“Il Fatto Quotidiano” (del 3.10.2012)
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“Il Fatto Quotidiano” (del 3.10.2012)
I disastri dei nuovi Dogi di Venezia di Tomaso Montanari Il Fatto quotidiano, 3 ottobre 2012 Ora Benetton pensa ad una ‘super-altana’ da piazzare sul tetto del Fondaco dei Tedeschi: è questa la risposta alla recentissima bocciatura ministeriale della maxi-terrazza e delle scale mobili postmoderne che avrebbero sfigurato l’architettura cinquecentesca del palazzo sulla cui facciata dipinse Giorgione. Ed è solo l’ultima notizia dal fronte della logorante battaglia di trincea che oppone i nuovi padroni di Venezia all’opinione pubblica (organizzata da associazioni come Italia Nostra, e guidata da figure come Salvatore Settis), e alle poche istituzioni rimaste fedeli all’interesse collettivo. L’inconscio dei nuovi dominatori impone verticalità manifestamente falliche: subito prima dell’altana-dei-Tedeschi (alta quanto? in quali materiali?) è stata la volta della supertorre di 250 metri (due volte e mezzo il Campanile di San Marco, per capirci) che Pierre Cardin vuole conficcare a Marghera, in modo che sia ben visibile dal Bacino di San MarcoMa la linea avanzata dell’assalto a Venezia passa nientemeno che sul Canal Grande, come ha rivelato Gian Antonio Stella sul «Corriere» del 22 settembre. I padroni dell’Hotel Santa Chiara, all’imbocco del Canale da Piazzale Roma, desideravano da molto tempo raddoppiare la cubatura dell’albergo. E ora – dopo un interminabile percorso di carte bollate, ricorsi e giudizi ¬– ci stanno riuscendo: lo scheletro d’acciaio luccica già sulla laguna. Non importa se il nuovo edificio sarà un cubo in cemento ricoperto di vetri (ottimo per Forth Worth, o per Canberra, magari), se andrà quasi a sfiorare l’imboccatura del peraltro infelicissimo ponte di Calatrava, se coprirà la veduta del Canal Grande, ‘impallando’ la cupola verde di San Simeon Piccolo, e tutto il resto. Importa assai di più che il proprietario dell’albergo sia il presidente dell’Associazione pubblici esercizi (alberghi ristoranti, casinò…), nonché dell’Azienda di Promozione Turistica: a Venezia settori non proprio trascurabili. E forse importa anche che l’architetto che ha firmato il progetto sia Antonio Gatto, presidente dell’Ordine degli architetti e dunque membro della Commissione di Salvaguardia. Quest’ultimo dettaglio non è privo di interesse: perché senza l’approvazione della Salvaguardia, sul Canal Grande non si mette pietra. E, contro ogni ragionevolezza, quell’approvazione c’è stata: davvero una singolare coincidenza. Sulla «Nuova Venezia», Alberto Vitucci ha fatto notare che il progetto dell’albergo è firmato anche da Dario Lugato, uno degli autori della faraonica torre di Cardin: un progetto che sta suscitando indignazione in tutto il mondo, ma che ¬– guarda caso ¬¬– gode dell’incondizionata approvazione dell’autorevole presidente dell’Ordine degli architetti di Venezia, ossia l’Antonio Gatto del cubo sul Canal Grande. Giudizi e valutazioni assolutamente legittimi, ovviamente. Intrecci forse inevitabili, in una città piccola come è Venezia. E, tuttavia, il risultato è che sono tutelati tutti gli interessi, ma non l’interesse di tutti: per amara ironia, proprio la città che difese fino all’estremo il nome di repubblica (res publica) vede il più feroce trionfo degli interessi privati. Venezia è oggi una città senza cittadini, una quinta sempre più consunta percorsa da ogni anno da 30 milioni di turisti alienatissimi, una terra di conquista dove non sventola più il Leone di San Marco, ma sfolgorano i marchi di Benetton e Prada, o le insegne di Pinault. Tra tutti i poteri pubblici, il più fedele all’interesse dei cittadini dovrebbe essere la Soprintendenza, lontana dal viluppo di interessi che condiziona la politica locale. Eppure, alla fine la soprintendente Renata Codello ha autorizzato lo scempio del Canal Grande, e ora solo l’intervento di Ugo Soragni, direttore regionale dei Beni culturali, potrebbe rovesciare la situazione. Di fronte alle domande e alle obiezioni di Stella, la soprintendente Codello è sbottata: «Lei è architetto? Non faccia l’architetto!». Un vero capolavoro: un clamoroso ‘tradimento dei chierici’ ritorce contro i cittadini la competenza tecnica che li dovrebbe proteggere e garantire. E, per di più, lo fa con argomenti già risibili tre secoli fa. Nel 1719 il filosofo francese Jean Baptiste Du Bos scriveva che «quando è questione di giudicare l’effetto generale di un’opera, il pittore e il poeta non hanno diritto di respingere chi non conosce la loro arte, quanto un chirurgo non ha il diritto di respingere la testimonianza di chi ha subito un’operazione, quando si tratta soltanto di sapere se l’operazione è stata dolorosa, con la scusa che il malato non conosce l’anatomia». E che l’«operazione Hotel Santa Chiara» sia, per Venezia, davvero dolorosissima lo può dire chiunque abbia gli occhi. O meglio, chiunque non sia disposto a chiuderli. «Gli edifici sono il ritratto dell’anima dei prìncipi», disse nel 1665 Gian Lorenzo Bernini, commosso all’idea di progettare il Louvre per il Re Sole. Anche noi oggi possiamo dire qualcosa del genere: l’edilizia è uno specchio fedele della società italiana. Una società castale, anzi neofeudale, in cui le regole vengono sistematicamente calpestate a vantaggio dei privilegi dei nuovi padroni delle nostre città.