La Corte costituzionale e il porcellum - Camerlengo
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La Corte costituzionale e il porcellum - Camerlengo
La Corte costituzionale e il porcellum Con un essenziale comunicato stampa del 4 dicembre, la Corte costituzionale ha annunciato l’esito del giudizio di legittimità che ha investito due componenti centrali della legge n. 270 del 2005 per l’elezione del Senato e della Camera (il cd. porcellum). La Corte ha deciso per la incostituzionalità della previsione di un premio di maggioranza a favore della lista o della coalizione che ha ottenuto il maggior numero di voti, dal momento che non è previsto un risultato minimo cui associare tale premio. La Corte ha poi dichiarato l’incostituzionalità della previsione che preclude agli elettori il voto di preferenza, imponendo la presentazione di liste “bloccate”. La stessa Corte si è premurata di precisare che, in primo luogo, gli effetti giuridici di tale decisione si produrranno solo con la pubblicazione della sentenza, «che avrà luogo nelle prossime settimane»; e che, inoltre, «resta fermo che il Parlamento può sempre approvare nuove leggi elettorali, secondo le proprie scelte politiche, nel rispetto dei principi costituzionali». Quali sono, dunque, le implicazioni di questa decisione ? Innanzi tutto, i due riscontrati vizi di incostituzionalità non fanno rivivere il sistema elettorale a suo tempo abrogato dalla legge n. 270 del 2005: quel sistema che, configurando un modello misto (maggioritario, con correttivo proporzionale), è da tutti conosciuto come mattarellum. Pertanto, l’attuale sistema elettorale, come emendato dalla Corte, risulta essere proporzionale, sia pure con la previsione di clausole di sbarramento destinate a tener fuori dalle Camere le formazioni politiche più piccole. In secondo luogo, quanto alle preferenze sembrano profilarsi due distinte ipotesi. Secondo alcuni, la Corte avrebbe adottato una decisione secca di accoglimento, spettando, quindi, al legislatore disciplinare il meccanismo delle preferenze. Secondo altri, invece, la Corte avrebbe adottato una decisione “additiva” (ossia, la disposizione è incostituzionale nella parte in cui non consente «all’elettore di esprimere una preferenza», come si legge dal comunicato), per cui sin da ora l’elettore potrebbe esprimere “una” preferenza scegliendo tra i diversi candidati inclusi nella stessa lista. Si è, poi, sparsa la voce (per usare un eufemismo, viste le reazioni dei parlamentari del MoVimento 5 Stelle), che questa decisione avrebbe delegittimato giuridicamente non solo l’attuale Parlamento, ma anche tutti gli atti, e dunque anche le nomine, dallo stesso poste in essere sin dal momento del suo insediamento (l’elezione del Capo dello Stato, la fiducia al governo, sino ad includervi “a cascata” anche gli atti da questi emanati, come ad esempio la nomina di Giuliano Amato quale giudice costituzionale). Questa opinione riposa sulla portata retroattiva delle decisioni della Corte costituzionale. Una legge dichiarata illegittima viene travolta sin dal momento in cui entrò in vigore, trattandosi di atto radicalmente e dunque in origine nullo. Tuttavia, i vertici istituzionali e molti autorevoli studiosi oppongono a questa lettura non solo la circostanza che la retroattività delle decisioni di accoglimento della Corte non è assoluta ma incontra alcune eccezioni legate al consolidamento giuridico di fatti e situazioni, ma anche (e soprattutto) il principio di continuità degli organi costituzionali, la cui permanenza in carica, nonostante il “vizio di origine”, risulterebbe giustificata dalla necessità di garantire il corretto funzionamento dell’apparato istituzionale. Sicché, resterebbero in piedi gli atti e le decisioni sin qui assunte dalle Camere e, di conseguenza, gli organi eletti (Presidente della Repubblica) o “consacrati” (il Governo, con il voto di fiducia) dallo stesso Parlamento, e i relativi atti. E ciò lo si intuisce dall’ultimo capoverso del comunicato, dove si riconosce che il Parlamento potrà approvare una nuova legge elettorale (se fosse davvero travolto da questa decisione, non avrebbe neppure questo potere). A complicare le cose, però, contribuisce il fatto che al Senato e alla Camera non è stato ancora concluso l’iter di convalida dei parlamentari. Sino a quel momento la loro condizione appare per certi versi precaria. La Corte, consapevole del problema, ha precisato che gli effetti giuridici della propria decisione sono rinviati al momento della pubblicazione della sentenza: infatti, solo da quel momento i parlamentari interessati dalla mancata convalida potranno lasciare le Camere, in quanto è solo da quel momento che il competente organo (la giunta delle elezioni, sia al Senato che alla Camera) sarà tenuta a “non applicare” una legge incostituzionale. La Corte potrebbe, quindi, indugiare, nella pubblicazione della sentenza, per consentire quelle convalide che, una volta perfezionatesi, renderanno stabile la posizione assunta dai parlamentari, con particolare riferimento a coloro che sono entrati in Parlamento grazie al premio di maggioranza. Ad ogni modo, al di là dei complicatissimi problemi di ordine giuridico imputabili a questa pronuncia, appare evidente che ci troviamo per l’ennesima volta di fronte ad una decisione della Corte costituzionale che supplisce alle inerzie del Parlamento, sollecitato più volte a rivedere un sistema elettorale per molti versi criticabile e irrazionale. Se non si può parlare di delegittimazione giuridica delle attuali Camere, forse qualche serio dubbio può affiorare sul piano politico. Quirino Camerlengo, professore associato di diritto costituzionale nell’Università di Pavia, già assistente di studio ala Corte costituzionale.