RACCONTI IN CAMMINO - N. 6

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RACCONTI IN CAMMINO - N. 6
Rammino
C
acconti in
La città
A CURA DELLA PARROCCHIA SAN FILIPPO NERI - MILANO
EDITORIALE
N. 6 - 29 MARZO 2009
Attravers o la maggi or parte degli articoli
presenti in questo numero, abbiam o voluto
fissare l’attenzione sul tema della “Città”.
Parlando di “Città” non abbi amo pensato
solo a quell’aggregato umano che, per le sue
caratteristiche geografi che e di popolazione,
siamo soliti definire con questo nome.
Nella nostra accezi one, “Città” è ogni luogo nel quale un insieme di uomini cercano di
costruire relazi oni, più o meno dirette, e di
cooperare al fine di sviluppare ed or gani zzare il proprio vivere nel mondo e nel tem po.
Una cooperazione il cui fondamento, per i
cristiani, ha radici nell’azi one creatrice del
Padre che chiede a ciascun essere umano di
mettere le proprie capacità, la pr opria intelligenza, vol ontà e creatività a servizio del sogno di Dio, e cioè per la realizzazione degli
uomini.
Per mezzo di questi articoli, abbiam o cercato di raccontare vari modi attraverso i
quali è possibile vivere questa cooperazione,
certi che da ci ascuna esperienza, passata o
presente, potranno emergere preziosi spunti
di riflessione.
SOMMARIO
2
Costruttori della città dell’uomo
Giuseppe Lagattolla
4
Chiesa, cristiani e società
La redazione
7
Né santi né diavoli: periferici
Andrea Pagliardi
8
La città nella città
Cristina Bassani
9
Il triduo pasquale
don Denis e don Francesco
10
Una città da leggere
La redazione
12
Città: una crisi per pensare
Francesca Zanchi
14
Un film da vedere: pa-ra-da
Giuseppe Verrastro
16
La città e la sua identità come valore
Walter Cristiani
Sgt. Pepper's Lonely Hearts
Club Band, Beatles, 1967
Federico Cristiani
18
19
I segni del Signore
20
Il programma della
settimana santa
Un augurio di
Buona lettura.
La redazione
BUONA PASQUA!
2
Costruttori
della Città dell’uomo
Come forse vari lettori ricor deranno, nel corso dell’anno pastorale 2005
-2006, l’allora Gruppo Culturale della
nostra Parrocchi a organi zzò un ci clo di
tre incontri aventi come tema “La città
vivibile”. Durante l’incontr o di chiusura, che ebbe luogo nel maggi o 2006,
venne pr oposta una riflessione su un
uomo, Gi orgio la Pira, che nel dopoguerra trasformò Firenze ( di cui fu sindaco per circa dieci anni, a cavallo fr a
gli anni Cinquanta e Sessanta) in città
simbolo di mediazione politica e s ociale e luogo di profondo dialogo.
A distanza di
quasi tre anni,
torniamo a quelle
riflessioni perché
siamo
convi nti
che La Pira, insieme ad altre significative figure che
in quegli anni operarono nel panorama politico italiano nel difficile
processo di rinascita politica e sociale
(Dossetti, Lazzati, De Gasperi,…), rappresenti una figura che alla Città ha dedicato passione ed energie, impegnandosi alla sua costruzione in una dimensione di servizio.
La Pira aveva una visione alta della Cit-
tà, che concepiva come una sorta di entità spirituale, la cui amministrazione non
poteva essere ridotta alla sola gestione
del quotidiano. La Città era invece pensata come luogo ove costruire risposte ai
bisogni dei più umili e dove l’impegno
cristiano potesse trovare dimora.
Fin dalla sua prima elezione a Sindaco di Firenze, nel 1951, La Pira lavor ò
per perseguire il suo disegno di
“comunità-città”, attento ai bisogni
dell’uomo ed alle sfide del suo tempo.
Con un’interpretazione singolare e nobile del ruolo della
politica, La Pira
perseguì un progetto politico inedito, che a molti
poteva apparire
per certi versi utopistico, ma nell’
ambito del quale
egli riuscì ad utilizzare gli strumenti
della politica, ed i
partiti stessi, per
abbattere quelle
barriere che impedivano di avvicinarsi,
appunto, ai più bisognosi. Possiamo dire che in lui fede, cultura ed azione politica si compenetrarono e diventarono
gli strumenti per operare una radicale
evangelizzazione del mondo. Per La
Pira, infatti, i cristiani sono coloro che
3
si impegnano per divenire protagonisti
attivi della società e della politica, tesi
ad una trasformazi one che renda le
strutture sociali quanto più possibile
adeguate alla vocazi one di Dio.
Nel
li br o
della Genesi
troviamo un
versetto che
può sintetizzare bene questo
ruolo attivo a
cui è chiamato
l ’uom o;
un
ruolo di costruttore della
Città nella quale è chiamato a vivere. Così in Genesi
2,15: “Il Signor e Dio pr ese l’uomo e lo
pose nel giardino di Eden, perché l o coltivasse e custodisse”. Il giardino di cui si
parla può significare tutto: la vita di ciascuno di noi, la Città, il mondo. L’uom o
non è padr one del giardino, ma ne è
responsabile. Il giardino è la nostra vocazione fondamentale, qualunque essa
sia; sono gli incontri che facciamo ogni
giorno; è la nostra Città. Non c’è uom o
che non abbia un giardino da coltivare e
custodire. Per il popol o d’Israele ogni
uomo era chiamato a vivere il proprio
sacerdozio nel giardino che il Signore gli
aveva dato.
Allora, per tornare alla vocazione
fondamentale del nostro La Pira, ci piace pensare che, nel suo operare quotidiano, egli si sia fatto illuminare dal ver-
setto biblico che abbiamo letto e ad
esso sia ritornato ogni volta che la fatica poteva sembrare insopportabile. Del
suo continuo riferirsi al testo biblico
troviamo conferma in alcune lettere
che lo stesso La
Pira inviò a Pino
Arpioni, suo intimo amico e
fondatore
di
un’ass ociazi one
laicale (Opera
per la gioventù
“Giorgio La Pira”) impegnata
nella formazione umana e cristiana dei giovani.
In esse La Pira precisava che per
comprendere bene l’unità del cammino
e del destino umano, bisogna prendere
come modello la storia del popolo di
Israele. Così come tutto Israele era impegnato, sotto la guida di Mosé, nel
grande cammino verso la “terra promessa”, anche l’umanità intera è avviata
verso un’unica e comune destinazione
storica. Per La Pira è necessario prendere coscienza di questa storia totale
dei popoli ma, altresì, di quella particolare del popolo e della Città nella quale
siamo chiamati a vivere.
Un’intensa esortazione all’esserci,
alla partecipazione, a fornire il nostro
piccolo o grande contributo… per la
costruzione del nostro giardino.
Giuseppe Lagattolla
4
CHIESA, CRISTIANI E SOCIETÀ
Qual è il compito della Chiesa nel
mondo di oggi dominato da un orizzonte che appare fosco e chiuso? Quale il
suo messaggio in un momento storico
in cui gli uomini sembrano compiere
piccoli passi verso la barbarie? Enzo
Bianchi, fondatore e priore della Comunità Monastica di Bose, da sempre si
interroga su questi temi, che hanno a
che vedere con la presenza dei cristiani
nella società e con lo stile di relazione
che essi impostano con le culture altre
con le quali, inevitabilmente, vengono
in contatto. Per Enzo Bianchi, è indispensabile che la Chiesa nel suo insieme e ogni singolo credente si interroghino sul proprio statuto nel mondo.
Risalendo il cammino della fede fino al
cristianesimo evangelico delle origini e
cercando nei testi del Nuovo Testamento risposte alle inquietudini del nostro tempo, il cristiano, uomo tra gli
uomini, vive il rischio di una scelta come
atto di libertà, e come ricerca continua,
rinnovata di giorno in giorno in singoli
gesti di responsabilità. I cristiani, inseriti
nella società, non possono rinunciare
all'annuncio della salvezza o abdicare alla
testimonianza di fede e devono comunicare con le culture degli uomini senza
arroganza o superiorità, fedeli all'unica
parola di amore che Cristo ha affermato
sulla terra, contro ogni forma di intolleranza e fondamentalismo.
Questi temi trovano un felice approfondimento in un testo, dello stesso
Bianchi, pubblicato nel 2003 e intitolato, giustappunto, “Cristiani nella società”. Facendoci guidare dagli innumerevoli spunti presenti nel testo, abbiamo
voluto evidenziare alcuni passaggi dell’
Autore (virgolettandoli), nella speranza
che il lettore possa trovare, negli stessi,
interessanti stimoli di riflessione.
5
La società è, per definizione, il luogo
dell’incontro con l’altro, con altri esseri
umani che possono essere da noi considerati utilizzando classificazioni anche
molto diverse fra loro. La stessa storia
cristiana è ricca di situazioni in cui
l’altro è stato oggetto di demonizzazione. Si pensi, a titolo esemplificativo, ai
pagani o agli eretici e a come questi
siano stati spesso inquadrati nella categoria dei “nemici”.
Ma, dice Bianchi nel suo testo, «il cristianesimo deve essere pronto a riscoprire la categoria, così cara al monaches i m o , del l a xen i teì a , del l a
“stranierità”… L’indole escatologica del
cristianesimo rende i cristiani stranieri
e pellegrini (cfr. 1Pt 2,11) ed è proprio
questa condizione di “stranierità” che
può costituire la base di partenza per
un riconoscimento dell’altro e un incontro con lui. È così che si può evitare
ogni rischio di fare dell’altro un nemico,
cosa che l’evangelo interdice al cristiano, mentre gli chiede di amare colui
che si fa suo nemico. Ed è solo così che
l’altro può arrivare a essere colto come
fratello, cioè solo dopo aver riconosciuto e assunto tutte le sue radicali
differenze di lingua, etnia, colore della
pelle, religione, etica… Questa radicale
differenza, che potrebbe essere a fondamento del nascere di un’inimicizia,
può diventare la base dell’autentica fratellanza attraverso il far avvenire in sé
la differenza dell’altro». E ancora, «un
incontro esige preliminarmente la conoscenza. La conoscenza esige la volontà positiva di dare del tempo
all’altro, di ascoltarlo e di condividere
con lui ciò che si ha di più prezioso ».
«Affrontare il problema dell’”altro” e
del rapporto con l’altro, con chi evidenzia maggiormente la sua alterità rispetto a noi perché straniero o di altra
religione o cultura o lingua, significa in
fondo interrogarsi sulla propria identità. Oggi, infatti, la crisi che attraversa il
mondo occidentale, i cui sintomi sono
più evidenti a livello sociale e politico,
nasconde l’acuirsi di una crisi antropol ogi ca che ver te s ul pr obl em a
dell’identità». E ancora, «la percezione
dell’identità è inestricabilmente con-
6
nessa con la percezione dell’altro: la
presenza e la relazione con l’altro entrano infatti costitutivamente nel processo di formazione dell’identità personale e quindi collettiva, storica. Nella
mentalità biblica l’uomo vivente è un
uomo in relazione, un uomo capace di
vivere con l’altro. L’attuale congiuntura
ci mostra però la forza della tentazione
di seguire una scorciatoia che consiste
nel concepire l’altro, il diverso, lo straniero, come il nemico, come una minaccia. Dunque di darsi una propria
identità contro qualcun altro».
Queste difficoltà si manifestano anche per quanto attiene al tem a
del l ’i n c on tr o fr a l e r el i gi oni .
«L’incontro dei monoteismi richiede
che si sappia ascoltare le storie sacre
gli uni degli altri, non solo nel senso di
ascoltare le lor o Scritture, m a anche i
racconti delle esperienze e delle lor o
tradizioni spirituali. Questo implica il
riconoscimento dell’inter ven to divin o
nelle religi oni degli altri… Tutti e tre i
monoteismi, con le lor o Scritture sacre, sono echi della par ola di Dio che
si differenzia e di cui nessuno può proclamarsi unico detentore».
Non è un cammino facile perché «il
dialogo, come ogni comunicazione, è
un rischio. E un dial ogo serio e condotto in verità non lascia immutati, m a
trasforma. Questo rischio del dialogo,
della rinuncia alla propria autosufficienza, all’isolamento superbo e miope, deve essere corso da chi oggi vuole costruire un mondo più conviviale,
più pacifico, più fr aterno, e vuole andare più a fondo nell’esperienza spirituale».
Se è vero, dunque, che siamo in una
situazione di profonda crisi di identità
e di appartenenza, è anche vero che il
cristiano deve porsi
come antitesi rispetto
al farsi strada di due
distinti atteggiamenti,
facili ed emoti vi, ma
forse non fecondi: a
livello sociopolitico, la
s tr um ental i zzazi one
del val ore delle radi ci
etniche e, a livello religioso, l’irrigidimento
confessionale.
La Redazi one
7
NÉ SANTI NÉ DIAVOLI. Periferici
All’I.T.C.S.”Erasmo da Rotterdam” di
Bollate, fra le molte proposte di lavoro
interdisciplinare
per
gli
studenti,
quest’anno c’era quella sulle Città. Alcuni
studenti hanno letto l’opera di Gianni
Biondillo
“Metropoli per
principianti”,
hanno incontrato
l’autore a scuola,
hanno partecipato ad un convegno sulle Città
del novecento e
hanno elaborato
le proprie riflessioni. Noi ve ne
presentiamo una.
Eccomi qua,
davanti
al l o
scherm o
del
computer a raccontare chi sono i “periferici”.
Gli amici che abitano in “centro”
pensano che la maggior parte dei paesi
di periferia sia abitato da bulli, delinquenti, teppisti e malavitosi.
Siamo ragazzi di periferia, ma non ci
riconosciamo nel luogo comune che ci
vuole pr otagonisti e vittime di azioni
illegali.
Chi abita a Quarto Oggiaro sa che
può uscire la sera, senza timore di fare
cattivi incontri. Questi possono accadere dovunque, anche nel centro di una
grande città.
Noi periferici ci sentiamo sicuri della
grande rete di solidarietà di chi ha a
cuore la nostra incolumità: i vicini di
casa, la signora del terzo piano, la portinaia…
Le periferie sono i luoghi degli incontri, dei primi giri in bici, dei due calci ad
un pallone, del “te lo dico, ma non dirlo
a nessun o”. Anche questi sono
luoghi comuni?
Forse sì, ma la
piazzetta rimane il centro dei
ricordi, dei primi
appuntam enti ,
del l e
chiacchiere infinite su tutto o
su nulla.
Nel tempo tutto cambia, i
tentativi di recupero edilizio
che dovrebber o
r ender e
pi ù
belle e vivibili le nostre periferie non
sempre fanno centro, ma che importa?
Noi periferici, fieri di esserlo, sappiamo
accettare i cambiamenti, li critichiamo,
li mettiamo a confronto e, alla fine, li
accettiamo e li amiamo perché lì, a
Quarto Oggiaro o in qualunque altro
paese di periferia, ci sono e ci saranno
sempre le immagini della nostra infanzia e delle persone che conosciamo.
Gli studi o il lavoro, forse, ci porteranno lontano, ma sappiamo già che
ogni ritorno al nostro quartiere sarà un
tuffo nell a m agi a dell ’i nfanzi a e
dell’adolescenza.
Andrea Pagliardi
8
La CITTÀ
CITTÀ NELLA CITTÀ
CITTÀ
Avete mai letto Le Città Invisibili di Itasempio, la scuola collabora con Olinda e
lo Calvino? In questo libro del ’72
Il giardino degli aromi per avvicinare i
l’autore immagina cinquantacinque città
bambini al giardinaggio; Sperimentare
che è possibile vedere solo con gli occhi
Kyoto insegna loro cos’è l’effetto serra,
della mente, perché sono tutte inventate,
con misurazioni sui livelli di riscaldamenma specchio di ognuno di noi, con i noto e ossigeno all’interno di una serra apstri bisogni, la nostra voglia di
positamente realizzata. Da Olinda
aprirci e la nostra paura di farlo,
arriva Gigi, apicultore che ci spale chiusure e le facciate che molanca il mondo delle api, dei fiori e
striamo agli altri per pudore di
ci insegna a riconoscere le piante
farci conoscere . Le città sono
del parco fra un assaggio e l’altro
luoghi di scambio – scrive l’autore
del suo miele. All’Olinda possono
– ma non solo di merci; sono
andare tutti per assistere a rassescambi di parole, di desideri, di
gne culturali, per pranzare o cenaricordi. I luoghi descritti da Calvire al Bar Jodok o per soggiornare
no portano tutti nomi di donna e
all’Ostello Olinda, per fare Formafra queste c’è Olinda, la città
zione Professionale o laboratori
grande come una capocchia di
teatrali ; in estate organizza anche
spillo che ad ogni momento si fa
centri estivi per i bambini e a carpiù grande; cresce a spirale fanevale è sempre presente un suo
cendosi largo dentro la città di
carro a Villa Litta. Insomma, una
prima e le vecchie mura si dilatapiccola città che si fa spazio fra e
no per far posto ai quartieri anticon i cittadini. Il merito maggiore
chi mentre i nuovi premono per
di Olinda ritengo essere quello di
farsi spazio. Ecco, con questo
aver riaperto, dopo anni di oblio,
intento e nel tentativo di inserire
un parco avvolto da tristi ricordi,
ex malati dell’Istituto Paolo Pini Olinda in un’incisione per restituirlo ai nostri quartieri,
nel tessuto sociale della zona, in di Collen che ha illu- permettendo a chiunque di godevia Ippocrate è nata l’Olinda, una strato tutte le città re del patrimonio verde che racCooperativa Sociale conosciuta invisibili di Calvino chiude. Fatevi un giro, con la bella
da tutti, anche se non tutti ne condividostagione, in bici, a piedi; scegliete il mono i princìpi ispiratori. In realtà Olinda è
mento in cui maturano ciliegie e amareun “contenitore” per altre associazioni
ne… Anche coglierne qualcuna sarà
più piccole che, grazie a varie sponsorizun’esperienza, antica e nuova insieme, di
zazioni Provinciali, riesce a promuovere
pace e serenità.
e diffondere occasioni preziose. Per eCristina Bassani
9
Il “triduo” pasquale
Ogni domenica siamo invitati a celebrare la Pasqua di Gesù. E cioè il memoriale di un Padre che manda il figlio
e nello Spirito santo si dona ad ogni uomo. Celebriamo il suo consegnarsi a
ciascuno e a
tutti. Il suo ritenere la vita
dell’ultimo uomo di questo
mondo così importante da offrirgli in dono la
propria.
La
Chi es a
sente il bisogno
di
celebr ar e
questo avvenimento una volta all’anno
in modo particolarmente solenne e
profondo, distendendo questo Mistero
in tre giorni, dando la possibilità a ciascuno di entrarci dentro.
Il cuore della celebrazione della sera
del giovedì santo sta nel rivivere
quell’ultima cena in cui Gesù si è consegnato ai suoi, a tutti i suoi, e poter
prendere parte anche noi a questa cena. Una cena in cui raccogliamo il testamento di Gesù, in cui riviviamo il legame di questa cena con la consegna di
Gesù, con il suo tradimento, con la sua
accoglienza del rifiuto degli uomini
Il cuore della celebrazione del pomeriggio del venerdì santo sta nel metterci
anche noi sotto la croce a guardare,
impotenti, senza che ci sia chiesto di
fare nulla se non di accogliere quella
vita che si dona, e da lì, sotto la croce,
affidare al Signore la nostra vita, le persone, i vicini e i lontani, la Chiesa ed il
m ondo,
chi
cammina con
noi e chi è già
con il Signore…
U na
gr ande
preghi era
di
i nter ces s i one
che ci metta in
contatto
con
tutta l’umanità,
quella di oggi,
quella di ieri e
quella di domani…
Il cuore della celebrazione della Veg l i a p as q u a l e i l s a b a t o s t a
nell’accorgersi che il Signore è il Padre
della Vita, che non abbandona suo Figlio e i suoi figli nella morte, ma che
della morte è vincitore. E scoprire che
la vita è un dono che più si dona più si
ritrova pieno e vivo. Scoprire che la
vita dell’Amore è proprio il suo morire
per essere ancora più vivo
L’augurio e l’invito reciproco è che
partecipando alle celebrazioni del triduo, possiamo vivere un incontro che
visiti il cuore e la mente, e tocchi la nostra esistenza.
don Deni s e don Francesco
10
UNA CITTÀ DA LEGGERE
Se vi piace legger e, se qualche articolo
vi ha particolarmente interessato, potete
trovare spunti di approfondimento fra
questi titoli:
TITOLO: Metropoli per principianti
AUTORE: Gianni Biondillo
EDITORE: Guanda
Architetto convertito alla letteratura,
l’autore ci racconta l’arte del costruire
e le trasformazioni dello spazio urbano
con la competenza del tecnico e la leggerezza dello scrittore. Grazie al linguaggio non settoriale, Biondillo ci accompagna in un viaggi o tra le strade, le
piazze e i quartieri della nostra città,
invitandoci ad osservare con occhi nuovi ciò che vediamo distrattamente ogni
giorno. Di Milano l’autore prova ad immaginare anche il futuro, parlandoci dei
diversi progetti – dalla ex Fiera alla Bicocca – che si propongono di dare un
nuovo volto alla città.
TITOLO: Milanesi non si nasce
AUTORE: Vito Piazza
EDITORE: Sellerio
Milanesi non si nasce, si diventa. Come
l’autore, quartoggiarese d’adozione,
che in questo volume racconta le storie
di Quarto Oggiaro, etichettato come il
Bronx cittadino e popolato invece soprattutto da lavoratori onesti, persone
che, giunte qui in epoca di boom economico, hanno visto i loro sogni infrangersi contro gli squallidi casermoni del
quartiere. È uno sguardo ironico quello
dell’autore, ma carico di affetto nei
confronti di chi non sarà mai riconosciuto come eroe pur affrontando con
coraggio la vita e le difficoltà di ogni
giorno. Un affresco vivido e toccante
della città, lontano dall’immagine della
Milano usa e getta, ma che forse rappresenta proprio l’essenza più vera di
questa città.
TITOLO: La città dei libri sognanti
AUTORE: Walter Moers
EDITORE:Salani
Autore di libri per l’infanzia, Moers
porta per la quarta volta i nostri ragazzi
nel fantastico m ondo di Zam onia. La
prima parte si svolge a Librandia, grande città simile ad un’immensa biblioteca
dove ogni attività è basata sullo scrivere, sul pubblicare e sul collezionare libri
di ogni genere. La seconda parte invece
si svolge nelle catacombe di Librandia,
gli immensi sotterranei della città che
11
hanno l'aspetto di lunghissimi e profondi cunicoli pieni zeppi di libri di ogni
genere, da quelli viventi a quelli pericolosi. Ildelfonso, il protagonista, è alla
ricerca dell'autore della più grande opera letteraria mai scritta, il Manoscritto Perfetto, lasciatogli in eredità dal suo
padrino poetico. Fantas y poliziesco per
ragazzi, dai 10 anni in poi
TITOLO :Street Art, Sweet Art
AUTORE:a cura di Alessandro Riva
EDITORE:Skira
Un libro che è tutto un’immagine per
far conoscere gli artisti di quest’arte
che va sotto il nome di Arte Metropolitana. I writers, tutti contemporanei,
vengono brevemente presentati per poi
lasciare spazio alle immagini delle loro
opere, che hanno acquistato fama e dignità dopo l’esposizione al PAC
(Padiglione d’Arte Contemporanea) di
Milano del 2007. Abusivi per scelta, esprimono la loro rabbia e il bisogno di
immensità
scegliendo
muri
“indisponibili” delle nostre città, trasformando spesso il grigiore delle nostre
periferie in vere e proprie opere d’arte.
Un
modo
per
conoscere
gli
“imbrattamuri” sotto una luce nuova in
un libro da guardare, più che da leggere.
TITOLO: Le città invisibili
AUTORE:Italo Calvino
EDITORE: Einaudi ( e altri)
L’opera, poco conosciuta, narra di un
immaginario Marco Polo al servizio del
Kublai Kan, che lo incarica di esplorare
per suo conto il vasto impero. In dieci
capitoli dal tema differente l’autore
conduce il lettore attraverso la scoperta di cinquantacinque città invisibili agli
occhi, ma vivide nel cuore di chi si sofferma a pensare. D’una città non godi le
sette o le settantasette meraviglie, ma la
risposta che dà a una tua domanda. Interessante anche la relazione fra il sovrano e l’esploratore, che si devono confrontare con la difficoltà di comprensione fra lingue diverse, utilizzando così
una scacchiera come tramite per le loro conversazioni.
La Redazione
12
Città: una crisi per pensare
La parola città, dal latino civitas, indica, nella tradizione occidentale, una comunità di persone unite da legami storico culturali, facenti capo a un determinato territorio con un proprio sistema
giurisdizionale. La città si identifica, in
questo modo, con la cittadinanza: un’
appartenenza comune che garantisce
diritti ed esige doveri.
Un’idea forte, con radici profonde
che attingono all’ancor più antica e gloriosa polis greca. La polis era infatti lo
spazio comune di partecipazione ai problemi e alle decisioni pubbliche e il suo
cuore era l’assemblea o ekklesìa. In tale
spazio comune, e in questo senso politico, si definivano la libertà e la virtù, areté, dei cittadini. Da queste originarie,
singolari esperienze storiche, destinate a
esercitare un’influenza millenaria, nacquero il concetto e la scienza della politica: da polis, politeia.
Certo, nel corso dei secoli, il profilo
della città ha assunto valenze più complesse, ma non ha mai perso il suo originario significato, quello che rinvia ad una
comunità di persone che, in virtù della
loro identità di appartenenza, si propongono, in vario modo, come soggetto
politico.
Oggi, in una fase di grandi trasformazioni dovute al processo di globalizzazione, è diventato più problematico e
difficile riconoscersi nella comunità di
appartenenza, soprattutto in città grandi
e dinamiche come Milano.
Flussi migratori irreversibili su scala
planetaria ci hanno messo bruscamente
in contatto con gruppi, sempre più numerosi, di altra appartenenza, di altra
lingua e cultura, a cui fa riscontro, in noi,
un senso di “spaesamento”, accompagnato spesso da timore e anche da ostilità nei confronti degli immigrati.
Le nostre comode, e forse pigre, sicurezze identitarie, hanno incominciato a
vacillare
producendo
irrigidimenti
nell’idea di cittadinanza, come mura difensive dal pericolo che, nella percezione della propria appartenenza, rappresenta l’alterità.
Da qui è facile slittare nel pregiudizio
contro lo straniero, nel rifiuto-esclusione
di chi è diverso da noi, dal nostro mondo
e dalla nostra verità. Un rifiuto che assume non di rado la forma di un vero e
proprio razzismo, con cadute verticali
nei valori di umanità e di solidarietà, come attestano recenti episodi documentati da desolanti rassegne di cronaca fornite
da giornali e telegiornali.
Come vivere, in tempi di crisi e di ra-
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pidi cambiamenti planetari, la nostra appartenenza alla città, comunità che non si
può chiudere alla storia e oggi ci chiede
di saper accogliere il nuovo che avanza
senza abiurare i nostri doveri, civili oltre
che cristiani, di umanità e di accoglienza?
In più occasioni è stato detto che la
crisi in atto, che non è solo socioeconomica ma anche morale, può essere un’occasione preziosa per riflettere
sui nostri comportamenti e stili di vita,
sui modelli culturali finora acriticamente
utilizzati, sulla stessa idea di identità, e
concedersi del tempo per pensare e ragionare insieme.
A questo proposito è interessante
l’iniziativa intrapresa da un’istituzione privata che ha indetto, fin dal 2007, la Giornata mondiale della lentezza, il cui messaggio è: concediamoci il tempo per pensare.
Un appello già lanciato da Hannah
Arendt negli anni ‘50, in un momento di
crisi della democrazia e della politica,
dopo l’esperienza tragica della guerra e
dei totalitarismi: la prima cosa da fare,
diceva, è riappropriarci del pensiero,
della capacità di conoscere e giudicare
in modo autonomo. E poi, continuava,
dobbiamo riappropriarci della politica,
che va intesa come spazio della polis che
appartiene ai cittadini, prima che ai partiti o al potere. Ritornare a parlare tra
noi, nei luoghi della vita di tutti i giorni,
nelle forme più genuine della politica,
che sono le forme dell’agire. Un agire
che per la Arendt significa “dar luogo a
qualcosa di nuovo”, dal greco archein:
dare inizio, prendere l’iniziativa, far nascere, puntare al futuro.
Spesso, infatti, l’incepparsi dei meccanismi noti apre scenari nuovi, fa nascere
desideri e progetti, produce possibilità
impreviste che vanno colte ed elaborate.
Ma occorre lo spazio comune del
pensiero e dell’agire politico, nel senso
su chiarito.
Se guardiamo al lungo ed esemplare
passato della civitas milanese, scopriamo
che ad essa non sono mai mancate le risorse per riprendersi e rinnovarsi, anche
in tempi molto bui. Quelle sue tradizionali
virtù, tra cui la sobrietà e la laboriosità,
tanto lodate da Bonvesin della Riva, illustre scrittore milanese del 1200, potranno
ancora sostenere la sua ripresa, che è
anche la nostra, nella direzione del nuovo
che si affaccia come inizio del futuro.
Quello che conta è fermarsi un momento a pensare per capire, attivando,
nel dialogo interno al nuovo orizzonte
della civitas, le molte risorse presenti in
noi e non ancora esplorate.
Francesca Zanchi
14
UN FILM DA VEDERE: PAPA-RARA-DA
PA-R A-DA è una fondazi one r omena non governativa che si occupa del le pers one emar ginate nella città di
Bucarest e in particolare delle pr oblematiche legate ai giovani e ai bam bini
di strada.
Questa fondazione è stata creata, e
soprattutto voluta, nel 1996 da Mi loud Oukili, un fr ancese che di professione fa il Cl own di strada. Q uesto
film racconta l’inizi o del cammino che
ha portato Miloud a fondare questa
associ azi one.
Negli anni ottanta i n R omani a c’er a
una legge che finanziava le fami glie
numerose; all’inizi o degli anni novanta, con l a caduta del regime di Ceaseuscu, questa nazi one, attraversata
da una forte crisi economica, si ritro-
va abbandonata a se stessa.
Molti bambini e r agazzi scappan o
dalle proprie famiglie o dagli or fanotrofi riversandosi nelle strade dell a
capitale: Bucarest.
Una città che in questo film viene
rappresentata “DIVIS A” tra i tanti individui che la abitano e che si coalizzano in gruppi per appropriarsi di un
pezzo del suo territori o.
Tra i tanti indi vidui che si coali zzano ci sono i bambini scappati dagli or fanotr ofi, che tr ovano nei tom bini
della città la l or o dim ora ed il l or o
“RIFU GIO ”; ci s ono i negozianti , che
tengono i bambini distanti dai l or o
negozi per paura di essere derubati ;
ci sono i m alfattori che si s ono im pos sessati di una parte della città che l a
tengono s otto la lor o giurisdizione e ci s ono infi ne le for ze
dell’or dine che apparentemente tutelano l a città mentre
in realtà si limitano a gar antire
che la spartizi one della stessa
non crei disordini di alcun genere.
Nel film ci si trova di fronte
ad una città dove ciascuno ha
trovato un pezzo di terra da
sfruttare per la propria s opravvi venza fisica e chiunque
tenti di invadere o calpestare
quel pezzo di terra viene vi olentemente attaccato, come
accade a Mil oud, protagonista
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del film, giunto
quasi per caso a
Bucarest.
Pian piano però questa città,
vista come risorsa materiale e
fisica da sfruttare, diventa, almeno per i bambini dei tombini,
sorgente di speranza e di rinascita interiore,
grazie soprattutto a Miloud, che
“ROMPE” i loro
confini territoriali.
Ed ecco che ci
si ritrova intorno ad un fuoco a
ballare, a cantare e a recitare in un
pezzo di terra delimitato da sempli ci
nastri bi anchi e r ossi, quasi imper cettibili, che creano una nuova possibile
città, quella del “RISPETTO” di se
stessi e degl i al tri , del l avor o,
dell’onestà, della collaborazi one e
della fiducia.
I bam bini di Bucarest alla fine preparano e mettono in scena uno s pettacolo teatrale proprio in quella terra che
era stata per loro fonte di s offerenza.
Lo spettacolo che offr ono, non è sol o
per se stessi. È uno spettacolo che i
bambini offrono alla città come spe-
ranza di rinascita
della
città stessa e
dei suoi abitanti.
Si cur amente
il lavoro da
svolgere in
questa città
non è terminato.
Ma questo
“strano pers o na g gi o”
mostra una
strada
che
anche NOI,
nelle nostre
città,
dovremmo percorrere
e
aiutare
nel
cammino quelli meno fortunati: la strada del “R ISPETTO” di se stessi, degli
altri e di tutto quello che ci circonda.
Vorrei infi ne sottolineare un’ultim a
cos a, nell’ otti ca del “RISPETTO” il
protagonista del film mi ha ricordato
un altro “strano pers onaggio”, di un
paese dell’Italia centrale, che ogni
tanto viene dimenticato; il suo slogan
era “I CARE” che tradotto dall’inglese
vuol dire “MI IMPORTA”, “HO A
CUORE”.
Giusepp e Verrastr o
(N.D.R . Il personaggi o a cui si all ude
è don Lorenzo Milani)
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LA Città
e la sua identità come valore
«Noi dobbiamo pensare che ogni città
indipendente si deve riguardare come una
vera persona morale, avente una
cert’anima con un certo corpo, mossa da
particolari circostanze di un dato tempo,
di un dato luogo, e con determinate esterne relazioni».
Carlo Cattaneo; “La città considerata
come principio ideale delle istorie italiane” 1858
L’insi gne
giurista
trecentesco Bartolo
da Sassoferrato, nei
suoi Consilia, sosteneva che: “civitas vero
secundum usum nostrum appellatur illa
quae habet episcopum” (secondo le nostre usanze si chiama
città quella che ha un
vescovo) mentre ancor prima, nel De civitate Dei scritto tra
IV e V secolo, Sant’Agostino già avvertiva l’importanza di distinguere nettamente l’anima o la mente della città, la
“civitas”, dalla sua consistenza fisica,“l’urbs”: “non muros urbis, sed mentes
civitatis.” Nel corso della storia la definizione di città e di comunità si arricchisce
di nuovi contenuti; sicuramente originale è il percorso di Carlo Cattaneo che,
dentro il fecondo alveo del pensiero risorgimentale, coglie la necessità di valorizzare la città e la sua identità in un
progetto federativo capace di ispirarsi
all’originalità della storia italiana che è
soprattutto storia di “poleis”: le città
stato etrusche, la Roma capace di federarsi con le città italiche, i Comuni medioevali, le tante “Italie” dei secoli successivi. Cambiano i tempi, i
modi e le soluzioni, ma il filo
conduttore della ricerca è
sempre lo stesso: capire
cos ’ è l a tr a di zi one ,
l’identità, l’anima di una città, delle tante città, intuendo quanto tutto questo risulti connesso con il senso
di appartenenza del popolo.
Vuol dire che fin dai tempi
più antichi, l’identità di una
comunità, soprattutto nel
nostro paese, era già sentita
come una risorsa preziosa e capace di
preservarne il suo valore intrinseco, la
sua stessa esistenza. Queste considerazioni sono più attuali che mai, soprattutto quando le collochiamo accanto alla
nostra modernità fatta, come poche volte nella storia umana, di epocali spostamenti di persone, dal sud al nord del
pianeta. Il tema, per la vastità di implicazioni, è di quelli che persino l’ONU a-
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vrebbe difficoltà a circoscrivere ma, non
per questo, rinunceremo a tratteggiarne
qualche aspetto. Le nostre città vivono,
inutile nasconderlo, un complesso processo di incontro/scontro con le varie
etnie che si riversano da ogni parte del
mondo entro flussi migratori che spesso
sembrano impazziti. È illusorio credere
che questo processo possa avvenire
senza scosse perché ostacoli culturali
enormi sono presenti sia in chi arriva sia
in chi riceve. Nel nostro tempo, il contatto tra la comunità
d’origine e chi arriva dai
paesi del terzo mondo
(o di recente entrata
nella comunità europea), o è scontro o è rassegnazione ad un incontro forzato. Chi sopraggiunge nella nostra città
non ci conosce ma anche noi non conosciamo; non conosciamo
chi giunge da noi ma
soprattutto non riconosciamo più noi stessi. Tendiamo a smarrire le nostre origini (la scomparsa dei
dialetti è il dato più visibile) perchè viviamo in un mondo che bada al sodo o
alla rincorsa verso l’illusione del denaro
e così l’investimento sulla nostra memoria storica è un lusso. Siamo senza radici
e diventiamo guardinghi, sospettosi, generalizziamo e tendiamo ad adottare il
luogo comune per descrivere qualsiasi
evento. Dovremmo tentare di individuare due soluzioni per armonizzare la con-
vivenza. Da un lato offrire sicurezza; le
persone di qualsiasi comunità devono
avvertire che i loro beni e i loro valori
non vengano violentati da nulla e da nessuno. Dall’altro c’è bisogno di aumentare la capacità di risposta culturale rispetto al contatto con l’emigrazione. Forse
c’è anche una risposta educativa da erogare perché chi giunge nella nostra città
deve trovarsi di fronte persone sicure,
capaci di accettare le differenze, perché
forti delle loro radici, della bontà della
loro identità e sicure che nulla e nessuno le cancellerà.
Una comunità è
tanto più fiduciosa
in sé stessa e forte
quanto più capisce
che i suoi valori
originari, le sue
radici, non verranno cancellati dal
convulso intreccio
di popolazioni che
finiscono entro il
suo perimetro geografico e culturale.
Compito della politica e delle istituzioni
è produrre tanta sicurezza e tanta cultura, compito dei cittadini è crescere autonomamente aumentando il proprio
grado di comprensione della società,
compito della Chiesa è difendere e diffondere i propri valori spirituali per ricordare alla comunità e alla città la forza
delle proprie radici religiose.
Walter Cristiani
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Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band
Beatles, 1967
Sgt.Pepper’s Lonely Hearts Club Band,
l’ottavo album dei Beatles uscito nel giugno 1967, è ancora oggi riconosciuto, da
critici e appassionati di musica, come un
disco leggenda del rock. Nel 2003, la quotata rivista “Rolling Stone”, pubblicando la
classifica dei 500 album più importanti di
sempre, lo ha posizionato al primo posto
assoluto. Soprattutto con "Sgt. Pepper's", i
“Fab Four” riescono ad entrare nella musica universale, non più circoscrivibile dentro una data o in un’epoca. Nei testi e nella musica “Sgt Pepper’s”diventa il primo
“concept-album” della storia del rock perché presenta una trama.
"Sgt. Pepper's Lonely Hearts
Club Band" è infatti il preludio
che introduce la finzione: a
suonare non sono i Beatles
ma la “Banda dei cuori solitari del sergente Pepe”. With a
little help from my friends” ,
cantata da Ringo Star, aggiunge la novità della sua struttura compositiva: John Lennon
alterna domande e risposte
rendendo il testo simile a
un’intervista. Segue la stupenda “Lucy in the Sky with
Diamonds”, divenuta famosa per una presunta allusione delle sue maiuscole alla
droga “LSD”, ma anche per essere riuscita
a rappresentare una sorta di affresco musicale dell'era psichedelica. Paul McCartney firma invece le morbide "Getting Better" e "Fixing a Hole", mentre la dolce e
malinconica She's Leaving segna il perfetto
equilibrio creativo del duo Lennon - Mc
Cartney. Being For the Benefit of Mr. Kite! è
un’idea scherzosa di Lennon mentre Within You Without You, scritta da George
Harrison, è una trasposizione originale in
musica della sua esperienza induista. Entrambe composizioni di Paul, la delicatissima When I'm Sixty-Four e la geniale Lovely
Rita, nata da una discussione vivace con
una ragazza vigile. Good Morning Good
Morning di Lennon ha un ruolo importante
nell'i ntrodurre il gran finale: il capolavoro
dell'album e il punto più alto della collaborazione Lennon-McCartney, ovvero A Day
in the Life. Anche in questo
brano molti lessero riferimenti alla droga in frasi che
Lennon sostenne in seguito
essere solo esercizi di “non
sense”: “ho letto il giornale
oggi, ragazzi! / 4000 buchi a
Blackburn, Lancashire / e
sebbene i buchi fossero piuttosto piccoli / hanno dovuto
contarli tutti / ora sanno
quanti buchi ci vogliono a
riempire l'Albert Hall”. Talvolta accade che un artista
porti un genere artistico a un tale livello di
perfezione da decretarne la fine; con Sgt.
Pepper's Lonely Hearts Club Band, i Beatles raggiunsero una vetta così elevata che
nessuno, in seguito, avrebbe eguagliato e
ciò, in parte, dispiace.
Federico Cristiani
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SEGNI DEL Signore…
Signore
Abbiamo affidato al Signore
pensandoli custoditi nella sua Casa:
Marino Di Lecce
13 dicembre
Gisella Frazza
13 dicembre
Teresa Colombo
15 dicembre
Paolo Mareschi
28 dicembre
Teresa Mascheroni
29 dicembre
Luigia Viola
1 gennaio
Giovanni Trentin
14 gennaio
Donatantonio Sughero 16 gennaio
Luigino Paolucci
17 gennaio
Gerardo Ostoni
17 gennaio
Roberto Oggioni
27 gennaio
Cesare Gagliardi
1 febbraio
Maria Ballusi
4 febbraio
Michela D'Antoni
6 febbraio
Ambrogina Oriani
13 febbraio
Anna Marzano
13 febbraio
Nicola Chiarappa
20 febbraio
Adele Corengia
25 febbraio
Giovanni Milanesi
25 febbraio
Piera Ferrario
26 febbraio
Aldo Castelnovo
1 marzo
Fulvio Longoni
8 marzo
Carlo Zani
10 marzo
Teresa Piscioneri
11 marzo
Antonio Fumagalli
14 marzo
Abbiamo immerso nell’Amore di Dio
attraverso il sacramento del Battesimo:
Lorenzo Mariani
Sara Generosi
Thomas Rutigliano
Simone Beretta
Luca Margarita
Giulia Siewers
Andy Huayta Cuestas
Alessio Huayta Cuestas
Il 2 gennaio ha celebrato i suoi 100 anni:
Angela Marini ved. Finotto
Subito dopo Pasqua affideremo al
Signore 36 ragazzi di prima media che riceveranno il dono della
Confermazione e della prima Comunione. Eccoli:
Alice
Aliverti
Gerald
Asuncio n
Michael
Bisogno
Christian
Boga
Riccardo
Boroni
Giada
Bovino
Marco
Capillo
Kevin
Capogrosso
Nicole Asia
Colombo
Pamela
Crippa
Luca
De Cristofaro
Manuel
Diana
Marika
Diana
Davide
Ehoumann
Alice
Fabiano
Greta
Infante
Fabio
La Quatra
Claudio
Marconi
Irina
Masut
Andrea
Mazza
Andrea
Miele
Cristian
Neri
Martina
Pastore
Maria
Perna Boemio
Vanessa
Pettenati
Kevin
Picone
Luigi
Piserchia
Asia
Poli
Manuel
Rechichi
Matteo Hienok Scarcella
Giulia
Schettino
Riccardo
Sorrentino
Ilaria
Tartaglia
Lucrezia Sofia Uberti
Ilaria
Zabarella
Edoardo
Zurlo
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La settimana santa
CONFESSIONI
Martedì 7 alle 21.00 durante una celebrazione penitenziale.
Giovedì 9, venerdì 10 e sabato 11 dalle 17.00 alle 19.00.
DOMENICA DELLE PALME
Ci troveremo alle 9.45 in Oratorio per la processione con la benedizione delle Palme
e degli Ulivi. Segue l’Eucaristia.
GIOVEDÌ SANTO
Riviviamo l’ultima cena di Gesù e la sua consegna ai suoi discepoli, oggi a noi. Da memoria dell’uscita dall’Egitto diventa Passaggio dalla morte alla Vita.
Alle 21.00 celebreremo la S. Messa in Coena Domini.
VENERDÌ SANTO
Dopo aver amato i suoi che erano nel mondo li amò sino alla fine. A ciascuno di noi Gesù ripete: “attirerò tutti a me”.
Alle 15.00 siamo invitati ad adorare la croce di
Cristo che verrà innalzata al posto del “pane
dell’Eucarestia” come segno luminoso di salvezza
donatoci da Colui che si è detto ed è “la Risurrezione e la Vita”. Alle 20.45 vivremo la VIA CRUCIS a partire dalla Madonnina di Litta Modignani.
NOTTE SANTA NELLA PASQUA
Nella notte risuona il canto di vittoria: Cristo è
risorto! Insieme possiamo lasciarci toccare il cuore da questo annuncio che è per ciascuno di noi.
Alle ore 21.00 inizierà questa liturgia pasquale nella quale celebreremo in pienezza il
mistero della nostra fede cristiana.
GIORNO DI PASQUA
Celebreremo come ogni domenica alle 10.00, 11.30 e 18.00.
LUNEDÌ DELL’ANGELO
Celebreremo l’Eucaristia alle 10.00.