il digiuno di gesù all`ultima cena
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il digiuno di gesù all`ultima cena
Silvio Barbaglia IL DIGIUNO DI GESÙ ALL’ULTIMA CENA Confronto con le tesi di J. Ratzinger e di J. Meier Prefazione di Romano Penna Cittadella Editrice Nella memoria di Mons. Aldo Del Monte Vescovo di Novara dal 1972 al 1990 Nel dono di gratitudine a Mons. Renato Corti, Vescovo di Novara dal 1991 al 2011 Un piccolo gesto di riconoscenza a due Pastori appassionati di Cristo e della sua Chiesa Pag. 2 SOMMARIO Prefazione di Romano Penna ............................................................................................................... 4 Premessa .............................................................................................................................................. 5 INTRODUZIONE ...................................................................................................................................... 6 CAPITOLO PRIMO - JOSEPH RATZINGER E JOHN MEIER: DUE IMPOSTAZIONI ERMENEUTICHE DISTINTE MA IDENTICO RISULTATO SULLA NATURA E SULLA DATA DELL’ULTIMA CENA DI GESÙ ...... ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. CAPITOLO SECONDO - TRATTI ESSENZIALI DI UN APPROCCIO CANONICO ATTRAVERSO I VANGELI ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. CAPITOLO TERZO - L’ULTIMA CENA DI GESÙ COME CENA PASQUALE NEI TRE EVANGELISTI SINOTTICI ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. Il Vangelo secondo Matteo e la coscienza cristologica degli eventi ultimiErrore. Il segnalibro non è definito. Il Vangelo secondo Marco e alcune considerazioni metodologiche Errore. Il segnalibro non è definito. Il Vangelo secondo Luca e la logica del digiuno di Gesù per il «servizio a tavola»Errore. Il segnalibro non è definito. CAPITOLO QUARTO - L’APPROCCIO CANONICO E IL GUADAGNO SEMANTICO NELLA LETTURA E NELL’INTERPRETAZIONE DEL QUARTO VANGELO .............. ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. CAPITOLO QUINTO - IL QUARTO VANGELO E LA CONFERMA PASQUALE DELL’ULTIMA CENA DI GESÙ ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. «Sei giorni prima di Pasqua…» (Gv 12,1)....................................... Errore. Il segnalibro non è definito. «Prima della festa di Pasqua…» (Gv 13,1) ..................................... Errore. Il segnalibro non è definito. Gesù come «colui che serve» in continuità con la tradizione sinotticaErrore. Il segnalibro non è definito. «Per non contaminarsi e potere mangiare la Pasqua» (Gv 18,28b)Errore. Il segnalibro non è definito. I problemi legati alle motivazioni della contaminazione rispetto al PretorioErrore. Il segnalibro non è definito. «Mangiare la pasqua/l’agnello pasquale» o «continuare a mangiare l’agnello pasquale»?Errore. Il segnalibro non è definito. «Era la Parasceve della Pasqua, verso l’ora sesta» (Gv 19,14) ..... Errore. Il segnalibro non è definito. «Era il giorno della Parasceve… era un giorno solenne quel sabato » (Gv 19,31.42)Errore. Il segnalibro non è definito. Pag. 3 CONCLUSIONI: TRA RISULTATI E METODO ......................... ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. BIBLIOGRAFIA CITATA ...................................................... ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO. Pag. 4 Prefazione di Romano Penna L’ultima cena condivisa da Gesù con i suoi discepoli è notoriamente celebre nella cultura occidentale per l’impatto che ha avuto sulla storia dell’arte, oltre che per l’ovvia importanza in rapporto alla fede cristiana. Ma soprattutto da almeno una cinquantina d’anni in qua, senza ricordare la vecchia scuola delle religioni che collegava le parole sul pane e sul vino ai misteri ellenistici, essa è diventata oggetto di discussione sul piano della ricerca storiografica per l’apparente difficoltà di qualificarne la tipologia. Il punto sta nel sapere se quella cena sia stata una cena pasquale (in consonanza con quella celebrata dagli ebrei nell’anno 30), come esplicitamente scrivono i tre Vangeli Sinottici, o se invece sia stata una semplice cena d’addio variamente qualificabile in termini di qiddûsh o di todāh, come sembrerebbe suggerire il Quarto Vangelo. È noto che questa seconda possibilità è sostenuta da molti autori ed è stata recentemente sposata anche ad alto livello ecclesiale. Il prof. Silvio Barbaglia ora sottopone i testi evangelici a un nuovo esame. E lo fa in una prospettiva originale. Pur dando ampio spazio alla strumentazione tipica delle ricerche filologiche sui testi, egli le direziona nel senso di un’ermeneutica canonica dei testi evangelici. Sicché, supponendo ma anche oltrepassando la pura metodologia storico-critica, egli procede a una lettura basata non tanto sulla genesi storica dei testi evangelici quanto sulla loro successione nell’ambito del canone neotestamentario. Ne deriva che la cronologia del quarto Vangelo relativa alla Pasqua va a confermare in ogni particolare la posizione dei precedenti Sinottici, producendo come risultato fondamentale la caduta dei termini stessi del problema. Infatti molti nodi si sciolgono quando si scopre che sono stati mal posti i termini della questione. A tutto ciò si aggiunge la tesi sostanzialmente inedita sul digiuno praticato da Gesù in quella memorabile cena. In ogni caso, la serietà del metodo seguito e l’originalità (anzi, la tradizionalità!) dei risultati ottenuti raccomanda fortemente il lavoro di Silvio Barbaglia all’attenzione degli studiosi. Ma anche il lettore comune, stimolato dalla sua fede o dal semplice desiderio di conoscere come stanno le cose, ne trarrà sicuramente motivi di grande interesse. Pag. 5 Premessa Due sono le tesi fondamentali che sostengo in questo saggio: l’Ultima Cena di Gesù fu veramente una cena pasquale secondo il calendario delle feste giudaiche e in quell’ultima cena, tanto desiderata, Gesù decise di astenersi dal mangiare il cibo pasquale. Mentre la prima tesi non stupisce in quanto la liturgia, la catechesi e la pastorale ecclesiale, in particolare della tradizione cattolica, hanno da sempre pensato che tale fosse il contesto dell’ultima cena di Gesù, la seconda invece appare alquanto bizzarra: come è possibile partecipare ad una cena e, in specie, ad una cena pasquale e astenersi dal mangiare? E che significato poteva avere un simile gesto, soprattutto compiuto da Gesù? Ai due punti qui illustrati in forma problematica il testo cerca di fornire una risposta credibile. Oggi la maggioranza degli studiosi è convinta che il banchetto ultimo di Gesù non avvenne in un contesto di cena pasquale ebraica e Gesù fu catturato e messo a morte prima di potere celebrare la pasqua giudaica. Ciò che è descritto invece in questo testo va in controtendenza rispetto alla gran parte degli esegeti contemporanei e, recentemente, anche alla posizione di Papa Benedetto XVI nel suo secondo volume su Gesù di Nazaret. La data riportata al termine di questa premessa indica il giovedì santo, 21 aprile 2011: non è un giorno casuale ma intenzionale, visto il tema trattato; e in quella data ho deciso di diffondere una prima bozza della ricerca e di raccogliere pareri presso colleghi, docenti di scienze bibliche, storia del cristianesimo antico e giudaisti, amici e conoscenti. Ringrazio tutti coloro che hanno voluto leggere lo scritto, offrire correzioni e attente critiche di cui ho fatto tesoro in diversi punti e, in particolare, il prof. Romano Penna per avere accettato di scriverne la prefazione. L’esito qui presentato è frutto anche di questi contributi, ma soprattutto del lavoro svolto all’interno dei Seminari sul «Gesù storico» condotti presso l’Associazione Culturale Diocesana «La Nuova Regaldi» (www.lanuovaregaldi.it) e con gli studenti di teologia dello Studio teologico «San Gaudenzio» di Novara. Un confronto serrato sull’epistemologia storiografica, in tema di origini cristiane e di storicità dell’evento Gesù, mi ha portato a declinare il metodo teorizzato lungo i Seminari sul «Gesù storico» all’interno di un caso preciso che rappresenta una delle crux interpretum più note dello studio del Nuovo Testamento: la data dell’ultima cena di Gesù. Sottesa è la coscienza che una fondata chiarificazione cronologica possa sprigionare una rinnovata rilettura teologica. Per questo, è probabile, che all’ampiezza di testo non eccessiva nello svolgimento dei temi – si tratta di un piccolo libro – non corrisponda un’auspicata facilità nella lettura. E di questo chiedo scusa al lettore, cosciente di sottoporlo a prove di pazienza nel seguire i meandri tracciati dai dati e dalle articolazioni logiche dei ragionamenti ad essi sottesi. Ma spero che la fatica sia compensata dall’esito del percorso che non vuole smarrirsi in una mera rassegna di teorie a confronto, quanto piuttosto offrire un tracciato e indicare una mèta; nell’auspicio di presentare così qualche elemento che transiti dalle dotte discussioni degli addetti ai lavori dell’esegesi alle questioni fondamentali della natura e della destinazione delle parole di Gesù che, da sempre, la Chiesa ritiene a fondamento di ciò che è «fonte e culmine» della vita cristiana, il sacramento dell’Eucaristia. E per questo preciso motivo il libro, condiviso in bozza nel giorno eucaristico del giovedì santo, vede ora la luce in occasione del XXV Congresso Eucaristico Nazionale («Signore da chi andremo?» - Ancona, 3-11 settembre 2011) nella volontà di offrire un contributo di carattere scientifico a questioni che toccano la fede, la tradizione, il culto e la pietas del popolo di Dio. Novara, 21 aprile 2011 – Giovedì Santo Don Silvio Barbaglia E-mail: [email protected] Pag. 6 INTRODUZIONE Il presente contributo sulla natura e sulla data dell’ultima cena di Gesù prende le mosse dalla recente pubblicazione del secondo volume dell’opera di JOSEPH RATZINGER – BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret. Seconda parte. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione, Città del Vaticano 2011. In esso, al quinto capitolo, viene trattata esplicitamente l’annosa questione del dissenso relativo alla data dell’ultima cena di Gesù secondo le due scuole di pensiero documentate nei quattro Vangeli canonici, quella dei tre sinottici e quella dell’evangelista Giovanni.1 Papa Benedetto XVI aveva già manifestato l’interesse per tale tematica nel contesto dell’omelia della celebrazione “in Coena Domini” del giovedì santo, 4 aprile 2007. 2 Mentre però in quell’occasione Joseph Ratzinger pareva propenso ad appoggiare l’idea di una cena pasquale secondo la tradizione essenica riscontrata nella prassi della comunità di Qumran - accordando a Gv la verosimiglianza storica di una cena avvenuta almeno un giorno prima rispetto alla cena pasquale del calendario ufficiale del tempio - nella recente sua pubblicazione, con cautela, prende invece le distanze dalla stessa teoria essenica.3 Tale ipotesi infatti fu elaborata dalla studiosa francese Annie Jaubert che fin dal 1953 pubblicò studi che posero le basi a questa interpretazione.4 Joseph Ratzinger, accantonando la posizione allora avanzata, accorda ora fiducia alla ricostruzione dei fatti operata da John Meier nel primo volume della sua monumentale ed enciclopedica opera sul «Gesù marginale»,5 sostenendo che Giovanni ha ragione nell’affermare che l’ultima cena di Gesù non fu un pasto pasquale, ma una cena conviviale la sera precedente la Pasqua giudaica (la sera di giovedì 13 Nisan) all’interno della quale Gesù anticipò i significati essenziali della Pasqua rispetto al dono della propria vita.6 Va ricordato che mentre per la Jaubert l’ultima cena fu comunque una cena pasquale, secondo l’antico calendario sacerdotale in uso presso gli esseni (da collocarsi la sera del martedì 14 Nisan, cadendo la Pasqua il mercoledì 15 Nisan, regolarmente nel quarto giorno della settimana), per John Meier e per molti altri esegeti e storici delle origini cristiane l’ultima cena di Gesù non fu in nessun modo una cena pasquale ebraica. In quest’ultima linea di pensiero, che oggi va per la maggiore tra gli studiosi, si è collocata la posizione più recente di Joseph Ratzinger. Non può non colpire la libertà di opinione nella ricerca concretamente messa in atto in quest’opera da un teologo eletto Papa, unitamente all’incoraggiamento da lui stesso offerto ad avviare un dibattito fecondo nella ricerca storica. E, nel contempo però, non può non destare l’attenzione la posizione assunta sulla questione in oggetto soprattutto constatando quanto la tradizione occidentale della Chiesa cattolica è da antica data ancorata all’idea che l’ultima cena di Gesù avvenne all’interno di un pasto pasquale ebraico, motivo per il quale ha operato anche la scelta della materia eucaristica del pane di frumento non lievitato, cioè azzimo, scelta proveniente direttamente dall’uso della cena pasquale ebraica.7 Oppure ancora, basti pensare alle parole della stessa liturgia dalla Veglia pasquale o alla liturgia eucaristica nel suo insieme, ispirate ai testi biblici e alla teologia della Pasqua e della vittima pasquale, accanto a riferimenti catechistici, magisteriali oltre che liturgici.8 Che non si tratti di un atto magisteriale non vale neanche la pena di ricordarlo, ma la cosa non può lasciare indifferente il lettore informato e attento, non fosse altro che per l’evidente rottura con il pensiero comune di una tradizione millenaria maggioritaria secondo la quale l’ultima cena di Gesù avvenne storicamente all’interno di una cena pasquale ebraica.9 Attraverso il presente contributo, cercheremo di mostrare quanto la posizione di John Meier e di molti altri esegeti, accolta e amplificata presso il grande pubblico da Joseph Ratzinger, sul piano metodologico poco sia in linea con la prospettiva sostenuta da Papa Benedetto XVI a premessa dei suoi due volumi su Gesù di Nazaret. Accogliendo invece l’impostazione ermeneutica e Pag. 7 metodologica dello stesso Papa tale problema storico e teologico può essere risolto con coerenza riconfermando in toto il dato secondo il quale l’ultima cena di Gesù debba essere compresa, anche storicamente, nel contesto originario di una cena pasquale ebraica secondo la testimonianza concorde dei quattro Vangeli canonici. Questo ci permetterà di superare lo iato, apparentemente incolmabile, delle duplice tradizione nel racconto degli eventi, che fa capo ai sinottici, da una parte e, a Gv, dall’altra, entro un itinerario canonico del tetravangelo. L’approccio che segue non tiene in considerazione invece il testo sull’ultima cena di Gesù di 1Cor 11,23-34, spesso studiato accanto al racconto lucano; la funzione del testo in 1Cor è decisamente diversa da quella ricoperta dalle prospettive narrative dei quattro Vangeli. Una lettura canonica prevede infatti di trattenere la pericope paolina nel suo contesto argomentativo in luogo di una sua estrapolazione quasi come se fosse un corpo a se stante, una sorta di fonte antica per la prassi della comunità di Corinto ad imitazione dell’azione di Gesù nella «notte in cui veniva tradito» (1Cor 11,23). Appare già evidente da queste poche note la differenza metodologica tra un «fare storia» in modo tradizionale, selezionando le fonti rispetto all’evento, datandole, dalle più antiche alle più recenti in luogo di un approccio canonico che predilige il quadro ideologico entro il quale sono presentati i dati che originariamente erano stati attinti a partire da uno o più eventi. In una prospettiva canonica la fonte paolina non è la prima, perché verosimilmente più antica di quelle evangeliche o quantomeno di Gv, bensì l’ultima, quella che si raffronta con l’immagine gesuana dell’ultima cena così come anzitutto il cammino attraverso i quattro vangeli la presenta. In 1Cor cogliamo l’applicazione in una precisa comunità del comando «fate questo in memoria di me» e l’analisi assume esattamente tale prospettiva. Limitiamo pertanto il contributo al cammino narrativo entro i quattro Vangeli. 1 La problematica è trattata esplicitamente in: J. RATZINGER, Gesù di Nazaret. Seconda Parte. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione, Libreria editrice vaticana, Città del Vaticano 2011, 122-132. 2 Nell’omelia della Messa “in Coena Domini” dopo avere presentato la differenza di prospettiva tra i sinottici e l’evangelista Giovanni nel dissenso relativo alla coincidenza o meno dell’ultima cena di Gesù con la cena pasquale ebraica, Papa Benedetto XVI così argomentava: «La scoperta degli scritti di Qumran ci ha nel frattempo condotto ad una possibile soluzione convincente che, pur non essendo ancora accettata da tutti, possiede tuttavia un alto grado di probabilità. Siamo ora in grado di dire che quanto Giovanni ha riferito è storicamente preciso. Gesù ha realmente sparso il suo sangue alla vigilia della Pasqua nell’ora dell’immolazione degli agnelli. Egli però ha celebrato la Pasqua con i suoi discepoli probabilmente secondo il calendario di Qumran, quindi almeno un giorno prima – l’ha celebrata senza agnello, come la comunità di Qumran, che non riconosceva il tempio di Erode ed era in attesa del nuovo tempio. Gesù dunque ha celebrato la Pasqua senza agnello – no, non senza agnello: in luogo dell’agnello ha donato se stesso, il suo corpo e il suo sangue. Così ha anticipato la sua morte in modo coerente con la sua parola: “Nessuno mi toglie la vita, ma la offro da me stesso” (Gv 10,18). Nel momento in cui porgeva ai discepoli il suo corpo e il suo sangue, Egli dava reale compimento a questa affermazione. Ha offerto Egli stesso la sua vita. Solo così l’antica Pasqua otteneva il suo vero senso». 3 J. Ratzinger afferma: «L’uso da parte di Gesù di un calendario diffuso principalmente in Qumran è poco verosimile. Per le grandi feste, Gesù si recava al tempio. Anche se ne ha predetto la fine e l’ha confermata con un drammatico atto simbolico, Egli ha seguito il calendario giudaico delle festività, come dimostra soprattutto il Vangelo di Giovanni. Certo, si potrà consentire con la studiosa francese che il Calendario dei Giubilei non era strettamente limitato a Qumran ed agli Esseni. Ma ciò non basta per poterlo far valere per la Pasqua di Gesù. Così si spiega perché la tesi di Annie Jaubert, a prima vista affascinante, dalla maggioranza degli esegeti venga rifiutata. Io l’ho illustrata in modo così particolareggiato, perché essa lascia immaginare qualcosa della molteplicità e complessità del mondo giudaico al tempo di Gesù – un mondo che noi, nonostante tutto l’ampliamento delle nostre conoscenze delle fonti, possiamo ricostruire solo in modo insufficiente. Non disconoscerei, quindi, a questa tesi ogni probabilità, benché in considerazione dei suoi problemi non sia possibile semplicemente accoglierla» (J. RATZINGER, Gesù di Nazaret. Seconda Parte. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione…, 127-128). 4 A. JAUBERT, Le calendrier des Jubilés et de la secte de Qumrân. Ses origines bibliques, in “Vetus Testamentum” 3 (1953) 250-264; EADEM, La date de la cène. Calendrier biblique et liturgie chrétienne, J. Gabalda et C., Paris 1957. 5 J. P. MEIER, Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico. 1. Le radici del problema e della persona, Biblioteca di Teologia Contemporanea 117, Queriniana, Brescia 2001, 377-401. Joseph Ratzinger cita esplicitamente la sua fonte alle pp. 130-131. Pag. 8 6 Di fatto John Meier assume l’ipotesi dallo stesso Raymond E. Brown che scrive alla fine degli anni ‘60: «Noi dunque formuliamo l’ipotesi che, per ragioni ignote, la sera di giovedì, il 14 Nisan (sic! 13 Nisan) secondo il calendario ufficiale, il giorno prima di Pasqua, Gesù mangiasse con i suoi discepoli un pasto che aveva le caratteristiche pasquali. I sinottici e la loro tradizione, per l’influenza di queste caratteristiche pasquali, troppo frettolosamente supposero che il giorno fosse effettivamente Pasqua; Giovanni, d’altra parte, conservò la informazione cronologica esatta. Certo sia la tradizione sinottica che quella giovannea erano interessate alle possibilità teologiche derivanti dal contesto pasquale in cui Gesù morì. Se il quarto evangelista non identifica il giorno stesso come Pasqua, egli tuttavia fa condannare a morte Gesù a mezzogiorno della vigilia di pasqua (18,14), proprio l’ora in cui i sacerdoti cominciavano a sacrificare gli agnelli pasquali nel recinto del Tempio. Gli accenni all’issopo in 19,29 e alle ossa non spezzate in 19,36 possono essere altre allusioni alla Pasqua» (R. E. BROWN, Giovanni. Commento al Vangelo spirituale, Commenti e studi biblici, Cittadella, Assisi 1979, 662-663. 7 Questa prassi, introdotta in occidente a partire dall’VIII sec., fu anche uno dei motivi di contrasto che portò allo scisma della Chiesa tra occidente ed oriente nel 1054 e le motivazioni addotte dalla chiesa di Roma furono proprio relative all’ultima cena di Gesù come cena pasquale nella quale era d’obbligo il pane azzimo. L’uso del pane lievitato nelle tradizione ecclesiali orientali non deriva comunque dall’assunzione della cronologia giovannea, ma dalla prassi antica delle celebrazioni eucaristiche. 8 È sufficiente richiamare come il Catechismo universale della Chiesa cattolica collochi l’ultima cena di Gesù: «Celebrando l'ultima Cena con i suoi Apostoli durante un banchetto pasquale (corsivo nostro), Gesù ha dato alla Pasqua ebraica il suo significato definitivo. Infatti, la nuova Pasqua, il passaggio di Gesù al Padre attraverso la sua morte e la sua risurrezione, è anticipata nella Cena e celebrata nell'Eucaristia, che porta a compimento la Pasqua ebraica e anticipa la Pasqua finale della Chiesa nella gloria del Regno» (n. 1340). 9 Papa Benedetto XVI precisa così nel secondo volume su Gesù di Nazaret: «Una cosa è evidente nell’intera tradizione: l’essenziale di questa cena di congedo non è stata l’antica Pasqua, ma la novità che Gesù ha realizzato in questo contesto. Anche se questo convivio di Gesù con i Discepoli non è stata una cena pasquale secondo le prescrizioni rituali del giudaismo, in retrospettiva si è resa evidente la connessione interiore dell’insieme con la morte e risurrezione di Gesù: era la Pasqua di Gesù. E in questo senso Egli ha celebrato la Pasqua e non l’ha celebrata: i riti antichi non potevano essere praticati; quando venne il loro momento, Gesù era già morto. Ma Egli aveva donato se stesso e così aveva celebrato con essi veramente la Pasqua. In questo modo l’antico non era stato negato, ma solo così portato al suo senso pieno» (p. 131). Pag. 9