una vita tra l`Italia e l`America Non mi sento padre

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una vita tra l`Italia e l`America Non mi sento padre
Cultura 31
Corriere della Sera Domenica 24 Aprile 2011
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Gli incontri
L’uomo che ha più successo dei suoi simili è colui che sa individuare presto e con
chiarezza la propria meta e ne fa l’oggetto delle sue energie (Edward Bulwer-Lytton)
Montalcino
Nell’eremo di
SANDRO
CHIA
A sinistra: Sandro Chia nel locale
della degustazione con il
Brunello di sua produzione, sua
è anche l’etichetta dipinta. Sotto:
una veduta esterna della cantina.
In basso: le botti intervallate
da statue, una foto di Chia sullo
sfondo di una sua opera nei primi
anni 80 a New York e il salone
del Romitorio. A sinistra: Chia
negli anni 80 con Andy Warhol
(Servizio fotografico Pietro
Cinotti / Massimo Sestini)
Il pittore divenuto celebre
in una sera con una
mostra a New York
racconta i paesaggi
e i colori della sua vita
«Ilmio vino èun’opera d’arte»
l paesaggio è quello, incantevole,
fra il giallo e l’ocra, punteggiato
dai lecci e dalle vigne, delle colline
che si affacciano sulla Val d’Orcia,
a due passi da Montalcino, nel senese. Sulla sommità, un castellotto in pietra di foggia trecentesca
(ricostruito sasso dopo sasso con
materiali originali) dall’aspetto austero, quasi drammatico: davanti
all’ingresso spoglio, la lavanda fiorisce ma viene
divorata subito dai cinghiali, le azalee non riescono a fiorire per il gran vento. È il Romitorio,
l’«eremo» di Sandro Chia, pittore e scultore divenuto famoso e ricco appena sbarcato a New York
(nel 1983 la mostra al Guggenheim, nel 1984 la
consacrazione al Metropolitan Museum), esponente di spicco della Transavanguardia, il movimento pittorico sostenuto da Achille Bonito Oliva di cui facevano parte anche Mimmo Paladino,
Francesco Clemente, Enzo Cucchi e Nicola De Maria.
«Comprai il castello, e duecento ettari di terra
intorno, nel 1985 con il ricavato della vendita di
una grande opera che mi permise di fare anche i
lavori di restauro. Era un rudere abitato dalle pecore e un po’ sinistro, luogo di lontani eccidi e di
fantasmi (si narra che qui i fiorentini trucidarono i familiari delle truppe francesi corse in aiuto
ai senesi); ho cercato di rispettare la sua storia.
Anche lo studio, un capannone che non mostro
a nessuno, è fuori da qui», racconta l’artista che,
in antitesi alla riservatezza del luogo, ci accoglie
con grande cordialità e un’assenza di spocchia disarmante.
Sulla soglia dei sessantacinque anni (è nato a Firenze nel
1946: «Sono stato uno degli ultimi ad essere battezzato nel
Battistero, che privilegio!» ricorda), dopo vent’anni trascorsi negli Stati Uniti, è tornato a
Roma, suo primo amore (vi ha
vissuto dieci anni dal ’70 all’80) dove ha la famiglia, la moglie Marellina e due figlie, Costanza e Teodora, e lo studio che è la sua vera
fucina di lavoro, una ex tipografia piegata ai bisogni dell’artista. Ma Chia trascorre lunghi periodi
anche al Romitorio dove nel 1987 ha avviato la
produzione di vino. Produzione ormai importante di cui si occupa anche Filippo, il primo figlio,
quasi trentenne: duecentomila bottiglie all’anno
(alle vigne montalcinesi se ne sono aggiunte altre, a Scansano e a Castelnuovo dell’Abate). E il
Brunello del Romitorio piace: quello del 2004
l’anno scorso si è guadagnato il premio di miglior rosso del mondo all’International Wine
Challenge di Londra.
Tutto quello che tocca si trasforma in oro: è
successo fino dagli esordi, non capita a tutti.
«Quando sono arrivato a New York mi sono accorto che c’era un bisogno primario, non soltanto la curiosità, di vedere quest’arte sperimentale
che, dopo tante performance, installazioni e oggetti, tornava al pennello. Questo spiega, forse, il
mio successo, perfino esagerato. Quando feci la
prima mostra alla galleria newyorkese di Gian
I
Un rudere abitato da pecore e fantasmi di eccidi, una passione per la terra
Così il rosso con le etichette dipinte ha potuto vincere il primo premio a Londra
di FRANCA PORCIANI
Biografia
Sandro Chia è
pittore e scultore,
tra i più importanti
della
Transavanguardia (o
Neoespressionismo)
insieme
a Francesco
Clemente, Enzo
Cucchi e Mimmo
Paladino. È nato
a Firenze nel 1946.
Dopo aver
frequentato la
scuola d’arte, nel
’71 si trasferisce
a Roma dove mette
a punto il suo stile
di pittura che torna
al figurativo. Ma la
svolta avviene con
le prime esposizioni
a New York negli
anni Ottanta
che portano a Chia
il successo a livello
internazionale
con mostre nei più
importanti musei
americani
e europei. Dal 1982
si dedica anche alla
scultura.
Attualmente vive tra
Roma, Miami e
Montalcino dove
produce anche vino
Enzo Sperone, che con la sua prima sede a Torino aveva rappresentato negli anni Sessanta la ribalta della pittura internazionale in Italia, i quadri furono venduti tutti nel giro di un’ora. Andy
Warhol scrisse sulla sua rivista Interview: "Sono
andato a vedere la mostra di un giovane artista
molto hot (caldo), Sandro Chia; mi è piaciuto, finalmente si rivedono i quadri, si sente l’odore
delle vernici. Però, bisogna andare lì con il contante perché non ha un conto corrente". Con la
Transavanguardia la pittura italiana, per la prima
volta, ebbe un’attenzione internazionale anche
perché l’America era la ribalta dell’arte a quell’epoca, anche sotto il profilo commerciale. Nonostante quest’improvvisa popolarità non mi sono sentito un miracolato; mi sembrava dovuta:
perché un pittore californiano doveva essere avvantaggiato rispetto a uno come me, cresciuto a
Firenze, nella culla dell’arte?».
Cresciuto nella culla dell’arte, ma anche scappato presto dal destino borghese che i genitori
sognavano per lui, il più possibile simile a quello
del fratello ingegnere. Ma Chia decide di fare la
scuola d’arte di Porta Romana a Firenze («ho avuto maestri straordinari, come Mario Luzi» ricorda) e poi se ne a va a zonzo per l’Europa, ovviamente anche in India («erano viaggi allora, altro
che turismo»). Nel ’68 approda a Parigi in pieno
Maggio francese. «Sono stato in carcere per 63
giorni e poi espulso dal Paese per vagabondaggio — racconta Chia — . È stato comico, anni dopo, l’imbarazzo del ministro della Cultura francese, Jack Lang, quando commissionandomi una
grande scultura, che ora è davanti al museo di
Nizza, venne a sapere che, per quella vecchia
espulsione, non ero gradito in Francia. Lang, elegantemente, fece cancellare tutto e nel 1992 mi
nominò Cavaliere dell’ordine delle Arti e delle
Lettere», ride.
Nel ’71, l’approdo a Roma e l’incontro con
Achille Bonito Oliva che sostiene il nuovo movimento pittorico di cui fa parte anche Chia. Rammenta l’artista: «Achille mi assomigliava nel suo
"teppismo" culturale, nell’essere provocatorio,
fuori da ogni Accademia, napoletano. Non c’era
un calcolo da parte sua perché non c’era niente
da guadagnare, non c’era un’economia. In Italia
il mercato dell’arte esisteva soltanto a livello locale, era atomizzato: a Firenze vendevano Scatizzi,
Rapisardi, Adami, a Roma Gianfranco Baruchello, il Duchamp italiano. Non si guardava all’estero: al massimo l’occhio arrivava a Parigi; Londra
era un pianeta lontano. Ad un certo punto decisi
di andare negli Stati Uniti. Appena arrivato, ebbi
la sensazione di aver fatto la cosa giusta: a New
York l’artista era visto senza sospetto, senza pregiudizi. Quello era il luogo dove potevo perseguire la mia felicità. Ci sono rimasto vent’anni». Feli-
cità che a livello personale si è coniugata in due
matrimoni (la prima moglie, italiana, la seconda
americana), due figli e in una vita brillante fra
Manhattan e Miami, dove ancora ha casa e studio. E tanto lavoro: pittura, scultura, mosaici, murales. I suoi studi erano sempre enormi, dai seicento metri quadri di Chelsea, a Manhattan, alle
sei case (una era per i quadri grandi, una seconda per i piccoli, le altre per abitarvi e per gli amici) di Reinbeck, nel parco della valle dell’Hudson, a due ore di macchina da New York. «Ma
non mi faccia parlare dei miei studi negli Stati
Uniti perché non ne sono capace — confessa
Chia —; non voglio minimizzare né elogiare troppo quell’epoca della mia vita, mi suonerebbe falso. È come per gli amori; non riesco a parlarne
oggi, per me non sono misurabili con il metro
temporale, vent’anni possono essere come venti
minuti».
Parliamo dei figli allora: ben quattro. Si ritiene
un buon padre? «Confesso che non mi sento padre — risponde l’artista —: per me sono stati incidenti di percorso. Ma forse non sono stato poi
così male visto che i miei figli non cercano di farmi fuori, non si pongono in maniera antagonista. Faccio parte di quella generazione di maschi
che, volendo rompere i vecchi schemi, facevano
a gara a chi cambiava più in fretta i pannolini.
Me ne sono occupato e li ho fatti divertire. A
New York avevo molti amici artisti con figli; la
sfida era organizzare la festa di compleanno più
folle. Alla fine mi sembrano sereni: del primo abbiamo detto, il secondo sta facendo l’università a
Miami. Costanza e Teodora sono ancora piccole».
Contento di passare molto tempo nel nostro
Paese, conclude: «Noi italiani siamo privilegiati
e non ce ne rendiamo conto; abbiamo un’ottima
qualità di vita, il cibo e il vino migliori del mondo. Peccato che qui i miliardari, anziché finanziare l’arte e la cultura come avviene negli Stati Uniti, si comprino le squadre di calcio!».
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Due mogli, quattro figli,
quattro o cinque città,
sette o otto case: una vita
tra l’Italia e l’America
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Non mi sento padre:
i bambini sono stati
incidenti. Ma forse non
sono stato tanto male