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Cultura
Il viaggio in
occidente
Viene pubblicata in lingua italiana per la prima
volta la traduzione integrale del più importante
romanzo cinese. Conosciuto spesso come “lo
scimmiotto”, è un viaggio fantastico e meraviglioso
nel mondo della cultura popolare cinese a metà tra
il libro sapienziale e il romanzo di cappa e spada
di Matteo Luteriani
e Serafino Balduzzi
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l traduttore del Viaggio in Occidente,
Serafino Balduzzi, e coautore del presente articolo dice nella sua presentazione del testo: “Dovunque questo libro si
trovi, le divinità celesti lo proteggono. Il lettore deve aprirlo con rispetto e sincerità,
dopo aver purificato le proprie mani e aver
bruciato incenso. Quando si sente affaticato
lo chiuda, lo collochi riguardosamente in luogo elevato e badi che non sia sporcato né
danneggiato. Per essere degni di leggere il
‘Viaggio in Occidente’ bisogna sapere queste
cose (Liu Yiming, Commento al Xiyou Ji,
scritto alla metà del secolo XVIII).
“Il lettore si trova in mano un romanzo
cinese prossimo a duemila pagine: un fiume
di prosa, in cui storie fiabesche, che ignorano il confine fra uomini e animali, e in cui si
incontrano a ogni passo fanciullesche
stranezze. Il libro si presenta come un
enorme arazzo coperto di piccoli disegni un
po’ rozzi e coloratissimi, continuamente
ripetuti come in una decorazione. Altro che
lavarsi le mani e bruciare incenso! La domanda che ci si pone è: perché leggere?
“Eppure questo libro è da leggere, perché è
un grande libro; ha ragione Liu Yiming, le
divinità celesti lo proteggono. E’ fatto per entrare a far parte della mente del lettore, arricchendo le metafore con cui egli si aiuta a
capire e a esprimere l’esperienza, e aiutandolo a vivere; in particolare a conservare, di
fronte alle contusioni e frustrazioni della vita, la serenità attiva e la capacità di ridere.
Sennò, a che cosa servirebbero i libri?”.
Samurai
L’impresa editoriale
Decidere di pubblicare un libro di tale portata editoriale (il volume è pubblicato da Luni
Editrice nella collana Grandi Pensatori
d’Oriente e d’Occidente, 2 voll., pagine complessive 1600, 60 euro) è certamente una impresa titanica (infatti fino a oggi nessun editore l’aveva portata a termine). Tanto più in
questo scorcio di secolo di crisi sia economica sia culturale che il nostro paese sta attraversando, paralizzato come è da questioni di
bassa bottega e intrighi degni della più decadente corte del più squallido dei regni.
Le traduzioni occidentali di questo libro si
contano sulle dita di una mano: in italiano ne
è apparsa una da Adelphi ma costituisce circa
il 20% dell’integrale. La prima apparsa fu
una integrale in lingua russa nel 1959; esistono poi due versioni complete in lingua inglese datate anni 70 e l’ultima nel 1991 da
André Lévy per la Bibliothèque de la Pléiade.
Questa edizione pubblicata da Luni è la prima pubblicazione integrale di uno dei grandi
romanzi classici cinesi che appaia in lingua
italiana. Un panorama povero. Dice ancora
Serafino Balduzzi riguardo la sua traduzione:
“Ci sarà da vergognarsi di tutte queste ritraduzioni? Rispondere non è facile come
potrebbe sembrare. Per rifarci ai padri nobili: Foscolo snobbava Monti come ‘gran
traduttor dei traduttor d’Omero’; eppure l’Iliade tradotta da Vincenzo Monti resta memorabile, mentre i saggi di traduzione omerica
di Ugo Foscolo non lo sono. Può accadere
che il testo transiti dall’originale a un dotto
limbo traduzionese, ma poi sia necessario ritradurlo, per farlo entrare davvero nella lingua di destinazione. ‘Il fatto bizzarro’ dice
George Steiner del corpo delle traduzioni occidentali dalla letteratura cinese ‘è che parecchi dei traduttori più noti non conoscono il
cinese (...)’. Paradossalmente, scandalosamente forse, essi formano un insieme di particolare coerenza e sono, in un paio di casi,
superiori per la profondità di comprensione
e di resa, alle traduzioni basate sulla
conoscenza diretta dell’originale”.
Romanzo popolare
Il “Viaggio in Occidente” è uno dei grandi
romanzi cinesi redatti in lingua parlata, e pertanto esclusi dalla letteratura ufficiale. Risale
alla seconda metà del XVI secolo, verso il
1570. Mentre la dinastia Ming si avviava a
ricadere nelle mani degli eunuchi e il paese
correva verso la crisi che lo avrebbe consegnato alla dinastia manciù, l’indebolirsi dell’assolutismo e del conformismo da esso imposto lasciava spazio a un rinascimento, di
cui questi romanzi sono uno dei frutti.
Il suo pubblico era senza confronto più ampio di quello della letteratura accademica: era
costituito da cinesi di tutti gli ambienti ed è
rimasto fino a oggi un libro noto a tutti.
Sul finire del XX secolo l’immortalità che
Scimmiotto consegue già nel racconto, regge
ancora bene: ha resistito a guerre e rivoluzioni, compresa quella culturale; il Grande
Santo è entrato di buona lena, direttamente o
come ispiratore, nella caricatura, nei fumetti,
nel cinema, nei cartoni animati e nella televisione (Son Goku è la versione giapponese del
suo nome, da cui la fortunatissima e famosissima serie televisiva di cartoni animati per
ragazzi Dragon Ball, nata dall’universo fantastico del mangaka Akira Toriyama).
La lettura è scorrevole, anche per un occidentale che non abbia familiarità con la Cina.
La traduzione stessa è una lettura; se scorre
può perdere definizione nei particolari, ma se
intoppasse nell’erudizione rischierebbe di
perdere ogni senso.
Romanzo per ragazzi
Il Viaggio in Occidente è il romanzo di una
scimmia. Non troverete un altro animale parlante di questa levatura in nessun’altra letteratura. Sono molti i libri (popolari e non) in
cui parlano bestie, da Aristofane, a Renart, a
La Fontaine, a Kafka; e infiniti quelli in cui
intervengono divinità, dai poemi omerici, a
Dante, a Milton, a Brecht.
Nelle pagine di questo libro ci sono linguaggi un po’ sboccati, buffe violenze, e nelle sue
pagine non c’è alcun rispetto per la religione:
la suprema divinità taoista, l’Imperatore di
Giada, con rispetto parlando, è un vecchio
scemo, pavido e vanitoso; c’è gusto a mancargli di rispetto e non è difficile tenere in
scacco la sua ridicola onnipotenza burocratica. Il patriarca del Tao, Laozi, è un vecchio
burbero un po’ svanito, benché si faccia
rispettare per la sua competenza (e vera passione) per la tecnologia dei materiali.
Il Buddha invece è un osso duro, e la pusa
trito campionario di gagliofferie clericali.
Quanto agli animali parlanti, si deve ammettere che i personaggi animali prevalgono
sugli uomini. Nel clima mentale, nelle credenze religiose, nell’allestimento narrativo
del racconto, le forme viventi animali si
trasformano facilmente l’una nell’altra: non
si attribuiscono loro confini così rigidi come
noi siamo abituati a immaginare.
inalbera bandiera buddista, è naturale che
questi personaggi siano trattati con rispetto
formale. Ma resta l’impressione che persino
l’autore ne abbia paura, e parli bene di loro
per dovere d’ufficio; di fatto non li propone
né all’affetto, né semplicemente al rispetto
dei lettori. Si aggiungano i “monaci buddisti
fannulloni e preti taoisti balordi”, con un nu-
La prima parte del romanzo è dedicata alla
cerca dell’immortalità da parte di Scimmiotto; segue il racconto di come il monaco Tripitaka venga incaricato dall’imperatore di recarsi in Occidente (cioè in India) per procurarsi le scritture del Buddha e prende l’avvio
Romanzo cavalleresco
quest’altra grande ricerca, che occupa la
maggior parte del romanzo. Dapprima Tripitaka si procura avventurosamente la compagnia e l’aiuto di tre guerrieri e di un cavallo, e
poi attraversa con loro spazi continentali
sconfinati, dove una successione di demoni e
mostri di varia natura impongono prove e
scontri a non finire.
Per vari aspetti, è irresistibile il parallelo con
i romanzi medievali cavallereschi dell’occidente. La tipologia delle vicende, il racconto
che continuamente si rinnova e resta sempre
lo stesso, l’impiego ripetuto dei medesimi
congegni, le vicende avventurose così fitte
che alla fine è come se non accadesse nulla,
ricordano i romanzi cavallereschi che hanno
alimentato le letture di tante generazioni di
nostri antenati. Il gioco prende forza dalla
ripetizione, contiene un farmaco che ha effetto distensivo attraverso la narcosi; questi antichi romanzi popolari lo condividono con
serial, telenovele e videogame narrativi attuali.
I duelli sono frequenti, la professionalità e
specializzazione dei combattenti, lo scontro
verbale che accompagna e sostiene quello
fisico, la ritualità, l’estetica delle armi e degli
atteggiamenti, l’etica dello scontro e i suoi
limiti, sono elementi familiari al lettore di romanzi cavallereschi occidentali, che il decoro
esotico e una dose inconsueta di magia non
fanno venir meno.
Si ripetono le insidie con scenari prestabiliti;
non mancano ai nostri cavalieri appiedati
cinesi gli alberi della foresta, ma il fondale
preferito è la montagna.
Non manca la caratteristica mescolanza della
fede in dio e fedeltà al signore dei cavalieri;
né le ricorrenti azioni di polizia raddrizzatorti. I poli bene/male, indispensabili per individuare amici e nemici, si potrebbero supporre ortodossamente forniti da due religioni:
buddisti contro taoisti, come cristiani contro
saraceni. Ma la pacifica convivenza fra i due
poli non trova alcuna corrispondenza occidentale e non è incrinata dalla minima incomprensione teologica: essa è tutta cinese e
costituisce una delle fonti del fascino del libro. In parole semplici, qui i buoni sono
quelli che stanno dalla parte del governo, e i
cattivi quelli che se ne fregano e pensano ai
fatti propri; mentre quella scimmia protagonista è un cattivo divenuto buono, ma con
certe riserve, oppure un buono pieno di cattiveria.
Il Viaggio in Occidente utilizza il repertorio
dei romanzi di cappa e spada, che sono sempre piaciuti ai cinesi, con la costante preoccupazione di fonderne i motivi per assicurare
la loro coerenza nello specifico racconto
(questa, in un romanzo cavalleresco, è l’alta
qualità) e vi è un gran numero di libere invenzioni: ciascuno dei cento capitoli reca le
sue; comprendono suggestive ambivalenze e
giochi di specchi, la vera meta del viaggio
Samurai
Cultura
Guanyin, vecchia zitella inacidita che va in
giro con un pappagallo bianco, è la sua degna complice. Sono una coppia di potentissimi
e sadici imbroglioni. Tutto ciò che in un uomo può aver valore si deve proteggere e
nascondere da loro, che sanno tutto, mettono
il becco dappertutto, approfittano di tutto per
conseguire i propri fini, e non conoscono né
lealtà né rispetto per gli altri. Poiché il libro
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viene sostituita strada facendo, ma l’insieme
è troppo complesso per restare circoscritto al
genere: è al di là della cappa e spada, come
Orlando Furioso e Don Chisciotte sono al di
là della cavalleria.
Romanzo religioso
Questo è un romanzo religioso; la sua
etichetta da frontespizio sarebbe appunto: romanzo buddista. Sorprenderà, dopo quanto si
è detto su alcuni suoi personaggi divini e sul
materialismo pervasivo; eppure l’elemento
lato sensu religioso ha rilievo da ben quattro
punti di vista.
1- Il viaggio in Occidente si presenta ufficialmente come un’agiografia. Il viaggio in occidente alla ricerca dei testi buddisti è storico:
lo compì nel VII secolo il monaco Xuanzang
e ne lasciò una bella relazione inclusa nel
canone buddista cinese. L’autore tuttavia non
ha utilizzato in alcun modo la relazione del
vero Tripitaka; non sarebbe mancata la possibilità di desumerne materiale romanzesco,
ma egli ha preferito tenersene lontano. Comunque il romanzo si inserisce in una
tradizione di leggende sul viaggio di Tripitaka, nella quale è stato preceduto e seguito da
molti testi più semplici.
2- Il libro utilizza copioso materiale mitografico, tanto cinese quanto indiano, sia
riferendolo, sia prendendolo a modello. Il
racconto ha motivi in comune con il
Râmâyana, venerando epos mitologico fuori
dal tempo, in cui la scimmia Hanuman incarna il guerriero fedele. Con il materiale mitografico ne confluisce altro derivato dalla
tradizione dei cantastorie che raccontavano a
voce le storie inventate da loro o prese dalle
leggende popolari nelle piazze. Nel romanzo
stesso, ogni capitolo si conclude con l’invito
promozionale a continuare, non a leggere,
ma ad ascoltare. E’ solo un vezzo: in realtà
un abisso separa il grande romanzo, fortemente elaborato, dalle leggende cantate in piazza. Non è nemmeno certissimo che il libro
sia stato scritto da Wu Cheng’en. Ma esso
presenta una chiara impronta dell’autore: un
uomo pieno di spirito, non privo di risorse
come narratore, saggio e umorale, colto e indipendente. Per il lettore l’importanza del
nome deriva dalle opere o notizie significative che vi si raccolgono intorno; e qui c’è
poco o nulla da aggiungere. Un nudo nome
ne vale un altro: grand’uomo, Wu Cheng’en.
3- Come tutti sanno, Confucio e Laozi fondarono sistemi sapienziali, che per qualche
tempo entrarono in competizione per la conquista del mondo cinese. Prevalse Confucio,
e con il senno di poi si deve ammettere che
era destino. I confuciani erano gente pratica,
fatta per governare; se non si fossero impadroniti del governo, sarebbero affondati
nel grigiore fino a scomparirvi; mentre, come
governanti, fondarono il sistema politico più
resistente e durevole che si sia mai sperimentato sotto il sole. I taoisti splendevano di inSamurai
telligenza e di spirito; dunque erano nati per
l’opposizione: da lontano predicavano il nongoverno. La Cina diede la palma a chi la
meritava. In compenso i taoisti non affondarono, ma rimasero in circolazione come
minoranza. Il buddismo giunse dall’India nel
primo secolo dopo Cristo e prese gradualmente piede nel paese. Anch’esso muoveva
da un complesso sistema sapienziale, ma tendeva a ricavarne una religione moderna, indipendente dai venerandi relitti della preistoria religiosa. L’oggetto straniero penetrato
nel Paese di Mezzo fu assimilato e levigato
secondo i gusti degli ospiti. Il nostro libro è
immerso nell’amalgama di buddismo, taoismo e confucianesimo che caratterizzava la
Cina: esso è rivendicato, con qualche ragione, a tutte e tre le religioni. Il motto riportato in apertura del presente Invito a leggere,
per esempio, è di ascendenza taoista.
L’assenza di incomprensioni teologiche non
esclude conflitti più limitati. In mancanza
della spina teologica, i conflitti restano limitati e non impediscono che i vari ingredienti
siano mescolati in una sola pentola. Fra l’alta
sapienza astratta e la bassa pratica magica,
concreta e utilitaria, non sembra restare
libero alcun luogo intermedio come quello
occupato dalle religioni monoteiste. Esseri di
entrambe le cerchie, selvatici animali taoisti
della montagna e bestiole domestiche di cerchia buddista, o funzionari dell’una e dell’altra burocrazia, si dedicano senza posa a
un’allegra ascesi. La loro meta è di sottrarsi
alla ruota della trasmigrazione (morte e reincarnazione), non in direzione del nirvana, ma
piuttosto di una vita confortevole che duri
mille e mille anni. La convivenza e inestricabile mescolanza di mentalità, mitologie e
paradisi è narrata con occhio che tutto condivide, prende gusto a tutte le storie e mantiene
indipendente la propria umanità. Per gioco,
potremmo dire che nel libro è confuciana la
mentalità, taoista la fantasia, buddista la decorazione e wucheng’eniano l’umorismo.
4- E’ possibile una lettura dell’intero libro in
chiave di allegoria cosmologica; molti titoli e
una parte dei versi mostrano che l’operazione
non è arbitraria. Per noi lettori occidentali
non eruditi restano semplici tocchi di colore
locale. Niente di più naturale che questo aspetto sia stato oggetto di approfondite indagini e di considerevoli esagerazioni.
Romanzo di formazione
La meta è sempre presente allo spirito, le
avventure durano lo stretto indispensabile e
sono immediatamente seguite dalla partenza
all’alba in direzione ovest; quando non vi
sono ostacoli, ci si ferma soltanto per il tempo indispensabile per le necessità fisiologiche.
Non stupisce. I viaggiatori devono ubbidire a
ordini imperiali e celesti, e soprattutto devono divenire, devono raggiungere la perfezione buddista. E’ una continuità della
natura, ed è il percorso formativo dei personaggi; attraverso una sola vita o, se occorrono,
più vite.
Reincarnazioni e ascesi sono trattate in modo
molto materiale; il lettore occidentale per
diletto non si troverà trascinato a divenire esperto di mistica orientale, ma in compenso
non avrà difficoltà a familiarizzarsi.
Romanzo satirico
Scimmiotto a contatto con le corti umane, celesti e infernali genera satira capace di ferocia. Porcellino è un personaggio comico, con
le incombenze del buffone. Un po’ tutti i personaggi sono caratterizzati o agiscono con
aspetti che muovono il riso o il sorriso. E’
chiaro che nessuna delle etichette elencate è
più giusta delle altre, nemmeno quella di romanzo umoristico, oppure satirico. Ma l’ingrediente fondamentale, che nel libro dà
rilievo a ogni altro sapore, è precisamente un
umorismo pervasivo, anzi una coppia di
umorismi: quello generato dalla benevolenza
e dall’ottimismo, e quello che ha radici nell’ira e nel disprezzo.
La principale molla del comico è l’innesto –
sulla fiammeggiante fantasmagoria orientale
– della grigia e quotidiana prassi della burocrazia mandarinale. Si noterà che l’accostamento non è gratuito: la corte cinese (come
del resto altre corti, anche in tempi a noi vicini) credeva davvero di gestire con la burocrazia sia l’universo vero, sia – dove eventualmente se ne differenzi – l’universo fantastico.
Romanzo di viaggi
Per concludere il gioco ci si aspetterebbe,
considerati il titolo (viaggio o peregrinazione
che sia) e il soggetto del libro, di poterlo considerare anche come romanzo di viaggi. Ed è
vero che i personaggi camminano per anni,
ma è come se conducessero un’infinita esplorazione dei dintorni del loro punto di partenza. Lo spazio-tempo del viaggio, sorvegliato
nei cicli stagionali, è per ogni altro verso
simbolico e irrealistico. Una curiosa invenzione fa convivere, accanto a uno spaziotempo espanso più del vero mediante la ripetizione, un altro che viene contratto a piacere
da un viaggiatore velocissimo, che lo divora
ancor più in fretta di quanto sappiano fare i
nostri tappeti volanti a reazione, pur sufficienti a ridurre il mondo a un villaggio.
In compenso, per chi non sia del posto e del
tempo, c’è molto da imparare sulla Cina del
XVI secolo, e le pagine del libro sono ricchissime di informazioni dal vivo: i personaggi viaggiano davanti a fondali dipinti, ma i
lettori compiono un autentico viaggio-soggiorno nello spazio e nel tempo. Abitudini
quotidiane, cibo e cucina, abiti e oggetti,
abitazioni, templi, funzioni religiose, burocrazia, giustizia, guerra, caccia, armi, diplomazia, rapporti personali, rapporti familiari,
medicina ecc. Gli ambienti più esplorati sono
i conventi e le corti, con la relativa buro-
Sun Wukong, Scimmiotto
Perché il Viaggio in Occidente è un grande
libro? Il perché è Scimmiotto. Si è detto
come il protagonista del viaggio in occidente
sia ufficialmente il monaco Tripitaka, ma Wu
Cheng’en ha preferito utilizzarla solo di
sbieco e ha puntato tutto su Scimmiotto.
qquadro. Scimmiotto non ama la menzogna e
la usa solo a ragion veduta, di solito come arma di combattimento.
Scimmiotto ha una duplice, curiosa qualificazione metafisica e metaforica, da non ignorare nel corso della lettura delle sue imprese,
per coglierne insieme il lato notturno e quello razionale.
Da un lato, benché figlio del cosmo (della
limpidezza celeste e del rigoglio terrestre, da
loro nutrito in seno a una rupe che lo partorisce), egli incarna una scheggia del caos
primordiale. Brilla nel cosmo attraverso tutte
si rivolgeva al potere costituito, esercitando
ora la ribellione, ora il mugugno: queste circostanze aiutano a spiegare la sorprendente
capacità che mostra Scimmiotto di parlare (o
far parlare la Cina) al lettore occidentale.
Tuttavia lo sguardo che i suoi “occhi di fuoco dalle pupille d’oro” rivolgono a persone e
cose resta sempre il più limpido, e il più
comprensibile anche per gente, come noi,
lontana dal suo tempo e dal suo paese. Grazie a lui possiamo mescolarci al pubblico dei
destinatari originari del racconto, condividerne il piacere e comprendere senza sforzo la loro umanità.
Cultura
crazia; ma anche case di contadini e mercanti.
Non stupirà che la saggezza esoterica sia accompagnata dalla saggezza popolare, con un
flusso continuo dei proverbiali proverbi cinesi.
Scimmiotto in
Occidente
E’ lui che mette in gioco tutti gli altri personaggi, uomini, dèi e mostri. Chi non entra in
conflitto con il collerico Scimmiotto, in
questa storia può solo vegetare ai margini.
Man mano che il racconto avanza si sarebbe
portati a dimenticare la sua natura scimmiesca; sia perché è un uomo straordinario,
dotato di una incontenibile, perenne, destabilizzante, feroce allegria e soggetto a una
collera incendiaria; sia perché detiene il punto di vista dominante, e il lettore viene invitato a identificarsi con lui. La vita lo porta fino
a salire al paradiso taoista e a metterlo a so-
le ere del tempo che ciclicamente lo rinnovano, ma non partecipa del suo ordine del
momento: è invece un principio di distruzione, ed è forse la possibilità perennemente latente di ordini diversi.
D’altro lato egli – la scimmia – simboleggia
il cuore d’uomo:
Applicando insieme le due metafore al
medesimo personaggio, Wu Cheng’en le
identifica fra loro, o almeno le forza a convivere.
Scimmiotto dovette piacere alla gente anche
per l’insolito spirito di indipendenza con cui
Oggi la Cina sembra aver
compiuto la sua secolare discesa e permanenza agl’inferi, e
ne sta risalendo come una freccia, per quanto lungo possa essere il percorso. Gradualmente
essa perderà il connotato di
paradiso del lavoro a basso
costo, e andrà acquistando
quello di grande mercato (magari alla fine il più grande del
mondo). Ciò che probabilmente non cambierà, sarà l’impossibilità di capirla con il solo aiuto di idee occidentali.
Nel retaggio dei cinesi vi è un
talento senza pari per i commerci, le tecnologie e ogni forma di saper vivere. Essi hanno
certo buone carte per aver successo nella “competizione
globale”, e nei prossimi decenni non mancheranno di dimostrarlo.
Ma nulla, che da fuori entri in
Cina, rimane qual era. Non
perché il paese sia “chiuso”,
ma perché ha sempre avuto
una potente propensione (e i
mezzi culturali occorrenti) per
tutto trasformare, metabolizzare e sinizzare. Per convivere
con costoro (e sarà un affare
eccellente, oppure una necessità inderogabile) bisognerà
accettare di ricevere da loro
non meno di quanto si dia: è inevitabile incontrarsi a mezza strada. Dunque bisognerà
conoscerli bene.
Di che cosa sono fatti i cinesi? Il Viaggio in
Occidente, per esempio, con la sua vitalità
che perdura dopo quattro secoli tumultuosi, è
uno dei tanti ingredienti. Una molecola della
mente cinese è custodita qui.
Cosa resta infine da dire?
Tuffatevi nella lettura di questo meraviglioso
affresco del Viaggio in Occidente per comprendere al tempo stesso il presente, il passato, e il futuro che ci aspetta! Buona lettura.
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