il potere di rinvio alle camere (un`interpretazione evolutiva)

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il potere di rinvio alle camere (un`interpretazione evolutiva)
IL POTERE DI RINVIO ALLE CAMERE
(UN’INTERPRETAZIONE EVOLUTIVA)
di ANDREA DE MARCO
SOMMARIO: Premessa. – 1. Il potere di rinvio come controllo di costituzionalità e di
non merito delle leggi. – 2. Il rinvio per motivi ordinamentali. – 2.1. La species
ordinamentale: da Einaudi a Cossiga. – 2.1.1. La Presidenza Cossiga. – 3. La
presidenza Scalfaro. – 4. La Presidenza Ciampi. – 4.1. Il rinvio del disegno
di legge sull’organizzazione e sul personale del settore sanitario. – 4.2. Il rinvio del disegno di legge di conversione del decreto legge 4/2002 recante disposizioni urgenti finalizzate a superare lo stato di crisi per il settore zootecnico,
per la pesca e per l’agricoltura. – 4.2.1. Spunti problematici in merito al rapporto decreto legge - legge di conversione. – 4.3. Il rinvio sulle disposizioni in
materia di incompatibilità dei consiglieri regionali. – 4.4. Il rinvio sulla legge di
semplificazione per il 2001. – 4.5. Il rinvio della legge in materia di assetto del
sistema radiotelevisivo. – 4.6 Il rinvio sulla legge di riforma dell’ordinamento giudiziario. – 5. Notazioni conclusive.
Premessa.
L’oggetto delle riflessioni che seguiranno sarà la ricostruzione del potere di rinvio previsto dall’art. 74 della Costituzione,
alla luce della lettura che i diversi Presidenti ne hanno dato. Si
tenterà quindi di riassumere e di collocare detto istituto entro il
perimetro di un’evoluzione che lo ha caratterizzato e che ancora
lo caratterizza.
Si avverte il lettore che si procederà, nel corso di queste
note, con un metodo d’analisi che privilegia la concreta funzionalità degli istituti giuridici in rapporto al cosiddetto «ermetismo formalista»1. Si cercherà quindi di «spremere» il det1
Così MARANINI, Storia del potere in Italia, Firenze, 1983, 11, riferendosi al
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tato costituzionale, nel tentativo di accumularne il maggior significato possibile2, avendo oltremodo presente che la vita giuridica delle istituzioni politiche va studiata nella concreta realtà
dinamica in cui si esprime3.
Ed è tale ipotesi che consente di riallacciare la lunga e ancor indefinita transizione costituzionale alle contingenze politiche del caso italiano, che fin dall’origine portò l’introduzione e
l’accettazione d’istituti giuridici, senza che prima ne fossero saggiate le compatibilità con lo stesso4.
«La vicenda risorgimentale, poi quella fascista, poi quella
repubblicana, sono l’espressione di questo lungo e non concluso
travaglio5» che si ripercuote fino a noi e se il confronto con
le costruzioni giuridiche, sperimentate da altri Paesi, ci permette
una maggiore conoscenza delle problematiche eventualmente
prodottesi in tali realtà, non deve al contempo sviare la nostra
attenzione dalla soluzione del caso italiano con l’elaborazione di
formalismo giuridico che ha caratterizzato il panorama giuridico europeo; in particolare, egli lo intese quale costruzione giuridica entro la quale rifugiarsi dai totalitarismi
allora presenti, quale muro protettivo che permettesse di «lavorare con sufficiente distacco dalla realtà politica del momento». Così M. GALIZIA, Profili storico. comparativi
della scienza del diritto costituzionale, in Archivio giuridico F. Serafini, 1963, 1 e 2.
2
Significato che non potrà non essere circoscritto al concetto di Costituzione inteso quale summa di interpretazioni testualmente sostenibili. In ossequio a
quella dottrina (DOGLIANI, La Costituzione italiana del 1947 nella sua fase contemporanea, relazione presentata al Convegno «Lo stato della Costituzione italiana e l’avvio
della Costituzione europea», Roma 14-15 luglio 2003, visibile su http://www.costituzionalismo.it) secondo cui il diritto costituzionale è una scienza prescrittiva, ossia una
scienza che «mira a definire … ciò che è costituzionalmente corretto, e non solo ad
allineare le opzioni interpretative possibili» anche quelle extra litteram e contra cositutionem. Poiché la materialità degli eventi non può disporre della forza normativa e
prescrittiva contenuta nella Costituzione, a meno di non considerare la stessa come un
testo attraverso il quale si consolida il dominio dei vincitori sui vinti, entro un quadro
di perenne lotta, in cui i vincoli costituzionali altro non sono che «opzioni di valore
che si librano, nude, nel vuoto testuale».
3
Per seguire il pensiero di MOSCA, espresso in Teorica dei governi e governo
parlamentare, Milano, 1884, cap. I, 13 e ss.
4
Poiché la « democrazia è fragile rara e sospetta, così difficile da applicarsi
lì dove non è nata, probabilmente perché non è solo una forma di governo, ma assai
di più». Così L. CANFORA nella prefazione al volume di G.C. LEWIS, A dialogue on the
best form of Government, 1863, ed. it., 1996, Palermo.
5
V. MARANINI, cit., 7.
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un modello suo proprio, che abbia coscienza delle caratteristiche
storiche, giuridiche e sociali che lo contraddistinguono.
A tal proposito sembra utile richiamare, ai fini del presente
lavoro, quanto affermato dal Ruini, nella sua relazione all’Assemblea costituente sul progetto di Costituzione, in merito alle
«infinite occasioni di esercitare le funzioni di equilibrio e coordinamento che al Presidente della Repubblica sono fornite dai
suoi compiti generali», poiché esso «non è l’evanescente personaggio, il motivo di pura decorazione, il maestro di cerimonie»,
bensì «rappresenta ed impersona l’unità e la continuità nazionale, la forza permanente dello Stato al di sopra delle mutevoli
maggioranze. È il grande consigliere, il magistrato di persuasione
:te e di influenza»6.
Se si tentasse di ricostruire la posizione costituzionale del
Presidente della Repubblica tenendo in considerazione le varie
tesi avanzate dalla dottrina, da quella più stringente che individua nel Presidente un organo privo di poteri propri e del tutto
estraneo all’attività d’indirizzo politico, con poteri di controllo
eminentemente formali7; a quella in cui il Presidente interviene nell’esercizio delle sue funzioni «con il desiderio di attuare, di far valere e prevalere il proprio potere, i propri orientamenti, le proprie idee sulle altre»8, si giungerebbe a concludere che, in una visione realistica, il Presidente della Repubblica
esercita le funzioni attribuitegli, entro le astratte previsioni costituzionali secondo il sistema politico-costituzionale in cui è chiamato ad operare. In altre parole, il ruolo svolto da ciascun Presidente non è riconducibile ad un modello unico, è indubitabil6
Così RUINI, Relazione del Presidente della Commissione al progetto di Costituzione della Repubblica italiana, 1947, Roma, LXXXIV.
7
GUARINO, Il Presidente della Repubblica. Note preliminari, in Riv. trim. dir.
pubb., 1951, 957 e ss.
8
ESPOSITO, Capo dello Stato, in Enc. dir., 1960, voi. VI, 238 e ss. Anche se
arsi l’A. pone in luce il fatto che tali prerogative presidenziali emergono e s’impongono
soprattutto in via eccezionale, in presenza di forti tensioni nei sistema. «… spetterebbe al Capo dello Stato sostituirsi al Parlamento e provvedere con ministri da lui
nominati e godenti la sua fiducia». Sul punto v. G.U. RESCIGNO, Commento ai messaggi del Presidente della Repubblica, in Giur. Costituzione, 1962, 1295 e ss.
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mente coevo alla materialità delle condizioni storicamente
presenti: dall’autorevolezza dell’eletto alla carica, dalle caratteristiche dei partiti politici, dalla natura e dai contrasti che li dividono, dalla differente rappresentatività generata dalla legislazione elettorale, dalle sollecitazioni e dagli impulsi provenienti
dalla società civile.
Tuttavia, è possibile rinvenire nell’attività dei Presidenti
della Repubblica un riferimento costante alla posizione di garante della Costituzione, intendendosi con ciò la funzione propria di un potere neutro, di un potere che non partecipa al gioco
politico, non svolgendo alcuna funzione attiva nella determinazione e attuazione dell’indirizzo politico, che resta a totale carico
del Governo e delle Camere9. Una concezione garantistica
che trae forza proprio da quelle peculiari caratteristiche di imparzialità, «oggettivamente vincolata nel fine»10, e di indipendenza insite nella posizione supra partes dell’organo.
«Solo che, in un sistema nel quale le violazioni, le inosservanze e le inattuazioni della Costituzione ad opera di atti non
(sempre) sottoponibili alla Corte costituzionale sono aumentate
di pari passo con l’accentuarsi della sua crisi; nel quale la tutela
giuridica della Costituzione si svolge in un campo ben delimitato, ma, al tempo stesso, ristretto, ecco che la posizione di garante politico della Costituzione ... viene ad essere esaltata.
Spetta, infatti, al Presidente porre un limite od un freno a violazioni, inosservanze ed inattuazioni, ... svolgere sino in fondo il
suo potere di monito e di persuasione, ... richiamare tutti al dovere di essere fedeli alla Repubblica ... ed in buona sostanza di
porsi, in presenza delle varie manifestazioni di “lassismo costitu_
9
Da ultimo v. MORBIDELLI, Il ruolo del Presidente della Repubblica nel disegno di legge costituzionale approvato dal Senato il 25 marzo 2004, in La Costituzione
promessa, a cura di Calderisi-Cintioli-Pitruzzella, Soveria Mannelli, 2004, 109-110.
10
Così GALEOTTI, Il Presidente della Repubblica: struttura garantistica o
struttura governante?, in Atti del Convegno, La figura e il ruolo del Presidente della
Repubblica nel sistema costituzionale italiano, Milano, 1985, a cura di G. Silvestri, 43.
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zionale” cui è dato assistere, come custode, se non della rigidità,
del rigore costituzionale»11.
Ed è proprio il passaggio a una tendenziale democrazia
maggioritaria – iniziata con i referenda del 1993 e proseguita
con le modifiche alla legislazione elettorale – che ha comportato per la nostra Costituzione un’inevitabile magmatica rilettura
degli istituti e degli organi in questa presenti, in particolare della
figura del Presidente della Repubblica12 che costituisce, per
la posizione che occupa nel nostro ordinamento, un’utile cartina
di tornasole con cui individuare le relazioni intercorrenti fra i
diversi organi costituzionali13.
1.
Il potere di rinvio come controllo di costituzionalità e di
merito delle leggi.
Innanzitutto occorre dire che il potere di rinvio introdotto
dai costituenti italiani appare quale species delle possibili forme
di veto sospensivo. Esso si distingue dall’istituto della sanzione
regia tanto per la differente posizione assunta dal Capo dello
Stato nell’iter legis14, quanto dal differente grado giuridico
che distingue il potere di statuire dal potere di impedire15.
11
Così MARTINES, Il potere di esternazione del Presidente della Repubblica,
in La figura e il ruolo del Presidente, cit., 140.
12
V. le lucide riflessioni espresse dal MORTATI, in Istituzioni di diritto pubblico, Tomo II, Padova, 1976, 646 e ss. e, tra gli altri Autori si cfr. GUARINO, Il Presidente della Repubblica italiana, in Riv. trim. dir. pubb., 1951, 903; GALIZIA, Studi sui
rapporti fra parlamento e governo, Milano, 1972, I, 237; F. CUOCOLO, Il rinvio presidenziale nella formazione delle leggi, Milano, 1955, 43 e ss.; Imparzialità e tutela del Presidente della Repubblica, in Rass. di dir. pubb., 1959, 50; BARILE, in voce Presidente
della Repubblica, Novissimo Digesto, XIII, 715; ARMAROLI, L’elezione del Presidente
della Repubblica in Italia, Padova, 1977, 165 e ss.
13
Su tale tematica v. le lucide riflessioni di S. LABRIOLA, Per una storia breve di
un lungo decennio, 2004 e di CARETTI, Riflessioni sul decennio costituzionale 1993/
2003, 2004, pubblicate su http://www.costituzionalismo.it.
14
Il Presidente non rappresenta più il terzo ramo del Parlamento, poiché la sua
volontà non concorre – paritariamente alla volontà delle Assemblee legislative
– a confezionare la legge.
15
In tal senso, F. CUOCOLO, in Il potere di rinvio, cit., 58, in cui pone una
perspicua riflessione, utilizzando le parole del Montesquieu, sulla distinzione esistente
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A differenza di quanto avveniva durante la vigenza dello
Statuto albertino, com’è noto, ove l’istituto della sanzione regia
consentiva al Re di esser posto su un «piede di parità con le
Camere nella formazione delle leggi»16, ed egli era il terzo
ramo del Parlamento, nella Carta del 1948 il Presidente non ha
più – in linea di principio – il potere di porre nel nulla le decisioni delle Assemblee, anche se mantiene la facoltà di differire17 le decisioni da queste prese attraverso l’art. 74 Costituzione. In sostanza, mentre nelle monarchie il Re con la sanzione
approva la legge, perfezionandola e trasformandola da progetto
di legge in legge18, nelle repubbliche parlamentari il Capo
dello Stato attraverso l’istituto della promulgazione si limita ad
integrare la fase perfettiva della legge, effettuando un accertamento dell’esistenza della legge – sotto il profilo della regolarità del procedimento di formazione e dell’identità di consensi
due delle due Camere – applicandole la solemnis editio legis.19
tra la faculté de statuer e la faculté d’empêcher. La prima quale facoltà di ordinare per
se stessi o di correggere ciò che è stato ordinato da altri, la seconda quale diritto di
opporsi ad una decisione altrui: «La prima è sempre un diritto positivo, anche
quando sia rifiutata, la seconda è sempre un diritto negativo, una cui manifestazione
positiva è affatto inconcepibile, consistendo in una mera astensione dall’esercizio del
Cost diritto stesso».
16
Così R. LUCIFREDI, in Elementi di diritto pubblico, XXVI ed., Città di Castello, 1973, 158.
17
O di impedire la decisione qualora si presentino casi d’estrema gravità
che potrebbero addirittura prefigurare – ove non fossero adeguatamente sanzionati
– le ipotesi di attentato alla Costituzione.
18
Unica singolare eccezione è rappresentata dal modello nordamericano
nel quale il bill diviene law solo dopo aver superato il veto presidenziale; anche se tale
distinguo appare al più un mero residuo nominale, derivante anch’esso dal modello
monarchico costituzionale puro preso ad esempio dai costituenti di Filadelfia. In ogni
caso è da rilevare che nel modello nordamericano il Presidente partecipa con tale atto
all’attività legislativa, poiché Egli è organo primario d’indirizzo politico. Su tale punto
v. ELIA, Forma di governo e procedimento legislativo negli USA, Milano, 1961, 160.
19
Si applica al testo approvato dalle Camere una formula composta di tre
parti: la prima attestativa della sussistenza e della regolarità formale dell’iter legis, la
seconda è una formula dichiarativa con la quale il Capo dello Stato esprime la volontà
di promulgare il testo mentre la terza, contiene un vero e proprio comando od ordine
d’esecuzione. Si è quindi «dinanzi ad un comando del Capo dello Stato che all’atto
legislativo venga riconosciuta l’autorità che ad esso è propria secondo volontà dell’Or-
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Inoltre, mentre la sanzione è una manifestazione di volontà che
s’integra con la volontà espressa dalle Camere mediante l’approvazione del testo, la richiesta di riesame è un atto distinto che
interviene solo in un momento successivo20; essa appare per
lo più come la manifestazione di un potere di controllo.
Il modello italiano fu espresso per la prima volta, nelle sue linee essenziali, dalla Commissione per gli studi attinenti alla riorganizzazione dello Stato21. Ribadito poi con maggior vigore nei
lavori dell’Assemblea costituente, ove le proposte degli onn.li
Bozzi e Codacci-Pisanelli, tendenti ad attribuire il potere di sanzione al Presidente della Repubblica22, vennero rigettate con
forza. Da allora – e dopo la codifica costituzionale23 – la potestà di richiedere una nuova deliberazione delle Camere su di una
legge è esercitata dal Presidente della Repubblica sulla scorta di
due modelli elaborati e consolidati dalla dottrina e dalla prassi.
Tali modelli, invero, prendono forma e sostanza dal silenzio della Costituzione, poiché essa nulla dice circa i motivi per i
quali il Capo dello Stato può legittimamente esercitare il potere
di rinvio.
dinamento», GROTTANELLI DE’ SANTI, La formazione delle leggi, in Commentario alla
Costituzione, Art. 73-74, a cura di G. Branca, Bologna, 1985, 191.
20
Altresì si ricorda come la sanzione non abbisogni di alcuna motivazione,
essendo una manifestazione di volontà, di converso il veto che esige un’esposizione
dei motivi per i quali è apposto
21
Tale organismo iniziò i suoi lavori quando ancora incerta era la forma di
Stato in Italia (e forse è questa la ragione cui addebitare le sovrapposizioni e imprecisioni presenti nel testo costituzionale tra l’istituto della sanzione e del veto), ma su
un punto il pensiero dei commissari era unanime: essi ritenevano che l’unica conseguenza giuridica ad un’opposizione del Capo dello Stato ad un testo legislativo, dovesse avere come unica sanzione la sola restituzione della legge alle Camere, affinché
esse in tal modo potessero o riapprovare la legge nello stesso identico testo; o procedere ad un riesame del testo sulla base delle valutazioni che motivavano l’atto di rinvio.
22
Si cfr. gli Atti, Assemblea Costituente. 1178, 1451, 1474 e la risposta dell’on. Ruini, Atti, ibid., 1465, con cui rivendica il carattere innovatore della Costituzione su tali materie, in netta opposizione alla tesi tradizionale della sanzione invece
espressa dall’on. Orlando.
23
Art. 74 «Il Presidente della Repubblica, prima di promulgare la legge, può
con messaggio motivato alle Camere chiedere una nuova deliberazione. Se le Camere
approvano nuovamente la legge, questa deve essere promulgata».
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Da tale silenzio, autorevole dottrina24 ha evinto che il
potere di rinvio sia consentito – e quindi esercitabile – per
qualsiasi motivo, tanto di legittimità quanto di merito25.
Il primo dei modelli, pertanto, ha quale riferimento la cosiddetta «mera» illegittimità costituzionale, ossia la possibilità
per il Capo dello Stato di rinviare alle Camere una legge che
presenti dei vizi di forma tali da non poterne consentire un’entrata in vigore senza che vi sia grave nocumento per l’ordinamento26.
Il secondo tipo invece ha quale parametro di riferimento la
libera valutazione di opportunità operata dal Capo dello Stato,
che deve essere svolta entro i prudenti confini che delimitano il
carattere obiettivo e neutro, tipico della funzione del Presidente
della Repubblica nel nostro ordinamento, essendo di converso
ovvio che un controllo di puro merito politico, seppur non
escluso in dottrina27, rischierebbe di alterare il ruolo del
Capo dello Stato rendendolo compartecipe nella direzione dell’indirizzo politico di maggioranza28.
24
V. F. CUOCOLO, Il rinvio…, cit., 105 e ss., e A. BOZZI, Note sul rinvio presidenziale della legge, in Riv. trim. dir. pubb., Milano, 1958, 739 e ss.
25
Contra v. F. BENVENUTI, Il controllo mediante richiesta di riesame, in Riv,
trim. dir. pubb., Milano, 1954, 377 e ss.; CROSA, Diritto costituzionale, cit., 459, e anche MANZELLA, Il Parlamento, Bologna, III ed., 2003, 380, che ritiene esercitabile il
potere di rinvio «per ogni difformità dell’atto legislativo rispetto ad obbiettivi parametri ritrovabili nell’ordinamento costituzionale».
26
Tra i vizi formali si ricordano tutti quei casi inerenti il procedimento legislativo disciplinato dall’art. 72 Costituzione Dall’approvazione in Commissione, invece che in Assemblea, alla violazione dei quorum stabiliti dalla Costituzione. Il Capo
dello Stato, tanto nei casi di scuola, quanto in quei casi ove il prevedibile intervento
della Corte costituzionale non sia in grado di sanare l’incostituzionalità presente nel
testo, ha non solo il diritto bensì il dovere di non firmare il testo. In caso contrario
potrebbe incorrere nell’ipotesi di attentato alla Costituzione (si discute, inoltre, se sia
possibile definire «legge» un testo che presenti irregolarità tali da inficiarne, sia la
forma che la sostanza, come nel caso di un testo approvato da un solo ramo del Parlamento o da una minoranza parlamentare, poiché in tali casi il testo giunto al Capo
dello Stato appare privo di ogni valore giuridico e pertanto ben potrebbe il Presidente
comportarsi come se non avesse ricevuto nulla).
27
ESPOSITO, Capo…, cit., 238.
28
Tesi invece sostenuta da A.M. Sandulli e Valentini, i quali attribuivano al
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Entro queste due figure – per la verità eterogenee anche
alloro interno – il potere di rinvio nella prassi ha avuto distinte
interpretazioni, ponendo in luce il tipo «ordinamentale».
Prima di procedere oltre si ricorda che la delimitazione
dell’analisi a tale tipo ci permette di porre i rinvii ex art. 81 della
Costituzione entro il perimetro dell’illegittimità costituzionale
formale29 e, di converso, ci consente di attribuire contenuto
«ordinamentale» ai rinvii inerenti i profili di opportunità o di
«merito costituzionale»; ossia a tutti quei rinvii in cui la «coerenza dell’ordinamento giuridico», «la ragionevolezza», «la
congruità istituzionale», la logicità giuridica, la certezza del diritto (ovvero la difficile conoscibilità del complesso della normativa applicabile), sono stati considerati dal Capo dello Stato elementi e parametri di opportunità riconducibili alla comune dizione di principi ordinamentali.
2.
Il rinvio per motivi ordinamentali.
I principi richiamati nelle motivazioni dei messaggi di rinvio possono essere così riassunti entro il perimetro di un’evoluzione che ha caratterizzato, e che ancora caratterizza, il contenuto ordinamentale del rinvio per motivi di merito, cui gli inquilini del Colle succedutisi nel tempo hanno inteso attribuire le
loro differenti sensibilità istituzionali. A tale scopo si è ritenuto
utile soffermarsi maggiormente su detta categoria, riassumendo
le diverse posizioni del genus «rinvio» alla species «ordinamentale», precisando ulteriormente che sotto tale dizione30 s’inCapo dello Stato una funzione decisoria, sia pure entro i limiti di una funzione di influenza indiretta e di garanzia del rispetto delle condizioni che rendono possibile la
regolarità e la continuità di svolgimento dell’indirizzo politico stesso. V. A.M. SANDULLI, Il Presidente della Repubblica e le funzioni amministrative, in Riv. amministrativa, 1950, 151 e ss. e VALENTINI, Gli atti del Presidente della Repubblica, in Pubblicazioni di dir. pubb. e dott. dello Stato, Università di Roma, 1965, 25 e ss.
29
Un perimetro che ha permesso nel 1995 l’esercizio del potere di rinvio
su di un disegno di legge di conversione (poi decaduto) anche al Presidente supplente
Scognamiglio Pasini, si v. il Doc. I, n. 4, Camera dei Deputati, del 1995.
30
Tale definizione presuppone inoltre un ovvio distinguo fra detti «principi» e quei principi costituzionali riconosciuti quali autonoma categoria utilizzata
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tende collocare, per meri fini ricostruttivi, tutti quei rinvii la cui
motivazione non risiede nell’esigua (o nella mancanza di) copertura finanziaria o, come da ultimo, nella palese incostituzionalità31, rientrando detti rinvii nella prima e più pacifica categoria dell’illegittimità costituzionale tout court (ossia per violazione
diretta di una norma costituzionale)32, bensì si cercherà di
riunire e di proporre una breve riflessione sulla più controversa
categoria dei rinvii per motivi di merito (per violazione indiretta
della Costituzione) e sulla casistica fin qui rilevata.
Pertanto appare utile ricostruire la figura giuridica dei motivi ordinamentali, iniziando dal primo caso avutosi sotto la presidenza Einaudi, per giungere alla lunga, articolata e controversa
serie della presidenza Cossiga. Al fine di poter utilmente collocare entro detti confini i rinvii del Presidente Ciampi33. Il
quale, ponendo l’accento su tematiche care a chi si occupa di
tecnica legislativa, ha inteso richiamare l’attenzione dei soggetti,
dalla Corte costituzionale quale parametro di costituzionalità delle leggi (si v. la sentenza 1146 del 1984). Dato che il controllo compiuto dal Capo dello Stato è, ovviamente, un controllo meno approfondito e avente natura profondamente diversa dal
controllo successivo spettante alla Corte costituzionale.
31
V. il recente rinvio del Capo dello Stato che ha invitato le Camere a una
nuova deliberazione sulla proposta di legge: «Disposizioni in materia di incompatibilità dei consiglieri regionali». Il Presidente pone in luce che la materia inerente l’incompatibilità dei consiglieri regionali sia oramai sottoposta « ... (al) l’art. 122 della
Costituzione, come modificato dalla legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1,
(che) innovando rispetto alla precedente disciplina che affidava tale materia a leggi
della Repubblica, stabilisce, al primo comma: “Il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale nonché dei consiglieri regionali sono disciplinati con legge della Regione nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica, che stabilisce anche la durata degli organi elettivi”. La legge a me inviata si pone, dunque, in palese
contrasto con l’art. 122, primo comma, della Costituzione, in quanto intende rendere
applicabile ai consiglieri regionali una norma statale in tema di incompatibilità, materia quest’ultima che la citata legge costituzionale n. 1 del 1999, riserva alla competenza
legislativa delle regioni», su tale punto, infra, par. 4.3.
32
Ossia, ai rinvii la cui motivazione risiede nella violazione diretta della
Costituzione come nel caso dell’art. 81 o dell’art. 73 Costituzione.
33
Per un utile ricostruzione circa l’evoluzione della figura del Presidente
della Repubblica e della presidenza Ciampi si v. anche, TEBALDI, Il Presidente della Repubblica, Collana “Studi e Ricerche”, serie: Le istituzioni politiche in Italia, a cura di
M. Cotta e C. Guarnieri, 2005, Bologna, 17 e ss.
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a vario titolo presenti nell’iter legis, sull’utilizzo improprio delle
fonti normative, introducendo dei primi importanti «paletti».
2.1. La species ordinamentale: da Einaudi a Cossiga.
Fin dall’inizio il potere di rinvio, così come accadde anche
ad altri poteri presidenziali, fu oggetto di un’inevitabile definizione. Occorreva innanzitutto stabilire se esso era un potere
presidenziale formale o sostanziale e, una volta accertata la piena
titolarità34, i limiti cui era soggetto. A tal proposito è utile ricordare che, quando i Costituenti disegnarono la figura del Presidente della Repubblica, essi intesero realizzare una forma di
governo parlamentare razionalizzata monista, nella quale il baricentro politico era costituito dall’unico organo che più immediatamente rappresentava la sovranità popolare: il Parlamento.
Al Capo dello Stato non dovevano appartenere più, nell’intenzione dei Costituenti, quei ruoli e quelle prerogative che avevano caratterizzato il periodo statutario. Difatti viene immediatamente meno quel potere di revoca del governo che, unito inscindibilmente al potere di scioglimento della Camera dei deputati, consentiva al monarca di intervenire nelle scelte politiche
più rilevanti; ed è in tale elemento che autorevole dottrina35
rinviene il chiaro significato di una «inequivoca e definitiva»
esclusione del Capo dello Stato dalla funzione di governo.
L’imprinting giuridico originario alla figura e ai poteri del
Presidente della Repubblica è pertanto il frutto, in massima
parte, della prassi istaurata dal primo Presidente che ha tracciato
i margini e l’elasticità interpretativa del potere di rinvio, consentendo alle diverse personalità succedutesi in tale ruolo di modu34
Si ricorda che la mera attribuzione di titolarità di un potere esternato
nella forma di un atto non sempre, quasi mai, sottende la piena titolarità d’esercizio.
Si pensi alla nota disputa giuridica, svoltasi in dottrina sull’Istituto della controfirma,
che generò la nota distinzione tra poteri formalmente presidenziali, ma sostanzialmente governativi, poteri formalmente e sostanzialmente presidenziali, poteri duumvirali o duali, nei quali l’atto giunge a perfezione attraverso la fusione della comune volontà degli organi coinvolti.
35
S. GALEOTTI, Il Presidente della Repubblica: struttura..., cit., 23 e ss.
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lare l’esercizio di tale potere in funzione delle diverse fasi storiche istituzionali.
Il Presidente Einaudi il 9 aprile 1949 esercita per la prima
volta il potere di rinvio. In tale occasione il Capo dello Stato
rinvia due leggi alle Camere e la motivazione del rinvio, in entrambi i casi, si fonda sulla violazione dell’art. 81 della Costituzione36.
36
La prima legge riguardava l’aumento dei soprassoldi spettanti al personale adibito agli stabilimenti di lavoro. Nel messaggio di rinvio le motivazioni esposte
eccepivano l’incostituzionalità del secondo comma dell’articolo unico di tale legge,
nella parte in cui autorizzava il Ministro del Tesoro «ad apportare al bilancio, con
propri decreti, le variazioni occorrenti per l’attuazione»; pertanto, il Capo dello Stato,
evidenzia come in tale modo il disposto non ottemperi alla previsione contenuta nell’ultimo comma dell’art. 81 della Costituzione (dando inizio in tal modo a quella peculiare species di rinvii in cui la mancanza o l’insufficiente copertura finanziaria viola,
il precetto posto dall’art. 81 della Costituzione), poiché non indica i mezzi con cui far
fronte alla maggiore spesa, differendo tale obbligo in capo al Ministro. L’on. Giammarco, relatore del disegno di legge sui soprassoldi rinviato, Doc. VI, n.1, nella seduta
del 5 ottobre 1949 ricorda come «Nella relazione scritta abbiamo dimostrato che il
disegno di legge non portava nessun accenno alle fonti dalle quali trarre i mezzi finanziari per l’esecuzione della legge; che la Commissione si fece parte diligente per trovare questi mezzi, e che si addivenne, in difetto di qualsiasi utile indicazione da parte
dei ministeri interessati, alla accettazione di una delega generica al ministro del tesoro,
d’accordo con la IV Commissione (finanze e tesoro), di apportare variazioni al bilancio della difesa. Infatti, interpellammo il Ministero della difesa, il quale ci dichiarò di
non avere fondi a disposizione per questa materia; interpellammo il Ministero del tesoro, il quale, come abbiamo detto nella relazione scritta, giudicò: “assecondabile la
richiesta del Ministero della difesa in considerazione delle circostanze e delle ragioni
addotte a sostegno” dichiarandosi favorevole a un ulteriore corso del provvedimento
stesso. Cosi la Commissione ritenne che altro non v’era da fare, dato che per ragioni
sociali premeva l’immediata approvazione della legge, che accettare una formula che
era poi uguale a quella già accettata in aula per tanti altri progetti di legge». La Camera, nella stessa seduta, dispone che alla copertura della maggiore spesa prevista
«dalla presente legge, si farà fronte con prelevamenti dagli stanziamenti dei seguenti
capitoli dello stato di previsione della spesa del Ministero della difesa e precisamente,
per quanto riguarda la Marina, dal capitolo 89, per quanto riguarda l’Aeronautica, dal
capitolo 141, e per quanto riguarda l’Esercito, dal capitolo 34 e, in difetto di disponibilità, dal capitolo 235», La seconda legge, concernente dei sussidi in favore dei
bonificatori di campi minati, soggiace anch’essa ai medesimi rilievi. In quanto pur
comportando l’autorizzazione ad una maggiore spesa, non indica i mezzi con cui farvi
fronte. Un ulteriore e più grave rilievo il Capo dello Stato lo rileva ove il disposto
normativo con cui si autorizza il ministro – «ad apportare al bilancio, con propri
194
ANDREA DE MARCO
Il terzo rinvio è avvenuto l’11 gennaio 1950. Il disposto legislativo oggetto di rinvio riguardava le modificazioni al d.lgs.lgt.
352/46 concernente gli incaricati di funzioni giudiziarie. Più precisamente, la legge disciplinava l’immissione in ruolo degli incaricati delle funzioni giurisdizionali. Il Capo dello Stato chiedeva
una seconda deliberazione alle Camere perché ravvisava una violazione del dettato costituzionale proprio nel mancato rispetto
del primo comma dell’art. 106 della Costituzione, secondo cui le
nomine dei magistrati hanno luogo per concorso. Le Camere ritennero di non uniformarsi ai rilievi posti da Einaudi e pur riapprovando il testo legislativo con la soppressione dell’articolo oggetto dei rilievi del Capo dello Stato, intesero che – in quello
specifico caso – i magistrati onorari non potessero considerarsi
investiti di un incarico, temporaneo e precario, di funzioni giudiziarie. Così come il disposto normativo in esame era solamente
un esame interno pratico che del concorso portava solo il nome37.
E se in tale occasione il Capo dello Stato non espresse ufficialmente alcuna posizione, limitandosi a seguire il dettato costituzionale, in modo riservato indirizzò al governo un proprio
appunto nel quale manifestava (con asprezza) tutto il proprio
«rammarico».
Ma è nel novembre del 1953, con l’avvio della II Legislatura, che il Presidente Einaudi fissa un margine d’utilizzo del
potere di rinvio assai più ampio38.
decreti, per l’attuazione della presente legge le variazioni occorrenti nel caso in cui le
somme residue non fossero sufficienti a fronteggiare gli impegni di spesa derivanti
dall’esecuzione della presente legge» – venisse interpretato quale autorizzazione valida anche negli esercizi successivi. Le Camere, pur notando come tale attribuzione
fosse stata in qualche caso già utilizzata, accolgono i rilievi posti dal Capo dello Stato
ed indicano i Capitoli di spesa: «La spesa relativa all’applicazione ... sul capitolo 253
dello stato di previsione della spesa dell’esercizio finanziario 1949-50».
37
Si cfr. lo stenografico della III Commissione del 16 dicembre 1949, Camera dei Deputati, III Commissione, XXXV, 292 e ss. e la relazione dell’on. Rescigno,
relatore e proponente della proposta di legge, Camera dei Deputati, Doc. VI n. 3-A,
presentata il 13 febbraio 1950.
38
Si v. F. CUOCOLO, cit., 105 e ss.; GALEOTTI, Contributo alla teoria del procedimento legislativo, Milano, 1957, 393 e ss.; GUARINO, Il Presidente… cit., 959 e ss.;
195
IL FILANGIERI 2-3-4/2005
In tale circostanza le diciotto cartelle scritte da Einaudi a
motivazione del rinvio della normativa che prorogava gli effetti
della legge n. 49 del 1953 – relativa ai diritti e compensi dovuti
al personale degli uffici dipendenti dai Ministeri delle finanze,
del tesoro e della Corte dei Conti39: i cosiddetti diritti casuali
BARTHOLINI, La promulgazione, Milano, 1955, 419; MELONI, Il potere di messaggio del
Presidente della Repubblica, in Nuova rassegna di legislazione, 1955, 1121 e ss.; CERETI,
I messaggi presidenziali, in Studi in onore di G.M. De Francesco, vol. I, Milano, 1957,
157 e ss.; DOMINEDO, Saggio sul potere presidenziale, in Studi sulla Costituzione, vol. III,
Milano, 1958, 203 e ss.; BARILE, I poteri del Presidente della Repubblica, in Scritti di diritto costituzionale, Padova, 1967, 281 e ss. Si ricorda, per sommi capi, le autorevoli
prese di posizione da parte di giuristi come Piero Calamandrei, Paolo Barile e Giuseppe Maranini che sostenevano l’importanza di quanto – in un sistema «bloccato»
dall’impossibilità di alternanza, dovuta alla percezione ostile e antisistema (e forse per
i tempi anche reale) di buona parte della rappresentanza parlamentare di opposizione
– il Capo dello Stato garantisse, attraverso i suoi poteri, un indirizzo politico-costituzionale che si potesse frapporre quale argine istituzionale alla condizione di rendita
goduta dalle forze politiche della maggioranza.
Tale posizione è assunta dagli Autori citati, in quel peculiare periodo storico che
ha caratterizzato la I Legislatura, nella quale si manifestò il cosiddetto «ostruzionismo di maggioranza», ossia, alla mancata attuazione, ad opera dalla maggioranza
dell’epoca, di tutti quegli strumenti costituzionali di garanzia previsti nella Costituzione e che il Costituente intese lasciare al Legislatore ordinario prevedendone la disciplina attuativa con legge ordinaria. Di tali strumenti merita ricordare soprattutto la
mancata costituzione della Corte costituzionale e, per tal via, l’impossibilità di far valere l’incostituzionalità delle norme che pervadevano il codice penale, di procedura
penale e di pubblica sicurezza d’epoca fascista, che ancora pedissequamente erano
applicate. Si pensi, inoltre, alla costruzione, per via giurisprudenziale e dogmatica. di
norme costituzionali distinte in norme immediatamente precettive, norme precettive
per il legislatore, ma non per il cittadino, pertanto non immediatamente applicabili, e
norme meramente programmatiche. La conseguenza più diretta di tale condizione
istituzionale per il cittadino era la sospensione di alcuni importanti diritti fondamentali che risultavano essere solamente dichiarati in Costituzione e praticamente disattesi nei fatti. Si rimanda per tutti a, CALAMANDREI, La Costituzione e le leggi per
attuarla, in AA.VV., Dieci anni dopo, Laterza, 1955; e più recentemente Si v. di
AA.VV., Storia dello Stato italiano, a cura di Raffaele Romanelli, Roma, 1995, in particolare, RODOTA, Le libertà e i diritti, 301 ss.
39
Più nota come legge sui diritti casuali, Cfr. l’Atto Senato 150 e la successiva legge 27 dicembre 1953, n.948. In tale rinvio il Presidente Einaudi, dopo aver delineato la crono-storia del provvedimento che vuole concedere una ulteriore proroga
ai diritti casuali in favore dei funzionari dei Ministeri delle finanze, del Tesoro e della
Corte dei Conti. Ricorda che quando fu approvata una legge precedente, sempre sul
medesimo argomento, il governo e il parlamento presero l’«impegno» di far cessare
i cosiddetto diritti casuali entro il 31 dicembre 1952, ricordando, alle parti in causa,
196
ANDREA DE MARCO
– rimangono un chiaro esempio della flessibilità tipica del rinvio
per motivi «ordinamentali».
Il Capo dello Stato, in tale occasione, è entrato prepotentemente nella sostanza40 del provvedimento, in considerazione
che i diritti casuali sarebbero inconciliabili con il moderno ordinamento statuale. Così facendo ha stimolato un interessante dibattito, tanto fra i parlamentari (di maggioranza e di opposizione), quanto sui media dell’epoca41. La decisione42 delle
Camere di prorogare i «diritti casuali» – dopo un così ampio
e approfondito confronto – non rappresenta altro che una fela proroga già concessa a tale termine dalla legge 14 febbraio 1953, n. 44, fino al 31
ottobre 1953. La nuova proroga appare, agli occhi di Einaudi, quindi «del tutto ingiustificata di fronte al riconoscimento generale della improrogabile urgenza di porre
fine alla gravissima e confusa situazione causata da tale sistema ». Dimostra, altresì, la
infondatezza di tutte le ragioni che sono state portate in difesa dei diritti casuali. «Se
Tizio chiede un servizio che la collettività non è tenuta a dare è giusto che Tizio e non
lo Stato paghi il servizio. Ma questo non è il caso né del più antico ed originario dei
diritti casuali, la tassa di registro, né tanto meno di tutti gli altri che per filiazione,
analogia od imitazione, ne sono derivati. Si tratta di pagamenti di tasse e imposte determinate in modo davvero casuale, ossia arbitrario e siffattamente grezzo da consentire disparità notabili e non spiegabili da ufficio ad ufficio. ... Le imposte e la tasse,
pur mascherate sotto il nome di diritti casuali, sono istituti troppo delicati perché
possano essere devoluti a vantaggio di altri che non sia il Tesoro dello Stato. Quasi
senza avvedercene siamo a poco a poco recati a mutare la concezione dello Stato. Non
più esso è creato per i cittadini, non più i funzionari hanno ragione di vita esclusivamente per i servigi che rendono ai cittadini. Lentamente si fa strada il principio opposto, che i cittadini hanno ragione di esistere in quanto rendono servizio allo Stato...
capovolgendosi così la natura stessa dello Stato libero democratico». Si veda, EINAUDI,
Lo scrittoio del Presidente, Torino, 1956. In particolare, in merito ai messaggi di rinvio, pag. 208 e ss.
40
Su tale punto si v. l’autorevole posizione espressa dal Paladin, il quale
pone in luce che il testo del rinvio nonostante appaia a prima vista «assimilabile ad
un ampia ed insistita relazione di minoranza», sia invero ascrivibile ad un rinvio per
motivi di legittimità. Non riconosciuto tale soprattutto per l’insufficiente elaborazione
dei principi contenuti nella Costituzione da parte tanto della dottrina quanto dalla
giurisprudenza dell’epoca. PALADIN, La funzione presidenziale di controllo, in Quad.
Costituzione, II, 1982, 319.
41
Si invita il lettore a rivedere gli interessanti articoli apparsi sui quotidiani
dell’epoca e in particolare gli stimolanti e pungenti scritti di Francesco Argenta, editorialista de La Stampa. Tra cui quello apparso ne «La Stampa» del 19 dicembre
1953.
42
L’ultima lettura parlamentare è avvenuta il 19 dicembre 1953 al Senato.
197
IL FILANGIERI 2-3-4/2005
dele e corretta applicazione di quanto previsto dalla Costituzione43. Tanto che l’intervento di Einaudi non rimane un colpo
battuto nel vuoto e sortisce due importanti effetti. Il primo è la
presentazione, da parte del Governo, di un disegno di legge
volto a riorganizzare la materia44; il secondo effetto giuridicocostituzionale – e per noi ben più interessante – è la formazione del primo precedente a proposito del potere di rinvio per
motivi che non sono espressamente riferiti alla legittimità costituzionale45. E da notare che in sede di riesame, nella seduta
della Camera del 17 dicembre 1953, il deputato Preti contestò
esplicitamente la possibilità per il Capo dello Stato di esercitare
il rinvio per ragioni di opportunità, ma il successivo intervento
del deputato Bozzi chiariva l’esercizio di siffatta eventualità, ribadendo che tale casus rientrava pienamente nella prerogativa
presidenziale disciplinata dall’art. 74 della Costituzione46.
Tale vicenda ben rappresenta la molteplicità dei fattori pre43
Si rammenta che la Costituzione richiede, perché vi sia un legittimo esercizio
del potere di rinvio, solo una motivazione.
44
E la legge di proroga – seppur non più solo riferita ai dipendenti del
Ministero del tesoro, delle finanze e della Corte dei Conti, ma a tutte le categorie appartenenti alla galassia dei dipendenti pubblici – rimane in parte (in «parte», per
via dell’ordine del giorno ritirato, in Senato, dal senatore Sturzo, con cui sosteneva la
necessità di giungere ad una definitiva abolizione dei diritti casuali, poiché le proroghe sine die a nulla giovano. Pertanto, dall’ordine del giorno – con cui «Il Senato
esclude che possano ammettersi sotto qualsiasi titolo gestioni fuori bilancio, dovendo
tutte le entrate e tutte le spese di carattere statale essere riportate nei rispettivi stati di
previsione e nei consuntivi annuali; invita il governo a provvedere entro il primo semestre del prossimo anno, in modo che con il 1° luglio 1954 venga a cessare, senza
eccezioni, qualsiasi gestione fuori bilancio e venga sottoposta al controllo parlamentare l’intera gestione di quegli enti ai quali per legge sia stata affidata, anche a scopo
determinato, la riscossione diretta da imposizioni statali» – viene soppresso il termine esplicito 1° luglio, poiché il governo, per bocca del Ministro del Tesoro Gava,
non ritiene di potersi impegnare data la natura assai variegata delle norme sulle quali
si fondano i cosiddetto diritti casuali) limitata al mese di luglio (rispetto al termine ben
più ampio previsto nella legge rinviata).
45
Contra si v. PALADIN, La funzione..., op. cit., 318 e ss., ove l’A. pone in
evidenza il fatto che i ripetuti richiami operati dal Presidente Einaudi nelle motivazioni del messaggio di rinvio sui diritti «casuali» – senza mai menzionare gli artt. 3,
53 e 97 della Costituzione – non siano altro che mancanze dovute «all’insufficiente
elaborazione di tali principi nella dottrina e nella giurisprudenza di quegli anni».
46
Atti Camera, Discussioni, Il Leg., V, 4844 e ss.
198
ANDREA DE MARCO
senti nell’utilizzo del potere di rinvio. «Soprattutto per la conquista dei poteri presidenziali in senso proprio rispetto ai singoli
atti ... che furono emessi in sede di primo precedente della prassi
repubblicana senza proposta governativa e contro il parere di alcuni autorevolissimi costituenti democristiani»47. Il Presidente Einaudi, approfittando di taluni interstizi aperti o schiusi
nel testo costituzionale, permise la creazione di uno spazio autonomo per il Capo dello Stato e sviluppò «quel tanto di separazione tra Capo dello Stato e governo che a tratti emergeva dalla
distribuzione dei poteri realizzata nel 1947»48. Il confronto
che ha visto come protagonista il Presidente Einaudi pone oltremodo in luce tutta la complessità e la difficoltà insita nell’esercizio delle peculiari funzioni del Capo dello Stato, tra cui l’estrema
misura di rinviare una legge, soprattutto ove le motivazioni investano motivi non direttamente riferibili alla legittimità costituzionale49. Basti por mente che per trovare un nuovo rinvio ex
art. 74 della Costituzione, appartenente alla species ordinamentale, è necessario giungere al 30 ottobre 1975 (VI Legislatura).
Occorre attendere dodici anni, anche perché tutti gli undici rinvii successivi al precedente Einaudi, ad eccezione di quello effettuato dal Presidente Gronchi il 7 ottobre 1960 (A.S. n. 891, il
doc. XII, n. 2)50 avevano – pur con qualche lieve sfumatura
47
Si v. L. ELIA, I “ruoli” del Presidente della Repubblica, in Giustizia e costituzione, 1972, n. 1-2.
48
Ibid, nota precedente.
49
Il contesto storico in cui si formarono le prime prassi risentiva ancora,
allora più di oggi, delle difficoltà di considerare il Presidente della Repubblica un organo di garanzia, terzo rispetto all’indirizzo politico, o di considerarlo in qualche misura partecipe del potere esecutivo. Si pensi alle parole espresse dal Tosato, e riportate da, RUGGERI, cit. 185, «volte a legare il caso di rinvio al caso particolare di un disegno governativo non accolto e profondamente emendato; dopo di che si giustificherebbe, appunto “il potere del governo, cioè del Presidente insieme al suo governo, di
rinviare alle Camere per un nuovo esame una legge da esse deliberata”».
50
Ossia si presenta il caso, fin allora di scuola, in cui il testo approvato
dalle Camere è portato alla firma del Capo dello Stato oltre il termine previsto dal
comma 1 dell’art. 73 della Costituzione. Pertanto anche tale rinvio si può far rientrare
nella species dei rinvii per illegittimità costituzionale formale. Si rammenta altresì che
tale aspetto non appare per nulla secondario dato che il controllo esercitato dal Capo
dello Stato interviene proprio entro detto termine. Pertanto, parte della dottrina ha
199
IL FILANGIERI 2-3-4/2005
– il loro presupposto giuridico nella mancanza di copertura finanziaria di cui all’art. 81 della Costituzione51. L’eccezione di
Gronchi rimane l’unico caso di rinvio in cui la motivazione abbia tratto ragioni di incostituzionalità dal mancato rispetto del
termine previsto nell’art. 73 della Costituzione52.
Il rinvio operato da Leone il 30 ottobre 1975, invece, ha ad
oggetto la legge elettorale del Consiglio superiore della magistraritenuto, assai correttamente, che una presentazione della legge al Capo dello Stato a
ridosso dei termini previsti dalla Costituzione costituirebbe una palese violazione delle
prerogative presidenziali, poiché il Presidente della Repubblica non avrebbe a disposizione il tempo costituzionalmente previsto per valutare la conformità alla Costituzione, o ai principi della stessa, dell’articolato. Sul punto si rimanda a, G.U. RESCIGNO,
Commento..., 1295 e ss.
51
G.U. RESCIGNO, Considerazioni…, cit., 1290. Tale autore, inoltre, ricorda
come il rinvio disposto dal Presidente Gronchi il 6 novembre del 1960 (Doc. Camera
XII, n. 3, III Leg.), pur se formalmente riferito ad una violazione dell’art. 81, sarebbe
stato in realtà motivato da ragioni di merito. In realtà il messaggio di rinvio rilevava
l’utilizzazione di fondi residui di bilancio, oltre il limite temporale previsto dall’art. 1
della legge 27 febbraio 1955, n. 64 inerente la disciplina generale sulla Contabilità di
Stato. Sul punto si v. MALESARDI, Il rinvio delle leggi alle Camere da parte del Presidente
della Repubblica: problemi costituzionali e regolamentari, in Il Parlamento della Repubblica, Camera dei Deputati, 1987, 460, nota 34, il quale osserva che i medesimi rilievi
andrebbero estesi anche ad altri messaggi di rinvio, tanto nel caso della presidenza
Segni con i messaggi di rinvio del 5 e 11 febbraio 1963, quanto sotto la presidenza
Pertini, ove il mancato rispetto dei limiti temporali indicati dall’art. 1 della legge n. 64
del 1955, confermati dall’art. 10 della legge n. 468 del 1978, si rinvengono in tre messaggi di rinvio firmati da Pertini (due in data 10 febbraio 1981 e uno il 29 gennaio
1982).
52
Messaggio del 7 ottobre 1960, doc. Camera XII, n. 2, III Leg. Il termine
decorre, o dovrebbe decorrere, dalla data in cui interviene l’approvazione da parte del
ramo del Parlamento che si pronunzia per ultimo. Anche se, una tale interpretazione
mal si correla al controllo che la Costituzione pone in capo al Presidente della Repubblica, poiché, salvo il caso previsto dalla Costituzione al secondo comma dell’art. 73
che il Parlamento decida un termine più breve per la promulgazione, più conforme
sarebbe l’interpretazione secondo cui il termine debba decorrere dalla comunicazione
dell’approvazione parlamentare che avviene quando il Presidente dell’Assemblea parlamentare che ha licenziato per ultima il testo, sottoscrive il messaggio di avvenuta approvazione. Sul punto si rinvia a: G.U. RESCIGNO, Considerazioni..., cit., 1290; GALEOTTI, Contributo alla teoria..., cit., 385; C. CHIMENTI, Note sul riesame..., cit., 190;
CARBONARO, L’incidenza delle attribuzioni in relazione alle funzioni legislativa e giurisdizionale, in Scritti giuridici in memoria di Piero Calamandrei, IV, 1958, 193; MALESARDI,
Il rinvio..., cit., 462.
200
ANDREA DE MARCO
tura. Come riferì lo stesso Leone, tanto le motivazioni contenute
nel messaggio di rinvio, quanto le esternazioni compiute con il
messaggio alle Camere rappresentavano il frutto di un ponderato lavoro di riflessione sulla lunga stagione politica che ebbe al
Quirinale. La condizione storico-politica e il conseguente rapporto
fra le istituzioni furono però tali da impedire al Capo dello Stato
di giocare un ruolo marcato nella formazione delle leggi53.
Tuttavia, il rinvio operato dal Presidente Leone appare interessante per diversi profili. Il primo è rappresentato dalla circostanza che nelle motivazioni del messaggio di rinvio il Capo
dello Stato distingue tra una motivazione principale e una serie
di motivazioni subordinate attinenti sia alla legittimità che al
«merito» del provvedimento54. Un altro profilo è rappresentato dalla circostanza che molti dei rilievi avanzati dal Capo
dello Stato nelle motivazioni del messaggio di rinvio erano, in
realtà, già emersi nel corso dei lavori parlamentari per opera
dell’on. Reggiani e del Ministro della Giustizia on. Reale55.
53
Su tale situazione si v. ARMAROLI, L’elezione del Presidente della Repubblica in Italia, Padova, 1977, 415, in cui l’A. ai quesiti sul perché la classe politica
sembri orientata a non concedere al Presidente maggiori poteri di quelli riconosciuti
ed esercitati da un De Nicola risponde: «Non certo perché sia stata ammaestrata dalle
precedenti presidenze perché quando si trattò di eleggere il Presidente della Repubblica tutti sembrano interessati, per i particolari fini politici che perseguono, a una
presidenza interventista (vista la scelta dei candidati in lizza per i primi scrutini, De
Martino per le sinistre e Fanfani per la democrazia cristiana)», bensì «perché si
vanno riproducendo le condizioni di trent’anni fa quando al governo partecipavano
forze politiche tanto eterogenee da rendere indispensabile un capo dello stato che
prima di tutto» ne «fosse» il «garantista». Sul punto si cfr. anche, BARTOLE, Divagazioni a margine del rinvio presidenziale della recente legge sul Consiglio superiore
della magistratura, in Giur. Costituzione, p. 448, 1977.
54
Si v. Doc. I, n. 2, VI Legislatura, «La necessiti di un riesame della legge
da parte del Parlamento sotto l’anzidetto profilo di legittimità costituzionale mi induce a prospettare ulteriori dubbi, attinenti alla legittimità, ed anche al merito, di altre disposizioni contenute nello stesso art. 3 della legge riguardanti sempre l’elettorato
passivo».
55
In tale occasione la maggioranza aveva ritenuto di dover procedere
ugualmente all’approvazione del testo, auspicando che detti inconvenienti potessero
esser poi corretti dall’emanando regolamento d’esecuzione. Atti Parlamentari, Camera
dei Deputati, seduta del 15 ottobre 1975, 11470.
201
IL FILANGIERI 2-3-4/2005
In riferimento all’obiezione principale, il Parlamento, a
conclusione di un dibattito abbastanza ampio dal quale affiora la
volontà di non voler «combattere una strenua difesa del testo
precedentemente approvato»56, decide di accogliere i rilievi
fatti dal Capo dello Stato nella parte in cui disponeva la non rieleggibilità dei magistrati che avessero fatto parte del Consiglio,
se non dopo la scadenza del periodo corrispondente alla durata
in carica di due successivi Consigli. Furono respinti tutti gli altri rilievi di costituzionalità e di «merito» (anche se si adottarono norme transitorie per quei casi in cui si modificava in senso
restrittivo la capacità dell’elettorato passivo)57. Tale decisione
appare parzialmente diversa con quanto è avvenuto con il rinvio
fatto dal Presidente Einaudi nel 1953 di cui si è detto. Einaudi
con la sua battaglia sui diritti causali tenta di far assumere direttamente e chiaramente alla maggioranza parlamentare la responsabilità politica che l’entrata di nuovi balzelli pone. Al contempo
rivendica a sé il potere di rinvio, conformandolo quale atto sostanzialmente presidenziale, al quale la maggioranza parlamentare può certamente contrapporre la riapprovazione del testo assumendosi però in tal modo, con l’evidenza che la Costituzione
richiede, la pubblica responsabilità del testo legislativo. Leone,
invece, pur introducendo nelle motivazioni dei suggerimenti al
testo legislativo (tali da apparire quasi degli emendamenti), non
riesce a conseguire la considerazione che ebbe il suo predecessore58.
Con la presidenza Cossiga il rinvio per motivi «ordinamentali» assume caratteristiche fino ad allora inedite e per certi
_____
56
Così on. Galante Garrone, seduta del 17 dicembre 1975 alla Camera,
25466.
57
Si cfr. BARTOLE, Divagazioni..., op. cit., 449; FIUMANÒ, A proposito di un
recente messaggio del Presidente della Repubblica, in Foro it., 1977, fasc. 6, pt. 5, pp.
185 e ss.; e di recente, in tema di legislazione elettorale del Consiglio Superiore della
Magistratura, si v. PICOZZI, La riforma della composizione e del sistema elettorale del
c.s.m.: alcune osservazioni, pubblicata al seguente indirizzo internet: http://www.giurcost.org/studi/index. html.
58
Sul punto si v. anche, TEBALDI, Il Presidente..., op. cit., 217 e ss.
202
ANDREA DE MARCO
versi assimilabili, per i profili creativi inerenti i rilievi di «merito
la costituzionale», all’interpretazione primigenia data da Einaudi.
2.1.1. La presidenza Cossiga.
Nel suo mandato il Presidente Cossiga interpreta il potere di
rinvio e delinea margini d’utilizzo ancor più ampi e penetranti. Altresì occorre porre dei distinguo tra i rinvii operati nella
prima parte del suo mandato, con le relative motivazioni59, da
quelli compiuti nell’ultimo periodo del medesimo.
Difatti l’interpretazione del potere di rinvio nella prima
parte del settennato, tra cui il primo caso di rinvio presidenziale
su un disegno di legge di conversione60, risulta caratterizzato
da una pseudo «compartecipazione» del governo a tale potere.
Il Presidente Cossiga, nel rinviare alle Camere la legge di
conversione del d.l. 22 dicembre 1986, n. 882, rilevava che, rispetto al testo governativo che ha quantificato i mezzi di copertura degli articoli del d.l. n. 882, «sono stati introdotti dalla
legge di conversione emendamenti e integrazioni all’art. 2,
comma 2-bis; all’art. 3; comma 2-bis; all’art. 3, comma 4; all’art.
4, comma 5; e all’art. 4-bis, che comportano nuovi oneri, inizialmente non previsti, per i quali non sono stati indicati nella legge
di conversione i necessari mezzi di copertura. Per tale parte,
pertanto, detta legge non ottempera validamente al precetto dell’art 81, quarto comma, della Costituzione, per il quale ogni
_____
59
Mai come in tale fase il potere di rinvio è stato così vicino alle ipotesi
filo governative espresse da Tosato nel suo discorso alla Camera, Si v. La Costituzione
della Repubblica nei lavori preparatori della Assemblea Costituente, a cura del Segretariato Generale della Camera dei Deputati, IV, Roma, 1970, 3483.
60
In data 20 febbraio 1987 il Presidente Cossiga rinviava alle Camere la
legge di conversione – con modificazioni – del d.l. 22 dicembre 1986, n. 882. Essa
recava la fiscalizzazione degli oneri sociali con proroga degli sgravi contributivi nel
Mezzogiorno ed altri interventi per settori in crisi. Tale decreto è poi decaduto il 20
febbraio 1987. Si cfr. l’A.C. n. 4294 e A.S. 2193, doc. 1, n. 3, IX Legislatura. Altresì
si v. ampiamente, CORSO, Sul rinvio alle Camere di una legge di conversione di un decreto-legge da parte del Presidente della Repubblica, in Quad. Costituzione, p. 109 e ss.,
n. 1, 1987. Anche se il rinvio operato dal Presidente Ciampi su di un disegno di legge
di conversione differisce per molti sostanziali aspetti dal rinvio appena ricordato, si v.
più oltre, par. 4.2.
203
IL FILANGIERI 2-3-4/2005
nuova legge di spesa deve indicare un’adeguata copertura finanziaria a fronte di nuove o maggiori spese implicate».
La compartecipazione governativa, pur non comprovata da
atti ufficiali, è desumibile dalle cronache del tempo. In data 18
febbraio 1987 su «Il Sole 24 Ore», compare un’intervista al
ministro del lavoro De Michelis nella quale si annunzia che il
governo al Senato si batterà per eliminare dal testo le disposizioni introdotte dalle commissioni riunite V e XIII della Camera
dei Deputati.
Nella seduta del 18 febbraio, al Senato, dopo che il ministro era riuscito ad ottenere dalla Commissione bilancio un parere negativo, non accolto dalla Commissione competente (la XI
Commissione, Lavoro), lancia un monito: «il provvedimento,
con le modifiche apportate dalla Camera dei Deputati, è sprovvisto di copertura finanziaria, qualora il d.l. n. 882 venisse convertito in legge senza ulteriori modificazioni, il governo non potrebbe che sottolineare l’assenza di copertura in sede di promulgazione». Palazzo Madama, in seduta notturna, per tutta risposta approva il testo così come la Camera lo aveva emendato.
Il giorno successivo il ministro del Tesoro invia una missiva, pubblicata dal «Il Sole 24 Ore»61, al Presidente del
Consiglio nella quale pone in evidenza che le disposizioni introdotte nel testo del disegno di legge di conversione appaiono del
tutto prive di copertura. Pertanto «codesta Presidenza è pregata
di assumere al riguardo le occorrenti iniziative nelle competenti
sedi pubbliche»62. Il giorno seguente il Presidente Cossiga
rinvia il testo alle Camere.
La compartecipazione del governo alla decisione presidenziale si evince, oltre che dalle dichiarazioni testé riportate, anche
dalle successive prese di posizione del ministro del Tesoro in
merito al disegno di legge di conversione del decreto-legge che
ha reiterato le disposizioni del decreto nel frattempo decaduto.
61
Si v. Il Sole 24 Ore del 19 febbraio 1987, Goria: mancano 2 mila miliardi.
Si rimanda per un esauriente approfondimento su tale caso a CORSO,
Presidenza della..., op cit., 110 e ss.
62
204
ANDREA DE MARCO
La situazione si ripete specularmente qualche mese dopo
quando il ministro Goria invita il Presidente del Consiglio a sollecitare l’intervento del Colle63. E puntualmente il Presidente
Cossiga, in data 17 aprile 1987, rinvia alle Camere la legge di
conversione del d.l. 25 febbraio 1987, n. 48.
Nel messaggio di rinvio il Capo dello Stato rileva che rispetto al testo del decreto-legge come proposto dal governo, ed
ai relativi mezzi di copertura a fronte delle nuove e maggioritarie spese da esso recate, il Parlamento ha introdotto, con la legge
di conversione trasmessagli per la promulgazione, «alcuni
emendamenti che costituiscono norme nuove rispetto al precedente d.l. 22 dicembre 1986, n. 882, e alla relativa legge di conversione, e che comportano nuovi ingenti oneri per i quali la
legge di conversione non indica alcun mezzo di copertura»64.
La compartecipazione del governo al potere di rinvio è invece totalmente assente nella seconda ed ultima parte del suo
mandato. In questa il Presidente della Repubblica interpreta in
modo assai diverso ed anzi diametralmente opposto il ruolo e le
prerogative che la sua prestigiosa carica gli riconosce65.
Quale primo elemento, è il diverso e più elevato spessore
politico che caratterizza le leggi rinviate, con la conseguente
espansione della categoria «ordinamentale»66. I profili di
63
Così Corriere della Sera del 16 aprile 1987, Oneri sociali Goria “rimprovera” il Parlamento e sollecita a Cossiga un secondo no al decreto.
64
I disegni di legge di conversione di decreti-legge avente ad oggetto la fiscalizzazione degli oneri sociali sono stati varie volte oggetto di rinvio del Capo dello
Stato. L’ultimo dei quali risulta essere il disegno di legge di conversione del d.l. n. 196
del 1989, A.C. 3973-B, rinviato sempre per mancanza di copertura finanziaria, il 28
luglio del 1989.
65
Su tale periodo, Cfr. V. ONIDA, L’ultimo Cossiga: recenti novità nella
prassi della Presidenza della Repubblica, in Quad. Costituzione, 165 e ss., n. 2, 1992;
FUSARO, La prassi più recente della Presidenza Cossiga. Appunti per una rassegna, in Diritto e società, 115 e ss., 1992; e sotto altro profilo si v. anche, TEBALDI, Il Presidente...,
op. cit., 320 e ss.
66
Anche se, come GRISOLIA in op cit. sostiene, la prassi, in merito all’uso di
tale prerogativa, era già stata oggetto di non lievi cambiamenti durante la Presidenza
Pertini, che non a sproposito ha individuato come un indirizzo politico presidenziale
sia alieno al nostro attuale ordinamento costituzionale.
205
IL FILANGIERI 2-3-4/2005
«merito costituzionale» si ampliano rischiando di confondersi
talvolta con il puro merito politico.
Anche se è utile evidenziare che nella maggior parte dei
casi le disposizioni che non hanno superato il controllo presidenziale, in sede di deliberazione successiva sono modificate
proprio secondo quanto indicato nel messaggio di rinvio67.
Mentre in altre (minori e ultime) occasioni68 i parametri utilizzati nel messaggio di rinvio dal Presidente della Repubblica
sconfinano in prerogative difficilmente riferibili alle funzioni
presidenziali. Poiché il ruolo del Capo dello Stato entro una
forma di governo parlamentare ove il titolare dell’indirizzo politico è il governo, responsabile dello stesso dinanzi alle Camere,
è (o forse dovrebbe continuare ad essere) neutro proprio perché
detta potestà è attribuita all’organo costituzionale legato dal rapporto di fiducia con il Parlamento. Potrebbe, di massima, essere
titolare – in determinate e peculiari condizioni – secondo la
nota teoria del Barile di un indirizzo politico costituzionale69. In
quanto se il Capo dello Stato oppone dei rilievi e ipotesi al______
67
Come avvenne nel caso del rinvio della legge istitutiva del servizio di
protezione civile.
68
Si cfr. il messaggio di rinvio, in data 19 agosto 1991, della legge contenente modifiche alla legge n. 29 del 1948, sulla elezione del Senato della Repubblica;
e il messaggio di rinvio, in data 1 febbraio 1992, sulla legge contenente nuove norme
in tema di obiezione di coscienza. Nel primo dei messaggi citati il Capo dello Stato
operava un rinvio, opinando alle Camere dei vizi di opportunità costituzionale e di
coerenza interna della legge. Mentre nel secondo dei casi sopra ricordati, il messaggio
di rinvio conteneva accanto ai rilievi di merito costituzionale delle vere e proprie dichiarazioni politiche in netta polemica con le scelte effettuate dalle Camere. Si v. i
commenti apparsi sui quotidiani dell’epoca tra cui, Un appello al Parlamento. Laici e
cattolici insorgono, sul Corriere della Sera del 1 febbraio 1992, in cui la posizione del
governo è stigmatizzata dalla dichiarazione del Ministro della difesa, Virginio Rognoni, che afferma lapidario: «La posizione del governo per la legge sull’obiezione di
coscienza è quella espressa dalle Camere».
69
Dovendo perseguire, secondo la nota teoria espressa dal BARILE, in I poteri del Presidente..., 307 ss., un indirizzo politico costituzionale che non si confonde
con quello del governo, ma che può «correggerlo» al fine di allinearlo all’attuazione
dei fini costituzionali.
206
ANDREA DE MARCO
ternative70, si espone fatalmente al rischio di essere coinvolto
nel conflitto politico inerente al provvedimento normativo. Un
tale apprezzamento, se è certamente riconducibile al Presidente
della Repubblica e alla politicità intimamente connessa con tale
alto ufficio, deve però rimanere confinato entro i più sfocati e
prudenti limiti della cosiddetta moral suasion. Si tratta certamente di un limite evanescente e sarà, di volta in volta, la sensibilità politica del Capo dello Stato ad accompagnarne l’uso.
A conferma di ciò la Costituzione nell’attribuire la potestà
al Presidente della Repubblica di chiedere una nuova deliberazione ne disciplina gli effetti meramente sospensivi, non prefigurando affatto la sostituzione della volontà parlamentare con la
volontà presidenziale. Pertanto, nonostante il potere di rinvio non
sia mai stato tipizzato con sufficiente chiarezza e certezza
nei vincoli o nei motivi, né dalla Costituzione né dalla prassi
successiva, solo gli effetti sopra descritti appaiono essere i più
conformi allo spirito e alla lettera della Costituzione. Residua
solo alle ipotesi di scuola71 l’evenienza che il Presidente della
Repubblica rinvii nuovamente una legge riapprovata dalle Camere, aprendo in tal modo un conflitto con il Parlamento sul
quale sarà chiamata a pronunciarsi la Corte costituzionale o in
sede di conflitto tra i poteri o in sede di attentato alla
Costituzione.
Il potere di rinvio rientra tra quei meccanismi progettati
dai costituenti per raffreddare le eventuali intemperanze politiche emerse con l’approvazione di una legge, la possibilità di
avere un temporaneo ripensamento sul testo, prima che esso diventi parte integrante del tessuto legislativo. In sostanza, un
meccanismo di raffreddamento assai simile al bicameralismo
perfetto72.
70
In modo assai simile a quanto era già avvenuto nelle motivazioni del
messaggio di rinvio sulla legge elettorale del CSM sotto la presidenza Leone.
71
Ossia a quei casi in cui il vizio sia talmente evidente che qualsiasi considerazione di carattere politico soccombe dianzi all’esigenza di evitare che tali disposti
entrino a far parte dell’ordinamento giuridico.
72
Si Cfr. la relazione per l’Assemblea costituente di Meuccio Ruini.
207
IL FILANGIERI 2-3-4/2005
Ne segue che l’uso di un tale potere, anche se frequente e
non ben motivato, non deve generare l’impressione che esso si
discosta dal nostro modello costituzionale. Dal momento che la
Costituzione ha attribuito al Capo dello Stato il potere di rinvio,
elemento sufficiente perché vi sia un legittimo esercizio del potere è che il Capo dello Stato ravvisi un difetto ditali elementi e
ne dia motivazione (nonostante la «neutralità» che ancora caratterizza il nostro ordinamento consigli un uso moderato del
potere di rinvio)73. Del resto la presidenza Cossiga ha ben
posto in luce le complesse situazioni derivanti dall’uso (o abuso)
di detto potere, esercitato anche nell’imminenza dello scioglimento parlamentare od anche a Camere ormai sciolte74. Senza
soffermarsi qui in una disamina approfondita delle problematiche derivanti da tali comportamenti75, merita solo ricordare le dichiarazioni presidenziali76 che chiedevano che
sul testo rinviato si pronunciassero le nuove Camere. Una tale
prassi, pur confermata nei fatti da un caso77, consentirebbe in
teoria la trasformazione del potere di rinvio da veto sospensivo
in veto assoluto78; dato che la legge rinviata è riinserita nei lavori parlamentari come mero progetto di legge ed è perciò soggetta alla decadenza che interviene a fine legislatura al pari di
tutti gli altri progetti di legge79.
73
Si v. MORTATI, Istituzioni..., op. dt., 755.
Si v. V. ONIDA, L’ultimo Cossiga..., op. cit., 167 e ss. e FUSARO, La prassi
più..., op. cit., 117 e ss.
75
Si rinvia agli Autori citati nella nota precedente.
76
Si cfr. il messaggio di rinvio in data 18 febbraio 1992, nel quale pur richiamandosi la violazione dell’art. 81 della Costituzione, il Presidente Cossiga chiede
che l’esame «delle disposizioni ... (sia fatto) dal Parlamento che verrà eletto».
77
Si pensi alla legge sull’obiezione di coscienza che, nonostante la decisa
presa di posizione da parte sia del Presidente della Camera (on. Iotti) che del Presidente del Senato (sen. Spadolini), non sarà riapprovata dalle Camere oramai sciolte.
Di contro le Camere riusciranno a riapprovare la legge contenente disposizioni concernenti la cessazione dell’impiego d’amianto.
78
Sulla falsariga di quanto accade nell’ordinamento statunitense con il pocket veto.
79
Proprio al fine di evitare un simile uso (o abuso) del potere di rinvio e
del potere di scioglimento esercitati dal Presidente in meccanica successione, la Ca74
208
ANDREA DE MARCO
Prima di esaminare i rinvii operati dal Presidente Ciampi,
occorre far breve cenno tanto all’unico caso di rinvio per motivi
«ordinamentali» riscontratosi nella lunga e complicata presidenza Scalfaro, quanto al rinvio operato nei confronti di un eterogeneo articolato legislativo sulla semplificazione e razionalizzazione del sistema tributario, compiuto sì in forza della mancata
copertura finanziaria ex art. 81 della Costituzione, ma con peculiari argomentazioni degne di nota.
3.
La Presidenza Scalfaro.
Per quanto attiene al primo dei rinvii summenzionati, il
Presidente Scalfaro, l’il agosto del 199480, rinvia alle Camere il
disegno di legge di conversione recante disposizioni in materia
d’organizzazione delle unità sanitarie locali. Il testo è rinviato a
causa di due emendamenti considerati «incostituzionali». Il
primo lederebbe l’autonomia regionale, poiché l’indicazione dei
mera dei Deputati e il Senato della Repubblica hanno adottato un parere del seguente
tenore; «Al fine di consentire la conservazione nella prossima legislatura dei provvedimenti legislativi rinviati dal Capo dello Stato a norma dell’art. 74 della Costituzione e
considerato che si tratta di provvedimenti già approvati da entrambi i rami del Parlamento, la Giunta esprime il parere che a tali provvedimenti – per i quali le Camere
sciolte non abbiano proceduto ad una nuova deliberazione – sia applicabile in via analogica la disciplina per i progetti di legge di iniziativa popolare dall’art. 107, comma 4,
del Regolamento della Camera. Conseguentemente il provvedimento legislativo rinviato
dal Capo dello Stato – che abbia iniziato il proprio iter alla Camera nella precedente
legislatura – non dovrà essere ripresentato, permanendo nell’ordine del giorno generale,
bensì soltanto nuovamente assegnato alle Commissioni competenti per materia. Inoltre,
al provvedimento rinviato, ferma restando la particolare procedura prevista dall’art. 71
del Regolamento della camera, si applicheranno, senza altri adempimenti, le disposizioni
di cui ai primi due commi del citato art. 107, nella parte in cui prevedono l’assegnazione
alla Commissione di un termine di quindici giorni per riferire e l’iscrizione all’ordine del
giorno dell’Assemblea, previo inserimento nel calendario dei lavori, successivamente alla
scadenza del predetto termine. La stessa procedura si applica automaticamente anche ai
provvedimenti legislativi rinviati dal Capo dello Stato che – avendo iniziato il proprio
iter al Senato – siano trasmessi da qual ramo alla Camera per la nuova deliberazione».
Così la Giunta per il Regolamento della Camera dei Deputati l’11 marzo 1992 e in
analoga versione, la Giunta per il regolamento del Senato, anch’essa nella seduta
dell’11 marzo 1992, ha adottato una deliberazione di medesimo contenuto.
80
Si v. il doc. 1, n. 1, XII Legislatura.
209
IL FILANGIERI 2-3-4/2005
presidenti delle giunte regionali quali organi competenti a nominare i direttori generali di USL e ospedali contrasterebbe con la
«giurisprudenza costante» secondo cui «la ripartizione delle
funzioni fra i vari organi regionali della Repubblica – osserva il
Presidente Scalfaro – non è affare del Parlamento», rientrando
invero nell’organizzazione interna regionale. Il secondo emendamento invece sarebbe causa di disordine, in quanto il decretolegge prevedeva quale ultima data entro cui effettuare le nomine
il 24 giugno del 1994, mentre l’emendamento approvato considerava valide le nomine realizzate «fino al 24 giugno». Per cui
– rileva il Presidente Scalfaro – «la Regione Lazio, che ha
provveduto alle nomine il 24 giugno, rischia di vedere cancellato
tutto quello che è stato fatto negli ultimi due mesi»81.
Il provvedimento è stato assegnato alla XII Commissione,
competente per materia, ma non è stato riesaminato perché i
tempi erano oramai prossimi alla scadenza82.
Il secondo rinvio presenta quale caratteristica peculiare il
fatto che uno dei profili richiamati dal Capo dello Stato nelle
motivazioni contenute nel messaggio di rinvio è la vox populi.
Il Capo dello Stato, difatti, richiama espressamente la società civile, affermando che «Per i poteri che la Costituzione mi
conferisce, devo dare ascolto anche alla viva voce della società
civile, che si esprime attraverso le opinioni che, su temi di rilevante importanza, vengono formulate, a commento di decisioni
politiche o legislative, sui mezzi di informazione o attraverso appelli inviati a me direttamente»83. Tale richiamo, estraneo
81
Si cfr. i commenti apparsi sui quotidiani nei quali sono presenti le perplessità del Governo che per bocca del Ministro Costa, Ministro della Sanità, dichiara:
«Non posso anticipare le deliberazioni che il governo riterrà di assumere. Ovviamente qualsiasi decisione dovrà tener conto delle osservazioni del Capo dello Stato».
82
Il 23 agosto 1994 il decreto decade ed estingue in tal modo anche il relativo disegno di legge di conversione. Il testo sarà poi reiterato dal d.l. n. 512 del 27
agosto 1994, poi convertito con legge 17 ottobre 1994, n. 590.
83
Il Presidente osserva, inoltre, nel primo dei due profili, «l’asserito contrasto con la volontà popolare che, nel referendum del 18 aprile 1993 si è espressa per
l’abrogazione della legge 2 maggio 1974, n. 195, e successive modificazioni e integrazioni, sul contributo dello Stato al finanziamento dei partiti politici».
210
ANDREA DE MARCO
alla naturale dialettica tra gli organi costituzionali, è anche estraneo ai naturali interlocutori del Presidente della Repubblica e
pone in luce la profonda crisi che allora percorreva la rappresentanza politica84.
Difatti pur evidenziando che il suddetto richiamo è costituzionalmente non fondato, quasi a monito Scalfaro rammenta al
legislatore – dopo aver richiamato i pareri espressi dalle Commissioni bilancio delle due Assemblee, nei quali si evidenziavano
riserve sulla corretta applicazione della copertura finanziaria –
che «fare un’eccezione contro lo spirito dell’art. 81 della Costituzione proprio per una norma che riguarda i partiti politici vuol
dire non tener conto di uno stato d’animo, purtroppo insistente e
alquanto generalizzato, di non favore, se non di ostilità, verso
i partiti stessi».
4.
La presidenza Ciampi.
Il Presidente Ciampi ha riconosciuto per primo il mutato
contesto materiale entro cui la Costituzione opera. Infatti, nel
suo messaggio d’insediamento, egli si impegna ad osservare il
dettato della Costituzione consapevole «dell’esigenza di un naturale sviluppo e aggiornamento istituzionale» e che solo una
vera «stabilità politica, che è continuità del governare nel succedersi delle legislature e nell’alternarsi delle maggioranze», può
essere un moltiplicatore delle potenzialità dell’Italia85.
Tale indicazione non è di poco conto poiché egli, a differenza del suo predecessore86, attribuisce un valore material84
Tale casus appare molto simile al rinvio del Presidente Pertini avvenuto.
Si v. i messaggi del Capo dello Stato alla nazione e in primis il messaggio
d’insediamento.
86
Qui richiamato nel noto discorso in cui il Presidente Scalfaro ha posto
in luce la vexata questio relativa alle «due bussole», ossia all’applicazione della Costituzione e dei suoi precetti, dopo la modifica delle leggi elettorali. In quanto gli stessi
potevano essere soggetti ad una duplice lettura interpretativa: l’una in senso (materialmente) maggioritario e l’altra secondo la lettera e le prassi costituzionali legate ad un
interpretazione formale della Costituzione, In tale frangente storico il Capo dello Stato
ha optato per la direzione offertagli dalla bussola che gli appariva giuridicamente più
vincolante: ossia quella indicata dalla Costituzione formale.
85
211
IL FILANGIERI 2-3-4/2005
mente costituzionale al bipolarismo generato dalle leggi elettorali maggioritarie. Un valore che parzialmente modifica il senso
e la natura degli atti presidenziali, imprimendo un più ampio
ruolo di garanzia agli stessi, spogliando87 i poteri di garanzia
dagli ultimi veli di politicità ancora residui.
4.1. Il rinvio del disegno di legge sull’organizzazione e sul personale del settore sanitario.
Il primo dei rinvii che prenderemo in esame è avvenuto il
2 dicembre 200088. Esso interviene sull’art. 6, comma 2, della
legge recante norme in materia di organizzazione e di personale
del settore sanitario. In particolare, l’articolo oggetto del rinvio
prevede che «gli accordi collettivi nazionali relativi al personale
del comparto della sanità ed al personale sanitario a rapporto
convenzionale siano, resi esecutivi con decreto del Presidente
della Repubblica»89. Il Capo dello Stato ricorda inoltre che per
mezzo della legge n. 93 del 23 marzo 1983, fu operata una
prima «cesura nei confronti del vecchio ordinamento di natura
pubblicistica, regolato in toto dalla legge», poi superata «dalla
riforma strutturale della pubblica amministrazione, avvenuta con
il decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29»90.
Pertanto, prosegue il Capo dello Stato, «il procedimento
di contrattazione collettiva ... si svolge tutto, fino alla sua conclusione con la firma delle parti contraenti, in una cornice completamente privatistica, che esclude interventi di organi dello
Stato».
Il Presidente della Repubblica prosegue, richiamando a
motivazione del rinvio sia il processo di privatizzazione «assurto
___
87
Almeno nelle intenzioni.
Si v. doc. I, n. 4, depositato alla Camera dei Deputati.
89
Sul punto Si v. N. LUPO, Verso una motivazione delle leggi? A proposito
del primo rinvio di Ciampi, in Quad. Costituzione, Note e commenti, 2001, n. 2, 362
e ss.
90
Riforma che interviene anche attribuendo la competenza sul contenzioso
al giudice ordinario.
88
212
ANDREA DE MARCO
ormai quasi al rango di principio generale dell’ordinamento»;
sia il principio di uguaglianza poiché il disposto crea una situazione di disparità di trattamento «nei confronti dei dipendenti
pubblici inseriti negli altri comparti di contrattazione»; sia che il
disposto normativo in oggetto non abbia avuto nel suo passaggio parlamentare la dovuta chiarezza, poiché la norma è stata introdotta attraverso un emendamento d’iniziativa parlamentare
«messo ai voti ed approvato senza alcuna illustrazione, in assenza di dichiarazioni di voto e in mancanza di prese di posizione del Governo».
Per quanto attiene il primo punto, sebbene il richiamo del
Capo dello Stato interviene su una materia che, pur «rappresentando senza dubbio un elemento fondante» dei flussi legislativi
che hanno caratterizzato le politiche dei primi anni ‘90 sulla riforma dell’amministrazione pubblica, non presenta invero alcun
elemento giuridico-costituzionale tipico dei principi generali dell’ordinamento91. Il controllo operato dal Capo dello Stato –
proprio in virtù delle caratteristiche che lo contraddistinguono e
lo differenziano dal controllo successivo operato dalla Corte costituzionale – è un controllo che interviene nel corso dell’esercizio della funzione legislativa. Pertanto, fuori dai casi di scuola,
il Capo dello Stato non può sostituirsi alle Camere nell’esercizio92 della funzione legislativa e se tale rilievo appare debole
91
Tanto che nel rinvio medesimo, il Capo dello Stato lo definisce «quasi».
La legislazione in esame – come per altro verso, più oltre, la legislazione avente ad
oggetto la disciplina dell’attività normativa del governo richiamata nel rinvio inerente
la legge di conversione del d.l. 25 gennaio 2002, n. 4 – è priva di quella «copertura»
costituzionale che permetterebbe al giudice delle leggi o anche al Capo dello Stato, in
primissimo esame, di intervenire sui quei flussi normativi incoerenti, dettati più dagli
interessi contingenti e microsettoriali che da un analisi ponderata della materia; altresì,
nel caso della normativa oggetto del primo rinvio, come lo stesso N. LUPO, Verso una
motivazione..., rileva che è oltremodo priva del carattere di normativa direttamente attuativa del precetto costituzionale.
92
Nel senso d’esercizio negativo della funzione. Ossia non permettendo ai
titolari della funzione di legiferare. Le ipotesi di scuola sono ben rappresentate dall’ipotesi di una legge palesemente incostituzionale, tale per cui se promulgata dal
Capo dello Stato, anche nel caso di seconda deliberazione conforme, porterebbe alla
formulazione dell’ipotesi di reato presidenziale di attentato alla Costituzione.
213
IL FILANGIERI 2-3-4/2005
sotto il profilo strettamente giuridico appare altresì funzionale
alla tipologia di controllo assegnata dal nostro ordinamento al
Presidente della Repubblica in merito alla funzione legislativa93.
Il secondo rilievo, invece, richiama il principio d’uguaglian94
za ed attiene alla disparità di trattamento dei dipendenti
pubblici rientranti in comparti contrattuali diversi e sottostanti
pertanto a distinta disciplina.
Il principio d’uguaglianza – come peraltro definito dalla
Corte costituzionale95 – è un principio generale che condiziona l’intero ordinamento normativo «nella sua obiettiva struttura», ed appare quale espressione di un più ampio «canone di
coerenza». E se, a tale principio appare indubbia la soggezione
delle fonti normative secondarie96, qualche perplessità desta
la soggezione, al medesimo, della legge. Non tanto sotto un profilo squisitamente formale (che appare assodato), quanto sotto
un profilo «materiale»97. A tal proposito merita ricordare
che l’introduzione o la modifica di ogni norma giuridica comporta inevitabilmente una novazione delle situazioni giuridiche,
sia oggettive che soggettive, preesistenti. A tal fine, la giurisprudenza della Corte e la dottrina prevalente98 concordano nella
possibilità, per il legislatore, di definire, creare o distinguere po93
Tanto che la Costituzione disciplina tale potere entro il Titolo I, Il Parlamento,
della parte Il e non nella parte relativa al Capo dello Stato. Si v. quanto detto a tale
proposito poco più sopra.
94
Su tale principio si cfr. PALADIN, Il principio costituzionale d’uguaglianza,
…, 151 e ss.; G. ZAGREBELSKY, Il sistema costituzionale delle fonti, …, 12 e ss.; MODUGNO, Legge in generale, in Enc. dir., 884 e ss.; ESPOSITO, La validità delle leggi, … 117;
V. CRISAFULLI, Lezioni di diritto costituzionale, II, …, 71 e ss.; CERRI, Eguaglianza giuridica ed egualitarismo, …, 40.
95
Si v. tra le molteplici sentenze che intervengono su tale principio, per i
profili che qui interessano, le notissime sentenze, 25 del 1966 e 204 del 1982.
96
Si v. PALADIN, Il principio…, cit., 151 e ss.
97
Inteso quale principio rivolto a regolare anche il contenuto della legge,
sul punto Si v. CRISAFULLI-PALADIN, Commentario breve alla Costituzione, Art. 3, Padova, 3 e ss.
98
In tal senso tutta la dottrina, dividendosi poi sui limiti delle disposizioni
derogatorie. Si v. PALADIN, Il principio…, cit., 151 e ss., contra, AGRÒ, in Giur. Costituzione, 1969, 900 e ss. e MODUGNO, L’invalidità della legge, II, 334.
214
ANDREA DE MARCO
sizioni giuridiche, rientrando tale eventualità nella sfera di discrezionalità del medesimo. Ma con i limiti stabiliti dalla ragionevolezza del disposto. Ossia dall’ammissibiità della distinzione
che il legislatore disciplini in maniera eguale situazioni eguali, e
in maniera razionalmente diversa situazioni diverse99 e che le
stesse appaiono «finalizzate al conseguimento di altrettante
finalità costituzionalmente apprezzabili»100.
Ed è questo il quadro entro cui porre il rilievo operato dal
Capo dello Stato. Esso interviene proprio in ragione della violazione del canone di ragionevolezza del disposto normativo al suo
esame101.
Il terzo dei profili indicati, invece, attiene all’assunzione di
consapevolezza delle scelte operate dal legislatore allorquando le
stesse si discostano da un indirizzo politico-legislativo precedentemente perseguito dal medesimo.
Tale scopo sicuramente esercitabile, anche e soprattutto
attraverso l’opera d’impulso e persuasione svolta dal Capo dello
Stato durante tutto l’iter legis – in modo prevalente nei confronti del Presidente del Consiglio e dei ministri – assume tale
estrema ratio quando il legislatore in modo «un po’ frettoloso»102 approva disposizioni in distonia, e senza la dovuta riflessione, con il tessuto normativo circostante103. Tale uti99
Altresì va ricordato che il criterio di ragionevolezza, proprio per la sua
intrinseca natura assimilabile ad un giudizio di valore e pertanto suscettibile di entrare
nel merito politico delle scelte, è stato oggetto da parte della stessa Corte di un’azione
di auto contenimento.
100
MODUGNO, L’invalidità..., op. cit., 335.
101
Principio che appare assai più modulabile dal Capo dello Stato, in forza
della specificità del controllo da lui operato, in rapporto all’utilizzo estensivo e alle
conseguenze diverse, se compiuto dalla Corte costituzionale.
102
N. LUPO, Verso una motivazione..., cit., 362 e ss.
103
Il potere di rinvio così delineato assume delle caratteristiche meritevoli
di attenzione, soprattutto per la possibilità di utilizzo del medesimo in tutti quei casi
in cui la ratio delle disposizioni si è diluita nel corso dell’iter legislativo, aggravando la
conoscibilità, la chiarezza e la portata delle disposizioni legislative e per tal via la certezza stessa del diritto. Il disegno di legge rinviato è, nelle settimane successive, divenuto la legge n. 401 del 29 dicembre 2000, accogliendo tutte le indicazioni contenute
nel messaggio di rinvio.
215
IL FILANGIERI 2-3-4/2005
lizzo, caro a chi si occupa di tecnica legislativa, appare altresì
coevo alle caratteristiche del potere di rinvio ex art. 74. Proprio
perché interviene nel percorso legislativo, facendo regredire il
testo normativo – già perfetto ma non ancora efficace – allo
stadio di disegno di legge, e pone il legislatore nella condizione
di effettuare un più meditato esame del disposto, permettendo,
ove lo stesso intenda proseguire nel suo indirizzo, una pubblica
assunzione di responsabilità sul testo così approvato, o, come
più spesso accade, una rivalutazione del testo alla luce dei rilievi
presidenziali.
4.2. Il rinvio del disegno di legge di conversione del Decreto
legge 4/2002 recante disposizioni urgenti finalizzate a superare lo stato di crisi per il settore Zootecnico, per la pesca e
per l’agricoltura.
In data 29 marzo 2002 il Presidente della Repubblica rinvia alle Camere la legge di conversione del d.l. 25 gennaio 2002,
n. 4104. Nel messaggio alle Camere, il Capo dello Stato pone
104
Su tale atto e sugli effetti del rinvio del Capo dello Stato sulla corrispondente legge di conversione, oltre a quanto ivi sostenuto, si Cfr. i commenti di,
CELOTTO, Un rinvio rigoroso ma ... laconico. Linee guida per una riflessione, in questa
Rivista, n. 3/2002, 812; MACCABIANI, La mancata conversione di un decreto-legge per effetto del rinvio presidenziale, in Forum di Quad. Costituzione, 8 aprile 2002; D’AMICO,
Gli argini della Costituzione ed il «vulcano» della politica. Brevi considerazioni a riguardo del rinvio presidenziale della legge di conversione del d.l. 25 gennaio, n. 4 e del
suo seguito governativo, in Forum di Quad. Costituzione, 14 maggio 2002; RUGGERI,
Verso una prassi di legge promulgata con «motivazione» ... contraria?, in Forum di
Quad. Costituzione, 1 luglio 2002; SIMONCINI, Il rinvio presidenziale della legge di conversione del d.l. n. 4/2002: si apre una nuova stagione di controlli preventivi sulla decretazione d’urgenza?, in Quad. Costituzione, 2/2002, 123. Per una ricostruzione del
potere di rinvio si rimanda a: GALEOTTI, La posizione costituzionale del Presidente della
Repubblica, Milano, 1949; Il rinvio presidenziale di una legge (Art. 74 Costituzione),
(Spunti ricostruttivi e critici), in Rass. di diritto pubblico, 1950; Il Presidente della Repubblica garante della Costituzione italiana, Milano, 1992; F. CUOCOLO, Il rinvio presidenziale nella formazione delle leggi, Milano, 1955; BOZZI, Note sul rinvio presidenziale
della legge, in Riv. trim. di diritto pubblico, 1958; BISCARETTI DI RUFFIA, Sanzione assenso
e veto del Capo dello Stato nella formazione della legge negli ordinamenti costituzionali
moderni, in Studi in onore di E. Crosa, vol. II, Milano, 1960; IBID., Il rinvio presidenziale delle leggi dopo lo scioglimento delle Camere, in Riv. trim. di diritto pubblico,
216
ANDREA DE MARCO
in luce le molte distonie, costituzionali ed ordinamentali presenti
nel testo del provvedimento. In massima parte legate alle molteplici modifiche intervenute nel corso dell’iter parlamentare, che
hanno aumentato a dismisura il numero e la sostanza stessa degli articoli. Con il risultato di rendere il testo definitivo assai difforme da quello precedentemente emanato.
Il primo dei rilievi ha come oggetto proprio l’inserimento
di un articolo, peraltro di iniziativa governativa, che proroga il
termine (già scaduto) d’esercizio di una delega legislativa.
Tale aspetto, nel corso del procedimento parlamentare, era
già emerso ad opera del Comitato per la legislazione105 che
nel suo parere poneva in luce l’improprio differimento del termine d’esercizio introdotto dal Senato.
1964; CHIMENTI, Note sul riesame parlamentare delle leggi rinviate dal Presidente della
Repubblica, in Studi per il ventesimo anniversario dell’Assemblea costituente, vol. IV,
Firenze, 1969; MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, tomo II, Padova, 1976; GROTTANELLI DE’ SANTI, Artt. 73-74, in Commentario della Costituzione, a cura di G. Branca,
Bologna-Roma, 1985; GRISOLIA, Il rinvio presidenziale delle leggi, in Quad. Costituzione, n. 2, 1992, 222 e ss.; e più recentemente Si v. GALEOTTI e PEZZINI, Presidente della
Repubblica nella Costituzione italiana, in Dig. disc. pubbl., XI, Torino, 1996;
AA.VV. Il Presidente della Repubblica, a cura di Luciani M. e Volpi M., Bologna, 1997;
RUGGERI, in Studi in onore di Serio Galeotti, Tomo II, Milano, 1998; TERESI, in Studi in
onore di Leopoldo Elia, Torno II, Milano, 1999; FALZEA, Il rinvio delle leggi nel sistema
degli atti presidenziali, Milano, 2000; e CAPORALI, Il Presidente della Repubblica e
l’emanazione degli atti con forza di legge, Torino, 2000.
105
Organo nato con le modifiche regolamentari del 1997 e presente solo
alla Camera dei Deputati, si propone quale interlocutore privilegiato delle Commissioni per la redazione dei testi legislativi, curando in particolare la corretta redazione
dei testi legislativi con riferimento a regole di drafting formale e sostanziale. Tra le
competenze che il Regolamento della Camera, e le prassi successive, attribuiscono al
Comitato si distinguono le competenze eventuali (ossia quelle che si attivano solo su
richiesta delle Commissioni), e quelle obbligatorie (ovvero quelle a cui il Comitato
partecipa quale parte integrante dell’iter legis). Alle prime si riferiscono i pareri eventuali che le commissioni di merito, competenti ad esaminare i progetti di legge, possono richiedere al Comitato; alle seconde, i pareri obbligatori sui disegni di legge di
conversione e sulle norme che prevedono deleghe. Di questi si rammenta il parere sugli schemi di decreto legislativo. In merito alla prassi e alla evoluzione delle competenze del Comitato per la legislazione si rimanda agli interessanti rapporti presentati
dal Comitato stesso e pubblicati alla scadenza del mandato di ogni Presidente. Per
quanto concerne il disegno di legge di conversione oggetto di queste brevi note, Si v.
il parere espresso in data 19 marzo 2002.
217
IL FILANGIERI 2-3-4/2005
A tal proposto si rammenta che la disposizione richiamata,
inerente la delega legislativa attuativa della direttiva comunitaria
1999/74/CE, era stata già inserita nella legge n. 422 del 2000
(legge comunitaria per il 2000) e non era stata esercitata dal governo nei tempi ivi previsti106. L’art. 15, comma 2°, lett. a)
della legge n. 400 del 1988, vieta espressamente al governo di
inserire norme di tal fatta in decreti-legge. Ma anche se la norma
è formalmente inserita nel disegno di legge di conversione, per
cui posta fuori dall’ambito di applicazione da quanto disposto
dalla disciplina su richiamata, essa «generalmente» (secondo il
Servizio Studi della Camera)107 soggiace agli stessi limiti cui
è soggetto il testo del decreto legge. Ed è sulla base di tali pre106
Il termine previsto era il 4 febbraio 2002.
Tale espressione si rinviene nel n. 58 delle note per il Comitato per la
legislazione, Servizio studi, e nonostante goda del conforto parziale della disciplina
presente nei regolamenti parlamentari (v. infra), suscita diverse perplessità. Infatti appare indubbio che la natura ordinamentale della legge 400/88 è esercitata solo nei
confronti del governo e dei suoi componenti, non potendo vincolare, anche in forza
del principio temporale, la legge successiva e la libera potestà legislativa delle Camere.
Per una puntuale disamina sul punto si rinvia a, PACE, I ridotti limiti della potestà normativa del Governo nella legge n. 400 del 1988, in Giur. Costituzione, 1988, II; CARLASSARE, Prime impressioni sulla nuova disciplina del potere regolamentare prevista dalla
legge n. 400 del 1988 a confronto con il principio di legalità, in ibid.; PALICI DI SUINI, La
regola e l’eccezione, Milano, 1988; le lucide riflessioni di MODUGNO-CELOTTO, Rimedi
all’abuso del decreto-legge, in Giur. Costituzione, 1994 e CELOTTO, in op. cit., 823; DI
CIOLO, La progettazione legislativa in Italia, Milano, 2002. Si v. anche la recente sentenza della Corte costituzionale n. 376 del 2001. Ove la Corte rinviene un legame tra
l’art. 77 della Costituzione e il principio di omogeneità: «Nè in ciò può ravvisarsi una
violazione dell’art. 77 Costituzione – che comunque risulterebbe sanata dall’intervenuta conversione in legge del decreto – atteso che una norma di carattere generale …
non può certo ritenersi estranea o disomogenea rispetto alla materia di un decretolegge adottato in conseguenza della straordinaria necessità ed urgenza». Pertanto essa
distingue il decreto e gli eventuali vizi in esso presenti, dalla legge di conversione; altresì riconosce che gli eventuali vizi di disomogeneità presenti nel decreto-legge sarebbero quivi operanti e sanzionabili, mentre gli stessi vizi non sarebbero censurabili sulla
legge di conversione, essendo diversa la natura dell’atto in questione. Tale posizione si
distingue, in parte, da un precedente orientamento costituito dalla sentenza n. 391 del
1995, nella quale la Corte riteneva «Infondato ... anche il secondo profilo della censura, riferito all’asserita disomogeneità dell’oggetto regolato con la misura impugnata
(indennità di esproprio) rispetto ai contenuti propri della materia disciplinata attraverso il d.l. n. 333 del 1992».
107
218
ANDREA DE MARCO
supposti che, a detta del Capo dello Stato, appare «inspiegabile»108 l’inserimento di una simile disposizione. Tanto più
che, presso la XIV Commissione (la Commissione politiche dell’Unione Europea, competente per materia), era stato correttamente presentato dal Governo un disegno di legge delega109
volto ad attribuire all’esecutivo la competenza a disciplinare proprio la direttiva comunitaria in oggetto.
Il messaggio di rinvio prosegue e ravvisa che le numerose
norme introdotte tanto su iniziativa del Governo quanto con
emendamenti parlamentari, mantengono un’attinenza soltanto
indiretta, se riferite alle disposizioni dell’atto originario, e difettano pertanto di quei requisiti di straordinaria necessità ed urgenza che l’art. 77 della Costituzione prevede, contribuendo, in
tal guisa, a rendere «notevolmente e ampiamente» distinto il
corpus normativo di detto atto da quello emanato a suo tempo.
Il Presidente della Repubblica, dopo aver ribadito l’importanza del rispetto delle regole costituzionali e legislative inerenti
l’istituto del decreto-legge e, soprattutto, dopo aver richiamato
l’importanza «ordinamentale» della legge n. 400 del 1988, preposta al corretto impiego della decretazione d’urgenza, si sofferma sul dovere del governo di seguire il decreto-legge anche
nel suo iter parlamentare.
Tale aspetto pone in luce quanto stretto sia (o quanto
stretto dovrebbe essere) il rapporto tra il Governo e le Assemblee legislative nel procedimento normativo disciplinato dall’art.
77 della Costituzione. Appare quasi un monito se riferito ai
principali attori coinvolti. Sembra che il Presidente della Repubblica si rivolga al Presidente del Senato, al Presidente della Camera e al Presidente del Consiglio, e li esorti ad essere più rigorosi e vigili nell’applicare le norme di rispettiva competenza. Difatti, pare rammentare al Presidente del Senato il disposto dell’art. 78 e 97 del regolamento del Senato, e alla prassi ivi richiamata, che laconicamente afferma: «Quando il Senato, in sede di
108
109
Così il Presidente della Repubblica nel suo messaggio.
Si fa riferimento all’Atto Camera n. 2427.
219
IL FILANGIERI 2-3-4/2005
valutazione dei presupposti, giudica per un decreto-legge sussistenti i requisiti richiesti dall’art. 77 della Costituzione, accetta che
al provvedimento sia riservato un tragitto preferenziale, con la garanzia che per questo tragitto non si debbano far passare ipotesi
normative del tutto svincolate dalla necessità e dalla urgenza che
giustificarono l’emanazione del decreto-legge. Pertanto, in sede di
conversione di un decreto-legge, la norma del primo comma dell’art. 97 del Regolamento – secondo la quale non sono proponibili emendamenti che siano estranei all’oggetto della discussione
– deve essere interpretata in modo particolarmente rigoroso, che
tenga conto anche della indispensabile preservazione dei caratteri
di necessità e di urgenza già verificati con la procedura prevista
dall’art. 78 del Regolamento, con riferimento sia al decreto-legge
che al disegno di legge di conversione»110.
Al Presidente della Camera, invero, il Capo dello Stato
sembra ricordare quel perspicuo compito di vigilanza che gli
consentirebbe di dichiarare «inammissibili gli emendamenti e gli
articoli aggiuntivi che non siano strettamente attinenti alla materia del decreto-legge»111. E sul punto la lettera del Regolamento si presenta alquanto chiara e vincolante, dato che il medesimo si esprime utilizzando il termine «dichiara», mentre se
avesse voluto attribuire una mera facoltà e non un onere avrebbe
110
Così il parere della Giunta per il Regolamento dell’8 novembre 1984.
Si v. anche il successivo parere, espresso in data 16 novembre 1988, nel quale la
Giunta afferma che «Una volta esaurita la fase preliminare di controllo dei requisiti
prescritti dalla Costituzione e dalla legislazione vigente per l’emanazione dei decretilegge, nella discussione dei disegni di legge di conversione è comunque proponibile la
questione pregiudiziale – ai sensi del 93 del Regolamento – anche con riferimento ad
ogni possibile profilo di costituzionalità, ivi compreso quello relativo al difetto dei presupposti di costituzionali di necessità ed urgenza».
111
Si v. quanto disciplinato dall’art. 96-bis e dal comma 7 di quest’ultimo,
che prosegue, prevedendo la possibilità per il Presidente della Camera di consultare
l’Assemblea e, nel caso decida di farlo, «questa decide senza discussione per alzata di
mano». Altresì Si v. la Corte costituzionale che, attraverso la sentenza n. 391 del 1995,
prende posizione sui punto, esprimendosi: «… A questo si aggiunga che la disciplina
relativa all’indennità di esproprio, contenuta nella norma impugnata – che ha superato il controllo di ammissibilità di cui all’art. 96-bis, comma 8 (7 in verità!), del Regolamento della Camera – non si presenta dissonante con il quadro delle misure dettate
… dal d.l. n. 333».
220
ANDREA DE MARCO
utilizzato una locuzione diversa quale «può dichiarare»112.
Di analogo tenore le disposizioni relative alla sfera di competenze attribuite al governo, Presidente del Consiglio e ministri. Difatti il Presidente della Repubblica non manca di ricordare al governo, e al Presidente del Consiglio in primis, che una
più rigorosa lettura della legge n. 400 del 1988, esigerebbe tanto
un’osservanza più stretta di quanto ivi sancito, quanto una più
attenta vigilanza sul percorso parlamentare del disegno di legge
di conversione.
Questo perché il governo è anche l’unico soggetto, nel procedimento legislativo, in grado di far prevalere – grazie all’ampio strumentario offertogli dai regolamenti parlamentari e dalla
disciplina specifica sull’attività di Governo113 – la sua volontà.
Così, nel peculiare procedimento legislativo indicato dall’art. 77 della Costituzione è possibile distinguere due attori
principali a cui sono attribuiti dei ruoli specifici. Il primo dei
quali è svolto dal governo. Cui compete predisporre un testo rispettoso dei vincoli imposti dalla Costituzione (in ordine alla
straordinaria necessità ed urgenza). Alle Camere, invece, spetta
convertire in seconda battuta – con un apposito disegno di
legge – le disposizioni così introdotte.
È quindi possibile individuare delle sfere di competenza
____
112
Così come è possibile rinvenire in numerose disposizioni del Regolamento della Camera delle locuzioni attributive di potestà e delle altre meramente facoltizzanti. Come avviene, a titolo esemplificativo, nel caso dell’art. 23, ove, al comma
3, è possibile leggere «Il Presidente della Camera convoca la Conferenza dei presidenti di Gruppo …» e al capoverso successivo, «Il Presidente della Camera può convocare …».
113
Si cfr. la disciplina prevista nella legge n. 400 del 1988 e il Regolamento
interno del Consiglio dei ministri. Nei quali emerge la figura e il ruolo del Presidente
del Consiglio e i poteri di questi nell’indirizzo politico programmatico del Governo.
Si v. altresì la circolare 2 maggio 2001, n. 1/1.1.26/10888/9.92, più conosciuta per essere la Guida alla redazione dei testi normativi. Alla pagina 51, del capitolo 5, paragrafo 5.1, è possibile leggere le regole per i decreti-legge e i disegni di legge di conversione e, tra queste, che «i decreti devono contenere misure di immediata applicazione e il loro contenuto deve essere specifico, omogeneo e corrispondente al titolo».
221
IL FILANGIERI 2-3-4/2005
che seppur distinte nel modo, nel tempo e nei contenuti, concorrono insieme a costituire l’unicum della legge di conversione.
Questa interpretazione, che il Capo dello Stato pare riprendere, ripercorre una tesi non recente, autorevole ma minoritaria
in dottrina114, che individua nel binomio decreto-legge –
legge di conversione, le parti di un unico procedimento complesso. A questa tesi, nonostante essa abbia una sua coerenza logica ed un più conforme utilizzo delle regole di tecnica legislativa, è possibile opporre ancor oggi115 i rilievi allora espressi116.
4.2.1. Spunti problematici in merito al rapporto decreto-legge –
legge di conversione.
All’ipotesi poco sopra indicata è possibile contrapporre,
quale prima osservazione, che la legge di conversione non si limita a determinare un mero consolidamento del passato, potendo disporre «per l’avvenire»117; in quanto il Parlamento
mediante l’utilizzo del potere di emendamento – «che rimane
insito nella natura sostanziale e non meramente formale»118
della legge di conversione – può introdurre elementi nuovi ed
ulteriori. E tale potestà parlamentare, pur auto-regolamentata
114
Si rimanda a quanto affermato da DI CIOLO, Questioni in tema di decreti-legge, Milano, 1970, ove l’Autore sostiene che a causa della particolare continuità,
cronologica e giuridica, che contraddistingue detto istituto, esso sia individuabile entro un unico procedimento. Contra, si cfr. MODUGNO e NOCILLA, Riflessioni sugli emendamenti al decreto legge, in Dir. soc., 1973; PALADIN, Commento all’art. 77 Costituzione,
nel Commentario della Costituzione, Bologna-Roma, 1979; LIPPOLIS, Presidenza della
Repubblica e controllo in sede di emanazione dei decreti legge, in Quad. Costituzione,
1989; PITRUZZELLA, La legge di conversione del decreto legge, Padova, 1989, 235.
115
Anche se preme ricordare che tra le numerose limitazioni alla cosiddetto «sovranità» della legge, intervenute con il processo d’integrazione comunitaria,
assai rilevanti sono quelle inerenti il potere di spesa e il conseguente potere d’indirizzo. Si rinvia a quanto affermato in merito da, MUSUMECI, La legge di bilancio, Torino, 2000.
116
Si v. RAVERAIRA, Il problema del sindacato sui presupposti di “necessità ed
urgenza” dei decreti-legge, in Giur. Costituzione, 1982, I, 1465 e ss.
117
Così PALADIN, in Le fonti del..., op. cit., 255 e ss.
118
Ibid., nota prec.
222
ANDREA DE MARCO
dalle disposizioni sopra richiamate119, è anche il presupposto
giuridico in base al quale il Parlamento, in fase d’emendamento,
può introdurre le più eterogenee novazioni legislative120.
Una seconda obiezione emerge dalla sentenza n. 391 del
1995 con la quale la Corte costituzionale evidenzia che: «La valutazione preliminare dei presupposti della necessità e dell’urgenza
investe, infatt4 secondo il disposto costituzionale, soltanto la fase
della decretazione di urgenza esercitata dal Governo, né può estendersi alle norme che le Camere, in sede di conversione del decreto-legge, possano avere introdotto come disciplina «aggiunta” a
quella dello stesso decreto: disciplina imputabile esclusivamente al
Parlamento e che – a differenza di quella espressa con la decretazione d’urgenza del Governo – non dispone di una forza provvisoria, ma viene ad assumere la propria efficacia solo al momento
dell’entrata in vigore della legge di conversione (v. art. 15, comma
119
V. gli artt. 97 e 78 del Regolamento del Senato e gli artt. 16-bis e 96-bis
del Regolamento della Camera.
120
Giova ricordare anche che è sulla base di tale presupposto giuridico
che la dottrina prevalente ha superato l’obiezione espressa dal Mortati, circa l’impossibilità per il Capo dello Stato di esercitare il potere di rinvio, ex art. 74 Costituzione,
su di una legge di conversione. Tale Autore fondava i suoi rilievi sulla peculiare tipicità che caratterizza il decreto-legge, ove alla perentorietà del termine costituzionale
fa riscontro l’esigenza, «su ogni altra prioritaria», di reintegrare l’ordine normale
delle competenze (tosto che l’esercizio della funzione legislativa appartiene alle Camere e non al Governo). Ma se tale rilievo appare coerente con il principio del ne bis
in idem, ovvero, appare assai improbabile che il Presidente della Repubblica decida
di rinviare le disposizioni contenute nella legge di conversione, avanzando un vizio di
natura costituzionale, su quelle stesse disposizioni in precedenza vagliate – e ammesse – in sede di emanazione del decreto-legge. Così non può però dirsi per gli
eventuali emendamenti aggiuntivi inseriti dalle Camere nel testo della legge di conversione. Ben potendo questi ultimi andare incontro ai rilievi di legittimità e di merito
costituzionale espressi, con l’esercizio del potere di rinvio, dal Capo dello Stato. Si v.
ESPOSITO, Decreto-legge (Voce), in Enciclopedia del diritto, vol XI. Milano, 1962; LAVAGNA, Istituzioni di diritto pubblico, Torino, 1982; DI CIOLO, in op. cit., Milano, 1970;
PALADIN, Decreto-legge, in Novissimo digesto, Torino, 1957; IBID., Art. 77, in Commentario della Costituzione, a cura di Branca G., vol. Il, Bologna-Roma, 1979; IBID., Le
fonti del diritto italiano, Bologna, 1996; GROTTANELLI DE’ SANTI, cit.. MORTATI, Istituzioni, cit., 751 e ss. Si Cfr. anche A. SANDULLI, Legge, in Nov. Dig.; G.F. CIAURRO, Le
istituzioni parlamentari, Roma, 1982; MALESARDI, Il rinvio delle leggi alle Camere da
parte del Presidente della Repubblica: problemi costituzionali e regolamentari, in Il Parlamento della Repubblica - Organi procedure e apparati, Roma, 1987.
223
IL FILANGIERI 2-3-4/2005
5, della legge 23 agosto 1988, n. 400)». La Corte prosegue, ponendo in luce che seppur «un vincolo di omogeneità rispetto ai
contenuti del decreto-legge è stato introdotto con l’art. 15, comma
3, della legge n. 400 del 1988, dove, a integrazione dell’art. 77
della Costituzione, si stabilisce che i decreti-legge “devono contenere misure di immediata applicazione ed il loro contenuto deve
essere specifico, omogeneo e corrispondente al titolo”. Tale previsione – indubbiamente giustificata, ma sprovvista della forza costituzionale – risulta riferita al contenuto del decreto-legge né
può essere, di conseguenza, estesa al caso in esame, dove viene in
gioco il contenuto di una norma introdotta, per la prima volta, in
sede di legge di conversione».
Da quanto fin qui esposto segue l’assunto secondo cui ogni
ipotesi diversa, che prevede dei limiti nuovi e (o) ulteriori da
quelli di autoregolamentazione più sopra ricordati, richiede un
conforto di grado costituzionale. L’unico che potrebbe introdurre nella nostra Costituzione, tanto l’ipotesi dileggi rinforzate
per settori (ossia dileggi dotate di forza intermedia tra la Costituzione e le leggi ordinarie) – sulla scorta delle leggi organiche
– quanto una novella che, ridefinendo l’art. 77 della Costituzione, sia in grado di introdurre un comune carattere di omogeneità tra il decreto-legge e la legge di conversione121. In tale
modo si fornirebbe alla Corte Costituzionale un agile strumento
– duttile e sicuro – che le consentirebbe di ricondurre entro
argini costituzionali certi, casi altrimenti controversi.
Una diversa lettura delle fonti normative, seppur considerata da più parti auspicabile, al momento non appare dotata di
elementi giuridici tali da poter opporre una efficace resistenza
alla corrente interpretazione.
Unica alternativa, alle ipotesi di riforma sopra citate, potrebbe consistere nell’introdurre una convenzione costituzionale
che interpreti univocamente in modo rigoroso il combinato di___
121
Si ricorda su questo punto i lavori della Commissione bicamerale
D’Alema. Nel cui progetto veniva stabilito che i decreti-legge devono recare misure
«di carattere specifico, di contenuto omogeneo e di immediata applicazione».
224
ANDREA DE MARCO
sposto emergente dalla lettura di quanto contenuto nella Costituzione, nei regolamenti parlamentari e nella legge sulla disciplina del governo, dando inizio – in tal modo – a quella comune lettura dotata, questa sì, di utili e più saldi elementi giuridici122.
4.3. Il rinvio sulle disposizioni in materia di incompatibilità dei
consiglieri regionali.
Otto mesi più tardi, il 5 novembre 2002, il Capo dello Stato
rinvia alle Camere la legge sulle incompatibilità dei consiglieri
regionali. Nel messaggio di rinvio si rileva il contrasto della normativa appena licenziata dalle Camere con l’art. 122, primo
comma, della Costituzione. A norma del quale – secondo l’opinione della Presidenza della Repubblica – la materia delle incompatibilità dei consiglieri regionali123, assieme alle norme
sul sistema di elezione degli amministratori regionali è riservata
alle singole leggi regionali, con i soli limiti derivanti dal rispetto
dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica.
In particolare, il testo rinviato – composto di soli due articoli – stabiliva l’applicazione ai consiglieri regionali delle incompatibilità già previste per i consiglieri comunali e provincia122
In riferimento alla giuridicità che la dottrina anglosassone riconosce alle
convenzioni della costituzione, conventions o usages of costitution, distinguendole dalle
consuetudini, perché a differenza di queste, «sono accompagnate dalla sottesa clausola rebus sic stantibus, e pertanto l’applicabilità viene meno quando le circostanze che
di fatto di un dato momento non corrispondono più a quelle in vista delle quali erano
state adottate». In tal senso MORTATI, cit., 321. Cfr. con G.U. RESCIGNO, Le convenzioni costituzionali, Padova, 1972, che aderisce alla tesi negatrice del carattere giuridico delle convenzioni, poiché l’osservanza di tali regole resta sottratta al sindacato di
un istanza imparziale, restando affidata ai rapporti di forza fra i soggetti che intendono costituirle. Il Mortati ribadisce però che «se così fosse, verrebbe meno anche il
carattere che ad esse si dà, di regole dotate di un minimo di stabilità al di là delle
contingenze del momento … L’ordinamento minore in tal modo formato assume poi
rilevanza per quello generale dello stato poiché influenza il concreto modo di essere
dei rapporti regolati dalla Costituzione. … La verità è che le convenzioni sorgono in
vista del conseguimento dei fini comuni a coloro che concorrono a formarle».
123
Del Presidente della regione e dei membri della Giunta regionale.
225
IL FILANGIERI 2-3-4/2005
li124. Ma mentre per tali casi, fa notare il Capo dello Stato, la
legislazione statale rientra «pienamente nella competenza esclusiva statale»125, così come previsto nell’art. 117, comma 2,
lett. p), della Costituzione, la disciplina inerente l’estensione di
dette incompatibilità anche ai Consiglieri regionali, «si pone in
palese contrasto» con il primo comma dell’art. 122, della Costituzione126.
Nonostante sia possibile assimilare il contenuto del primo
comma dell’art. 122 a quanto indicato al terzo comma dell’art.
117127, il Capo dello Stato non entra nel sottile distinguo
delle due disposizioni. Il terzo comma dell’art. 117 dispone che
«nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la
potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi
fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato». Mentre
l’art. 122 si apre prevedendo che «Il sistema d’elezione e i casi
di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri
componenti della Giunta regionale nonché dei consiglieri regionali sono disciplinati con legge della Regione nei limiti stabiliti
con legge della Repubblica ...». Al di là delle locuzioni letterali
il diverso ambito emerge proprio dal combinato disposto con
l’art. 117, primo comma, lett. p). Difatti se ad una lettura astratta
dal contesto le due disposizioni sembrano voler statuire il medesimo comando, combinando la previsione contenuta nell’art.
117, primo comma, ove si dispone che la «legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane» è di esclusiva competenza statale,
124
Incompatibilità già definite dal Testo Unico sugli Enti locali, d.lgs. 267
del 2000, artt. 55-70. Sul punto si vedano le indicazioni espresse da T. BARBIERI, Legislazione statale e legislazione regionale in un recente rinvio presidenziale, in Quad.
Cost., 1/2003, 155-156.
125
Camera dei Deputati, doc. I n. 3, messaggio alle Camere del Presidente
della Repubblica a norma dell’art. 74 Costituzione.
126
«Il sistema di elezione e i casi di incompatibilità del Presidente e degli
altri componenti della Giunta regionale nonché dei consiglieri regionali sono disciplinati con legge della Regione nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge
della Repubblica, che stabilisce anche la durata degli organi elettivi»
127
Sul punto, T. BARBIERI, Legislazione..., op. cit., 156.
226
ANDREA DE MARCO
con quanto indicato nell’art. 122, emerge il diverso ruolo che la
riforma del Titolo V ha inteso attribuire alle Regioni. Pertanto,
appare una logica conseguenza che queste ultime, grazie proprio
all’art. 122, possano disporre di più ampi margini rispetto agli
altri Enti locali128, essendo tale articolo un chiaro fondamento della loro autonomia129.
Inoltre il Presidente Ciampi, richiamando ancora una volta
il legislatore alle «ragioni di logica della legislazione», ricorda
in primo luogo che è in itinere alle Camere un disegno di legge
volto a disciplinare proprio l’art. 122, ossia volto a definire quei
principi fondamentali cui i legislatori regionali dovranno poi attenersi130.
In aggiunta a ciò, il Capo dello Stato rammenta che una
sentenza della Corte costituzionale in precedenza ha affermato
che «nella fase della transizione dal vecchio al nuovo sistema di
riparto delle competenze (in assenza dileggi statali di principio),
la legislazione regionale concorrente dovrà svolgersi nel rispetto
dei principi fondamentali comunque risultanti dalla legislazione
statale già in vigore»131.
Il richiamo del Capo dello Stato pone un preciso monito al
legislatore, ricordandogli che l’utilizzo della cosiddetta clausola
di «cedevolezza»132 non «può comunque giustificare l’invasione, da parte dello Stato, di una competenza costituzionalmente riservata alla legge regionale». Allo stesso modo pone in
luce che la riforma del Titolo V ha comportato una ridistribuzione delle competenze tale per cui «l’omissione o il ritardo
128
Si Cfr. con quanto disposto dall’art. 114 della Costituzione.
Si pensi a quanto analogamente è previsto dall’art. 65 della Costituzione per i Deputati o Senatori della Repubblica.
130
Sul punto v. la legge n. 165 del 2 luglio 2004.
131
Così la sentenza n. 282 del 2002. Si Cfr. con la sentenza 39 del 1971 e
con quanto disciplinato dall’art. 17 della legge n. 281 del 1970. Per una disamina più
approfondita su tale sentenza, si rinvia a CAVASINO, i «vincoli» alla potestà legislativa
regionale in materia di «tutela della salute» tra libertà della scienza e disciplina costituzionale dei trattamenti sanitari, in Giur. Cost., 2002, fasc. 5, 3282-3297.
132
Ossia l’introduzione nella normativa statale di una formula che ne vincoli l’efficacia fino a che una successiva disciplina, in questo caso regionale, novi sulla
materia.
129
227
IL FILANGIERI 2-3-4/2005
nella determinazione» dei principi fondamentali, «non costituisce titolo valido per sostituire la legge statale alla legge regionale
in una materia riservata alla competenza legislativa della Regione». «Infatti, è sempre e soltanto la Regione che, anche in
assenza delle leggi statali di principio, ha il potere di legiferare,
“con l’obbligo di attenersi al rispetto dei principi fondamentali
comunque risultanti dalla legislazione statale già in vigore”»133.
Prima di giungere al penultimo dei rinvii presi in esame, il
rinvio della legge in materia di assetto del sistema radiotelevisivo, occorre far breve cenno alle motivazioni che hanno accompagnato il rinvio sulla legge di semplificazione per il 2001 del 10
aprile 2003 dal Capo dello Stato.
4.4. Il rinvio sulla legge di semplificazione per il 2001.
Le motivazioni assunte dal Presidente Ciampi in tale occasione hanno a riferimento la mancanza di copertura finanziaria
dell’art. 14, comma 1 e comma 3. Ma degni di nota sono i rilievi
posti dal Capo dello Stato sulle modalità con cui tali disposizioni
sono state introdotte nel passaggio parlamentare della legge, nonostante che i medesimi rilievi fossero stati oggetto di uno specifico parere negativo, tanto alla Camera quanto al Senato dalle
competenti Commissioni bilancio134. Poiché comportano degli oneri aggiuntivi rispetto «a quelli correlati all’applicazione
133
Per quanto concerne la condizione politica entro cui è maturato il rinvio, occorre rilevare che l’approvazione parlamentare è avvenuta tra polemiche particolarmente accese. Poiché il testo, presentato dall’on. Antonio Russo, era considerato
come una norma ad hoc, disegnata per consentire a un consigliere regionale campano
di subentrare ad altro consigliere delle file avverse. Il Senatore Massimo Villone, poneva in luce che compariva tra i firmatari della proposta il legale del consigliere dichiarato decaduto per sopravvenuta condanna giudiziale. La norma, quindi, sarebbe
servita al suo assistito per eliminare lo stato di incompatibilità sancito dalla condanna.
134
In tale occasione, oltre al parere difforme delle competenti commissioni
parlamentari, si associa il parere del governo che sulla base di «precise valutazioni
fatte dalla Ragioneria generale dello Stato» esprime parere negativo. Tale condizione
rende detto rinvio parzialmente simile a quello che più sopra abbiamo definito a partecipazione governativa (anche se in tale occasione non disponiamo di alcuna conferma circa la posizione espressa dal governo al Capo dello Stato sul’esercizio del potere di rinvio).
228
ANDREA DE MARCO
della legislazione vigente» dovendosi provvedere pertanto «alla
quantificazione degli oneri stessi ed alla loro copertura finanziaria». Il Presidente della Repubblica non considera sufficiente
il fatto che, perlomeno al Senato, si sia seguito il procedimento
aggravato previsto dal Regolamento parlamentare; ove dispone
che il parere contrario espresso dalla Commissione bilancio sia
superabile solamente se vi è la richiesta da parte di quindici Senatori di mettere in votazione l’emendamento colpito dal parere
negativo e che questa sia effettuata con votazione nominale mediante scrutinio simultaneo135.
La ratio ditale disposto è quella di dare la massima pubblicità possibile alle disposizioni in approvando, ponendo l’Assemblea nella consapevolezza che l’approvazione del disposto
contrasta con quanto previsto dall’art. 81 della Costituzione ed
assumendone in tal modo la responsabilità. Ed è proprio per tal
via che il Capo dello Stato pone in luce, con il proprio rinvio,
come la violazione dell’art. 81 non gli consenta di promulgare la
legge, obbligandolo a rinviarla alle Camere affinché vi sia una
nuova conforme deliberazione136.
4.5. Il rinvio della legge in materia di assetto del sistema radiotelevisivo.
Il rinvio effettuato dal Presidente Ciampi il 15 dicembre
2003 interviene sulla legge che detta norme di principio in materia di assetto radiotelevisivo137.
135
Su tale punto, si v. MANZELLA, ult. op cit., 325, che la definisce storica,
poiché per la prima volta viene introdotto un «aggravamento procedurale nei confronti della stessa Assemblea sovrana e non più solo nei confronti delle Commissioni
in sede deliberante».
136
Che giunge in data 29 luglio 2003, con l’accoglimento in toto delle motivazioni espresse nel messaggio di rinvio, le Camere approvano la legge di semplificazione 2001. Di converso le Camere avrebbero potuto valersi della possibilità di
riapprovare il testo così come era stato deliberato in prima battuta.
137
Su tale rinvio si v. PACE, Legge Gasparri e Corte costituzionale, Relazione
introduttiva all’incontro di studi su «Il sistema radiotelevisivo italiano e la legalità europea», Napoli, 2004 e alla bibliografia ivi citata.
229
IL FILANGIERI 2-3-4/2005
La materia presenta spunti assai delicati. Principalmente
per due ordini di motivi: il primo è che l’argomento del pluralismo nell’informazione è un tema particolarmente sentito dall’attuale inquilino del Quirinale138; il secondo è rappresentato
dalla nota e peculiare condizione rivestita dal Presidente del
Consiglio139.
Senza voler entrare nel merito delle questioni politiche che
inevitabilmente ammantano oggi tale tema, degni di nota sono i
risvolti giuridici presenti nei rilievi espressi dal Capo dello Stato
nel messaggio di rinvio.
Il Presidente, nel suo messaggio di rinvio del 15 dicembre
2003, prende le mosse richiamando la peculiare stratificazione
giuridica che sul tema disciplinato dalla normativa al suo esame
è via via intervenuta. In particolare ricorda la sentenza della
Corte Costituzionale, la n. 466 del 2002, che «dichiarava la illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 7, della legge» istitutiva dell’Autorità per le garanzie delle comunicazioni e delle
norme sui sistemi delle telecomunicazioni. La Corte, prosegue il
Capo dello Stato, interveniva sul punto dichiarando l’incostituzionalità dell’articolo «nella parte in cui non prevede la fissazione di un termine finale certo, e non prorogabile, che comunque» non oltrepassi il 31 dicembre 2003. Termine entro cui i
programmi irradiati dalle concessionarie «devono essere trasmessi esclusivamente via satellite o via cavo». Termine, ricorda
il Capo dello Stato, stabilito anche dall’Autorità con propria deliberazione140 già dal 7 agosto del 2001.
Inoltre, la Corte costituzionale, sempre nella stessa sentenza pone in luce che la condizione allora esistente «non garantisce l’attuazione del principio del pluralismo informativo
esterno, che rappresenta uno degli imperativi ineludibii emergenti dalla giurisprudenza costituzionale in materia».
138
Si v. il messaggio inviato alle Camere il 23 luglio 2002, in Camera dei
Deputati, Doc. I, n. 2.
139
Che allo stesso tempo è il fondatore e il maggior azionista della più rilevante impresa commerciale privata d’informazione e d’intrattenimento televisivo.
140
La n. 346 del 7 agosto 2001.
230
ANDREA DE MARCO
Il Presidente della Repubblica dopo aver posto in luce le
risposte date dalla legge, per mezzo dell’art. 25, ne ricava un’incompatibilità con la sentenza della Corte costituzionale. In sostanza, ne deduce la contrarietà con la Costituzione richiamando
il contrasto tra la disciplina legislativa ed i principi espressi nelle
citate sentenze dalla Corte costituzionale. Tale distonia emerge
chiaramente quando il Capo dello Stato nell’esercizio del suo
potere confronta il testo normativo con i principi di «logica ordinamentale» derivanti dai molteplici interventi compiuti su tale
materia dalla Corte costituzionale e posti anche alla base del suo
messaggio alle Camere del 23 luglio 2002.
Il primo dei punti, infatti, evidenzia come la scelta compiuta dal legislatore proroghi de facto il termine finale indicato
dalla Corte141. Tenuto conto che nella richiamata sentenza –
al paragrafo 11, penultimo capoverso, delle considerazioni in diritto – la Corte individuava in tale data un termine congruo entro il quale il legislatore avrebbe avuto la possibilità di determinare «la definitiva cessazione del regime transitorio». Pertanto,
soggiunge il Capo dello Stato, «il 1° gennaio 2004 non può essere considerato il dies a quo», occorre anche che sia espressamente indicato «il dies ad quem» ditale fase attuativa. In tal
modo è vanificato il termine indicato dalla Corte costituzionale
e dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni per passare
definitivamente da un regime «transitorio» ad uno definitivo142. La normativa, inoltre, non prevedeva alcun meccanismo sanzionatorio nel caso in cui, alla verifica compiuta sull’effettivo ampliamento delle offerte disponibili e del pluralismo nel
141
Su tale rinvio e sulla tematica relativa alla legge Gasparri e alla tutela
del pluralismo nell’informazione si confrontino le posizioni espresse al seguente indirizzo internet http://www.forumcostituzionale.it/contributi/televisione.htm da E. COLARULLO; R. BORRELLO; M.C. GRISOLIA, Alcune osservazioni sul recente rinvio del Capo
dello Stato della «legge Gasparri»; A. CHIMENTI, Il rinvio della legge «Gasparri»: un
nuovo testo gravato da un vecchio vizio; F. BIONDI, Legge Gasparri e rinvio presidenziale:
un messaggio «sibillino» e un legislatore «furbo»; P. De Sena, Convenzione europea
dei diritti dell’uomo e legge Gasparri: alcune riflessioni su pluralismo e televisione
digitale.
142
Sul punto si v. ampiamente, PACE, Legge Gasparri..., op. cit., 15 e ss.
231
IL FILANGIERI 2-3-4/2005
settore televisivo, l’Autorità avesse riscontrato un risultato non
conforme a quanto indicato dal testo legislativo.
Il secondo punto su cui si sofferma il Capo dello Stato è la
mancanza di un apprezzabile sistema di anticoncentrazione che
tuteli il mercato dalla formazione di posizioni dominanti. Difatti
«il sistema integrato di comunicazioni (SIC) – assunto dalla
legge ... come base di riferimento per il calcolo dei ricavi dei
singoli operatori di comunicazione – potrebbe consentire, a chi
ne detenga il 20%, di disporre di strumenti di comunicazione»
tali da condurre a posizioni dominanti.
Il terzo rilievo invece ha per oggetto il rischio che il sistema
di raccolta pubblicitaria previsto dalla legge vada a intaccare una
«tradizionale fonte di finanziamento » della stampa recando in
tal modo un «grave pregiudizio» alle garanzie che la Costituzione prevede per essa.
Il quarto punto posto da Ciampi è fondato sulla peculiare
sensibilità che lo contraddistingue su tematiche di corretta redazione legislativa. Difatti il Presidente della Repubblica ricorda al
legislatore la necessità di «espungere» dal testo l’art. 14 e tutti
riferimenti circa l’applicabilità del d.lgs. n. 198 del 2002. Dato
che la Corte costituzionale con la sentenza n. 303 del 2003 ne
aveva dichiarato nel frattempo l’incostituzionalità.
Le motivazioni espresse nel rinvio in oggetto lo rendono
lievemente diverso dagli altri, proprio per il fatto che a differenza di quanto è accaduto nei rinvii precedenti, nei quali il
Capo dello Stato richiamava il legislatore o il governo ad un uso
conforme degli strumenti legislativi, o ravvisava un palese contrasto tra la disciplina legislativa e la Costituzione, o ancora indicava i principi ordinamentali eventualmente lesi; in tale casus
il Capo dello Stato si pone – se possibile ancor di più – al di
sopra delle parti, giustapponendo da un lato la Corte costituzionale e il giudicato costituzionale delle sue sentenze e dall’altro il
Parlamento143.
143
Fatta eccezione, ovviamente, per l’ultima delle osservazioni indicate
inerente a necessità di «espungere» dal testo l’art. 14 e tutti riferimenti circa l’applicabilità del decreto legislativo n. 198 del 2002.
232
ANDREA DE MARCO
I rilievi compiuti dal Presidente della Repubblica pur non
richiamando espressamente i principi «ordinamentali» lesi
dalla normativa al suo esame, pongono in giusta evidenza la seria problematica inerente il giudicato costituzionale che contraddistingue tale argomento essendosi sul punto stratificate diverse
sentenze144. Senza voler entrare nel merito di una cospicua
casistica, peraltro per certi aspetti anche contraddittoria145 è
però indubitabile che nell’ipotesi di disposizione di legge che riproduca retroattivamente un’altra già in precedenza dichiarata
incostituzionale possa anch’essa, alla luce del medesimo parametro costituzionale, ricadere nel medesimo vizio. Pertanto, visto
che prorogare nel tempo una disciplina transitoria già dichiarata
incostituzionale «non è cosa diversa dal ripristinare una certa
situazione normativa già dichiarata illegittima alla stregua del
144
In primis con la sentenza 466 del 20 novembre 2002, ma anche con la
231 del 1985, per quanto attiene alla raccolta pubblicitaria, alla 826 del 1988 e 420
del 1994, per quanto concerne il pluralismo nell’informazione e il rischio di posizioni
dominanti. Altresì soggiunge come proprio tali sentenze abbiano costituito la cornice
giuridica entro cui collocare il messaggio alle Camere del 23 luglio 2002. Si cfr. CHELI,
Legge retroattiva di sanatoria e giudicato costituzionale, in Giur. Cost., 1963, 608 e ss.;
PIZZORUSSO, Effetto di giudicato ed effetto di precedente delle sentenze della Corte costituzionale, in Giur. Cost., 1966, 1990 e ss.; CRISAFULLI, “Riproduzione” o “conferma” di
norme dichiarate incostituzionali, in Giur. Cost., 1966, 1108 e ss.; CALVANO, Brevi note
in tema di giudicato costituzionale in occasione del d.l. 28 agosto 1996, n. 444, contenente disposizioni urgenti per l’esercizio dell’attività radiotelevisiva, in Giur. Cost.,
1996, 2843 e ss.; DAL CANTO, Il giudicato costituzionale nel giudizio sulle leggi, Torino,
2002, 291 e ss.
145
Si cfr. le sentenze n. 223 del 1983 e la n. 88 del 1966, che rammentavano al legislatore l’impossibilità di poter ripristinare una disposizione o una norma
dichiarata incostituzionale, non solo per il passato, ma nemmeno per il futuro «qualora, nell’ambito della stessa vicenda politico-legislativa, la nuova legge si presentasse
fornita di un significato antagonistico rispetto alla pronuncia di incostituzionalità» e
la sent. 466 del 2002, in cui la Corte nel bilancio degli interessi costituzionalmente
protetti non ha ritenuto giuridicamente tutelabili i diritti dei terzi. In dottrina si v.,
CRISAFULLI, La Corte costituzionale tra magistratura e Parlamento, in Scritti giuridici in
memoria di P. Calamandrei, vol. IV, Padova, 1958, 284; ZAGREBELSKI, La giustizia costituzionale, Bologna, 1988, 329; e PACE, sia, Legge Gasparri …, op. cit., 21 e ss., sia, Effetti temporali delle decisioni di accoglimento e tutela costituzionale del diritto di agire
nei rapporti pendenti, in AA.VV., Seminario di studi presso la Corte costituzionale,
Roma, 23 e 24 novembre 1988, Milano, 1989, 62.
233
IL FILANGIERI 2-3-4/2005
medesimo parametro»146, il Capo dello Stato ha giustamente
richiamato il legislatore a riflettere su tale aspetto.
Tale notazione rileva solo al fine di evidenziare come, nonostante l’alta politicità della normativa al suo esame147, il
Capo dello Stato sia riuscito a non prestarsi a considerazioni di
«parte», mantenendo e rafforzando il potere di rinvio nella logica costituzionale derivante da un uso dello stesso entro i confini propri di un potere «neutro»148.
4.6. Il rinvio sulla legge di riforma dell’ordinamento giudiziario.
L’ultimo dei rinvii oggetto di queste note è quello compiuto
dal Capo dello Stato sulla legge di riforma dell’ordinamento giudiziario.
Il 16 dicembre 2004 il Presidente della Repubblica ha rinviato al Parlamento il provvedimento di «Delega al Governo
per la riforma dell’ordinamento giudiziario». Nel messaggio il
Capo dello Stato ha ravvisato quattro «motivi di palese incostituzionalità», richiedendo ex art. 74 della Carta costituzionale
che l’atto sia sottoposto ad «una nuova deliberazione» da parte
delle Camere.
Il primo dei rilievi ha per oggetto l’art. 2, comma 31, lett.
a), teso a sostituire integralmente il testo dell’art, 86 dell’ordinamento149. Secondo il Capo il Stato, la frase che attribuisce al
Ministro la competenza ad esprimersi nelle comunicazioni alle
Camere «sulle linee di politica giudiziaria per l’anno in corso»,
«si pone in evidente contrasto con le seguenti disposizioni costi146
Così, PACE, Legge Gasparri…, op. cit., 21 e ss.
Si pensi alle cronache giornalistiche di quei giorni, in cui il Capo dello
Stato era «tirato per la giacca», tanto dalle forze di maggioranza quanto dalle opposizioni sia parlamentari che extraparlamentari (v. girotondini).
148
Tipico di una figura di garanzia che il Presidente Ciampi, fin dal suo
insediamento, ha inteso quale tratto caratteristico e prevalente della figura del Capo
dello Stato nell’ordinamento costituzionale italiano.
149
Il vecchio testo prevedeva – sotto la rubrica «Relazione dei procuratori generali della Repubblica al Ministro di grazia e giustizia» – che «Il procuratore
generale della Repubblica presso la corte suprema di cassazione comunica al Ministro,
per ogni anno giudiziario, una relazione generale sull’amministrazione della giustizia».
147
234
ANDREA DE MARCO
tuzionali: con l’art. 101, in base al quale i giudici “sono soggetti
soltanto alla legge”; con l’art. 104, secondo cui la magistratura
«costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”; con l’art. 110, che, nel definire le attribuzioni del Ministro
della giustizia, le limita – «ferme le competenze del Consiglio superiore della magistratura” – alla «organizzazione” e al “funzionamento dei servizi relativi alla giustizia”».
Il Presidente Ciampi rileva le difficoltà ermeneutiche che il
«carattere assolutamente generico della formulazione della
norma» pone, ove permetta la creazione di uno spazio di «discrezionalità politica» incidente sulla giurisdizione. Uno spazio
entro cui il Ministro della giustizia potrebbe vedersi attribuito
un potere di indirizzo che non trova «cittadinanza nel titolo IV
della Costituzione». Altresì rileva che «l’indicazione di obiettivi
primari che l’attività giudiziaria dovrebbe perseguire nel corso
dell’anno» porterebbe anche alla «violazione dell’art. 112 della
Costituzione, in base alla quale “il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale”».
Detta posizione, come già autorevole dottrina ha evidenzia150
to , è certamente una delle letture della disposizione; tale
da poter porre le premesse per la creazione di un potere di indirizzo in capo al Ministro della giustizia. Ma al momento, un
siffatto potere, non sembra giuridicamente sorretto dal disposto
in esame. Quest’ultimo, oltre a non chiarire la portata delle comunicazioni del Ministro «sulle linee di politica giudiziaria per
l’anno in corso », appare ancora più oscuro se riferito alla pretesa vincolatività che tali comunicazioni avrebbero nei confronti
150
SCHLESINGER, Messaggio di Ciampi alle Camere (16 dicembre 2004) sulla
Riforma dell’Ordinamento Giudiziario, in corso di pubblicazione sui Corriere Giuridico ma visibile sul sito internet dell’Associazione nazionale dei magistrati, 2005. Si lo
cfr. anche, D’ALOIA, Il rinvio alle Camere della riforma dell’ordinamento giudiziario:
note a prima lettura, del 20 dicembre 2004; C. CHIMENTI, In margine al rinvio presidenziale del nuovo ordinamento giudiziario, del 11 gennaio 2005; SACCO, La legge sulla riforma dell’ordinamento giudiziario e il «conflitto tra doveri» del Presidente della Repubblica, del 29 marzo 2005; T.E. FROSINI, Tra riformatori timidi e resistenze corporative, un’occasione perduta per cambiare la giustizia, Guida al diritto - Il Sole 24 ore,
n. 28, 2005.
235
IL FILANGIERI 2-3-4/2005
dell’ordine giudiziario. Inoltre, assai delicato appare il richiamo
all’art. 112 della Costituzione, proprio per le note difficoltà attuative che tale disposizione costituzionale incontra nella realtà
giudiziaria151.
Il Presidente Ciampi, quale organo di vertice e di raccordo
tra i poteri dello Stato, con la sua ferma posizione sembra piuttosto voler intervenire ah origine sui possibili conflitti che il disposto legislativo potrebbe produrre tra il potere politico e la
magistratura. Difatti, il testo normativo appare assai infelice proprio per l’inadeguata ed evanescente formulazione tale da far
ipotizzare che, in un momento di grande conflittualità fra la magistratura e il potere politico, la norma possa creare «spazi di
discrezionalità» e divenire per tal via strumento per aumentare
il grado di scontro fra di essi.
Il Capo dello Stato, individuando la potenzialità che un interpretazione siffatta concedeva, al fine di evitare che per mezzo
dell’ultimo inciso – relativo alle «linee di politica giudiziaria
per l’anno in corso» – gli auspici o le riflessioni della comunicazione ministeriale potessero estendersi dando origine alle ipo151
È nota la consapevolezza, tanto in dottrina quanto fra gli operatori giuridici, della difficoltà di garantire un’effettiva applicazione del principio esposto nell’art. 112 della Costituzione. Tale articolo pone in capo al Pubblico Ministero l’obbligo di esercitare l’azione penale. L’obbligatorietà comporta, in teoria, l’esclusione di
qualsiasi «discrezionalità» in ordine all’opportunità di promuovere l’azione penale
(ossia la richiesta che il Pubblico Ministero rivolge al giudice di decidere sulla fondatezza di una notizia di reato e sulla conseguente applicazione della legge penale). In
sostanza, l’atteggiamento dell’ufficio del Pubblico ministero soggiace all’obbligo di
procedere così come il giudice è soggetto soltanto alla legge. Sul punto si cfr., CHIAVARIO, Riflessioni sul principio costituzionale di obbligatorietà dell’azione penale, in
Studi di Mortati, IV, 91 e ss.; ZAGREBELSKI, Indipendenza del Pubblico ministero e accusa
penale, in Problemi e prospettive di riforma, a cura di Conso, 3 e ss.. La giurisprudenza
costituzionale sul punto ha chiarito da un lato come in via di principio l’art. 112 della
Costituzione non costituisce monopolio esclusivo del Pubblico Ministero. Ossia che
«l’ordinamento ben può prevedere azioni penali sussidiarie o concorrenti rispetto a
quella esercitanda dal Pubblico Ministero». Anche se in successivi giudizi riguardanti
l’attribuzione di esercizio di azione penale a Autorità amministrative ha ridotto di
molto la portata effettiva di detta potestà, riconducendo tale attribuzione ad un mero
potere di denunzia. Si v., le sentenze n. 154 del 1963, 61 del 1967, 84 del 1979, 114
del 1982.
236
ANDREA DE MARCO
tesi di conflitto da egli esposte, ha chiesto al Parlamento un’attenta riflessione sul punto.
Ed il Parlamento, in merito a tale primo punto, ha deciso
con l’approvazione della legge 25 luglio 2005, n. 150152 di
soprassedere sul punto. Dando seguito ai rilievi posti da Ciampi
ha abrogato dal testo la disposizione oggetto del rinvio.
Il secondo rilievo prende le mosse dal «criterio direttivo
della delega indicato dall’art. 2, comma 14, lett. c)» che – entro il quadro di decentramento del Ministero della giustizia, che
la normativa introduce – prevede la creazione in ogni direzione
regionale o interregionale di un ufficio per il monitoraggio dell’esito dei provvedimenti in tutte le fasi o gradi del giudizio.
La disposizione è assai poco chiara, non tanto nella parte
in cui prevede la costituzione ditale ufficio, bensì ove ne delinea le finalità. In particolar modo, quando la legge gli attribuisce
il compito di «verificare l’eventuale sussistenza di rilevanti livelli
di infondatezza giudiziariamente accertata della pretesa punitiva
manifestata con l’esercizio dell’azione penale o con mezzi di impugnazione ovvero di annulamento di sentenze per carenze o distorsioni della motivazione, ovvero di altre situazioni inequivocalmente rivelatrici di carenze professionali».
Se il legislatore si fosse limitato ad attribuire dei meri fini
statistici o a circoscrivere l’analisi ai soli «esiti giudiziariamente
accertati»153 – con eventuale comunicazione dei riscontri a
più alta frequenza al Consiglio superiore della magistratura, affinché fosse poi quest’ultimo a prendere i provvedimenti più
opportuni qualora lo ritenesse necessario – difficilmente sarebbe incappato nel «palese contrasto con gli artt. 101, 104 e
110 della Costituzione». Di converso, la disposizione oggetto
152
«Delega al Governo per la riforma dell’ordinamento giudiziario di cui
al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, per il decentramento del Ministero della giustizia, per la modifica della disciplina concernente il Consiglio di presidenza, della
Corte dei conti e il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, nonché per
l’emanazione di un testo unico», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 175 del 29 luglio 2005 - Supplemento Ordinario n. 134.
153
Si v. SCHLESINGER, Messaggio di Ciampi..., op. cit.
237
IL FILANGIERI 2-3-4/2005
dei rilievi del Capo dello Stato difetta di chiarezza. Soprattutto
nella parte in cui, pur essendo principio di delega, non delinea
i criteri in base ai quali i funzionari ministeriali sono chiamati a
valutare le eccezioni di «rilevanti livelli di fondatezza»; o ancora quando debbono verificare la sussistenza o meno nelle
cause di rigetto dell’azione penale di «carenze o distorsioni
della motivazione». Il Capo dello Stato ricorda, a sostegno delle
sue motivazioni, come tali compiti non rientrano nelle competenze del Ministro della giustizia dato che limite costituzionale
di quest’ultimo è l’organizzazione e funzionamento dei servizi
relativi alla giustizia.
Più convincente appare il richiamo all’art. 112 della Costituzione che il Presidente Ciampi compie in questo caso. Quando
identifica come un’indebita ingerenza, in grado di condizionare
i magistrati nell’esercizio delle loro funzioni, le valutazioni compiute con la verifica dei livelli di infondatezza «della pretesa
punitiva manifestata con l’esercizio dell’azione penale».
In sede di riapprovazione del testo, anche in tale occasione,
il Parlamento ha accolto le osservazioni di Ciampi sopprimendo
la lett. c), comma 14 (divenuta 12), dell’art. 2.
Il terzo profilo di incostituzionalità riguarda sempre l’art. 2,
ma il comma 1, lett. m). In questo caso il Presidente della Repubblica si sofferma sui disposto che attribuisce al Ministro
della giustizia la legittimità a ricorrere al giudice amministrativo
in quei casi in cui il Consiglio superiore della magistratura decida di adottare delle delibere, concernenti il conferimento degli
incarichi direttivi, «in contrasto con il concerto o il parere» del
Ministro.
Sul punto il Capo dello Stato rileva una palese incostituzionalità con l’Articolo 134 della Costituzione. Tale posizione,
come lo stesso Capo dello Stato ricorda nel messaggio di rinvio,
è suffragata da una giurisprudenza costituzionale154 che è
concorde nel ritenere che al Ministro della giustizia permanga il
154
Si v. le sentenze della Corte Costituzionale n. 379 del 1992 e n. 380 del
2003
238
ANDREA DE MARCO
dovere di dar seguito alla delibera in tutti quei casi in cui il
«confronto» con il Consiglio superiore della magistratura sia
a avvenuto «a seguito di un esame effettivo ed obiettivo, dialetticamente svolto». Poiché egli non ha «un generale potere di
sindacato intrinseco, né tanto meno di riesame, sul contenuto
degli apprezzamenti e scelte discrezionali operate dal Consiglio
superiore della magistratura rispetto a valutazioni attribuite alla
definitiva deliberazione del Consiglio stesso». In sostanza il
Capo dello Stato ha ricordato come la Corte costituzionale abbia ammesso che il «concerto» con il Ministro della giustizia
possa esser superato – onde evitare situazioni di stallo – da
una decisione del Consiglio superiore della magistratura purché
lo quest’ultimo abbia svolto una leale collaborazione. Mentre, il
disposto normativo in questione, delinea un’ulteriore via amministrativa giudicata da Ciampi «inammissibile». Poiché introdurrebbe una situazione giuridica soggettiva in capo al Ministro del
tutto paritetica a quella di un controinteressato «che si dolga di
esser stato escluso».
Il Parlamento, in sede di riesame, ha parzialmente modificato il disposto normativo. In particolare, la nuova disposizione
mantiene una legittimità a ricorrere al giudice amministrativo del
Ministro della giustizia – «fuori dai casi previsti di ricorso per
conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato in relazione a
quanto previsto dall’art. 11 della predetta legge» – contro le
delibere concernenti il conferimento o la proroga di incarichi
direttivi. Il nuovo disposto, nonostante sia stata soppressa la locuzione relativa alla necessità che la delibera sia adottata in contrasto con il concerto o con il parere espresso dal Ministro, non
appare del tutto scevra da sospetti di dubbia costituzionalità.
Dubbi che molto probabilmente saranno risolti dalla Corte costituzionale non appena il disposto normativo sarà messo alla
prova. Visto che la posizione espressa dalla Corte costituzionale,
nelle sentenze ricordate dal Capo dello Stato155, appare in
155
Si v. soprattutto la sentenza n. 380 del 2003, in cui è riportato in modo
chiaro come la competenza del ministro si ferma dinanzi alla competenza del Consi-
239
IL FILANGIERI 2-3-4/2005
distonia con quanto introdotto dalla legge di riforma. A meno di
non intendere tale possibilità come un’eventualità derivante da
un mero vizio di legittimità.
Il quarto dei profili di incostituzionalità espressi nel messaggio di rinvio è forse, come è stato già osservato156, il più
problematico. Dato che interviene su di un punto ritenuto politicamente essenziale dalla maggioranza parlamentare e considerato dal Capo dello Stato «questione di fondamentale importanza» e di «palese incostituzionalità».
Quivi, il Presidente della Repubblica pone in luce che l’attribuzione alla istituenda Scuola superiore della magistratura e
ad apposite commissioni concorso – entrambe strutture esterne
al Consiglio superiore della magistratura – dell’aggiornamento
professionale e della formazione dei magistrati, è in netto contrasto con quanto affermato in Costituzione dall’art. 105157.
In particolare, la circostanza che una struttura qualificata
dalla legge «ente autonomo» e «stabilmente preposta» ad una
moltitudine di funzioni tra le quali la più rilevante appare certamente essere – oltre all’organizzazione della gestione dei corsi
di aggiornamento professionale e di formazione – la redazione
di una valutazione «che contenga elementi di verifica attitudinale e di proficua partecipazione del magistrato al corso», è apparsa al Quirinale158 come un’evidente compressione dei
compiti spettanti al Consiglio superiore della magistratura delineati dall’art. 105 della Costituzione.
glio superiore della magistratura a compiere scelte discrezionali; contenuto essenziale
delle valutazioni attribuite al Consiglio medesimo.
156
Si cfr. SCHLESINGER, Messaggio di Ciampi..., op. cit.; D’ALOIA, Il rinvio
alle Camere della riforma …, op. cit.; C. CHIMENTI, In margine al rinvio presidenziale …,
op. cit.; SACCO, La legge sulla riforma …, op. cit. e T.E. FROSINI, Tra riformatori timidi
e resistenze corporative, un’occasione …, op. cit., tutte in nota 148.
157
Ove si afferma che «Spettano al Consiglio superiore della magistratura,
secondo le norme dell’ordinamento giudiziario, le assunzioni le assegnazioni ed i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati».
158
Oltre a tale aspetto le disposizioni del testo offrono altri spunti. Tra
questi appare rilevante ricordare anche la mancanza di principi e criteri direttivi utili
a delimitare proprio le modalità di valutazione, dato che il testo nulla dice in proposito, né sul come, né da chi.
240
ANDREA DE MARCO
L’espressione di un favorevole giudizio espresso dalle commissioni concorso o dalla scuola superiore quale condicio sine
qua non perché i candidati possano accedere alle procedure per
l’assegnazione degli incarichi direttivi e semidirettivi, svuota di
fatto la competenza del Consiglio superiore della magistratura in
ordine alla valutazione dei candidati. Non tanto per la previsione di una valutazione in sé, quanto perché il Consiglio superiore della magistratura, più nella istituenda scuola superiore che
nelle commissioni giudicatrici dei concorsi, è chiamato a svolgere un ruolo assai marginale. Basti solo pensare che dei sette
membri che costituiscono il comitato direttivo della scuola159
solo due sono di nomina consiliare. Mentre per quanto attiene
le Commissioni giudicatrici dei concorsi il ruolo del Consiglio
non appare così ridotto. Posto che la nomina dei commissari è
compiuta dal Ministro della giustizia previa delibera del Consiglio superiore della magistratura, la composizione per quanto attiene la commissione giudicatrice dei concorsi nazionali è di 2/3
di magistrati e per 1/3 di professori universitari; mentre la composizione delle commissioni di cui alla lett. l), 5) e 6) dell’art. 2
della legge di riforma, è di 5 magistrati e 3 professori universitari160. Come si evince dalla composizione delle commissioni
testé citata, il rapporto di maggioranza quivi è mantenuto, a differenza della composizione del direttivo della scuola.
Il Parlamento, nel riesaminare il testo, interviene e modifica
in parte il disposto, restituendo al Consiglio superiore della magistratura la capacità valutativa finale. Difatti il punto forse più
159
«Composto dal primo Presidente della Corte di cassazione o da un magistrato dallo stesso delegato, dal Procuratore generale presso la Corte di cassazione o da
un magistrato dallo stesso delegato, da due magistrati ordinari nominati dal Consiglio
superiore della magistratura, da un avvocato con almeno quindici anni di esercizio della
professione nominato dal Consiglio nazionale forense, da un componente professore universitario ordinario in materie giuridiche nominato dal Consiglio universitario nazionale
e da un membro nominato dal Ministro della giustizia».
160
Sul punto si v. ZANON, Guida ragionata alla riforma, apparsa sui Foglio
del 9 luglio 2005 e consultabile all’indirizzo: http://www.magna-carta.it/
riforme%20e%2Ogaranzie/0084–Zanon.asP; e Lo Stato, le istituzioni e la giustizia, Relazione al convegno «Una politica. Un partito», Roma, 18 luglio 2005, all’indirizzo:
http://www.magna-carta. it/riforme%20e%20garanzie/0088–Zanon.asp.
241
IL FILANGIERI 2-3-4/2005
controverso, ossia quando nel testo era disposto che il Consiglio
avrebbe potuto procedere all’assegnazione dei posti a quei soli
candidati che avessero «frequentato con favorevole giudizio finale un apposito corso di formazione al riguardo presso la
Scuola superiore della magistratura». Diviene ora: «dopo aver
frequentato un apposito corso di formazione presso la Scuola
superiore della magistratura di cui al comma 2 il cui giudizio finale è valutato dal Consiglio superiore della magistratura». Ma
la modifica non rimuove del tutto i dubbi di costituzionalità.
Soprattutto ove la legge dispone che il Consiglio superiore della
magistratura, nelle more concorsuali161 inerenti l’assegnazione dei posti, tenga «conto del giudizio finale formulato al
termine dell’apposito corso di formazione alle funzioni di secondo grado presso la Scuola superiore della magistratura di cui
a comma 2 e del giudizio di idoneità formulato (dalla commissione) all’esito del concorso». La norma, così come appare a
questa prima sommaria lettura, sembra comunque disporre
un’obbligo di motivazione in capo al Consiglio superiore ove
decida di procedere all’assegnazione dei posti a quei candidati
che non abbiano ottenuto una valutazione favorevole162.
D’altro canto la possibilità che il Capo dello Stato facesse
valere la palese incostituzionalità rifiutandosi di promulgare la
legge e aprendo un conflitto con il Parlamento non sembra essere supportata da opportune basi giuridiche. Anche e soprattutto perché il testo, pur rappresentando un atto «normativo di
grande rilievo costituzionale» che tocca «punti nevralgici dell’ordinamento giurisdizionale», non inibisce la possibilità alle
parti, Consiglio superiore della magistratura, magistrati e Ministro (o meglio governo) di poter ricorrere alla Corte costituzio161
Si pensi che la riforma in commento prevede una frammentazione dei
magistrati in quindici diverse “funzioni”, dieci livelli di inquadramento di grado, tredici tipi di concorsi e sei diverse composizioni delle commissioni giudicatrici. Sul
punto si rinvia alle lucide riflessioni di SCHLESINGER, Messaggio di Ciampi…, op. cit.
162
Aprendo in tal modo una duplice via giurisdizionale al candidato rimasto escluso: una prima amministrativa e una seconda ministeriale, sulla scorta di
quanto previsto all’art. 2, lett. m), 1) della legge 150/05.
242
ANDREA DE MARCO
nale per quei punti ancora oscuri. In via del tutto analoga è stata
paventata la possibilità per il Capo dello Stato di rinviare nuovamente il testo a causa dell’introduzione di una nuova disposizione che noverebbe il testo, permettendo al Capo dello Stato di
rinviare nuovamente la legge richiamando proprio detta norma.
Autorevole dottrina163 ha chiaramente esposto che «benché
la norma sia nuova (come lo stesso Capo dello Stato ha notato
nell’autorizzare il Csm a esprimersi sull’argomento) e dunque a
rigore non si possa escludere un nuovo rinvio solo su di essa
motivato, ciò rappresenterebbe un’ipotesi talmente straordinaria,
da indurre a formularla con ogni prudenza»164.
A chiusura del suo messaggio il Capo dello Stato ha rivolto
alle Camere un auspicio circa il modo, invalso da tempo, di legiferare165. Ad esse ricorda che l’art. 72 della Costituzione
dispone che il testo debba essere approvato con votazione articolo per articolo e votazione finale. Ma come nei fatti sia poi sostanzialmente disatteso, dato che – come nel caso della legge di
riforma – i testi composti da pochi articoli e numerosissimi
commi (come nel caso della legge di riforma dell’ordinamento
giudiziario in cui il secondo articolo consta di 49 commi e copre
ben 38 delle 40 pagine complessive) siano di difficile conoscibilità, negando in tal modo in radice una delle funzioni proprie
della legge166.
163
Si v. V. ONIDA, Dettagli che fanno un’intera riforma, pubblicato sul Sole
24 Ore del 21 luglio 2005, 1.
164
Il Capo dello Stato ha infatti promulgato la legge di riforma il 25 luglio
2005 poi pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 175 del 29 luglio 2005 - Supplemento
Ordinario n. 134.
165
Sul punto si rinvia alle acute riflessioni di L. CUOCOLO, Le osservazioni
del Presidente della Repubblica sul drafting legislativo tra rinvio della legge e messaggio
alle Camere, consultabile all’indirizzo: http://www.associazionedeicostituzionalisti.it/dibattiti/magistratura/cuocolo.html.
166
Sul punto oltre a L. CUOCOLO, Le osservazioni…, op. cit., si v. ZANON, La
legge che non si legge, Il Sole 24 Ore del 19 dicembre 2004, 1. In dottrina si cfr. R.
GUASTINI, Questioni di tecnica legislativa, in Le Regioni, 1985, 221 ss.; CERRI, Tecnica
legislativa e giurisprudenza della Corte Costituzionale, in AA.VV., L’educazione giuridica, V, Modelli di legislazione e di scienza della legislazione, Napoli, 1987, 249 ss.; PEGORARO, Linguaggio e certezza della legge, Milano, 1988, 6 ss.; DIOTALLEVI, Considera-
243
IL FILANGIERI 2-3-4/2005
La tecnica dei maxi-emendamenti è stata, in parte, agevolata sia dalle differenze tra i Regolamenti della Camera e del Senato, sia dalla lunga transizione costituzionale che ha visto divenire il Governo il protagonista principale tra gli attori del procedimento legislativo167. E certamente una modalità che ha
diverse cause. Tra queste la più frequente è il maxi-emendamento sostitutivo sul quale viene posta la questione di fiducia.
Tale modalità – che consiste nell’accorpamento entro un unico
emendamento degli articoli di un progetto di legge – è utilizzata dal Governo per superare l’ostruzionismo dei gruppi parlamentari (che non sempre sono quelli di opposizione). In tale situazione scattano una serie di norme disciplinate dai Regolamenti parlamentari delle due Camere che prevedono: la votazione per appello nominale del testo (sul quale è apposta la questione di fiducia); la priorità nella votazione; l’inemendabilità e
l’indivisibilità di quel testo; la possibilità di porre la questione
zioni di ordine costituzionale sulle tecniche di legislazione, in relazione al loro rapporto
con l’iniziativa legislativa e con il procedimento di approvazione della legge, in AA.VV.
Il Parlamento della Repubblica - organi, procedure, apparati, Camera dei Deputati, III,
Roma, 1990, 149 ss.; G.U. RESCIGNO, Tecnica legislativa (voce), in Enc. giur., XXX,
Roma, 1990, 1 ss.; e L’errore materiale del legislatore, la cattiva redazione delle leggi e
la Corte, in Giur. cost., 1992, 2418 ss.; AINIS, Le parole e il tempo della legge, Torino,
1996, 43; e La legge oscura, Bari, 1997; DI CIOLO, Correzioni di forma e coordinamento
finale dei progetti legislativi, in questa Rivista, n. 4, 1997, 967 e ss.; G.M. SALERNO, La
tecnica legislativa e la chiarezza normativa nella giurisprudenza costituzionale più recente, in questa Rivista, 1997, 1434 ss.; AA.VV., Atti del Convegno, Applicazione e
tecnica legislativa, Milano, 1998; RECCHIA, Riflessioni di diritto comparato sull’ermeneutica giudiziaria e la chiarezza delle leggi, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1999, 435 ss.; DI
CIOLO, La progettazione legislativa in Italia, Milano, 2002, 69 e ss.
167
Si v. il recentissimo Rapporto sullo stato della legislazione 2004-2005,
edito dalla Camera dei Deputati - Osservatorio sulla legislazione, nel quale si pone in
luce la circostanza che nell’attuale legislatura, l’iniziativa legislativa del governo sia di
poco superiore all’80% (pur se il picco massimo dell’88,5% è stato raggiunto nella
XII legislatura) e si cfr. gli autorevoli commenti, GIOVANARDI intervista a Le Camere
hanno un ruolo centrale, Il Sole 24 Ore del 1 agosto 2005, 3; CASINI, Il Parlamento non
è diventato un passacarte, Il Sole 24 Ore del 3 agosto 2005, 1; PASQUINO, Il Male del
Parlamento? I decreti, Il Sole 24 Ore del 4 agosto 2005, 16; VIOLANTE, Il Parlamento
oltre la crisi, Il Sole 24 Ore del 9 agosto 2005, 10; ARMAROLI, Il Parlamento al centro
dei giochi, Il Giornale dell’11 agosto 2005, 14;
244
ANDREA DE MARCO
di fiducia su qualsiasi argomento in discussione168. In sostanza, ogni volta che il Governo pone la questione di fiducia,
sia esso un articolo o un maxi-emendamento i lavori dell’Aula
subiscono una rilevante modifica, poiché la discussione e la votazione non interessano più principalmente l’atto normativo,
bensì intervengono direttamente sul rapporto di fiducia fra il
Governo e il Parlamento169. Una giurisprudenza presidenziale consolidata «dice che, per effetto della questione di fiducia, si cambia addirittura procedimento: o meglio si apre una
fase particolare, con regole sue, nel cuore stesso del procedimento in corso»170.
Tale tecnica redazionale su cui la Corte costituzionale ha
già avuto modo di intervenire171 pur costituendo un indubitabile vulnus circa la leggibilità, la conoscibilità e la certezza
168
Anche su «di una virgola», ricorda, MANZELLA, Il Parlamento, op. cit.,
401.
169
Si v. la decisione alla Camera nota come lodo Iotti. Nella seduta tenutasi tra il 23 gennaio e il 3 febbraio 1980, il Presidente della Camera Iotti, sentito il
parere della giunta per il regolamento decide che «l’illustrazione degli emendamenti,
– considerato anche l’obbligo costituzionale della Camera di pronunciarsi, comunque ed esplicitamente, sulla fiducia – assume il carattere di una discussione politica
tendente ad influire sullo stesso voto di fiducia. Non è quindi riferibile in alcun modo
all’art. 85 (esame degli articoli e degli emendamenti nel procedimento legislativo); e
va disciplinata alla luce del principio generale di cui all’art. 43 secondo il quale non
si può parlare più di una volta nel corso della discussione».
170
Così MANZELLA, Il Parlamento, op. cit., 402-403. Giova ricordare inoltre
che la Presidente Iotti, nella seduta del 29 gennaio 1988, dichiarò che in linea pregiudiziale e di principio la prassi degli emendamenti che accorpano più articoli di progetti di legge non è contestabile. La giunta per il regolamento, riunitasi il giorno
stesso, convenne sulla decisione del Presidente e a larghissima maggioranza soggiunse
che nell’ipotesi di disaggregazione in più parti di un testo sul quale il governo abbia
già posto la questione di fiducia, non decorra nuovamente il termine di 24 ore previsto dal regolamento.
171
Si v. le sentenze della Corte costituzionale n. 34/95 del 6 febbraio 2005;
n. 391/95 del 20 luglio 2005; n. 52/96 del 21febbraio 1996; n. 364/96 del 17 ottobre
1996; 148/99 del 26 aprile 1999. In merito si cfr. VEDASCHI, Le tecniche legislative e la
giurisprudenza della Corte costituzionale, http://www.parlamentiregionali.it/documenti/
doctecnichelegislativeCD/volume4/1406htm0l; PITRUZZELLA, È conflitto politico, non
costituzionale, Il Riformista del 30 dicembre 2004, 2; ARMAROLI, Ciampi, Pera e la selva
delle leggi oscure, Il Giornale del 31 dicembre 2004, 10.
245
IL FILANGIERI 2-3-4/2005
normativa, non sembra però disporre di quelle caratteristiche tipiche degli atti legislativi costituzionalmente illegittimi.
La Corte costituzionale non ha infatti individuato un autonomo vizio di legittimità costituzionale coincidente con la «cattiva» redazione delle norme. Le regole di tecnica legislativa pertanto non si configurano come un complesso di norme giuridicamente vincolanti e, certamente, non hanno rango costituzionale172. Parte della dottrina esclude anche la possibile qualifica
di norme interposte, nel caso in cui siano gli stessi Regolamenti
parlamentari a prevederle173. Da tali premesse deriva che
molto difficilmente, allo stato attuale, la Corte costituzionale potrà emettere una sentenza impostata sul confronto fra una legge
«oscura» e le regole di buona formulazione dei testi legislativi,
in quanto difetterebbe proprio il parametro di costituzionalità.
5.
Notazioni conclusive.
In conclusione, la prassi fin qui esposta ha posto in luce
come la dicotomia relativa al potere di rinvio per motivi di illegittimità costituzionale e di merito costituzionale sia assai variegata. Soprattutto per l’evanescenza della locuzione «merito costituzionale». La ricostruzione compiuta in queste brevi note
del potere di rinvio e delle motivazioni ha portato all’identificazione di una dicotomia parzialmente differente. Posto che non si
hanno riscontri nella prassi di rinvii di puro merito, è stato possibile circoscrivere le motivazioni entro i limiti delineati dalla incostituzionalità tout court, ossia per violazione diretta di una
norma costituzionale, o per violazione dei principi «ordinamentali», identificando in quest’ultima locuzione una violazione indiretta e interposta di un disposto costituzionale. Anche tale di___
172
Si ricorda che nel progetto licenziato dalla Commissione bicamerale
D’Alema era stabilito, solo per decreti-legge, la necessità di recare misure «di carattere specifico, di contenuto omogeneo e di immediata applicazione».
173
G.M. SALERNO, La tecnica legislativa..., op. cit., 1434 e ss.
246
ANDREA DE MARCO
stinzione presenta dei contorni sfumati174, ma ciò è dovuto alle
peculiarità intrinseche che caratterizzano il potere di rinvio.
Dato che quest’ultimo è invitabilmente connesso alla sensibilità
istituzionale e costituzionale che ogni Presidente ha nell’interpretare tale potestà nel corso del proprio mandato.
In relazione alla presidenza Ciampi si rileva che egli riconosce che il mutato contesto materiale, determinato dalla transizione costituzionale, sia tale da aver cambiato l’asse della nostra
Carta costituzionale in senso bipolare175, riducendo in tal
modo una delle principali prerogative del Capo dello Stato: la
valutazione della situazione politica, così come emerge dalle elezioni politiche, per la nomina della «persona che si presuppone
sia più adatta ad esprimere questo indirizzo o gli indirizzi dominanti nei gruppi espressi dalle elezioni popolari»176.
Pertanto il ruolo del Presidente della repubblica si evolve e
muta di profilo e si avvicina, o dovrebbe avvicinarsi, sempre più
a quel ruolo di saggio consigliere che già il Bagheot disegnava
per il Capo dello Stato nel suo saggio The English Constitu174
Basti por mente all’ultimo dei rinvii presi in esame. Nel quale il Presidente della Repubblica utilizza la locuzione palesemente incostituzionale in modo diverso a quanto aveva fatto nel rinvio sulle disposizioni in materia di incompatibilità
dei consiglieri regionali. O di come, sempre nel medesimo rinvio inerente la legge di
riforma dell’ordinamento giudiziario, utilizza la locuzione palesemente incostituzionale per motivare il primo dei rilievi (mentre appare essere più una interpretazione
che una mera rilevazione) e l’ultimo (nel quale invece la lettera dell’art. 105 della Costituzione appare in evidente contrasto con quanto delineato dalla legge).
175
In tal senso l’osservazione segue la modifica intervenuta in materia elettorale – inerente l’indicazione da parte delle coalizioni del leader della medesima
sulla scheda elettorale, realizzando un semi-premierato tutto italiano – che riduce (o
elimina, in prima battuta) de facto la discrezionalità del potere di nomina del Presidente della Repubblica, svuotando di alcuni contenuti il secondo comma dell’art. 92
della Costituzione. Si pensi alle ipotesi e ai casi verificatesi sotto la presidenza Einaudi
con la nomina, all’indomani delle elezioni del 1953, del Presidente del Consiglio Pella,
o ai casi Zoli o Tambroni, o ancora, ai casi di mandati vincolati avuti sotto la presidenza Saragat. Su tali casi si rinvia a PALADIN, Per una storia..., op. cit., 124; ARMAROLI,
L’introvabile..., op cit., 130 e L’elezione del Presidente..., op. cit., 404 e ss.
176
Così, MORTATI, relatore sul potere legislativo, nella seduta del 3 settembre 1946 della Commissione per la costituzione, seconda sottocommissione. Si v. anche TEBALDI, Il Presidente..., op. cit., 151 e ss.
247
IL FILANGIERI 2-3-4/2005
tion177. In cui l’Autore indicava che dei molteplici poteri, alcuni dei quali indefiniti, che la Costituzione inglese attribuisce al
sovrano, nessun «Re di buon senso e accortezza ne vorrebbe altri» che non il diritto di essere consultato, il diritto di incoraggiare, e quello di mettere in guardia. Di essere, in definitiva, un
magistrato di persuasione e di influenza.
Ne segue che il ruolo e le prerogative del Capo dello Stato
acquistano – entro una forma di governo parlamentare, in cui
continui ad essere baricentro della forma di governo il rapporto
di fiducia178 fra le Camere ed il Governo – una rilevanza diversa. Ben potendo il Presidente della Repubblica esercitare il
suo potere di consiglio, ricordando al Presidente del Consiglio
che «la responsabffità di questi provvedimenti è tua. Si deve
fare qualunque cosa tu reputi essere la migliore: essa avrà il mio
completo ed effettivo appoggio. Ma ti avverto che quel che tu
proponi di attuare, per qualche ragione, va male; mentre, per altrettante precise ragioni, andrebbe meglio proprio quel che tu
non proponi. Io non mi oppongo, è mio dovere non farlo; ma
sappi che ti metto in guardia»179.
Ed è entro tali limiti che va ricondotta la possibilità per il
Presidente della Repubblica di intervenire in modo più approfondito e riservato sui testi legislativi. Poiché tale presupposto
177
Si v. W. BAGHEOT, The English Constitution (1867, 1a ed.), London,
Oxford University Press, The World’s Classics, 1928. Tradotto in it., La Costituzione
inglese, Bologna, 1995.
178
Anche in caso di forma di governo in cui la fiducia si considera presunta, sulla scorta di quanto avviene in Francia. In verità più in virtù della prassi interpretativa dell’articolo 49, c. 1, che di quanto ivi disciplinato. Posto che il valore imperativo che l’uso del presente indicativo contenuto nell’articolo 49, c. 1, «Il Primo
ministro, su deliberazione del Consiglio dei Ministri, impegna di fronte all’Assemblea
nazionale la responsabilità del Governo sul suo programma o eventualmente su una
dichiarazione di politica generale», è stato interpretato quale mera facoltà di chiedere
un voto di fiducia iniziale (anche se tale eventualità, è avvenuta rare volte). Sul punto
si v., MORBIDELLI, PEGORARO, REPOSO, VOLPI, Diritto costituzionale italiano e comparato,
Bologna, 1997, 520.
179
Tale ruolo delineato dal Bagehot per il sovrano Inglese presuppone
perché sia valido anche in Italia una analoga condizione. Per dirla con l’Autore inglese, presuppone degli «accidenti» costituzionali ed istituzionali che in Italia però
sono ancora lungi dall’essersi compiutamente verificati.
248
ANDREA DE MARCO
rientra certamente tra le prerogative che la Costituzione riconosce al Capo dello Stato, quale organo di raccordo e di chiusura
tra i poteri dello Stato, entro un sistema di collaborazione fra i
medesimi in cui il Presidente ha un ruolo talora attivo, ma più
spesso neutro.
I più delineati confini che un contesto maggioritario offre,
concorrono a residuare il potere di rinvio e le motivazioni insite
nel messaggio come ultima ed estrema misura. Da utilizzarsi
tanto per quei casi in cui i consigli non abbiano avuto alcun seguito e la materia investa i principi costituzionali, quanto in quei
casi ove il Capo dello Stato ritenga il tema rientrante nei principi ordinamentali e per ciò stesso sia meritevole di una più meditata, attenta e pubblica riflessione. In tal modo permette tanto
al legislatore di ri-intervenire sul testo, apportando – se lo ritiene – modifiche al testo; quanto, di converso, di assumersi
tutta la responsabilità politica che seguirebbe ad una riapprovazione conforme che non tenesse o che non motivasse, nelle more
dell’iter parlamentare, i rilievi così posti dal Capo dello Stato. In
definitiva, se l’utilizzo del potere di rinvio appare doveroso solo
quando il testo presenti difetti di costituzionalità tali da incorrere in ipotesi di scuola, ne consegue che in tutti gli altri casi
l’esercizio ditale potere appare una facoltà libera nel fine, limitata solo dalla prudenza e sensibilità istituzionale del Presidente
della Repubblica.
249