narrativa - saloon - Del Vecchio Editore

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narrativa - saloon - Del Vecchio Editore
SALOON
di Aude Walker
Traduzione di Tatiana Moroni
Aude Walker , Saloon
Copyright © Éditions Denoël, 2008
Copyright © Del Vecchio Editore, 2009
Grafica e impaginazione: Dario Lucarini
Editing: Ondina Granato
Redazione: Vittoria Rosati Tarulli, Paola Del Zoppo
www.delvecchioeditore.it
www.myspace.com/delvecchioeditore
Foto di copertina: Mel Curtis/copyright © Getty Images
ISBN: 978-88-6110-002-2
c o l l a n a > n a r r a t i v a
CAPITOLO 1
N
essuno ha detto niente. Il giorno in cui ho mollato pennelli e carboncini per giocare alla cameriera in un grand hotel del I Arrondissement
truccata come una puttana, nessuno ci ha capito niente. Mi sono rifiutata
di spiegare alcunché. Dovevano solo scavare un po’. Era banale. Si trattava
di un semplice regolamento di conti con quella sposa nera che è l’Origine.
Diventare la cameriera dei prìncipi moderni era l’unico modo che avevo
trovato per non lasciarli del tutto. Loro. I miei americani. Loro, che un
giorno hanno deciso che nel regno del dollaro io non esistevo più. A migliaia di chilometri dal loro eden, potevo immergermi nel loro dannato
sfarzo, fare il bagno in quel lusso che un giorno fu la mia patria.
Ehi, idioti, ehi, riccastri! Guardatemi! Anch’io ne facevo parte. La cameriera, là, con le occhiaie da panda, sì, laggiù, la ragazza stravolta dalla
stanchezza, quella che vi serve i cocktail e i succhi di carota col sorriso, livida, fino a ore indecenti, quella che appaga ogni vostro più piccolo desiderio con la scusa che siete direttori, ignoranti, attori, puttane, straricchi,
superficiali e potenziali suicidi, quella ragazza, una volta, era dei vostri.
Era anche per Lei che giocavo alla scagnozza da bar. Soprattutto. Lei.
Ronzare attorno a quelle grandi donne sublimi e folli, che sono tutte un
po’ Lei. Annusare tutti i giorni, protetta dal mio vassoio, il loro profumo
di donna eterna. Ma era Lei che mi umiliava. Ogni giorno, da dietro i suoi
occhiali neri e la grassa risata da iena ferita. Era Lei che mi riempiva di bigliettoni senza guardarmi. «Per il servizio, grazie». Ma tutti i contanti che
ho preso in questi anni non hanno mai avuto l’odore di quelli che Lei
avrebbe dovuto darmi.
Una sera, due settimane fa, è capitato davvero. Lei era là. In quell’istante.
Al 114. Un tailleur ecru a pantalone. Una linea perfetta. Le caviglie cullate
da una decina di centimetri di tacco. La bocca color prugna, sacro bacio
originale. Sapevo che Lei veniva regolarmente a Parigi.
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Non vedo perché avrebbe dovuto cambiare. Non era certo per il fatto
che Lei non mi chiamava mai che doveva cambiare. Veniva da New York
per qualche giorno. Per vendere all’asta le sue automobili, da Christie’s. O
per farsi scopare alla francese. Quella sera, era “alla polacca” che si sarebbe fatta prendere. Era seduta di fronte a Gabriel Televine, un nanerottolo polacco con la parrucca. Uno dei fantasmi della casa. Era noto per le
sue mance capaci di sfamare un’intera famiglia del Bangladesh per un
anno. La sua faccia di cera era sul punto di sciogliersi come una candelina
di compleanno. Solo a guardarla. È vero che Lei era sublime. Sì, Lei era
sempre bella. Invecchiata, ma sublime. E faceva sempre parecchio rumore.
Dunque Lei era là. Veramente. La sua risata, la sua bellezza, i suoi gesti,
le sue tempeste, illanguiditi nella grande poltrona in velluto bordeaux. Ordinò una Grey Goose da dietro gli occhiali neri. Senza guardarmi, all’inizio.
Dice: – Signorina, una Grey Goose. Tre cubetti di ghiaccio. – Mi voltai, la
sua voce mi sfondava i timpani. La lasciai alle mie spalle col suo Televine.
E tutto si è dissolto. Tutto quello che rende le mie giornate una discarica
era sparito. I corridoi di marmo fruscianti di lusso, i risolini metallici delle
giovani attrici, le astuzie degli sfaccendati invecchiati, l’arroganza libidinosa dei caimani della borsa. Esisteva una sola cosa. Lei e la Grey Goose–
tre cubetti da servire. Senza lasciarci la pelle. Ho avuto molta paura. Molto
freddo. Vacillavo anche con gli stivali senza tacco. E la sua voce roca non
tentennava. Non un dubbio. Per ora sono una semplice cameriera. Una cameriera afona e assalita dalle vertigini. Ma una cameriera. Servirle la sua
Grey Goose. Tre cubetti. Sono una semplice cameriera.
Il 110. Il cast di un film francese in tour promozionale. Un attore biondo,
il più grande ubriacone che l’etilismo abbia mai generato, aveva urlato,
agitando un braccio esile:
– Signorina! Siete andata a tagliarlo a Kobe, il manzo? Abbiamo ordinato almeno mezz’ora fa! E già che c’è, ci porti una seconda bottiglia di
Lanson.
– Arrivo. – Viernes è sbucato dalla sua fogna, senza preavviso, come
sempre. Mi ha sputato le sue assurdità, la cosa non mi ha toccato. Come si
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può creare una catena di alberghi di lusso con quella faccia da stupratore
di bambini? Ho incrociato Valérie che si faceva strada tra i tavoli sui tacchi. Mi ha parlato col suo grande sorriso infantile. Non l’ho sentita. Avevo
molto caldo. Molta sete.
Qualche secondo più tardi, sistemavo un secchiello per lo champagne
sul carrello accanto al 110. Frastornata. Un cagnetto maltese gironzolava sotto
la sedia della regista. La coda, molto lunga, non la smetteva di dimenarsi.
Ecco. Un guaito da agnello sacrificale riempì la sala. Avevo pestato la coda
del maltese. L’attore biondo mi lanciò uno sguardo carico di whisky che
doveva essere minaccioso, poi è tornato a fare il pagliaccio. Ho dato un’occhiata al 114. Lei non si era mossa. Rideva moltissimo e carezzava la guancia glabra del polacco. Eppure Televine non è un tipo divertente. Mi
apprestavo a posare il secchiello del ghiaccio per aprire la bottiglia quando
si sentì uno scricchiolio seguito da un verso da gatto annegato. Il disprezzo,
nei loro occhi che turbinavano al di sopra del tavolo. L’attore biondo era
scosso dalle risate, molto rosso. La proprietaria del cane stringeva le labbra dalla rabbia. E la Sua risata. Si era tolta gli occhiali e, con la mano da
uccellino, indicava a Televine il 110 e quello che stava succedendo. Gli
occhi malva piantati nei miei. Capogiro.
– No! È Lisa! Ehi, Lisa!
Trovare la maniera di sorridere. Continuavo a non dir nulla. Mi guardavano tutti.
– Potrebbe perlomeno scusarsi. – Chiudi il becco, biondino. Non esisti
più, Lei è tra noi.
Senza una parola, mi sono diretta al 114. Lentamente. Senza sapere. Bisogna che le parli. A Lei. Qui. Con il mio borsello e il mio cavatappi appesi al collo.
– È incredibile vederti qui, quanto tempo!
Mi parlava in inglese, sorridendo. Si rivolgeva a me come a quella mia
vecchia compagna di scuola che Lei aveva l’abitudine di terrorizzare,
tanto tempo fa. Una compagna di cui Lei aveva dimenticato il nome
e di cui non le frega. Proprio niente. Si è alzata. Anche Televine. Mi ha
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baciata, come bacia il suo piccolo mondo. Come ne ha baciati mille durante
i suoi cocktail, party e squallide festicciole. Non avevo più una goccia di
saliva in bocca. Impossibile ricordare la minima sonorità anglosassone.
Le ho risposto in francese.
– Ah, Vera, è… pazzesco.
– Come sei cambiata. Ho rischiato di non riconoscerti. Non vi ho nemmeno
presentati: Lisa, Gabriel, un amico polacco. Gabriel, Lisa, mia figlia.
Quella schifezza di Televine è arrossito e mi ha stretto la mano. Lei ha
riso e si è riseduta. Imperturbabile.
– Allora, Lisa, dopo tutti questi anni, cosa mi racconti? Adesso fai la
cameriera?
Non riuscivo a distogliere lo sguardo dalle sue tempie grigie. Eppure
non è da Lei dimenticare la visita dal colorista. Il biondo virava al cenere.
Non so più che risposta ho trovato. Mi ha salutata, dicendomi di andare,
che non mi facessi licenziare a causa Sua. – Ti chiamo domani, ci vediamo,
abbiamo centinaia di cose da dirci. E non dimenticarti di me: una Grey
Goose. Tre cubetti, cara. – No, non mi dimentico di te. E tu non hai il mio
numero di telefono.
Non le ho lasciato il tempo di ordinare la seconda vodka. Ho chiesto a
Valérie di prendere i miei tavoli, il tempo di fumare una sigaretta, per favore, grazie. Nel bel mezzo del servizio, me ne sono andata. Sono passata
dalle scale di emergenza e ho recuperato le mie cose dall’armadietto nel seminterrato. Ho lasciato le décolleté in quello di Valérie accanto al mio. Regalo d’addio, tesoro. Tu le sai portare. Non esitare a dare un bel colpo di
tacco appuntito nelle palle di quella merda di Viernes, il giorno in cui ti
piazza una mano sul culo, bella.
Mi sono cambiata e me ne sono andata nella notte. Arrivata in Place
Vendôme, mi sono seduta per terra, contro la vetrina di una grande gioielleria. Congelata, stordita. Delle ore a rimuginare su di Lei e su quei minuti.
«Sei molto cambiata». In quel momento il disgusto le ha striato le giunture
della bocca.
Lo sapevo, in sei anni ero diventata solo un’offesa per la sua pelle nu-
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trita a costosissime creme idratanti. Non ero diventata brutta. Mi ero semplicemente dimenticata di me, rientrata dalle vacanze, nell’estate 1998.
Ben decisa a distruggere tutto, avevo preso la situazione in mano. Grazie
a una frequentazione più che assidua di tabaccai, farmacie e bar della capitale, mi ero riservata un programma da dura la cui efficacia sfidava ogni
concorrenza. A vent’anni avevo la sua bellezza. A trenta trascinavo un
corpo devastato e un viso da batrace inebetito. Un potenziale decapitato a
colpi di ore passate a bere nei locali notturni e a distruggere il mondo, per
renderlo sempre più inutile.
«Ho rischiato di non riconoscerti». L’ha detto in francese. Col suo accento sempre più marcato. Ma non mi hai riconosciuta, Vera. Non hai
battuto ciglio quando mi hai vista col secchiello, truccata da cameriera.
Stasera ho incrociato mia madre, e non mi ha riconosciuta. Sono solo una
cameriera. Scusate, una Grey Goose, tre cubetti, per la signora. Scusate.
Arrivo.
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INDICE
pag.
5
Saloon
pag. 137
Ringraziamenti
pag. 139
Note
c o l l a n a > p o e s i a
Qualche altro giardino
di Jane Urquhart
Tradotto da: Laura Ferri
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Bernardino Nera e Floriana Marinzuli
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Senza via d’uscita
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c o l l a n a > n a r r a t i v a
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ISBN: 978−88−6110−019−0
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Sale e miele
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ISBN: 978−88−6110−011−4
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c o l l a n a > L ’ i t a l i a n a
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c o l l a n a > n o t e
a
m a r g i n e
Non finito calabrese
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Prezzo: € 7,50
Finito di stampare nel Luglio 2009
presso la Tipografia Mancini s.a.s.
Tivoli (Roma)