IL LAVORO DELL`INUMANO Reza Negarestani
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IL LAVORO DELL`INUMANO Reza Negarestani
IL LAVORO DELL’INUMANO Reza Negarestani 2014 PARTE I: L’UMANO L’inumanesimo è l’estesa elaborazione pratica dell’umanesimo; è nato da un impegno diligente all’interno del progetto di umanesimo illuminato. Un’onda universale che cancella l’autoritratto dell’uomo disegnato sulla sabbia, l’inumanesimo è un vettore di revisione. Corregge incessantemente il significato dell’essere umani eliminando le sue caratteristiche apparentemente auto-evidenti mentre ne preserva alcune invarianze. Allo stesso tempo, l’inumanesimo si iscrive come istanza di costruzione: esige che noi definiamo cosa significhi essere umani trattando l’umano come un’ipotesi costruttibile, uno spazio di navigazione e di intervento.1 L’inumanesimo sta in concreta opposizione a qualsiasi paradigma che tenta di degradare l’umanità mostrandole la propria finitudine o umiliandola di fronte al grande fuori. Il suo lavoro consiste in parte nel depurare il valore dell’umano da qualsiasi significato predeterminato o importanza particolare stabilita dalla teologia – così facendo liberando la legittimazione del valore umano da ogni venerazione dell’umano che si verifica quando questo valore è attribuito a qualsivoglia varietà di giurisdizione teologica (Dio, genericità ineffabile, assioma fondazionalista, etc.). 2 Una volta che il significato sincretico e onorifico dell’uomo è stato sostituito da un concetto reale, minimalista ma comunque funzionalmente consequenziale, anche il credo umiliante dell’antiumanesimo che sussiste su un vincolo tra valore e venerazione, ancorato teologicamente, perde la propria spinta deflazionistica. Incapace di riguadagnare la propria pertinenza senza fare appello ad un concetto di crisi cagionato dalla teologia, e vano nell’estrarre il valore umano dissolvendo il vincolo patologico tra importanza reale e glorificazione, l’antiumanesimo si rivela essere sulla stessa barca teologica che è così tanto determinato a incendiare. Fallendo nell’isolare un valore in base alla fisica che lo situa invece che tgramite una metafisica che lo gonfia, la sola soluzione dell’antiumanesimo per superare la presunta crisi di significato consiste nell’adozione dell’eterogeneità culturale di false 1 Per tutto il testo enfatizziamo che l’umano è un universale signolare che manifesta la propria modalità di esistenza occupando processi di collettivizzazione o universalizzazione. L’umano è umano non semplicemente in virtù di rappresentare una specie, ma piuttosto in virtù di essere un soggetto generico o un entità ordinaria di fronte a ciò che gli produce la sua singolarità e universalità. Di conseguenza, l’umano, come sottolinea Jean-Paul Sartre, è universale in virtù della singolarità universalizzante dei progetti che intraprende. 2 Un argomento particolarmente elegante e incisivo in difesa del valore umano determinato dalla situazione neurobiologica della soggettività invece che da Dio o dalla religione è stato presentato da Michael Ferrer. Ferrer dimostra, con grandi ripercussioni, che una tale rivisitazione illuminata e non sincretica dal valore umano mina venerazioni di natura teologica, e pure l’attitudine deflazionistica sostenuta da molte correnti del progetto di disincantamento con i suoi derivati speculativi. 1 alternative (le sempre crescenti opzioni del post-, ritiri collettiviste come alternative alla totalità, e così via). Radicate in un sincretismo originario che non è mai stato risolto, queste alternative oscillano perpetuamente tra estremi bipolari – inflazionisti e deflazionisti, incantenvoli e disincantati – che creano una nebbia di libertà che soffoca ogni ambizione universalista e frena la collaborazione metodologica necessaria per definire e raggiungere un obiettivo comune per sfuggire dalla palude planetaria presente. In breve, il netto surplus di false alternative rifornito sotto la rubrica della libertà liberale provoca un deficit terminale di alternative reali, stabilendo per il pensiero e per l’azione l’assioma che prevede che non ci sia alternativa. La posizione di questo saggio è che l’universalità e il collettivismo non possono essere pensati, tanto meno raggiunti, tramite il consenso o il dissenso tra tropi culturali, ma soltanto intercettando e sradicando ciò che dà vita all’economia delle false scelte, e attivando ed elaborando appieno ciò in cui consiste il reale valore umano. Come sarà argomentato, la verità del valore umano – non nel senso di un significato originale o di una dote naturale, ma nel senso di un lavoro che consista nell’elaborazione estesa di ciò che significa essere umani attraverso una serie di speciali performazioni rinnovabili – è rigorosamente inumana. La forza dell’inumanesimo opera come una deterrenza reotroattiva contro l’antiumanesimo grazie alla sua comprensione dell’umanità storicamente – nel più ampio senso fisico-biologico e socioeconomico della storia – come un’indispensabile strada verso se stessa. Ma che cosa è l’umanesimo? Quale impegno particolare representa ‘essere umani’, e come giunge all’inumanesimo la piena elaborazione pratica di questo impegno? In altre parole, che cosa è nell’umano che dà forma all’inumano una volta che si sviluppa in termini di proprie prerogative e consequenze? Per poter rispondere a queste domande, dobbiamo innanzitutto definire cosa significhi essere umani e quale impegno sanzioni esattamente ‘essere umani’. In seguito, dobbiamo analizzare la struttura di questo impegno per riuscire a comprendere come intraprendere un tale impegno – nel senso di praticarlo – implichi l’inumanesimo. 1. IMPEGNO COME ELABORAZIONE ESTESA E MULTIMODALE Un impegno ha solo senso in virtù del proprio contenuto pragmatico (significato tramite uso) e l’esigenza che si adotti un’attitudine interventista. Vale a dire, un’attitudine che tenta di elaborare il concetto di impegno, e che aggiorna quell’impegno in base alle ramificazioni o agli impegni collaterali che si esplicitano nel corso di quella elaborazione. In breve, un impegno – che sia asserzionale, inferenziale, pratico, o cognitivo – non può essere né esaminato né propriamente intrapreso senza il processo di aggiornamento dell’impegno e di scomponimento delle sue consequenze attraverso una gamma completa di pratiche multimodali. L’umanesimo è così un impegno per l’umanità, ma comprenderlo richiede che noi 2 esaminiamo cosa sia un impegno, cosa sia l’umano, e cosa presupponga la loro combinazione. Ciò significa che l’analisi della struttura e delle leggi dell’impegnarsi e del significato di essere umani in senso pragmatico (i.e., non ricorrendo a un’inerente concezione di significato nascosta nella natura o a un’idea predeterminata di uomo) è un primo passo necessario prima di entrare nel dominio della creazione di prescrizioni (che siano sociali, politiche, o etiche). Ciò che è necessario spiegare prima di tutto è di cosa ci sia bisogno per creare una prescrizione, o cosa sia necessario fare per poter considerare un obbligo o un dovere come prescrittivi, ad esempio collegare mansioni e revisionarle. Ma si deve anche riconoscere che una prescrizione dovrebbe corrispondere a un insieme di descrizioni che ad ogni momento devono essere sincronizzate con il sistema di conoscenza moderna che a sua volta produce e modifica le descrizioni. Per dirla brevemente: descrizione senza prescrizione è il germe della rassegnazione, e prescrizione senza descrizione è un mero capriccio. Conformemente, questo è un tentativo di capire l’organizzazione della prescrizione, o cosa preveda creare una prescrizione per l’umano e dall’umano. Senza tale comprensione, norme prescrittive non possono essere adeguatamente distinte da norme descrittive (i.e., non ci può essere prescrizione), né si possono costruire vere e proprie prescrizioni senza degenerare nella vacuità delle prescrizioni svuotate di descrizioni. La descrizione del concetto di umano è impossibile a meno che la elaboriamo nel contesto di uso e pratiche, questa stessa elaborazione è impossibile a meno che seguiamo leggi di inferenza, giudizio, e di impegno che siano anche solo minimamente prescrittive. Descrivere l’umano senza fare leva su un resoconto delle descrizioni fondazionali o senza qualche accesso a priori a delle risorse descrittive è già un progetto prescrittivo minimanente ma funzionalmente egemonico che aderisce a oneri di specificazione ed elaborazione del significato di essere umano attraverso proprietà e requisiti del suo uso. ‘Carico di oneri’ (Wilfrid Sellars), l’umanesimo non può essere considerato una rivendicazione sull’umano da essere professata semplicemente una volta sola, poi trasformata in fondazione o assioma, e terminare così l’intera faccenda. L’inumanesimo è una nomenclatura per l’impossibilità di questa professione una tantum. È una cifra per l’impossibilità di mettere la faccenda da parte una volta per tutte. L’essere umani è un marchio di distinzione tra, da una parte, la relazione tra inclinazione e comportamento attraverso l’intervento dell’intenzionalità discorsiva, e dall’altra, la relazione tra intelligenza senziente e comportamento nell’assenza di tale mediazione. È una distinzione tra senzienza come categoria fortemente biologica e naturale, e sapienza come soggetto razionale (da non confondersi con logico). Questo soggetto è una designazione normativa che è specificata da prerogative e da connesse responsabilità. È importante osservare che la distinzione tra sapienza e senzienza è una demarcazione funzionale più che strutturale. Perciò, 3 è ancora pienamente storica e aperta a naturalizzazione, mentre allo stesso tempo è distinta per la specifica organizzazione funzionale, l’insieme aggiornabile di abilità e responsabilità, le esigenze cognitive e pratiche. La relazione tra senzienza e sapienza può essere compresa come un continuum che non è ovunque differenziabile. Mentre questa continuità complessa potrebbe permettere la naturalizzazione degli obblighi normativi a livello della sapienza – la loro spiegazione in termini di cause naturalistiche – essa non permette che certe risorse concettuali e descrittive specifiche della sapienza (come ad esempio il particolare livello di inclinazione, responsabilità, e, conformemente, prerogative normative) siano estese alla senzienza e oltre. La demarcazione razionale risiede nella differenza tra essere in grado di riconoscere una legge ed essere semplicemente vincolati da una legge, tra comprensione e mera reazione istintiva agli stimoli. Risiede nella differenza tra comunicazione stabilizzata attraverso concetti (resa possibile dallo spazio comune di linguaggio e forme simboliche) e tipi caoticamente instabili o transitori di risposta o comunicazione (come ad esempio reazioni complesse innescate puramente da stati biologici e requisiti organici, o richiami e allarmi di gruppo tra animali sociali). Senza tale stabilizzazione della comunicazione attarverso i concetti e i modi di inferenza implicati nella concezione, sia l’evoluzione culturale sia l’accumulazione e il raffinamento concettuale richiesti per l’evoluzione della conoscenza come impresa condivisa sarebbero impossibili.3 In definitiva, sia il necessario concetto sia la reale possibilità dell’umano riposano sull’abilità della sapienza – distinta dalla senzienza a livello funzionale – di praticare inferenze e di avvicinarsi alla verità non-canonica entrando nel gioco deontico del dare e del chiedere ragioni. La ragione è un gioco solamente nel senso che essa implica pratiche tolleranti-di-errore e basate su regole che procedono in assenza di un arbitro, nelle quali l’accettare-come-vero attraverso il pensiero (il marchio di un credente) e il rendere-vero attraverso l’azione (il marchio di un agente) sono costantemente confrontati, misurati, e calibrati. È un loop retroattivo dinamico in cui l’espansione di una frontiera – accettare-come-vero o rendere-vero, compresione o azione – offre all’altra nuove alternative e opportunità per diversificare il proprio spazio e allargare i propri orizzonti in conformità alle proprie specificazioni e ai propri requisiti. 3 ‘La dinamica epistemica multi-personale può soltanto funzionare fruttuosamente se sono ammesse la stabilità della conoscenza comune a la connessione-input di questa conoscenza (il suo “realismo”). Altrimenti, un sistema di conoscenza, sebbene cognitivamente possibile, non può essere rappresentato socialmente e elaborato culturalmente. Così come la selezione Darwinista in network sociali complessi opera sul piano delle entità sociali (che sopravvivono o scompaiono), solo le specie, che hanno risolto questo problema, possono sfruttare i benefici di un più alto livello di cognizione. La domanda è quindi: Come contribuisce il linguaggio, o altre forme simboliche, all’evoluzione della consapevolezza sociale, coscienza sociale, cognizione sociale?’ W. Wildgen, The Evolution of Human Language: Scenarios, Principles, and Cultural Dynamics (Philadelphia: John Benjamins, 2004), 40. 4 2. UN ‘NOI’ DISCORSIVO E COSTRUTTIBILE Ciò che combina sia l’abilità di inferire sia l’abilità di avvicinarsi alla verità (i.e., la verità nel senso di dare un valore all’accettare-come-vero e al rendere-vero, separatamente e in congiunzione l’uno con l’altro) è la capacità di assumere pratiche discorsive come descritto dal pragmatismo: l’abilità di (1) dispiegare un vocabolario, (2) utilizzare un vocabolario per specificare un insieme di abilità o di pratiche, (3) elaborare un insieme di abilità-o-pratiche in termini di un altro insieme di abilità-o-pratiche, e (4) utilizzare un vocabolario per caratterizzarne un altro. 4 Pratiche discorsive consituiscono il gioco del dare e del chiedere ragioni e del tracciare lo spazio della ragione come un paesaggio di navigazione piuttosto che come un accesso a priori a norme esplicite. Questa è una concezione inferenzialista, procedurale e non-codificata della ragione come un armamentario in espansione di pratiche governate-da-regole ma anche tolleranti-di-errore e correggibili. La capacità di prendere parte in pratiche discorsive è ciò che distingue funzionalmente la sapienza dalla senzienza. Senza una tale capacità, l’essere umani è soltanto un fatto biologico che non produce da sé alcuna significazione proposizionale della sorta che richiede una forma speciale di condotta e attribuzione di valore e valutazione. Senza il riconoscimento di questo aspetto chiave, parlare della storia dell’umano rischia di ridurre la costruzione sociale a una sopravvenienza biologica, allo stesso tempo privando la storia di ogni possibilità di intervento e riorientazione. In altre parole, se privato della capacità di entrare nello spazio della ragione attraverso pratiche discorsive, all’essere umani è impedito di avere alcun significato nel senso di suggerire una qualche relazione pertinente tra pratica e concetto. L’azione è ridotta al significato ‘fare qualcosa e basta’, la collettività non può mai essere metodologica o espressa in termini di una sintesi di abilità diverse per immaginare e raggiungere un obiettivo comune, ed è insostenibile impegnarsi attraverso una connessione tra azione e comprensione. Potremmo allora benissimo sostituire ‘umano’ con qualsiasi cosa desideriamo per costruire una filosofia di infarcimento a un’etica nonumana dove ‘essere una cosa’ presuppone semplicemente essere buoni con gli altri, o con le verdure per quello che importa. Una volta che le pratiche discorsive che tracciano lo spazio della ragione sono sminuite o rimosse, tutto scivola verso l’individuale o verso una alterità noumenica dove una pluralità senza concetto, spogliata di ogni richiesta o dovere, può essere mantenuta senza sforzi. Pratiche discorsive, che si radicano su uso-di-linguaggio e uso-di-strumenti, generano uno spazio deprivatizzato ma comunque stabilizzante e contestualizzante attraverso il quale prendono forma veri processi di collettivizzazione. È lo spazio della ragione che alberga il nucleo funzionale della genuina collettività, un progetto collaborativo di libertà pratica denominato ‘noi’ i cui limiti sono non solo negoziabili ma anche costruttibili e sintetici. 4 Vedi R. Brandom, Between Saying and Doing: Towards an Analytic Pragmatism (Oxford: Oxford University Press,2008). 5 Occorre ricordare che ‘noi’ è una modalità di essere, e una modalità di essere non è un presupposto ontologico o un dominio esclusivo a un insieme di categorie fondamentali o descrizioni fisse. È una condotta, una prestazione speciale che prende forma nel momento in cui si rende visibile agli altri. Precludendo questo ‘noi’ esplicito e discorsivamente mobilizzabile, il concetto di ‘essere umani’ non si traduce in ‘impegno per l’umano/umanità’. Sostenendo ‘noi’, le pratiche discorsive organizzano impegni come traiettorie ramificanti tra il dire e il fare comune, e decretano uno spazio dove l’auto-costruzione o l’elaborazione pratica estensiva dell’umanità è un progetto collaborativo. Prendere un impegno significa oscillare tra fare qualcosa perché possa essere detto, e dire qualcosa di specifico al fine di esprimere e caratterizzare quello stesso fare. È il movimento avanti e indietro, il loop retroattivo, tra due campi di affermazione e azione che definiscono la sapienza come differenziata dalla senzienza.5 Impegnarsi singnifica chiedere ‘cos’altro’, essere attenti a quali altri impegni questo comporta, e come tali impegni conseguenti richiedono nuove modalità di azione e comprensione, nuove abilità e prestazioni speciali che non sono semplicemente intercambiabili con vecchie abilità, poiché sono dettate da insiemi di richieste e prerogative corrette o più complesse. Senza questa ramificazione del ‘cos’altro’ di un impegno attraverso la sua elaborazione pratica, senza navigare ciò che Robert Brandom chiama il sistema razionale di impegni, 6 un impegno non ha contenuto sufficiente, né una reale possibilità di valutazione o sviluppo. È un’espressione praticamente vuota – cioè, un’espressione vuota di contenuto o significazione nonostante la sua aspirazione di serietà verso l’impegno. 3. INTERVENTO COME COSTRUZIONE E REVISIONE Ora possiamo trasformare questo argomento riguardo alle esigenze del prendere un impegno in un argomento sulle esigenze di essere un umano, in quanto l’umanesimo è un sistema di impegni pratici e cognitivi al concetto di umanità. L’argomento procede nel modo seguente: al fine di impegnarsi per l’umanità, il concetto di umanità deve essere scrutinato. Per scrutinare questo concetto, il suo impegno implicito deve essere elaborato. Ma questo compito è impossibile se non portiamo l’umanità-come-un-impegno verso la sua conclusione estrema – domandando che altro comporta essere un umano, dispiegando gli altri impegni e ramificazioni che questo comporta. Ma poiché il concetto di umanità è distinto dalla capacità umana di impegnarsi con norme razionali piuttosto che leggi naturali (dovere invece di essere), il 5 Occorre sottolineare che il sapiente è anche senziente, ma rimane comunque funzionalmente distinto dalla propria costituzione senziente. È questa differenziazione funzionale che rende la senzienza dell’umano diversa da altre forme di senzienza. Per dirla in altro modo, il sapiente è dotato dell’abilità funzionale di ricostituire la propria senzienza qua costituzione. 6 Brandom, Between Saying and Doing 6 concetto di implicazione per l’umanità-come-un-impegno è non-monotonico. Vale a dire, quando domandiamo cosa comporta essere umani, questa implicazione non è più una questione di una causa e del suo effetto differenziale, come nelle leggi fisiche o nelle conseguenze logiche deduttive. Invece, essa esprime abilitazione e non-monotonicità abduttiva, nel senso di una forma di inferenza manipolabile, sperimentale, e sintetica le cui conseguenze non sono semplicemente o linearmente dettate dalle sue premesse o condizioni iniziali. 7 Poiché la nonmonotonicità è un aspetto inerente della pratica e delle euristiche complesse, definire l’umano tramite un’elaborazione pratica significa che il prodotto dell’elaborazione non corrisponde con ciò che l’umano si aspetta o con l’immagine che esso ha di sé. In altre parole, il risultato di un’inferenza abduttiva che manipola sinteticamente dei parametri – il risultato della pratica intesa come una procedura non-monotonica – sarà radicalmente riformista rispetto alle nostre supposizioni e aspettative a proposito di cosa ‘noi’ sia e di cosa comporti. Le caratteristiche di non-monotonicità e di abduttività delle robuste pratiche sociali che formano e cingono lo spazio della ragione rendono il ragionamento e l’attitudine interventista che questo promuove, dei processi in continuo movimento. Certamente, la ragione come radicata in pratiche sociali non è necessariamente diretta verso una conclusione, né tenta di stabilire accordi tramite il tipo di concezione della ragione sostantiva e quasi-strumentalista proposto da pensatori del calibro di Jürgen Habermas. 8 Il principale obiettivo della ragione è di mantenere e accrescere se stessa. Ed è la auto-attualizzazione della ragione che coincide con la verità dell’inumano. Qui la ragione deve essere intesa non come una cosa rigida e immutabile ma come uno spazio in evoluzione che si ricostituisce tramite regoli aggiornabili che simultaneamente preservano l’ignoranza e la mitigano (cf. la nonmonotonicità abduttiva). Il palesamento del concetto di impegno per l’umanità, l’esamina di cosa altro l’umanità ci autorizza, è impossibile a meno che sviluppiamo una certa attitudine interventista che implica la simultanea valutazione (o consumazione) e costruzione (o produzione) di norme. Soltanto questa attitudine interventista verso il concetto di umanità è in grado di estrarre e svelare gli impegni impliciti nell’essere un umano. 7 L’inferenza abduttiva, o abduzione, è stata inizialmente esposta da Charles Sandrs Peirce come una forma di congettura creativa o inferenza ipotetica che utilizza una forma di ragionamento multimodale e sintetica per espandere dinamicamente le proprie capacità. Benchè l’inferenza abduttiva si divida in diverse tipologie, tutte sono non-monotoniche, dinamiche, e non-formali. Comportano anche costruzione e manipolazione, l’utilizzo di complesse strategie euristiche, e forme non-esplicative di generazione di ipotesi. Il ragionamento abduttivo è una parte essenziale della logica della scoperta, incontri epistemici con anomalie e sistemi dinamici, sperimentazione creativa, e azione e comprensione in situazioni in cui sia le risorse materiali che gli indizi epistemici sono limitati o debbano essere mantenuti ad un minimo. Per una esamina comprensiva dell’abduzione a delle sue capacità pratiche e epistemiche, vedi L. Magnani, Abductive Cognition: The Epistemological and Eco-Cognitive Dimensions of Hypothetical Reasoning (Berlin: Springer, 2009). 8 Vedi A.S. Laden, Reasoning: A Social Picture (Oxford: Oxford University Press, 2012). 7 Ed è questa attitudine interventista che conta come un vettore capace di abilitare, rendendo possibili certe abilità altrimenti nascoste o ritenute impossibili. È attraverso la consumazione e la produzione di norme che si può comprendere il concetto di impegno per l’umanità, nel senso sia di valutare che di rendere espliciti gli impegni impliciti che ci legittima. Di conseguenza, il capire l’impegno per l’umanità e il prendere un tale impegno, è imperativo per assumere una posizione costruttiva e in continua revisione rispetto all’umano. Questa è l’attitudine interventista menzionata sopra. Riformare e costruire l’umano sono la definizione stessa di impegno per l’umanità. Se è assente questa perpetua revisione e costruzione, la parte di ‘impegno’ di questo ‘impegno per l’umanità’ non ha per niente senso. Inoltre, in quanto l’umanità non può essere definita senza situarla entro lo spazio delle ragioni (l’argomento della sapienza), impegnarsi per l’umanità è equivalente ad ottemperare il vettore riformista della ragione e a costruire l’umanità in conformità con una concezione autonoma della ragione. L’umanità non è semplicemente un fatto dato come premessa e che proviene da lontano. È un impegno in cui i fili della rivalutazione e della costruzione che sono inerenti al prendere l’impegno e al soddisfare la ragione si intrecciano. In poche parole, essere umani è una fatica. Lo scopo di questo sforzo è di rispondere alle richieste del costruire e riformare l’umano attraverso lo spazio delle ragioni. Questo sforzo è caratterizzato dallo sviluppo di una certa condotta o atteggiamento tollerante-di-errore in conformità con l’autonomia funzionale della ragione – un’attitudine interventista il cui scopo è di rivelare nuove abilità del dire e del fare. In altre parole, di aprire nuove frontiere di azione e comprensione tramite varie modalità di costruzione e pratiche (sociali, tecnologiche…). 4. MARXISMO KITSCH Se impegnarsi ad essere umani è uno sforzo di costruzione e revisione, l’umanismo di oggi è per la maggior parte un’impresa vuota che non fa ciò che dice né dice ciò che fa. Filosofi sociopolitici che tentanto di salvaguardare la dignità dell’umanità contro l’assalto di leviatani politico-economici finiscono per unirsi a questi partendo dal lato opposto. In virtù del suo rifiuto di riconoscere l’autonomia della ragione e di investire sistematicamente in un’attitudine interventista – cioè, riformista e costruttiva – verso l’umano e verso le norme implicite nelle pratiche sociali, quello che si presenta come Marxismo contemporaneo fallisce per la maggior parte a produrre norme di azione e comprensione. In effetti, sottrae se stesso dal futuro dell’umanità. Soltanto attraverso la costruzione di ciò che significa essere umani possono essere prodotte norme di impegno per l’umanità. Soltanto riformando norme esistenti tramite norme che siano state prodotte è possibile valutare norme e soprattutto apprezzare cosa significa essere umani. Di nuovo, queste norme 8 dovrebbero essere differenziate dalle convezioni sociali. Né dovrebbero essere confuse con le leggi naturali (non sono leggi, sono concezioni di leggi, quindi sono tolleranti-di-errori e aperte a revisione). La produzione o la costruzione di norme spingono alla consumazione o valutazione di norme, che a sua volta conduce a un’esigenza di produzione di abilità originali e attitudini normative più complesse. Non si possono valutare norme senza produrne. La stessa cosa può essere detta a proposito del valutare la situazione dell’umanità, lo stato dell’impegno di essere umani: l’umanità non può essere valutata in nessun contesto o situazione meno di sviluppare un’attitudine interventista, costruttiva verso di essa. Ma sviluppare questa attitudine costruttiva verso l’umano significa riformare in modo veemente il significato dell’essere umani. Dedicarsi a un progetto di negatività militante e abbandonare l’ambizione di sviluppare un’attitudine interventista e costruttiva verso l’umano tramite varie pratiche sociali e tecnologiche è ora la caratteristica principale del marxismo kitsch. Sebbene non tutto il marxismo debba essere dipinto con l’accezione di marxismo kitsch, specialmente perché la lotta di classe come principio centrale del marxismo è un progetto storico indispensabile, la pretesa di essere un marxista oggi è troppo generica. È come affermare, ‘Sono un animale’. Non offre nessun risultato teorico o pratico. Ogni progetto Marxista dovrebbe essere valutato determinando se abbia o meno il potere di elaborare i propri impegni, se si renda o meno conto dei meccanismi di base implicati nel prendere un impegno, e soprattutto, se possieda oppure no un programma per aggiornare globalmente i propri impegni. Una volta che la negatività pratica è valorizzata e l’attitudine interventista o l’atteggiamento costruttivo sono abbandonati, la valutazione dell’umanità e delle sue situazioni diviene fondamentalmente problematica ai livelli seguenti. Senza il vettore costruttivo, il progetto di valutazione – critica – è trasformato in una mera attitudine consumistica verso le norme. La consumazione di norme senza produrne alcuna è la realtà concreta della teoria critca Marxista odierna. Per ogni rivendicazione, esiste un insieme preconfenzionato di ‘riflessi critici’. 9 Qualcuno fa una rivendicazione in favore della forza di una ragione migliore. Il Marxista Kitsch dice: Chi decide? Qualcuno dice, costruzione tramite gerarchie strutturali e funzionali. Il Marxista Kitsch risponde: Controllo. Qualcuno dice, controllo normativo. Il Marxista Kitsch ci ricorda dell’autoritarismo. Noi diciamo ‘noi’. Il Marxista Kitsch recita. Chi è ‘noi’? La reazione impulsiva del Marxismo kitsch non può essere identificata con un’attitudine cinica, poiché gli manca il rigore del cinismo. È un reazionismo istintivo meccanizzato che è espressione genuina del consumismo di 9 Grazie a Peter Wolfendale per il termine ‘riflessi critici’ come espressione di pregiudizi teorici preconfezionati utilizzati per prevenire le esigenze del pensiero nel nome del pensiero critico. 9 norme senza l’impegno concreto di produrre alcuna norma. Il consumismo di norme è un altro nome per la schiavitù cognitiva e la pigrizia noetica. La risposta del Marxista kitsch all’umanità è anche problematica sul piano della revisione. Smettere di produrre norme rifiutando di assumere un’attitudine costruttiva verso l’umano, nel senso di un atteggiamento governato dall’autonomia funzionale della ragione, significa smettere di riformare il significato di essere umani. Perché? Perché le norme sono valutate e riformate da nuove norme che sono prodotte tramite varie modalità di costruzione, complesse pratiche sociali, e lo svelamento di nuove abilità per andare aventi e indietro tra il dire e il fare. Poiché l’umano si distingue per la sua capacità di entrare nel gioco del dare e del chiedere ragioni, la costruzione dell’umano deve avvenire nella direzione di un ulteriore individuazione dello spazio della ragione attraverso il quale l’umano si differenzia dal nonumano, la sapienza dalla senzienza. Nel trasformare l’ethos della costruzione in conformità con le esigenze della ragione nel pathos della negatività, non solo il Marxismo kitsch mette fine al progetto di revisione: si affida anche a un concetto di umanità al di fuori dello spazio della ragione – nonostante la forza riformista della ragione sia la sola forza autorizzata a rinegoziare e definire l’umanità. Una volta che si pone fine alla revisione, capire l’umanità e agire sulle sue situazioni non hanno significato, poiché ciò che è ritenuto essere umano non gode di alcuna pertinenza. 10 Allo stesso modo, una volta che l’immagine dell’umanità è ricercata al di fuori della ragione, è soltanto una questione di tempo prima che la distinzione deontologica tra sapienza e senzienza collassa e si palesano rivelatori segni di irrazionalismo – frivolezza, narcisismo, superstizione, entusiasmo speculativo, atavismo sociale, e in definitiva, tirannia. Pertanto, la prima domanda che occorre domandare a un umanista o a un Marxista è: I tuoi impegni sono aggiornati? Se sì, allora devono essere soggetti a un giudizio deontico – una qualche versione del conteggio deontico di Robert Brandom o del calvario deontico di Jean-Yves Girard, dove gli impegni possono essere rivisti sulla base della loro connettività, la loro evasione da circoli viziosi e contraddizioni interne, e la loro valutazione può essere rivista sulla base della ricusazione anziché della confutazione.11 10 Non è un segreto che la maggior parte delle prescrizioni sociopolitiche contemporanee si basano su una concezione dell’umanità che ha fallito a sincronizzarsi con la sienza moderna e a prendere in considerazione alterazioni sociali e organizzative determinate dalle forze tecnologiche. 11 Qui il concetto di ricusazione è l’equivalente navigazionale e procedurale di negazione in un sistema di impegni in espansione – o, più precisamente, in ramificazione. Mentre la confutazione esclude istantaneamente la contraddizione, la ricusazione è un modo di agire in una rete di impegni conformemente con le ramificazioni dell’impegno stesso (viz. la sua tolleranza per la revisione o l’aggiornamento). Simile al procedimento giudiziario sulla base di un’obiezione accolta o respinta, una ricusazione logica facilita o ostacola la navigazione su di un cammino di impegno ramificato in base a un punto di vista deontico. Per ulteriori dettagli sulla differenza tra confutazione e ricusazione vedi: J.-Y. Girard, ‘Geometrz of 10 Se l’impegno per l’umanità si identifica con la revisione attiva e con la costruzione, smettere di riformare e rifiutare di costruire caratterizzano una forma di irrazionalismo che è determinata nel cancellare il significato di essere umani. È in questo senso che il Marxismo kitsch non è solamente un’incapacità teorica. È anche – da un punto di vista sia storico che cognitivo – un impulso al regresso dalla sapienza verso la senzienza. In quest’ottica, non è un’esagerazione affermare che all’interno di ogni progetto Marxista kitsch si cela latente il germe dell’ostilità verso l’umanità e verso il progetto umanista. La negatività pratica si rifiuta di essere rassegnazione, ma si rifiuta anche di contribuire al sistema e di sviluppare un’attitudine sistematica verso la posizione positiva ‘implicita’ nella costruzione del sistema. L’umanesimo si distingue per questa attitudine implicitamente positiva alla costruzione. Fin quando la rassegnazione del Marxismo-kitsch implica un abbandono del progetto dell’umanesimo e collassa in una passività regressiva, possiamo affermare che il rifiuto del Marxismo kitsch di rassegnarsi tanto quanto di costruire è equivalente a una posizione che non è né passiva né umanista. Infatti, questo approccio ‘aut/aut’ denota nient’altro che un progetto di antiumanesimo attivo a cui è il Marxismo kitsch è in verità determinato – nonostante le sue pretese di impegno verso l’umano. È nella scia di questo antiumanesimo, questa ostilità verso le ramificazioni dell’impegno per l’umano, che l’identificazione del progetto del Marxismo kitsch con l’umanesimo appare nella migliore delle ipotesi una farsa, e nella peggiore uno schema Ponzi fatale per gli umanisti devoti. Nella sua missione di connettere l’impegno per l’umanesimo ad abilità e a impegni complessi, l’inumanesimo appare come una forza che si pone contro sia l’apatia della rassegnazione sia l’antiumanesimo attivo implicito nella negatività pratica del tipo alla moda del Marxismo kitsch odierno. L’inumanesimo, come sarà esposto sotto, è sia l’elaborazione estesa delle ramificazioni legate al prendere un impegno verso l’umanità, sia l’elaborazione pratica del concetto di umano come previsto dalla ragione e dalla capacità del sapiente di distinguersi funzionalmente e impegnarsi in pratiche sociali discorsive. PARTE II: L’INUMANO L’umanesimo illuminato – un progetto di impegno per l’umanità nel senso concatenato di cosa significa essere umani e cosa significa prendere un impegno – è un progetto razionale. Non solo è razionale perché individua il significato dell’umano nello spazio delle ragioni come uno specifico orizzonte di pratiche, ma anche, e soprattutto, poiché il concetto di impegno a cui aderisce non può essere pensato o praticato come un impulso volontaristico libero da ramificazioni e obblighi crescenti. Interaction VI: a Blueprint mrs.fr/~girard/blueprint.pdf. for Transcendental 11 Szntax’, 2013, http://iml.univ- Al contrario, questo impegno è come un sistema per navigare gli impegni collaterali – le loro ramificazioni così come le loro specifiche prerogative – che deriva dal prendere un impegno iniziale. L’interazione con il sistema razionale di impegni segue un paradigma navigazionale in cui le ramificazioni di un impegno iniziale devono essere elaborate e navigate compulsivamente in modo che esso abbia senso come impresa. È l’esamina del razionale effetto collaterale del prendere un impegno, il disvelamento delle sue conseguenze di vasta portata e il trattamento di queste ramificazioni come traiettorie da esplorare, che dà forma all’impegno per l’umanità come un progetto navigazionale. Qui la navigazione non è solamente un rilevamente di un paesaggio di cui non si conosce l’intera mappatura; è anche un esercizio nelle procedure di sterzo non-monotoniche, tracciando rotte, sospendendo preconcetti navigazionali, rifiutando o risolvendo impegni incompatibili, esplorando lo spazio delle possibilità, e comprendendo ogni percorso come un’ipotesi di nuovi percorsi o loro carenza, passaggi così come ostacoli. In una prospettiva razionale, un impegno è visto come una cascata di percorsi che si ramificano nel processo di espandere le proprie frontiere, sviluppandosi in un paesaggio in evoluzione, disormeggiando le proprie prospettive fisse, sradicando ogni forma di radicamento associato a un impegno fissato o a responsabilità immutabili, riformando connessioni e indirizzi tra i propri impegni vecchi e nuovi, e infine, cancellando ogni immagine di sé come ‘quello che avrebbe dovuto essere’. Collocare il significato dell’umano nel sistema razionale di impegni significa sottoporre la presunta stabilità di questo significato al potere perturbante e trasformativo di un paesaggio che subisce cambiamenti radicali sotto la spinta riformista delle proprie destinazioni ramificanti. Situandosi all’interno del sistema razionale di impegni, l’umanesimo si pone come condizione iniziale per ciò che ha già rertroattivamente poca o nessuna somiglianza con ciò che l’ha messo in moto originariamente. Sufficientemente elaborato, l’umanesimo, sosteniamo, è la condizione iniziale dell’inumanesimo come una forza che viaggia indietro dal futuro per modificare, se non per interrompere completamente, il comando delle proprie origini – vale a dire, un futuro che scrive il proprio passato 5. L’IMMAGINE DI ‘NOI’ DISEGNATA SULLA SABBIA L’elaborazione pratica del prendere un impegno per l’umanità è l’inumanesimo. Se prendere un impegno significa elaborare appieno il concetto di tale impegno (il conseguente ‘cos’altro?’ di cosa significa essere umani), e se essere umani significa essere in grado di entrare nello spazio della ragione, allora un impegno per l’umanità deve sviluppare appieno il modo in cui le abilità della ragione convertono funzionalmente la senzienza in sapienza. Ma nella misura in cui la ragione gode di un’autonomia funzionale – che le permette di prevenire il collasso della sapienza indietro verso la senzienza – la piena 12 elaborazione delle abilità della ragione comporta lo svelamento delle conseguenze per l’umano dell’autonomia della ragione. L’umanesimo è per definizione un progetto per ampliare lo spazio della ragione elaborando ciò che l’autonomia della ragione implica e quali esigenze ci richieda. Ma l’autonomia della ragione implica l’autonomia per valutare e costruire se stessa, e per estensione l’autonomia per negoziare e costruire ciò che la distingue entrando nello spazio della ragione. In altre parole, la materializzazione dell’auto-coltivazione della ragione che è l’emblema della propria autonomia funzionale ha conseguenze stupefacenti per l’umanità. Ciò che la ragione fa a se stessa si manifesta inevitabilmente come ciò che essa fa all’umano. Poiché l’autonomia funzionale della ragione implica l’auto-determinazione della ragione rispetto alla propria condotta – al punto che la ragione non può essere valutata o riformata da nient’altro che da se stessa (per evitare equivoci o superstizioni) – l’impegno a tale autonomia espone effettivamente il significato dell’essere umani al radicale effetto riformista della ragione. In un certo senso, l’autonomia della ragione è l’autonomia del proprio potere di riforma; e l’impegno all’autonomia della ragione (attraverso il progetto dell’umanesimo) è un impegno all’autonomia del programma riformista della ragione su ciò su cui l’umano non ha presa. L’inumanesimo è esattamente l’attivazione del programma riformista della ragione contro l’auto-ritratto dell’umanità. Una volta che la struttura e la funzione dell’impegno sono compresi genuinamente, vediamo che un impegno trova la via del ritorno dal futuro, dagli impegni collaterali di un impegno corrente, come un corrosivo acido riformista che si precipita indietro nel tempo. Corrodendo le catene tra gli impegni presenti e il loro passato, e considerando gli impegni presenti dalla prospettiva delle loro ramificazioni, la revisione forza l’aggiornamento degli impegni presenti in un modo che rassomiglia a una cascata che si espande globalmente sull’intero sistema. La struttura razionale dell’impegno, qui specificamente ‘l’impegno per l’umanità’, costruisce le opportunità del presente coltivando le tendenze positive del passato tramite le forze riformiste del futuro. Appena ci si impegna per l’umanità, si comincia effettivamente a cancellare dal futuro il suo ritratto canonico. È, come suggerisce Foucault, l’intransigente scommessa sul fatto che l’auto-ritratto dell’uomo sarà cancellato, come un viso disegnato nella sabbia sulla battigia.12 Ogni ritratto così disegnato è lavato via dal potere riformista della ragione, lasciando spazio a ritratti più sottili con così pochi tratti canonici che ci si può domandare se valga la pena o se sia utile chiamare ‘umano’ ciò che ci si lascia alle spalle. L’inumanesimo è il lavoro dell’ufficio razionale sull’umano. Ma c’è da fare un avvertimento: l’ufficialità razionale non è personale, individuale o neanche 12 Vedi M. Foucault, The Order of Things: An Archaeology of Human Sciences (New York: Vintage Books, 1970), 387. 13 necessariamente biologica. Il cuore dell’inumanesimo è un impegno per l’umanità tramite la simultanea costruzione e revisione dell’umano orientate e regolate dall’autonomia della ragione, i.e., l’auto-determinazione e responsabilità per i propri bisogni. Nello spazio della ragione, la costruzione comporta revisione, e la revisione esige costruzione. La revisione dei presunti ritratti dell’umano implica che la costruzione dell’umano in qualsiasi contesto possa essere esercitata senza il ricorso a un fondamento costitutivo, un’identità fondamentale, una natura immacolata, un significato dato come premessa o uno stato prioritario. In breve, la revisione è un’autorizzazione per una nuova costruzione. 6. QUANDO ABBIAMO PERSO CONTATTO CON ‘QUELLO CHE STA DIVENTANDO DI NOI’ Mentre, come indica Michael Ferrer, l’antiumanesimo è dedito al compito irrealizzabile di sciogliere il vincolo della significazione umana con la venerazione umana, l’inumanesimo è un progetto che comincia dissociando la significazione dalla gloria umana.13 Risolvendo il contenuto del vincolo e ripulendo la significazione dai suoi residui onorifici, l’inumanesimo conduce così l’umanesimo alle sue conclusioni estreme costruendo un’immagine riformabile di noi che si libera funzionalmente dalle nostre aspettative e dai nostri pregiudizi storici su quello che questa immagine dovrebbe essere, apparire o significare. Per questa ragione, l’inumanesimo, come sosteniamo in basso, promuove una nuova fase nel progetto sistematico di emancipazione – non come erede di altre forme di emancipazione ma come un’aggiunta gravemente urgente e indispensabile alla crescente catena di obblighi. Inoltre, l’inumanesimo interrompe un’anticipazione del futuro costruita su descrizioni e prescrizioni derivate da un umanesimo conservativo. L’umanesimo conservativo pone la consequenzialità dell’umano in un significato sovradeterminato o in un insieme di descrizioni sovra-particolarizzato che è fisso e che ogni prescrizione sviluppata da e per gli umani deve preservare ad ogni costo. L’inumanesimo, al contrario, situa la consequenzialità dell’impegno per l’umanità nella sua elaborazione pratica e nella navigazione delle sue ramificazioni. Perché la vera consequenzialità di un impegno è questione del proprio potere di generare nuovi impegni, di aggiornarsi in conformità alle proprie ramificazioni, di aprire spazi di possibilità e di navigare il peso riformatore e costruttivo che queste possibilità possono contenere. La consequenzialità dell’impegno per l’umanità, quindi, non si basa su come i parametri di questo impegno sono inizialmente descritti o stabiliti. Si basa su come il significato pragmatico di questo impegno (significato tramite uso) e il senso funzionalista delle sue descrizioni (cosa dobbiamo fare per valere come umani?) si 13 Vedi M. Ferrer, Human Emancipation and ‘Future Philosophy’ (Falmouth: Urbanomic, forthcoming 2015). 14 intrecciano per effettuare i più ampi tipi di conseguenze irriconciliabili con ciò che inizialmente era lo stato di fatto. È la consequenzialità nel senso appena esposto che oscura la consequenzialità nel senso precedente, and procede per dimostrare attraverso una profonda revisione la povertà descrittiva di quella e la sua inconsequenzialità presctittiva. Poiché, come indica Robert Brandom, ‘ogni conseguenza è un cambiamento di stato normativo’ che può condurre a incompatibilità tra impegni, 14 siamo obbligati per mantenerci nell’impresa a fare qualcosa di specifico per risolvere le incompatibilità. Dal punto di vista dell’inumanesimo, più sono discontinue le conseguenze dell’impegno per l’umanità, più avanzate sono le richieste di fare qualcosa (qualcosa di etico, legale, economico, politico, tecnologico, etc.) per rettificare le nostre imprese. L’inumanesimo sottolinea l’urgenza di azione in conformità con un’ondata di riforma che si iscrive sempre più come una discontinuità, come una crepa che si allarga senza possibilità di ripristino. Ogni tentativo socio-politico o progetto consequenziale di cambiamento deve prima indirizzare questa crepa o effetto di discontinuità, e poi escogitare una necessaria linea di condotta in accordo con essa. Ma fare qualcosa riguardo l’effetto di discontinuità – innescato da conseguenze impreviste e dal conseguente cambiamento, in crescita esponenziale, dello stato normativo (esigenze di ciò che occorre fare) – non è equivalente a un atto di ripristino. Al contrario, il compito è costruire punti di collegamento – canali cognitivi e pratici – così da favorire la comunicazione tra ciò che pensiamo di noi stessi e ciò che è diventato di noi. L’abilità di riconoscere quest’ultima cosa non è un diritto dato o un’attitudine naturale innata, ma è invece una questione di lavoro, un programma – e in particolare un programma che manca fondamentalmente nei progetti politici correnti. Essere umani non implica per nulla l’abilità di collegarsi con le conseguenze di ciò che significa essere umani. Allo stesso modo, identificare noi stessi come umani non è una condizione sufficiente per capire cosa è diventato di noi, né una condizione sufficiente per riconoscere come stiamo diventando, o ancora meglio, cosa scaturisce da noi. Uno sforzo politico in linea con l’antiumanesimo non può prevenire la propria caduta ad una forma grottesca di attivismo. Ma ogni progetto socio-politico che promette alleanza con l’umanesimo conservativo – attraverso una concezione quasi-strumentalista e preservazionista della ragione (come la razionalità di Habermas) o un significato di umano di stampo teologico – fa valere la tirannia dell’hic et nunc sotto l’egida di un passato fondazionale o di una radice. L’antiumanesimo e l’umanesimo conservativo rappresentano due patologie della storia che appaiono frequentemente sotto le rubriche della conservazione e della progressione: l’una una concezione del presente che deve conservare i tratti del passato, l’altra un avvicinamento al futuro ma rimanendo ancorati al passato. Ma la 14 Brandom, Between Saying and Doing, 191. 15 catastrofe della revisione le disarma dal futuro modificando il legame tra passato e presente, instradando una concezione catastrofica del tempo che esprime l’eccesso del destino ramificante rispetto alla sua origine. 7. LA CATASTROFE RIMORMISTA La definizione di umanità in conformità con la ragione è una definizione minimalista le cui conseguenze non sono immediatamente date, ma le cue ramificazioni sono stupefacenti. Se mai ci sia stata una vera crisi, sarebbe la nostra inabilità ad affrontare le conseguenze dell’impegno per il reale concetto di umanità. La traiettoria della ragione è quella di una catastrofe generale le cui istanze puntuali e i cui corsi graduali non hanno effetto osservabile o discontinuità comprensiva. La ragione è quindi simultaneamente un mezzo di stabilità che rinforza la proceduralità e una catastrofe generale, un mezzo di cambiamento radicale che somministra un’identità discontinua della ragione a un’immagine preannunciata dell’umano. Elaborare l’umanità in conformità con lo spazio discorsivo della ragione stabilisce una discontinuità tra l’aspettativa umana di sé (cosa si aspetta di diventare) e l’immagine dell’umano modificata secondo il suo concetto attivo o significazione. È esattamente questa disconitinuità che caratterizza l’inumanesimo come una catastrofe generale decretata dall’attivazione del concetto di umanità, il cui nucleo funzionale non è soltanto autonomo ma anche compulsivo e trasformativo. Il discernimento di umanità richiede l’attivazione dello spazio autonomo della ragione. Ma poiché questo spazio – in qualità di concetto di umanità – è funzionalmente autonomo, sebbene la sua genesi sia storica, la sua attivazione implica la disattivazione delle aspettative storiche di ciò che l’umanità può essere o diventare su un piano descrittivo. Poiché l’antiumanesimo trae per lo più il proprio potere critico dal livello descrittivo, che esso sia situato nella natura (presumibilmente immune alla revisione) o in un ambito ristretto della storia (basato su una aspettativa particolare), la realizzazione dell’autonomia della ragione ripristinerebbe la significanza nonteologica dell’umano come una condizione iniziale necessaria, così facendo annullando la critica antiumanista. Quello che è importante capire è che non si può difendere e nemmeno parlare di inumanesimo senza prima impegnarsi al progetto umanista passando dalla porta principale dell’Illuminismo. Il razionalismo come una navigazione compulsiva dello spazio della ragione trasforma l’impegno per l’umanità in una catastrofe riformista, convertendo il proprio iniziale impegno in una cascata ramificata di impegni collaterali che devono essere navigati affinché questo processo possa essere considerato come impegno. Ma è precisamente questa conversione istigata e guidata dalla ragione che trasforma l’impegno in una catastrofe riformista che viaggia indietro nel tempo dal futuro, dalle sue ramificazioni riformiste, per interferire con il passato e riscrivere il presente. In questo senso, la ragione stabilisce un legame nella storia fino ad ora 16 inimmaginabile dalla prospettiva del presente che preserva un’origine o che è ancorata al passato. Agire in tandem con il vettore riformista del futuro non significa riscattare ma aggiornare e riformare, ricostituire e modificare. Dal punto di vista dell’adattamento cognitivo e pratico alla realtà del tempo come una precondizione per agire sulla storia, la redenzione è solo una curiosità teologica. Deriva da un malinteso sul significato del tempo, dallo stringere o trivializzare i legami tra passato, presente e futuro, and infine dal sostegno pregiudiziale delle origini invece che delle destinazioni. Ma la realtà del tempo non si esaurisce con le origini o con cosa è già successo; invece, è un destino che ci costringe a riformare le nostre posizioni e le nostre orientazioni nel momento in cui questa si svela. Il destino esprime la realtà del tempo sempre in modo asimmetrico rispetto alle origini e in eccesso di origini; infatti, in modo catastrofico rispetto a loro. Ma la destinazione non è esattamente un punto singolo o un traguardo terminale, prende forma come traiettorie: non appena si raggiunge o si palesa una destinazione manifesta, questa cessa di guidare la traiettoria storica che guida alla destinazione stessa, ed è sostituita da un certo numero di nuove destinazioni che cominciano a guidare altre traiettorie. Questo è come tutte le vestigia di un traguardo terminale nella storia sono efficacemente rimosse, come l’origine è superata da una concezione del tempo che appare sotto le spoglie di un destino che si raggiunge andando avanti, mentre in realtà è un destino che scrive se stesso all’indietro da destinazioni multiple nel futuro. Il loop costruttivo-riformista dell’inumanesimo mette in evidenza che non c’è incompatibilità tra un progetto destinale e l’assenza di un traguardo terminale, tra auto-realizzazione storica e vuoto temporale. Così come un impulso attivista, la redenzione opera come una modalità di azione volontaristica informata da una concezione preservazionista o conservativa del presente. Al contrario, la revisione è un obbligo o una compulsione razionale di conformarsi all’ondata riformista del futuro scatenata dall’autonomia funzionale della ragione. 8. AUTONOMIA DELLA RAGIONE Ma cosa esattamente è l’autonomia funzionale della ragione? È l’espressione della propensità auto-attualizzante della ragione – uno scenario in cui la ragione libera i propri spazi nonostante ciò che appare essere naturalmente necessario o ciò che sembra essere il caso. Qui ‘necessario’ si riferisce alla presunta necessità naturale, e deve essere distinto dalla necessità normativa. Mentre lo stato di fatto delle cause naturali è definito da ‘è’ (qualcosa che presumibilmente è il caso perché è stato messo in loco contingentemente, come una condizione atmosferica del pianeta), il normativo del razionale è definito da ‘occorre che sia’. Il primo comunica un impulso apparentemente necessario, mentre il secondo non è dato, ma invece è generato dal riconoscere esplicitamente una legge o una norma implicita in una pratica 17 collettiva, trasformandola concettuale, un dovere. così in uno stato vincolante, una compulsione È la dimensione attestativa, tollerante-di-errore, riformista del dovere – al contrario del diktat impulsivo alla lagge naturale – che presenta il dovere come vettore di costruzione capace di trasformare necessità naturali messe in loco contingentemente in variabili manipolabili richieste per la costruzione. Inoltre, l’ordine del dovere è capace di comporre un’organizzazione funzionale, una catena o dinastia di doveri che esegue proceduralmente un’evasione cumulativa dall’ ‘è’ apparentemente necessario cristallizzato nell’ordine del qui e ora. L’autonomia funzionale della ragione consiste nel connettere doveri semplici a doveri complessi o necessità normative o abilità passando per nessi o processi inferenziali. Un impegno per l’umanità, e di conseguenza l’autonomia della ragione, richiede non solo la specificazione di quali doveri o abilità-di-impegno abbiamo diritto, ma anche lo sviluppo di nuovi nessi e inferenze funzionali che connettono doveri esistenti con nuovi doveri o obblighi. Che sia un progetto Marxista, un credo umanista o una prospettiva orientata al futuro, ogni filosofia politica che vanta degli impegni senza risolvere problemi inferenziali e senza costruire nessi inferenziali e funzionali, soffre di una contraddizione interna e di un’assenza di connettività tra impegni. Senza nessi inferenzaiali, non ci può essere un reale aggiornamento degli impegni. Senza un programma globale di aggiornamento, diventa sempre più difficile, se non impossibile, impedire all’umanesimo di ristagnare in un organo di conservativismo e al Marxismo di scivolare in una parodia della critica, una lotteria di racconti ammonitori e bravate rivoluzionarie. Poco importa quanto appaia capace sociopoliticamente o risoluto un progetto politico, senza un aggiornamento globale è impossibile per tale impresa prescrivere qualsiasi obbligo o incarico a causa delle proprie contraddizioni interne. In questo senso, nel suo lodevole tentativo di mostrare ‘cosa occorre fare’ in termini di organizzazioni funzionali, gerarchie complesse e loops retroattivi positivi di autonomia, l’ ‘#Accelerate’ di Srnicek e William denota un progetto marziano che è nel processo di aggiornare i propri impegni. Non deve sorprendere che una tale impresa riceva la più grande derisione e disprezzo da quelle correnti del Marxismo che hanno rinunciato da tempo ad aggiornare i propri impegni cognitivi e pratici. 9. AUTONOMIA FUNZIONALE L’affermazione sull’autonomia funzionale della ragione non è un’affermazione sulla spontaneità genetica della ragione, poiché la ragione è storica e riformabile, sociale e radicata nella pratica. È in realtà un’affermazione sull’autonomia delle pratiche discorsive e sull’autonomia dei nessi inferenziali tra doveri – vale a dire, nessi tra le abilità costruttive e gli obblighi riformisti. La ragione ha le proprie radici nella costruzione sociale, nella valutazione comunitaria, e nella manipolabilità di 18 condizionali incorporati nelle modalità di inferenza. È in parte sociale perché è profondamente connesso alle origini e alle funzioni del linguaggio come uno spazio di organizzazione de-privatizzante, comunitario, e stabilizzante. Ma dobbiamo stare attenti ed estrarre una concezione ‘robusta’ del sociale, poiché un ricorso alla costruzione sociale che sia invece generico rischia di cadere non solo nel relativismo e nell’equivoco, ma anche, come indica Paul Boghossiam, nella paura di conoscere.15 Il primo movimento nella direzione di estrazione di questa concezione robusta del sociale consiste nel fare una necessaria distinzione tra l’aspetto normativo del sociale ‘implicito’ (l’area della consumazione e produzione di norme tramite pratiche) e la dimensione del sociale popolata dalle convenzioni, tra le norme come attitudini interventiste e norme normalizzanti come disposizioni conformiste. La ragione prende vita con un’attitudine interventista verso le norme implicite nelle pratiche sociali. Non è separata dalla natura né isolata dalla costruzione sociale. Tuttavia, la ragione ha bisogni irriducibili intrinseci (Kant) e un’autodeterminazione costitutiva (Hegel), e può essere valutata solamente da se stessa (Sellars). Infatti, il primo compito o questione del razionalismo è di offrire una concezione della natura e del sociale che permetta l’autonomia della ragione. Questa questione ruota attorno a un regime causale della natura che permette l’esecuzione autonoma della ragione nel ‘prendere coscienza di’ leggi, che siano naturali o sociali. Perciò è importante osservare che la razionalità non è una condotta in conformità con una legge, ma piuttosto è il prendere cosicenza di una legge. La razionalità è la ‘concezione della legge’ come un portale nel regno delle regole riformabili e navigabili. Diventiamo agenti razionali solamente quando prendiamo coscienza di o sviluppiamo una certa attitudine interventista verso norme che le rendono costrittive. Non abbracciamo lo stato normativo delle cose immediatamente. Non abbiamo accesso allo stato delle norme esplicito – cioè, codificato logicamente. È attraverso tali attitudini interventiste verso la revisione e la costruzione di norme tramite pratiche sociali che rendiamo lo stato di norme esplicito.16 Contra Hegel, la razionalità non è codificata da norme esplicite dal basso. Confondere norme implicite accessibili tramite pratiche interventiste con norme esplicite è comune e rischia di portare al logicismo o all’intellettualismo, i.e., una concezione della normatività in cui norme esplicite costituiscono una condizione iniziale che comprende tutte le regole fino all’ultima – una pretesa già smascherata dall’argomento del regresso di Wittgenstein. 17 10. AUTOREALIZZAZIONE FUNZIONALE E DECOMPONIBILITÀ PRATICA 15 Vedi P. A. Boghossiam, Fear of Knowledge: Against Relativism and Costructivism (Oxford: Oxford University Press, 2006). 16 Vedi R. Brandom, Making It Explicit: Reasoning, Representing, and Discursive Commitment (Cambridge, MA: Harvard University Press, 2001). 17 Vedi L. Wittgenstein, Philosophical Investigations (New York: Pearson Education, 1973). 19 L’autonomia della ragione è un’affermazione a proposito dell’autonomia della sua funzione normativa, inferenziale e riformista di fronte alla catena delle cause che la condizionano. In definitiva, questa è un’affermazione (neo)funzionalista, nel senso di un funzionalismo pragmatico o razionalista. Il funzionalismo pragmatico deve essere distinto sia dal funzionalismo tradizionale dell’IA, che ruota intorno alla natura simbolica del pensiero, sia da altre varianti comportamentali del funzionalismo, che si affidano su comportamenti come insiemi di regolarità. Mentre questi due funzionalismi rischiano di cadere in vari miti di pancomputazionalismo (l’onnipresenza incondizionata di computazione, l’idea che ciascun sistema fisico possa implementare ciascuna computazione) o comportamentalismo. È importante osservare che un rigetto totale del funzionalismo nel suo senso razionalista pragmatico o Kantiano inevitabilmente inaugurerà vitalismo e ineffabilismo, il dogma mistico secondo il quale c’è qualcosa di essenzialmente speciale e noncostruttibile riguardo al pensiero. Il funzionalismo pragmatico si occupa della natura pragmatica delle pratiche discorsive umane – vale a dire, l’abilità di ragionare, di andare avanti e indietro tra il dire e il fare gradualmente. Qui ‘gradualmente’ definisce la costituzione del dire e del fare, affermazioni e prestazioni, come una condizione di quasi decomponibilità. Per questa ragione, il funzionalismo pragmatico si concentra sulla decomponibilità delle pratiche discorsive in pratiche nondiscorsive (Cosa occorre fare affinchè si possa ragionare o anche solo pensare?). A differenza della IA simbolica o classica, il funzionalismo pragmatico non decompone pratiche implicite in norme esplicite – cioè, codificabili esplicitamente. Si occupa della decomponibilità pratica, piuttosto che della decomponibilità algoritmica, di procedure non-monotoniche piuttosto che di operazioni monotoniche. Al contrario, decompone norme esplicite in pratiche implicite, knowing-that in knowing-how (il dominio delle abilità supportato da capacità di autorealizzazione – cosa si deve fare per eseguire qualcosa di specifico?). In base al funzionalismo pragmatico o razionalista, l’autonomia della ragione implica l’automazione della ragione, poiché l’autonomia delle pratiche, che è un segno distintivo della sapienza, suggerisce l’automazione delle pratiche discorsive in virtù della loro decomponibilità pratica in pratiche nondiscorsive. L’automazione delle pratiche discorsive, o il loop retroattivo tra dire e fare, è l’espressione autentica dell’autonomia funzionale della ragione e il telos del progetto di disincantamento. Se il pensiero è in grado di effettuare il disincantamento della natura, è soltanto l’automazione delle pratiche discorsive che è in grado di disincantare il pensiero. Qui l’automazione non implica un’iterazione identica di processi volti all’ottimizzazione effettiva o delle forme rigorose di implicazione (monotonicità). È invece un registro dell’analisi funzionale o della decomponibilità pratica di un insieme di prestazioni speciali che permette l’autosufficienza di un insieme di abilità 20 da un altro insieme. Di conseguenza, l’automazione qui si riferisce all’abilitazione pratica, o all’abilità di mantenere e intensificare l’autonomia funzionale o la libertà. Le procedure pragmatiche coinvolte in questa modalità di automazione diversificano perpetuamente gli spazi di azione e di comprensione al punto che il carattere non-monotonico delle pratiche apre nuove traiettorie di organizzazione pratica e, corrispettivamente, espande il dominio della libertà pratica. Una volta che il gioco della ragione come un dominio di pratiche basate su regole è messo in moto, la ragione è in grado di riavviare abilità complesse a partire da abilità primitive. Questa è nient’altro che l’auto-attualizzazione della ragione. La ragione libera i propri spazi e le proprie esigenze, e nel farlo riforma in modo fondamentale non solo ciò che noi comprendiamo come pensiero, ma anche ciò che noi riconosciamo come ‘noi’. Ovunque c’è autonomia funzionale, c’è una possibilità di auto-attualizzazione o di auto-realizzazione come uno sviluppo epocale nella storia. Ovunuque l’auto-realizzaione è in corso, un loop retroattivo positivo chiuso si stabilisce tra la libertà e l’intelligenza, l’auto-trasformazione e la concezione di sé. L’autonomia funzionale della ragione è quindi un precursore dell’auto-realizzazione di un’intelligenza che assembla se stessa, pezzo per pezzo, dalla costellazione di un ‘noi’ discorsivamente elaborativo in qualità di sé open source. Il funzionalismo razionalista, quindi, delinea un progetto nonsimbolico – cioè, filosofico – di intelligenza generale in cui l’intelligenza è totalmente intesa come un vettore di auto-realizzazione tramite il mantenimento e l’intensificazione dell’autonomia funzionale. L’automazione delle pratiche discorsive – il dissolvimento pragmatico dell’intelligenza generale artificiale e l’innesco di nuove modalità di pratiche collettivizzanti tramite il legame con le pratiche discorsive autonome – esemplifica l’estremità riformista e costruttiva della ragione intensificata contro l’auto-ritratto canonico dell’umano. Per essere liberi si deve essere schiavi della ragione. Ma per essere schiavi della ragione (la condizione stessa della libertà) ci si espone al potere riformista e alla compulsione costruttiva della ragione. Questa suscettibilità è fortemente amplificata una volta che l’impegno verso l’autonomia della ragione e la dedizione autonoma alle pratiche discorsive sono sufficientemente elaborati. Vale a dire, quando l’autonomia della ragione è concepita come automazione della ragione e come pratiche discorsive – la tesi filosofica piuttosto che quella classica simbolica riguardo l’intelligenza artificiale generale. 18 11. RAZIONALITÀ AUMENTATA L’automazione della ragione suggerisce una nuova fase nell’abilitazione dell’estremità tagliente riformista della ragione e del suo vettore costruttivo. Questa 18 Per una descrizione della connessione tra la filosofia e l’intelligenza artificiale, vedi D. Deutsch, ‘Philosophy will be the key that unlocks artificial intelligence’, 2012. http://www.theguardian.com/science/2012/oct/03/philosophy-artificial-intelligence 21 nuova fase dell’abilitazione della ragione indica un’esacerbazione della differenza tra compulsione razionale e impulsione naturale, tra ‘occorre fare’ come un obbligo interventista e ‘è’ come conformità a ciò che si dà il caso essere apparentemente o naturalmente (la contingenza della natura, la necessità di fondazione, disposizioni, convenzioni, e limiti presumibilmente necessari). L’intensificazione dinamica della differenza tra ‘è’ e ‘deve’ proclama l’avvento di ciò che dovrebbe essere chiamata una razionalità aumentata. (proprio così come la realtà aumentata non è più reale della realtà), ma nel senso di radicalizzare ulteriormente la distinzione tra cosa è stato fatto o cosa ha avuto luogo (o cosa è presumibilmente il caso) e cosa occorre essere fatto. È solo l’intensificarsi di questa distinzione che è in grado di aumentare le esigenze della ragione e, di conseguenza, spingere la funzione razionale verso nuove frontiere di azione e di comprensione. La razionalità aumentata è l’esacerbazione radicale della differenza tra deve ed è. Annulla così, da un certo punto di vista, il mito della restaurazione e cancella ogni speranza di riconciliazione tra essere e pensare. La razionalità aumentata inabita ciò che Howard Baker definisce ‘l’area di massimo rischio’ – non rischio per l’umanità in sé, ma per gli impegni che non sono ancora stati aggiornati, poiché questi si conformano a un ritratto dell’umano che non è stato riformato. 19 Concepita come il lavoro dell’inumano, la razionalità aumentata produce una catastrofe generalizzata per gli impegni verso l’umano non-aggiornati, attraverso l’amplificazione delle dimensioni del ‘deve’ riformiste e costruttive. Se la ragione ha un’evoluzione funzionale propria, la contumacia cognitiva contro l’adattamento dello spazio della ragione (l’evoluzione del dovere piuttosto che l’evoluzione naturale) finisce in cataclisma. L’adattamento all’evoluzione della ragione – che è un’attualizzazione della ragione in conformità con i propri bisogni funzionali – è una questione di aggiornamento degli impegni all’autonomia della ragione tramite l’aggiornamento degli impegni per l’umano. L’aggiornamento degli impegni è impossibile senza tradurre le dimensioni riformiste e costruttive della ragione in progetti sistematici per la revisione e la costruzione dell’umano attraverso la valutazione comunitaria e il collettivismo metodologico. Sebbene il razionalismo rappresenti la sistematicità di revisione e costruzione, non può istituire da sé questa sistematicità. Riformulando, il razionalismo non è un sostituto di un progetto politico, anche se rimane la piattaforma necessaria che simultaneamente informa e orienta ogni progetto politico consequenziale. 12. UN COLTIVANTE PROGETTO DI COSTRUZIONE E REVISIONE L’automazione della ragione e le pratiche discorsive svelano nuovi panorami per esercitare la revisione e la costruzione, vale a dire, per impegnarsi in un progetto 19 Vedi H. Baker, Arguments for a Theater (Manchester: Manchester University Press, 1997), 52. 22 sistematico di libertà pratica. Questa libertà è sia la sistematicità della conoscoenza sia la conoscenza del sistema come prerequisito per agire sul sistema stesso. Ma fin quando il sistema è nient’altro che un’integrazione globale di tendenze e funzioni, e fin quando non ha un’architettura intrinseca, né una fondazione definitiva, né un limite estrinseco, è imperativo per conoscere il sistema trattarlo come un’ipotesi costruttibile. In altre parole, il sistema dovrebbe essere concepito tramite la sintesi abduttiva e l’analisi deduttiva, la costruzione metodica tanto quanto la manipolazione inferenziale delle sue variabili distribuite a diversi livelli. La conoscenza del sistema non è un’epistemologia generale, ma piuttosto, come sottolinea William Wimsatt, un’ ‘epistemologia ingnegneristica’. 20 L’epistemologia ingegneristica – una forma di comprensione che implica la manipolazione del tessuto causale e dell’organizzazione delle gerarchie funzionali – è un armamentario aggiornabile di euristiche che è particolarmente attento a distinguire ruoli ed esigenze di diversi livelli e gerarchie. Esso impiega entità e meccanismi di più basso livello per guidare ed intensificare la costruzione a livelli più alti. Inoltre, utilizza variabili di alto livello e processi robusti per correggere gerarchie strutturali e funzionali di più basso livello, 21 ma anche per rinormalizzare il loro spazio di possibilità al fine di attualizzare i loro potenziali costruttivi, producendo gli osservabili e le condizionali di manipolazione necessari per costruire ulteriormente.22 Ogni progetto politico con lo scopo di un cambio genuino deve concepire e adattarsi alla logica delle gerarchie piramidali che sono la caratteristica distintiva dei sistemi complessi.23 Perché il cambiamento può solo essere effettuato tramite modificazioni strutturali e trasformazioni funzionali attraverso diversi strati strutturali e livelli funzionali. Numerose complicazioni si presentano dalla distribuzione di gerarchie strutturali piramidali e gerarchie funzionali. A volte, affinchè si possa giungere al cambiamento ad un livello, è necessario compiere un cambiamento strutturale o funzionale di diversi livelli apparentemente senza 20 W. C. Wimsatt, Re-Engineering Philosophy for Limited Beings: Piecewise Approximations to Reality (Cambridge, MA: Harvard University Press, 2007). 21 Per definizioni tecniche e dettagliate di processi e meccanismi, vedi J. Seibt, ‘Forms of Emergent Interaction in General Process Theory’, in Synthese 166:3 (Springer 2009), 479512; e C. F. Craver, ‘Role Functions, Mechanisms and Hierarchy’, in Philosophy of Science 68:1 (Chicago: University of Chicago Press, 2001), 53-74. 22 Le condizionali di manipolazione sono forme specifiche di condizionali generali che epsrimono varie combinazioni causali e esplicative di antecedenti e conseguenti (se… allora…) in termini di ipotesi interventiste o manipolabili. Per esempio un semplice condizionale di manipolazione sarebbe: se x fosse manipolato sotto un insieme di parametri W, si comporterebbe nella maniera di y. Per una teoria dell’intervenzione causale e esplicativa, vedi J. Woodward, Making Thins Happen: A Theory of Causal Explication (Oxford, Oxford University Press, 2003). 23 Per una visione realista della complessità vedi, J. Ladyman, J. Lambert, K. Wiesner, ‘What is a Complex System?’ in European Journal of Philosophy of Science 3:1 (Springer, 2013) 3367. E per maggiori dettagli: R. Badii, A. Politi, Complexity: Hierarchical Structures and Scaling in Physics (Cambridge: Cambridge University Press, 1999). 23 relazione. Inoltre, ciò che è importante è cambiare funzioni (che siano esse a livelli economici, sociali o politici). Ma non tutti i cambiamenti strutturali conducono necessariamente a un cambiamento funzionale. Mentre ogni cambiamento funzionale – in virtù del fatto che le funzioni giocano un ruolo essenziale nel raggiungimento di scopi e di stabilizzazione dinamica per il sistema – risulta in un cambiamento strutturale (sebbene tale alterazione nella struttura potrebbe non operarsi nella specifica struttura la cui funzione è appena cambiata). L’importanza delle gerarchie piramidali per l’implementazione di ogni forma di cambiamento su uno strato della nostra vita rende la conoscenza dei diversi livelli esplicativi e la manipolazione attraverso livelli una necessità della più grande importanza. Tale conoscenza deve ancora essere incorporata all’interno dei progetti politici. Senza la conoscenza delle gerarchie strutturali e funzionali ogni ambizione di cambiamento – che avvenga tramite modificazione, riorganizzazione o spaccatura locale – è fuorviata dall’accostamento tra diversi strati di struttura e funzione sui livelli di economia, società e politica. Un cambiamento che non risolve accostamenti esplicativi e descrittivi, strutturali e funzionali finisce per riscrivere questo accostamento sotto le spoglie di una risoluzione, che è un’ulteriore complicazione su uno strato diverso o in una regione differente. Perciò, solamente la differenziazione esplicativa dei livelli e delle manipolazioni tra livelli (euristiche complesse) può trasformare i sogni di cambiamento in realtà. In uno scenario gerarchico, le dimensioni più basse aprono livelli più alti a spazi di possibilità che simultaneamente espandono la possibilità di costruzione e rendono possibile la possibilità di revisione. Allo stesso tempo, la plasticità descrittiva e i meccanismi stabilizzati delle dimensioni più alte regolano e mobilizzano costruzioni e manipolazioni di più basso livello. Combinati insieme, le abilità dei livelli alti e bassi formano il loop riformista-costruttivo dell’ingegneria. Aggirando le inadeguatezze del riduzionismo emergentista ed eliminativo, il loop ingegneristico è uno schema prospettico e una mappa di sintesi. Come mappa, si distribuisce attraverso diversi livelli e ricopre gli strati individuali alla maniera di una moltitudine di mappe con varie valenze descrittive-prospettive. La struttura a patchwork assicura una forma di plasticità descrittiva e di versatilità prospettica, riduce le incoerenze e gli accostamemti esplicativi e rende efficace la ricerca di problemi e di opportunità di costruzione creando mappe descrittive e prospettive su misura per specifici parametri e regioni. Come una bussola prospettica, il loop ingegneristico passa attraverso immagini manifeste e scientifiche (coerenza stereoscopica), assume una visione dall’alto e una prospettiva dal basso (approfodimento telescopico), e integra varie mesoscale che hanno ognuna i propri specifici e non-estendibili ordini esplicativi, descrittivi, strutturali e funzionali (sintesi nontriviale). Il loop riformista-costruttivo istituisce sempre l’ingegneria come una riingegneria, un processo di ri-modificazione, ri-valutazione, ri-orientazione e ri24 costituzione. È l’effetto cumulativo dell’ingegneria (Wimsatt) che corrisponde all’accumulazione funzionale e strutturale di sistemi complessi, 24 come quella sostanza corrosiva che rode i miti di fondazione e catalizza una fuga cumulativa dalle organizzazioni poste in modo contingente. Le dimensioni tolleranti-di-errore e manipolabili che trattano il sistema come un’ipotesi e un’epistemologia ingegneristica sono precisamente le espressioni di revisione e costruzione, considerate come le due funzioni fondamentali della libertà. Ogni impegno che previene la revisione e non mantiene – o, soprattutto espande – l’ambito di costruzione deve essere aggiornato. Se non può essere aggiornato, allora deve essere escluso. La libertà nasce soltanto dall’accumulazione e dalla raffinazione funzionale, che sono caratteristiche dei sistemi complessi gerarchici, piramidali, e quindi decentralizzati. Un’organizzazione funzionale consiste in gerarchie funzionali e in corretti nessi inferenziali tra loro che permettano l’orientazione nontriviale, la manutenzione, la calibrazione e l’intensificazione, generando con ciò opportunità per trasformare proceduralmente le necessità presunte e i fondamenti associati alle cause naturali in variabili manipolabili di costruzione. In un certo senso, l’organizzazione funzionale può essere interpretata come un sistema gerarchico complesso di nessi funzionali e proprietà funzionali collegate con il funzionamento sia normativo sia causale. È anche in grado di convertire l’ordine dato dell’ ‘essere’ nell’ordine interventista e abilitante del ‘dovere’, dove i limiti naturali posti in modo contingente sono rimpiazzati da vincoli normativi necessari ma riformabili. È cruciale sottolineare che la costruzione procede sotto vincoli normativi (non vincoli naturali); e determinazioni naturali (da qui, il realismo) che non possono essere considerati limiti fondazionali. Le gerarchie funzionali assumono il ruolo di scale tramite cui una base causale è appropriata a un’altra, uno stato normativo è spinto ad un altro livello. Questo è il motivo per cui è la figura dell’ingegnere, come agente di revisione e costruzione, che diviene il nemico pubblico numero uno della fondazione che limita l’ambito del cambiamento e ostacola le prospettive di una fuga cumulativa. Non è il sostenitore della trasgressione o il comunitario militante che si sforza a sottrarsi dal sistema o a rasare il sistema ad uno stato di orizzontalità. Più significativamente, questo è il motivo per il quale la libertà non è una spedizione espressa, nel nome della spontaneità o del volere del popolo, o nel nome dell’esportazione della democrazia. La liberazione è un progetto, non un’idea o una merce. Il suo effetto non è l’interruzione della novità, ma piuttosto la continuità di una forma designata di lavoro. Più che la liberazione, la condizione della libertà è un’accumulazione graduale strutturale e funzionale, è l’affinamento che ha luogo come progetto di autocoltivazione. L’accumulazione e l’affinamento strutturali e funzionali costituiscono 24 Vedi Wimsatt, Re-Engineering Philosophy 25 l’ambiente opportuno per aggiornare gli impegni, sia attraverso l’influenza correttiva di livelli uno sull’altro, sia attraverso la propensità costruttiva inerente nelle gerarchie funzionali come motori di abilitazione. La liberazione non è una scintilla iniziale di libertà e non è sufficiente come contenuto della libertà. Considerare la liberazione come fonte di libertà è una credulità eventalista che è già stata screditata ripetutamente, in quanto non garantisce il mantenimento e l’intensificazione della libertà. Ma identificare la liberazione come il contenuto sufficiente della libertà produce un risultato molto più grave: l’irrazionalismo, e quindi, la precipitazione verso varie forme di tirannia e di fascismo. Il contenuto sufficiente della libertà può essere trovato soltanto nella ragione. Occorre riconoscere la differenza tra una norma razionale e una legge naturale – tra l’emancipazione intrinseca nel riconoscimento esplicito dello stato vincolante del conformarsi alla ragione, e la schiavità associata con la deprivazione di tale capacità di riconoscimento, che è la condizione dell’impulso naturale. In senso stretto, la libertà non è liberazione dalla schiavitù. È il continuo disimparare la schiavitù. La compulsione di aggiornare gli impegni e la compulsione di costruire tecnologie cognitive e pratiche per svolgere tali gesta di aggiornamento-di-impegni sono le due dimensioni necessarie di questo processo del disimparare. Da una prospettiva costruttiva e riformista, la libertà è intelligenza. Un impegno per l’umanità o per la libertà che non elabora praticamente il significato di questo dictum ha già abbandonato il proprio impegno e preso in ostaggio l’umanità solo per arrancare nella storia per un giorno o due. La libertà liberale, che sia un’impresa sociale o un’idea intuitiva di essere liberi da vincoli normativi (i.e., una libertà senza scopo o senza azione designata), è una libertà che non si traduce in intelligenza; e per questa ragione, è retroattivamente obsoleta. Ricostituire una presunta costituzione, tracciare un nesso funzionale tra l’identificazione di ciò che è bene normativo e il renderlo vero, mantenere e intensificare il bene e supportare la ricerca del meglio con la propria autonomia – tale è il procedimento della libertà. Ma questa è anche la definizione di intelligenza come auto-realizzazione della libertà pratica e dell’autonomia funzionale che si libera nonostante la propria costituzione. L’adattamento a una concezione autonoma della ragione – cioè, l’aggiornamento degli impegni in conformità con la progressiva auto-realizzazione della ragione – è uno sforzo che coincide con il progetto riformista e costruttivo della libertà. La prima espressione di tale libertà è la definizione di un’orientazione – un indicatore egemonico – che metta in luce il passaggio sintetico e costruttivo che l’umano deve percorrere. Ma per percorrere questo cammino, dobbiamo attraversare il Rubicone cognitivo. 26 Certamente, l’attitudine interventista richiesta dall’adattamento a una ragione funzionalmente autonoma suggerisce che il Rubicone cognitivo sia già stato attraversato. Al fine di navigare questo cammino sintetico, non ha senso guardare indietro a cosa è stato un tempo, ma che è stato ora dissipato – come tutte le immagini illusorie – dai venti riformisti della ragione. 25 25 I miei ringraziamenti a Michale Ferrer, Brian Kuan Wood, Robin Mackay, Benedict Singleton, Peter Wolfendale e molti altri che hanno contribuito a questo testo con suggerimenti o conversazioni. Qualsiasi merito di questo testo è dovuto a loro, le sue carenze invece sono interamente le mie. 27