA LA STRUTTURA COME ELEMENTI
BIDIMENSIONALI (PIASTRE, MEMBRANE, SHELL9 SPECIALIZZATI: ELEMENTI VERTICALI
CIELO-TERRA COME MASCHI MURARI, FASCIE DI COLLEGAMENTO SOPRA/SOTTO
FINESTRA COME TRAVI CON RESISTENZA A TAGLIO
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MODELLO A TELAIO EQUIVALENTE: MASCHI MURARI COLLEGATI DA FASCIE DI
PIANO EFFICACI A FLESSIONE E TAGLIO COLLEGATE AI MASCHI CON TRONCHI
RIGIDI.
MODELLO A MENSOLA: MASCHI MURARI COLLEGATI DA PENDOLI DI PIANO
(FASCIE DEBOLI O NON RINFORZATE)
Bibliografia:
Nuove norme tecniche per le costruzioni D.Min Infrastrutture 14 gennaio 2008.
Circolare 2 febbraio 2009, n. 617 C.S. LL.PP. Istruzioni per l’applicazione delle “Nuove norme tecniche per
le costruzioni di cui al Decreto Ministeriale 14 gennaio 2008”.
Linee guida Reluis per il rilievo, l'analisi ed il progetto di interventi di riparazione e consolidamento sismico
degli edifici in muratura in aggregato – Terremoto dell’Aquila del 6/04/2009.
Immagini gentilmente concesse dal Prof. Ing. Graziano Leoni – Università degli Studi di Camerino, Facoltà
di Architettura.
27
RECUPERO E MANUTENZIONE DI STRUTTURE ESISTENTI
Dal ripristino strutturale alla protezione preventiva per la durabilità
L'AQUILA 10 Novembre 2010
METODI DI ANALISI PER EDIFICI ESISTENTI IN MURATURA
E TECNICHE DI INTERVENTO PER IL MIGLIORAMENTO SISMICO
Secondo il DM Infrastrutture 14.01.08 e la Circolare n. 617 del 2.01.09
EDIFICI IN AGGREGATO
10 Novembre 2010
1
AGGREGATI EDILIZI
C8A.3 AGGREGATI EDILIZI
Un aggregato edilizio è costituito da un insieme di parti che sono il risultato di una genesi
articolata e non unitaria, dovuta a molteplici fattori (sequenza costruttiva, cambio di materiali,
mutate esigenze, avvicendarsi dei proprietari, etc.). Nell’analisi di un edificio facente parte di un
aggregato edilizio occorre tenere conto perciò delle possibili interazioni derivanti dalla contiguità
strutturale con gli edifici adiacenti, connessi o in aderenza ad esso. A tal fine dovrà essere
individuata, in via preliminare, l’unità strutturale (US) oggetto di studio, evidenziando le azioni
che su di essa possono derivare dalle unità strutturali contigue. La porzione di aggregato che
costituisce l'US dovrà comprendere cellule tra loro legate in elevazione ed in pianta da un
comune processo costruttivo, oltre che considerare tutti gli elementi interessati dalla
trasmissione a terra dei carichi verticali dell’edificio in esame.
Ove necessario, tale analisi preliminare dovrà considerare l’intero aggregato, al fine di
individuare le relative connessioni spaziali fondamentali, con particolare attenzione al contesto
ed ai meccanismi di giustapposizione e di sovrapposizione. In particolare, il processo di
indagine sugli aggregati edilizi si dovrebbe sviluppare attraverso l’individuazione di diversi strati
d’informazione:
- i rapporti tra i processi di aggregazione ed organizzazione dei tessuti edilizi e l’evoluzione del
sistema viario; - i principali eventi che hanno influito sugli aspetti morfologici del costruito storico
(fonti storiche); - la morfologia delle strade (andamento, larghezza, flessi planimetrici e
disassamenti dei fronti edilizi); la disposizione e la gerarchia dei cortili (con accesso diretto o da
androne) ed il posizionamento delle scale esterne; tale studio favorisce la comprensione del
processo formativo e di trasformazione degli isolati, dei lotti, delle parti costruite e delle porzioni
libere in rapporto alle fasi del loro uso;
2
L’allineamento delle pareti; verifiche di ortogonalità rispetto ai percorsi viari; individuazione dei
prolungamenti, delle rotazioni, delle intersezioni e degli slittamenti degli assi delle pareti (ciò
aiuta ad identificare le pareti in relazione alla loro contemporaneità di costruzione e quindi a
definire il loro grado di connessione); - I rapporti spaziali elementari delle singole cellule murarie,
nonché i rapporti di regolarità, ripetizione, modularità, ai diversi piani (ciò consente di distinguere
le cellule originare da quelle dovute a processi di saturazione degli spazi aperti); - la forma e la
posizione delle bucature nei muri di prospetto: assialità, simmetria, ripetizione (ciò consente di
determinare le zone di debolezza nel percorso di trasmissione degli sforzi, nonché di rivelare le
modificazioni avvenute nel tempo); - I disassamenti e le rastremazioni delle pareti, i muri
poggianti “in falso” sui solai sottostanti, lo sfalsamento di quota tra solai contigui (ciò fornisce
indicazioni sia per ricercare possibili fonti di danno in rapporto ai carichi verticali e sismici, sia per
affinare l’interpretazione dei meccanismi di aggregazione).
Per la individuazione dell'US da considerare si terrà conto principalmente della unitarietà
del comportamento strutturale di tale porzione di aggregato nei confronti dei carichi, sia
statici che dinamici. A tal fine è importante rilevare la tipologia costruttiva ed il permanere
degli elementi caratterizzanti, in modo da indirizzare il progetto degli interventi verso
soluzioni congruenti (tra loro e) con l’originaria configurazione strutturale.
L’individuazione dell'US va comunque eseguita caso per caso, in ragione della forma del
sistema edilizio di riferimento a cui appartiene l'US (composta da una o più unità
immobiliari), della qualità e consistenza degli interventi previsti e con il criterio di
minimizzare la frammentazione in interventi singoli. Il progettista potrà quindi definire la
dimensione operativa minima, che talora potrà riguardare l’insieme delle unità immobiliari
costituenti il sistema, ed in alcuni casi porzioni più o meno estese del contesto urbano.
3
L’US dovrà comunque avere continuità da cielo a terra per quanto riguarda il flusso dei carichi
verticali e, di norma, sarà delimitata o da spazi aperti, o da giunti strutturali, o da edifici contigui
costruiti, ad esempio, con tipologie costruttive e strutturali diverse, o con materiali diversi, oppure
in epoche diverse.
Tra le interazioni strutturali con gli edifici adiacenti si dovranno considerare: carichi (sia verticali
che orizzontali, in presenza di sisma) provenienti da solai o da pareti di US adiacenti; spinte di
archi e volte appartenenti ad US contigue; spinte provenienti da archi di contrasto o da tiranti
ancorati su altri edifici. La rappresentazione dell'US attraverso piante, alzati e sezioni permetterà
di valutare la diffusione delle sollecitazioni e l’interazione fra le US contigue.
Oltre a quanto normalmente previsto per gli edifici non disposti in aggregato, dovranno essere
valutati gli effetti di: spinte non contrastate causate da orizzontamenti sfalsati di quota sulle pareti
in comune con le US adiacenti; effetti locali causati da prospetti non allineati, o da differenze di
altezza o di rigidezza tra US adiacenti, azioni di ribaltamento e di traslazione che interessano le
pareti nelle US di testata delle tipologie seriali (schiere).
Dovrà essere considerato inoltre il possibile martellamento nei giunti tra US adiacenti.
L'analisi di una US secondo i metodi utilizzati per edifici isolati, senza una adeguata modellazione
oppure con una modellazione approssimata dell'interazione con i corpi di fabbrica adiacenti
assume un significato convenzionale. Di conseguenza, si ammette che l’analisi della capacità
sismica globale dell'US possa essere verificata attraverso metodologie semplificate, come
descritto di seguito.
C8A.3.1 VERIFICA GLOBALE SEMPLIFICATA PER GLI EDIFICI IN AGGREGATI EDILIZI
Nel caso di solai sufficientemente rigidi, la verifica convenzionale allo Stato limite di salvaguardia
della vita e allo Stato limite di esercizio di un edificio (US unità strutturale) in aggregato può
essere svolta, anche per edifici con più di due piani, mediante l'analisi statica non lineare
analizzando e verificando separatamente ciascun interpiano dell'edificio, e trascurando la
variazione della forza assiale nei maschi murari dovuta all'effetto 4
dell'azione sismica. Con
l'esclusione di unità strutturali d'angolo o di testata, così come di parti di edificio non vincolate o
non aderenti su alcun lato ad altre unità strutturali (es. piani superiori di un edificio di maggiore
altezza rispetto a tutte le US adiacenti), l'analisi potrà anche essere svolta trascurando gli effetti
torsionali, ipotizzando che i solai possano unicamente traslare nella direzione considerata
dell'azione sismica.
Qualora i solai dell'edificio siano flessibili si procederà all'analisi delle singole pareti o dei sistemi
di pareti complanari che costituiscono l'edificio, ciascuna analizzata come struttura indipendente,
soggetta ai carichi verticali di competenza ed all'azione del sisma nella direzione parallela alla
parete. In questo caso l'analisi e le verifiche di ogni singola parete seguiranno i criteri esposti al §
7.8.2.2 delle NTC per gli edifici in muratura ordinaria di nuova costruzione, con le integrazioni
riportate al § 7.8.1.5.
8.7.1 COSTRUZIONI IN MURATURA (in aggregato)
In presenza di edifici in aggregato, contigui, a contatto od interconnessi con edifici adiacenti, i
metodi di verifica di uso generale per gli edifici di nuova costruzione possono non essere
adeguati. Nell’analisi di un edificio facente parte di un aggregato edilizio occorre tenere conto
delle possibili interazioni derivanti dalla contiguità strutturale con gli edifici adiacenti. A tal fine
dovrà essere individuata l’unità strutturale (US) oggetto di studio, evidenziando le azioni che su di
essa possono derivare dalle unità strutturali contigue.
L’US dovrà avere continuità da cielo a terra per quanto riguarda il flusso dei carichi verticali e, di
norma, sarà delimitata o da spazi aperti, o da giunti strutturali, o da edifici contigui strutturalmente
ma, almeno tipologicamente, diversi. Oltre a quanto normalmente previsto per gli edifici non
disposti in aggregato, dovranno essere valutati gli effetti di: spinte non contrastate causate da
orizzontamenti sfalsati di quota sulle pareti in comune con le US adiacenti, meccanismi locali
derivanti da prospetti non allineati, US adiacenti di differente altezza.
5
L'analisi globale di una singola unità strutturale assume spesso un significato convenzionale e
perciò può utilizzare metodologie semplificate. La verifica di una US dotata di solai
sufficientemente rigidi può essere svolta, anche per edifici con più di due piani, mediante l'analisi
statica non lineare, analizzando e verificando separatamente ciascun interpiano dell'edificio, e
trascurando la variazione della forza assiale nei maschi murari dovuta all'effetto dell'azione
sismica. Con l'esclusione di unità strutturali d'angolo o di testata, così come di parti di edificio
non vincolate o non aderenti su alcun lato ad altre unità strutturali, l'analisi potrà anche essere
svolta trascurando gli effetti torsionali, nell’ipotesi che i solai possano unicamente traslare nella
direzione considerata dell'azione sismica. Nel caso invece di US d’angolo o di testata è
comunque ammesso il ricorso ad analisi semplificate, purché si tenga conto di possibili effetti
torsionali e dell’azione aggiuntiva trasferita dalle US adiacenti applicando opportuni coefficienti
maggiorativi delle azioni orizzontali. Qualora i solai dell'edificio siano flessibili si potrà procedere
all'analisi delle singole pareti o dei sistemi di pareti complanari, ciascuna parete essendo
soggetta ai carichi verticali di competenza ed alle corrispondenti azioni del sisma nella direzione
parallela alla parete.
Linee guida Reluis per il rilievo, l'analisi ed il progetto di interventi di riparazione e
consolidamento sismico degli edifici in muratura in aggregato
La scelta del tipo di analisi sismica e del criterio di modellazione della struttura (Capitolo 4) è
strettamente connessa da un lato alla tipologia strutturale, dall’altro al tipo di intervento
progettuale. L’adozione di modelli di calcolo di dettaglio per la valutazione della risposta globale
(ad esempio approccio di modellazione ad elementi finiti o quello a telaio equivalente come
proposto recentemente nelle Norme Tecniche per le Costruzioni D.M. 14/01/2008) risulta in
generale applicabile esclusivamente ad aggregati di limitata estensione, per i quali risulti
accettabile l’onere conseguente associato alla fase conoscitiva, oppure al caso di singole unità,
quando sia possibile stimare ragionevolmente l’effetto equivalente associato all’interazione con
le unità adiacenti.
6
Di norma, in alternativa, nel caso in cui non sia possibile acquisire i dati necessari per sostanziare
modelli più accurati (il cui uso quindi risulterebbe inficiato dal grado di incertezza associato ai
parametri impiegati od alle ipotesi assunte), risulta preferibile l’adozione di modelli semplificati
(cfr. § 8.7.1 delle Norme Tecniche per le Costruzioni, D.M. 14.01.2008 e corrispondente § C8A.3
della Circolare 2 febbraio 2009 n. 617). Viceversa anche l’applicazione di modelli per l’analisi di
meccanismi locali (secondo l’approccio cinematico per macroelementi) è subordinata ad una
valutazione qualitativa circa il sistema di ripartizione dei carichi in base a fattori, quali ad esempio
l’orditura e deformabilità dei solai, la rigidezza delle pareti verticali, la qualità delle connessioni.
La possibilità di elaborare modelli complessivi è comunque limitata dalla dimensione complessità
dell’aggregato, mentre l’elaborazione di modelli parziali o le analisi di singoli elementi (secondo
l’approccio cinematico per macroelementi) sono subordinati ad una valutazione qualitativa circa il
sistema di ripartizione dei carichi in base a fattori, quali ad esempio l’orditura e deformabilità dei
solai, la rigidezza delle pareti verticali, la qualità delle connessioni.
Nelle suddette linee guida, vengono però introdotti nuovi concetti non presenti nelle NTC 2008 ossia:
UMI unità minima di intervento e UA unità minima di analisi in alternativa o in affiancamento delle
US delle NTC 2008. Ciò non rende certo più semplice l'approccio al problema ma al momento si sta
valutando l'efficacia dei nuovo sottoinsiemi degli aggregati proposti da Reluis.
UMI: L'unità minima di intervento si configura come una porzione di aggregato, costituita da una
o più Unità strutturali omogenee (edifici) che sarà oggetto di intervento unitario.
UA: L'unità minima di analisi è definita quella porzione di aggregato, generalmente più ampia
della UMI, da includere nella fase conoscitiva e di diagnosi del danno sismico e della
vulnerabilità, in modo da poter valutare eventuali effetti di interazione da parte di Unità
strutturali adiacenti alla UMI.
7
Cap. 4.4) Per quanto riguarda le verifiche di sicurezza sismica, è opportuno distinguere tra i
criteri di verifica per i meccanismi locali e quelli globali di resistenza.
Le verifiche dei meccanismi locali di danno e collasso, possono essere svolte applicando i
principi di analisi limite dell’equilibrio, secondo l’approccio cinematico.
L’applicazione del metodo di verifica presuppone la verifica di ciascuno dei meccanismi locali
ritenuti significativi per l'UA (unità di analisi) nella fase di interpretazione dei dati acquisiti nel
processo conoscitivo.
Per quanto riguarda i metodi di analisi adottati per le verifiche di sicurezza il metodo standard
consigliato dell’analisi cinematica lineare.
Per quel che riguarda le verifiche di sicurezza da effettuarsi in relazione all’analisi di
meccanismi globali di resistenza, in generale l’analisi della capacità sismica globale dell'US
(unità strutturale omogenea – edificio) può essere verificata attraverso metodologie semplificate
come indicato nel cap. 8.7.1 delle NTC2008 e cap. C8A.3.1 della circolare 617/2009.
E’ importante osservare che quando, a seguito delle analisi conoscitive e della verifica diagnosi
interpretativa si ritiene che la costruzione non manifesta un chiaro comportamento d’insieme
(ad esempio nel caso di aggregati estesi e di geometria complessa non dotati di solai rigidi e
resistenti nel piano né di efficaci e diffusi sistemi di tiranti) ma piuttosto tende a reagire al sisma
come un insieme di sottoinsiemi (meccanismi locali), la verifica su un modello globale può NON
avere rispondenza rispetto al suo effettivo comportamento sismico. In tali casi, la verifica
complessiva della risposta sismica del manufatto non richiede necessariamente il ricorso ad un
modello globale della costruzione e può essere effettuata attraverso un insieme esaustivo di
verifiche locali effettuate in modo generalizzato e sistematico su diversi elementi della
costruzione, purché la totalità delle azioni sismiche sia coerentemente ripartita dei meccanismi
locali considerati in ragione delle diverse rigidezze ve dei collegamenti e si tenga correttamente
conto, anche in modo approssimato, delle forze scambiate tra i sottoinsiemi strutturali
considerati (macroelementi).
8
Nota: con rif. alle Ordinanze 3820/09 e 3832/10, se l’aggregato ha una dimensione
maggiore di 1000 mq come impronta a terra, può essere diviso in “porzioni” (UMI) con
impronta a terra superiore o uguale a 300 mq
10
11
12
Bibliografia:
Nuove norme tecniche per le costruzioni D.Min Infrastrutture 14 gennaio 2008.
Circolare 2 febbraio 2009, n. 617 C.S. LL.PP. Istruzioni per l’applicazione delle “Nuove norme tecniche per le
costruzioni di cui al decreto ministeriale 14 gennaio 2008”.
Linee guida Reluis per il rilievo, l'analisi ed il progetto di interventi di riparazione e consolidamento sismico degli edifici
in muratura in aggregato – Terremoto dell’Aquila del 6/04/2009.
Immagini gentilmente concesse dal Prof. Ing. Graziano Leoni – Università degli Studi di Camerino, Facoltà di
Architettura.
RECUPERO E MANUTENZIONE DI STRUTTURE ESISTENTI
Dal ripristino strutturale alla protezione preventiva per la durabilità
L'AQUILA 10 Novembre 2010
METODI DI ANALISI PER EDIFICI ESISTENTI IN MURATURA
E TECNICHE DI INTERVENTO PER IL MIGLIORAMENTO SISMICO
Secondo il DM Infrastrutture 14.01.08 e la Circolare n. 617 del 2.01.09
1
TECNICHE DI INTERVENTO PER IL MIGLIORAMENTO SISMICO
1
10 Novembre 2010
C8A.5 CRITERI PER GLI INTERVENTI DI CONSOLIDAMENTO DI EDIFICI IN
MURATURA.
Nel presente allegato si forniscono criteri generali di guida agli interventi di consolidamento
degli edifici in muratura, con riferimento ad alcune tecniche di utilizzo corrente. Ovviamente
non sono da considerarsi a priori escluse eventuali tecniche di intervento non citate,
metodologie innovative o soluzioni particolari che il professionista individui come adeguate
per il caso specifico. Gli interventi di consolidamento vanno applicati, per quanto possibile, in
modo regolare ed uniforme alle strutture. L’esecuzione di interventi su porzioni limitate
dell’edificio va opportunamente valutata e giustificata calcolando l’effetto in termini di
variazione nella distribuzione delle rigidezze.
Nel caso si decida di intervenire su singole parti della struttura, va valutato l’effetto in termini
di variazione nella distribuzione delle rigidezze. Particolare attenzione deve essere posta
HHHHHH
anche alla fase esecutiva degli interventi, onde assicurare l’efficacia degli stessi, in quanto
l’eventuale cattiva esecuzione può comportare il peggioramento delle caratteristiche della
muratura o del comportamento globale dell’edificio.
Le
indicazioni
JJJJJ
KKK che seguono non devono essere intese come un elenco di interventi da
eseguire comunque e dovunque, ma solo come possibili soluzioni da adottare nei casi in cui
K
siano dimostrate la carenza dello stato attuale del fabbricato ed il beneficio prodotto
dall’intervento. Per quanto applicabile, i criteri e le tecniche esposte possono essere estesi ad
altre tipologie costruttive in muratura.
2
C8A.5.1 INTERVENTI VOLTI A RIDURRE LE CARENZE DEI COLLEGAMENTI
Tali interventi sono mirati ad assicurare alla costruzione un buon comportamento d’assieme,
mediante la realizzazione di un buon ammorsamento tra le pareti e di efficaci collegamenti dei
solai alle pareti; inoltre, deve essere verificato che le eventuali spinte prodotte da strutture voltate
siano efficacemente contrastate e deve essere corretto il malfunzionamento di tetti spingenti. La
realizzazione di questi interventi è un prerequisito essenziale per l’applicazione dei metodi di
analisi sismica globale dell’edificio, che si basano sul comportamento delle pareti murarie nel
proprio piano, presupponendone la stabilità nei riguardi di azioni sismiche fuori dal piano.
Tali interventi sono mirati ad assicurare alla costruzione un buon comportamento d’assieme,
mediante la realizzazione di un buon ammorsamento tra le pareti e di efficaci collegamenti dei
solai alle pareti; inoltre, deve essere verificato che le eventuali spinte prodotte da strutture voltate
siano efficacemente contrastate e deve essere corretto il malfunzionamento di tetti spingenti. La
realizzazione di questi interventi è un prerequisito essenziale per l’applicazione dei metodi di
analisi sismica globale dell’edificio, che si basano sul comportamento delle pareti murarie nel
proprio piano, presupponendone la stabilità nei riguardi di azioni sismiche fuori dal piano.
L’inserimento di tiranti (catene), metallici o di altri materiali, disposti nelle due direzioni principali
del fabbricato, a livello dei solai ed in corrispondenza delle pareti portanti, ancorati alle murature
mediante capochiave (a paletto o a piastra), può favorire il comportamento d’assieme del
fabbricato, in quanto conferisce un elevato grado di connessione tra le murature ortogonali e
fornisce un efficace vincolo contro il ribaltamento fuori piano dei pannelli murari.
Inoltre, l’inserimento di tiranti migliora il comportamento nel piano di pareti forate, in quanto
consente la formazione del meccanismo tirante-puntone nelle fasce murarie sopra porta e sotto
finestra. Per i capochiave sono consigliati paletti semplici, in quanto vanno ad interessare una
porzione di muratura maggiore rispetto alle piastre; queste sono preferibili nel caso di murature
particolarmente scadenti, realizzate con elementi di piccole dimensioni (è in genere necessario un
consolidamento locale della muratura, nella zona di ancoraggio). È sconsigliabile incassare il
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capochiave nello spessore della parete, specie nel caso di muratura a più paramenti
scollegati.
Cerchiature esterne, in alcuni casi, si possono realizzare con elementi metallici o materiali
compositi, allo scopo di “chiudere” la scatola muraria e di offrire un efficace collegamento tra
murature ortogonali. Tale intervento può risultare efficace nel caso di edifici di dimensioni ridotte,
dove i tratti rettilinei della cerchiatura non sono troppo estesi, o quando vengono realizzati ancoraggi
in corrispondenza dei martelli murari. È necessario evitare l’insorgere di concentrazioni di tensioni in
corrispondenza degli spigoli delle murature, ad esempio con opportune piastre di ripartizione o in
alternativa, nel caso si usino fasce in materiale composito, procedendo allo smusso degli spigoli.
Un’idonea ammorsatura, tra parti adiacenti o tra murature che si intersecano, si può realizzare,
qualora i collegamenti tra elementi murari siano deteriorati (per la presenza di lesioni per danni
sismici o di altra natura) o particolarmente scadenti; si precisa infatti che questi interventi di
collegamento locale sono efficaci per il comportamento d’assieme della costruzione in presenza di
murature di buone caratteristiche, mentre per le murature scadenti è preferibile l’inserimento di
tiranti, che garantiscono un miglior collegamento complessivo. L’intervento si realizza o attraverso
elementi puntuali di cucitura (tecnica “scuci e cuci” con elementi lapidei o in laterizio) o collegamenti
locali con elementi metallici (chiodature) o in altro materiale.
L’uso di perforazioni armate deve essere limitato ai casi in cui non siano percorribili le altre
soluzioni proposte, per la notevole invasività di tali elementi e la dubbia efficacia, specie in presenza
di muratura a più paramenti scollegati; in ogni caso dovrà essere garantita la durabilità degli
elementi inseriti (acciaio inox, materiali compositi o altro) e la compatibilità delle malte iniettate.
Anche in questo caso, l’eventuale realizzazione di un buon collegamento locale non garantisce un
significativo miglioramento del comportamento d’assieme della costruzione.
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Cordoli in sommità alla muratura possono costituire una soluzione efficace per collegare le pareti, in
una zona dove la muratura è meno coesa a causa del limitato livello di compressione, e per migliorare
l’interazione con la copertura; va invece evitata l’esecuzione di cordolature ai livelli intermedi, eseguite
nello spessore della parete (specie se di muratura in pietrame), dati gli effetti negativi che le aperture in
breccia producono nella distribuzione delle sollecitazioni sui paramenti. Questi possono essere realizzati
nei seguenti modi:
•in muratura armata, consentendo di realizzare il collegamento attraverso una tecnica volta alla
massima conservazione delle caratteristiche murarie esistenti. Essi, infatti, devono essere realizzati con
una muratura a tutto spessore e di buone caratteristiche; in genere la soluzione più naturale è l’uso di
una muratura in mattoni pieni. All’interno deve essere alloggiata un’armatura metallica o in altro
materiale resistente a trazione, resa aderente alla muratura del cordolo tramite conglomerato, ad
esempio malta cementizia. La realizzazione di collegamenti tra cordolo e muratura, eseguita tramite
perfori armati disposti con andamento inclinato, se necessaria risulta efficace solo in presenza di
muratura di buona qualità. Negli altri casi è opportuno eseguire un consolidamento della muratura nella
parte sommitale della parete.
•in acciaio, rappresentando una valida alternativa per la loro leggerezza e la limitata invasività. Essi
possono essere eseguiti attraverso una leggera struttura reticolare, in elementi angolari e piatti metallici,
o tramite piatti o profili sui due paramenti, collegati tra loro tramite barre passanti; in entrambi i casi è
possibile realizzare un accettabile collegamento alla muratura senza la necessità di ricorrere a perfori
armati. In presenza di muratura di scarsa qualità, l’intervento deve essere accompagnato da un’opera di
bonifica della fascia di muratura interessata. I cordoli metallici si prestano particolarmente bene al
collegamento degli elementi lignei della copertura e contribuiscono all’eliminazione delle eventuali
spinte.
•in c.a., solo se di altezza limitata, per evitare eccessivi appesantimenti ed irrigidimenti, che si sono
dimostrati dannosi in quanto producono elevate sollecitazioni tangenziali tra cordolo e muratura, con
conseguenti scorrimenti e disgregazione di quest’ultima. In particolare, tali effetti si sono manifestati nei
casi in cui anche la struttura di copertura era stata irrigidita ed appesantita. 5
L’efficace connessione dei solai di piano e delle coperture alle murature è necessaria per evitare
lo sfilamento delle travi, con conseguente crollo del solaio, e può permettere ai solai di svolgere
un’azione di distribuzione delle forze orizzontali e di contenimento delle pareti. I collegamenti
possono essere effettuati in posizioni puntuali, eseguiti ad esempio in carotaggi all’interno delle
pareti, e allo stesso tempo non devono produrre un disturbo eccessivo ed il danneggiamento della
muratura. Nel caso di solai intermedi, le teste di travi lignee possono essere ancorate alla muratura
tramite elementi, metallici o in altro materiale resistente a trazione, ancorati sul paramento opposto.
C8A.5.2 INTERVENTI SUGLI ARCHI E SULLE VOLTE
Gli interventi sulle strutture ad arco o a volta possono essere realizzati con il ricorso alla
tradizionale tecnica delle catene, che compensino le spinte indotte sulle murature di appoggio e
ne impediscano l'allontanamento reciproco. Le catene andranno poste di norma alle reni di
archi e volte. Qualora non sia possibile questa disposizione, si potranno collocare le catene a
livelli diversi purché ne sia dimostrata l'efficacia nel contenimento della spinta. Tali elementi
devono essere dotati di adeguata rigidezza (sono da preferirsi barre di grosso diametro e
lunghezza, per quanto possibile, limitata); le catene devono essere poste in opera con
un’adeguata presollecitazione, in modo da assorbire parte dell’azione spingente valutata
tramite il calcolo (valori eccessivi del tiro potrebbero indurre danneggiamenti localizzati). In
caso di presenza di lesioni e/o deformazioni, la riparazione deve ricostituire i contatti tra le parti
separate, onde garantire che il trasferimento delle sollecitazioni interessi una adeguata
superficie e consentire una idonea configurazione resistente.
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Per assorbire le spinte di volte ed archi non deve essere esclusa a priori la possibilità di realizzare
contrafforti o ringrossi murari. Questi presentano un certo impatto visivo sulla costruzione ma
risultano, peraltro, reversibili e coerenti con i criteri di conservazione. La loro efficacia è subordinata
alla creazione di un buon ammorsamento con la parete esistente, da eseguirsi tramite connessioni
discrete con elementi lapidei o in laterizio, ed alla possibilità di realizzare una fondazione adeguata.
È possibile il ricorso a tecniche di placcaggio all'estradosso con fasce di materiale composito. La
realizzazione di contro-volte in calcestruzzo o simili, armate o no, è da evitarsi per quanto possibile
e, se ne viene dimostrata la necessità, va eseguita con conglomerato alleggerito e di limitato
spessore. Il placcaggio all’intradosso con materiali compositi è efficace se associato alla
realizzazione di un sottarco, in grado di evitare le spinte a vuoto, o attraverso ancoraggi puntuali,
diffusi lungo l’intradosso.
C8A.5.3 INTERVENTI VOLTI A RIDURRE L’ECCESSIVA DEFORMABILITÀ DEI
SOLAI
Il ruolo dei solai nel comportamento sismico delle costruzioni in muratura è quello di trasferire le
azioni orizzontali di loro competenza alle pareti disposte nella direzione parallela al sisma; inoltre
essi devono costituire un vincolo per le pareti sollecitate da azioni ortogonali al proprio piano. La
necessità di un irrigidimento per ripartire diversamente l’azione sismica tra gli elementi verticali è
invece non così frequente. Per le suddette ragioni risulta talvolta necessario un irrigidimento dei
solai, anche limitato, di cui vanno valutati gli effetti; a questo si associa inevitabilmente un aumento
della resistenza degli elementi, che migliora la robustezza della struttura.
7
L’irrigidimento dei solai, anche limitato, per ripartire diversamente l’azione sismica tra gli elementi
verticali comporta in genere un aumento della resistenza, che migliora la robustezza della struttura.
Nel caso dei solai lignei può essere conseguito operando all’estradosso sul tavolato. Una possibilità
è fissare un secondo tavolato su quello esistente, disposto con andamento ortogonale o inclinato,
ponendo particolare attenzione ai collegamenti con i muri laterali; in alternativa, o in aggiunta, si
possono usare rinforzi con bandelle metalliche, o di materiali compositi, fissate al tavolato con
andamento incrociato. Un analogo beneficio può essere conseguito attraverso controventature
realizzate con tiranti metallici. Il consolidamento delle travi lignee potrà avvenire aumentando la
sezione portante in zona compressa, mediante l'aggiunta di elementi opportunamente connessi.
Nei casi in cui risulti necessario un consolidamento statico del solaio per le azioni flessionali, è
possibile, con le tecniche legno-legno, conseguire contemporaneamente l’irrigidimento nel piano e
fuori dal piano, posando sul tavolato esistente, longitudinalmente rispetto alle travi dell’orditura, dei
nuovi tavoloni continui, resi collaboranti alle travi mediante perni anche di legno, irrigiditi nel piano del
solaio con l’applicazione di un secondo tavolato di finitura. La tecnica di rinforzo con soletta
collaborante, in calcestruzzo eventualmente leggero, realizza anche un forte irrigidimento nel piano
del solaio; gli effetti di tale intervento vanno valutati sia in relazione alla ripartizione delle azioni tra gli
elementi verticali sia all’aumento delle masse. Nel caso in cui gli elementi lignei non siano
adeguatamente collegati alle murature, è necessario collegare la soletta alle pareti, tramite elementi
puntuali analoghi a quelli già indicati, o ai cordoli, se presenti e realizzati come successivamente
descritto.
Nel caso di solai a travi in legno e pianelle di cotto, che presentano limitata resistenza nel piano,
possono essere adottati interventi di irrigidimento all'estradosso con caldane armate in calcestruzzo
alleggerito, opportunamente collegate alle murature perimetrali ed alle travi in legno.
8
Nel caso di solai a putrelle e voltine o tavelloni è opportuno provvedere all'irrigidimento mediante
solettina armata (meglio se con calcestruzzo alleggerito ad elevate prestazione) resa solidale ai profilati
e collegata alle murature perimetrali.
Nel caso di solai a struttura metallica, con interposti elementi in laterizio, è necessario collegare tra loro i
profili saldando bandelle metalliche trasversali, poste all’intradosso o all’estradosso. Inoltre, in presenza
di luci significative, gli elementi di bordo devono essere collegati in mezzeria alla muratura (lo stesso
problema si pone anche per i solai lignei a semplice orditura).
C8A.5.4 INTERVENTI IN COPERTURA
È in linea generale opportuno il mantenimento dei tetti in legno, in quanto limitano l’entità delle masse
nella parte più alta dell'edificio e garantiscono un’elasticità simile a quella della compagine muraria
sottostante. È opportuno, ove possibile, adottare elementi di rafforzamento del punto di contatto tra
muratura e tetto. Oltre al collegamento con capichiave metallici che impediscano la traslazione, si
possono realizzare cordoli-tirante in legno o in metallo opportunamente connessi sia alle murature che
alle orditure in legno del tetto (cuffie metalliche), a formare al tempo stesso un bordo superiore delle
murature resistente a trazione, un elemento di ripartizione dei carichi agli appoggi delle orditure del
tetto e un vincolo assimilabile ad una cerniera tra murature e orditure.
Ove i tetti presentino orditure spingenti, come nel caso di puntoni inclinati privi di semicatene in piano,
la spinta deve essere compensata. Nel caso delle capriate, deve essere presente un buon
collegamento nei nodi, necessario ad evitare scorrimenti e distacchi in presenza di azioni orizzontali.
Questo può essere migliorato con elementi metallici o in altri materiali idonei resistenti a trazione, ma
tale collegamento non deve comunque contrastare il movimento reciproco (rotazionale) delle
membrature, condizione essenziale per il corretto funzionamento della capriata.
In generale, vanno il più possibile sviluppati i collegamenti e le connessioni reciproche tra la parte
terminale della muratura e le orditure e gli impalcati del tetto, ricercando le configurazioni e le tecniche
compatibili con le diverse culture costruttive locali.
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C8A.5.5 INTERVENTI CHE MODIFICANO LA DISTRIBUZIONE DEGLI ELEMENTI
VERTICALI RESISTENTI
L’inserimento di nuove pareti può consentire di limitare i problemi derivanti da irregolarità
planimetriche o altimetriche ed aumentare la resistenza all’azione sismica; tali effetti devono
ovviamente essere adeguatamente verificati.
La realizzazione di nuove aperture, se non strettamente necessaria, va possibilmente evitata; nel
caso in cui la conseguente riduzione di rigidezza risulti problematica per la risposta globale, sarà
disposto un telaio chiuso, di rigidezza e resistenza tali da ripristinare per quanto possibile la
condizione preesistente (cerchiatura in acciaio dell’apertura).
Un incremento della rigidezza delle pareti murarie, con conseguente modifica del comportamento
sismico, si ottiene attraverso la chiusura di nicchie, canne fumarie o altri vuoti, purché venga
realizzato un efficace collegamento dei nuovi elementi di muratura con quelli esistenti attraverso la
tecnica dello scuci e cuci. La chiusura di queste soluzioni di continuità nella compagine muraria
rappresenta anche un intervento positivo nei riguardi dei collegamenti.
C8A.5.6 INTERVENTI VOLTI AD INCREMENTARE LA RESISTENZA NEI MASCHI
MURARI
Gli interventi di rinforzo delle murature sono mirati al risanamento e riparazione di murature
deteriorate e danneggiate ed al miglioramento delle proprietà meccaniche della muratura. Se
eseguiti da soli non sono sufficienti, in generale, a ripristinare o a migliorare l’integrità strutturale
complessiva della costruzione. Il tipo di intervento da applicare andrà valutato anche in base alla
tipologia e alla qualità della muratura.
Gli interventi dovranno utilizzare materiali con caratteristiche fisico-chimiche e meccaniche
analoghe e, comunque, il più possibile compatibili con quelle dei materiali in opera. L'intervento
deve mirare a far recuperare alla parete una resistenza sostanzialmente uniforme e una continuità
nella rigidezza, anche realizzando gli opportuni ammorsamenti, qualora mancanti.
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L'inserimento di materiali diversi dalla muratura, ed in particolare di elementi in conglomerato
cementizio, va operato con cautela e solo ove il rapporto tra efficacia ottenuta e impatto provocato sia
minore di altri interventi, come nel caso di architravi danneggiati e particolarmente sollecitati.
A seconda dei casi si procederà:
- a riparazioni localizzate di parti lesionate o degradate;
- a ricostituire la compagine muraria in corrispondenza di manomissioni quali cavità, vani di varia
natura (scarichi e canne fumarie, ecc.);
- a migliorare le caratteristiche di murature particolarmente scadenti per tipo di apparecchiatura e/o
di composto legante.
L’intervento di scuci e cuci è finalizzato al ripristino della continuità muraria lungo le linee di
fessurazione ed al risanamento di porzioni di muratura gravemente deteriorate. Si consiglia di utilizzare
materiali simili a quelli originari per forma, dimensioni, rigidezza e resistenza, collegando i nuovi
elementi alla muratura esistente con adeguate ammorsature nel piano del paramento murario e se
possibile anche trasversalmente al paramento stesso, in modo da conseguire la massima omogeneità e
monoliticità della parete riparata. Tale intervento può essere utilizzato anche per la chiusura di nicchie,
canne fumarie e per la riduzione dei vuoti, in particolare nel caso in cui la nicchia/apertura/cavità sia
posizionata a ridosso di angolate o martelli murari.
L'adozione di iniezioni di miscele leganti mira al miglioramento delle caratteristiche meccaniche della
muratura da consolidare. A tale tecnica, pertanto, non può essere affidato il compito di realizzare
efficaci ammorsature tra i muri e quindi di migliorare, se applicata da sola, il comportamento d’assieme
della costruzione. Tale intervento risulta inefficace se impiegato su tipologie murarie che per loro
natura siano scarsamente iniettabili (scarsa presenza di vuoti e/o vuoti non collegati tra loro).
Particolare attenzione va posta nella scelta della pressione di immissione della miscela, per evitare
l’insorgere di dilatazioni trasversali prodotte dalla miscela in pressione.
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Nel caso si reputi opportuno intervenire con iniezioni su murature incoerenti e caotiche, è necessario
prendere provvedimenti atti a ridurre il rischio di sconnessione della compagine muraria e di
dispersione della miscela. Particolare cura dovrà essere rivolta alla scelta della miscela da iniettare,
curandone la compatibilità chimico-fisicomeccanica con la tipologia muraria oggetto dell’intervento.
(indispensabili le prove di laboratorio sulle malte esistenti all’interno della muratura da iniettare).
L’intervento di ristilatura dei giunti, se effettuato in profondità su entrambi i lati, può migliorare le
caratteristiche meccaniche della muratura, in particolare nel caso di murature di spessore non
elevato. Se eseguito su murature di medio o grosso spessore, con paramenti non idoneamente
collegati tra loro o incoerenti, tale intervento può non essere sufficiente a garantire un incremento
consistente di resistenza, ed è consigliabile effettuarlo in combinazione con altri. Particolare cura
dovrà essere rivolta alla scelta della malta da utilizzare. L’eventuale inserimento nei giunti ristilati di
piccole barre o piattine, metalliche o in altri materiali resistenti a trazione (fibre di vetro o di carbonio),
può ulteriormente migliorare l’efficacia dell’intervento.
L’inserimento di diatoni artificiali, realizzati in conglomerato armato (in materiale metallico o in altri
materiali resistenti a trazione) dentro fori di carotaggio, può realizzare un efficace collegamento tra i
paramenti murari, evitando il distacco di uno di essi o l’innesco di fenomeni di instabilità per
compressione; inoltre, tale intervento conferisce alla parete un comportamento monolitico per azioni
ortogonali al proprio piano. È particolarmente opportuno in presenza di murature con paramenti non
collegati fra loro; nel caso di paramenti degradati è opportuno bonificare questi tramite le tecniche
descritte al riguardo (iniezioni di malta, ristilatura dei giunti).
Nel caso in cui la porzione muraria che necessita di intervento sia limitata, una valida alternativa è
rappresentata dai tirantini antiespulsivi, costituiti da sottili barre trasversali imbullonate con rondelle
sui paramenti; la leggera presollecitazione che può essere attribuita rende quest’intervento idoneo
nei casi in cui siano già evidenti rigonfiamenti per distacco dei paramenti. Tale tecnica può essere
applicata nel caso di murature a tessitura regolare o in pietra squadrata, in mattoni o blocchi.
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L’adozione di sistemi di tirantature diffuse nelle tre direzioni ortogonali, in particolare anche nella
direzione trasversale, migliorano la monoliticità ed il comportamento meccanico del corpo murario,
incrementandone la resistenza a taglio e a flessione nel piano e fuori del piano.
Il placcaggio delle murature con intonaco armato può essere utile nel caso di murature gravemente
danneggiate e incoerenti, sulle quali non sia possibile intervenire efficacemente con altre tecniche, o in
porzioni limitate di muratura, pesantemente gravate da carichi verticali, curando in quest’ultimo caso
che la discontinuità di rigidezza e resistenza tra parti adiacenti, con e senza rinforzo, non sia dannosa
ai fini del comportamento della parete stessa. L’uso sistematico su intere pareti dell’edificio è
sconsigliato, per il forte incremento di rigidezza e delle masse, oltre che per ragioni di natura
conservativa e funzionale. Tale tecnica è efficace solo nel caso in cui l’intonaco armato venga
realizzato su entrambi i paramenti e siano posti in opera i necessari collegamenti trasversali (barre
iniettate) bene ancorati alle reti di armatura. È inoltre fondamentale curare l’adeguata sovrapposizione
dei pannelli di rete elettrosaldata, in modo da garantire la continuità dell’armatura in verticale ed in
orizzontale, ed adottare tutti i necessari provvedimenti atti a garantire la durabilità delle armature, se
possibile utilizzando reti e collegamenti in acciaio inossidabile (o almeno zincate). Per evitare fastidiosi
fenomeni di elevata umidità stagnante all’interno della muratura placcata con intonaco armato, e muffe
all’interno dei locali, è consigliabile adottare malte premiscelate pozzolaniche traspiranti al elevata pres
Tazione (350/400 kg/cmq) al posto dell’intonaco cementizio tradizionale.
Il placcaggio con tessuti o lamine in altro materiale resistente a trazione può essere di norma
utilizzato nel caso di murature regolari, in mattoni o blocchi. Tale intervento, più efficace se realizzato
su entrambi i paramenti, da solo non garantisce un collegamento trasversale e quindi la sua efficacia
deve essere accuratamente valutata per il singolo caso in oggetto.
L’inserimento di tiranti verticali post-tesi è un intervento applicabile solo in casi particolari e se la
muratura si dimostra in grado di sopportare l’incremento di sollecitazione verticale, sia a livello
globale sia localmente, in corrispondenza degli ancoraggi; in ogni caso deve essere tenuta in
considerazione la perdita di tensione iniziale a causa delle deformazioni differite della muratura.
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posizionamento di
fibre lungo i maschi
Con chiodature
Edificio in muratura
Cintura di fibre in
testa con chiodature
Posizionamento
di fibre lungo le
fasce di piano
con chiodature
Le fibre consigliate per le murature sono quelle tessute a mesh bidirezionale incollate
al sottostrato di mattoni con betoncini speciali traspiranti pozzolanici senza resine ad
alte prestazioni.
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C8A.5.7 INTERVENTI SU PILASTRI E COLONNE
Tenendo presente che pilastri e colonne sono essenzialmente destinati a sopportare carichi
verticali con modeste eccentricità, gli interventi vanno configurati in modo da:
• ricostituire la resistenza iniziale a sforzo normale, ove perduta, mediante provvedimenti
quali cerchiature e tassellature;
• eliminare o comunque contenere le spinte orizzontali mediante provvedimenti, quali
opposizione di catene ad archi, volte e coperture e, ove opportuno, realizzazione o
rafforzamento di contrafforti;
• ricostituire i collegamenti atti a trasferire le azioni orizzontali a elementi murari di maggiore
rigidezza.
Sono da evitare, se non in mancanza di alternative da dimostrare con dettagliata specifica
tecnica, gli inserimenti generalizzati di anime metalliche, perforazioni armate,
precompressioni longitudinali ed in generale, salvo i casi di accertata necessità, gli interventi
non reversibili volti a conferire a colonne e pilastri resistenza a flessione e taglio, che
modificano il comportamento di insieme della struttura.
C8A.5.8 INTERVENTI VOLTI A RINFORZARE LE PARETI INTORNO ALLE
APERTURE
Negli interventi di inserimento di architravi o cornici in acciaio o calcestruzzo di adeguata
rigidezza e resistenza, occorre curare il perfetto contatto o la messa in forza con la muratura
esistente. (cerchiature)
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C8A.5.10 INTERVENTI VOLTI AD ASSICURARE I COLLEGAMENTI DEGLI ELEMENTI NON STRUTTURALI
C8A.5.10 INTERVENTI VOLTI AD ASSICURARE I COLLEGAMENTI DEGLI ELEMENTI
NON STRUTTURALI
DEGLI ELEMENTI NON STRUTTURALI
Occorre verificare i collegamenti dei più importanti elementi non strutturali (cornicioni, parapetti,
camini), tenendo conto della possibile amplificazione delle accelerazioni lungo l’altezza dell’edificio.
C8A.5.12 REALIZZAZIONE DI GIUNTI SISMICI
La realizzazione di giunti può essere opportuna nei casi di strutture adiacenti con marcate differenze
di altezza che possano martellare e quindi dar luogo a concentrazioni di danno in corrispondenza del
punto di contatto con la sommità della struttura più bassa. Tale situazione è molto frequente nei
centri storici, dove gli edifici in muratura sono spesso costruiti in aderenza l’uno all’altro e
frequentemente sono connessi strutturalmente, magari in modo parziale. In tali casi tuttavia la
realizzazione di giunti sismici può risultare di fatto impraticabile e volte addirittura non
raccomandabile, in quanto potrebbe introdurre perturbazioni notevoli e di difficile valutazione
all’equilibrio di un sistema molto complesso.
In alternativa, si può valutare nel possibilità di realizzare il collegamento strutturale; in particolare, il
collegamento può essere realizzato a livello dei solai se:
a) i solai sono approssimativamente complanari,
b) il complesso risultante ha caratteristiche di simmetria e regolarità non peggiori di quelle delle due
parti originarie.
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Bibliografia:
Norrme tecniche per le costruzioni D.Min Infrastrutture 14 gennaio 2008.
Circolare 2 febbraio 2009, n. 617 C.S. LL.PP. Istruzioni per l’applicazione delle “Nuove norme tecniche per
le costruzioni di cui al decreto ministeriale 14 gennaio 2008”.
Linee guida Reluis per il rilievo, l'analisi ed il progetto di interventi di riparazione e consolidamento sismico
degli edifici in muratura in aggregato – Terremoto dell’Aquila del 6/04/2009.
Immagini gentilmente concesse dal Prof. Ing. Graziano Leoni – Università degli Studi di Camerino, Facoltà
di Architettura.
La Volteco è un’azienda italiana nata a Treviso nel 1976 in ambito di
impermeabilizzazioni interrate ed ha sviluppato, grazie ai suoi
fondatori, spiccate doti ed interessi nell’innovazione delle soluzioni
per l’impermeabilizzazione e protezione delle strutture in ogni loro
aspetto. Conoscenze ed intuito hanno portato anche a proporre
approcci innovativi, soprattutto per gli anni ’80, al ripristino di strutture
in cemento armato e muratura, partendo dall’umiltà di chi, avendo
esperienza di cantiere … del “fare”, conosce da sempre la differenza
tra teoria e pratica e sa come sia difficile dare soluzioni definitive,
ovvero sicure per il cliente.
Il fulcro di tale tipologia di approccio è la sostanziale passione per il
proprio lavoro e per il raggiungimento dei risultati attesi dalla propria
committenza, senza poter lasciare nulla al caso.
Marcatura CE ed innovazione tecnologica
Ing. Fabrizio Brambilla
#
Norme tecniche e responsabilità – il nuovo approccio nel “costruire”
Da una sintesi dello status normativo all’implementazione della marcatura CE
per i materiali strutturali rivolti al ripristino e protezione dell’edificato.
Una proposta di lettura della norma UNI EN 1504 e del capitolo 11 del DM
14/01/2008 anche in riferimento alle responsabilità accresciute del direttore
lavori per l’applicazione e l’impiego di prodotti a marcatura CE.
Lo scenario a cui stiamo assistendo in questi ultimi mesi in Italia è il
sostanziale passaggio da un modus operandi demandato alla
sostanziale esperienza del “costruttore” senza norme stringenti, se
non in riferimento alla sua responsabilità rispetto al committente, ad
un ambito operativo in cui sempre più norme tecniche definiscono
riferimenti e limiti operativi sia per gli operatori che per i materiali da
impiegarsi.
Lungi da voler riassumere lo scibile normativo in poche pagine, in
questa breve sintesi si vuole tratteggiare il passaggio dal “mastro
costruttore” sopra citato alle responsabilità “in solido” che oggi
accomuna tecnici ed imprese costruttrici, con lo scopo dichiarato di
proporre punti di riferimento per meglio comprendere i cambiamenti
in atto e consentire le debite attività di approfondimento e formazione
continua che ogni tecnico, giustamente, deve mettere in atto per
rimanere al passo con i tempi, sia in merito alle specifiche tecniche
che alle tecnologie ed ai nuovi materiali disponibili, e sempre in
evoluzione.
Una chiave di lettura dell’evoluzione normativa potrebbe essere
anche questo passaggio da una visione di centralità del costruttore a
quella più moderna di tecnico progettista e direttore lavori, quale
regista delle diverse specialità che necessitano oggi in un cantiere
edile, a tutela di durabilità e risultati per la committenza.
Ovvia conseguenza è considerare anche quali siano le reali garanzie
messe in campo per tutelare gli investimenti fatti.
Dall’approvazione del Codice Civile l’Articolo 1669 è sempre stato
ben
conosciuto
a
costruttori
e
committenti
con
l’ovvia
parametrizzazione del periodo decennale di garanzie anche per le
coperture assicurative sui suoi dieci anni.
Un tale periodo prolungato è nato a garanzia del committente per
proteggerlo dai cosiddetti “vizi occulti” che impiegano molti anni a
sviluppare la propria azione ed evidenza.
Fondazioni e strutture inadeguate o mal studiate o realizzate,
“presentano infatti il conto” a distanza di tempo, a causa della
plasticizzazione di strutture e terreni che hanno comportamenti
“viscosi” o comunque rallentati in presenza di situazioni “border line”.
Lasciando agli esperti geotecnici e strutturisti il merito della
questione, giova sottolineare come, in assenza di fenomeni
spiccatamente disastrosi, gli effetti sulle strutture si rivelano a
distanza di anni o in concomitanza di eventi particolari (sismi…).
Nel nuovo approccio alle costruzioni si parla infatti di “vita utile” e
“manutenzione ordinaria” per il cosiddetto “organismo edilizio”,
affinchè questi possa esprimere le sue vere potenzialità attese in
termini di tempo/prestazioni.
Per questo la legge impone che sia il progettista stesso, “inventore”
della struttura, a dichiararne la sua durabilità di progetto, purchè
soggetta a manutenzione, così come avviene per qualsiasi
macchinario
come
elettrodomestici.
ad
esempio
la
nostra
auto
o
i
nostri
Già nella formulazione del testo unico del 2005 si sono recuperate
molte norme tecniche già esistenti e che erano conosciute da pochi
“esperti” a causa della loro specificità e, soprattutto della loro
mancanza di controlli d’applicazione nelle realizzazioni di strutture in
opera.
Quanto più una struttura è esposta ad intemperie ed aggressivi e
quanto più esprime un forte deterioramento arrivando a degradi
notevoli per periodi di esercizio relativamente brevi, anche di pochi
anni.
Logica vuole che meno si espongono i materiali a sbalzi fisici
(temperature, umidità … ) e ad attacchi chimici e quanto meno si
innescano
in
essi
forme
di
degenerazione
chimica
o
fessurazioni/cedimenti della massa.
Quando si progetta una struttura per un pilastro interno ad un
condominio gli aspetti di degrado sono sostanzialmente ininfluenti,
mentre quando si progetta una pila di un pontile marino si devono
considerare: moto ondoso, aerosol marino, alternanza acqua/aria
(ossigeno e anidride carbonica sono elementi molto reattivi rispetto al
cemento), salinità...
A questo si aggiungano le azioni combinate di tutti gli elementi citati e
le intrinseche prestazioni del conglomerato cementizio in termini di
“auto protezione” ovvero di bassa permeabilità superficiale e di bassa
porosità efficace, in riferimento anche alla qualità dei componenti di
base del calcestruzzo stesso.
La capacità di “auto protezione” del conglomerato si raggiunge con
un perfetto bilanciamento delle qualità di ogni suo componente, a
partire dai leganti e dagli inerti e dalla loro reciprocità fisica
(dimensioni e distribuzione) e chimica (reattività e congruenza).
Un elemento basilare in questo gioco delle parti è fornito dall’acqua di
impasto e maturazione che deve approssimarsi il più possibile a
quella stechiometrica per evitare che gli eccessi liberati dopo la presa
ed indurimento del calcestruzzo lascino libere porosità tali da
veicolare gli aggressivi e l’acqua stessa all’interno della struttura con
molteplici problematiche di degrado possibile come bibliografia
insegna
La diminuzione di esposizione può avvenire grazie ad un
riposizionamento
delle
strutture
laddove
possibile
rispetto
all’involucro edilizio (pareti ventilate …) oppure grazie all’isolamento
dall’ambiente esterno grazie a protettivi tecnologicamente studiati a
tale scopo.
Ovvia conclusione è che per poter definire una vita nominale
dell’opera si debba “progettarne” anche la durabilità ovvero tutti
quagli aspetti materici e stratigrafici atti a prolungarne le possibilità di
impiego.
Evitare il degrado e mettersi nelle condizioni di poter eseguire
ordinaria manutenzione (es.: verificare isolamenti e protettivi e poterli
rinnovare e ripristinare) è alla base di una seria progettazione per
ottenere la durabilità attesa e da dichiarare.
Ogni committente di un edificio ha l’ovvia attesa che il proprio
investimento “nel mattone” non sia destinato a durare al massimo
dieci anni, mentre l’orizzonte temporale delle medie imprese in Italia
era in quest’ordine di grandezza, in funzione delle proprie
responsabilità perseguibili a norma di legge.
A questa sorta di equivoco generato dal lasso di tempo previsto per
l’evidenziarsi dei difetti costruttivi di cui all’Art.1669 del C.C., si è
posto rimedio con l’enunciazione dei principi ordinari e straordinari di
durabilità per strutture civili ed industriali.
Durate fino a dieci anni sono da considerarsi per opere accessorie o
provvisorie mentre per qualsiasi opera ordinaria il limite temporale è
di 50 anni, periodo che si è misurato dal dopo guerra ad oggi come
orizzonte raggiungibile da un buon calcestruzzo armato ben
realizzato e ben protetto.
Orizzonti anche maggiori sono da prevedersi per quelle opere il cui
impatto in termini di mancata funzionalità avrebbero ricadute anche
sociali importanti quali ospedali, viadotti, ferrovie…
Come poter pensare quindi a durate anche maggiori rispetto a quelle
verificate in mezzo secolo di esperienze ?
Il
segreto
principale
è
proprio
quello
di
progettare
anche
l’applicazione di elementi protettivi verificabili e mantenibili che isolino
completamente la struttura dall’ambiente esterno e dai relativi
aggressivi ivi presenti in riferimento sia al conglomerato che
all’armatura in esso contenuta.
Quando ci si riferisce alla tutela della sicurezza ovvero dell’incolumità
delle persone è naturale il livello altissimo di attenzione e reazione
che si pone in atto, specie in concomitanza di eventi drammatici
come un terremoto.
Il sisma dell’Aquila dell’aprile 2009 ha provocato la verifica statica di
molti edifici e le considerazioni inevitabili circa la scarsa qualità di
opere anche di recente costruzione, con l’ovvia spinta politica ad
attivare subito uno strumento nato a recepimento degli euro codici e
che doveva attivarsi definitivamente nel 2010.
Questa spinta spiega anche perché i legislatori hanno imposto la sua
applicazione in forma immediata, dal 1° luglio 2009, anche per
cantieri in essere con riguardo alla realizzazione delle strutture.
Oltre alle indicazioni progettuali ed alle condizioni al contorno da
prevedersi in funzione della localizzazione ed uso dell’edificio, molte
innovazioni sono anche riferibili ad elementi finora quasi sottaciuti ma
che sono letteralmente basilari per la buona riuscita delle strutture:
materiali impiegati e loro messa in opera e verifica.
Molte erano le norme tecniche presenti che indicavano come
misurare i parametri necessari ma mancava l’inquadramento e gli
obblighi di legge per farli applicare in forma diffusa e continuata al
patrimonio edilizio.
Non si parla inoltre solamente delle nuove costruzioni ma anche delle
azioni di ripristino e protezione di edifici esistenti, ancor più
complesse non conoscendone nemmeno teoricamente lo status.
Come già esplicitato non era tanto l’assenza di norme tecniche che
non aveva consentito finora la regimentazione degli interventi
secondo canoni dichiaratamente idonei, quanto la mancanza di un
“controllore” e di relative sanzioni a costrizione dei vari attori della
commessa edilizia nell’applicazione delle leggi stesse.
Il binomio investitore-costruttore ha visto l’istituzione di un arbitro con
funzioni di verifica e collaudo di tutto il processo : il direttore lavori.
Di fatto non è una vera novità normativa, ma la responsabilizzazione
di questa figura già presente sul teatro della commessa in termini
assoluti come si ritrova nel testo unico è una vera novità.
La “responsabilità in solido” con l’impresa del tecnico, implica una
presa in carico anche di eventuali errori dell’impresa stessa,
specialmente qualora questa sparisca dalla scena per fallimenti o
cessazione d’opera.
Per questo gli obblighi del DL in termini di identificazione dei materiali
impiegati, verifica della loro qualificazione secondo norme con
relativa
accettazione,
non
si
traducono solo
in
applicazioni
burocratiche ma si compendiano in un aspetto di direzione
continuativa del cantiere che era finora disattesa.
La giurisprudenza ci ha insegnato che se non era contrattualizzata
l’indennità di guardiania, la DL non poteva chiamarsi responsabile
degli errori fatti dall’impresa in sua assenza, implicitamente
accettando quest’ultima come prassi per molte attività di cantiere.
Ora le cose non possono più essere gestite così.
Il testo unico entra nel merito di questi aspetti nel capitolo 11
chiarendo quali siano gli aspetti imprescindibili del DL rispetto alla
scelta ed impiego dei materiali strutturali:
“materiali e prodotti per uso strutturale … il loro impiego nelle opere è
possibile soltanto se in possesso della Marcatura CE”.
Nessuna mezza misura quindi dall’entrata in vigore delle norme
convalidanti l’idoneità tecnica dei materiali per impiego strutturale.
E’ invalso il diritto del tecnico di validare i materiali stessi in assenza
di specifica normativa attraverso “la qualificazione con le modalità e
le procedure indicate nelle presenti norme”, quindi senza possibilità di
deroghe rispetto ai risultati attesi.
“Materiali e prodotti per uso strutturale innovativi” che non siano
ricompresi tra quelli normati dovranno inoltre “essere in possesso di
un Certificato di Idoneità Tecnica all’Impiego rilasciato dal Servizio
Tecnico Centrale sulla base di Linee Guida approvate dal Consiglio
Superiore dei Lavori Pubblici”.
Non vi sono scappatoie secondo legge e questo dovrebbe “far pulizia
sul mercato” rispetto a molti prodotti e materiali a basso costo e
basse e disomogenee prestazioni a tutela della vita dei fruitori del
mercato delle costruzioni.
Il marchio CE è quindi una vera rivoluzione che dovrebbe portare nel
tempo ad un cambiamento drastico e definitivo anche nelle proposte
commerciali sul mercato interno, con riferimenti certi e comparabili,
non più demandate alla capacità dialettica dei product manager.
Nello specifico dei ripristini e protezioni dei cementi armati, la norma
di riferimento per la marcatura CE dei materiali è la UNI EN 1504.
Tale norma tecnica è composta di dieci parti che trattano in dettaglio
argomenti specifici e non tutti sono di interesse specifico per i
produttori come la parte 1 (definizioni …) e la 8 (conformità di
processo del produttore, ovvero sistema di gestione per la qualità
ancorché non certificato).
Il secondo capitolo della norma tratta dei protettivi ovvero dei
materiali deputati ad isolare la struttura dall’ambiente esterno così
come il Cutis Protector della Volteco.
Il fatto di aver posto quale primo capitolo tecnico operativo quello sui
protettivi depone a favore delle scelte progettuali anche per la
protezione del nuovo, senza aspettare di aver compromesso la
struttura per poterla proteggere e rendere durevole e mantenibile.
Solitamente in Italia è invalso il concetto di struttura nuova non
protetta, salvo poi analizzare i protettivi dopo aver toccato con mano
gli effetti del degrado cui si è posto rimedio con i ripristini resisi
necessari.
I ripristini strutturali sono sviluppati nei capitoli 3 e 7 per quanto
attiene a malte e protettivi di armatura, mentre altri interventi
specialistici sono gestiti nei rimanenti punti di norma 4, 5 e 6.
Volteco presenta un pacchetto di malte da ripristino perfettamente
allineate ai requisiti di norma a compendio di un approccio esaustivo
ed integrato di problemi così complessi come quelli in esame.
Perché utilizzare una malta premiscelata quando si può usare il buon
vecchio
sabbia-cemento
per
ripristinare
un
cemento
armato
deteriorato ? Perché complicarsi la vita in cantiere ?
Leggendo tra le righe delle prescrizioni di norma la risposta è ovvia:
per evitare che il ripristino si stacchi non per degrado ma ancor prima
per semplice ritiro volumetrico o mancanza di adesione, per instabilità
dettata da comportamenti fisico-meccanici differenti rispetto al
supporto (sigma di distacco per schock termico) ed inadeguatezza di
adesione, per suzione capillare e/o permeabilità all’acqua con
veicolazione di agenti aggressivi (prima tra tutti proprio l’acqua)
all’interfaccia con il supporto …
Le malte premiscelate hanno rapporti acqua/cemento calibrati con
fluidificanti che rendono applicabile la malta senza neecessità di
acqua in eccesso, dispongono di espansivi che agiscono in parallelo
ai fenomeni di ritiro annullandoli, dispongono di additivi antischiuma
che evitano l’inglobamento di aria e quindi la formazione di porosità,
dispongono di apporti polimerici a migliorarne deformabilità ed
aggrappo… in una parola identificano la soluzione ottimale.
La UNI EN 1504 presenta anche due capitoli finali specificatamente
studiati per la definizione delle caratteristiche in sede progettuale
(parte 9) e in sede cantieristica e di collaudo (parte 10), con una
sinteticità e praticità che portano ad affermare siano una sorta di
check list ideale per ogni buon tecnico approcci queste tipologie di
intervento; quel che si dice una sorta di “codice di buona pratica”.
Tra i principi basilari enunciati nel capitolo 9 della norma si legge
l’importanza dell’impermeabilità all’acqua per interventi durevoli.
L’acqua è senz’altro il miglior solvente in natura e veicola gli
aggressivi all’interno della struttura ma genera anche azioni chimiche
dirette sugli stessi componenti il conglomerato attivando molecole
leganti non ancora idratate o interagendo con eventuali inerti reattivi,
azioni fisiche (gelività …) o meccaniche (asportazione…).
La norma è pervasa di attenzioni inerenti la presenza di acqua sia in
forma di permeazione che di evapotraspirazione, arrivando così ad
individuare il suo allontanamento dalla struttura come elemento
distintivo dell’intervento di protezione.
La protezione e riparazione di marciapiedi e gronde è una risposta a
questa evidente necessità di diminuire la commistione acquastruttura.
Insieme all’acqua l’altro elemento importante ai fini protettivi è
l’anidride carbonica che creando carbonatazione nel calcestruzzo
cambia il PH ambientale in cui le armature in acciaio trovano il loro
ambito
protettivo
ideale,
innescandone
processi
degenerativi
accelerati.
Ovviamente cloruri e solfati sono altrettanto deteriori con la loro
azione disgregante sulla pasta cmentizia per formazione di Sali di
ettringite e thaumasite, fortemente espansivi, che si configurano per il
cmeneto così come l’ossidazione dei ferri, la ruggine, opera nei
confronti delle armature metalliche.
Sempre la norma fa chiarezza sui rivestimenti protettivi indicandone limiti
dimensionali accettabili e categorizzandoli per tipologia ed efficacia.
Un’impregnazione idrofobica tratta la superficie esterna del supporto
generandone un’azione sulla molecola d’acqua che non ne facilita la
rottura e quindi assecondandone lo scorrimento in assenza di pressione.
Di fatto porosità e disomogeneità restano aperte verso l’ambiente
esterno ed il grado di esposizione non varia sostanzialmente.
L’impregnazione vera e propria riesce a trattare i primi micron di
profondità del supporto arrivando anche a rivestire le porosità maggiori
ed a occludere i pori più piccoli.
Non genera però spessore e non riesce a lavorare in modo autonomo
ma praticamente varia la superficie del supporto pre-esistente.
Il rivestimento o coating è invece l’elemento isolante per antonomasia,
secondo normativa, arrivando ad isolare integralmente la struttura
dall’esterno e diminuendo quindi l’esposizione secondo anche le
riflessioni già fatte in termini di durabilità e vita utile.
Il rivestimento deve ovviamente avere spessori congrui, di alcuni
millimetri, risultare continuo, impermeabile ad acqua ed aggressivi,
traspirante rispetto alla permeabilità al vapor d’acqua del calcestruzzo.
Pur configurandosi anche l’intonaco quale elemento protettivo esterno, il
vero rivestimento protettivo deve avere peculiarità che il normale
intonaco in uso non riesce a raggiungere in termini di deformabilità ed
impermeabilità, così come di congruenza con i movimenti del supporto.
Il rivestimento o coating è l’unico elemento protettivo che assolve
egregiamente ad ogni aspetto protettivo richiesto dalla norma.
Considerando tutti gli elementi di attenzione, i principi, per i fenomeni
di degrado, la norma evidenzia come il rivestimento sia l’unico in
grado di assolvere in modo completo alle esigenze protettive.
Il completo isolamento dall’ambiente esterno mantenendo fuori
l’acqua esterna, consentendo la traspirazione del residuo vapor
d’acqua del calcestruzzo, resistendo agli aggressivi quali cloruri e
solfati, si deve compendiare anche con una adeguata barriera
all’anidride carbonica.
Secondo norma la protezione secondo cui un rivestimento si può
definire “barriera alla CO2” è uno spessore d’aria equivalente (SD)
pari o superiore a 50 m.
Sostanzialmente il rivestimento deve generare una resistenza al
passaggio della CO2 pari a quella generata da uno spessore di 50 m
di aria.
Nello specifico il Cutis Protector 2 di Volteco ha ottenuto
certificazione da enti terzi di un SD pari a 335 m, ben oltre sei volte il
limite di norma.
Va anche precisato che la certificazione CE ha introdotto non solo
metodi di verifica ma anche parametri numerici da superare
decisamente impegnativi al fine di ottenere l’idoneità tecnica.
Resta peraltro la capacità di sviluppo tecnologico di produttori leader
di settore, in grado di ottenere prestazioni assolutamente vincenti, ed
al momento irraggiungibili sul mercato, grazie ad esperienza
pluridecennale nel settore con esperienze e competenze pratiche.
Oltre ad isolare la struttura dall’ambiente esterno, si è detto che la
norma specifica l’importanza di controllare l’umidità consentendone lo
smaltimento quando questa si accumuli o si trasferisca all’interno
della massa del conglomerato.
Una traspirabilità adeguata consente infatti di evitare accumuli a
tergo del rivestimento protettivo con rischi di distacco per gelività o
solubilità di parti del supporto (inerti o leganti) non completamente
combinate.
Un capitolo importantissimo è poi l’aspetto delle fessurazioni che
ingenerano vie preferenziali di accesso profondo per aggressivi ed
acqua by-passando l’eventuale trattamento esterno qualora questo
presenti cedimenti.
La difficoltà di intervento è determinata dal fatto che non si sta
parlando di giunti preordinati e visibili/identificabili, ma del supporto
nel suo insieme che può cavillare in modo disomogeneo e pressoché
casuale, determinato da fattori come composizione e maturazione, o
sollecitazioni termiche indotte dal contatto con l’ambiente.
Situazioni del genere inducono l’apertura di fessure posteriormente
alla posa del protettivo ed in modo assolutamente imprevedibile, con
necessità di poter disporre di coating deformabili ed estensibili, in
grado di compensare il fenomeno puntualmente ed in modo diffuso.
L’apertura
di
una
fessura
crea
sollecitazioni
fortissime
nel
rivestimento che deve reagire assottigliandosi per crea la maggior
lunghezza necessaria: Crack Bridging Ability
La direttiva europea sancisce la tipologia di marcatura e la legge
italiana che la richiama ratifica sia le tipologie di materiali sottoposti a
marcatura CE che, attraverso le specifiche norme tecniche, i metodi
per verificarne idoneità ed applicabilità.
Rammentando come il tutto si obbligatorio ormai dal 1 luglio 2009 per
ogni struttura edificando o in fase di manutenzione e ripristino, risulta
evidente come sia importante anche conoscere i vari tipi di marcatura
CE e i metodi per riconoscerli e verificarli.
In primis etichettature e specifiche di scheda tecnica non possono
essere inventati o adattati dal produttore che deve attenersi ad uno
specifico format ben espresso anche in forma grafica nella norma.
Vi
sono
poi
caratteristiche
obbligatorie
altrimenti
non
è
commercializzabile il prodotto mentre altri sono di carattere volontario
o meglio identificano la specializzazione del prodotto.
Usare ad esempio un protettivo rigido su una struttura in elevazione
soggetta a movimenti termici vanifica l’intervento a causa delle
fessurazioni che possono creare by-pass al rivestimento da parte
degli aggressivi: spetta al progettista verificare tali elementi.
La permeabilità al vapore deve essere commisurata a quella
espressa dal supporto, mentre l’impermeabilità ad acqua ed
aggressivi deve essere comprovata per poter parlare di isolamento
protettivo vero e proprio.
Ragionamenti analoghi vanno fatti anche in riferimento alle malte da
ripristino ed ai relativi campi di impiego secondo norme.
Per quanto riguarda poi le marcature CE va precisato che quanto
analizzato in questa sede riguarda quelle di tipo strutturale ovvero
quelle soggette a sistema di verifica 2+, che significa gestione e
controllo del processo, verifica prestazioni in controllo di qualità e test
iniziali di certificazione prestazionale con verifica di ente terzo sia sui
test iniziali che periodicamente sul processo.
Questa tipologia di marcatura è la più articolata e riguarda sia i
materiali
strutturali
che
quelli
impermeabilizzanti
quali
teli
impermeabili (Volgrip …), questi ultimi a far data dal settembre 2005.
Mancando un controllore e delle sanzioni dedicate, il settore
dell’impermeabilizzazione
soffre
ancora
non
verificandosi
l’applicazione delle norme come per le strutture.
Un’altra categoria di marcatura CE è quella degli intonaci che
sostanzialmente si configura come autocertificazione (sistema 4) con
possibilità di verifiche a campione da parte di ente di certificazione.
In sostanza sono state introdotte norme che sono finalizzate a
inquadrare e riordinare il mercato aspettandosi che il mercato stesso
finisca per selezionare i fornitori idonei a sostenerlo, grazie alle scelte
di progettisti, direttori lavori, imprese e committenze avvedute e che
pretendono qualità reali a fronte del loro investimento finanziario così
come di competenze o lavoro.
L’edilizia italiana non è più un’isola ed il confronto con il resto dei
paesi europei, anche a casa nostra, sarà la sfida dei prossimi anni,
con obiettivo di riqualificare il settore.
Marcatura CE ed innovazione tecnologica
Ing. Fabrizio Brambilla
#
Protezione del cemento armato e dell’involucro edilizio
Sintetizzando gli aspetti salienti dei protettivi si passa all’analisi delle tipologie
tecnologiche in uso per esplicitare l’approccio Volteco alla ricerca scientifica
ed innovativa nel settore.
Da una felice intuizione sviluppata nei tardi anni ’80 ad un’esperienza
maturata sul cantiere a partire dai primi anni ’90 per una comprovata
esperienza nel settore della protezione impermeabile dell’edificio, sia per le
parti ipogee che per quelle in elevazione.
La protezione dell’involucro edilizio e delle sue strutture è un argomento
vasto e che attraversa varie tipologie costruttive.
La protezione del cemento armato è un elemento distintivo degli ultimi
anni anche a fronte dell’esperienza dell’edificato dal dopoguerra ad oggi
con evidenza dei problemi di durabilità e relativo degrado.
Impermeabilità all’acqua quale elemento fondante per le specificità di
questo ottimo solvente in termini di degrado diretto ed in funzione di
solvente per molteplici aggressivi.
Protezione
dall’ingresso
degli
aggressivi
più
comuni
a
partire
dall’anidride carbonica per il suo effetto di carbonatazione del
calcestruzzo con induzione di degrado accelerato nei confronti delle
armature metalliche.
Elasticità e deformabilità per evitare che il protettivo venga by-passato
dalle sostanze di cui sopra.
I rivestimenti tipici sono classificabili come elementi esterni alla struttura
e che determinano una sorta di separazione dall’ambiente esterno.
Tale separazione può estrinsecarsi in alcuni millimetri di intonaco o in
pochi micron di pittura con effetti finali sulla durabilità decisamente
differenti e comunque non esaustivi, a meno di utilizzare protettivi
speciali appositamente studiati per ottemperare alle richieste di
isolamento rispetto a sostanze specifiche.
Altrettanto importante ai fini della stabilità e durata del rivestimento è
la sua congruenza con il sottostante supporto con il quale deve
condividere
fessurazioni.
sollecitazioni
e
movimenti
evitando
distacchi
e
Le tecnologie in uso si possono riassumere in tre grandi famiglie dal
punto di vista dei leganti impiegati: resine organiche, resine organicominerali e leganti minerali.
Le prime due famiglie annoverano tipicamente prodotti filmogeni o
comunque con spessori di pochi micron, mentre la famiglia dei leganti
minerali parte dai rasanti da un millimetro per arrivare fino agli intonaci
da vari millimetri di spessore, tendenzialmente rigidi.
Facendo in un certo senso “un passo in dietro” nel tempo, è
opportuno riassumere brevemente quanto sia stato sviluppato in
termini di protettivi deformabili a spessore di tipo cementizio.
Quello che Volteco (prima del settore ad aver formulato e prodotto
materiali di questo genere) ha denominato “guaine cementizie” a
simboleggiarne le caratteristiche principali di deformabilità/elasticità e
la base legante cementizia, ha visto innumerevoli segmentazioni
tecnologico-applicative.
L’intuizione Volteco negli anni ottanta-novanta era stata quella di non
inseguire una resistenza meccanica esasperata, a fronte di
caratteristiche che privilegiassero congruenza meccanica e chimica
con il supporto sottostante.
A fronte di fessurazioni che potevano aprirsi in tempi successivi alla
stesura del materiale si è ricercato un protettivo impermeabile capace
di aderire con continuità, ed allo stesso tempo fosse in grado di
assottigliarsi per mantenersi continuo e chiuso “scavalcando” ovvero
“facendo ponte” sulle discontinuità del supporto.
La deformabilità del materiale era necessaria sia per ottenere il
comportamento elastico sopra descritto, che per mantenere la
stabilità con il supporto, spesso degradato o povero, in modo da
evitare il crearsi di sollecitazioni di strappo di quest’ultimo, a fronte di
adesioni richieste anche notevoli.
Il principio ha trovato applicazione anche nella produzione di malte da
ripristino a basso modulo che oggi sono divenute uno standard di
riferimento, ma che all’epoca erano assolutamente controtendenza in
confronto a malte premiscelate di altre aziende leader, che peraltro
proponevano alta resistenza meccanica quale parametro di durabilità.
In assoluta controtendenza con quanto proposto dal mercato, Volteco
ha, fin dall’inizio e per prima, approcciato il problema dal punto di
vista “naturale” privilegiando la congruenza e la continuità rispetto
all’imposizione di elementi avulsi dal contesto.
La ricerca di materiali compatibili che consentissero comportamenti
così diversi ha portato ad impiegare resine acriliche insieme a leganti
cementizi.
Quanto fino a quel momento era usato in basse quantità per
migliorare fluidità e porosità dei getti, venne utilizzato in modo
“massiccio” come co-legante delle fasi inerti, ottenendo materiali
combinati e complessi sia per comportamento che per formulazione.
Basilare era ed è la coazione dei due leganti in fase di miscelazione,
presa e “indurimento” del prodotto, con necessità di omogeneo
comportamento chimico e temporale (ndr: stessi tempi).
Le prime ipotesi di formulazione che produssero il primo Plastivo nel
1990 sono state poi verificate in ambiti scientifici e la felice intuizione
misurata a livello di test meccanici in laboratorio LTE Volteco hanno
trovato riscontri anche nelle indagini strumentali di alto livello.
L’idea che la produzione dei collegamenti da parte dei cristalli di
cemento si combinasse con la reticolazione del polimero acrilico,
formando un connettivo misto con capacità di deformazione e
resistenza, venne poi fotografata al microscopio elettronico.
La sua parametrizzazione avviene tramite test di deformabilità con
dinamometri strumentati e attrezzature di pull-out classiche.
Varie ricerche scientifiche sono state implementate negli anni con
varie università quali: Padova, Trento e Venezia.
Trovare la giusta combinazione che garantisse stabilità e funzionalità
di un prodotto anche in un ambiente eterogeneo e complesso come il
cantiere edile ha significato effettuare anche molti test direttamente in
ambito operativo, che poi sono stati ripresi nel tempo verificandone
anche la durabilità in scala reale (1990-2008).
Questo fattore trasferisce molta tranquillità nella proposta tecnologica
Volteco in quanto l’invecchiamento accelerato in laboratorio, pur
possibile ed effettuato secondo normative, non genera gli stessi
effetti di scala della posa in cantiere su materiali così innovativi.
La presenza di specie chimiche note insieme a elementi combinati di
cui non erano note funzionalità e sensibilità, sono da sempre stati
fattori controllati con attenzione da Volteco anche in applicazioni reali.
Gli stessi inerti che, per definizione, non dovrebbero interagire
creando problematiche ma, semmai, fornire utile scheletro al
connettivo del legante; sono stati oggetto di continui affinamenti
finalizzati ai diversi impieghi: impermeabilizzazione contro acque in
pressione, protezione da pioggia e sbalzi termici.
Tutti gli elementi inseriti in miscela sono da sempre stati vagliati con
attenzione per effetti diretti e collaterali in un bi-componente che
necessitava omogenea distribuzione sia nella parte polvere che in
quella liquida al fine di ottenere omogeneità di protettivo finale.
Da
sempre
Volteco
ha
ragionato
in
termini
di
protezione
considerando l’impermeabilizzazione quale elemento distintivo e di
discontinuità tra ambiente esterno, virtualmente aggressivo, e
struttura/edificio.
La resistenza agli agenti esterni si è sempre dovuta sposare con la
necessità di congruenza con il supporto minerale a base cementizia
per garantirne isolamento e durabilità.
Da questo approccio la creazione delle cosiddette “guaine cementizie
polimero modificate” proprio in funzione di questo felice connubio tra
mondi così differenti e distanti: quello minerale e quello polimerico.
La scelta del polimero acrilico quale connettivo deformabile è stata
sempre riconfermata dai vari progetti di ricerca scientifica, anche con
finanziamenti pubblici per riconosciuta innovazione tecnologica a
livello ministeriale, quale ottimale per le peculiarità comportamentali
del materiale.
La resina acrilica è sensibile all’acqua che ne comporta modificazioni
comportamentali importanti.
Può
sembrare
quantomeno
anomalo
affrontare
le
impermeabilizzazioni con materiali sensibili all’acqua, ma il connubio
tra cemento e polimero ne comporta stabilità e durata proprio per la
bilanciata funzione di entrambi i leganti nel mix design del prodotto.
L’acqua è l’elemento che consente la combinazione chimica di
acrilica
e
cemento
che
non
sono
semplicemente
miscelati
meccanicamente tra loro con azioni fisico meccaniche conseguenti,
ma che si interconnettono a livello molecolare stabilizzandosi
vicendevolmente.
L’interazione chimica con legami ionici è alla base del buon
funzionamento di un bi-componente Volteco proprio grazie al
rapporto stechiometrico tra i componenti.
L’eccesso di uno dei due elementi leganti cambia l’ambiente
d’interazione a livello chimico cambiandone anche gli effetti sul
risultato finale.
In buona sostanza il calcio del legante cementizio funge da nuovo
legame tra le catene polimeriche comportandosi un po come lo zolfo
nella chimica della gomma.
In effetti un risultato simile alla vulcanizzazione della gomma è quello
osservabile sui bicomponenti che arrivano ad avere caratteristiche
meccaniche e stabilità eccelse proprio come la gomma vulcanizzata
rispetto a quella di partenza.
Guaine cementizie quindi perché il comportamento è un misto tra
guaine deformabili e prodotti cementizi, prendendo da ogni settore le
caratteristiche necessarie a soddisfare i parametri necessari.
Stabilità all’acqua pur dipendendo da questa per l’interazione chimica
di tipo ionico tra i leganti componenti il prodotto.
Compatibilità ed interazione con il supporto quale esigenza primaria
per durabilità e stabilità degli interventi.
Conferimento di caratteristiche meccaniche inusitate grazie alla
commistione di diversi campi della chimica e dei relativi risultati.
Capacità di adesione continua e totale, ancorché tenace, abbinata
alla possibilità di deformarsi senza staccarsi e senza creare
sollecitazioni di distacco sul supporto.
Possibilità di integrarsi completamente con il pacchetto costruttivo
classico così come sui pacchetti di ultima generazione come i
rivestimenti “a cappotto”.
Tutti questi elementi giocano il loro ruolo insieme ad una porosità
bilanciata che consente di mantenere fuori l’acqua allo stadio liquido
senza essere barriera al vapore ma, anzi, risultare traspiranti rispetto
ad esso.
Vista la durabilità di un cemento armato a bassa porosità così come
rilevato dagli studi scientifici e le richieste di durata espresse secondo
le nuove normative, non ultimo il testo unico sulla progettazione, è
evidente l’importanza di un protettivo integrato come quello in
presentazione.
Impermeabilizzare è proteggere visto che l’elemento primario di
degrado, in forma diretta o quale veicolo, è la presenza di acqua.
Questa è la motivazione che ha portato Volteco ad occuparsi dei
protettivi per le strutture in elevazione con la stessa meticolosità ed
attenzione posti in essere per la difesa delle strutture ipogee
dall’acqua in pressione.
Gli stessi protettivi per facciate e strutture in cemento armato sono
testati anche con i medesimi permea metri utilizzati per gli
impermeabilizzanti utilizzati per contenimento acque e protezione
degli interrati profondi, con analoga severità (test di impermeabilità a
5 metri di carico idraulico per protettivi da facciata).
Laddove si debba considerare l’esposizione continua di un edificato a
piogge, anche aggressive ed acide, sbalzi di temperatura ed
assestamenti, è di basilare importanza prevedere protettivi idonei che
siano in grado di lavorare sul proprio spessore (quindi non semplici
vernici caricate) per ottenere la Crack Bridging Ability (capacità di far
ponte su lesioni postume) necessaria a garantire al continuità del
protettivo nel tempo, senza distacchi e con impermeabilità totale.
Anche in questo senso Volteco ha precorso i tempi proponendo test e
analisi dal 1990 su questi fattori che sono stati normati a livello
europeo solo negli ultimissimi anni.
Continuità e isolamento della finitura rispetto all’ambiente esterno è
un fattore chiave per tutto il sottostante pacchetto costruttivo, quale
che sia lo standard utilizzato per il medesimo, ed anche a tutela di
altre tecnologie quali isolamento termico e finiture interne.
Da queste ricerche ed esperienze è stato generato il Cutis Protector
2, appositamente studiato per la protezione impermeabile e
deformabile di strutture in cemento armato.
Gli aspetti di protezione e durabilità della struttura sono basilari per
l’intero settore delle costruzioni come ampiamente evidenziato
dall’implementazione dei testi unici e delle varie norme e decreti degli
ultimi anni.
A far data dall’entrata in vigore del DM 14/01/2008 (01/07/2009) è
infatti obbligatorio utilizzare materiali a marcatura CE per costruzione
e ripristino di strutture in cemento armato.
Perfettamente in linea con la norma UNI EN 1504 dal punto di vista di
idoneità tecnica e conseguente marcatura CE, il Cutis Protector 2 è
altamente performante anche rispetto agli elevati standard richiesti.
A fronte di un minimo SD (spessore d’aria equivalente) di 50 per
considerarsi “barriera alla CO2” secondo normativa, il Cutis Protector
2 sviluppa un valore di ben 335 m (ben oltre le 6 volte la soglia)
certificato da ente terzo rispetto a Volteco.
Questo a dimostrazione che la proposta tecnologica Volteco, che ha
precorso anche la normativa vigente, ha profonde radici di
competenza e sviluppa proposte di altissimo livello sia per risultati
che per affidabilità.
Giova infatti rammentare che il progenitore del Cutis Protector 2 ha
visto la luce nel 1991 con il nome di Plastivo Concrete Protection,
sviluppando referenze importanti e durevoli verificabili tuttora.
Nella quotidianità di ognuno è leggibile l’evidenza della problematica
della durabilità del costruito, anche attraverso la semplice analisi
visuale di quanto ci circonda in termini di facciate.
L’esposizione agli agenti atmosferici produce varie tipologie di effetti
evidenti come l’esfoliazione superficiale di vernici e pitture così come
di taluni intonaci.
Formazione di depositi di sporco e di muffe evidenziano la cosiddetta
“presa di sporco” delle finiture che sono un primo passo verso
depositi di ogni tipo che, combinati con acqua, producono l’ambiente
idoneo alla proliferazione di varie tipologie di aggressivi
L’assenza di gronde e sporgenze che evitino lo scorrimento delle
acque meteoriche lungo le pareti esterne degli edifici è senz’altro un
aspetto di modernità architettonica che peraltro non recupera la
conoscenza atavica del saper costruire evitando i problemi alla
radice.
Anche laddove si costruisce in modo tradizionale si legge comunque
come la mancata continuità e congruenza tra elementi costruttivi
differenti inneschi fenomeni di assestamento ben evidenti tramite
fessurazioni di varia entità e distacchi delle porzioni più esterne
dell’edificio.
Oltre all’evidenza del fenomeno questo implica anche la creazione di
vie preferenziali di accesso di aggressivi dall’esterno direttamente in
profondità nell’involucro edilizio.
Partendo dalla finitura pittorica si arriva alla struttura.
Infiltrazioni di acqua così come esposizione più diretta delle strutture
agli aerosol marini così come semplicemente all’anidride carbonica
pregiudicano consistenza e durata dei materiali impiegati a partire dal
legante tipico: il cemento.
Quando poi le permeazioni di acqua derivano da by-pass di
protezioni e coperture, il fenomeno si evidenzia, prima ancora che
esternamente, sui materiali di interfaccia tra i vari strati costruttivi, con
innesco di delaminazioni e distacchi delle porzioni di rivestimento più
esterno, accompagnate da disgregazione materica per formazione di
sali e per fenomeni gelivi.
La definizione delle tecnologie prestazionali idonee è oggettivamente
la strada corretta per risolvere le problematiche.
Talvolta però anche questo approccio non garantisce i risultati
desiderati, specie in termini di durabilità, a causa di una scorretta
impostazione tecnica che vede come “prestazionale” ovvero
“ottimale” l’impiego di materiali con alte resistenze, nell’ottica che
rigidità e resistenza siano sinonimi automaticamente di soluzione
duratura.
L’equivoco di fondo è legato proprio ai parametri necessari di
congruenza
tra
materiali
e
tecnologie
di
intervento
e
supporto/contesto su cui si opera.
Non è pensabile di contrastare movimenti ed assestamenti con la
sola finitura esterna in quanto sarebbe come tentare di mantenere
insieme un edificio con una benda rigida, risultato: distacco e crepe.
Per questa ragione un’azienda come Volteco, nata nel 1976 in Italia
nel settore delle impermeabilizzazioni, si è occupata negli anni dei
vari aspetti che isolamento e protezione dall’acqua implicano nel
settore delle costruzioni civili ed industriali.
L’approccio a problemi così diversi è molto differente in funzione che
si debba isolare l’edificio da acqua in pressione piuttosto che evitarne
la permeazione per eventi meteorici o facilitarne evaporazione e
traspirazione quando la sua presenza è intriseca all’edificio stesso.
Diversi sistemi tecnologici sono stati approntati all’uopo, con precipua
volontà di ricerca delle cause scatenanti i fenomeni, per garantirne
soluzioni certe, esaustive ed affidabili nel tempo.
Affrontare le problematiche delle facciate significa anche e soprattutto
predisporre soluzioni affidabili e durature che evitino il ricorso a
manutenzioni frequenti e, quindi, costose.
Infatti i maggiori oneri di tali lavorazioni sono sostanzialmente riferibili
all’installazione del cantiere, in termini di occupazione del suolo e di
ponteggi, nonché di mano d’opera.
Oltre a questi aspetti economico-organizzativi si deve poi ragionare
su cosa significhi non riuscire ad ottenere una soluzione duratura in
termini di degrado progressivo che potrebbe non subire una reale
soluzione
di
continuità,
con
incremento
progressivo
delle
problematiche nel tempo.
In tal senso è nota “la legge del 5” che indica la progressione con cui
i costi di manutenzione incrementano con l’attesa di intervento.
Di fatto le principali esigenze esplicite di un rivestimento per facciata
sono: l’impermeabilità per evitare permeazioni di acqua meteorica,
traspirabilità per evitare accumulo e condensazioni interstiziali del
vapor d’acqua tipicamente creatosi all’interno degli edifici nella
stagione fredda, ed elasticità per poter assecondare i movimenti del
supporto sia in termini di risposta alle variazioni climatiche che per gli
assestamenti tipici di tutti gli edifici.
Per queste motivazioni Volteco è partita a studiare con un pool di
esperti esterni il costruito dal dopo-guerra ad oggi in ogni regione
italiana per evidenziare i pacchetti costruttivi tipici e le ricorsività
tecnologiche che potevano tornare utili alla standardizzazione dei
modelli di calcolo.
A fronte di questi elementi si sono definite le caratteristiche ideali per
un protettivo in termini di traspirabilità e deformabilità.
Le tipologie più stratificate, soprattutto se le stratigrafie non sono
corrette in senso igrometrico di passaggio del vapore, sono
ovviamente risultate quelle più a rischio, a fronte di situazioni più
omogenee che sono oggettivamente più stabili anche se magari
meno isolate termicamente.
Quello che sembrava essere un elemento problematico come lo
sbalzo termico è risultato essere solo un elemento vincolante mentre
quello scatenante i fenomeni più complessi e problematici è risultata
la percentuale di umidità ambientale: più che basse temperature è la
presenza di nebbia o condense atmosferiche a creare problemi.
Applicando a questi elementi i calcoli stagionali ed annuali per ogni
provincia italiana e verificandone le incidenze puntuali, nei momenti
peggiori,
con
diagrammazioni
Glaser,
si
sono
graficizzati
i
comportamenti dei singoli pacchetti costruttivi.
Dall’evidenza dei calcoli si è potuto riscontrare che per qualsiasi
situazione esente da problematiche di condensa, l’applicazione del
protettivo bicomponente Cutis Protector 1 non ha innescato alcun
problema o variazione del ciclo igrotermico.
Laddove la situazione è risultata già compromessa l’aggiunta del
Cutis Protector 1 non ha fatto degenerare la situazione pur non
potendola risolvere da solo ma necessitando una implementazione di
isolamento termico opportunamente posizionato.
Nelle situazioni chiamate “border-line” il Cutis Protector 1 non ha
creato le condizioni per la degenerazione dei fenomeni condensanti
garantendo comunque la traspirabilità residua già instaurata dal
pacchetto esistente.
Volendo
quindi
proporre
al
mercato
un
sistema
che
impermeabilizzasse l’esistente senza creare scompensi in situazioni
bilanciate ma nemmeno in altre “a rischio” si è congiuntamente
ritenuto ottimale il livello di prestazioni individuate.
Quanto riscontrato in fase di ricerca universitaria è divenuto poi il
pacchetto di richieste base per il Cutis Protector 1 perseguendone la
relativa formulazione ed i successivi test sul campo, portati avanti per
due anni in tutta Italia prima della commercializzazione.
Focalizzando l’aspetto dell’impermeabilizzazione traspirante, il Cutis
Protector 1 garantisce prestazioni assolutamente di livello con una
capacità isolante garantita con test di 5 m di battente idraulico, a
certezza di qualsiasi esposizione meteorica.
Un approccio di questo tipo può sembrare anche esagerato
considerando l’assenza di pressione in acqua meteorica in caduta
libera, ma va detto che la pressione esercitata dal vento piuttosto che
situazioni architettoniche particolari possono ingenerare situazioni
altamente pregiudicanti un normale film protettivo semplicemente
idrorepellente.
Meno acqua riesce ad entrare o, meglio, assicurandosi che non ne
possa entrare per nulla si ottengono le migliori garanzie di assenza di
carico di umidità nelle muratura.
Infatti è molto più spesso questo il fattore scatenante i peggiori
problemi in edilizia piuttosto che la sola condensa, fattore
problematico ma che sottende a quantità di acqua decisamente
minori del precedente.
Volendo quindi trattare l’aspetto di passaggio del vapor d’acqua, la
ricerca Volteco ha creato pacchetti protettivi compositi che, visti da
vicino, esprimono appieno questa “apertura” calibrata.
Il fattore di protezione ottenuto con Cutis Protector 1 è stato poi
volontariamente certificato secondo le severe prove della UNI EN
1504 ottenendo la marcatura CE quale certificazione di idoneità del
pacchetto proposto quale protettivo impermeabile.
Le caratteristiche ottimali per un protettivo come quello proposto
collimano anche con i parametri individuati per interventi su facciate
quali la bassa “presa di sporco” e la capacità precipua di essere
utilizzato su supporti minerali o verniciati (purché stabili), grazie alla
sua dualità di legante: minerale e polimerico.
Dall’analisi al microscopio elettronico si può apprezzare poi l’estrema
differenza
con
le
immagini
delle
guaine
cementizie
impermeabilizzanti già riportate (più compatte e massicce), ad
evidenziare la stratificazione impermeabile continua, ma “aperta” al
passaggio delle molecole del vapor d’acqua, che risulta calibrata al
massimo per ottenere i risultati attesi.
La stessa tipologia di inerti è completamente differente dagli altri
prodotti bi-componenti così come la tipologia di leganti cementizi e lo
stesso polimero.
Il mix design si spinge anche a livello di questi composti che sono a
loro volta oggetto di idonee miscele di componenti performanti.
Ottenere stratificazioni calibrate senza depositi e separazione tra le
differenti fasi del bi-componente non risulta agevole soprattutto a
causa dei differenti pesi specifici e della miscelazione “eterogenea”
che spesso può avvenire in cantiere.
La partenza sincrona delle fasi di presa del cemento e della
reticolazione del polimero è inoltre caratteristica basilare per ottenere
combinazioni bilanciate dei due leganti grazie al legame ionico che si
instaura stabilizzando il bi-componente per come è stato strutturato.
Dopo tanti aspetti storici e scientifici passiamo a vedere gli sviluppi
pratici e tecnologici di una così consolidata e padroneggiata tecnica
formulativa e produttiva.
Il mercato del “costruito” e della manutenzione è estremamente
eterogeneo e presenta problemi articolati che devono essere risolti
da specialisti di settore in grado di integrarsi perfettamente con le
altre tecnologie concorrenti al risultato finale (isolamento, impianti …).
A fronte di un prodotto come il Cutis Protector 1 si è sviluppato un
intero pacchetto di prodotti studiati come sistema integrato per un
approccio segmentato e mirato alle facciate.
L’ulteriore prestazionalità in termini di Crack Bridging Ability si può ad
esempio raggiungere, soprattutto su superfici già cavillate in modo
distribuito e differenziato, con l’interposizione tra prima e seconda
mano di Cutis Protector 1 dell’apposita rete Flexonet con funzione di
moltiplicatore delle capacità di allungamento, contrariamente a
quanto normalmente avviene con le classiche retine porta-intonaco
presenti sul mercato.
A completamento del sistema è stata studiata e prodotta un’apposita
malta premiscelata denominata Fibromix 41, per il ripristino
dell’intonaco quando mancante o eliminato perché decoeso ed
instabile.
Il pacchetto si completa poi con la pittura acril-silossanica Paint-Air
che completa e mantiene le prestazioni del Cutis Protector 1 sia in
termini di protezione impermeabile che di traspirabilità.
Interventi fuoriquota di recupero delle strutture in c.a.
Ing. Gianluca Belverde – Servizio Tecnico Volteco S.p.A.
#
Degrado delle strutture
L’argomento che andremo a trattare è talmente vasto e bibliograficamente
ricco che giocoforza procederemo, nella trattazione seguente, con il
contestualizzarlo relativamente a quelli che sono gli obiettivi dell’incontro
odierno, cioè alla finalità di presentare delle tecnologie per il recupero delle
strutture in cemento armato che si caratterizzano per il loro alto livello di
prestazionalità.
L’importanza della materia ci obbligherà comunque a, seppur brevi, cenni
teorici e normativi, per meglio illustrare quei fenomeni che è necessario
considerare allorquando ci si trovi a dover operare su manufatti in cemento
armato che abbiano subito, e stiano subendo, processi di degrado.
Sovente l’osservazione delle strutture in cemento armato presenti
nelle nostre città consente di evidenziare fenomeni macroscopici di
degrado; questi possono apparire sotto forma di “semplice”
fessurazione, oppure presentare aspetti di disgregazione superficiale,
di esfoliazione, di essudazione, fino ad arrivare a situazioni di vera e
propria espulsione di materiale e disgregazione profonda, con la
messa a nudo delle armature.
Come è noto il fenomeno del degrado del cemento armato può
essere determinato da differenti cause, come
- carbonatazione
- attacco dei solfati
- reazione alcali-aggregato
- attacco dei cloruri
- dilavamento
- cicli gelo/disgelo
che spesso agiscono simultaneamente.
Per esempio in città gli edifici in cemento armato sono soggetti, oltre
che all’azione delle intemperie, a quella dell’acqua percolante da
fioriere e balconi, che contribuisce notevolmente alla creazione di
situazioni di ammaloramento.
Le tipiche azioni degli agenti chimici presenti nell’ambiente (quelle dei
cloruri, attacchi di tipo acido, solfatico, reazioni alcali aggregato che
procedono e sono esaltate dai fenomeni di fessurazione tipici del
calcestruzzo ecc. ) vengono infatti comprensibilmente accentuate
dall’azione di erosione e dilavante dell’acqua, che completa la
disgregazione delle parti del manufatto soggette a tale fenomeno
Nelle zone fortemente antropizzate le continue emissioni di gas nocivi
rendono ragione del fatto che gli edifici possano presentare parti
notevolmente ammalorate soprattutto laddove non siano stati
preventivamente adottati sistemi per la protezione a garanzia della
durabilità del calcestruzzo; questo comporta che spesso è possibile
rilevare anche la presenza di ferri completamente “fuoriusciti” dal
calcestruzzo, con le ovvie considerazioni che ne possono seguire dal
punto di vista strutturale.
All’erronea convinzione del calcestruzzo visto come “materiale
eterno” è seguita quindi nel corso degli anni la consapevolezza di
dover provvedere alla manutenzione periodica delle strutture in
conglomerato ed alla protezione delle stesse sin dalla fase della loro
realizzazione. Consapevolezza ben presente anche nel legislatore
come è vero che le NTC non solo responsabilizzano riguardo ai
materiali ma si preoccupano di indicare che la “durabilità” deve
essere garantita anche comprendendo eventuali misure di protezione
e manutenzione; è intuibile come un idoneo sistema di protezione del
calcestruzzo consentirà di dilatare quindi gli intervalli temporali tra gli
interventi manutentivi in facciata, con ovvi benefici in termini
economici.
Il tecnico incaricato di progettare un intervento di recupero o di
manutenzione di una struttura in cemento armato avrà come
____
riferimento anche la norma UNI EN 1504 “Prodotti e sistemi per la
protezione e la riparazione delle strutture di calcestruzzo” norma che
fissa i requisiti essenziali dei prodotti dedicati alla protezione ed al
ripristino del calcestruzzo.
Al professionista, al quale già in fase di elaborazione del progetto di
intervento
viene
richiesta
una
determinazione
qualitativa
e
quantitativa dello stato di fatto del manufatto oggetto del futuro
intervento, le procedure stabilite dalla norma UNI richiedono anche
che già a partire dall’indagine conoscitiva dovranno essere indicate le
modalità di ripristino e protezione, gli obiettivi e le risultanze
prestazionali in funzione della garanzia di durabilità e di efficienza
prescritte per quel tipo di costruzione.
Un’attenta campagna di indagine dovrà consentire perciò di
individuare la profondità delle parti di c.a. ammalorate e quindi
dimensionare, quanto più correttamente possibile, i volumi di
intervento e l’eventuale ripristino delle armature laddove queste
risultassero mancanti o eccessivamente compromesse da fenomeni
di ossidazione.
Il ciclo di ripristino e protezione del cemento armato dovrebbe quindi
comprendere le seguenti fasi:
- indagine diagnostica;
- demolizioni;
- pulizia;
- trattamento e protezione dei ferri mediante utilizzo di
passivanti di natura cementizia, al fine di non creare
strati di separazione tra armature e successive
malte da ripristino;
- ricostruzione dei volumi originari mediante idonee
malte da ripristino, aventi differente comportamento
meccanico a seconda di spessori e tipologie
strutturali certificate secondo normativa vigente per
gli usi alle quali saranno destinate (marcatura CE in
rif. al D.M. 14/01/2008 ed UNI EN 1504);
- rasatura protettiva al fine di garantire protezione e
durabilità dell’intervento mediante idoneo rasante
certificato
mediante
marcatura
CE
(rif.
D.M.
14/01/2088 “Principi fondamentali” e UNI EN 1504);
- eventuale finitura protettiva decorativa.
Ovviamente l’adozione di materiali regolarmente certificati da
marcatura CE mentre da un lato servirà a garantire efficacia e
durabilità dell’intervento, dall’altro tutelerà Progettazione e Direzione
Lavori sulla bontà della scelta dei materiali e delle procedure
operative. Ricordiamo infatti come delle dieci parti nella quale è
suddivisa la norma UNI EN 1504 le prime otto riguardino
essenzialmente produttori e prodotti, mentre la nona sia dedicata alle
scelte di intervento e prodotti (mirata quindi alla progettazione) e la
decima alla posa, al cantiere ed ai controlli (ovvero a quel che
concerne la direzione lavori ed il collaudo).
Le fasi di indagine e diagnosi potranno procedere secondo il
seguente iter procedurale:
-
raccolta di notizie utili (storicità);
-
sopralluoghi (esami visivi);
-
prove in sito;
-
eventuali prove in laboratorio;
-
confronto critico dei dati;
-
diagnosi finale.
Per la valutazione degli spessori di calcestruzzo che dovranno essere
asportati è di particolare importanza la determinazione della
profondità delle zone di calcestruzzo carbonatato.
A tal proposito si potrà effettuare una stima della profondità di
carbonatazione procedendo con prelievi mediante carotaggi; la
profondità di carotaggio dovrà essere stabilita in relazione allo
spessore di cls che si ritiene poter influenzare lo stato dell’armatura.
Laddove i copriferri appaiano visibilmente staccati dall’armatura i
campioni
per
le
analisi
potranno
essere
prelevati
anche
“manualmente” con l’ausilio di appositi utensili.
Il numero di campioni dovrà quindi essere ovviamente sufficiente per
consentire la stima degli spessori carbonatati di tutta la struttura.
In
cantiere è pratica usuale mettere in evidenza le superfici di
calcestruzzo carbonatate bagnando le stesse con una soluzione
alcolica di fenolftaleina (soluzione di fenolftaleina all’1% in alcol
etilico), che vira al rosso al contatto con materiale il cui pH sia
maggiore di 9,2 e rimane incolore per valori di pH minori; ovviamente
a colorarsi di rosso sarà la superficie non carbonatata
Oltre a quanto sopra riassunto possono anche essere realizzati altri
tipi di prove atte a fornire una stima delle caratteristiche meccaniche
del calcestruzzo del manufatto in oggetto. Per esempio una stima
della resistenza cubica locale a compressione del calcestruzzo potrà
essere realizzata mediante prove a compressione su provini ricavati
da carote.
Si procederà effettuando carotaggi nel cls prelevando campioni di
diametro 100 mm ed effettuando la stima della resistenza cubica a
compressione
del
calcestruzzo
equivalente
ai
“controlli
di
accettazione” del calcestruzzo in opera per strutture nuove stabiliti
dal D.M. 14/01/2008. Il prelievo di carote potrà consentire anche la
determinazione del profilo di penetrazione degli ioni cloruro estraendo
i cloruri dal calcestruzzo con acqua o con acido nitrico. Prove
colorimetriche alla fluoresceina potranno essere utilizzate per
verificare la presenza di degradazioni causate da cloruri. Sempre
mediante esami delle carote potrà altresì essere valutato un attacco
solfatico. Le operazioni ovviamente dovranno essere eseguite sia in
zone con calcestruzzo sano sia in quelle che presentino degradazioni
per poter verificare la provenienza del solfato (se esterna o già
contenuta nella pasta cementizia per un errato confezionamento).
Al fine di diagnosticare la presenza di ettringite, si potrà effettuare
_
un’analisi diffrattometrica dei raggi X (DRX); sempre con l’analisi
diffrattometrica
potranno
evidenziarsi
eventuali
reazioni
alcali
aggregati. A volte le classiche prove sclerometriche potrebbero
risultare invece poco attendibili laddove sia presente un diffuso stato
di degrado della superficie. Per l’analisi dei ferri si potrà effettuare
una valutazione delle dimensioni degli stessi post rimozione delle
parti ossidate mediante energica spazzolatura; mediante prove in
laboratorio
(analisi
diffrattometriche)
si
potrà
eventualmente
determinare la composizione chimica della lega; al microscopio
elettronico a scansione (SEM), si potrà accertare la presenza di un
attacco perforante (pitting), dovuto a cloruri e/o solfati, o di una
corrosione uniformemente distribuita, la cui causa sarà da ricercare
nella carbonatazione del calcestruzzo.
Una volta determinati i volumi delle parti ammalorate si potrà
procedere con la rimozione di queste anche quando solo soggette ad
efflorescenze ed a fenomeni di umidità secondo procedure e
metodologie descritte nella UNI EN 1504-9 e UNI EN 1504-10.
La rimozione dei calcestruzzi che risultino essere degradati e che non
rappresentino
un
supporto
sufficientemente
affidabile
per
l’applicazione degli strati di ripristino dovrà ovviamente essere totale.
Le superfici interessate da questa rimozione dovranno, prima
dell’applicazione di qualsiasi strato di materiale successivo, essere
accuratamente pulite da polveri ed incrostazioni di eventuali materiali
distaccanti. Eliminando tali zone si potranno effettuare i successivi
interventi su un supporto sufficientemente sano e pulito, requisito
necessario per il successo di qualsiasi intervento di ripristino.
Dovranno essere eliminate anche tutte le eventuali strutture
metalliche ammalorate presenti nelle parti soggette a reintegro al fine
di consentire il corretto ripristino dei volumi interessati.
Sarà quindi necessario procedere alla nuova passivazione e
protezione delle armature, (dopo una loro accurata pulizia) con un
apposito rivestimento cementizio applicabile a pennello su tutte le
superfici (anche quelle rivolte verso il calcestruzzo) dei ferri che
dovranno essere esposti dalle demolizioni delle circostanti zone
ammalorate.
A tal proposito Volteco propone Sanofer, rivestimento a base di
polimeri in dispersione acquosa, leganti cementizi ed additivi specifici
per la protezione dei ferri di armatura che abbiano già subito
fenomeni di aggressione chimica.
Sanofer si impiega per la passivazione delle barre di acciaio scoperte
nei calcestruzzi ammalorati di ogni tipo di struttura in cemento armato
prima del riporto in sagoma con malte Volteco.
Ovviamente, laddove le strutture interessate dall’intervento lo
richiedano, potrebbe rendersi necessario prevedere un’ integrazione
delle armature da individuarsi mediante apposita progettazione
strutturale. Successivamente si potrà procedere alle fasi di ripristino
del calcestruzzo per le quali sarà opportuno adottare tecnologie
diverse in funzione dello spessore da riportare e del tipo di riporto da
_
ottenere (strutturale o corticale). Le zone seriamente intaccate
dovranno essere ripristinate con la malta Volteco Fibromix 40, malta
premiscelata tixotropica e fibrorinforzata a medio modulo di elasticità
da impiegare nella riparazione e rinforzo di strutture che non possono
essere
casserate
e/o ove
siano
richieste buone
resistenze
meccaniche.
La malta sarà applicata a cazzuola in strati dello spessore massimo
di 5 cm oppure con intonacatrice fino a 3 cm.
Per spessori superiori, tra l’esecuzione di uno strato e l’altro,
occorrerà attendere almeno 60 minuti.
Peculiarità di Fibromix 40 sono un’elevata impermeabilità all’acqua,
buona resistenza agli aggressivi chimici atmosferici e ai cicli di gelo e
disgelo, un’ottima tixotropia (che consente l’applicazione senza
necessità di casseratura), un’elevata adesione al calcestruzzo ed ai
ferri d’armatura, un’ottima lavorabilità ed una buona finitura
superficiale, la colorazione chiara, la possibilità di applicazione a
cazzuola fino a 5 cm per strato ed una consistenza tale da consentire
eventualmente anche l’applicazione a spruzzo.
Per ripristini corticali delle strutture Volteco ha realizzato la malta a
basso modulo di elasticità Flexomix 30, idonea per i ripristini estetici o
per il rifacimento di copriferri deteriorati, da applicarsi a cazzuola o a
spatola in strati dello spessore massimo di 2 cm alla volta, dati con
intervalli di almeno 60'. Questa potrà essere applicata in tutte le
strutture snelle soggette a deformazione che non abbiano funzioni
_
portanti nella struttura (es. frontalini dei balconi, spigoli, ecc..).
Flexomix 30 presenta un’elevata impermeabilità all’acqua, una buona
resistenza agli aggressivi chimici atmosferici e ai cicli di gelo e
disgelo, un’ottima tixotropia, assenza di fessurazioni da ritiro, una
elevata adesione al calcestruzzo ed ai ferri d’armatura, la possibilità
di applicazione da 3 a 20 mm in un’unica mano, un basso modulo di
elasticità e consente una buona finitura superficiale ottenibile grazie
alla granulometria fine.
Laddove si ravviserà di dover provvedere a reintegrazioni strutturali
mediante l’esecuzione di getti casserati queste potranno essere
realizzate mediante utilizzo della malta premiscelata cementizia
colabile a ritiro compensato Flowmix 70, applicata secondo le
modalità descritte in scheda tecnica, aggiungendo ghiaietto asciutto e
pulito di granulometria opportuna (4÷8 mm), fino al 30% in peso.
Una volta terminate le operazioni di ripristino con la completa
maturazione delle malte applicate sui volumi interessati sarà, per
quanto sopra detto, opportuno considerare l’applicazione di un
idoneo sistema protettivo che ricopra ed impermeabilizzi la struttura
al fine di garantire la durabilità dell’intervento. L’applicazione del
rivestimento protettivo a ciclo di risanamento terminato dovrà creare
un’efficace protezione delle strutture impedendo l’assorbimento degli
agenti aggressivi ambientali e ritardando anche i fenomeni di
corrosione
delle
armature
(effetto
anticarbonatazione),
impermeabilizzare le strutture evitando l’ingresso dell’acqua e di
_
conseguenza anche i danni dovuti ai cicli gelo/disgelo, realizzare
un’efficace barriera ai raggi ultravioletti ed infine avere la capacità di
sigillare le microfessurazioni postume del calcestruzzo (Crack
Bridging Ability); il rivestimento dovrà quindi essere impermeabile,
protettivo ed elastico, in accordo a quanto riportato nella UNI EN
1504-2 “Sistemi di protezione della superficie di calcestruzzo”.
Senza ripetere quanto già esposto dall’Ing. Brambilla relativamente
agli aspetti tecnologici e normativi riguardanti i sistemi per la
protezione
del
calcestruzzo
procediamo
quindi
ad
illustrare
l’applicazione dell’apposito rivestimento elastico CP2 (Cutis Protector
2), bicomponente, studiato ed impiegato per la protezione superficiale
di strutture in cemento armato in grado di ritardare i fenomeni di
corrosione delle armature.
CP2 è un rasante minerale impermeabile, elastico, traspirante,
bicomponente, a base cementizia, di colore grigio.
L’applicazione di CP2 dovrà effettuarsi in doppia mano per uno
spessore totale di circa 2 mm, seguendo le indicazioni riportate nella
relativa scheda tecnica.
Il bassissimo modulo di elasticità di questo materiale permetterà una
sua elevata deformabilità e quindi capacità di assecondare i normali
comportamenti della struttura. Eventuali fessurazioni future potranno
essere assorbite dal suo allungamento, mentre il minimo valore del
suo coefficiente di permeabilità all’acqua consentirà di ottenere anche
l’impermeabilizzazione delle superfici trattate.
In presenza di fessurazioni evidenti sarà necessario applicare, come
fascia di rinforzo, l'apposita rete flessibile in polipropilene Flexonet,
annegandola in uno strato di CP2 che fungerà da prima mano.
Vantaggi di CP2, come sopra descritto, sono una ottima flessibilità
anche a basse temperature (-15°C) e un’ottima impermeabilità
all’acqua piovana ed ai sali in essa generalmente disciolti. CP2
presenta un’efficace capacità di protezione nei confronti dei normali
agenti aggressivi presenti in atmosfera (anidride carbonica, anidride
solforosa, sali solfatici, aerosol marino, sali decongelanti, ecc) e
quindi aumenta la vita utile della struttura, contribuendo a ridurre, nel
contempo, i costi di manutenzione.
CP2 ha inoltre una buona
resistenza ai cicli gelo\disgelo, buona traspirabilità al vapor d’acqua
ed una buona resistenza ai raggi UV. L’adesione di CP2 su supporti
cementizi e su molti altri materiali da costruzione risulta essere
ottima. Dal punto di vista estetico si potrà completare la seconda
mano di Cutis Protector 2 finendola con fratazzatura a fresco per
ottenere una piacevole finitura a civile, oppure lavorandola con
fratazzi metallici o in plastica per lisciarne la superficie. Una misura
del livello di protezione offerto da CP2 è fornito dalla sua
certificazione (rilasciata da ente terzo) come barriera alla CO2; CP2
presenta valori di massimo rispetto: 335 m di SD rispetto ai 50 di
minimo richiesti dalla EN 1062-1. Il completamento del sistema potrà
avvenire con l’applicazione dell’apposita vernice di finitura Paint
Protection, idonea per caratteristiche chimiche e meccaniche ad
ad essere applicata su CP2.
Ovviamente, per quanto detto all’inizio di questo incontro, CP2 trova
applicazione anche nelle nuove costruzioni, contribuendo ad
aumentare la durabilità delle stesse, come richiesto dalla normativa
vigente, in virtù delle sue eccezionali proprietà di protettivo per il
calcestruzzo.
Laddove ci si troverà nella necessità di realizzare la protezione (e
finitura estetica) di facciate intonacate (tamponature e stratigrafie
murarie complesse comprendenti al loro interno anche strati isolanti)
si utilizzerà invece il sistema CP1 (Cutis Protector 1), rasante
protettivo di nuova generazione adatto ad essere utilizzato per
l’appunto su facciate intonacate di vecchie e nuove edificazioni.
CP1, come precedentemente illustrato dall’Ing. Brambilla, coniuga e
fa collaborare tre prestazioni fondamentali:
-
impermeabilità
all’acqua
ed
all’umidità,
per
proteggere dal degrado le murature di supporto;
-
elasticità (Crack Bridging Ability), per coprire le
cavillature e le fessurazioni dell’intonaco di supporto;
-
traspirabilità
dall’interno
verso
l’esterno
per
prevenire la formazione di muffe e distacchi del
coating dal supporto.
L’applicazione di CP1 verrà realizzata in doppia mano, seguendo le
indicazioni riportate nella relativa scheda tecnica, per uno spessore
finale di circa 2 mm, avvalendosi, dove necessario, dell’apposita rete
Flexonet.
Per la riparazione di quelle parti di intonaco ammalorato, che
dovranno essere asportate e ripristinate prima dell’applicazione di
CP1, si dovrà utilizzare l’apposita malta Fibromix 41, idonea per il
ripristino di intonaci cementizi.
CP1 si presenta peraltro di colore bianco ed una lavorazione a
frattazzo potrà consentire una finitura dello stesso paragonabile ad
un normale rasante civile, risultando quindi esteticamente gradevole
anche senza verniciatura. Qualora si volesse procedere alla sua
verniciatura questa potrà essere effettuata con Paint Air, pittura a
base di una emulsione acquosa acril-silossanica in grado di
________
assecondare e non alterare le caratteristiche del rasante.
Quanto sopra descritto evidenzia quindi come Volteco si ponga
all’avanguardia dal punto di vista tecnologico e normativo nel settore
della manutenzione edilizia e del recupero del cemento armato; la
Committenza, il Progettista, il Direttore Lavori e l’Impresa potranno
verificare come la marcatura CE, rilasciata da ente terzo, sia
presente sulle schede tecniche non solo di quelle tecnologie per le
quali risulta obbligatoria, ma anche per quelle che ad oggi non ne
necessitano, come nel caso del CP1.
Innovazione tecnologica e garanzia di qualità sono infatti, secondo
quanto riportato nel Sistema di Gestione Aziendale Integrato (ISO
9001 - OHSAS 18001- ISO 14001), le caratteristiche che sin dal 1976
hanno contraddistinto e contraddistinguono Volteco ed i suoi Sistemi
Tecnologici.
Interventi sotto quota di recupero e manutenzione delle
strutture in c.a. e non
Geom. Claudio Tripelli Servizio Tecnico Volteco Spa
#
Degrado delle strutture
Nell’ambito del recupero e manutenzione delle strutture interrate in c.a e non,
l’approccio di Volteco è di tipo sistemico grazie alla possibilità di interazione
tra una serie di prodotti quali cementi (Plastivi, Bi mortar, Calibro), bentoniti
(Volgrip, VP1, VP1F), giunti (WT102, Adeka KM, P201) e accessori (Primer,
Bentoseal, SS100). Le strutture su cui si può intervenire sono in c.a., in
muratura di qualsiasi tipo e anche mista (c.a./muratura), creando, all’interno
delle stesse, una vera e propria rifodera impermeabile sia all’acqua che
all’umidità/percolamenti presenti nell’interrato stesso. Il sistema, quindi, si
adatta perfettamente a qualsiasi tipo di situazione in cantiere. Sarà cura del
progettista interagire con il Servizio Tecnico Volteco per studiare la soluzione
che meglio si sposi con il recupero di un qual si voglia struttura interrata.
Tipi d’intervento:
Struttura
Struttura in c.a.: possibilità di una
(orizzontale/verticale),
Struttura in c.a.: possibilità di una
solo in orizzontale
Struttura in muratura: possibilità di
c.a. (orizzontale/verticale)
Struttura in muratura: possibilità di
c.a. solo in orizzontale
in
c.a.:
possibilità
di
una
controstruttura in c.a.
controstruttura in c.a.
una controstruttura in
una controstruttura in
controstruttura
in
c.a.
(orizzontale/verticale)
Sull’orizzontale si può scegliere se utilizzare la membrana bentonitica
(Volgrip) o il pannello bentonitico (VP1 o VP1F) sfruttando la
capacità, in ambo i casi, dell’espansione e l’autosigillatura della
bentonite di sodio naturale in essi contenuta, tale caratteristica è
fondamentale
perché
impermeabile,
cosa
permette
non
usuale
anche
di
con
più
i
forare
il
comuni
manto
sistemi
d’impermeabilizzazione, tale caratteristica può permettere allo
strutturista di utilizzare dei connettori da inserire nella vecchia
struttura così da poterci legare l’armatura della nuova platea e così
da minimizzare al massimo gli spessori garantendo comunque la
capacità, della nuova struttura, di resistere alla spinta idraulica
dell’acqua. La membrana bentonitica è consigliata nel caso in cui la
platea esistente presenta notevoli venute d’acqua e un cls decisamente
scabro e ammalorato, così da poter sfruttare le seguenti caratteristiche:
la facilità di posa della membrana, si srotola velocemente sul piano
vengono inglobate, dopo i getti , nel calcestruzzo della nuova platea,
così garantendo un’eccezionale adesione meccanica di tutti gli strati
che compongono il prodotto alla struttura, quindi sfruttando
l’estrusione del gel bentonitico si garantisce la saldatura dei sormonti,
la sigillatura di eventuali corpi passanti, nidi di ghiaia e fessurazioni
postume ed infine evita la migrazione dell’acqua tra il Volgrip e il
calcestruzzo. Il pannello bentonitico, invece, viene consigliato
laddove la platea si presenta, in fase di cantiere, asciutta e in buono
stato, così da poter sfruttare alcune sue caratteristiche peculiari come
la facilità di posa (l’attenzione dovrà essere posta nel rispettare le
linee di sormonto), le dimensioni (1,22x1,22cm) decisamente ridotte e
il
peso
(8,09kg);
tutto
questo
ovviamente
ne
facilita
la
movimentazione.
facendo attenzione a rispettare le linee di sormonto tra un telo e
L’applicazione
l’altro; l’abbinamento dei due tessuti, assemblati meccanicamente
utilizzando le apposite rondelle anti sfondamento (FIX), sfruttando la
con un sistema di agugliatura, uno tessuto non tessuto inferiore il
capacità della bentonite di sodio naturale di autoripararsi; il pannello
quale conferisce un autoconfinamento della bentonite stessa e l’altro
è fatto di cartone kraft biodegradabile (VP1) oppure con
tessuto poroso superiore, che permette alla bentonite, dopo essersi
riciclata a veloce degrado (VP1F), così, quando il cartone viene a
autoagganciato al cls e dopo che la stessa si sia idratata, di
contatto con la sola umidità, questo, si deteriora permettendo al gel di
fuoriuscire verso la nuova struttura garantendo l’impermeabilità della
aderire tenacemente al cls impermeabilizzandolo uniformemente e
stessa; la capacità dei due tessuti di contenere la bentonite, anche se
garantendo la saldatura dei sormonti.
idratata, per il tempo necessario per approntare la nuova armatura e
Nel caso in cui la nuova platea sia attraversata da corpi passanti
fare il getto di calcestruzzo della nuova platea; la capacità di
(pilastri, tubi, pozzetti ecc.) si consiglia l’utilizzo degli accessori
autoaggancio del telo che viene garantita dalle fibre del TNT poroso
(WT102, P201, Bentoseal e SS 100), nel caso di riprese di getto si
esterno che fuoriescono appositamente dal tessuto inferiore le quali
utilizza
il
viene
WT
fatta
102
attraverso
e,
infine,
la
semplice
nel
caso
chiodatura
di
carta
giunti
di movimento o giunzioni con rampe, l’utilizzo della guarnizione
idrofila Adeka KM. In verticale, Volteco propone sempre l’utilizzo del
pannello bentonitico, portando l’impermeabilizzazione fino al piano
campagna,
avendo
cura
di
creare
la
continuità
tra
l’impermeabilizzazione orizzontale e verticale allo scopo di realizzare,
una
volta
gettate
le
contro
strutture,
una
vasca
continua
perfettamente stagna; nel caso in cui l’impermeabilizzazione sia con
i pannelli VP1 o VP1F basterà risvoltare gli stessi in verticale sempre
al di sopra dell’altezza della platea per almeno 20 cm così da poter
realizzare suddetta continuità con l’impermeabilizzazione verticale.
Gettata la nuova platea si potrà così procedere ad armare le pareti
verticali avendo cura di presidiare le riprese di getto perimetrali
(orizzontale/verticale) utilizzando il waterstop bentonitico WT 102 e
tutti gli eventuali corpi passanti attraverso l’impermeabilizzazione o
attraverso la struttura con gli accessori (WT102, P201, Bentoseal e
SS 100). Quindi si potrà procedere al getto delle pareti perimetrali
così per completare la controstruttura.
Struttura in c.a.: possibilità di una controstruttura in c.a. solo in
orizzontale:
Fermo
restando
che
la
soluzione
orizzontale
è
la
stessa
precedentemente esposta, quindi utilizzo del Volgrip, del VP1 o
VP1F, in verticale, non potendo fare controstrutture in c.a., si potrà
utilizzare
un
rivestimento
impermeabile
ad
elevata
elasticità
composto da inerti, leganti cementizi e polimeri acrilici che, dopo la
miscelazione, consentirà la realizzazione di una guaina cementizia
continua ed impermeabile idonea per applicazioni in spinta idrostatica
negativa come il Plastivo 250; prima dell’applicazione si dovrà
verificare l’idoneità delle strutture ai carichi idrostatici, pulire il
supporto da ogni presenza di disarmante o grasso e rimuovere le
parti incoerenti (incrostazioni), ripristinare il supporto, dove necessita,
con idonea malta Volteco, sigillare con mastice P201 le eventuali
fessurazioni marcate e corpi passanti, rimuovere i distanziatori
stuccando poi con malta rapida Spidy 15, nel caso di venute d’acqua
localizzate effettuare la sigillatura con malta idraulica a presa rapida
Tap3. Nel caso di superfici vecchie e polverose, di supporti
parzialmente imbibiti d’acqua, applicare il primer Profix 30 prima
dell’applicazione della guaina cementizia elastica. Il Plastivo 250
dovrà essere applicato su tutta la superficie verticale, almeno fino al
piano di campagna e su tutti i pilastri presenti nella struttura; dovrà
essere posato anche in orizzontale, sulla vecchia platea, per almeno
50/100 cm. lungo il perimetro della struttura e intorno ai pilastri che
attraversano la vecchia e nuova platea così da poter creare una
continuità
con
l’impermeabilizzazione
orizzontale.
Particolare
attenzione si dovrà dare proprio alla ripresa di getto tra orizzontale e
verticale. Nel caso in cui il manto impermeabile in orizzontale sia il
Volgrip sarà opportuna che questo sia immorsato tra due pezzi di
pannelli bentonitici il tutto posizionato sul Plastivo 250
precedentemente applicato. Quindi, in base alla dimensione in
spessore della nuova platea, si utilizzerà nell’angolo, lungo tutto
perimetro o dove ci siano corpi passanti (pilastri, pozzetti, tubazioni
ecc.),
o il waterstop bentonitico WT102 oppure il mastice
idroespansivo P201.
Struttura in muratura: risanamento murature interessate da risalita
capillare e salinità diffusa.
Innanzitutto una breve premessa: nel caso di strutture interrate
interessate
da
umidità
di
risalita
si
dovrà
provvedere
alla
deumidificazione con il sistema Calibro Plus Evaporation, sistema
specificatamente formulato per realizzare intonaci antiumidità,
antisale ed anticondensa. Il sistema è composto da un rinzaffo in
grado di garantire l’adesione sulla muratura anche in presenza di
forte salinità e da un intonaco che, attraverso una struttura porosa,
altamente traspirante consente alla muratura di raggiungere
l’equilibrio tra la quantità d’acqua presente a causa del fenomeno
della risalita capillare e la quantità d’acqua che viene smaltita per
evaporazione. Il sistema si completa con un rasante di finitura a base
di calce aerea e leganti idraulici.
Struttura in muratura: possibilità di una controstruttura in c.a.
(orizzontale/verticale)
Nel caso che l’interrato sia interessato da permeazione d’acqua di
falda o meteorica si potrà applicare il sistema bentonitico previa
regolarizzazione delle superfici nel caso di utilizzo del pannello
bentonitico (VP1 o VP1F), mentre risulterà sufficiente la planarità
generale con risarcimento dei vuoti maggiori se si utilizza il telo
bentonitico Volgrip.
Applicato il prodotto impermeabile, fino a superare il massimo livello
raggiungibile dall’acqua esterna a partire dal sottofondo presente su
cui realizzare la platea, si potrà procedere al getto della
controstruttura in c.a. (come precedentemente spiegato), avendo
cura di utilizzare il cordolo bentonitico WT 102 o il mastice
idroespansivo P201 per riprese di getto ed eventuali corpi passanti.
Struttura in muratura: possibilità di una controstruttura in c.a. solo in
orizzontale
Per l’impermeabilizzazione di strutture in muratura, sia che siano
interessate da permeazione d’acqua di falda sia soggette alla sola
acqua meteorica, Volteco propone la seguente soluzione; in verticale
trattamento impermeabilizzante che presuppone la formazione di un
intonaco strutturale impermeabile agganciato alla muratura stessa.
Per ottenere una idonea interconnessione tra intonaco e muratura si
deve predisporre una rete d’armatura inox o zincata tassellata alla
parete e posizionata ad una distanza di circa 1/2 cm dal muro.
L’intonaco impermeabile viene realizzato utilizzando il Bi Mortar
opportunamente applicato sulla superficie della muratura, avendo
cura di inglobare completamente la rete tassellata precedentemente
applicata.
Gli spessori idonei del trattamento sono di circa 3/4 cm, a cui si deve
aggiungere lo spessore necessario alla regolarizzazione superficiale
della parete, sull’orizzontale si procederà come al punto precedente
utilizzando in alternativa i pannelli bentonitici VP1 o VP1F oppure la
membrana bentonitica
Volgrip, in entrambi i casi la superficie
orizzontale dovrà essere trattata sino al contatto continuativo con
l’intonaco
Bi
Mortar
precedentemente
applicato.
Realizzata
l’impermeabilizzazione in modo continuo e completo (inclusi risvolti
su scale o rampe) si procederà alla posa del waterstop bentonitico
WT 102, a sigillo del
passaggio tra l’impermeabilizzazione
orizzontale con quella verticale.
Approccio al ripristino delle murature
ed innovazione tecnologica
Ing. Fabrizio Brambilla
#
Analisi dello stato di fatto ed approccio al consolidamento di murature
Da alcuni cenni sulle metodologie del costruito in ambito di murature storiche,
si passa ad analizzare l’approccio conoscitivo e diagnostico per tratteggiare i
principali sistemi di intervento di ripristino e consolidamento.
La riaggregazione muraria con iniezione di malte fluide compatibili quale base
tecnologica per il ripristino massivo della muratura: innovazione tecnologica
dei materiali quale base fondante per una tecnologia nota ma spesso
vanificata per l’uso di materiali inidonei.
Nelle costruzioni in muratura, specie se di tipo misto, la grande
variabilità dei materiali presenti e la frequenza dei re-interventi
avvenuti nel passare degli anni, rende complessa l’analisi strutturale
e l’individuazione corretta di eventuali problematiche.
Passando dalle costruzioni in pietra e legante a quelle in mattoni si
ottiene una maggiore continuità dell’apparecchiatura muraria con una
sorta di industrializzazione del processo grazie anche alla cosiddetta
“pietra artificiale” ovvero al laterizio.
La maggior regolarità del mattone consente una migliore congruenza
del costruito e permette anche la realizzazione di paramenti a vista
regolari e di estetica anche pregevole.
Sfruttando questo aspetto e volendo contenere i costi ed i tempi di
costruzione si arrivò negli anni a realizzare il cosiddetto “muro a
sacco”
utilizzando
sostanzialmente
due
paramenti
esterni,
normalmente in mattoni, quali “casseri a perdere” per i successivi
riempimenti di materiale sfuso.
Il riempimento tipico era formato da malta di allettamento in cui
venivano annegati inerti di varia natura e provenienza quali cocci e
mattoni rotti, pietrame etc. … a creare un conglomerato in opera
estremamente variabile da punto a punto della muratura.
Lo stesso legante risulta frequentemente composto non solo da calce
ma anche da argille, gesso e altro materiale con comportamento
plastico in fase di miscelazione, utile a comporre e riempire la
muratura in modo semplice e veloce.
I frequenti rimaneggiamenti della struttura con inserimento di
materiali differenti e il conseguente cambiamento dei carichi in gioco
e della loro ripartizione complica ulteriormente il quadro generale.
Fondazioni spesso di entità poco rilevante si trovano a sopportare
carichi differenti e a trasmettere al terreno sollecitazioni che inducono
assestamenti e cedimenti in tutta la struttura a partire dal terreno
stesso.
Frequentemente le fondazioni erano realizzate come semplici ribassi
delle murature perimetrali, tolto il primo terreno di coltura, e con
allargamenti della sezione corrente ad aumentare la superficie di
appoggio sul terreno.
Il terreno sotto le fondazioni veniva addizionato solo talvolta di ghiaia
o pietrame per migliorarne le qualità meccaniche.
Nelle fortificazioni o nei monumenti si poneva maggiore cura
arrivando anche a creare pi lastrature o murature di prolungamento
nel terreno a profondità che poi venivano reinterrate e compattate,
ma nel restante panorama del costruito tali accorgimenti sono
praticamente assenti.
Per diminuire i carichi in gioco e chiudere grosse superfici si è
impiegato nei secoli anche il legno sottoforma di travi, travetti a
capriate, sfruttandone le doti di flessibilità e resistenza a trazione.
La sua commistione con le murature massive tipicamente resistenti a
compressione e taglio, ha reso possibile costruzioni più ampie e con
meno murature portanti.
Le differenze comportamentali tra legno e murature non si fermano
agli aspetti meccanico-strutturali ma comportano anche diverse
sensibilità chimico-fisiche.
Oltre a ovvie diversità nella rigidezza dei materiali, la presenza di
umidità e di aggressione chimica e batterica crea un contesto di
degrado differenziato dei componenti lignei rispetto alla restante
parte della muratura, con esigenze di analisi specifiche ed altrettante
specifiche tipologie di intervento conservativo e di ripristino.
In architetture povere ed in assenza di controventature i “fuori
piombo” sono frequenti e spesso risultano ripresi e corretti con
accorgimenti volti alla fruizione dell’edificio e non al ripristino del
funzionamento statico nel suo complesso.
Oltre al legno anche i mattoni presentano varie forme di degrado
legato a umidità e gelività, cedimenti meccanici, scarsa durezza e
facilità di asportazione degli strati superficiali anche solo a causa di
vento ed animali (tipicamente uccelli…).
Spesso si configurano differenze di durabilità anche tra mattoni e
leganti con gli uni o gli altri che esplicano maggiore resistenza al
passare del tempo e del degrado.
La calce idraulica resiste meglio di altre malte, anche cementizie, alle
aggressioni saline dovute all’umidità tipica di queste murature.
Un’analisi dello stato di fatto non può prescindere dalla valutazione di
tutti questi fattori diversificati per poter considerare lo stato
dell’apparecchiatura muraria quale organismo complesso.
L’aggressione chimica dovuta a solfati e cloruri induce la formazione
di ettringite e thaumasite nei leganti cementizi con forte aumento di
volume e disgregazione della malta o dell’intonaco.
Presenza di nitrati e ammine creano, insieme a muffe e batteri, altre
condizioni di degrado anche in murature in pietre miste proprio a
causa della presenza di malte di allettamento ed intonaci
normalmente molto sensibili e reattivi verso tutte queste sostanze.
Il riuso edilizio di vecchie stalle o casolari che hanno visto presenza
di animali o la semplice povertà del costruito a partire dai materiali
costituenti, comporta normalmente una serie di cause di degrado
intrinseche alla muratura stessa.
Qualsiasi intervento deve necessariamente considerare questi aspetti
e valutarne gli impatti sui materiali che si intendono utilizzare.
Molte sono le diagnostiche proposte nel settore anche se quelle più
ovvie come carotaggi ed analisi termo igrometriche spesso lasciano
adito a difficili interpretazioni.
I carotaggi di una muratura mista risultano spesso un semplice
“macinato” di differenti materiali a causa della loro diversa durezza e
resistenza all’azione del carotiere.
Le analisi termografiche non possono invece prescindere dall’analisi
igrometrica ad evitare false interpretazioni indotte non da cavità o
disuniformità ma da umidità di risalita o di ristagno nella muratura
stessa; trattandosi così spesso di una vera e propria campagna
diagnostica articolata.
I migliori risultati si ottengono con misurazioni meccaniche in sito a
mezzo di martinetti piatti, che riproducono nel muro una sorta di
pressa idonea a valutarne la resistenza a compressione.
Dopo opportuna tracciatura di riferimenti puntuali si procede a
realizzare le feritoie per l’inserimento dei martinetti sfruttando le fughe
tra pietre e mattoni opportunamente asportate con mezzi meccanici.
Ad inserimento delle doppie lamine componenti i martinetti si procede
con la messa in pressione degli stessi tramite un circuito
oleodinamico arrivando a generare pressioni controllate sulla
muratura.
Dopo aver misurato lo stato di carico della muratura stessa si può
arrivare anche a verificarne la resistenza in esercizio ed a rottura su
campioni indisturbati, quindi significativi, del muro.
Un altro sistema estremamente versatile è quello delle analisi
soniche che, attraverso la sollecitazione meccanica di un martello
strumentato,
generano
un’onda
di
propagazione
nel
muro
misurandone tempi ed energie di attraversamento.
Misurati i tempi tramite gli accelerometri e conoscendone le distanze
per le misurazioni effettuate, si ricavano agevolmente le velocità di
propagazione nel solido potendo confrontarsi poi con vari studi di
settore per valutare la resistenza meccanica, eventualmente tarando
le curve tramite qualche analisi ai martinetti piatti.
L’impiego di analisi ultrasoniche non è applicabile su murature miste
a causa dell’estremo abbattimento di tali segnali.
Pur disponendo di alcune diagnostiche ottimali, come appena
delineato, la difficoltà primaria risiede nella estrema variabilità del
costruito, che potrebbe portare a basare il progetto di intervento su
parametri validi solamente per qualche porzione della muratura.
La diagnostica principale ed ineluttabile risulta quindi l’analisi del
quadro fessurativo, che consente di interpretare assestamenti e
cedimenti con conseguente possibilità di finalizzare le misurazioni
diagnostiche puntuali nelle porzioni murarie di maggior interesse.
L’analisi
della
varianza
dei
materiali
utilizzati
impone
di
parametrizzare tipologie diverse di murature che poi andranno
mappate grazie a rilievo generalizzato, ottenendo così modelli
tipologici utili alla definizione degli interventi, diversificati zona per
zona.
Queste “letture” “dell’apparecchiatura muraria “ sono assolutamente
necessarie anche per la definizione di interventi fondazionali e di
tirantatura dei componenti l’edificio, per garantirne la staticità.
In questi casi non si deve cercare di riportare a zero i cedimenti
avvenuti, in quanto si genererebbero ulteriori stati tensionali e
cedimenti in altre porzioni dell’edificato.
Si deve altresì cercare di bloccare i fenomeni per come si sono
rilevati, rimuovendo peraltro le cause originali affinché non si
inducano nuove sollecitazioni.
Naturalmente tutti questi aspetti devono porsi all’attenzione del
progettista in forma preventiva alle decisioni progettuali di intervento.
Partendo dalle fondazioni il tipico intervento che si può realizzare in
casi di cedimenti o insufficienze fondazionali è quello dei micropali o
pali radice.
In buona sostanza si prolunga la fondazione ad intercettare uno
strato di terreno ad idonea portanza e, quindi, si devono fare
prospezioni ed analisi geotecniche per mappare la stratigrafia del
terreno sottostante per progettare l’intervento.
Quello che spesso si vede come approccio è l’inserimento di
micropali inclinati nella fondazione esistente utilizzata quale base di
ripartizione carichi.
Questo sistema può essere pericoloso se la muratura originaria non è
in grado di sopportare questi nuovi carichi puntuali molto alti e,
soprattutto, se la lunghezza dei micropali non è sufficiente ad
intercettare uno strato di terreno estremamente stabile.
In questo caso infatti si inducono sforzi rilevanti per piccoli
assestamenti: una sorta di “leva” all’interno del muro.
Meglio utilizzare i micropali verticalmente con cordoli di rinforzo e
collegamento alla muratura originaria a formare una vera fondazione
continua in acciaio e cemento armato: una struttura a telaio.
Le sottomurazioni sono poi un altro sistema canonico per realizzare
abbassamenti fondazionali, soprattutto in caso di debba realizzare
ambiti interrati in edifici che non li prevedevano in origine.
In questo caso devono comunque prevedersi interventi preventivi di
aggregazione muraria per le strutture originarie ad evitare cedimenti.
Un fenomeno tipico nelle murature storiche è quello della formazione
di giunti naturali e fessurazioni, anche di scorrimento, sia a causa di
cedimenti ed assestamenti fondazionali che per spinte di solai e volte
sui muri verticali.
Il sistema classico per risolvere queste problematiche è quello di
inserire tiranti metallici a “cucire” le porzioni di muratura da
mantenere in posizione.
Premesso quanto già evidenziato per gli interventi fondazionali, in
quanto devono rimuoversi tali cause prima di tirantare le murature, si
deve anche precisare che le “cuciture” individuano tensioni puntuali
anche molto forti che devono trovare adeguate soluzioni di diffusione
e scarico.
Analogamente l’impiego di fibre speciali (carbonio o simili) possono
agevolare l’azione di chiusura e tirantatura della struttura, a patto di
individuare un idoneo sistema di fissaggio sia come tipologia di
interfaccia che come posizione.
Non è infatti sufficiente incollare una fibra che resiste tonnellate di
trazione su un mattone vecchio per ottenere il meccanismo
desiderato, in quanto si otterrebbe semplicemente il cedimento del
supporto con delaminazione del laterizio e distacco del “cerotto”
tecnologico.
Devono inoltre individuarsi zone della struttura in cui trasformare
l’azione di trazione della fibra in compressione nel piano della
muratura (es. “arco armato” – Politecnico Milano).
Storicamente staffe e piastre sono state utilizzate per distribuire i
carichi sulle superfici esterne di murature in mattoni e pietre.
In presenza di rivestimenti lapidei o di modanature in pietra si
possono utilizzare tali elementi costruttivi per ripartire le varie
tonnellate di carico del tirante su una porzione di muratura il più vasta
possibile.
Questa attenzione è basilare considerando che queste murature
sono in grado di resistere molto bene a carichi di compressione ma
reagiscono poco e male a sollecitazioni di trazione o taglio.
In questo senso la congruenza “dell’apparecchiatura muraria” è
essenziale al funzionamento finale di ogni intervento di tirantatura.
Il funzionamento massivo della muratura risulta quindi letteralmente
basilare per ogni altro intervento.
Tale funzionamento si ottiene ripristinando la muratura sia tramite
operazioni di scuci-cuci (sostituzione/integrazione di mattoni e pietre)
che tramite iniezioni di riaggregazione allo scopo di intasare ogni
fessurazione e distacco con malte leganti idonee a garantirne
continuità statica.
La difficoltà di raggiungere fessure piccole a profondità notevoli in
murature eterogenee ha portato spesso a misconoscere tale
tecnologia, che invece deve affrontarsi a partire dalla scelta di idonei
materiali fluidi e con assenza di bleeding, in grado di resistere ad
attacchi di Sali ed umidità tipicamente presenti nelle murature
storiche.
Il consolidamento delle murature, siano esse realizzate in pietrame,
mattoni o miste, può realizzarsi tramite iniezioni di leganti
appositamente studiati per penetrare a fondo in ogni fessurazione e
cavillo lasciato pervio da assestamenti e degrado, per ottenere
nuovamente una struttura integra che possa resistere in modo
massivo ai carichi ad essa demandati.
Volteco, già dagli anni ’80, ha messo a punto leganti idraulici
superfluidi in grado di penetrare a fondo in minime fessurazioni e
porosità efficaci, arrivando a ripristinare i legami interni della muratura
stessa, rimettendola “a nuovo”, talvolta anche migliorandola.
La linea Microlime identifica proprio questi leganti a base di calci
idrauliche in grado di riaggregare le murature riconnettendone i
singoli componenti.
Il Microlime Novecento è un legante idraulico iniettabile con estrema
fluidità ed a bassa pressione o addirittura per caduta in caso di
riaggregazione di intonaci o cavità pervie.
L’estrema ritenzione idrica dei leganti Microlime garantisce la
completa assenza di bleeding in fase di infiltrazione nella muratura,
evitando il ben noto problema di suzione da parte di materiali a forte
igroscopicità quali i laterizi o leganti non completamente combinati.
Analogamente anche il Microlime Gel beneficia di questa particolare
formulazione che ne garantisce stabilità e forte penetrazione, senza
variazioni di composizione, con l’ovvio risultato di ottenere un
materiale che attraversa la muratura senza risentirne.
Al fine di ottenere dimostrazione scientifica di tale processo si sono
predisposte colonne di componenti tipici delle murature storiche onde
verificare il comportamento del materiale iniettato.
Soprattutto la presenza di laterizi ingenera una suzione su ogni
materiale limitrofo, incluse le malte iniettate nelle murature stesse.
La
perdita
di
acqua
cambia
sostanzialmente
il
rapporto
legante/inerti/acqua con ovvio aumento di viscosità e conseguente
aumento di pressione richiesto per l’avanzamento del materiale
iniettato.
Per questo motivo è importante evitare questo fenomeno endemico in
ogni malta, sia essa cementizia o a base calce, laddove questa
debba entrare in contatto con un insieme di materiali estremamente
eterogenei come tipicamente avviene nelle murature storiche,
specialmente in caso di murature “a sacco”.
In sostanza le prove di iniezione sono state svolte, già negli anni ’80,
verificando sia la fluidità dei materiali iniettati che la loro
composizione anche dopo l’attraversamento del cilindro iniettato.
Riscontrando la costanza del materiale anche dopo aver saturato la
colonna ed esserne fuoriuscito, e la viscosità sostanzialmente
inalterata,
si
è
potuto
procedere
con
l’affinamento
e
la
specializzazione delle malte da iniezione.
Tali malte devono infatti realizzare un conglomerato in sito,
utilizzando inerti e componenti presenti nella muratura, arrivando a
legarli tra loro in modo durevole.
Oltre all’estrema fluidità a bassa pressione, condizione necessaria a
permeare in modo fluido e continuativo la muratura evitando sfoghi
puntuali in presenza di cavità e crepe di maggiori dimensioni senza
poi “impregnare” la rete di capillari circostante; si è testata anche la
capacità aggregante del composto.
Estratta la “carota” artificiale così creata, si sono realizzati dei provini
sezionandola e sottoponendo il tutto a prove di compressione in
pressa idraulica.
In presenza di ghiaino o silice i risultati sono risultati paragonabili ad
un buon calcestruzzo romano, con costanza di qualità e ottima
distribuzione delle caratteristiche meccaniche nei provini medesimi.
Ovviamente gli inerti non sono sempre di caratteristiche meccaniche
ottimali e, spesso, anche la vecchia malta di allettamento,
frequentemente calce miscelata a terra argillosa o gesso, determina
una diminuzione marcata delle resistenze meccaniche finali.
Il concetto peraltro è di ottenere una completa congruenza tra i
singoli componenti la muratura sfruttandone le caratteristiche
meccaniche presenti e facendoli lavorare insieme, per quello che
possono fornire come risultati finali.
Miglioramenti statici si possono ottenere con operazioni di tirantatura,
aggiunte strutturali o sostituzioni di componenti murari laddove
questo si renda necessario e sia ammissibile dal punto di vista storico
ed
architettonico,
anche
nel
rispetto
Soprintendenza per i beni sottoposti a vincolo.
di
indicazioni
della
L’assenza di ritiro e la maturazione compatibile con i leganti a base
calce di tipo storico, comporta tipicamente una stabilità del
conglomerato
creatosi,
verificabile
anche
con
attente
analisi
materiche.
La totale assenza di reattività ai Sali comunemente presenti nelle
murature storiche evita inoltre la creazione dei ben noti Sali di
ettringite e thaumasite, fuorieri di disgregazione profonda nella
matrice dei leganti cementizi spesso usati in operazioni di ripristino.
La metodologia di iniezione si avvale di una tracciatura regolare
normalmente parametrizzata sul metro quadrato di superficie, con la
realizzazione di una prima serie di fori in cui avviene la iniezione della
prima fase di riaggregazione.
Naturalmente si procede dal basso verso l’alto sfruttando anche la
gravità per meglio intasare ogni porosità efficace.
Successivamente si procede con una maglia di fonometrie poste nei
baricentri dei precedenti quadrati disegnati dalle iniezioni, allo scopo
dichiarato di intasare per approssimazioni successive la murature,
stante il fatto che la muratura stessa a causa della sua variabilità, non
è
facilmente
prevedibile
come
reazione
alle
operazioni
di
intasamento.
Molto raramente, e per murature di spessore ragguardevole (oltre il
metro), si presenta talvolta la necessità di prevedere una terza serie
di iniezioni da gestire come le precedenti due, sempre sfruttando i
baricentri geometrici individuati dalle prime maglie.
I fori devono essere realizzati inclinati verso il basso per circa il 45%
e devono interessare almeno il 60% dello spessore per murature
massive.
Nel caso di murature a sacco la profondità di iniezione può anche
essere
percentualmente
inferiore,
sfruttando
la
consueta
disomogeneità materica e le conseguenti fessurazioni, spesso
interconnesse.
In ogni caso l’inclinazione è necessaria per intersecare il maggior
numero di letti di malta, frequente ambito in cui si verificano distacchi
e fessurazioni a casua della differenza materica e del conseguente
diverso comportamento meccanico, fisico e chimico.
Dopo aver effettuato i fori molta cura deve porsi nel rimuovere il
pulviscolo generato dall’azione di perforazione, aspirando il grosso
del materiale di risulta e lavando con getti d’acqua il resto a rifiuto.
Sia per queste operazioni che per quelle successive di iniezione,
risulta necessario disporre di intonaci su entrambe la facciate della
muratura
a
contenimento
dei
fluidi
iniettati
per
lavaggi
e
consolidamento.
Tali intonaci possono essere quelli esistenti o il primo strato di quelli
definitivi o un intonaco “di sacrificio” a basso tenore di legante per
asportarlo al meglio dalla muratura qualora debba restare “faccia a
vista”.
Le iniezioni devono procedere a bassa pressione per evitare rischi
agli operatori e riflussi indesiderati di malta.
A fronte di quanto enunciato un cantiere di iniezioni presenta una
serie di cannule, normalmente trasparenti per valutare eventuali reinterventi in caso di svuotamento, opportunamente fissate alla
muratura.
Una ulteriore possibilità è anche quella di rasare “a zero” le fughe
della muratura per evitare riflussi, senza dover effettuare alcun
intonaco aggiuntivo.
Ovviamente
questo
approccio
lascia
murature
esteticamente
discutibili in alcuni casi e con minor aggrappo per eventuali intonaci
effettuati in tempi successivi.
Anche i tiranti o le barre di miglioramento statico possono iniettarsi
con Microlime Volteco ottenendo una perfetta congruenza con la
muratura pre-esistente.
In tal caso non si avranno alte resistenze della barra per attrito
laterale ma si otterrà un comportamento più organico rispetto alle
performance tipiche delle murature storiche.
La tracciatura delle iniezioni può avvenire su intonaci pre-esistenti
così come su murature a vista, prediligendo in questi ultimi casi il foro
nel letto di malta di allettamento più vicino per salvaguardare l’aspetto
estetico finale in caso di “faccia a vista”.
In ogni caso non si devono effettuare tutti i fori di prima e seconda
fase ma procedere in due step successivi per ottenere il massimo del
rendimento dal punto di vista dell’intasamento, stante il fatto che si
lavora comunque “alla ceca” in un manufatto intrinsecamente ignoto.
Il segreto per ottenere una riaggregazione omogenea è quello di
agire con basse pressioni, lasciando il tempo alla malta per rifluire
nelle cavillature e fessure di minore entità.
Cercare di accelerare il processo genera tipicamente dei “tappi” in
zone a basso assorbimento e dei riflussi in cavedi o nel terreno negli
altri casi.
Appare evidente come il materiale da iniezione sia importantissimo
per poter perseguire tali metodologie, assolutamente inapplicabili con
normali boiacche, ancorchè fluide.
I macchinari migliori per mettere in opera con buoni rendimenti il
Microlime sono le comunissime intonacatrici a coclea, previa
miscelazione preventiva del materiale a piè d’opera.
Per l’iniezione delle fessurazioni si consiglia di realizzare fonometrie
inclinate sui due labbri della fessura in modo da intersecarne
l’andamento in profondità.
In caso di grosse cavità si può procedere anche con inghisaggio degli
iniettori direttamente nella crepa, sfruttando in questo caso le
capacità ricettive della lacuna muraria.
In caso di inghisaggio di barre d’armatura si consiglia l’uso di barre
inox o zincate a tutela della durabilità d’intervento in quanto, pur con
tutte le attenzioni del caso nel posizionamento della barra stessa,
possono innescarsi fenomeni elettrolitici per contatti differenziati con
la muratura a diversa composizione ed umidità, con evidenti e noti
effetti di degrado della barra medesima in tempi brevi.
Nelle murature miste ci si trova frequentemente nella necessità di
sostituire o integrare grosse porzioni di muratura con operazioni di
scuci-cuci.
Che si utilizzi materiali coevi (anastilosi) o che si impieghi materiali
moderni, l’operazione crea inevitabilmente dei vuoti a tergo degli
ultimi elementi posizionati, per una semplice ragione geometrica: per
poter inserire un elemento si deve avere un lasco nella muratura
superiore al suo volume.
Anche in questi casi la iniezione riaggregante, anche se eseguita su
interventi recenti o addirittura concomitanti, risulta necessaria ed
indispensabile affinché si arrivi a compimento con la messa in
contatto ed esercizio di tutti gli elementi inseriti.
Laddove si rilevi la presenza di murature in pietrame di grosse
dimensioni o si abbia un rivestimento lapideo superficiale, si può
realizzare anche una stilatura delle fughe con funzione di
contenimento delle iniezioni e finalità estetiche.
Anche la malta da utilizzarsi per tali operazioni deve avere
caratteristiche di bassa permeabilità e suzione capillare e buona
tixotropia e lavorabilità per una posa in opera ottimale.
Da ricordare infatti che in fase di stilatura si avranno frequenti e
diffusi vuoti a tergo della malta che non deve adagiarsi nella sede.
L’operazione può essere eseguita anche con macchinari appositi per
omogeneità estetica di fuga e per industrializzare al meglio il
processo dal punto di vista cantieristico.
Sviluppato per un contesto assolutamente speciale come il
consolidamento dei rii (canali) a Venezia, il Microlime Gel ha
presentato fin dall’inizio peculiarità interessanti per molteplici
impieghi.
Dovendo intervenire su fondazioni di edifici realizzati in ambito
lacustre, previo svuotamento del canale in questione ma con flussi
d’acqua a tergo e sotto l’edificio stesso, risultava necessario disporre
di un materiale fluido per la penetrazione nella muratura ma che non
si disperdesse a causa dei filetti d’acqua presenti nel terreno
limaccioso e nelle zone limitrofe.
Si è quindi sviluppato un materiale che, con basse pressioni, viene
pompato all’interno della muratura ma che al cessare dell’azione di
spinta della pompa si “gelifica”, senza andare in presa, ma
opponendo una viscosità idonea ad evitare qualsiasi riflusso.
Alla ripresa dell’azione di pompaggio nel giro di pochi minuti il
materiale ritorna fluido e continua a permeare la struttura.
Il Microlime Gel venne presentato nel 1998 durante un corso di
formazione tenuto dal Ministero ai Soprintendenti italiani presso il
Castello dell’Aquila, con annesso test reale di iniezione nella
muratura medesima.
Da allora risulta essere l’unico materiale con queste caratteristiche
presente sul mercato mondiale, con infinite applicazioni anche per
fondazioni e murature massive laddove si desideri intervenire in
modo “chirurgico” senza dispersioni.
Il seminario tenuto presso il Castello dell’Aquila non fù l’unico evento
realizzato da Volteco per la presentazione del Microlime Gel e si
realizzarono anche alcuni interventi su porzioni di edifici storicomonumentali che avevano denotato grosse problematiche di
cedimenti e fessurazioni.
Testimonianza autorevole di tali eventi si trova nel testo pubblicato
dal Ministero riguardante il patrimonio storico architettonico, anche in
relazione al terremoto.
Purtroppo duole rilevare come situazioni di recupero e ripristino per
sismi del passato abbiano trovato nuovo risalto a causa degli eventi
luttuosi e disastrosi patiti dalla città dell’Aquila nell’aprile 2009.
Restando in campo tecnico si è ottenuto peraltro un test
estremamente severo per i lavori fatti nel 1998 e che sono verificabili
tuttora proprio alla luce di questi nuovi eventi.
Nella Basilica di S.Maria di Collemaggio si intervenne nel 2000 sulla
navata sinistra (Porta Santa) che risultava pesantemente degradata,
con una serie di interventi di iniezioni di Microlime Volteco.
Dopo le nuove e recenti scosse telluriche si può rilevare come il
quadro fessurativo riguardi le altre porzioni dell’edificio ma senza
traccia nelle parti riaggregate con Microlime.
Ovviamente il merito del superamento del sisma è nella capacità dei
costruttori dell’epoca che ha però trovato nella “rimessa a nuovo” con
riaggregazione
dell’apparecchiatura
muraria,
la
possibilità
affrontare il nuovo sisma senza dover scontare eventi precedenti.
di
L’arte costruttiva messa in campo all’epoca dai mastri costruttori ha
generato una struttura evidentemente in grado di assorbire il sisma
occorso nel 2009.
Si può ipotizzare che la massa della muratura unita al suo
comportamento viscoso nel transitorio di sollecitazioni sussultorie ed
oscillatorie abbia fornito quelle componenti di smorzamento che
l’odierna tecnica delle costruzioni ci chiede per il miglioramento
statico di murature.
Senz’altro
non
dover
scontare
precedenti
disaggregazioni
e
cedimenti ha messo nelle condizioni ottimali la struttura per poter
affrontare con successo questa prova impegnativa.
Altro caso analogo per interventi fatti nel 2002 con Microlime e
successive prestazioni ottimali in termini di resistenza al sisma del
2009 è S. Silvestro a l’Aquila.
Il lato sinistro della navata, oggetto degli interventi del 2002, è
risultato indenne da successivi danneggiamenti nel 2009.
Probabilmente al suo interno si saranno create cavillature e
assestamenti ad assorbire le sollecitazioni anomale subite, senza
peraltro ingenerare giunti e discontinuità marcate tali da richiedere
interventi di emergenza e, soprattutto, presentandosi ancora integro e
stabile nel suo complesso per le parti trattate.
Risulta implicito come un trattamento generalizzato anche per le parti
meno ammalo rate avrebbe probabilmente dato frutti migliori.
Ulteriore esempio di quanto presentato è S.Maria dei Centurelle a
Navelli (AQ) con analogo approccio parziale nel 2004 sulle zone più
degradate e altrettanto analogo risultato post sisma 2009.
La riaggregazione muraria per iniezioni di Microlime consente alla
struttura di tornare a lavorare nella sua interezza utilizzando ogni suo
componente per il massimo del contributo statico possibile.
Su una situazione stabilizzata di assestamenti e cedimenti dovuti al
terreno ed all’aumento progressivo dei carichi in esecuzione
dell’opera, aggravato dal degrado materico e da eventi subiti negli
anni, si riesce con queste tecnologie Volteco a rimettere “a nuovo” la
struttura in una situazione assestata e stabile di partenza, con
murature integre e coese.
Ringraziamenti
Si ringraziano tutti i relatori per il prezioso apporto al sapere comune in un’ottica di interventi pratici ed applicabili a supporto dei tecnici che
sul territorio devono quotidianamente affrontare tali tematiche, e che ha riunito ancora una volta vari esponenti di rilievo della cultura
scientifica italiana con tecnici di un’azienda presente sul territorio nazionale a partire dai suoi cantieri edili.
La presente trattazione è stata impostata a fini di impiego pratico e di riferimento per eventuali approfondimenti tecnico-scientifici, con la
convinzione che la prima soluzione di un problema sia quella di riconoscerlo e sapere che esistono domande da porsi per poterlo risolvere.
Ad ogni tecnico l’arduo compito di adattare l’approccio generale al proprio caso specifico, ritenendo che esempi pratici e elenchi di
applicazioni specifiche possano, quantomeno, dare spunti per una progettazione attenta ad aspetti materici e comprensiva di quegli elementi
fisico-chimici che, talvolta, rimangono teoria e cultura.
Nella speranza che l’unione di esponenti di rilievo in ambito scientifico universitario ed esperienze di un’azienda leader di mercato abbia
potuto fornire un utile strumento di analisi del settore, si ringraziano tutti i relatori per la paziente collaborazione e disponibilità demandando
eventuali approfondimenti alle pubblicazioni universitarie relative o al sito aziendale: www.volteco.it