The Lab`s Quarterly Il Trimestrale del Laboratorio
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The Lab’s Quarterly Il Trimestrale del Laboratorio 2014 / n. 3 / luglio-settembre Laboratorio di Ricerca Sociale Dipartimento di Scienze Politiche Università di Pisa Comitato direttivo Direttore Massimo Ampola Comitato editoriale Luca Corchia (segretario) Marco Chiuppesi Gerardo Pastore Comitato scientifico Paolo Bagnoli Roberto Faenza Mauro Grassi Elena Gremigni Franco Martorana Antonio Thiery Contatti [email protected] Gli articoli della rivista sono sottoposti a un doppio processo di peer-review. Le informazioni per i collaboratori sono disponibili sul sito della rivista. ISSN 1724-451X © Laboratorio di Ricerca Sociale Dipartimento di Scienze Politiche Università di Pisa The Lab’s Quarterly Il Trimestrale del Laboratorio 2014 / n. 3 / luglio-settembre EPISTEMOLOGIA E METODI DI RICERCA La costruzione della distinzione socioculturale. Il caso delle Grande Écoles nell’analisi di Pierre Bourdieu Roberta Salsi 5 SOCIOLOGIA DELL’AMBIENTE E DEL TERRITORIO Manuela Rossi Nella ragnatela del GAP. Come liberarsi dalla trappola del gambling 27 Laboratorio di Ricerca Sociale Dipartimento di Scienze Politiche Università di Pisa “The Lab’s Quarterly” è una rivista che risponde alla necessità degli studiosi del Laboratorio di Ricerca sociale dell’Università di Pisa di contribuire all’indagine teorica ed empirica e di divulgarne i risultati presso la comunità scientifica e il più vasto pubblico degli interessati. I campi di studio riguardano le riflessioni epistemologiche sullo statuto conoscitivo delle scienze sociali, le procedure logiche comuni a ogni forma di sapere e quelle specifiche del sapere scientifico, le tecniche di rilevazione e di analisi dei dati, l’indagine sulle condizioni di genesi e di utilizzo della conoscenza e le teorie sociologiche sulle formazioni sociali contemporanee, approfondendo la riproduzione materiale e simbolica del mondo della vita: lo studio degli individui, dei gruppi sociali, delle tradizioni culturali, dei processi economici e politici. Un contributo significativo è offerto dagli studenti del Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Pisa e di altri atenei, le cui tesi di laurea costituiscono un materiale prezioso che restituiamo alla conoscenza. Il direttore Massimo Ampola SOCIOLOGIA DELL’EDUCAZIONE LA COSTRUZIONE DELLA DISTINZIONE SOCIO-CULTURALE. IL CASO DELLE GRANDE ÉCOLES NELL’ANALISI DI PIERRE BOURDIEU di Roberta Salsi Indice Introduzione 1. Il capitale culturale e le forme di conversione 2. Le Grandes Écoles e la formazione della “nobiltà di stato” 3. La distribuzione sociale delle opportunità di accesso 4. Le modalità di selezione e lo “spirito di corpo” 5. Mutamenti interni al campo delle grandi scuole Riferimenti bibliografici 6 7 12 16 19 23 25 6 The Lab’s Quarterly, 3, 2014 INTRODUZIONE Il lavoro sociologico di Pierre Bourdieu costituisce uno dei contributi più rilevanti che la sociologia europea abbia prodotto nella seconda metà del secolo scorso. Nonostante la diversità degli ambiti d’indagine, la produzione scientifica del sociologo francese, ha assunto lungo quattro decenni di riflessioni e di ricerche le dimensioni di un monumento dotato stringente logica interna che la letteratura critica ha ben analizzato. Nel presente arcicolo ci soffermiamo sulle specifiche indagini dedicate all’educazione e, in particolare, alla funzione di riproduzione della classe dirigente che le Grandes Écoles svolgono nel sistema francese. Le ricerche realizzate da Bourdieu e i suoi collaboratori sul sistema scolastico francese – Les Héritiers (1964) e La Réproduction (1970), sull’istituzione universitaria – Homo Accademicus (1984) e sulle Grandes Écoles (La Noblesse d’État, 1989) – confermano che vi è una correlazione positiva fra la classe di appartenenza e il successo negli studi: quanto più elevata è la classe di origine, quanto più probabile è che uno studente abbia un alto rendimento scolastico, sia iscritto a una buona scuola e che continui a lungo gli studi, fino alla laurea e oltre. Da tali ricerche emerge che ciò che maggiormente influisce sul successo non è il reddito della famiglia di origine o l’occupazione dei genitori, ma il loro titolo di studio. Infatti, se gli studenti provenienti dalle classi sociali più basse hanno un basso rendimento scolastico e interrompono presto gli studi è perché, a differenza di quanto avviene nelle classi medie, la famiglia fornisce in misura minore sia le capacità cognitive e linguistiche che i valori, la condotta e le aspirazioni che la scuola richiede. D’altra parte, le origini dei ritardi, dei ripiegamenti e degli abbandoni vanno ricercate anche nella scuola, in cui gli insegnanti si aspettano che gli allievi delle classi popolari abbiano bassi rendimenti scolastici perché “culturalmente privati” di quelle “doti naturali” che connotano culturalmente il reciproco riconoscimento tra tutti coloro che appartengono alla classe dominate. Gli studenti hanno un capitale culturale dovuto alla classe di appartenenza, che influenza i risultati, stante l’omogeneità fra i valori impliciti e interiorizzati della cultura dominante e quelli del sistema di insegnamento. Questi risultati trovano conferma nelle indagini condotte ne La Distinzione (1979) sulla riproduzione del capitale culturale incorporato, oggettivato e istituzionalizzato, che consolida e specifica l’appartenenza non a una “classe sulla carta” ma a una “classe reale” che condivide lo stile di vista e i gusti. Nelle società moderne, infatti, l’istruzione è l’elemento di connessione tra la condizione sociale dei ceti Roberta Salsi 7 superiori, medi e inferiori e i loro stili di vita, fornendo il sistema di cognizioni, valutazioni ed espressioni verso gli oggetti culturali e rispecchiando i rapporti di dominio in cui ciascuna classe è inserita . Se queste sono le coordinate generali dell’analisi boudieusiana sull’istruzione, abbiamo preferito prendere in esame unicamente il testo sulle Grandes écoles perché è un’opera compiuta dal punto di vista contenutistico e metodologico. Lo stesso Bourdieu nel libro-intervista Risposte (1992) a Loïc Wacquant esprime questa convinzione: la vera risposta a tutte le domande che Lei mi ha rivolto, soprattutto sulla logica della riproduzione sociale, è contenuta secondo me nelle cinquecento pagine di La Noblesse d’État, cioè nell’insieme di analisi, teoriche e nello stesso tempo empiriche, con le quali soltanto è possibile articolare, in tutta la sua complessità, il sistema di relazioni tra le strutture mentali e le strutture sociali, tra l’habitus e i campi, e la dinamica che è loro immanente (Bourdieu 1992, 105). Prima di ripercorrere i risultati dell’indagine sulle Grandes écoles è utile presentare quanto Bourdieu ha scritto sul concetto di capitale culturale e sui rapporti di conversione con il capitale economico e il capitale sociale. Queste riflessioni teoriche, infatti, sono indispensabili per inquadrare la disamina delle specifiche dinamiche di riproduzione culturale e distinzione sociale all’interno delle istituzioni che formano la La Noblesse d’État. 1. IL CAPITALE CULTURALE E LE FORME DI CONVERSIONE Il concetto di capitale culturale rappresenta uno dei contributi maggiori di Bourdieu alla sociologia della cultura, e in particolare alle analisi dei processi educativi, la cui portata è dirimente per comprendere l’analisi dei rapporti sociali. A partire da quelle indagini, Bourdieu spiega perché una volta verificate la condizione economica e l’origine sociale, gli studenti provenienti da famiglie più istruite non solo presentano tassi di successo scolastico più elevati, ma anche dei diversi modi di consumo e di espressione culturale. Egli ricorda così la genesi intellettuale del concetto: La nozione di capitale culturale si è imposta anzitutto come una ipotesi indispensabile per render conto dell’ineguaglianza dei prove scolastiche dei ragazzi delle differenti classi sociali, confrontando la loro “riuscita”, ovvero i risultati specifici che i ragazzi delle differenti classi sociali e frazione di classe potevano ottenere sul mercato scolastico e la distribuzione del capitale culturale tra le classi e le frazioni di classe (Bourdieu 1979b, 3). 8 The Lab’s Quarterly, 3, 2014 Giorgio Marsiglia precisa che il concetto di capitale culturale rappresenta la forma di capitale su cui Bourdieu si è soffermato maggiormente, al punto da richiamare su di se l’attenzione ogni volta si pronuncia in letteratura il termine. Tuttavia negli scritti del sociologo francese non si trova un esplicito concetto di cultura ma molte definizioni che sottolineano aspetti semantici complementari, a seconda dell’ambito d’analisi e della prospettiva scelta. A partire dalla consa-pevolezza della sua polidimensionalità, egli circoscrive il concetto di cultura, come l’insieme degli oggetti simbolici e fisici in cui si incarna un sapere implicito, linguistico e di senso comune, e un sapere esplicito, cognitivo, morale ed estetico, trasmesso nelle frazioni dello spazio sociale nel quadro di tradizioni culturali, più o meno, consapevoli, omogenee e durevoli nel tempo: Si tratta di una grande varietà di risorse, anche molto differenti anche se fonda-mentalmente omogenee: dalle abilità linguistiche ai beni culturali posseduti, dalle conoscenze e informazioni alle disposizioni e preferenze estetiche, dal rapporto con scuola e cultura alle esperienze e credenziali educative. In sintesi, si può dire che in Bourdieu il capitale culturale corrisponde all’insieme di proprietà, delle qualifica-zioni e delle esperienze culturali, siano esse trasmesse o indotte dalla famiglia, prodotte o rese disponibili dall’istruzione, o comunque incluse nell’appartenenza ad un campo culturalmente specifico (Marsiglia 2002, 87-88). Nonostante le resistenze a proporre delle definizioni “schematiche” e “formali” di concetti scaturiti e applicati nelle ricerche, nell’articolo Les trois états du capital culturel (1979) – ripubblicato immutato nel saggio Ökonomisches Kapital, kulturelles Kapital, soziales Kapital (1983) – Bourdieu ha sistematizzato la morfologia del capitale culturale nelle tre forme di “capitale incorporato”, “oggettivato” e “istituzionalizzato”: Il capitale culturale può esistere sotto tre forme: allo stato incorporato, ossia sotto la forma di disposizioni durevoli dell’organismo; allo stato oggettivato, sotto la forma di beni culturali, quadri, libri, dizionari, strumenti, macchine, i quali sono la traccia o la realizzazione di teorie o di critiche di queste teorie, di problematiche, ecc.; allo stato istituzionalizzato, una forma di oggettivazione che occorre considerare a parte poiché, come si osserva con il titolo scolastico, essa conferisce al capitale culturale che è tenuta a garantire, delle proprietà del tutto originali». (Bourdieu 1979b, 3). Il “capitale culturale incorporato” si riferisce all’insieme di competenze e di disposizioni individuali che consentono agli individui di fare esperienza di ciò che accade nel mondo, di esprimere giudizi e di provare bisogni e sentimenti. Si tratta di un patrimonio di schemi di apprendi- Roberta Salsi 9 mento e di atteggiamenti che sono interiorizzati tramite il processo di socializzazione-individualizzazione a partire dall’educazione infantile per proseguire lungo tutto il corso della vita. Il capitale culturale incorporato è inscindibile dal proprio vissuto biografico, cresce, matura e si estingue al crescere, maturare e perire del suo portatore: La maggior parte delle proprietà del capitale culturale può essere desunta dal fatto che, nel suo stato fondamentale, esso è legato al corpo e presuppone l’incorporazione. L’accumulazione del capitale culturale esige una incorporazione che, presuppone, al contempo, un lavoro di inculcamento e di assimilazione, costa del tempo e del tempo che deve essere investito personalmente dall’investitore (essa non può attuarsi, in effetti, per procura, in maniera simile a un’abbronzatura: il lavoro personale: il lavoro personale di acquisizione è un lavoro del soggetto su se stesso (si parla di “coltivarsi”). Il capitale culturale è un avere divenuto essere, una proprietà fatta corpo, divenuta parte integrante della “persona”, un habitus (Ivi, 3-4). Nonostante il lavoro di acquisizione del capitale culturale avvenga in assenza di una deliberata interiorizzazione, esso presuppone un investimento, in misura variabile e temporalmente continuo, di energie intellettuali, sociali ed emotive che acquisiscono un valore “positivo” o “negativo” a seconda del sistema di opportunità che l’ambiente formativo e relazione rende disponibile. E poiché le condizioni sociali di acquisizione e di trasmissione sono più dissimulate rispetto a quelle del capitale economico, può essere prodotto e messo a realizzo solo se gli altri attori sociali sono in grado di riconoscerne il valore: L’accumulazione di capitale culturale incorporato comincia molto presto nell’infanzia e dipende ovviamente dalla famiglia. Essa richiede un “lavoro pedagogico” da parte dei genitori e degli altri familiari, specialmente orientato alla sensibilizzazione rispetto alle esperienze e alle distinzioni culturali […] si esprime in un investimento che frutta all’interno della scuola in termini di successo e riconoscimento (Marsiglia 2002, 88-89). La riproduzione del capitale culturale incorporato è, secondo Bourdieu, la forma più nascosta di trasmissione ereditaria e di produzione di ricchezza, anche se trova modi di manifestarsi in forma oggettivata e istituzionalizzata (Bourdieu 1979b, 4). Il capitale culturale “oggettivato” è costituito dai oggetti culturali concreti, quali ad esempio, libri, opere d’arte, strumenti e macchinari tecnici, ecc. che possono essere costruiti, scambiati e posseduti fisicamente dagli attori sociali. Anche se il capitale sociale “oggettivato” si presenta indipendente rispetto agli individui, il suo “impiego” richiede quei portatori del “capitale 10 The Lab’s Quarterly, 3, 2014 incorporato”: Il capitale culturale nel suo stato oggettivato si presenta con tutte le apparenze di un universo autonomo e coerente che, benché sia il prodotto dell’azione storica, ha proprie leggi, trascendenti rispetto alla volontà degli individui, e che, come mostra bene l’esempio della lingua, restano irriducibili a ciò che ogni attore o l’insieme di essi si può appropriare (cioè, al capitale incorporato). Occorre fare attenzione, peraltro, a non dimenticare che il capitale culturale esiste e sussiste come capitale materiale e simbolico agente soltanto nella misura in cui esso è appropriato dagli attori investito come arma e come gioco nelle lotte, nei campi di produzione culturale (il campo artistico, scientifico, ecc) e, al di là di loro, nei campo delle classi sociali, in cui gli attori ottengono dei profitti proporzionali al “possesso” del capitale oggettivato, dunque nella misura del loro capitale incorporato (Ivi, 5). Il capitale culturale “istituzionalizzato” rappresenta la forma di capitale riconosciuta formalmente e pubblicamente da parte di istituzioni atte a farlo. Nelle società contemporanee, secondo Bourdieu, questa istituzionalizzazione avviene, in virtù della centralità del sistema scolastico nei processi educativi e formativi, attraverso il riconoscimento di titoli di studio e di attestati di merito. Si tratta di riconoscimenti che, al pari o quasi dei titoli di credito del capitale economico, sono valutabili negli spazi sociali indipendentemente dal portatore del capitale culturale e dagli oggetti materiali e immateriali a cui si devono, come, ad esempio, riguardo alla preparazione presupposta dal titolo di studio. Il livello di istruzione istituzionalizzato sotto forma di titoli di studio socialmente riconosciuti è una manifestazione legittimata del possesso di capitale culturale. Il riconoscimento ufficiale comporta una relativa autonomizzazione del titolo rispetto alla persona che è portatrice di capitale culturale. In questo caso, secondo Bourdieu si ha la “magia performativa” del potere di istituzione, nel manifestare e convincere sul contenuto iscritto nel titolo. L’istituzionalizzazione del capitale culturale assicura non solo il giudizio sul volume e sul valore della capacità di ingegno, impegno ed espressione del soggetto accreditato ma la comparazione tra soggetti in virtù dei loro titoli. Le forme di attestazione si riferiscono alle selezioni per merito, che legittimano, poi, la conversione del capitale culturale in capitale sociale ed economico. Una volta istituzionalizzato, il capitale culturale si tramuta da dote personale nella pretesa legittima ad avanzare richieste di forme di prestigio e di ricchezza (Ivi, 6). Anche se gli attestati e le pretese rimangono soggette a valutazioni effettive di chi, all’occorrenza possono sottrarre il loro riconoscimento fiduciario, come ad esempio, un cliente verso un professionista o la scuola verso un professore. Il capitale Roberta Salsi 11 culturale è, anzitutto, convertibile in “capitale sociale”, il cui concetto, anche grazie a Bourdieu, è entrato nel lessico delle scienze sociali: Il capitale sociale, invece, è l’insieme delle risorse attuali e potenziali che sono legate al possesso di una rete duratura di relazioni, più o meno istituzionalizzate di interconoscenza e di inter-riconoscenza; o in altri termini, all’appartenenza a un gruppo, come insieme di agenti che non sono solamente dotati di proprietà comuni (suscettibili di essere percepite attraverso l’osservazione dagli altri o da se stessi) ma sono anche uniti da dei legami permanenti e utili (Bourdieu 1980, 2). Bourdieu ne ha riformulato una definizione precisando che il capitale sociale è l’insieme delle relazioni di cui un soggetto individuale o collettivo dispone in funzione della collocazione all’interno di reti di vincoli reciproci – network – a riconoscersi determinate obbligazioni: Il capitale sociale è la somma delle risorse, attuali e virtuali, che fanno capo a un individuo o a un gruppo in quanto questo possiede una rete durevole di relazioni, conoscenze e reciproche riconoscenze più o meno istituzionalizzate, è cioè la somma di capitali e poteri che una simile rete permette di mobilitare (Bourdieu 1992, 87). L’esistenza di una rete non è un “dato naturale” ma il prodotto di un lavoro creativo interminabile a partire dalle risorse rese disponibili dalla parentela. Le strategie di investimento mirano a stabilire e a trasformare tutte le relazioni contingenti, come quelle di vicinato, di lavoro, ecc. in rapporti durevoli e in cui lo scambio di doni, di parole, ecc, favorisce quella conoscenza reciproca e quei sentimenti di rispetto, di amicizia e di gratitudine che motivano l’aiuto. La creazione di capitale sociale implica, per così dire, uno sforzo incessante di socievolezza, attraverso la partecipazione a manifestazioni, feste, ricevimenti, ecc), in cui nei luoghi di ritrovo, quartieri, scuole, associazioni, ecc, si svolgono quelle pratiche sportive, ludiche, culturali, che riuniscono in modo apparentemente casuale gli individui appartenenti a comunità (Bourdieu 1983, 247). Il capitale sociale è l’insieme delle risorse, reali o potenziali, materiali e immateriali che dipendono dall’accesso relazionale a una rete formale o informale di rapporti di riconoscimento reciproca che rende, poi, disponibili delle opportunità o delle credenziali per ottenere delle forme di capitale economico e culturale. Il volume del capitale sociale è, dunque, il risultato di un complesso sistema di pratiche in stretta connessione che gli habitus che sono collegati alla condizione di classe, ovvero a disposizioni dell’attore che sono strettamente collegata alla distribuzione delle altre forme di capitale. Tale volume dipende 12 The Lab’s Quarterly, 3, 2014 dall’estensione del raggio di relazioni che l’agente può effettivamente intrattenere e mobilitare in conseguenza del possesso di altre forme di capitale. E capitale economico e capitale culturale soprattutto possono essere facilmente trasmutabili o convertibili in relazioni sociali, e quindi in capitale sociale. Ciò significa che, se è relativamente irriducibile al patrimonio economico e culturale posseduto da un determinato agente, il capitale sociale non ne è mai indipendenti, in quanto la “rete” ha un “effetto moltiplicatore” sui capitali (Bourdieu 1983, 243-249). Il capitale culturale è, in secondo luogo, convertibile in capitale economico in quanto permette di accedere o di legittimare l’accesso a condizioni di lavoro alle quali sono corrisposte delle retribuzioni lavorative o dei profitti d’impresa. Si tratta di una specie “transunstanziazione” di beni immateriali in condizioni economiche convertibili in moneta e istituzionalizzate in diritti di proprietà (Bourdieu 2000). A loro volta la disponibilità economica permette di impiegare tempo e lavoro per acquisire capitale culturale incorporato, oggettivato e istituzionalizzato, creando un circolo virtuoso per i singoli attori e per l’intera comunità sociale. Rilavata la tendenza crescente a convertire capitale economico in capitale culturale, soprattutto in titoli di studio, il problema sollevato da Bourdieu nelle ricerche sull’educazione riguarda la ripartizione delle opportunità formative offerte agli studenti e quanto e come condizionino la struttura generale della stratificazione sociale. L’idea di fondo che emerge da tali scritti è che le istituzioni educative oltre alla riproduzione culturale delle abilità e conoscenze, costituiscano la principale risorsa di legittimazione della stratificazione. In tali ambiti i soggetti mettono in atto, ognuno secondo il proprio habitus, le strategie volte a conservare e migliorare le proprie posizioni nell’allocazione delle forme di capitale. Questa dinamica si interseca profondamente con quella dei rapporti di dominio e, quindi, con i meccanismi di produzione delle diseguaglianze sociali, sulle aspettative di miglioramento delle condizioni di vita e di elevamento culturale da parte delle classi inferiori e sui fattori costrittivi di accettazione della subalternità. 2. LE GRANDES ÉCOLES E LA FORMAZIONE DELLA “NOBILTÀ DI STATO” Se consideriamo le origini sociali degli allievi reclutati dalle grandes écoles emerge che i figli delle “classi superiori ” sono nettamente sovrarappresentati. A partire da questa constatazione, Pierre Bourdieu cerca di dimostrare empiricamente che i modi di selezione di queste istituzioni, le classes préparatoires e i concorsi d’ingresso, sono assolutamente Roberta Salsi 13 congeniali alle disposizioni sociali tipiche di tali classi e che, a dispetto delle regole egualitarie, il contenuto delle prove e gli atteggiamenti degli insegnanti valorizzano il sapere e il saper fare dei figli della borghesia. Prima di esaminare nel dettaglio lo sviluppo dell’indagine, è opportuno descrivere – per chi non lo sapesse –che cosa sono le grandes écoles. Le grandes écoles sono istituti di istruzione superiore che diplomano gli studenti che costituiranno i dirigenti e i tecnici di numerose aziende private e di amministrazioni pubbliche. All’interno del sistema educativo francese, esse si collocano accanto alle Università, tradizionalmente, orientate verso la trasmis-sione della cultura e della ricerca scientifica, con una funzione propria. Anche se alcune scuole in esse confluite sono state costituite in precedenza, le grandes écoles, risalgono al periodo della rivoluzione francese, come ad esempio l’École polytechnique (1794), l’École normale supérieure - ENS (1795) e altre scuole superiori di applicazione, sono aumentate durante l’800 e il ‘900 con la creazione di molte altre, tra le quali si segnalano: la Scuola speciale militare di Saint-Cyr (1802), la Scuola speciale del commercio e dell’industria di Parigi, poi European School of Management - ESCP-EAP (1819), la Scuola navale (1819), la Scuola nazionale delle carte (1821), la Scuola reale delle acque e delle foreste (1824), l’Istituto reale agronomico (1826), la Scuola centrale delle arti e manifatture (1829), le Scuole del Commercio (1833), la Scuola Libera di Scienze Politiche (1871), la Scuola di commercio “superiore” – HEC (1881), l’École Supérieure d’Électricité (1894), dell’École nationale d’administration (1945), l’Istituto di Studi Politici – IEP, del Centro studi letterari e scientifici applicati (1965), poi Scuola di Alti Studi in Scienze dell’Informazione e della Comunicazione, e ancora la Scuola nazionale superiore di tecnica avanzata - ENSTA (1970). Il mondo delle grandes ècoles molto più complesso per ambito disciplinare e localizzazione territoriale di quanto risulti da questo elenco è un mondo dai confini incerti nonostante la definizione proposta dal Ministero dell’Istruzione francese cerchi di delimitare chiaramente ciò che si definisce “grande école”: «Sotto la denominazione “grandes écoles” sono raggruppate le scuole di ingegneri, le scuole normali superiori (ENS), le scuole di commercio e le scuole veterinarie. Queste grandes écoles si caratterizzano per il livello elevato del loro diploma (di solito 5 anni dopo il baccalaureato) e per una forte selezione all’ammissione». Rispetto alle università, le grandes écoles di differenziano anche per il modo di selezione dei propri studenti, in quanto se le prime assegnano il diritto di iscrizione a coloro che possiedo il diploma di insegnamento secondario, le seconde attuano la selezione all’ingresso tramite un con- 14 The Lab’s Quarterly, 3, 2014 corso di reclutamento. Tuttavia, anche se i testi ufficiali fanno riferimento alle grandes écoles colle-gandole al concorso aperto agli studenti delle classe préparatoire aux grandes écoles, oggi la Conferenza delle grandes écoles con il termine ricomprende anche un ristretto numero di istituti di formazione di alti funzionari pubblici francesi, a cui si accede con concorso dopo la laurea universitaria quadriennale o un titolo equivalente, e, più recentemente, certi istituti di istruzione superiore a cui si accede direttamente per concorso o per domanda, o indirettamente tramite un ciclo preparatorio integrato a livello di baccalauréat (il nostro diploma di maturità) e in cui il corso di studi dura generalmente cinque anni. A grandi linee, per ognuno dei principali corsi di studio - Scuole militari, Scuole normali superiori, Scuole di ingegneri, Scuole di commercio e di gestione, Scuola nazionale di cartografia e Istituti di studi politici – si distinguono le scuole che durano tre anni dopo un concorso preparato dai corsi preparatori (Bac+3 a Bac+5) e le scuole che durano 5 anni senza passaggio per i corsi preparatori (Bac+1 a Bac+5) dette “post bac” o “con prépa integrati”. Proprio per il ruolo centrale delle grandes écoles nella formazione delle élites sociali e per il modo di selezione specifico rispetto all’insegnamento superiore universitario ha sollevato un interesse costante sull’assunto ne che giustifica il prestigio, ovvero che sia davvero capace di promuovere il merito. Il sistema delle grandes écoles è stato oggetto di numerosi studi. Ma la più celebre ricerca è quella realizzata da Bourdieu e i suoi collaboratori nel corso degli anni ‘70 e ‘80, culminata in La nobiltà di Stato. Grandes écoles e spirito di corpo (1989a), un’opera coofirmata da Bourdieu e da M. de Saint-Martin. Si tratta di un lavoro complesso articolato e voluminoso le cui ipotesi mettono in dubbio uno dei principi cardine della Repubblica francese – l’eguaglianza e le pari opportunità dei cittadini - proprio nel bicentenario della rivoluzione. Se una delle funzioni sociali del sistema educativo nel suo complesso è quella di assicurare la stabilità dell’ordine e delle divisioni sociali, secondo Bourdieu le grandes écoles costituiscono eminentemente l’istituzione deputata a riprodurre le gerarchie sociali che perpetuano una sorta di “nobiltà francese”. La Noblesse d’État non è soltanto un’indagine sulle Grandes Écoles e sulle funzioni di riproduzione della classe dirigente che esse svolgono ma anche uno studio delle strategie di riproduzione riguardanti la fecondità, l’educazione, l’investimento economico e la trasmissione patrimoniale, le politiche matrimoniali, la gestione del capitale sociale e, più in generale, un’analisi del rapporto di legittimazione tra i campi del potere Roberta Salsi 15 e della cultura. La ragione per cui Bourdieu riprende gli studi sulle istituzioni scolastiche, dopo le ricerche degli anni ‘60 è spiegata nell’intervista a D. Éribon (1989) precisando che pur avendo incominciato le indagini sulle grandes écoles nella seconda metà degli anni ‘60, i seguito i suoi interessi di ricerca furono influenzati dalla sua traiettoria professionale e solo dopo aver studiato le molteplici forme di trasmissione del potere, comprese appieno la centralità della scuola: Le imprese di ricerca richiedono degli investimenti molto ingenti: l’indagine sulle grandes écoles è cominciata nel 1966 fino al 1969. Io sono passato dall’Écoles normales supérieures à l’X, à HEC, à l’ENA, ecc. Da ciò l’analisi del patronato, della alta funzione pubblica, dei professori dell’insegnamento superiore, ecc. Io resto sullo stesso terreno, ma l’ambizione del lavoro è molto cambiata : io penso oggi che non si può comprendere che cos’è il potere, né la trasmissione del potere, in tutte le società sviluppate, dell’Ovest e dell’Est, senza comprendere l’azione della scuola […] Io avevo maturato l’ipotesi che lo spazio delle grandes écoles, ossia che les grandes écoles in quanto struttura di relazioni e di opposizioni, contribuisse a riprodurre le differenze all’interno di quella che si definisce “la classe dirigente” (Bourdieu, 1989b). La dinamica di riproduzione delle differenziazioni sociali è stata subita come una disillusione da parte delle classi inferiori, le quali pur avendo impegnato tante risorse nella formazione delle nuove generazioni si sono ritrovate smarrite di fronte alla circostanza che, dapprima, il diploma e, poi, persino la laurea non costituissero più un titolo sufficiente a rendere possibili una significativa e duratura ascensione nella scala della stratificazione sociale. L’enorme crescita degli effettivi scolastici ha modificato il valore dei titoli di studio e, quindi, anche le strategie degli appartenenti alle classi sociali con l’intensificarsi della concorrenza nella selezione delle posizioni dominanti (Passeron, 1982). Ma la crescita in termini assoluti del numero dei bac e delle ammissioni all’insegnamento superiore da parte degli studenti delle classi inferiori non rappresenta una prova del miglioramento delle opportunità di formazione, in quanto, non solo in termini relativi il rapporto è peggiorato ma gli studenti delle classi borghesi accedono sistematicamente alle istituzioni più prestigiose. A dispetto dell’espansione dell’insegnamento superiore nella società france-se le differenze nelle opportunità di formazione continuano a esistere perché con la crescita del tasso di scolarizzazione il valore dei titoli di studio viene, per così dire, ponderato a seconda dell’esclusività delle 16 The Lab’s Quarterly, 3, 2014 scuole frequentate. Non è il titolo come tale che fa la differenza, ma il rango del titolo che permet-te di occupare posizioni di distinzione nella scala dai più ai meno diplomati. Gli svantaggi legati alle origini familiari e ai contesti territoriali confermano la tendenza delle società occidentali contemporanee alla concentrazione delle opportunità, a partire dalla diseguale crescita delle chances nella formazione. A partire dall’assunto metodologico della ricerca sulla struttura e sulle funzioni delle grandes écoles – quella prospettiva relazione che richiede anche per la comprensione di ciascuna scuola lo studio dei loro rapporti nel tempo, al fine di rilevare le specificità e i mutamenti - si profilano i dati dell’indagine. Solo una ricostruzione strutturale del campo delle istituzioni superiori di insegnamento può far comprendere il funzionamento specifico di ciascuna. Bourdieu rintraccia le relazioni in cui sono inserite grandes écoles quali l’ENS, il Polytechnique, l’ENA e l’HEC e gli effetti che ognuna produce sulle altre. no le une sulle altre, con particolare attenzione all’affermarsi dell’ENA e di una serie di nuove scuole superiori di gestione, marketing, pubblicità, ecc. Definendo il panorama del campo delle grandes écoles, Bourdieu ha affron-tato il tema della formazione delle classi dirigenti come “fondamento di una antropologia generale del potere e della legittimità” (Bourdieu 1989a, 18) nella misura in cui gli permette di individuare i meccanismi di riproduzione delle “strutture sociali e mentali” e di precisare la specificità delle “vocazioni” e “scelte” formative (Ivi, 196-197). Queste conclusioni sono state confermate da numerose ricerche indipen-denti quali ad esempio gli studi di M. Bauer e Bertin-Mourot sulla formazione delle élite (1992), le indagini di G. Lazuech sull’azione pedagogica delle grandes écoles e di V. Albouy e T. Wanecq (2003) e dai lavori monografici di H. Le More sulla HEC di Parigi (1976), di D. Cuche sull’École des Arts et Métiers (1988) , di M. de Saint Martin sulle Scuole di gestione (1997). 3. LA DISTRIBUZIONE SOCIALE DELLE OPPORTUNITÀ DI ACCESSO Negli ultimi decenni, la società francese ha visto sensibilmente allargarsi la fascia degli studenti che possono accedere a forme di insegnamento superiore. D’altra parte, nonostante l’obiettivo della politica educativa di tutti i governi sia stato, almeno nei principi programmatici, quello di democratizzare il siste-ma di selezione della classe dirigente favorendo le pari opportunità, le dise-guaglianze sociali continuano a dominare il Roberta Salsi 17 reclutamento alle grandes écoles. Nell’arco dei venti anni che intercorrono dalla fine degli anni ‘60 alla fine degli anni 80, Bourdieu e i suoi collaboratori hanno avuto la possibilità di seguire, accanto ad alcuni mutamenti superficiali, delle sostanziali continuità. Dall’analisi sulle origini sociali degli studenti ammessi alle grandes écoles emerge, infatti, che gli studenti appartenenti ai “ceti superiori” costituiscono la grande maggioranza degli iscritti, ovvero che sono sovrarappresentati all’inter-no della popolazione rispetto alle percentuali rilevate negli studi universitari. Se negli anni ‘80, i terzi cicli universitari continuavano a democratizzarsi, per contro nelle grandes écoles il reclutamento è rimasto più selettivo e classista. Bourdieu rileva, infatti, che i figli dei amministratori, degli imprenditori e degli insegnanti hanno molte più possibilità di accesso e di integrarsi nelle grandes écoles, rispettivamente nell’ENA, nell’HEC e nella ENS, rispetto ai figli delle classi popo-lari, nonostante gli ultimi decenni siano caratterizzati da una generalizzazione dei alti livelli nell’istruzione secondaria e superiore: Le opposizioni cardinali, tra le scuole che portano alle carriere intellettuali e quelle che conducono alle sfere del potere, si ritrovano intatte. Come tutta una serie di opposizioni secondarie, che io esamino in dettaglio. Tutti gli indicatori statistici tendono a dimostrare che lo scarto tra le grandi e le piccole scuole - o facoltà -, o, se si preferisce, tra la grande e la piccola porta, si è rinforzato, e che le differenze all’universo delle grandes écoles sono anch’esse acuite. Uno degli effetti del sistema nella sua forma iniziale, alla vigilia del ‘68, era la creazione di effettive isole culturali molto omogenee, che si potevano considerare popolazioni insulari. […] Oggi l’omogeneità è più forte che mai. La Rue-d’Ulm non ha mai contato una proporzione così elevata di figli di direttori o di professori, Lo stesso per i figli dei grandi commercianti o industriali all’HEC o i figli degli altri funzionari all’ENA (Bourdieu 1989b, 81). Da un lato, si regista un notevole innalzamento del livello medio di istruzione, nell’insieme della popolazione, ossia in tutte le categorie sociali. Dall’altro, i figli delle “classi superiori” ne hanno beneficiato in misura maggiore. Quando si programmano interventi di democrazia educativa ci si propone di far accedere ai livelli di formazione superiore una quantità sempre più ampia di studenti provenienti da ogni contesto socioculturale. Tuttavia, affinché si abbia una democratizzazione qualitativamente significativa dell’istruzione oc-corre che non solo la maggioranza ma, soprattutto, le “classi modeste” traggano più profitti dall’incremento dei tassi di scolarizzazione superiore. Per contro, 18 The Lab’s Quarterly, 3, 2014 all’espansione delle iscrizioni le diseguaglianze sociali sono cresciute: Il nostro sistema educativo ha conosciuto delle evoluzioni considerevoli: dagli anni ‘60, il numero degli studenti si è moltiplicato per sette. Come non felicitarsi nel veder entrare all’università un terzo dei ragazzi degli operai! Ma questa massificazione nell’insegnamento generale (quasi il 70% dei giovani accedono al livello del bac, il doppio rispetto al 1980) e superiore si accompagna a una vera democratizzazione? Questa buona notizia non nasconde una realtà profonda immutata? Se l’accesso all’insegnamento superiore appare meno differenziato, i figli degli operai che intraprendono gli studi superiori rimangono pur sempre minoritari, rispetto a quelli dei quadri sono due volte meno numerosi. Delle distanze sociali molto pronunciate permangono riguardo ai risultati e al conseguimento del diploma superiore: l’80% sono figli di professori o di professionisti delle arti liberali contro il 20% solamente di figli di impiegati o di operati meno qualificati (Bourdieu 1989a, 436). Ciò non dipende solo dalla scarsa informazione a cui possono accedere gli studenti delle classi popolari e medie riguardo all’offerta di studi superiori (Ivi, 256). Le grandes écoles diventano, anno dopo anno, sempre più selettive accrescen-do così anche il livello sociale che si deve soddisfare che essere valutati adatti: La “democratizzazione” è infatti un argomento del numero di concorrenti: la sopravvivenza nella corsa scolastica è più difficile e, di conseguenza, le carte culturali che occorre possedere all’inizio – e lungo tutta la corsa – per sopravvivere a questa selezione sono sempre più importanti. Per accedere all’Ulm-sciences, all’Ulm-lettres o al Polytechnique, occorre più capitale culturale di prima e la cultura ereditata nella famiglia gioca un ruolo sempre maggiore. Di conseguenza, l’origine sociale degli studenti che entrano in queste scuole non cessa mai di elevarsi (Bourdieu 1989b, 81). Questa dinamica frustra le aspettative delle “classi inferiori”, le quali si erano illuse che “un” titolo di studio fosse sufficiente per l’ascesa sociale. Un fenomeno di sfasamento tra aspettative indotte e contesto di azione che, come ricorda G. Marsiglia, Bourdieu esprime con il concetto di “istéresi”. L’esplosione scolastica produce sia un aumento di diplomati o laureati che la perdita di valore dei titoli. Si crea una sfasatura strutturale tra le aspirazioni dei laureati e le opportunità reali. Nell’habitus, infatti, é stato inculcato il principio che per accedere a posizioni elevate era necessario un titolo di studio elevato – una convinzione introiettata nell’habitus nella situazione sociale precedente. Questa sfasatura provoca conseguenze comprensibili solo considerando con l’effetto istéresi, cioè il fatto che l’habitus continua a produrre i suoi effetti: Roberta Salsi 19 L’esplosione scolastica della scolarità di massa, con il rapido incremento degli iscritti di tutte le classi sociali all’istruzione superiore e universitaria, produce un fenomeno sociale tipico. La conseguenza è infatti un aumento dei diplomati e laureati, ma anche una perdita di valore dei titoli di studio sul mercato del lavoro, cioè l’inflazione dei titoli di studio. Ovviamente aumenta anche la concorrenza, quindi la rarità del titolo di studio si riduce. Si crea quindi una sfasatura (al di là dei comportamenti soggettivi) tra le aspirazioni educative e occupazionali degli agenti, collegate alla speranza di svolgere una certa professione o di occupare una certa po-sizione, che sono state generate dalla struttura precedente e la situazione attuale (Marsiglia 2002, 232). Le grandes écoles hanno come funzione peculiare di riprodurre la noblesse d’État, che il sociologo francese presenta come l’“ereditiera strutturale” della noblesse d’Ancien Régime. Lungi dall’impiegare quel termine come una “metafora magnificante”, Bourdieu ne coglie la validità euristica nella «applicazione controllata del concetto di nobilità agli eletti della scuola» (Bourdieu 1989a, 534n). Le grandes écoles rappresentano, dunque, l’“archetipo” della funzione di gerarchizzazione per il quale il sistema di insegnamento francese si definisce, Oltre alla scarsa possibilità di finanziare il prolungamento degli studi da parte degli studenti delle classi inferiori, Bourdieu sostiene che all’origine della sovra-rappresentazione dei ceti superiori vi sarebbero, le modalità di selezione delle grandi scuole – i corsi preparatori e i concorsi di ammissione. 4. LE MODALITÀ DI SELEZIONE E LO “SPIRITO DI CORPO” La forza del meccanismo di riproduzione dell’ordine sociale deriva dal fatto che l’insieme di coloro che vi prendono parte sono intimamente persuasi che il successo scolastico, in particolare l’accesso alle classi preparatorio e ai concorsi delle grandi scuole, sia una questione di capacità intellettuali individuali. Bourdieu parla al riguardo di una “ideologia del dono” su cui si fonda la legittimità. Tale convinzione condivisa maschera allo sguardo di tutti, e in particolare delle “vittime” dell’istituzione, le funzioni oggettive che svolge il sistema educativo, e in particolare la scuola superiore. In realtà, le modalità di selezione delle grandi scuole sono conformi alle disposizioni e alle conoscenze tipiche degli appartenenti ai “ceti superiori”. Nella grandes écoles si riproduce in modo accentuato la logica di reciproco riconoscimento tra gli insegnati e gli studenti per appartenenza di ceto sociale smascherata da Bourdieu e collaboratori negli anni precedenti riguardo alla valutazione vincolata 20 The Lab’s Quarterly, 3, 2014 delle prove nelle scuole superiori e ai corsi universitari. Uno dei contributi più interessanti delle ricerche è costituito dalle indagini sulla creazione fabbricata ad hoc di un “ésprit de corps” tra gli studenti eletti nella condizione di isolamento dal mondo esteriore durante i corsi preparatori, come quelli tenuti al Lycée Louis-le-Grand, à Paris, uno dei licei più celebri in cui le classes préparatoires formano alle grandes écoles più prestigiose. Ciò che si manifesta nello “spirito di corpo” è un nucleo di credenze collettive e di stereotipi ritualizzati che rappresentano la dottrina e gli ideali comuni a coloro che si intendono e sono intesi come tra loro affini e diversi dagli altri (Bourdieu 1981). L’appartenenza al medesimo “corpo” delle grandes écoles, e particolarmente alle istituzioni più celebri, sviluppa all’interno tra i membri una specie di etica solidale fondata sulla loro distinzione e la pretese di superiorità intellettuale (Bourdieu 1989a, 320-325). Come abbiamo scritto, secondo Bourdieu, la capacità di produrre appartenenze e differenzazioni sociali in ragione di selezioni scolastiche rappresenta una delle funzioni fondamentali svolta dall’istituzione formativa. Inoltre, nonostante che per accedere alle grandi scuole occorra superare dei concorsi aperti a tutti e che il criterio di valutazione sia la capacità personale di studio superiore alla media, Bourdieu e i collaboratori hanno dimostrato che la classificazione in unità discrete e distinte dei candidati al concorso e la frattura tra gli ammessi e gli esclusi sono originate e rispondono a logiche differenti. Il concorso di ammissione, presentato come uno strumento neutrale e imparziale, sarebbe in realtà alla luce delle indagini una prova profondamente inegalitaria, valorizzando il tipo di sapere e di saper fare tipicamente borghesi, ad esempio, della borghesia d’affari alla HEC, intellettuale all’ENS o funzionaria all’ENA. Certamente il superamento del concorso in sé è dovuto esclusivamente alle capacità intellettuali e alle conoscenze culturali dei candidati. Tuttavia, questa “ideologia della capacità” nasconde e legittima un processo di selezione delle élite che riproduce il sistema di rilevanze funzionale alla selezione degli studenti della classe dominante (Bourdieu, de Saint Martin 1987) Un processo che anche tramite gli argo-menti dei concorsi, favorisce la diffusione degli schemi cognitivi che “delimi-tano il pensabile” e delle categorie valutative del “giudizio professorale” (Bourdieu, de Saint Martin 1975). Al riguardo risultano esemplificativi le valutazioni e i commenti apposti dai pro-fessori delle khâgne, la cui lettura consente a Bourdieu di confermare la tesi di una stretta correlazione tra l’origine sociale e l’habitus culturale degli studenti che sono ammessi e l’origine sociale e l’habitus culturale degli insegnanti: Roberta Salsi 21 il sistema di apprezzamento funziona come una macchina cognitiva che a per fine di comprendere le differenze sociali (notoriamente tramite l’habitus) sotto le apparenze di differenze puramente scolastiche. Così gli aggettivi “brillante”, “sottile”, intelligente” sono attribuiti maggiormente ai figli dei professori o delle professioni liberali prestigiose, mentre i ceti medi ricevono il più delle volte le qualifiche di “scolaro”, “onesto”, “maldestro” che caratteriz-zano così bene la buona volontà culturale di cui essi danno prova. All’altro estremo dello spettro sociale, i qualificativi più contrariati e i meno eufemistici riguardo alla severità della critica sono riservati alle classi più sfavorite (Bourdieu 1989a, 48). Il fatto che diversi professori delle khâgne, invece di valutare il lavoro degli studenti, identifichino gli habitus di classe è in gran parte inconsapevole, come dimostra lo sconcerto e lo scandalo suscitate dalla pubblicazione di Bourdieu. Ed è precisamente poiché è inconsapevole che l’arbitrarietà della selezione ri-sulta così efficace che gli stessi soggetti discriminati non se ne accorgono (Ivi, 53). Bourdieu non si interessa ai contenuti formativi degli insegnamenti, in poiché ritiene che la sfida conoscitiva sia comprendere i presupposti trasmessi implicitamente nelle visioni pedagogiche e nelle pratiche didattiche, conside-randole come “atti di consacrazione” volti a produrre un gruppo dirigenziale separato dalla comunità sociale e sacralizzato per la sua formazione elettiva (Ivi, 97). Nella critica delle modalità di selezione nell’accesso alle grandes écoles, egli istituisce un parallelo tra il senso delle classes préparatoire e dei concorsi e i “riti di passaggio” delle società arcaiche studiate da A Van Gennep e M. Mauss, o ancora le “forme di investitura” medioevali esaminate da M. Bloch: Uno degli effetti maggiori di queste istituzioni è di compiere ciò che io chiamo dei riti di passaggio, simili a quelli che segnano, in altre società, il passaggio allo status di uomo, in opposizione ai fanciulli, i quali non li hanno ancora subiti, ma anche e soprattutto rispetto alle femmine, che non li subiranno mai (come la circoncisione). Questi riti stabiliscono una separazione, una frontiera sacra, come quella che, nei concorsi, separa l’ultimo ammesso dal primo dei respinti, un quarto di punto che crea una differenza per tutta la vita. I grandi concorsi sono i riti magici con i quali le nostre società selezionano i successori legittimi. Marc Bloch, riguardo alla investitura del cavaliere, l’assimila all’ordinazione di un prete, anch’esso assegnato a un ordine, ranking, con cui viene creato un ordine, nel senso di un gruppo sociale separato dagli altri per differenze essenziali. […] è precisamente questa trasmissione di competenze tecniche che dissimula la trasmissione sociale, l’atto di consacrazione, di legittimazione, ciò che rende il titolo di studio, in 22 The Lab’s Quarterly, 3, 2014 senso forte titolo di nobiltà (Bourdieu, 1989b, 84). Queste considerazioni sono ricorrenti nell’opera di Bourdieu, il quale concepisce i “riti di passaggio” come “riti di istituzione” la cui funzione è di imporre visioni del mondo e far accettare come naturali differenze culturali (Bourdieu 1982). La pedagogia che caratterizza le istituzioni delle grandes écoles opera come «un rito d’istituzione, volto a produrre un gruppo separato e sacralizzato» (Bourdieu 1989a, 101). Il reclutamento e la cesura con la vita quotidiana a cui sono soggetti gli studenti delle classes préparatoires non sarebbero una conseguenza involontaria della durezza della selezione attuata al momento del concorso, bensì il tentativo di riprodurre di una noblesse distinta e separata dai comuni mortali. Queste forme di distinzione sono insiemi di riti di istituzione di “ordini” e di “confini” tramite investiture simboliche con le annesse magie performative: Interamente affidati all’istituzione che gli sottrae nell’arco di pochi anni ogni valore sociale (a parte quello che essa gli riconosce), gli individui ricevono al termine della loro formazione un valore sociale legittimato e con-sacrato dal titolo di studio che gli attribuisce un’essenza superiore e di cui beneficeranno tutta la vita. Le cerimonie d’investitura, così come la pubblica-zione dei risultati dei concorsi nei grandi quotidiani nazionali, sono lì per ricordare a tutti l’esistenza di una élite superiore per natura destinata ad assu-mere la guida della nazione. Ciò che sanziona il titolo non è tanto una compe-tenza tecnica specialistica – la quale ha grandi possibilità di diventare obsoleta nel tempo – quanto una dignità essenziale al di là della loro competenza (Mounieu 2001, 151). Accanto alla funzione tecnica di preparare studenti di alta formazione, le grandes écoles svolgono la funzione di riprodurre, in forma dissimulata, i rituali attraverso cui si compiono i processi di esclusione e di elezione sociale. L’accesso alle posizioni elevate nella stratificazione sociale che le grandes écoles assicurano è riservato, di fatto, ai figli di coloro che già occupano posizioni dominanti nell’allocazione della ricchezza, del potere o del prestigio. È come la trasmissione ereditaria dei titoli nobiliari, con la particolarità che l’accesso alle posizioni dominanti passa per l’ostentazione del titolo di studio, e che l’equilibrio nella trasmissione della distinzione è stabile, non eterno (Bourdieu 1989b, 84). Roberta Salsi 23 5. MUTAMENTI INTERNI AL CAMPO DELLE GRANDI SCUOLE Nel saggio Variations et invariants (1987), in cui Bourdieu anticipa alcuni risultati delle ricerche sui mutamenti strutturali del campo delle grandes écoles approfondite nella successiva pubblicazione, sottolineando sia la determinante egemnia delle classi dominanti nell’istruzione superiore che la subordinata prolificazione delle scuole private, di commercio, di gestione, di comunica-zione, ecc. in cui i figli della borghesia economica trovano uno spazio protetto per acquisire la “distinzione” messa in pericolo dall’accresciuta concorrenza: Le analisi che sono qui proposte permettono di comprendere come il campo delle grandes écoles abbia fornito ai ragazzi della borghesia socialmente destinati alle posizioni dominanti la garanzia, oramai necessaria, che le istituzioni formative più illustri gli negavano spesso in ragione dell’intensificarsi della concorrenza scolastica, e ciò anche con una diversificazione estrema delle scuole di insegnamento superiore e un rafforzamento di quelle che forniscono i mezzi per evitare il giudizio (Bourdieu 1987, 8). Queste istituzioni superiori rappresentano quella molteplicità di scappatoie che offrono ai respinti dalla strada maestra di aggirare le barriere scolastiche: Queste scuole rifugio, spesso molto costose, accolgono i figli della borghesia a basso capitale culturale: grandi commercianti, industriali, ecc. Esse offrono una seconda chance ai loro studenti e gli assicurano il minimo indispensabile per uscirne, in particolare nelle professioni nuove, come il marketing, la pubblicità, ma anche nell’industria e nel commercio. Un’altra circostanza rilevante è che la proliferazione delle scuole rende difficile orientarsi. E per avere senso della posizione, occorrere un esperto dell’universo di istituzioni o una mappa del tipo che io presento sotto forma di diagramma (il mio libro potrà servire può darsi come guida d’orientamento) (Bourdieu 1989b, 81). Egli precisa che i recenti cambiamenti all’interno del campo delle grandes écoles, mostrano una competizione tra le istituzioni tradizionali e quelle nuove prova della complessità dei rapporti tra gerarchie scolastiche e sociali e della lotta tra frazioni della classe dominante per imporsi come classe dell’avvenire: Se la distribuzione delle posizioni di potere istituito, presenta oggi una struttura globale molto vicina a quella che era stata realizzata nel periodo anteriore al 1968, tuttavia, la generalizzazione del modo di riproduzione su base scolastica e, per ciò, l’intensificazione della concorrenza formativa che caratterizza il periodo recente sono all’origine delle due trasformazioni maggiori. Per un 24 The Lab’s Quarterly, 3, 2014 verso, la crescita del peso relativo dell’Ecole nationale d’administration – che, forte delle posizioni acquisite dai suoi allievi anziani nel campo amministrativo, politico ed economico, si è appropriata della parte maggiore delle posizioni disputate dagli studenti delle grandes écoles – , ha determinato delle trasformazioni profonde nell’insieme del campo e in particolare nei suoi concorrenti diretti, l’Ecole polytechnique et l’Ecole normale. Per altro verso, si assiste allo sviluppo di tutto un insieme di istituzioni d’insegnamento nuove (Scuole di gestione, di marketing, di pubblicità, di giornalismo, ecc.) che sono richieste dai mutamenti nel campo economico ma devono il loro successo al fatto che servono oggettivamente le strategie con cui gli adolescenti della borghesia d’affari e i loro familiari provano a modificare l’accresciuto rigore delle regole scolastiche (Bourdieu 1987, 3-4). Come anticipato, l’indagine empirica ha permesso di poter distinguere tra grandes écoles del sapere e grandes écoles del potere, anche se la lotta per la supremazia culturale, sociale ed economica è soggetta a cambiamenti continui. I punti cardinali della competizione sono l’ENS, il Polytechnique e l’ENA. Ciascuna delle grandes écoles si è guadagnata nel tempo un proprio profilo: l’ENA offre l’accesso alle migliori posizioni sociali ed economiche e, soprat-tutto, è la sola scuola che prepara esplicitamente all’acquisizione del potere; l’ENS pur essendo la scuola che formato il maggior numero di Presidenti della Repubblica è orientata verso la ricerca scientifica e l’insegnamento superiore; il Polytechnique ha preparato molti amministratori ma soprattutto ingegneri (Bourdieu 1989a, 200-203). Tuttavia, con la proliferazione delle scuole cambiano le regole del gioco: ci sono due maniere di sbagliarsi: ci sono quelli che non sanno nulla. E sono molti. Li si vede, al momento dell’iscrizione, in pieno smarrimento; si iscrivono a qualsiasi cosa. E ci sono quelli che credono di sapere: gli eletti vittime della loro elezione. Sono stati consacrati dall’istituzione scolastica e pensano che le cose continuano come in passato, senza vedere questa specie di deriva dei continenti che si spostano insensibilmente. Non vedono, per esempio, che il centro di potere non è più il Polytechnique ma l’ENA, e a fortiori che non è più all’Ulm. Lo sfasamento diviene così sempre più grande tra i “meriti” scolastici e i profitti sociali – senza dubbio una delle cause fondamentali della rivolta ambigua, “rivoluzionaria” e “conservatrice” dei professori: uno studente dell’HEC o di Sciences-po andrà a guadagnare dieci volte di più, al termine della scuola, che un normalista (Bourdieu 1989b, 83). Roberta Salsi 25 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Accardo A. (19972), Introdution à une sociologie critique: lire Bourdieu, Paris, Éditions Mascaret. 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