IL LAVORO DELL`INUMANO Reza Negarestani

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IL LAVORO DELL`INUMANO Reza Negarestani
IL LAVORO DELL’INUMANO
Reza Negarestani
2014
PARTE I: L’UMANO
L’inumanesimo è l’estesa elaborazione pratica dell’umanesimo; è nato da un
impegno diligente all’interno del progetto di umanesimo illuminato. Un’onda
universale che cancella l’autoritratto dell’uomo disegnato sulla sabbia,
l’inumanesimo è un vettore di revisione. Corregge incessantemente il significato
dell’essere umani eliminando le sue caratteristiche apparentemente auto-evidenti
mentre ne preserva alcune invarianze. Allo stesso tempo, l’inumanesimo si iscrive
come istanza di costruzione: esige che noi definiamo cosa significhi essere umani
trattando l’umano come un’ipotesi costruttibile, uno spazio di navigazione e di
intervento.1
L’inumanesimo sta in concreta opposizione a qualsiasi paradigma che tenta di
degradare l’umanità mostrandole la propria finitudine o umiliandola di fronte al
grande fuori. Il suo lavoro consiste in parte nel depurare il valore dell’umano da
qualsiasi significato predeterminato o importanza particolare stabilita dalla teologia
– così facendo liberando la legittimazione del valore umano da ogni venerazione
dell’umano che si verifica quando questo valore è attribuito a qualsivoglia varietà di
giurisdizione teologica (Dio, genericità ineffabile, assioma fondazionalista, etc.). 2
Una volta che il significato sincretico e onorifico dell’uomo è stato sostituito da
un concetto reale, minimalista ma comunque funzionalmente consequenziale,
anche il credo umiliante dell’antiumanesimo che sussiste su un vincolo tra valore e
venerazione, ancorato teologicamente, perde la propria spinta deflazionistica.
Incapace di riguadagnare la propria pertinenza senza fare appello ad un concetto di
crisi cagionato dalla teologia, e vano nell’estrarre il valore umano dissolvendo il
vincolo patologico tra importanza reale e glorificazione, l’antiumanesimo si rivela
essere sulla stessa barca teologica che è così tanto determinato a incendiare.
Fallendo nell’isolare un valore in base alla fisica che lo situa invece che tgramite
una metafisica che lo gonfia, la sola soluzione dell’antiumanesimo per superare la
presunta crisi di significato consiste nell’adozione dell’eterogeneità culturale di false
1
Per tutto il testo enfatizziamo che l’umano è un universale signolare che manifesta la
propria modalità di esistenza occupando processi di collettivizzazione o universalizzazione.
L’umano è umano non semplicemente in virtù di rappresentare una specie, ma piuttosto in
virtù di essere un soggetto generico o un entità ordinaria di fronte a ciò che gli produce la
sua singolarità e universalità. Di conseguenza, l’umano, come sottolinea Jean-Paul Sartre, è
universale in virtù della singolarità universalizzante dei progetti che intraprende.
2
Un argomento particolarmente elegante e incisivo in difesa del valore umano determinato
dalla situazione neurobiologica della soggettività invece che da Dio o dalla religione è stato
presentato da Michael Ferrer. Ferrer dimostra, con grandi ripercussioni, che una tale
rivisitazione illuminata e non sincretica dal valore umano mina venerazioni di natura
teologica, e pure l’attitudine deflazionistica sostenuta da molte correnti del progetto di
disincantamento con i suoi derivati speculativi.
1
alternative (le sempre crescenti opzioni del post-, ritiri collettiviste come alternative
alla totalità, e così via). Radicate in un sincretismo originario che non è mai stato
risolto, queste alternative oscillano perpetuamente tra estremi bipolari – inflazionisti
e deflazionisti, incantenvoli e disincantati – che creano una nebbia di libertà che
soffoca ogni ambizione universalista e frena la collaborazione metodologica
necessaria per definire e raggiungere un obiettivo comune per sfuggire dalla palude
planetaria presente.
In breve, il netto surplus di false alternative rifornito sotto la rubrica della libertà
liberale provoca un deficit terminale di alternative reali, stabilendo per il pensiero e
per l’azione l’assioma che prevede che non ci sia alternativa. La posizione di questo
saggio è che l’universalità e il collettivismo non possono essere pensati, tanto meno
raggiunti, tramite il consenso o il dissenso tra tropi culturali, ma soltanto
intercettando e sradicando ciò che dà vita all’economia delle false scelte, e
attivando ed elaborando appieno ciò in cui consiste il reale valore umano. Come
sarà argomentato, la verità del valore umano – non nel senso di un significato
originale o di una dote naturale, ma nel senso di un lavoro che consista
nell’elaborazione estesa di ciò che significa essere umani attraverso una serie di
speciali performazioni rinnovabili – è rigorosamente inumana.
La forza dell’inumanesimo opera come una deterrenza reotroattiva contro
l’antiumanesimo grazie alla sua comprensione dell’umanità storicamente – nel più
ampio senso fisico-biologico e socioeconomico della storia – come un’indispensabile
strada verso se stessa.
Ma che cosa è l’umanesimo? Quale impegno particolare representa ‘essere
umani’, e come giunge all’inumanesimo la piena elaborazione pratica di questo
impegno? In altre parole, che cosa è nell’umano che dà forma all’inumano una volta
che si sviluppa in termini di proprie prerogative e consequenze? Per poter
rispondere a queste domande, dobbiamo innanzitutto definire cosa significhi essere
umani e quale impegno sanzioni esattamente ‘essere umani’. In seguito, dobbiamo
analizzare la struttura di questo impegno per riuscire a comprendere come
intraprendere un tale impegno – nel senso di praticarlo – implichi l’inumanesimo.
1. IMPEGNO COME ELABORAZIONE ESTESA E MULTIMODALE
Un impegno ha solo senso in virtù del proprio contenuto pragmatico (significato
tramite uso) e l’esigenza che si adotti un’attitudine interventista. Vale a dire,
un’attitudine che tenta di elaborare il concetto di impegno, e che aggiorna
quell’impegno in base alle ramificazioni o agli impegni collaterali che si esplicitano
nel corso di quella elaborazione. In breve, un impegno – che sia asserzionale,
inferenziale, pratico, o cognitivo – non può essere né esaminato né propriamente
intrapreso senza il processo di aggiornamento dell’impegno e di scomponimento
delle sue consequenze attraverso una gamma completa di pratiche multimodali.
L’umanesimo è così un impegno per l’umanità, ma comprenderlo richiede che noi
2
esaminiamo cosa sia un impegno, cosa sia l’umano, e cosa presupponga la loro
combinazione.
Ciò significa che l’analisi della struttura e delle leggi dell’impegnarsi e del
significato di essere umani in senso pragmatico (i.e., non ricorrendo a un’inerente
concezione di significato nascosta nella natura o a un’idea predeterminata di uomo)
è un primo passo necessario prima di entrare nel dominio della creazione di
prescrizioni (che siano sociali, politiche, o etiche). Ciò che è necessario spiegare
prima di tutto è di cosa ci sia bisogno per creare una prescrizione, o cosa sia
necessario fare per poter considerare un obbligo o un dovere come prescrittivi, ad
esempio collegare mansioni e revisionarle. Ma si deve anche riconoscere che una
prescrizione dovrebbe corrispondere a un insieme di descrizioni che ad ogni
momento devono essere sincronizzate con il sistema di conoscenza moderna che a
sua volta produce e modifica le descrizioni. Per dirla brevemente: descrizione senza
prescrizione è il germe della rassegnazione, e prescrizione senza descrizione è un
mero capriccio.
Conformemente, questo è un tentativo di capire l’organizzazione della
prescrizione, o cosa preveda creare una prescrizione per l’umano e dall’umano.
Senza tale comprensione, norme prescrittive non possono essere adeguatamente
distinte da norme descrittive (i.e., non ci può essere prescrizione), né si possono
costruire vere e proprie prescrizioni senza degenerare nella vacuità delle
prescrizioni svuotate di descrizioni.
La descrizione del concetto di umano è impossibile a meno che la elaboriamo nel
contesto di uso e pratiche, questa stessa elaborazione è impossibile a meno che
seguiamo leggi di inferenza, giudizio, e di impegno che siano anche solo
minimamente prescrittive. Descrivere l’umano senza fare leva su un resoconto delle
descrizioni fondazionali o senza qualche accesso a priori a delle risorse descrittive è
già un progetto prescrittivo minimanente ma funzionalmente egemonico che
aderisce a oneri di specificazione ed elaborazione del significato di essere umano
attraverso proprietà e requisiti del suo uso. ‘Carico di oneri’ (Wilfrid Sellars),
l’umanesimo non può essere considerato una rivendicazione sull’umano da essere
professata semplicemente una volta sola, poi trasformata in fondazione o assioma,
e terminare così l’intera faccenda. L’inumanesimo è una nomenclatura per
l’impossibilità di questa professione una tantum. È una cifra per l’impossibilità di
mettere la faccenda da parte una volta per tutte.
L’essere umani è un marchio di distinzione tra, da una parte, la relazione tra
inclinazione e comportamento attraverso l’intervento dell’intenzionalità discorsiva,
e dall’altra, la relazione tra intelligenza senziente e comportamento nell’assenza di
tale mediazione. È una distinzione tra senzienza come categoria fortemente
biologica e naturale, e sapienza come soggetto razionale (da non confondersi con
logico). Questo soggetto è una designazione normativa che è specificata da
prerogative e da connesse responsabilità. È importante osservare che la distinzione
tra sapienza e senzienza è una demarcazione funzionale più che strutturale. Perciò,
3
è ancora pienamente storica e aperta a naturalizzazione, mentre allo stesso tempo
è distinta per la specifica organizzazione funzionale, l’insieme aggiornabile di abilità
e responsabilità, le esigenze cognitive e pratiche. La relazione tra senzienza e
sapienza può essere compresa come un continuum che non è ovunque
differenziabile. Mentre questa continuità complessa potrebbe permettere la
naturalizzazione degli obblighi normativi a livello della sapienza – la loro
spiegazione in termini di cause naturalistiche – essa non permette che certe risorse
concettuali e descrittive specifiche della sapienza (come ad esempio il particolare
livello di inclinazione, responsabilità, e, conformemente, prerogative normative)
siano estese alla senzienza e oltre.
La demarcazione razionale risiede nella differenza tra essere in grado di
riconoscere una legge ed essere semplicemente vincolati da una legge, tra
comprensione e mera reazione istintiva agli stimoli. Risiede nella differenza tra
comunicazione stabilizzata attraverso concetti (resa possibile dallo spazio comune
di linguaggio e forme simboliche) e tipi caoticamente instabili o transitori di risposta
o comunicazione (come ad esempio reazioni complesse innescate puramente da
stati biologici e requisiti organici, o richiami e allarmi di gruppo tra animali sociali).
Senza tale stabilizzazione della comunicazione attarverso i concetti e i modi di
inferenza implicati nella concezione, sia l’evoluzione culturale sia l’accumulazione e
il raffinamento concettuale richiesti per l’evoluzione della conoscenza come impresa
condivisa sarebbero impossibili.3
In definitiva, sia il necessario concetto sia la reale possibilità dell’umano riposano
sull’abilità della sapienza – distinta dalla senzienza a livello funzionale – di praticare
inferenze e di avvicinarsi alla verità non-canonica entrando nel gioco deontico del
dare e del chiedere ragioni. La ragione è un gioco solamente nel senso che essa
implica pratiche tolleranti-di-errore e basate su regole che procedono in assenza di
un arbitro, nelle quali l’accettare-come-vero attraverso il pensiero (il marchio di un
credente) e il rendere-vero attraverso l’azione (il marchio di un agente) sono
costantemente confrontati, misurati, e calibrati. È un loop retroattivo dinamico in
cui l’espansione di una frontiera – accettare-come-vero o rendere-vero,
compresione o azione – offre all’altra nuove alternative e opportunità per
diversificare il proprio spazio e allargare i propri orizzonti in conformità alle proprie
specificazioni e ai propri requisiti.
3
‘La dinamica epistemica multi-personale può soltanto funzionare fruttuosamente se sono
ammesse la stabilità della conoscenza comune a la connessione-input di questa conoscenza
(il suo “realismo”). Altrimenti, un sistema di conoscenza, sebbene cognitivamente possibile,
non può essere rappresentato socialmente e elaborato culturalmente. Così come la
selezione Darwinista in network sociali complessi opera sul piano delle entità sociali (che
sopravvivono o scompaiono), solo le specie, che hanno risolto questo problema, possono
sfruttare i benefici di un più alto livello di cognizione. La domanda è quindi: Come
contribuisce il linguaggio, o altre forme simboliche, all’evoluzione della consapevolezza
sociale, coscienza sociale, cognizione sociale?’ W. Wildgen, The Evolution of Human
Language: Scenarios, Principles, and Cultural Dynamics (Philadelphia: John Benjamins,
2004), 40.
4
2. UN ‘NOI’ DISCORSIVO E COSTRUTTIBILE
Ciò che combina sia l’abilità di inferire sia l’abilità di avvicinarsi alla verità (i.e., la
verità nel senso di dare un valore all’accettare-come-vero e al rendere-vero,
separatamente e in congiunzione l’uno con l’altro) è la capacità di assumere
pratiche discorsive come descritto dal pragmatismo: l’abilità di (1) dispiegare un
vocabolario, (2) utilizzare un vocabolario per specificare un insieme di abilità o di
pratiche, (3) elaborare un insieme di abilità-o-pratiche in termini di un altro insieme
di abilità-o-pratiche, e (4) utilizzare un vocabolario per caratterizzarne un altro. 4
Pratiche discorsive consituiscono il gioco del dare e del chiedere ragioni e del
tracciare lo spazio della ragione come un paesaggio di navigazione piuttosto che
come un accesso a priori a norme esplicite. Questa è una concezione inferenzialista,
procedurale e non-codificata della ragione come un armamentario in espansione di
pratiche governate-da-regole ma anche tolleranti-di-errore e correggibili. La
capacità di prendere parte in pratiche discorsive è ciò che distingue funzionalmente
la sapienza dalla senzienza. Senza una tale capacità, l’essere umani è soltanto un
fatto biologico che non produce da sé alcuna significazione proposizionale della
sorta che richiede una forma speciale di condotta e attribuzione di valore e
valutazione. Senza il riconoscimento di questo aspetto chiave, parlare della storia
dell’umano rischia di ridurre la costruzione sociale a una sopravvenienza biologica,
allo stesso tempo privando la storia di ogni possibilità di intervento e riorientazione.
In altre parole, se privato della capacità di entrare nello spazio della ragione
attraverso pratiche discorsive, all’essere umani è impedito di avere alcun significato
nel senso di suggerire una qualche relazione pertinente tra pratica e concetto.
L’azione è ridotta al significato ‘fare qualcosa e basta’, la collettività non può mai
essere metodologica o espressa in termini di una sintesi di abilità diverse per
immaginare e raggiungere un obiettivo comune, ed è insostenibile impegnarsi
attraverso una connessione tra azione e comprensione. Potremmo allora benissimo
sostituire ‘umano’ con qualsiasi cosa desideriamo per costruire una filosofia di
infarcimento a un’etica nonumana dove ‘essere una cosa’ presuppone
semplicemente essere buoni con gli altri, o con le verdure per quello che importa.
Una volta che le pratiche discorsive che tracciano lo spazio della ragione sono
sminuite o rimosse, tutto scivola verso l’individuale o verso una alterità noumenica
dove una pluralità senza concetto, spogliata di ogni richiesta o dovere, può essere
mantenuta senza sforzi. Pratiche discorsive, che si radicano su uso-di-linguaggio e
uso-di-strumenti, generano uno spazio deprivatizzato ma comunque stabilizzante e
contestualizzante attraverso il quale prendono forma veri processi di
collettivizzazione. È lo spazio della ragione che alberga il nucleo funzionale della
genuina collettività, un progetto collaborativo di libertà pratica denominato ‘noi’ i
cui limiti sono non solo negoziabili ma anche costruttibili e sintetici.
4
Vedi R. Brandom, Between Saying and Doing: Towards an Analytic Pragmatism (Oxford:
Oxford University Press,2008).
5
Occorre ricordare che ‘noi’ è una modalità di essere, e una modalità di essere
non è un presupposto ontologico o un dominio esclusivo a un insieme di categorie
fondamentali o descrizioni fisse. È una condotta, una prestazione speciale che
prende forma nel momento in cui si rende visibile agli altri. Precludendo questo ‘noi’
esplicito e discorsivamente mobilizzabile, il concetto di ‘essere umani’ non si
traduce in ‘impegno per l’umano/umanità’. Sostenendo ‘noi’, le pratiche discorsive
organizzano impegni come traiettorie ramificanti tra il dire e il fare comune, e
decretano uno spazio dove l’auto-costruzione o l’elaborazione pratica estensiva
dell’umanità è un progetto collaborativo.
Prendere un impegno significa oscillare tra fare qualcosa perché possa essere
detto, e dire qualcosa di specifico al fine di esprimere e caratterizzare quello stesso
fare. È il movimento avanti e indietro, il loop retroattivo, tra due campi di
affermazione e azione che definiscono la sapienza come differenziata dalla
senzienza.5 Impegnarsi singnifica chiedere ‘cos’altro’, essere attenti a quali altri
impegni questo comporta, e come tali impegni conseguenti richiedono nuove
modalità di azione e comprensione, nuove abilità e prestazioni speciali che non
sono semplicemente intercambiabili con vecchie abilità, poiché sono dettate da
insiemi di richieste e prerogative corrette o più complesse. Senza questa
ramificazione del ‘cos’altro’ di un impegno attraverso la sua elaborazione pratica,
senza navigare ciò che Robert Brandom chiama il sistema razionale di impegni, 6 un
impegno non ha contenuto sufficiente, né una reale possibilità di valutazione o
sviluppo. È un’espressione praticamente vuota – cioè, un’espressione vuota di
contenuto o significazione nonostante la sua aspirazione di serietà verso l’impegno.
3. INTERVENTO COME COSTRUZIONE E REVISIONE
Ora possiamo trasformare questo argomento riguardo alle esigenze del prendere un
impegno in un argomento sulle esigenze di essere un umano, in quanto
l’umanesimo è un sistema di impegni pratici e cognitivi al concetto di umanità.
L’argomento procede nel modo seguente: al fine di impegnarsi per l’umanità, il
concetto di umanità deve essere scrutinato. Per scrutinare questo concetto, il suo
impegno implicito deve essere elaborato. Ma questo compito è impossibile se non
portiamo l’umanità-come-un-impegno verso la sua conclusione estrema –
domandando che altro comporta essere un umano, dispiegando gli altri impegni e
ramificazioni che questo comporta.
Ma poiché il concetto di umanità è distinto dalla capacità umana di impegnarsi
con norme razionali piuttosto che leggi naturali (dovere invece di essere), il
5
Occorre sottolineare che il sapiente è anche senziente, ma rimane comunque
funzionalmente distinto dalla propria costituzione senziente. È questa differenziazione
funzionale che rende la senzienza dell’umano diversa da altre forme di senzienza. Per dirla
in altro modo, il sapiente è dotato dell’abilità funzionale di ricostituire la propria senzienza
qua costituzione.
6
Brandom, Between Saying and Doing
6
concetto di implicazione per l’umanità-come-un-impegno è non-monotonico. Vale a
dire, quando domandiamo cosa comporta essere umani, questa implicazione non è
più una questione di una causa e del suo effetto differenziale, come nelle leggi
fisiche o nelle conseguenze logiche deduttive. Invece, essa esprime abilitazione e
non-monotonicità abduttiva, nel senso di una forma di inferenza manipolabile,
sperimentale, e sintetica le cui conseguenze non sono semplicemente o
linearmente dettate dalle sue premesse o condizioni iniziali. 7 Poiché la nonmonotonicità è un aspetto inerente della pratica e delle euristiche complesse,
definire l’umano tramite un’elaborazione pratica significa che il prodotto
dell’elaborazione non corrisponde con ciò che l’umano si aspetta o con l’immagine
che esso ha di sé. In altre parole, il risultato di un’inferenza abduttiva che manipola
sinteticamente dei parametri – il risultato della pratica intesa come una procedura
non-monotonica – sarà radicalmente riformista rispetto alle nostre supposizioni e
aspettative a proposito di cosa ‘noi’ sia e di cosa comporti.
Le caratteristiche di non-monotonicità e di abduttività delle robuste pratiche
sociali che formano e cingono lo spazio della ragione rendono il ragionamento e
l’attitudine interventista che questo promuove, dei processi in continuo movimento.
Certamente, la ragione come radicata in pratiche sociali non è necessariamente
diretta verso una conclusione, né tenta di stabilire accordi tramite il tipo di
concezione della ragione sostantiva e quasi-strumentalista proposto da pensatori
del calibro di Jürgen Habermas. 8 Il principale obiettivo della ragione è di mantenere
e accrescere se stessa. Ed è la auto-attualizzazione della ragione che coincide con
la verità dell’inumano. Qui la ragione deve essere intesa non come una cosa rigida e
immutabile ma come uno spazio in evoluzione che si ricostituisce tramite regoli
aggiornabili che simultaneamente preservano l’ignoranza e la mitigano (cf. la nonmonotonicità abduttiva).
Il palesamento del concetto di impegno per l’umanità, l’esamina di cosa altro
l’umanità ci autorizza, è impossibile a meno che sviluppiamo una certa attitudine
interventista che implica la simultanea valutazione (o consumazione) e costruzione
(o produzione) di norme. Soltanto questa attitudine interventista verso il concetto di
umanità è in grado di estrarre e svelare gli impegni impliciti nell’essere un umano.
7
L’inferenza abduttiva, o abduzione, è stata inizialmente esposta da Charles Sandrs Peirce
come una forma di congettura creativa o inferenza ipotetica che utilizza una forma di
ragionamento multimodale e sintetica per espandere dinamicamente le proprie capacità.
Benchè l’inferenza abduttiva si divida in diverse tipologie, tutte sono non-monotoniche,
dinamiche, e non-formali. Comportano anche costruzione e manipolazione, l’utilizzo di
complesse strategie euristiche, e forme non-esplicative di generazione di ipotesi. Il
ragionamento abduttivo è una parte essenziale della logica della scoperta, incontri
epistemici con anomalie e sistemi dinamici, sperimentazione creativa, e azione e
comprensione in situazioni in cui sia le risorse materiali che gli indizi epistemici sono limitati
o debbano essere mantenuti ad un minimo. Per una esamina comprensiva dell’abduzione a
delle sue capacità pratiche e epistemiche, vedi L. Magnani, Abductive Cognition: The
Epistemological and Eco-Cognitive Dimensions of Hypothetical Reasoning (Berlin: Springer,
2009).
8
Vedi A.S. Laden, Reasoning: A Social Picture (Oxford: Oxford University Press, 2012).
7
Ed è questa attitudine interventista che conta come un vettore capace di abilitare,
rendendo possibili certe abilità altrimenti nascoste o ritenute impossibili.
È attraverso la consumazione e la produzione di norme che si può comprendere
il concetto di impegno per l’umanità, nel senso sia di valutare che di rendere
espliciti gli impegni impliciti che ci legittima. Di conseguenza, il capire l’impegno per
l’umanità e il prendere un tale impegno, è imperativo per assumere una posizione
costruttiva e in continua revisione rispetto all’umano. Questa è l’attitudine
interventista menzionata sopra.
Riformare e costruire l’umano sono la definizione stessa di impegno per
l’umanità. Se è assente questa perpetua revisione e costruzione, la parte di
‘impegno’ di questo ‘impegno per l’umanità’ non ha per niente senso. Inoltre, in
quanto l’umanità non può essere definita senza situarla entro lo spazio delle ragioni
(l’argomento della sapienza), impegnarsi per l’umanità è equivalente ad
ottemperare il vettore riformista della ragione e a costruire l’umanità in conformità
con una concezione autonoma della ragione.
L’umanità non è semplicemente un fatto dato come premessa e che proviene da
lontano. È un impegno in cui i fili della rivalutazione e della costruzione che sono
inerenti al prendere l’impegno e al soddisfare la ragione si intrecciano. In poche
parole, essere umani è una fatica. Lo scopo di questo sforzo è di rispondere alle
richieste del costruire e riformare l’umano attraverso lo spazio delle ragioni.
Questo sforzo è caratterizzato dallo sviluppo di una certa condotta o
atteggiamento tollerante-di-errore in conformità con l’autonomia funzionale della
ragione – un’attitudine interventista il cui scopo è di rivelare nuove abilità del dire e
del fare. In altre parole, di aprire nuove frontiere di azione e comprensione tramite
varie modalità di costruzione e pratiche (sociali, tecnologiche…).
4. MARXISMO KITSCH
Se impegnarsi ad essere umani è uno sforzo di costruzione e revisione, l’umanismo
di oggi è per la maggior parte un’impresa vuota che non fa ciò che dice né dice ciò
che fa. Filosofi sociopolitici che tentanto di salvaguardare la dignità dell’umanità
contro l’assalto di leviatani politico-economici finiscono per unirsi a questi partendo
dal lato opposto.
In virtù del suo rifiuto di riconoscere l’autonomia della ragione e di investire
sistematicamente in un’attitudine interventista – cioè, riformista e costruttiva –
verso l’umano e verso le norme implicite nelle pratiche sociali, quello che si
presenta come Marxismo contemporaneo fallisce per la maggior parte a produrre
norme di azione e comprensione. In effetti, sottrae se stesso dal futuro
dell’umanità. Soltanto attraverso la costruzione di ciò che significa essere umani
possono essere prodotte norme di impegno per l’umanità. Soltanto riformando
norme esistenti tramite norme che siano state prodotte è possibile valutare norme e
soprattutto apprezzare cosa significa essere umani. Di nuovo, queste norme
8
dovrebbero essere differenziate dalle convezioni sociali. Né dovrebbero essere
confuse con le leggi naturali (non sono leggi, sono concezioni di leggi, quindi sono
tolleranti-di-errori e aperte a revisione). La produzione o la costruzione di norme
spingono alla consumazione o valutazione di norme, che a sua volta conduce a
un’esigenza di produzione di abilità originali e attitudini normative più complesse.
Non si possono valutare norme senza produrne. La stessa cosa può essere detta
a proposito del valutare la situazione dell’umanità, lo stato dell’impegno di essere
umani: l’umanità non può essere valutata in nessun contesto o situazione meno di
sviluppare un’attitudine interventista, costruttiva verso di essa. Ma sviluppare
questa attitudine costruttiva verso l’umano significa riformare in modo veemente il
significato dell’essere umani.
Dedicarsi a un progetto di negatività militante e abbandonare l’ambizione di
sviluppare un’attitudine interventista e costruttiva verso l’umano tramite varie
pratiche sociali e tecnologiche è ora la caratteristica principale del marxismo kitsch.
Sebbene non tutto il marxismo debba essere dipinto con l’accezione di marxismo
kitsch, specialmente perché la lotta di classe come principio centrale del marxismo
è un progetto storico indispensabile, la pretesa di essere un marxista oggi è troppo
generica. È come affermare, ‘Sono un animale’. Non offre nessun risultato teorico o
pratico.
Ogni progetto Marxista dovrebbe essere valutato determinando se abbia o meno
il potere di elaborare i propri impegni, se si renda o meno conto dei meccanismi di
base implicati nel prendere un impegno, e soprattutto, se possieda oppure no un
programma per aggiornare globalmente i propri impegni. Una volta che la
negatività pratica è valorizzata e l’attitudine interventista o l’atteggiamento
costruttivo sono abbandonati, la valutazione dell’umanità e delle sue situazioni
diviene fondamentalmente problematica ai livelli seguenti.
Senza il vettore costruttivo, il progetto di valutazione – critica – è trasformato in
una mera attitudine consumistica verso le norme. La consumazione di norme senza
produrne alcuna è la realtà concreta della teoria critca Marxista odierna. Per ogni
rivendicazione, esiste un insieme preconfenzionato di ‘riflessi critici’. 9 Qualcuno fa
una rivendicazione in favore della forza di una ragione migliore. Il Marxista Kitsch
dice: Chi decide? Qualcuno dice, costruzione tramite gerarchie strutturali e
funzionali. Il Marxista Kitsch risponde: Controllo. Qualcuno dice, controllo normativo.
Il Marxista Kitsch ci ricorda dell’autoritarismo. Noi diciamo ‘noi’. Il Marxista Kitsch
recita. Chi è ‘noi’? La reazione impulsiva del Marxismo kitsch non può essere
identificata con un’attitudine cinica, poiché gli manca il rigore del cinismo. È un
reazionismo istintivo meccanizzato che è espressione genuina del consumismo di
9
Grazie a Peter Wolfendale per il termine ‘riflessi critici’ come espressione di pregiudizi
teorici preconfezionati utilizzati per prevenire le esigenze del pensiero nel nome del pensiero
critico.
9
norme senza l’impegno concreto di produrre alcuna norma. Il consumismo di norme
è un altro nome per la schiavitù cognitiva e la pigrizia noetica.
La risposta del Marxista kitsch all’umanità è anche problematica sul piano della
revisione. Smettere di produrre norme rifiutando di assumere un’attitudine
costruttiva verso l’umano, nel senso di un atteggiamento governato dall’autonomia
funzionale della ragione, significa smettere di riformare il significato di essere
umani. Perché? Perché le norme sono valutate e riformate da nuove norme che
sono prodotte tramite varie modalità di costruzione, complesse pratiche sociali, e lo
svelamento di nuove abilità per andare aventi e indietro tra il dire e il fare. Poiché
l’umano si distingue per la sua capacità di entrare nel gioco del dare e del chiedere
ragioni, la costruzione dell’umano deve avvenire nella direzione di un ulteriore
individuazione dello spazio della ragione attraverso il quale l’umano si differenzia
dal nonumano, la sapienza dalla senzienza.
Nel trasformare l’ethos della costruzione in conformità con le esigenze della
ragione nel pathos della negatività, non solo il Marxismo kitsch mette fine al
progetto di revisione: si affida anche a un concetto di umanità al di fuori dello
spazio della ragione – nonostante la forza riformista della ragione sia la sola forza
autorizzata a rinegoziare e definire l’umanità. Una volta che si pone fine alla
revisione, capire l’umanità e agire sulle sue situazioni non hanno significato, poiché
ciò che è ritenuto essere umano non gode di alcuna pertinenza. 10 Allo stesso modo,
una volta che l’immagine dell’umanità è ricercata al di fuori della ragione, è soltanto
una questione di tempo prima che la distinzione deontologica tra sapienza e
senzienza collassa e si palesano rivelatori segni di irrazionalismo – frivolezza,
narcisismo, superstizione, entusiasmo speculativo, atavismo sociale, e in definitiva,
tirannia.
Pertanto, la prima domanda che occorre domandare a un umanista o a un
Marxista è: I tuoi impegni sono aggiornati? Se sì, allora devono essere soggetti a un
giudizio deontico – una qualche versione del conteggio deontico di Robert Brandom
o del calvario deontico di Jean-Yves Girard, dove gli impegni possono essere rivisti
sulla base della loro connettività, la loro evasione da circoli viziosi e contraddizioni
interne, e la loro valutazione può essere rivista sulla base della ricusazione anziché
della confutazione.11
10
Non è un segreto che la maggior parte delle prescrizioni sociopolitiche contemporanee si
basano su una concezione dell’umanità che ha fallito a sincronizzarsi con la sienza moderna
e a prendere in considerazione alterazioni sociali e organizzative determinate dalle forze
tecnologiche.
11
Qui il concetto di ricusazione è l’equivalente navigazionale e procedurale di negazione in
un sistema di impegni in espansione – o, più precisamente, in ramificazione. Mentre la
confutazione esclude istantaneamente la contraddizione, la ricusazione è un modo di agire
in una rete di impegni conformemente con le ramificazioni dell’impegno stesso (viz. la sua
tolleranza per la revisione o l’aggiornamento). Simile al procedimento giudiziario sulla base
di un’obiezione accolta o respinta, una ricusazione logica facilita o ostacola la navigazione
su di un cammino di impegno ramificato in base a un punto di vista deontico. Per ulteriori
dettagli sulla differenza tra confutazione e ricusazione vedi: J.-Y. Girard, ‘Geometrz of
10
Se l’impegno per l’umanità si identifica con la revisione attiva e con la
costruzione, smettere di riformare e rifiutare di costruire caratterizzano una forma
di irrazionalismo che è determinata nel cancellare il significato di essere umani. È in
questo senso che il Marxismo kitsch non è solamente un’incapacità teorica. È anche
– da un punto di vista sia storico che cognitivo – un impulso al regresso dalla
sapienza verso la senzienza.
In quest’ottica, non è un’esagerazione affermare che all’interno di ogni progetto
Marxista kitsch si cela latente il germe dell’ostilità verso l’umanità e verso il
progetto umanista. La negatività pratica si rifiuta di essere rassegnazione, ma si
rifiuta anche di contribuire al sistema e di sviluppare un’attitudine sistematica verso
la posizione positiva ‘implicita’ nella costruzione del sistema.
L’umanesimo si distingue per questa attitudine implicitamente positiva alla
costruzione. Fin quando la rassegnazione del Marxismo-kitsch implica un abbandono
del progetto dell’umanesimo e collassa in una passività regressiva, possiamo
affermare che il rifiuto del Marxismo kitsch di rassegnarsi tanto quanto di costruire
è equivalente a una posizione che non è né passiva né umanista. Infatti, questo
approccio ‘aut/aut’ denota nient’altro che un progetto di antiumanesimo attivo a cui
è il Marxismo kitsch è in verità determinato – nonostante le sue pretese di impegno
verso l’umano. È nella scia di questo antiumanesimo, questa ostilità verso le
ramificazioni dell’impegno per l’umano, che l’identificazione del progetto del
Marxismo kitsch con l’umanesimo appare nella migliore delle ipotesi una farsa, e
nella peggiore uno schema Ponzi fatale per gli umanisti devoti.
Nella sua missione di connettere l’impegno per l’umanesimo ad abilità e a
impegni complessi, l’inumanesimo appare come una forza che si pone contro sia
l’apatia della rassegnazione sia l’antiumanesimo attivo implicito nella negatività
pratica del tipo alla moda del Marxismo kitsch odierno. L’inumanesimo, come sarà
esposto sotto, è sia l’elaborazione estesa delle ramificazioni legate al prendere un
impegno verso l’umanità, sia l’elaborazione pratica del concetto di umano come
previsto dalla ragione e dalla capacità del sapiente di distinguersi funzionalmente e
impegnarsi in pratiche sociali discorsive.
PARTE II: L’INUMANO
L’umanesimo illuminato – un progetto di impegno per l’umanità nel senso
concatenato di cosa significa essere umani e cosa significa prendere un impegno – è
un progetto razionale. Non solo è razionale perché individua il significato dell’umano
nello spazio delle ragioni come uno specifico orizzonte di pratiche, ma anche, e
soprattutto, poiché il concetto di impegno a cui aderisce non può essere pensato o
praticato come un impulso volontaristico libero da ramificazioni e obblighi crescenti.
Interaction VI: a Blueprint
mrs.fr/~girard/blueprint.pdf.
for
Transcendental
11
Szntax’,
2013,
http://iml.univ-
Al contrario, questo impegno è come un sistema per navigare gli impegni collaterali
– le loro ramificazioni così come le loro specifiche prerogative – che deriva dal
prendere un impegno iniziale.
L’interazione con il sistema razionale di impegni segue un paradigma
navigazionale in cui le ramificazioni di un impegno iniziale devono essere elaborate
e navigate compulsivamente in modo che esso abbia senso come impresa. È
l’esamina del razionale effetto collaterale del prendere un impegno, il disvelamento
delle sue conseguenze di vasta portata e il trattamento di queste ramificazioni
come traiettorie da esplorare, che dà forma all’impegno per l’umanità come un
progetto navigazionale. Qui la navigazione non è solamente un rilevamente di un
paesaggio di cui non si conosce l’intera mappatura; è anche un esercizio nelle
procedure di sterzo non-monotoniche, tracciando rotte, sospendendo preconcetti
navigazionali, rifiutando o risolvendo impegni incompatibili, esplorando lo spazio
delle possibilità, e comprendendo ogni percorso come un’ipotesi di nuovi percorsi o
loro carenza, passaggi così come ostacoli.
In una prospettiva razionale, un impegno è visto come una cascata di percorsi
che si ramificano nel processo di espandere le proprie frontiere, sviluppandosi in un
paesaggio in evoluzione, disormeggiando le proprie prospettive fisse, sradicando
ogni forma di radicamento associato a un impegno fissato o a responsabilità
immutabili, riformando connessioni e indirizzi tra i propri impegni vecchi e nuovi, e
infine, cancellando ogni immagine di sé come ‘quello che avrebbe dovuto essere’.
Collocare il significato dell’umano nel sistema razionale di impegni significa
sottoporre la presunta stabilità di questo significato al potere perturbante e
trasformativo di un paesaggio che subisce cambiamenti radicali sotto la spinta
riformista delle proprie destinazioni ramificanti. Situandosi all’interno del sistema
razionale di impegni, l’umanesimo si pone come condizione iniziale per ciò che ha
già rertroattivamente poca o nessuna somiglianza con ciò che l’ha messo in moto
originariamente. Sufficientemente elaborato, l’umanesimo, sosteniamo, è la
condizione iniziale dell’inumanesimo come una forza che viaggia indietro dal futuro
per modificare, se non per interrompere completamente, il comando delle proprie
origini – vale a dire, un futuro che scrive il proprio passato
5. L’IMMAGINE DI ‘NOI’ DISEGNATA SULLA SABBIA
L’elaborazione pratica del prendere un impegno per l’umanità è l’inumanesimo. Se
prendere un impegno significa elaborare appieno il concetto di tale impegno (il
conseguente ‘cos’altro?’ di cosa significa essere umani), e se essere umani significa
essere in grado di entrare nello spazio della ragione, allora un impegno per
l’umanità deve sviluppare appieno il modo in cui le abilità della ragione convertono
funzionalmente la senzienza in sapienza.
Ma nella misura in cui la ragione gode di un’autonomia funzionale – che le
permette di prevenire il collasso della sapienza indietro verso la senzienza – la piena
12
elaborazione delle abilità della ragione comporta lo svelamento delle conseguenze
per l’umano dell’autonomia della ragione. L’umanesimo è per definizione un
progetto per ampliare lo spazio della ragione elaborando ciò che l’autonomia della
ragione implica e quali esigenze ci richieda. Ma l’autonomia della ragione implica
l’autonomia per valutare e costruire se stessa, e per estensione l’autonomia per
negoziare e costruire ciò che la distingue entrando nello spazio della ragione. In
altre parole, la materializzazione dell’auto-coltivazione della ragione che è
l’emblema della propria autonomia funzionale ha conseguenze stupefacenti per
l’umanità. Ciò che la ragione fa a se stessa si manifesta inevitabilmente come ciò
che essa fa all’umano.
Poiché l’autonomia funzionale della ragione implica l’auto-determinazione della
ragione rispetto alla propria condotta – al punto che la ragione non può essere
valutata o riformata da nient’altro che da se stessa (per evitare equivoci o
superstizioni) – l’impegno a tale autonomia espone effettivamente il significato
dell’essere umani al radicale effetto riformista della ragione. In un certo senso,
l’autonomia della ragione è l’autonomia del proprio potere di riforma; e l’impegno
all’autonomia della ragione (attraverso il progetto dell’umanesimo) è un impegno
all’autonomia del programma riformista della ragione su ciò su cui l’umano non ha
presa.
L’inumanesimo è esattamente l’attivazione del programma riformista della
ragione contro l’auto-ritratto dell’umanità. Una volta che la struttura e la funzione
dell’impegno sono compresi genuinamente, vediamo che un impegno trova la via
del ritorno dal futuro, dagli impegni collaterali di un impegno corrente, come un
corrosivo acido riformista che si precipita indietro nel tempo. Corrodendo le catene
tra gli impegni presenti e il loro passato, e considerando gli impegni presenti dalla
prospettiva delle loro ramificazioni, la revisione forza l’aggiornamento degli impegni
presenti in un modo che rassomiglia a una cascata che si espande globalmente
sull’intero sistema. La struttura razionale dell’impegno, qui specificamente
‘l’impegno per l’umanità’, costruisce le opportunità del presente coltivando le
tendenze positive del passato tramite le forze riformiste del futuro. Appena ci si
impegna per l’umanità, si comincia effettivamente a cancellare dal futuro il suo
ritratto canonico. È, come suggerisce Foucault, l’intransigente scommessa sul fatto
che l’auto-ritratto dell’uomo sarà cancellato, come un viso disegnato nella sabbia
sulla battigia.12 Ogni ritratto così disegnato è lavato via dal potere riformista della
ragione, lasciando spazio a ritratti più sottili con così pochi tratti canonici che ci si
può domandare se valga la pena o se sia utile chiamare ‘umano’ ciò che ci si lascia
alle spalle.
L’inumanesimo è il lavoro dell’ufficio razionale sull’umano. Ma c’è da fare un
avvertimento: l’ufficialità razionale non è personale, individuale o neanche
12
Vedi M. Foucault, The Order of Things: An Archaeology of Human Sciences (New York:
Vintage Books, 1970), 387.
13
necessariamente biologica. Il cuore dell’inumanesimo è un impegno per l’umanità
tramite la simultanea costruzione e revisione dell’umano orientate e regolate
dall’autonomia della ragione, i.e., l’auto-determinazione e responsabilità per i propri
bisogni. Nello spazio della ragione, la costruzione comporta revisione, e la revisione
esige costruzione. La revisione dei presunti ritratti dell’umano implica che la
costruzione dell’umano in qualsiasi contesto possa essere esercitata senza il ricorso
a un fondamento costitutivo, un’identità fondamentale, una natura immacolata, un
significato dato come premessa o uno stato prioritario. In breve, la revisione è
un’autorizzazione per una nuova costruzione.
6. QUANDO ABBIAMO PERSO CONTATTO CON ‘QUELLO CHE STA DIVENTANDO DI
NOI’
Mentre, come indica Michael Ferrer, l’antiumanesimo è dedito al compito
irrealizzabile di sciogliere il vincolo della significazione umana con la venerazione
umana, l’inumanesimo è un progetto che comincia dissociando la significazione
dalla gloria umana.13 Risolvendo il contenuto del vincolo e ripulendo la significazione
dai suoi residui onorifici, l’inumanesimo conduce così l’umanesimo alle sue
conclusioni estreme costruendo un’immagine riformabile di noi che si libera
funzionalmente dalle nostre aspettative e dai nostri pregiudizi storici su quello che
questa immagine dovrebbe essere, apparire o significare. Per questa ragione,
l’inumanesimo, come sosteniamo in basso, promuove una nuova fase nel progetto
sistematico di emancipazione – non come erede di altre forme di emancipazione ma
come un’aggiunta gravemente urgente e indispensabile alla crescente catena di
obblighi.
Inoltre, l’inumanesimo interrompe un’anticipazione del futuro costruita su
descrizioni e prescrizioni derivate da un umanesimo conservativo. L’umanesimo
conservativo
pone
la
consequenzialità
dell’umano
in
un
significato
sovradeterminato o in un insieme di descrizioni sovra-particolarizzato che è fisso e
che ogni prescrizione sviluppata da e per gli umani deve preservare ad ogni costo.
L’inumanesimo, al contrario, situa la consequenzialità dell’impegno per l’umanità
nella sua elaborazione pratica e nella navigazione delle sue ramificazioni. Perché la
vera consequenzialità di un impegno è questione del proprio potere di generare
nuovi impegni, di aggiornarsi in conformità alle proprie ramificazioni, di aprire spazi
di possibilità e di navigare il peso riformatore e costruttivo che queste possibilità
possono contenere.
La consequenzialità dell’impegno per l’umanità, quindi, non si basa su come i
parametri di questo impegno sono inizialmente descritti o stabiliti. Si basa su come
il significato pragmatico di questo impegno (significato tramite uso) e il senso
funzionalista delle sue descrizioni (cosa dobbiamo fare per valere come umani?) si
13
Vedi M. Ferrer, Human Emancipation and ‘Future Philosophy’ (Falmouth: Urbanomic,
forthcoming 2015).
14
intrecciano per effettuare i più ampi tipi di conseguenze irriconciliabili con ciò che
inizialmente era lo stato di fatto. È la consequenzialità nel senso appena esposto
che oscura la consequenzialità nel senso precedente, and procede per dimostrare
attraverso una profonda revisione la povertà descrittiva di quella e la sua
inconsequenzialità presctittiva.
Poiché, come indica Robert Brandom, ‘ogni conseguenza è un cambiamento di
stato normativo’ che può condurre a incompatibilità tra impegni, 14 siamo obbligati
per mantenerci nell’impresa a fare qualcosa di specifico per risolvere le
incompatibilità. Dal punto di vista dell’inumanesimo, più sono discontinue le
conseguenze dell’impegno per l’umanità, più avanzate sono le richieste di fare
qualcosa (qualcosa di etico, legale, economico, politico, tecnologico, etc.) per
rettificare le nostre imprese. L’inumanesimo sottolinea l’urgenza di azione in
conformità con un’ondata di riforma che si iscrive sempre più come una
discontinuità, come una crepa che si allarga senza possibilità di ripristino.
Ogni tentativo socio-politico o progetto consequenziale di cambiamento deve
prima indirizzare questa crepa o effetto di discontinuità, e poi escogitare una
necessaria linea di condotta in accordo con essa. Ma fare qualcosa riguardo l’effetto
di discontinuità – innescato da conseguenze impreviste e dal conseguente
cambiamento, in crescita esponenziale, dello stato normativo (esigenze di ciò che
occorre fare) – non è equivalente a un atto di ripristino. Al contrario, il compito è
costruire punti di collegamento – canali cognitivi e pratici – così da favorire la
comunicazione tra ciò che pensiamo di noi stessi e ciò che è diventato di noi.
L’abilità di riconoscere quest’ultima cosa non è un diritto dato o un’attitudine
naturale innata, ma è invece una questione di lavoro, un programma – e in
particolare un programma che manca fondamentalmente nei progetti politici
correnti. Essere umani non implica per nulla l’abilità di collegarsi con le
conseguenze di ciò che significa essere umani. Allo stesso modo, identificare noi
stessi come umani non è una condizione sufficiente per capire cosa è diventato di
noi, né una condizione sufficiente per riconoscere come stiamo diventando, o
ancora meglio, cosa scaturisce da noi.
Uno sforzo politico in linea con l’antiumanesimo non può prevenire la propria
caduta ad una forma grottesca di attivismo. Ma ogni progetto socio-politico che
promette alleanza con l’umanesimo conservativo – attraverso una concezione
quasi-strumentalista e preservazionista della ragione (come la razionalità di
Habermas) o un significato di umano di stampo teologico – fa valere la tirannia
dell’hic et nunc sotto l’egida di un passato fondazionale o di una radice.
L’antiumanesimo e l’umanesimo conservativo rappresentano due patologie della
storia che appaiono frequentemente sotto le rubriche della conservazione e della
progressione: l’una una concezione del presente che deve conservare i tratti del
passato, l’altra un avvicinamento al futuro ma rimanendo ancorati al passato. Ma la
14
Brandom, Between Saying and Doing, 191.
15
catastrofe della revisione le disarma dal futuro modificando il legame tra passato e
presente, instradando una concezione catastrofica del tempo che esprime l’eccesso
del destino ramificante rispetto alla sua origine.
7. LA CATASTROFE RIMORMISTA
La definizione di umanità in conformità con la ragione è una definizione minimalista
le cui conseguenze non sono immediatamente date, ma le cue ramificazioni sono
stupefacenti. Se mai ci sia stata una vera crisi, sarebbe la nostra inabilità ad
affrontare le conseguenze dell’impegno per il reale concetto di umanità. La
traiettoria della ragione è quella di una catastrofe generale le cui istanze puntuali e
i cui corsi graduali non hanno effetto osservabile o discontinuità comprensiva. La
ragione è quindi simultaneamente un mezzo di stabilità che rinforza la proceduralità
e una catastrofe generale, un mezzo di cambiamento radicale che somministra
un’identità discontinua della ragione a un’immagine preannunciata dell’umano.
Elaborare l’umanità in conformità con lo spazio discorsivo della ragione stabilisce
una discontinuità tra l’aspettativa umana di sé (cosa si aspetta di diventare) e
l’immagine dell’umano modificata secondo il suo concetto attivo o significazione. È
esattamente questa disconitinuità che caratterizza l’inumanesimo come una
catastrofe generale decretata dall’attivazione del concetto di umanità, il cui nucleo
funzionale non è soltanto autonomo ma anche compulsivo e trasformativo.
Il discernimento di umanità richiede l’attivazione dello spazio autonomo della
ragione. Ma poiché questo spazio – in qualità di concetto di umanità – è
funzionalmente autonomo, sebbene la sua genesi sia storica, la sua attivazione
implica la disattivazione delle aspettative storiche di ciò che l’umanità può essere o
diventare su un piano descrittivo. Poiché l’antiumanesimo trae per lo più il proprio
potere critico dal livello descrittivo, che esso sia situato nella natura
(presumibilmente immune alla revisione) o in un ambito ristretto della storia
(basato su una aspettativa particolare), la realizzazione dell’autonomia della
ragione ripristinerebbe la significanza nonteologica dell’umano come una
condizione iniziale necessaria, così facendo annullando la critica antiumanista.
Quello che è importante capire è che non si può difendere e nemmeno parlare di
inumanesimo senza prima impegnarsi al progetto umanista passando dalla porta
principale dell’Illuminismo.
Il razionalismo come una navigazione compulsiva dello spazio della ragione
trasforma l’impegno per l’umanità in una catastrofe riformista, convertendo il
proprio iniziale impegno in una cascata ramificata di impegni collaterali che devono
essere navigati affinché questo processo possa essere considerato come impegno.
Ma è precisamente questa conversione istigata e guidata dalla ragione che
trasforma l’impegno in una catastrofe riformista che viaggia indietro nel tempo dal
futuro, dalle sue ramificazioni riformiste, per interferire con il passato e riscrivere il
presente. In questo senso, la ragione stabilisce un legame nella storia fino ad ora
16
inimmaginabile dalla prospettiva del presente che preserva un’origine o che è
ancorata al passato.
Agire in tandem con il vettore riformista del futuro non significa riscattare ma
aggiornare e riformare, ricostituire e modificare. Dal punto di vista dell’adattamento
cognitivo e pratico alla realtà del tempo come una precondizione per agire sulla
storia, la redenzione è solo una curiosità teologica. Deriva da un malinteso sul
significato del tempo, dallo stringere o trivializzare i legami tra passato, presente e
futuro, and infine dal sostegno pregiudiziale delle origini invece che delle
destinazioni. Ma la realtà del tempo non si esaurisce con le origini o con cosa è già
successo; invece, è un destino che ci costringe a riformare le nostre posizioni e le
nostre orientazioni nel momento in cui questa si svela.
Il destino esprime la realtà del tempo sempre in modo asimmetrico rispetto alle
origini e in eccesso di origini; infatti, in modo catastrofico rispetto a loro. Ma la
destinazione non è esattamente un punto singolo o un traguardo terminale, prende
forma come traiettorie: non appena si raggiunge o si palesa una destinazione
manifesta, questa cessa di guidare la traiettoria storica che guida alla destinazione
stessa, ed è sostituita da un certo numero di nuove destinazioni che cominciano a
guidare altre traiettorie. Questo è come tutte le vestigia di un traguardo terminale
nella storia sono efficacemente rimosse, come l’origine è superata da una
concezione del tempo che appare sotto le spoglie di un destino che si raggiunge
andando avanti, mentre in realtà è un destino che scrive se stesso all’indietro da
destinazioni multiple nel futuro.
Il loop costruttivo-riformista dell’inumanesimo mette in evidenza che non c’è
incompatibilità tra un progetto destinale e l’assenza di un traguardo terminale, tra
auto-realizzazione storica e vuoto temporale. Così come un impulso attivista, la
redenzione opera come una modalità di azione volontaristica informata da una
concezione preservazionista o conservativa del presente. Al contrario, la revisione è
un obbligo o una compulsione razionale di conformarsi all’ondata riformista del
futuro scatenata dall’autonomia funzionale della ragione.
8. AUTONOMIA DELLA RAGIONE
Ma cosa esattamente è l’autonomia funzionale della ragione? È l’espressione della
propensità auto-attualizzante della ragione – uno scenario in cui la ragione libera i
propri spazi nonostante ciò che appare essere naturalmente necessario o ciò che
sembra essere il caso. Qui ‘necessario’ si riferisce alla presunta necessità naturale,
e deve essere distinto dalla necessità normativa. Mentre lo stato di fatto delle cause
naturali è definito da ‘è’ (qualcosa che presumibilmente è il caso perché è stato
messo in loco contingentemente, come una condizione atmosferica del pianeta), il
normativo del razionale è definito da ‘occorre che sia’. Il primo comunica un impulso
apparentemente necessario, mentre il secondo non è dato, ma invece è generato
dal riconoscere esplicitamente una legge o una norma implicita in una pratica
17
collettiva, trasformandola
concettuale, un dovere.
così
in
uno
stato
vincolante,
una
compulsione
È la dimensione attestativa, tollerante-di-errore, riformista del dovere – al
contrario del diktat impulsivo alla lagge naturale – che presenta il dovere come
vettore di costruzione capace di trasformare necessità naturali messe in loco
contingentemente in variabili manipolabili richieste per la costruzione. Inoltre,
l’ordine del dovere è capace di comporre un’organizzazione funzionale, una catena
o dinastia di doveri che esegue proceduralmente un’evasione cumulativa dall’ ‘è’
apparentemente necessario cristallizzato nell’ordine del qui e ora.
L’autonomia funzionale della ragione consiste nel connettere doveri semplici a
doveri complessi o necessità normative o abilità passando per nessi o processi
inferenziali. Un impegno per l’umanità, e di conseguenza l’autonomia della ragione,
richiede non solo la specificazione di quali doveri o abilità-di-impegno abbiamo
diritto, ma anche lo sviluppo di nuovi nessi e inferenze funzionali che connettono
doveri esistenti con nuovi doveri o obblighi.
Che sia un progetto Marxista, un credo umanista o una prospettiva orientata al
futuro, ogni filosofia politica che vanta degli impegni senza risolvere problemi
inferenziali e senza costruire nessi inferenziali e funzionali, soffre di una
contraddizione interna e di un’assenza di connettività tra impegni. Senza nessi
inferenzaiali, non ci può essere un reale aggiornamento degli impegni. Senza un
programma globale di aggiornamento, diventa sempre più difficile, se non
impossibile, impedire all’umanesimo di ristagnare in un organo di conservativismo e
al Marxismo di scivolare in una parodia della critica, una lotteria di racconti
ammonitori e bravate rivoluzionarie. Poco importa quanto appaia capace
sociopoliticamente o risoluto un progetto politico, senza un aggiornamento globale
è impossibile per tale impresa prescrivere qualsiasi obbligo o incarico a causa delle
proprie contraddizioni interne.
In questo senso, nel suo lodevole tentativo di mostrare ‘cosa occorre fare’ in
termini di organizzazioni funzionali, gerarchie complesse e loops retroattivi positivi
di autonomia, l’ ‘#Accelerate’ di Srnicek e William denota un progetto marziano che
è nel processo di aggiornare i propri impegni. Non deve sorprendere che una tale
impresa riceva la più grande derisione e disprezzo da quelle correnti del Marxismo
che hanno rinunciato da tempo ad aggiornare i propri impegni cognitivi e pratici.
9. AUTONOMIA FUNZIONALE
L’affermazione sull’autonomia funzionale della ragione non è un’affermazione sulla
spontaneità genetica della ragione, poiché la ragione è storica e riformabile, sociale
e radicata nella pratica. È in realtà un’affermazione sull’autonomia delle pratiche
discorsive e sull’autonomia dei nessi inferenziali tra doveri – vale a dire, nessi tra le
abilità costruttive e gli obblighi riformisti. La ragione ha le proprie radici nella
costruzione sociale, nella valutazione comunitaria, e nella manipolabilità di
18
condizionali incorporati nelle modalità di inferenza. È in parte sociale perché è
profondamente connesso alle origini e alle funzioni del linguaggio come uno spazio
di organizzazione de-privatizzante, comunitario, e stabilizzante. Ma dobbiamo stare
attenti ed estrarre una concezione ‘robusta’ del sociale, poiché un ricorso alla
costruzione sociale che sia invece generico rischia di cadere non solo nel
relativismo e nell’equivoco, ma anche, come indica Paul Boghossiam, nella paura di
conoscere.15 Il primo movimento nella direzione di estrazione di questa concezione
robusta del sociale consiste nel fare una necessaria distinzione tra l’aspetto
normativo del sociale ‘implicito’ (l’area della consumazione e produzione di norme
tramite pratiche) e la dimensione del sociale popolata dalle convenzioni, tra le
norme come attitudini interventiste e norme normalizzanti come disposizioni
conformiste.
La ragione prende vita con un’attitudine interventista verso le norme implicite
nelle pratiche sociali. Non è separata dalla natura né isolata dalla costruzione
sociale. Tuttavia, la ragione ha bisogni irriducibili intrinseci (Kant) e un’autodeterminazione costitutiva (Hegel), e può essere valutata solamente da se stessa
(Sellars). Infatti, il primo compito o questione del razionalismo è di offrire una
concezione della natura e del sociale che permetta l’autonomia della ragione.
Questa questione ruota attorno a un regime causale della natura che permette
l’esecuzione autonoma della ragione nel ‘prendere coscienza di’ leggi, che siano
naturali o sociali. Perciò è importante osservare che la razionalità non è una
condotta in conformità con una legge, ma piuttosto è il prendere cosicenza di una
legge. La razionalità è la ‘concezione della legge’ come un portale nel regno delle
regole riformabili e navigabili. Diventiamo agenti razionali solamente quando
prendiamo coscienza di o sviluppiamo una certa attitudine interventista verso
norme che le rendono costrittive. Non abbracciamo lo stato normativo delle cose
immediatamente. Non abbiamo accesso allo stato delle norme esplicito – cioè,
codificato logicamente. È attraverso tali attitudini interventiste verso la revisione e
la costruzione di norme tramite pratiche sociali che rendiamo lo stato di norme
esplicito.16 Contra Hegel, la razionalità non è codificata da norme esplicite dal basso.
Confondere norme implicite accessibili tramite pratiche interventiste con norme
esplicite è comune e rischia di portare al logicismo o all’intellettualismo, i.e., una
concezione della normatività in cui norme esplicite costituiscono una condizione
iniziale che comprende tutte le regole fino all’ultima – una pretesa già smascherata
dall’argomento del regresso di Wittgenstein. 17
10. AUTOREALIZZAZIONE FUNZIONALE E DECOMPONIBILITÀ PRATICA
15
Vedi P. A. Boghossiam, Fear of Knowledge: Against Relativism and Costructivism (Oxford:
Oxford University Press, 2006).
16
Vedi R. Brandom, Making It Explicit: Reasoning, Representing, and Discursive Commitment
(Cambridge, MA: Harvard University Press, 2001).
17
Vedi L. Wittgenstein, Philosophical Investigations (New York: Pearson Education, 1973).
19
L’autonomia della ragione è un’affermazione a proposito dell’autonomia della sua
funzione normativa, inferenziale e riformista di fronte alla catena delle cause che la
condizionano. In definitiva, questa è un’affermazione (neo)funzionalista, nel senso
di un funzionalismo pragmatico o razionalista. Il funzionalismo pragmatico deve
essere distinto sia dal funzionalismo tradizionale dell’IA, che ruota intorno alla
natura simbolica del pensiero, sia da altre varianti comportamentali del
funzionalismo, che si affidano su comportamenti come insiemi di regolarità. Mentre
questi due funzionalismi rischiano di cadere in vari miti di pancomputazionalismo
(l’onnipresenza incondizionata di computazione, l’idea che ciascun sistema fisico
possa implementare ciascuna computazione) o comportamentalismo. È importante
osservare che un rigetto totale del funzionalismo nel suo senso razionalista
pragmatico o Kantiano inevitabilmente inaugurerà vitalismo e ineffabilismo, il
dogma mistico secondo il quale c’è qualcosa di essenzialmente speciale e noncostruttibile riguardo al pensiero.
Il funzionalismo pragmatico si occupa della natura pragmatica delle pratiche
discorsive umane – vale a dire, l’abilità di ragionare, di andare avanti e indietro tra il
dire e il fare gradualmente. Qui ‘gradualmente’ definisce la costituzione del dire e
del fare, affermazioni e prestazioni, come una condizione di quasi decomponibilità.
Per questa ragione, il funzionalismo pragmatico si concentra sulla decomponibilità
delle pratiche discorsive in pratiche nondiscorsive (Cosa occorre fare affinchè si
possa ragionare o anche solo pensare?). A differenza della IA simbolica o classica, il
funzionalismo pragmatico non decompone pratiche implicite in norme esplicite –
cioè, codificabili esplicitamente. Si occupa della decomponibilità pratica, piuttosto
che della decomponibilità algoritmica, di procedure non-monotoniche piuttosto che
di operazioni monotoniche. Al contrario, decompone norme esplicite in pratiche
implicite, knowing-that in knowing-how (il dominio delle abilità supportato da
capacità di autorealizzazione – cosa si deve fare per eseguire qualcosa di
specifico?).
In base al funzionalismo pragmatico o razionalista, l’autonomia della ragione
implica l’automazione della ragione, poiché l’autonomia delle pratiche, che è un
segno distintivo della sapienza, suggerisce l’automazione delle pratiche discorsive
in virtù della loro decomponibilità pratica in pratiche nondiscorsive. L’automazione
delle pratiche discorsive, o il loop retroattivo tra dire e fare, è l’espressione
autentica dell’autonomia funzionale della ragione e il telos del progetto di
disincantamento. Se il pensiero è in grado di effettuare il disincantamento della
natura, è soltanto l’automazione delle pratiche discorsive che è in grado di
disincantare il pensiero.
Qui l’automazione non implica un’iterazione identica di processi volti
all’ottimizzazione effettiva o delle forme rigorose di implicazione (monotonicità). È
invece un registro dell’analisi funzionale o della decomponibilità pratica di un
insieme di prestazioni speciali che permette l’autosufficienza di un insieme di abilità
20
da un altro insieme. Di conseguenza, l’automazione qui si riferisce all’abilitazione
pratica, o all’abilità di mantenere e intensificare l’autonomia funzionale o la libertà.
Le procedure pragmatiche coinvolte in questa modalità di automazione
diversificano perpetuamente gli spazi di azione e di comprensione al punto che il
carattere non-monotonico delle pratiche apre nuove traiettorie di organizzazione
pratica e, corrispettivamente, espande il dominio della libertà pratica.
Una volta che il gioco della ragione come un dominio di pratiche basate su
regole è messo in moto, la ragione è in grado di riavviare abilità complesse a partire
da abilità primitive. Questa è nient’altro che l’auto-attualizzazione della ragione. La
ragione libera i propri spazi e le proprie esigenze, e nel farlo riforma in modo
fondamentale non solo ciò che noi comprendiamo come pensiero, ma anche ciò che
noi riconosciamo come ‘noi’. Ovunque c’è autonomia funzionale, c’è una possibilità
di auto-attualizzazione o di auto-realizzazione come uno sviluppo epocale nella
storia. Ovunuque l’auto-realizzaione è in corso, un loop retroattivo positivo chiuso si
stabilisce tra la libertà e l’intelligenza, l’auto-trasformazione e la concezione di sé.
L’autonomia funzionale della ragione è quindi un precursore dell’auto-realizzazione
di un’intelligenza che assembla se stessa, pezzo per pezzo, dalla costellazione di un
‘noi’ discorsivamente elaborativo in qualità di sé open source.
Il funzionalismo razionalista, quindi, delinea un progetto nonsimbolico – cioè,
filosofico – di intelligenza generale in cui l’intelligenza è totalmente intesa come un
vettore di auto-realizzazione tramite il mantenimento e l’intensificazione
dell’autonomia funzionale. L’automazione delle pratiche discorsive – il dissolvimento
pragmatico dell’intelligenza generale artificiale e l’innesco di nuove modalità di
pratiche collettivizzanti tramite il legame con le pratiche discorsive autonome –
esemplifica l’estremità riformista e costruttiva della ragione intensificata contro
l’auto-ritratto canonico dell’umano.
Per essere liberi si deve essere schiavi della ragione. Ma per essere schiavi della
ragione (la condizione stessa della libertà) ci si espone al potere riformista e alla
compulsione costruttiva della ragione. Questa suscettibilità è fortemente
amplificata una volta che l’impegno verso l’autonomia della ragione e la dedizione
autonoma alle pratiche discorsive sono sufficientemente elaborati. Vale a dire,
quando l’autonomia della ragione è concepita come automazione della ragione e
come pratiche discorsive – la tesi filosofica piuttosto che quella classica simbolica
riguardo l’intelligenza artificiale generale. 18
11. RAZIONALITÀ AUMENTATA
L’automazione della ragione suggerisce una nuova fase nell’abilitazione
dell’estremità tagliente riformista della ragione e del suo vettore costruttivo. Questa
18
Per una descrizione della connessione tra la filosofia e l’intelligenza artificiale, vedi D.
Deutsch, ‘Philosophy will be the key that unlocks artificial intelligence’, 2012.
http://www.theguardian.com/science/2012/oct/03/philosophy-artificial-intelligence
21
nuova fase dell’abilitazione della ragione indica un’esacerbazione della differenza
tra compulsione razionale e impulsione naturale, tra ‘occorre fare’ come un obbligo
interventista e ‘è’ come conformità a ciò che si dà il caso essere apparentemente o
naturalmente (la contingenza della natura, la necessità di fondazione, disposizioni,
convenzioni, e limiti presumibilmente necessari).
L’intensificazione dinamica della differenza tra ‘è’ e ‘deve’ proclama l’avvento di
ciò che dovrebbe essere chiamata una razionalità aumentata. (proprio così come la
realtà aumentata non è più reale della realtà), ma nel senso di radicalizzare
ulteriormente la distinzione tra cosa è stato fatto o cosa ha avuto luogo (o cosa è
presumibilmente il caso) e cosa occorre essere fatto. È solo l’intensificarsi di questa
distinzione che è in grado di aumentare le esigenze della ragione e, di conseguenza,
spingere la funzione razionale verso nuove frontiere di azione e di comprensione.
La razionalità aumentata è l’esacerbazione radicale della differenza tra deve ed
è. Annulla così, da un certo punto di vista, il mito della restaurazione e cancella ogni
speranza di riconciliazione tra essere e pensare. La razionalità aumentata inabita
ciò che Howard Baker definisce ‘l’area di massimo rischio’ – non rischio per
l’umanità in sé, ma per gli impegni che non sono ancora stati aggiornati, poiché
questi si conformano a un ritratto dell’umano che non è stato riformato. 19 Concepita
come il lavoro dell’inumano, la razionalità aumentata produce una catastrofe
generalizzata per gli impegni verso l’umano non-aggiornati, attraverso
l’amplificazione delle dimensioni del ‘deve’ riformiste e costruttive. Se la ragione ha
un’evoluzione funzionale propria, la contumacia cognitiva contro l’adattamento
dello spazio della ragione (l’evoluzione del dovere piuttosto che l’evoluzione
naturale) finisce in cataclisma.
L’adattamento all’evoluzione della ragione – che è un’attualizzazione della
ragione in conformità con i propri bisogni funzionali – è una questione di
aggiornamento degli impegni all’autonomia della ragione tramite l’aggiornamento
degli impegni per l’umano. L’aggiornamento degli impegni è impossibile senza
tradurre le dimensioni riformiste e costruttive della ragione in progetti sistematici
per la revisione e la costruzione dell’umano attraverso la valutazione comunitaria e
il collettivismo metodologico. Sebbene il razionalismo rappresenti la sistematicità di
revisione e costruzione, non può istituire da sé questa sistematicità. Riformulando, il
razionalismo non è un sostituto di un progetto politico, anche se rimane la
piattaforma necessaria che simultaneamente informa e orienta ogni progetto
politico consequenziale.
12. UN COLTIVANTE PROGETTO DI COSTRUZIONE E REVISIONE
L’automazione della ragione e le pratiche discorsive svelano nuovi panorami per
esercitare la revisione e la costruzione, vale a dire, per impegnarsi in un progetto
19
Vedi H. Baker, Arguments for a Theater (Manchester: Manchester University Press, 1997),
52.
22
sistematico di libertà pratica. Questa libertà è sia la sistematicità della conoscoenza
sia la conoscenza del sistema come prerequisito per agire sul sistema stesso. Ma fin
quando il sistema è nient’altro che un’integrazione globale di tendenze e funzioni, e
fin quando non ha un’architettura intrinseca, né una fondazione definitiva, né un
limite estrinseco, è imperativo per conoscere il sistema trattarlo come un’ipotesi
costruttibile. In altre parole, il sistema dovrebbe essere concepito tramite la sintesi
abduttiva e l’analisi deduttiva, la costruzione metodica tanto quanto la
manipolazione inferenziale delle sue variabili distribuite a diversi livelli.
La conoscenza del sistema non è un’epistemologia generale, ma piuttosto, come
sottolinea William Wimsatt, un’ ‘epistemologia ingnegneristica’. 20 L’epistemologia
ingegneristica – una forma di comprensione che implica la manipolazione del
tessuto causale e dell’organizzazione delle gerarchie funzionali – è un armamentario
aggiornabile di euristiche che è particolarmente attento a distinguire ruoli ed
esigenze di diversi livelli e gerarchie. Esso impiega entità e meccanismi di più basso
livello per guidare ed intensificare la costruzione a livelli più alti. Inoltre, utilizza
variabili di alto livello e processi robusti per correggere gerarchie strutturali e
funzionali di più basso livello, 21 ma anche per rinormalizzare il loro spazio di
possibilità al fine di attualizzare i loro potenziali costruttivi, producendo gli
osservabili e le condizionali di manipolazione necessari per costruire
ulteriormente.22
Ogni progetto politico con lo scopo di un cambio genuino deve concepire e
adattarsi alla logica delle gerarchie piramidali che sono la caratteristica distintiva
dei sistemi complessi.23 Perché il cambiamento può solo essere effettuato tramite
modificazioni strutturali e trasformazioni funzionali attraverso diversi strati
strutturali e livelli funzionali. Numerose complicazioni si presentano dalla
distribuzione di gerarchie strutturali piramidali e gerarchie funzionali. A volte,
affinchè si possa giungere al cambiamento ad un livello, è necessario compiere un
cambiamento strutturale o funzionale di diversi livelli apparentemente senza
20
W. C. Wimsatt, Re-Engineering Philosophy for Limited Beings: Piecewise Approximations to
Reality (Cambridge, MA: Harvard University Press, 2007).
21
Per definizioni tecniche e dettagliate di processi e meccanismi, vedi J. Seibt, ‘Forms of
Emergent Interaction in General Process Theory’, in Synthese 166:3 (Springer 2009), 479512; e C. F. Craver, ‘Role Functions, Mechanisms and Hierarchy’, in Philosophy of Science
68:1 (Chicago: University of Chicago Press, 2001), 53-74.
22
Le condizionali di manipolazione sono forme specifiche di condizionali generali che
epsrimono varie combinazioni causali e esplicative di antecedenti e conseguenti (se…
allora…) in termini di ipotesi interventiste o manipolabili. Per esempio un semplice
condizionale di manipolazione sarebbe: se x fosse manipolato sotto un insieme di parametri
W, si comporterebbe nella maniera di y. Per una teoria dell’intervenzione causale e
esplicativa, vedi J. Woodward, Making Thins Happen: A Theory of Causal Explication (Oxford,
Oxford University Press, 2003).
23
Per una visione realista della complessità vedi, J. Ladyman, J. Lambert, K. Wiesner, ‘What
is a Complex System?’ in European Journal of Philosophy of Science 3:1 (Springer, 2013) 3367. E per maggiori dettagli: R. Badii, A. Politi, Complexity: Hierarchical Structures and
Scaling in Physics (Cambridge: Cambridge University Press, 1999).
23
relazione. Inoltre, ciò che è importante è cambiare funzioni (che siano esse a livelli
economici, sociali o politici).
Ma non tutti i cambiamenti strutturali conducono necessariamente a un
cambiamento funzionale. Mentre ogni cambiamento funzionale – in virtù del fatto
che le funzioni giocano un ruolo essenziale nel raggiungimento di scopi e di
stabilizzazione dinamica per il sistema – risulta in un cambiamento strutturale
(sebbene tale alterazione nella struttura potrebbe non operarsi nella specifica
struttura la cui funzione è appena cambiata).
L’importanza delle gerarchie piramidali per l’implementazione di ogni forma di
cambiamento su uno strato della nostra vita rende la conoscenza dei diversi livelli
esplicativi e la manipolazione attraverso livelli una necessità della più grande
importanza. Tale conoscenza deve ancora essere incorporata all’interno dei progetti
politici. Senza la conoscenza delle gerarchie strutturali e funzionali ogni ambizione
di cambiamento – che avvenga tramite modificazione, riorganizzazione o
spaccatura locale – è fuorviata dall’accostamento tra diversi strati di struttura e
funzione sui livelli di economia, società e politica. Un cambiamento che non risolve
accostamenti esplicativi e descrittivi, strutturali e funzionali finisce per riscrivere
questo accostamento sotto le spoglie di una risoluzione, che è un’ulteriore
complicazione su uno strato diverso o in una regione differente. Perciò, solamente
la differenziazione esplicativa dei livelli e delle manipolazioni tra livelli (euristiche
complesse) può trasformare i sogni di cambiamento in realtà.
In uno scenario gerarchico, le dimensioni più basse aprono livelli più alti a spazi
di possibilità che simultaneamente espandono la possibilità di costruzione e
rendono possibile la possibilità di revisione. Allo stesso tempo, la plasticità
descrittiva e i meccanismi stabilizzati delle dimensioni più alte regolano e
mobilizzano costruzioni e manipolazioni di più basso livello. Combinati insieme, le
abilità dei livelli alti e bassi formano il loop riformista-costruttivo dell’ingegneria.
Aggirando le inadeguatezze del riduzionismo emergentista ed eliminativo, il loop
ingegneristico è uno schema prospettico e una mappa di sintesi. Come mappa, si
distribuisce attraverso diversi livelli e ricopre gli strati individuali alla maniera di una
moltitudine di mappe con varie valenze descrittive-prospettive. La struttura a
patchwork assicura una forma di plasticità descrittiva e di versatilità prospettica,
riduce le incoerenze e gli accostamemti esplicativi e rende efficace la ricerca di
problemi e di opportunità di costruzione creando mappe descrittive e prospettive su
misura per specifici parametri e regioni. Come una bussola prospettica, il loop
ingegneristico passa attraverso immagini manifeste e scientifiche (coerenza
stereoscopica), assume una visione dall’alto e una prospettiva dal basso
(approfodimento telescopico), e integra varie mesoscale che hanno ognuna i propri
specifici e non-estendibili ordini esplicativi, descrittivi, strutturali e funzionali (sintesi
nontriviale). Il loop riformista-costruttivo istituisce sempre l’ingegneria come una riingegneria, un processo di ri-modificazione, ri-valutazione, ri-orientazione e ri24
costituzione. È l’effetto cumulativo dell’ingegneria (Wimsatt) che corrisponde
all’accumulazione funzionale e strutturale di sistemi complessi, 24 come quella
sostanza corrosiva che rode i miti di fondazione e catalizza una fuga cumulativa
dalle organizzazioni poste in modo contingente.
Le dimensioni tolleranti-di-errore e manipolabili che trattano il sistema come
un’ipotesi e un’epistemologia ingegneristica sono precisamente le espressioni di
revisione e costruzione, considerate come le due funzioni fondamentali della libertà.
Ogni impegno che previene la revisione e non mantiene – o, soprattutto espande –
l’ambito di costruzione deve essere aggiornato. Se non può essere aggiornato,
allora deve essere escluso. La libertà nasce soltanto dall’accumulazione e dalla
raffinazione funzionale, che sono caratteristiche dei sistemi complessi gerarchici,
piramidali, e quindi decentralizzati. Un’organizzazione funzionale consiste in
gerarchie funzionali e in corretti nessi inferenziali tra loro che permettano
l’orientazione nontriviale, la manutenzione, la calibrazione e l’intensificazione,
generando con ciò opportunità per trasformare proceduralmente le necessità
presunte e i fondamenti associati alle cause naturali in variabili manipolabili di
costruzione.
In un certo senso, l’organizzazione funzionale può essere interpretata come un
sistema gerarchico complesso di nessi funzionali e proprietà funzionali collegate con
il funzionamento sia normativo sia causale. È anche in grado di convertire l’ordine
dato dell’ ‘essere’ nell’ordine interventista e abilitante del ‘dovere’, dove i limiti
naturali posti in modo contingente sono rimpiazzati da vincoli normativi necessari
ma riformabili. È cruciale sottolineare che la costruzione procede sotto vincoli
normativi (non vincoli naturali); e determinazioni naturali (da qui, il realismo) che
non possono essere considerati limiti fondazionali. Le gerarchie funzionali assumono
il ruolo di scale tramite cui una base causale è appropriata a un’altra, uno stato
normativo è spinto ad un altro livello.
Questo è il motivo per cui è la figura dell’ingegnere, come agente di revisione e
costruzione, che diviene il nemico pubblico numero uno della fondazione che limita
l’ambito del cambiamento e ostacola le prospettive di una fuga cumulativa. Non è il
sostenitore della trasgressione o il comunitario militante che si sforza a sottrarsi dal
sistema o a rasare il sistema ad uno stato di orizzontalità. Più significativamente,
questo è il motivo per il quale la libertà non è una spedizione espressa, nel nome
della spontaneità o del volere del popolo, o nel nome dell’esportazione della
democrazia. La liberazione è un progetto, non un’idea o una merce. Il suo effetto
non è l’interruzione della novità, ma piuttosto la continuità di una forma designata
di lavoro.
Più che la liberazione, la condizione della libertà è un’accumulazione graduale
strutturale e funzionale, è l’affinamento che ha luogo come progetto di autocoltivazione. L’accumulazione e l’affinamento strutturali e funzionali costituiscono
24
Vedi Wimsatt, Re-Engineering Philosophy
25
l’ambiente opportuno per aggiornare gli impegni, sia attraverso l’influenza
correttiva di livelli uno sull’altro, sia attraverso la propensità costruttiva inerente
nelle gerarchie funzionali come motori di abilitazione.
La liberazione non è una scintilla iniziale di libertà e non è sufficiente come
contenuto della libertà. Considerare la liberazione come fonte di libertà è una
credulità eventalista che è già stata screditata ripetutamente, in quanto non
garantisce il mantenimento e l’intensificazione della libertà. Ma identificare la
liberazione come il contenuto sufficiente della libertà produce un risultato molto più
grave: l’irrazionalismo, e quindi, la precipitazione verso varie forme di tirannia e di
fascismo.
Il contenuto sufficiente della libertà può essere trovato soltanto nella ragione.
Occorre riconoscere la differenza tra una norma razionale e una legge naturale – tra
l’emancipazione intrinseca nel riconoscimento esplicito dello stato vincolante del
conformarsi alla ragione, e la schiavità associata con la deprivazione di tale
capacità di riconoscimento, che è la condizione dell’impulso naturale. In senso
stretto, la libertà non è liberazione dalla schiavitù. È il continuo disimparare la
schiavitù.
La compulsione di aggiornare gli impegni e la compulsione di costruire
tecnologie cognitive e pratiche per svolgere tali gesta di aggiornamento-di-impegni
sono le due dimensioni necessarie di questo processo del disimparare. Da una
prospettiva costruttiva e riformista, la libertà è intelligenza. Un impegno per
l’umanità o per la libertà che non elabora praticamente il significato di questo
dictum ha già abbandonato il proprio impegno e preso in ostaggio l’umanità solo
per arrancare nella storia per un giorno o due.
La libertà liberale, che sia un’impresa sociale o un’idea intuitiva di essere liberi
da vincoli normativi (i.e., una libertà senza scopo o senza azione designata), è una
libertà che non si traduce in intelligenza; e per questa ragione, è retroattivamente
obsoleta. Ricostituire una presunta costituzione, tracciare un nesso funzionale tra
l’identificazione di ciò che è bene normativo e il renderlo vero, mantenere e
intensificare il bene e supportare la ricerca del meglio con la propria autonomia –
tale è il procedimento della libertà. Ma questa è anche la definizione di intelligenza
come auto-realizzazione della libertà pratica e dell’autonomia funzionale che si
libera nonostante la propria costituzione.
L’adattamento a una concezione autonoma della ragione – cioè, l’aggiornamento
degli impegni in conformità con la progressiva auto-realizzazione della ragione – è
uno sforzo che coincide con il progetto riformista e costruttivo della libertà. La
prima espressione di tale libertà è la definizione di un’orientazione – un indicatore
egemonico – che metta in luce il passaggio sintetico e costruttivo che l’umano deve
percorrere. Ma per percorrere questo cammino, dobbiamo attraversare il Rubicone
cognitivo.
26
Certamente, l’attitudine interventista richiesta dall’adattamento a una ragione
funzionalmente autonoma suggerisce che il Rubicone cognitivo sia già stato
attraversato. Al fine di navigare questo cammino sintetico, non ha senso guardare
indietro a cosa è stato un tempo, ma che è stato ora dissipato – come tutte le
immagini illusorie – dai venti riformisti della ragione. 25
25
I miei ringraziamenti a Michale Ferrer, Brian Kuan Wood, Robin Mackay, Benedict
Singleton, Peter Wolfendale e molti altri che hanno contribuito a questo testo con
suggerimenti o conversazioni. Qualsiasi merito di questo testo è dovuto a loro, le sue
carenze invece sono interamente le mie.
27