RACCONTI IN CAMMINO - N. 6
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RACCONTI IN CAMMINO - N. 6
Rammino C acconti in La città A CURA DELLA PARROCCHIA SAN FILIPPO NERI - MILANO EDITORIALE N. 6 - 29 MARZO 2009 Attravers o la maggi or parte degli articoli presenti in questo numero, abbiam o voluto fissare l’attenzione sul tema della “Città”. Parlando di “Città” non abbi amo pensato solo a quell’aggregato umano che, per le sue caratteristiche geografi che e di popolazione, siamo soliti definire con questo nome. Nella nostra accezi one, “Città” è ogni luogo nel quale un insieme di uomini cercano di costruire relazi oni, più o meno dirette, e di cooperare al fine di sviluppare ed or gani zzare il proprio vivere nel mondo e nel tem po. Una cooperazione il cui fondamento, per i cristiani, ha radici nell’azi one creatrice del Padre che chiede a ciascun essere umano di mettere le proprie capacità, la pr opria intelligenza, vol ontà e creatività a servizio del sogno di Dio, e cioè per la realizzazione degli uomini. Per mezzo di questi articoli, abbiam o cercato di raccontare vari modi attraverso i quali è possibile vivere questa cooperazione, certi che da ci ascuna esperienza, passata o presente, potranno emergere preziosi spunti di riflessione. SOMMARIO 2 Costruttori della città dell’uomo Giuseppe Lagattolla 4 Chiesa, cristiani e società La redazione 7 Né santi né diavoli: periferici Andrea Pagliardi 8 La città nella città Cristina Bassani 9 Il triduo pasquale don Denis e don Francesco 10 Una città da leggere La redazione 12 Città: una crisi per pensare Francesca Zanchi 14 Un film da vedere: pa-ra-da Giuseppe Verrastro 16 La città e la sua identità come valore Walter Cristiani Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band, Beatles, 1967 Federico Cristiani 18 19 I segni del Signore 20 Il programma della settimana santa Un augurio di Buona lettura. La redazione BUONA PASQUA! 2 Costruttori della Città dell’uomo Come forse vari lettori ricor deranno, nel corso dell’anno pastorale 2005 -2006, l’allora Gruppo Culturale della nostra Parrocchi a organi zzò un ci clo di tre incontri aventi come tema “La città vivibile”. Durante l’incontr o di chiusura, che ebbe luogo nel maggi o 2006, venne pr oposta una riflessione su un uomo, Gi orgio la Pira, che nel dopoguerra trasformò Firenze ( di cui fu sindaco per circa dieci anni, a cavallo fr a gli anni Cinquanta e Sessanta) in città simbolo di mediazione politica e s ociale e luogo di profondo dialogo. A distanza di quasi tre anni, torniamo a quelle riflessioni perché siamo convi nti che La Pira, insieme ad altre significative figure che in quegli anni operarono nel panorama politico italiano nel difficile processo di rinascita politica e sociale (Dossetti, Lazzati, De Gasperi,…), rappresenti una figura che alla Città ha dedicato passione ed energie, impegnandosi alla sua costruzione in una dimensione di servizio. La Pira aveva una visione alta della Cit- tà, che concepiva come una sorta di entità spirituale, la cui amministrazione non poteva essere ridotta alla sola gestione del quotidiano. La Città era invece pensata come luogo ove costruire risposte ai bisogni dei più umili e dove l’impegno cristiano potesse trovare dimora. Fin dalla sua prima elezione a Sindaco di Firenze, nel 1951, La Pira lavor ò per perseguire il suo disegno di “comunità-città”, attento ai bisogni dell’uomo ed alle sfide del suo tempo. Con un’interpretazione singolare e nobile del ruolo della politica, La Pira perseguì un progetto politico inedito, che a molti poteva apparire per certi versi utopistico, ma nell’ ambito del quale egli riuscì ad utilizzare gli strumenti della politica, ed i partiti stessi, per abbattere quelle barriere che impedivano di avvicinarsi, appunto, ai più bisognosi. Possiamo dire che in lui fede, cultura ed azione politica si compenetrarono e diventarono gli strumenti per operare una radicale evangelizzazione del mondo. Per La Pira, infatti, i cristiani sono coloro che 3 si impegnano per divenire protagonisti attivi della società e della politica, tesi ad una trasformazi one che renda le strutture sociali quanto più possibile adeguate alla vocazi one di Dio. Nel li br o della Genesi troviamo un versetto che può sintetizzare bene questo ruolo attivo a cui è chiamato l ’uom o; un ruolo di costruttore della Città nella quale è chiamato a vivere. Così in Genesi 2,15: “Il Signor e Dio pr ese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché l o coltivasse e custodisse”. Il giardino di cui si parla può significare tutto: la vita di ciascuno di noi, la Città, il mondo. L’uom o non è padr one del giardino, ma ne è responsabile. Il giardino è la nostra vocazione fondamentale, qualunque essa sia; sono gli incontri che facciamo ogni giorno; è la nostra Città. Non c’è uom o che non abbia un giardino da coltivare e custodire. Per il popol o d’Israele ogni uomo era chiamato a vivere il proprio sacerdozio nel giardino che il Signore gli aveva dato. Allora, per tornare alla vocazione fondamentale del nostro La Pira, ci piace pensare che, nel suo operare quotidiano, egli si sia fatto illuminare dal ver- setto biblico che abbiamo letto e ad esso sia ritornato ogni volta che la fatica poteva sembrare insopportabile. Del suo continuo riferirsi al testo biblico troviamo conferma in alcune lettere che lo stesso La Pira inviò a Pino Arpioni, suo intimo amico e fondatore di un’ass ociazi one laicale (Opera per la gioventù “Giorgio La Pira”) impegnata nella formazione umana e cristiana dei giovani. In esse La Pira precisava che per comprendere bene l’unità del cammino e del destino umano, bisogna prendere come modello la storia del popolo di Israele. Così come tutto Israele era impegnato, sotto la guida di Mosé, nel grande cammino verso la “terra promessa”, anche l’umanità intera è avviata verso un’unica e comune destinazione storica. Per La Pira è necessario prendere coscienza di questa storia totale dei popoli ma, altresì, di quella particolare del popolo e della Città nella quale siamo chiamati a vivere. Un’intensa esortazione all’esserci, alla partecipazione, a fornire il nostro piccolo o grande contributo… per la costruzione del nostro giardino. Giuseppe Lagattolla 4 CHIESA, CRISTIANI E SOCIETÀ Qual è il compito della Chiesa nel mondo di oggi dominato da un orizzonte che appare fosco e chiuso? Quale il suo messaggio in un momento storico in cui gli uomini sembrano compiere piccoli passi verso la barbarie? Enzo Bianchi, fondatore e priore della Comunità Monastica di Bose, da sempre si interroga su questi temi, che hanno a che vedere con la presenza dei cristiani nella società e con lo stile di relazione che essi impostano con le culture altre con le quali, inevitabilmente, vengono in contatto. Per Enzo Bianchi, è indispensabile che la Chiesa nel suo insieme e ogni singolo credente si interroghino sul proprio statuto nel mondo. Risalendo il cammino della fede fino al cristianesimo evangelico delle origini e cercando nei testi del Nuovo Testamento risposte alle inquietudini del nostro tempo, il cristiano, uomo tra gli uomini, vive il rischio di una scelta come atto di libertà, e come ricerca continua, rinnovata di giorno in giorno in singoli gesti di responsabilità. I cristiani, inseriti nella società, non possono rinunciare all'annuncio della salvezza o abdicare alla testimonianza di fede e devono comunicare con le culture degli uomini senza arroganza o superiorità, fedeli all'unica parola di amore che Cristo ha affermato sulla terra, contro ogni forma di intolleranza e fondamentalismo. Questi temi trovano un felice approfondimento in un testo, dello stesso Bianchi, pubblicato nel 2003 e intitolato, giustappunto, “Cristiani nella società”. Facendoci guidare dagli innumerevoli spunti presenti nel testo, abbiamo voluto evidenziare alcuni passaggi dell’ Autore (virgolettandoli), nella speranza che il lettore possa trovare, negli stessi, interessanti stimoli di riflessione. 5 La società è, per definizione, il luogo dell’incontro con l’altro, con altri esseri umani che possono essere da noi considerati utilizzando classificazioni anche molto diverse fra loro. La stessa storia cristiana è ricca di situazioni in cui l’altro è stato oggetto di demonizzazione. Si pensi, a titolo esemplificativo, ai pagani o agli eretici e a come questi siano stati spesso inquadrati nella categoria dei “nemici”. Ma, dice Bianchi nel suo testo, «il cristianesimo deve essere pronto a riscoprire la categoria, così cara al monaches i m o , del l a xen i teì a , del l a “stranierità”… L’indole escatologica del cristianesimo rende i cristiani stranieri e pellegrini (cfr. 1Pt 2,11) ed è proprio questa condizione di “stranierità” che può costituire la base di partenza per un riconoscimento dell’altro e un incontro con lui. È così che si può evitare ogni rischio di fare dell’altro un nemico, cosa che l’evangelo interdice al cristiano, mentre gli chiede di amare colui che si fa suo nemico. Ed è solo così che l’altro può arrivare a essere colto come fratello, cioè solo dopo aver riconosciuto e assunto tutte le sue radicali differenze di lingua, etnia, colore della pelle, religione, etica… Questa radicale differenza, che potrebbe essere a fondamento del nascere di un’inimicizia, può diventare la base dell’autentica fratellanza attraverso il far avvenire in sé la differenza dell’altro». E ancora, «un incontro esige preliminarmente la conoscenza. La conoscenza esige la volontà positiva di dare del tempo all’altro, di ascoltarlo e di condividere con lui ciò che si ha di più prezioso ». «Affrontare il problema dell’”altro” e del rapporto con l’altro, con chi evidenzia maggiormente la sua alterità rispetto a noi perché straniero o di altra religione o cultura o lingua, significa in fondo interrogarsi sulla propria identità. Oggi, infatti, la crisi che attraversa il mondo occidentale, i cui sintomi sono più evidenti a livello sociale e politico, nasconde l’acuirsi di una crisi antropol ogi ca che ver te s ul pr obl em a dell’identità». E ancora, «la percezione dell’identità è inestricabilmente con- 6 nessa con la percezione dell’altro: la presenza e la relazione con l’altro entrano infatti costitutivamente nel processo di formazione dell’identità personale e quindi collettiva, storica. Nella mentalità biblica l’uomo vivente è un uomo in relazione, un uomo capace di vivere con l’altro. L’attuale congiuntura ci mostra però la forza della tentazione di seguire una scorciatoia che consiste nel concepire l’altro, il diverso, lo straniero, come il nemico, come una minaccia. Dunque di darsi una propria identità contro qualcun altro». Queste difficoltà si manifestano anche per quanto attiene al tem a del l ’i n c on tr o fr a l e r el i gi oni . «L’incontro dei monoteismi richiede che si sappia ascoltare le storie sacre gli uni degli altri, non solo nel senso di ascoltare le lor o Scritture, m a anche i racconti delle esperienze e delle lor o tradizioni spirituali. Questo implica il riconoscimento dell’inter ven to divin o nelle religi oni degli altri… Tutti e tre i monoteismi, con le lor o Scritture sacre, sono echi della par ola di Dio che si differenzia e di cui nessuno può proclamarsi unico detentore». Non è un cammino facile perché «il dialogo, come ogni comunicazione, è un rischio. E un dial ogo serio e condotto in verità non lascia immutati, m a trasforma. Questo rischio del dialogo, della rinuncia alla propria autosufficienza, all’isolamento superbo e miope, deve essere corso da chi oggi vuole costruire un mondo più conviviale, più pacifico, più fr aterno, e vuole andare più a fondo nell’esperienza spirituale». Se è vero, dunque, che siamo in una situazione di profonda crisi di identità e di appartenenza, è anche vero che il cristiano deve porsi come antitesi rispetto al farsi strada di due distinti atteggiamenti, facili ed emoti vi, ma forse non fecondi: a livello sociopolitico, la s tr um ental i zzazi one del val ore delle radi ci etniche e, a livello religioso, l’irrigidimento confessionale. La Redazi one 7 NÉ SANTI NÉ DIAVOLI. Periferici All’I.T.C.S.”Erasmo da Rotterdam” di Bollate, fra le molte proposte di lavoro interdisciplinare per gli studenti, quest’anno c’era quella sulle Città. Alcuni studenti hanno letto l’opera di Gianni Biondillo “Metropoli per principianti”, hanno incontrato l’autore a scuola, hanno partecipato ad un convegno sulle Città del novecento e hanno elaborato le proprie riflessioni. Noi ve ne presentiamo una. Eccomi qua, davanti al l o scherm o del computer a raccontare chi sono i “periferici”. Gli amici che abitano in “centro” pensano che la maggior parte dei paesi di periferia sia abitato da bulli, delinquenti, teppisti e malavitosi. Siamo ragazzi di periferia, ma non ci riconosciamo nel luogo comune che ci vuole pr otagonisti e vittime di azioni illegali. Chi abita a Quarto Oggiaro sa che può uscire la sera, senza timore di fare cattivi incontri. Questi possono accadere dovunque, anche nel centro di una grande città. Noi periferici ci sentiamo sicuri della grande rete di solidarietà di chi ha a cuore la nostra incolumità: i vicini di casa, la signora del terzo piano, la portinaia… Le periferie sono i luoghi degli incontri, dei primi giri in bici, dei due calci ad un pallone, del “te lo dico, ma non dirlo a nessun o”. Anche questi sono luoghi comuni? Forse sì, ma la piazzetta rimane il centro dei ricordi, dei primi appuntam enti , del l e chiacchiere infinite su tutto o su nulla. Nel tempo tutto cambia, i tentativi di recupero edilizio che dovrebber o r ender e pi ù belle e vivibili le nostre periferie non sempre fanno centro, ma che importa? Noi periferici, fieri di esserlo, sappiamo accettare i cambiamenti, li critichiamo, li mettiamo a confronto e, alla fine, li accettiamo e li amiamo perché lì, a Quarto Oggiaro o in qualunque altro paese di periferia, ci sono e ci saranno sempre le immagini della nostra infanzia e delle persone che conosciamo. Gli studi o il lavoro, forse, ci porteranno lontano, ma sappiamo già che ogni ritorno al nostro quartiere sarà un tuffo nell a m agi a dell ’i nfanzi a e dell’adolescenza. Andrea Pagliardi 8 La CITTÀ CITTÀ NELLA CITTÀ CITTÀ Avete mai letto Le Città Invisibili di Itasempio, la scuola collabora con Olinda e lo Calvino? In questo libro del ’72 Il giardino degli aromi per avvicinare i l’autore immagina cinquantacinque città bambini al giardinaggio; Sperimentare che è possibile vedere solo con gli occhi Kyoto insegna loro cos’è l’effetto serra, della mente, perché sono tutte inventate, con misurazioni sui livelli di riscaldamenma specchio di ognuno di noi, con i noto e ossigeno all’interno di una serra apstri bisogni, la nostra voglia di positamente realizzata. Da Olinda aprirci e la nostra paura di farlo, arriva Gigi, apicultore che ci spale chiusure e le facciate che molanca il mondo delle api, dei fiori e striamo agli altri per pudore di ci insegna a riconoscere le piante farci conoscere . Le città sono del parco fra un assaggio e l’altro luoghi di scambio – scrive l’autore del suo miele. All’Olinda possono – ma non solo di merci; sono andare tutti per assistere a rassescambi di parole, di desideri, di gne culturali, per pranzare o cenaricordi. I luoghi descritti da Calvire al Bar Jodok o per soggiornare no portano tutti nomi di donna e all’Ostello Olinda, per fare Formafra queste c’è Olinda, la città zione Professionale o laboratori grande come una capocchia di teatrali ; in estate organizza anche spillo che ad ogni momento si fa centri estivi per i bambini e a carpiù grande; cresce a spirale fanevale è sempre presente un suo cendosi largo dentro la città di carro a Villa Litta. Insomma, una prima e le vecchie mura si dilatapiccola città che si fa spazio fra e no per far posto ai quartieri anticon i cittadini. Il merito maggiore chi mentre i nuovi premono per di Olinda ritengo essere quello di farsi spazio. Ecco, con questo aver riaperto, dopo anni di oblio, intento e nel tentativo di inserire un parco avvolto da tristi ricordi, ex malati dell’Istituto Paolo Pini Olinda in un’incisione per restituirlo ai nostri quartieri, nel tessuto sociale della zona, in di Collen che ha illu- permettendo a chiunque di godevia Ippocrate è nata l’Olinda, una strato tutte le città re del patrimonio verde che racCooperativa Sociale conosciuta invisibili di Calvino chiude. Fatevi un giro, con la bella da tutti, anche se non tutti ne condividostagione, in bici, a piedi; scegliete il mono i princìpi ispiratori. In realtà Olinda è mento in cui maturano ciliegie e amareun “contenitore” per altre associazioni ne… Anche coglierne qualcuna sarà più piccole che, grazie a varie sponsorizun’esperienza, antica e nuova insieme, di zazioni Provinciali, riesce a promuovere pace e serenità. e diffondere occasioni preziose. Per eCristina Bassani 9 Il “triduo” pasquale Ogni domenica siamo invitati a celebrare la Pasqua di Gesù. E cioè il memoriale di un Padre che manda il figlio e nello Spirito santo si dona ad ogni uomo. Celebriamo il suo consegnarsi a ciascuno e a tutti. Il suo ritenere la vita dell’ultimo uomo di questo mondo così importante da offrirgli in dono la propria. La Chi es a sente il bisogno di celebr ar e questo avvenimento una volta all’anno in modo particolarmente solenne e profondo, distendendo questo Mistero in tre giorni, dando la possibilità a ciascuno di entrarci dentro. Il cuore della celebrazione della sera del giovedì santo sta nel rivivere quell’ultima cena in cui Gesù si è consegnato ai suoi, a tutti i suoi, e poter prendere parte anche noi a questa cena. Una cena in cui raccogliamo il testamento di Gesù, in cui riviviamo il legame di questa cena con la consegna di Gesù, con il suo tradimento, con la sua accoglienza del rifiuto degli uomini Il cuore della celebrazione del pomeriggio del venerdì santo sta nel metterci anche noi sotto la croce a guardare, impotenti, senza che ci sia chiesto di fare nulla se non di accogliere quella vita che si dona, e da lì, sotto la croce, affidare al Signore la nostra vita, le persone, i vicini e i lontani, la Chiesa ed il m ondo, chi cammina con noi e chi è già con il Signore… U na gr ande preghi era di i nter ces s i one che ci metta in contatto con tutta l’umanità, quella di oggi, quella di ieri e quella di domani… Il cuore della celebrazione della Veg l i a p as q u a l e i l s a b a t o s t a nell’accorgersi che il Signore è il Padre della Vita, che non abbandona suo Figlio e i suoi figli nella morte, ma che della morte è vincitore. E scoprire che la vita è un dono che più si dona più si ritrova pieno e vivo. Scoprire che la vita dell’Amore è proprio il suo morire per essere ancora più vivo L’augurio e l’invito reciproco è che partecipando alle celebrazioni del triduo, possiamo vivere un incontro che visiti il cuore e la mente, e tocchi la nostra esistenza. don Deni s e don Francesco 10 UNA CITTÀ DA LEGGERE Se vi piace legger e, se qualche articolo vi ha particolarmente interessato, potete trovare spunti di approfondimento fra questi titoli: TITOLO: Metropoli per principianti AUTORE: Gianni Biondillo EDITORE: Guanda Architetto convertito alla letteratura, l’autore ci racconta l’arte del costruire e le trasformazioni dello spazio urbano con la competenza del tecnico e la leggerezza dello scrittore. Grazie al linguaggio non settoriale, Biondillo ci accompagna in un viaggi o tra le strade, le piazze e i quartieri della nostra città, invitandoci ad osservare con occhi nuovi ciò che vediamo distrattamente ogni giorno. Di Milano l’autore prova ad immaginare anche il futuro, parlandoci dei diversi progetti – dalla ex Fiera alla Bicocca – che si propongono di dare un nuovo volto alla città. TITOLO: Milanesi non si nasce AUTORE: Vito Piazza EDITORE: Sellerio Milanesi non si nasce, si diventa. Come l’autore, quartoggiarese d’adozione, che in questo volume racconta le storie di Quarto Oggiaro, etichettato come il Bronx cittadino e popolato invece soprattutto da lavoratori onesti, persone che, giunte qui in epoca di boom economico, hanno visto i loro sogni infrangersi contro gli squallidi casermoni del quartiere. È uno sguardo ironico quello dell’autore, ma carico di affetto nei confronti di chi non sarà mai riconosciuto come eroe pur affrontando con coraggio la vita e le difficoltà di ogni giorno. Un affresco vivido e toccante della città, lontano dall’immagine della Milano usa e getta, ma che forse rappresenta proprio l’essenza più vera di questa città. TITOLO: La città dei libri sognanti AUTORE: Walter Moers EDITORE:Salani Autore di libri per l’infanzia, Moers porta per la quarta volta i nostri ragazzi nel fantastico m ondo di Zam onia. La prima parte si svolge a Librandia, grande città simile ad un’immensa biblioteca dove ogni attività è basata sullo scrivere, sul pubblicare e sul collezionare libri di ogni genere. La seconda parte invece si svolge nelle catacombe di Librandia, gli immensi sotterranei della città che 11 hanno l'aspetto di lunghissimi e profondi cunicoli pieni zeppi di libri di ogni genere, da quelli viventi a quelli pericolosi. Ildelfonso, il protagonista, è alla ricerca dell'autore della più grande opera letteraria mai scritta, il Manoscritto Perfetto, lasciatogli in eredità dal suo padrino poetico. Fantas y poliziesco per ragazzi, dai 10 anni in poi TITOLO :Street Art, Sweet Art AUTORE:a cura di Alessandro Riva EDITORE:Skira Un libro che è tutto un’immagine per far conoscere gli artisti di quest’arte che va sotto il nome di Arte Metropolitana. I writers, tutti contemporanei, vengono brevemente presentati per poi lasciare spazio alle immagini delle loro opere, che hanno acquistato fama e dignità dopo l’esposizione al PAC (Padiglione d’Arte Contemporanea) di Milano del 2007. Abusivi per scelta, esprimono la loro rabbia e il bisogno di immensità scegliendo muri “indisponibili” delle nostre città, trasformando spesso il grigiore delle nostre periferie in vere e proprie opere d’arte. Un modo per conoscere gli “imbrattamuri” sotto una luce nuova in un libro da guardare, più che da leggere. TITOLO: Le città invisibili AUTORE:Italo Calvino EDITORE: Einaudi ( e altri) L’opera, poco conosciuta, narra di un immaginario Marco Polo al servizio del Kublai Kan, che lo incarica di esplorare per suo conto il vasto impero. In dieci capitoli dal tema differente l’autore conduce il lettore attraverso la scoperta di cinquantacinque città invisibili agli occhi, ma vivide nel cuore di chi si sofferma a pensare. D’una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda. Interessante anche la relazione fra il sovrano e l’esploratore, che si devono confrontare con la difficoltà di comprensione fra lingue diverse, utilizzando così una scacchiera come tramite per le loro conversazioni. La Redazione 12 Città: una crisi per pensare La parola città, dal latino civitas, indica, nella tradizione occidentale, una comunità di persone unite da legami storico culturali, facenti capo a un determinato territorio con un proprio sistema giurisdizionale. La città si identifica, in questo modo, con la cittadinanza: un’ appartenenza comune che garantisce diritti ed esige doveri. Un’idea forte, con radici profonde che attingono all’ancor più antica e gloriosa polis greca. La polis era infatti lo spazio comune di partecipazione ai problemi e alle decisioni pubbliche e il suo cuore era l’assemblea o ekklesìa. In tale spazio comune, e in questo senso politico, si definivano la libertà e la virtù, areté, dei cittadini. Da queste originarie, singolari esperienze storiche, destinate a esercitare un’influenza millenaria, nacquero il concetto e la scienza della politica: da polis, politeia. Certo, nel corso dei secoli, il profilo della città ha assunto valenze più complesse, ma non ha mai perso il suo originario significato, quello che rinvia ad una comunità di persone che, in virtù della loro identità di appartenenza, si propongono, in vario modo, come soggetto politico. Oggi, in una fase di grandi trasformazioni dovute al processo di globalizzazione, è diventato più problematico e difficile riconoscersi nella comunità di appartenenza, soprattutto in città grandi e dinamiche come Milano. Flussi migratori irreversibili su scala planetaria ci hanno messo bruscamente in contatto con gruppi, sempre più numerosi, di altra appartenenza, di altra lingua e cultura, a cui fa riscontro, in noi, un senso di “spaesamento”, accompagnato spesso da timore e anche da ostilità nei confronti degli immigrati. Le nostre comode, e forse pigre, sicurezze identitarie, hanno incominciato a vacillare producendo irrigidimenti nell’idea di cittadinanza, come mura difensive dal pericolo che, nella percezione della propria appartenenza, rappresenta l’alterità. Da qui è facile slittare nel pregiudizio contro lo straniero, nel rifiuto-esclusione di chi è diverso da noi, dal nostro mondo e dalla nostra verità. Un rifiuto che assume non di rado la forma di un vero e proprio razzismo, con cadute verticali nei valori di umanità e di solidarietà, come attestano recenti episodi documentati da desolanti rassegne di cronaca fornite da giornali e telegiornali. Come vivere, in tempi di crisi e di ra- 13 pidi cambiamenti planetari, la nostra appartenenza alla città, comunità che non si può chiudere alla storia e oggi ci chiede di saper accogliere il nuovo che avanza senza abiurare i nostri doveri, civili oltre che cristiani, di umanità e di accoglienza? In più occasioni è stato detto che la crisi in atto, che non è solo socioeconomica ma anche morale, può essere un’occasione preziosa per riflettere sui nostri comportamenti e stili di vita, sui modelli culturali finora acriticamente utilizzati, sulla stessa idea di identità, e concedersi del tempo per pensare e ragionare insieme. A questo proposito è interessante l’iniziativa intrapresa da un’istituzione privata che ha indetto, fin dal 2007, la Giornata mondiale della lentezza, il cui messaggio è: concediamoci il tempo per pensare. Un appello già lanciato da Hannah Arendt negli anni ‘50, in un momento di crisi della democrazia e della politica, dopo l’esperienza tragica della guerra e dei totalitarismi: la prima cosa da fare, diceva, è riappropriarci del pensiero, della capacità di conoscere e giudicare in modo autonomo. E poi, continuava, dobbiamo riappropriarci della politica, che va intesa come spazio della polis che appartiene ai cittadini, prima che ai partiti o al potere. Ritornare a parlare tra noi, nei luoghi della vita di tutti i giorni, nelle forme più genuine della politica, che sono le forme dell’agire. Un agire che per la Arendt significa “dar luogo a qualcosa di nuovo”, dal greco archein: dare inizio, prendere l’iniziativa, far nascere, puntare al futuro. Spesso, infatti, l’incepparsi dei meccanismi noti apre scenari nuovi, fa nascere desideri e progetti, produce possibilità impreviste che vanno colte ed elaborate. Ma occorre lo spazio comune del pensiero e dell’agire politico, nel senso su chiarito. Se guardiamo al lungo ed esemplare passato della civitas milanese, scopriamo che ad essa non sono mai mancate le risorse per riprendersi e rinnovarsi, anche in tempi molto bui. Quelle sue tradizionali virtù, tra cui la sobrietà e la laboriosità, tanto lodate da Bonvesin della Riva, illustre scrittore milanese del 1200, potranno ancora sostenere la sua ripresa, che è anche la nostra, nella direzione del nuovo che si affaccia come inizio del futuro. Quello che conta è fermarsi un momento a pensare per capire, attivando, nel dialogo interno al nuovo orizzonte della civitas, le molte risorse presenti in noi e non ancora esplorate. Francesca Zanchi 14 UN FILM DA VEDERE: PAPA-RARA-DA PA-R A-DA è una fondazi one r omena non governativa che si occupa del le pers one emar ginate nella città di Bucarest e in particolare delle pr oblematiche legate ai giovani e ai bam bini di strada. Questa fondazione è stata creata, e soprattutto voluta, nel 1996 da Mi loud Oukili, un fr ancese che di professione fa il Cl own di strada. Q uesto film racconta l’inizi o del cammino che ha portato Miloud a fondare questa associ azi one. Negli anni ottanta i n R omani a c’er a una legge che finanziava le fami glie numerose; all’inizi o degli anni novanta, con l a caduta del regime di Ceaseuscu, questa nazi one, attraversata da una forte crisi economica, si ritro- va abbandonata a se stessa. Molti bambini e r agazzi scappan o dalle proprie famiglie o dagli or fanotrofi riversandosi nelle strade dell a capitale: Bucarest. Una città che in questo film viene rappresentata “DIVIS A” tra i tanti individui che la abitano e che si coalizzano in gruppi per appropriarsi di un pezzo del suo territori o. Tra i tanti indi vidui che si coali zzano ci sono i bambini scappati dagli or fanotr ofi, che tr ovano nei tom bini della città la l or o dim ora ed il l or o “RIFU GIO ”; ci s ono i negozianti , che tengono i bambini distanti dai l or o negozi per paura di essere derubati ; ci sono i m alfattori che si s ono im pos sessati di una parte della città che l a tengono s otto la lor o giurisdizione e ci s ono infi ne le for ze dell’or dine che apparentemente tutelano l a città mentre in realtà si limitano a gar antire che la spartizi one della stessa non crei disordini di alcun genere. Nel film ci si trova di fronte ad una città dove ciascuno ha trovato un pezzo di terra da sfruttare per la propria s opravvi venza fisica e chiunque tenti di invadere o calpestare quel pezzo di terra viene vi olentemente attaccato, come accade a Mil oud, protagonista 15 del film, giunto quasi per caso a Bucarest. Pian piano però questa città, vista come risorsa materiale e fisica da sfruttare, diventa, almeno per i bambini dei tombini, sorgente di speranza e di rinascita interiore, grazie soprattutto a Miloud, che “ROMPE” i loro confini territoriali. Ed ecco che ci si ritrova intorno ad un fuoco a ballare, a cantare e a recitare in un pezzo di terra delimitato da sempli ci nastri bi anchi e r ossi, quasi imper cettibili, che creano una nuova possibile città, quella del “RISPETTO” di se stessi e degl i al tri , del l avor o, dell’onestà, della collaborazi one e della fiducia. I bam bini di Bucarest alla fine preparano e mettono in scena uno s pettacolo teatrale proprio in quella terra che era stata per loro fonte di s offerenza. Lo spettacolo che offr ono, non è sol o per se stessi. È uno spettacolo che i bambini offrono alla città come spe- ranza di rinascita della città stessa e dei suoi abitanti. Si cur amente il lavoro da svolgere in questa città non è terminato. Ma questo “strano pers o na g gi o” mostra una strada che anche NOI, nelle nostre città, dovremmo percorrere e aiutare nel cammino quelli meno fortunati: la strada del “R ISPETTO” di se stessi, degli altri e di tutto quello che ci circonda. Vorrei infi ne sottolineare un’ultim a cos a, nell’ otti ca del “RISPETTO” il protagonista del film mi ha ricordato un altro “strano pers onaggio”, di un paese dell’Italia centrale, che ogni tanto viene dimenticato; il suo slogan era “I CARE” che tradotto dall’inglese vuol dire “MI IMPORTA”, “HO A CUORE”. Giusepp e Verrastr o (N.D.R . Il personaggi o a cui si all ude è don Lorenzo Milani) 16 LA Città e la sua identità come valore «Noi dobbiamo pensare che ogni città indipendente si deve riguardare come una vera persona morale, avente una cert’anima con un certo corpo, mossa da particolari circostanze di un dato tempo, di un dato luogo, e con determinate esterne relazioni». Carlo Cattaneo; “La città considerata come principio ideale delle istorie italiane” 1858 L’insi gne giurista trecentesco Bartolo da Sassoferrato, nei suoi Consilia, sosteneva che: “civitas vero secundum usum nostrum appellatur illa quae habet episcopum” (secondo le nostre usanze si chiama città quella che ha un vescovo) mentre ancor prima, nel De civitate Dei scritto tra IV e V secolo, Sant’Agostino già avvertiva l’importanza di distinguere nettamente l’anima o la mente della città, la “civitas”, dalla sua consistenza fisica,“l’urbs”: “non muros urbis, sed mentes civitatis.” Nel corso della storia la definizione di città e di comunità si arricchisce di nuovi contenuti; sicuramente originale è il percorso di Carlo Cattaneo che, dentro il fecondo alveo del pensiero risorgimentale, coglie la necessità di valorizzare la città e la sua identità in un progetto federativo capace di ispirarsi all’originalità della storia italiana che è soprattutto storia di “poleis”: le città stato etrusche, la Roma capace di federarsi con le città italiche, i Comuni medioevali, le tante “Italie” dei secoli successivi. Cambiano i tempi, i modi e le soluzioni, ma il filo conduttore della ricerca è sempre lo stesso: capire cos ’ è l a tr a di zi one , l’identità, l’anima di una città, delle tante città, intuendo quanto tutto questo risulti connesso con il senso di appartenenza del popolo. Vuol dire che fin dai tempi più antichi, l’identità di una comunità, soprattutto nel nostro paese, era già sentita come una risorsa preziosa e capace di preservarne il suo valore intrinseco, la sua stessa esistenza. Queste considerazioni sono più attuali che mai, soprattutto quando le collochiamo accanto alla nostra modernità fatta, come poche volte nella storia umana, di epocali spostamenti di persone, dal sud al nord del pianeta. Il tema, per la vastità di implicazioni, è di quelli che persino l’ONU a- 17 vrebbe difficoltà a circoscrivere ma, non per questo, rinunceremo a tratteggiarne qualche aspetto. Le nostre città vivono, inutile nasconderlo, un complesso processo di incontro/scontro con le varie etnie che si riversano da ogni parte del mondo entro flussi migratori che spesso sembrano impazziti. È illusorio credere che questo processo possa avvenire senza scosse perché ostacoli culturali enormi sono presenti sia in chi arriva sia in chi riceve. Nel nostro tempo, il contatto tra la comunità d’origine e chi arriva dai paesi del terzo mondo (o di recente entrata nella comunità europea), o è scontro o è rassegnazione ad un incontro forzato. Chi sopraggiunge nella nostra città non ci conosce ma anche noi non conosciamo; non conosciamo chi giunge da noi ma soprattutto non riconosciamo più noi stessi. Tendiamo a smarrire le nostre origini (la scomparsa dei dialetti è il dato più visibile) perchè viviamo in un mondo che bada al sodo o alla rincorsa verso l’illusione del denaro e così l’investimento sulla nostra memoria storica è un lusso. Siamo senza radici e diventiamo guardinghi, sospettosi, generalizziamo e tendiamo ad adottare il luogo comune per descrivere qualsiasi evento. Dovremmo tentare di individuare due soluzioni per armonizzare la con- vivenza. Da un lato offrire sicurezza; le persone di qualsiasi comunità devono avvertire che i loro beni e i loro valori non vengano violentati da nulla e da nessuno. Dall’altro c’è bisogno di aumentare la capacità di risposta culturale rispetto al contatto con l’emigrazione. Forse c’è anche una risposta educativa da erogare perché chi giunge nella nostra città deve trovarsi di fronte persone sicure, capaci di accettare le differenze, perché forti delle loro radici, della bontà della loro identità e sicure che nulla e nessuno le cancellerà. Una comunità è tanto più fiduciosa in sé stessa e forte quanto più capisce che i suoi valori originari, le sue radici, non verranno cancellati dal convulso intreccio di popolazioni che finiscono entro il suo perimetro geografico e culturale. Compito della politica e delle istituzioni è produrre tanta sicurezza e tanta cultura, compito dei cittadini è crescere autonomamente aumentando il proprio grado di comprensione della società, compito della Chiesa è difendere e diffondere i propri valori spirituali per ricordare alla comunità e alla città la forza delle proprie radici religiose. Walter Cristiani 18 Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band Beatles, 1967 Sgt.Pepper’s Lonely Hearts Club Band, l’ottavo album dei Beatles uscito nel giugno 1967, è ancora oggi riconosciuto, da critici e appassionati di musica, come un disco leggenda del rock. Nel 2003, la quotata rivista “Rolling Stone”, pubblicando la classifica dei 500 album più importanti di sempre, lo ha posizionato al primo posto assoluto. Soprattutto con "Sgt. Pepper's", i “Fab Four” riescono ad entrare nella musica universale, non più circoscrivibile dentro una data o in un’epoca. Nei testi e nella musica “Sgt Pepper’s”diventa il primo “concept-album” della storia del rock perché presenta una trama. "Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band" è infatti il preludio che introduce la finzione: a suonare non sono i Beatles ma la “Banda dei cuori solitari del sergente Pepe”. With a little help from my friends” , cantata da Ringo Star, aggiunge la novità della sua struttura compositiva: John Lennon alterna domande e risposte rendendo il testo simile a un’intervista. Segue la stupenda “Lucy in the Sky with Diamonds”, divenuta famosa per una presunta allusione delle sue maiuscole alla droga “LSD”, ma anche per essere riuscita a rappresentare una sorta di affresco musicale dell'era psichedelica. Paul McCartney firma invece le morbide "Getting Better" e "Fixing a Hole", mentre la dolce e malinconica She's Leaving segna il perfetto equilibrio creativo del duo Lennon - Mc Cartney. Being For the Benefit of Mr. Kite! è un’idea scherzosa di Lennon mentre Within You Without You, scritta da George Harrison, è una trasposizione originale in musica della sua esperienza induista. Entrambe composizioni di Paul, la delicatissima When I'm Sixty-Four e la geniale Lovely Rita, nata da una discussione vivace con una ragazza vigile. Good Morning Good Morning di Lennon ha un ruolo importante nell'i ntrodurre il gran finale: il capolavoro dell'album e il punto più alto della collaborazione Lennon-McCartney, ovvero A Day in the Life. Anche in questo brano molti lessero riferimenti alla droga in frasi che Lennon sostenne in seguito essere solo esercizi di “non sense”: “ho letto il giornale oggi, ragazzi! / 4000 buchi a Blackburn, Lancashire / e sebbene i buchi fossero piuttosto piccoli / hanno dovuto contarli tutti / ora sanno quanti buchi ci vogliono a riempire l'Albert Hall”. Talvolta accade che un artista porti un genere artistico a un tale livello di perfezione da decretarne la fine; con Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band, i Beatles raggiunsero una vetta così elevata che nessuno, in seguito, avrebbe eguagliato e ciò, in parte, dispiace. Federico Cristiani 19 SEGNI DEL Signore… Signore Abbiamo affidato al Signore pensandoli custoditi nella sua Casa: Marino Di Lecce 13 dicembre Gisella Frazza 13 dicembre Teresa Colombo 15 dicembre Paolo Mareschi 28 dicembre Teresa Mascheroni 29 dicembre Luigia Viola 1 gennaio Giovanni Trentin 14 gennaio Donatantonio Sughero 16 gennaio Luigino Paolucci 17 gennaio Gerardo Ostoni 17 gennaio Roberto Oggioni 27 gennaio Cesare Gagliardi 1 febbraio Maria Ballusi 4 febbraio Michela D'Antoni 6 febbraio Ambrogina Oriani 13 febbraio Anna Marzano 13 febbraio Nicola Chiarappa 20 febbraio Adele Corengia 25 febbraio Giovanni Milanesi 25 febbraio Piera Ferrario 26 febbraio Aldo Castelnovo 1 marzo Fulvio Longoni 8 marzo Carlo Zani 10 marzo Teresa Piscioneri 11 marzo Antonio Fumagalli 14 marzo Abbiamo immerso nell’Amore di Dio attraverso il sacramento del Battesimo: Lorenzo Mariani Sara Generosi Thomas Rutigliano Simone Beretta Luca Margarita Giulia Siewers Andy Huayta Cuestas Alessio Huayta Cuestas Il 2 gennaio ha celebrato i suoi 100 anni: Angela Marini ved. Finotto Subito dopo Pasqua affideremo al Signore 36 ragazzi di prima media che riceveranno il dono della Confermazione e della prima Comunione. Eccoli: Alice Aliverti Gerald Asuncio n Michael Bisogno Christian Boga Riccardo Boroni Giada Bovino Marco Capillo Kevin Capogrosso Nicole Asia Colombo Pamela Crippa Luca De Cristofaro Manuel Diana Marika Diana Davide Ehoumann Alice Fabiano Greta Infante Fabio La Quatra Claudio Marconi Irina Masut Andrea Mazza Andrea Miele Cristian Neri Martina Pastore Maria Perna Boemio Vanessa Pettenati Kevin Picone Luigi Piserchia Asia Poli Manuel Rechichi Matteo Hienok Scarcella Giulia Schettino Riccardo Sorrentino Ilaria Tartaglia Lucrezia Sofia Uberti Ilaria Zabarella Edoardo Zurlo 20 La settimana santa CONFESSIONI Martedì 7 alle 21.00 durante una celebrazione penitenziale. Giovedì 9, venerdì 10 e sabato 11 dalle 17.00 alle 19.00. DOMENICA DELLE PALME Ci troveremo alle 9.45 in Oratorio per la processione con la benedizione delle Palme e degli Ulivi. Segue l’Eucaristia. GIOVEDÌ SANTO Riviviamo l’ultima cena di Gesù e la sua consegna ai suoi discepoli, oggi a noi. Da memoria dell’uscita dall’Egitto diventa Passaggio dalla morte alla Vita. Alle 21.00 celebreremo la S. Messa in Coena Domini. VENERDÌ SANTO Dopo aver amato i suoi che erano nel mondo li amò sino alla fine. A ciascuno di noi Gesù ripete: “attirerò tutti a me”. Alle 15.00 siamo invitati ad adorare la croce di Cristo che verrà innalzata al posto del “pane dell’Eucarestia” come segno luminoso di salvezza donatoci da Colui che si è detto ed è “la Risurrezione e la Vita”. Alle 20.45 vivremo la VIA CRUCIS a partire dalla Madonnina di Litta Modignani. NOTTE SANTA NELLA PASQUA Nella notte risuona il canto di vittoria: Cristo è risorto! Insieme possiamo lasciarci toccare il cuore da questo annuncio che è per ciascuno di noi. Alle ore 21.00 inizierà questa liturgia pasquale nella quale celebreremo in pienezza il mistero della nostra fede cristiana. GIORNO DI PASQUA Celebreremo come ogni domenica alle 10.00, 11.30 e 18.00. LUNEDÌ DELL’ANGELO Celebreremo l’Eucaristia alle 10.00.