UNA VITA PER LE RAGAZZE MADRI Intervista a Carolina Caspary

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UNA VITA PER LE RAGAZZE MADRI Intervista a Carolina Caspary
UNA VITA PER LE RAGAZZE MADRI
Intervista a Carolina Caspary,
responsabile dell’Hogar San Francisco a Posadas
Carolina Caspary è l’assistente sociale argentina responsabile del Centro di accoglienza per ragazze
madri “Hogar San Francisco”. A lei abbiamo chiesto di descriverci il suo lavoro, sotto vari aspetti, e
di illustrarci il progetto, in cantiere, di un secondo Centro per le ragazze madri. Ascoltatela: fa bene
al cuore…
Breve presentazione di Carolina.
«Mi chiamo Carolina Caspary e sono nata a Montecarlo, cittadina del Nord della Provincia di
Misiones. Per poter seguire gli studi universitari ho lasciato la mia città natale e mi sono trasferita
nella Capitale della Provincia, Posadas, dove, presso l’Università Nazionale di Misiones (Facoltà di
Scienze Umanistiche e Sociali), mi sono laureata in “Trabajo Social” (equiparabile al nostro titolo di
Assistente Sociale, ndt).»
1) Che cos’è il Centro di accoglienza per ragazze madri adolescenti- Hogar “San Francisco”?
«Che domanda…Hogar*…Madri…due concetti grandi…fondamentali nella vita…
Questo Centro di accoglienza- chiamato, per intero, “Hogar di transito per ragazze madri
adolescenti San Francisco”- è nato nel 1991 ai margini della periferia di Posadas e svolge una
funzione cruciale, a volte sembrando quasi inconsapevole dell’importanza di ciò che fa: aprire
le
porte a tutte quelle ragazze madri adolescenti in situazione
critica
o di
abbandono.L’obiettivo generale del Centro è di contribuire a migliorare la qualità della vita di
queste adolescenti, spesso bambine, mettendo a disposizione un luogo che soddisfi le
necessità essenziali della madre e del bambino, sia fisiche che psicologiche. Per il suo modo di
intervento è unico nella Provincia di Misiones. Qui si adotta un approccio integrale di cura alle
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giovani madri, offrendo cibo, un tetto, vestiti, cure mediche, formazione; garantendo
assistenza durante il periodo della maternità, del parto e del post- parto; assicurando sostegno
psicologico e aiuto nella ricerca di una sistemazione adeguata al momento dell’uscita dal
Centro. Il nostro intento è di dare, con spirito di forte solidarietà, tutto il necessario affinché la
giovane madre in difficoltà possa superare il momento critico e migliorare il proprio futuro.»
*Il termine spagnolo Hogar letteralmente si tradurrebbe con “focolare domestico” e richiama,
quindi, il concetto di nucleo familiare, di “casa, ”(ndt).
2) Da quanto tempo lavora qui? Qual è il suo ruolo?
«Sono arrivata all’Hogar San Francisco il 10 luglio 2001. Ciò significa che fra pochi mesi
(sperando di arrivarci…) festeggerò i 5 anni nel Centro! Questi anni sono trascorsi attraverso
vari momenti: difficili…molto difficili, ma anche felici e…molto felici! Se guardiamo
all’organigramma formale si può dire che io sia la responsabile dell’Hogar San Francisco…ma,
nella sostanza, i miei ruoli sono diversissimi: madre, in molti casi; amica; sorella maggiore;
consigliera; contabile; insegnante, ecc. E cerco sempre di assolvere ognuno di essi con
responsabilità e, soprattutto, con amore…»
3) Chi sono le ospiti dell’Hogar San Francisco? Quante sono? Da dove provengono?
«Sono adolescenti che si trovano in situazioni critiche e/o di abbandono. In alcuni casi, sono
state obbligate a lasciare la propria famiglia per gli abusi sessuali subiti dal padre, dal patrigno
o da altri parenti vicini. Nella maggior parte delle situazioni, a causa delle difficili condizioni
economiche, decidono o sono costrette ad abbandonare casa. Geograficamente, provengono
dalle periferie degradate della città, dalle campagne e da ogni parte della Provincia. Il Centro
può ospitare fino a 12 madri, ma, in condizioni di bisogno, siamo arrivati ad ospitarne 15
contemporaneamente, con i loro bambini, che possono essere più di uno.»
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4) Quanto tempo rimangono le giovani madri e i loro bambini?
«Dal momento che si tratta di un Centro per la prima accoglienza, il tempo di permanenza
dovrebbe essere abbastanza breve (in genere, tra i 4 e i 6 mesi), ma di fatto si valuta caso per
caso.»
5) Che tipo di soddisfazioni si provano a lavorare in un Centro del genere?
«(Sorride…ndt)…Beh, ci sono risposte che non si possono dare, rimanendo lucidi e
distaccati…permettetemi, allora, di rispondere semplicemente col cuore:
-
14 anni di lavoro continuativi…sono un tipo di Soddisfazione- Orgoglio;
-
271 bambini nati, che sono stati seguiti durante la maternità, il parto e il post-parto…sono
una Soddisfazione- Vita;
-
Sapere che ci sono 6, 7, 8 madri e bebè che dormono nell’Hogar, protetti durante la notte
da ogni pericolo …è una Soddisfazione- Serenità;
-
Sapere che se fa freddo sono coperti, se fa caldo sono al fresco, se hanno fame hanno di
che mangiare, se hanno bisogno di un abbraccio ci siamo noi…è una Soddisfazione-Sollievo;
-
Vedere che dopo una settimana dall’arrivo nell’Hogar, in condizione di abbandono totale,
cominciano di nuovo o per la prima volta ad amarsi…è una Soddisfazione- Speranza;
-
Vedere una madre che si prende cura del suo piccolo…è una Soddisfazione- Allegria;
-
Essere presenti a momenti come quello dei primi passi, delle prime parole, dei primi
gesti…è Soddisfazione- Gioia;
-
Ricevere telefonate o visite delle madri che sono uscite dall’Hogar…è SoddisfazioneRicompensa;
-
Vederle piangere…sorridere…è Soddisfazione- Responsabilità.»
6) Quali sono le difficoltà?
«Le difficoltà sono molte. Quella con cui ci confrontiamo quotidianamente è il tipo di ragazze
con cui lavoriamo. Ovviamente sono diversi i casi personali delle giovani che arrivano al
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Centro, però ci sono dei leitmotiv che accomunano molte di loro: gravidanza non pianificata;
gravidanza per abuso o violenza; abbandono; tentativo di aborto; condizione economica
misera; espulsione dal proprio nucleo di famiglia o assenza della famiglia; mancanza di adulti
che siano punti di riferimento; sfasamento fra la maturità del corpo e quella psichica;
mancanza di interessi; bassa autostima; ecc. Queste sono le difficoltà più complicate, problemi
importanti che non si possono risolvere nel breve periodo in cui le ragazze passano per il
Centro, perchè non si può trasformare una “vita” in pochi mesi.»
7) Come si potrebbe migliorare l’ intervento a favore delle ragazze madri?
«Dando loro la possibilità di contare sul nostro appoggio per un tempo più lungo. L’uscita dal
Centro e l’inserimento nella società è molto duro in certi casi, perché, anche se hanno
superato la fase della prima emergenza, non sono pronte o non si sentono sicure ad affrontare
quel mondo che, solo pochi mesi prima, le ha tanto ferite. Anche il ricongiungimento familiare,
in certe occasioni, non dà loro la forza o la sicurezza di cui hanno bisogno per integrarsi di
nuovo nella società. Ci sarebbe, quindi, bisogno di un altro Centro che curi questo passaggio
intermedio fra la prima emergenza e il pieno reinserimento nella società: questo è il progetto
di Hogar di secondo livello che abbiamo in mente.»
8) Ci può spiegare meglio in che cosa sarebbe utile questo Hogar di secondo livello di cui ci
ha parlato?
«L’Hogar di secondo livello è fondamentale per prolungare il periodo di assistenza successiva al
parto, che coinvolge anche l’inserimento nella società. Così si potrebbe aspirare a cambi
radicali nelle vite delle giovani madri. Una delle questioni più importanti è quella del “Tempo”.
Un secondo Centro ci darebbe il tempo necessario affinché le ragazze si riscoprano, maturino e
trovino un luogo adatto per vivere con il proprio figlio. Seguendole più a lungo si riuscirebbe a
migliorare il livello di autostima che hanno di sé e a lavorare più profondamente sulla
definizione della loro personalità e identità: questioni fondamentali per relazionarsi in modo
sano con il mondo esterno.»
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9) Che differenza di assistenza ci sarebbe rispetto al Centro attuale, l’Hogar San Francisco?
«Nell’Hogar San Francisco, come abbiamo spiegato, si dà risposta ad una situazione di forte
emergenza delle ragazze e dei loro bambini e si dà loro un’assistenza a 360 gradi. Nel Centro di
seconda accoglienza, le giovani riceverebbero essenzialmente un tetto (continuando ad essere
seguite nel loro percorso psicologico-relazionale). La questione della casa è per loro di
importanza capitale. Molto spesso, non potendosi permettere di affittare una casa o anche
solo una stanza, ricadono nelle condizioni di povertà estrema da cui provenivano. Le ospiti di
questo secondo Centro dovranno lavorare e mantenersi autonomamente: avranno una vita più
indipendente, ma saranno ancora “accompagnate” dalla figura dell’assistente sociale. Questo
dovrebbe garantire una maggior possibilità di cambiamenti reali e profondi nella loro vita. Il
lavoro che già si fa nell’Hogar San Francisco è fondamentale e importante, ma ha bisogno di
una continuazione che renda permanenti i cambiamenti che nascono in queste mura.»
10) Ci può fare un bilancio personale del suo lavoro? È contenta? Lo cambierebbe?
«…Sono felice…so che non potrei vivere diversamente…Perché ben al di là del mio lavoro, della
mia professione questo è il modo in cui ho scelto di vivere…è il percorso profondo che ho
incontrato per questa mia vita. Ci sono giorni in cui sinceramente perdo tutte le forze…mi
sembra che nulla abbia senso…che il mio aiuto non serva a cambiare nulla. A volte la
stanchezza e le arrabbiature alla fine di una giornata grigia e complicata ti fanno provare tutto
questo e molto di più…Però, poi, passa…perché l’Amore ritorna a trionfare di nuovo…la
stanchezza sparisce e le energie rientrano in te. Personalmente, in questi ultimi anni, quando
la mattina apro gli occhi e mi guardo attorno, mi rendo conto di tutto quello che ho e ringrazio
Dio per tutto ciò: questa è la mia Forza e Allegria per affrontare il nuovo giorno di lavoro, di
responsabilità, di Hogar…Amo quello che faccio…sono felice quando, giungendo all’Hogar, un
bambino mi corre incontro; quando una delle sue prime parole è Carolina…Sono felice quando
mi dicono che una delle ragazze è stata ricoverata e sta per dare alla luce il suo bambino e
sono felice quando mi fermo a riflettere e so che non è sola, che ha una borsa con vestiti e
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pannolini e tutto quello che le serve per questo grande momento della vita e che, sopra ogni
cosa, ha noi…Se cambierei questo lavoro? Solo se sapessi che facendolo potrei fare meglio del
Bene…»
11) Ha un “motto” con cui affronta la giornata?
«Credo in un Dio che si è fatto uomo per insegnarmi da vicino che vivere amando non è
un’utopia per nessuno.»
Un grazie di cuore a Carolina e a quanti come lei si impegnano ogni giorno per costruire un
futuro migliore.
(traduzione e note di Ilaria SC)
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