La fusione di Banca CRT e UniCredito Italiano

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La fusione di Banca CRT e UniCredito Italiano
La fusione di Banca crt e UniCredito Italiano
di Giampietro Morreale
Premessa
La Banca crt SpA, costituita il 20 dicembre 1991 in applicazione
della legge Amato, fu incorporata il 30 giugno 2002 da UniCredito
Italiano. Osservando un evento di questo tipo dall’esterno si può
avere l’impressione di assistere ad un atto istantaneo. In realtà si trattò di un evento complesso e prolungato, iniziato molto tempo prima
e conclusosi solo gradualmente e parecchio tempo dopo la data di
chiusura ufficiale dell’impresa. La percezione degli eventi è un fenomeno relazionale, legato al mix di diverse appartenenze che ciascuno
condivide nella sua vita quotidiana. Nei rapporti con una banca si
possono avere vari livelli di prossimità e di coinvolgimento materiale
e/o emotivo in funzione dei diversi ruoli di azionista, dipendente,
cliente o fornitore che ciascun soggetto può avere con essa. Ruoli
che hanno maggiori o minori livelli di intensità e possono sommarsi
tra loro.
Lo scopo di questa nota, narrata dall’interno, è fornire una visione complessiva dei fatti, nonché delle ragioni che li determinarono
e del contesto operativo in cui si svolsero. L’obiettivo è quello di
consentire a chi rivestiva solo taluni di questi ruoli o non ne rivestiva alcuno ed era un semplice spettatore esterno – al limite neppure
appartenente ai territori di tradizionale riferimento della Banca – di
osservare gli eventi con la maggiore disponibilità di informazioni di
chi, entro la Banca, si trovò ad agire, a diversi livelli, in pieno coinvolgimento operativo. Chi si trovava in tale situazione non fu colto
di sorpresa dall’atto finale della fusione, avendo vissuto il processo
di lungo periodo che culminò in essa, né ebbe occasione di porsi gli
stessi interrogativi che poterono invece porsi le persone meno o per
nulla coinvolte nello svolgimento degli eventi.
Una prima osservazione è quella che la fusione di Banca crt non
fu un atto isolato. Non lo fu in sé, perché avvenne insieme a quella
di altre Banche1 ed alla successiva creazione, a sei mesi di distanza, di
tre Banche nazionali di segmento2. Non lo fu inoltre perché questa
sia pur complessa operazione non fu che una delle tappe e non la prima, del lungo processo che portò all’attuale assetto di UniCredit. Per
citare solo gli eventi maggiori essa era stata preceduta dall’operazione
Credit-Carimonte, che portò alla nascita di Rolo Banca 1473 e se-
1
Credito Italiano, Rolo
Banca 1473, Cariverona Banca, Banca crt, Cassamarca, cr
Trieste Banca, caritro (Cassa
di Risparmio di Trento e Rovereto).
2
UniCredit Banca, UniCredit Banca d’Impresa, UniCredit
Private Banking.
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guita dalla fusione cross border con le Banche tedesche ed austriache
hvb e Bank Austria e poi dall’incorporazione del Gruppo Capitalia.
Non lo fu infine ed ancora di più perché, a sua volta, la formazione del Gruppo UniCredit si inserì, sia pure in modo autorevole ed
originale, in un contesto di analoghe operazioni che portarono alla
riduzione del numero di banche del sistema: il vero obiettivo della
legge Amato, per la quale le privatizzazioni erano solo lo strumento
preliminare che avrebbe poi reso possibili le aggregazioni. La maggior parte dei marchi storici esistenti prima del 1990 sono scomparsi
e le principali Banche hanno oggi, salvo eccezioni, sia nomi che dimensioni neppure immaginabili vent’anni or sono.
Una seconda osservazione riguarda un rischio sempre presente
nella ricostruzione storica, anche di epoche recenti: quello dell’anacronismo. Oggi conosciamo l’esito finale del processo di aggregazione bancaria, ma questo non era affatto scontato né prevedibile durante lo svolgimento degli eventi ed in particolare nella fase iniziale.
I protagonisti avevano bensì chiara la direzione in cui si muovevano
ma non potevano prevedere esattamente quali Banche alla fine si
sarebbero aggregate. Nel ripercorrere gli eventi che si conclusero nel
2003 non ci si deve dunque far condizionare dalla conoscenza dettagliata di quelli che si verificarono in seguito, in particolare dal 2005
in poi. In tal senso si deve anche tenere nel debito conto la notevole
differenza di clima economico: non bisogna cioè dimenticare che la
crisi mondiale esplosa nel 2008 e soprattutto la tipologia e la lunghezza dei suoi strascichi erano ben lungi dall’essere previsti e forse
prevedibili. Il clima era, al contrario, quello di una crescita sostenuta
e sostenibile.
Unicredito (1997-1998)
Alla luce di queste considerazioni si può datare l’inizio del processo di aggregazione al 1997, cioè sei anni dopo la nascita della crt
SpA. Fino a quell’anno la Banca, che rimase sempre controllata al
100% dalla Fondazione di origine bancaria che era nata insieme a
lei dalla scissione della Cassa di Risparmio di Torino, aveva continuato a muoversi nel solco del suo tradizionale processo evolutivo.
Unica discontinuità era stata la trasformazione in Gruppo bancario
crt nel 1995, seguendo peraltro la più diffusa scelta organizzativa di
quel periodo, incoraggiata anche da autorità e normative. Nel 1997
invece si concretizzò un vero salto di qualità, con la decisione di
aderire al processo di aggregazione del Gruppo Unicredito, che si era
già formato in Veneto con la Cassa di Risparmio di Verona Vicenza
Belluno e Ancona, la Cassamarca di Treviso e, in posizione più marginale, la Cassa di Risparmio di Trieste.
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Tale scelta rispondeva a due esigenze, una esterna ed una interna.
La prima riguardava le Fondazioni di origine bancaria, che dovevano
valorizzare le azioni bancarie per dare al patrimonio maggiore liquidità e diversificazione, cedendone nel contempo il controllo totale.
Sotto questo profilo fino al 1995 non era accaduto nulla: il sistema bancario doveva ancora riassorbire gli effetti della crisi valutaria
del 1992. La legge imponeva inoltre di mantenere sotto controllo
pubblico il 51% delle azioni delle banche privatizzate. Tale obbligo
cadde nella seconda metà del 1995. Quello che fino ad allora era
stato solo un processo di privatizzazione vide, in conseguenza, le prime mosse della seconda fase, quella delle aggregazioni. Si ritornerà
sull’argomento in seguito, per ora basti tenerlo presente.
La seconda esigenza era invece di ordine interno. Si trattava del
processo evolutivo di ciascuna Banca privatizzata, nella sua nuova veste di società per azioni. Uno dei principali obiettivi della legge Amato era quello di semplificare il sistema bancario italiano, nel quale
operava un numero eccessivo di soggetti di dimensione troppo piccola per non divenire semplicemente preda di grandi banche estere una
volta aperte le frontiere. Nei primi anni le Casse privatizzate avevano
continuato ad agire nella tradizionale ottica regionale nella quale, del
resto, era cresciuta tutta la loro classe dirigente e nella quale si muovevano con agilità. La confluenza di una grande Banca piemontese
come crt in Unicredito, formata da Banche venete, aveva invece una
logica nuova e ben precisa: quella di sommare i processi di espansione, ormai in corso da anni, di diversi organismi bancari sani e vitali.
Due erano, da sempre, i percorsi di crescita: apertura di nuovi
sportelli o acquisizione di banche di minori dimensioni. Ambedue
erano stati tentati da tutte le banche: l’uno dalla seconda metà degli anni Ottanta, l’altro dalla prima metà degli anni Novanta, da
quando cioè le autorità politiche e la Banca d’Italia avevano preso la
decisione di porre fine alla “foresta pietrificata”. Era, infatti, iniziato
un irreversibile processo di integrazione continentale con la deliberata prospettiva dell’Unione Monetaria Europea. Il sistema bancario
italiano doveva adeguarsi alle dimensioni ed alla tipologia standard
delle banche estere, con le quali stava per entrare in stretto contatto
operativo e concorrenziale, non più solo di correspondent banking
come era avvenuto fino ad allora.
crt aveva percorso ambedue le strade: tra il 1983, ai primi cenni
di scongelamento del sistema, e il 1992, quando era divenuta una
SpA, era passata da 219 sportelli a 306, per lo più aprendone di
nuovi, ma anche incorporando la Banca Subalpina che aveva a sua
volta assorbito il Banco di Bergamo e ne aveva portati in dote 18,
ben 11 dei quali in Lombardia. La Banca crt aveva anche assunto
partecipazioni rilevanti, seppure non maggioritarie, in cinque Casse
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di minori dimensioni del Piemonte meridionale: Bra, Fossano Saluzzo, Savigliano e Tortona ed infine nella Banca della Valle d’Aosta,
nella evidente prospettiva di integrarle, riprendendo l’antica politica
di consolidamento regionale che già prima della guerra l’aveva vista
assorbire Casse locali a Casale Monferrato, Pinerolo e Ivrea.
Le Casse privatizzate del Veneto che avevano dato vita ad Unicredito avevano fatto lo stesso: Cariverona aveva aperto molti sportelli
ed incorporato la Banca del Monte di Rovigo, la Cassa di Risparmio
di Ancona e la Banca Cuneese Lamberti Mejnardi. Cassamarca, che
muoveva da un territorio “statutario” d’origine limitato alla provincia di Treviso aveva invece seguito la sola strada dei nuovi sportelli. I
rispettivi punti di partenza erano diversi: quello di Cassamarca aveva 800.000 abitanti ed una sola città non molto grande. Il territorio base di Cariverona invece era di quattro province, le tre sul lato
alpino del Veneto più Mantova, con 2.200.000 abitanti, due città
medio-grandi e diverse altre più piccole.
Anche Banca crt muoveva da una base assai robusta: due province, Torino e Aosta (l’antica provincia di Torino) con una popolazione pure di 2.200.000 abitanti, ma fortemente polarizzata in una
grande metropoli con una prima rete di città satellite ed una seconda e più ampia fascia d’espansione verso l’intera regione Piemonte.
L’esperienza di quegli anni aveva però dimostrato che la redditività
degli sportelli di nuova apertura era maggiore nelle zone tradizionali:
più lontano si andava e meno rendevano, non solo per motivi logistici ma per le difficoltà di penetrazione in mercati sconosciuti e con
mentalità diverse. L’acquisizione di banche di minori dimensioni invece aveva bensì alti costi, in particolare dal punto di vista organizzativo, ma forniva sportelli già inseriti nei mercati locali e consentiva
salti dimensionali altrimenti impossibili in tempi brevi.
Il fattore tempo si rivelò presto determinante. La drammatica
crisi valutaria del 1992, verificatasi appena dopo la privatizzazione,
ebbe anche pesanti e lunghe conseguenze di borsa. Le nuove banche
erano SpA con l’obiettivo di giungere alla quotazione sul mercato e
distribuire la maggioranza delle azioni presso il pubblico e gli investitori istituzionali. La crisi delle borse aveva rallentato un processo
che avrebbe, invece, dovuto svolgersi a tappe forzate per l’incombere
delle scadenze internazionali. Le nuove opportunità avevano inoltre
già portato alle prime mosse di grandi banche estere in Italia ed il clima non era di grande fiducia in sé. Ad esempio la Banca d’America
e d’Italia, dopo l’acquisizione, mutò il suo nome in Deutsche Bank
con il pieno accordo del management interno e dei dipendenti che
ritennero il nuovo nome più invitante per il pubblico.
Tornando alle banche privatizzate, sia il management bancario
che gli azionisti unici e/o di riferimento, cioè le Fondazioni di ori-
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gine bancaria, si resero conto che occorreva accelerare. Queste due
componenti erano ancora molto vicine, si erano separate da pochi
anni e non c’era stato avvicendamento. La sensazione di urgenza sul
piano operativo maturò, prima che a Torino, a Verona. In Veneto
la situazione era diversa, in particolare per la possibilità di usare la
leva dell’apertura di sportelli. Questa infatti diventava più costosa e
meno efficace in territori più intensamente bancarizzati e cessava di
funzionare al raggiungimento di una sorta di “barriera naturale” attorno alla densità di 1.100 abitanti per sportello, in territori ad alto
reddito. Questo limite fu individuato empiricamente in analisi degli
uffici direzionali che, in quegli anni, si occupavano dell’argomento:
Marketing strategico, Rete sportelli, Controllo di gestione.3 Cariverona muoveva da una base “prealpina” nella quale la saturazione fu
presto raggiunta tra il 1989 ed il 1994. Alle spalle c’era un’area alpina, il Trentino Alto Adige, già soprassatura fin dal 1989, mentre
le pianure verso il mare, in direzione di Venezia e Ravenna, avevano
ancora margini di espansione.
L’esperienza vissuta a partire da quegli anni a contatto con i colleghi “nati” in tutti i soggetti bancari, integrata dalla lettura dei rispettivi documenti storici, porta chi scrive a ritenere molto importanti le
diverse visioni del territorio. Da Verona lo spazio aperto era il SudEst: da cui gli acquisti a Rovigo e Ancona, ma senza scoprire il fianco
destro, dove incombeva il triangolo lombardo-ligure-piemontese ad
alta densità di popolazione, industria e finanza, da cui gli insediamenti nel Bresciano e l’acquisto a Cuneo. Come a voler definire un
perimetro, delimitando con una linea Cuneo-Ancona l’area a Nord
dell’Appennino entro cui svolgere la propria azione, in un triangolo
sul cui terzo vertice si trovava Belluno. Un modello istintivamente
“scaligero” che, come nel medio evo, scontò l’impossibilità di integrazione con la vicina area costiera. Solo Treviso accettò di entrare
in Unicredito, in modo più sfumato Trieste, ma questo accentuò il
vuoto in direzione di Venezia e Padova e rafforzò la logica scaligera
di muovere infine verso il retroterra in direzione Ovest.
Il modello di visione territoriale della Banca crt era invece francamente “sabaudo”: consolidare la posizione in Piemonte muovendo
dalla parte occidentale, per completare prima di tutto l’asse TorinoAosta verso Sud con il Cuneese e da questa base muovere verso il
Piemonte orientale. Necessaria premessa ed immediato retroterra
per l’espansione in Lombardia ed Emilia occidentale, senza dimenticare, anche in questo caso, di coprirsi il fianco destro durante l’avanzata, ponendo un buon numero di punti d’appoggio in Liguria e
qualcuno in Toscana, sia pure senza eccessive pretese.
D’altra parte dal punto di vista bancario l’area di Torino non
era affatto satura e quindi Banca crt si era mossa su un orizzonte
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3
Per un’analisi puntuale si
veda il set di mappe nell’Appendice fotografica.
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geografico non tanto più stretto, quanto di forma diversa: la sua era
un’espansione a semicerchio con intensità decrescente, perché i profitti nell’area centrale erano ancora molto forti. Le Casse di Risparmio avevano tradizionalmente il bilancio accentrato, ma i sistemi
di contabilità gestionale messi a punto negli anni Ottanta avevano
consentito di calcolare la redditività netta dei singoli sportelli. Quelli
in provincia di Torino raggiungevano il punto di pareggio in tempi
brevi, che però crescevano in Piemonte ed ancor più nelle altre regioni.
Non si devono sottovalutare queste visioni geografiche dei territori perché agiscono a livello istintivo, fanno cioè parte del bagaglio
antropologico non tanto del territorio quanto dell’impresa che vi ha
sede e nella quale una persona si forma professionalmente ricevendone l’imprinting. Se l’impresa è locale e fortemente innervata in un
territorio dato, da quel punto di vista si vedono solo certi territori
limitrofi, ma non altri. Le barriere montuose paiono in tal senso
molto importanti: non sono solo un ostacolo fisico ma anche un
ostacolo mentale. Del tutto diverso era il bagaglio antropologico delle persone formate in una banca deliberatamente nazionale come, ad
esempio, il Credito Italiano. Per esse non esistevano simili barriere,
né importavano le distanze o i trasferimenti, mentre si scontava una
difficoltà di lettura dei territori extra-urbani, come quelli dei distretti, che invece stavano diventando sempre più importanti. Su questo
argomento si ritornerà in seguito.
Tutte le Banche dunque si stavano muovendo e le due realtà in
espansione, Banca crt da Torino e Unicredito dal Veneto, entrarono
fisicamente in contatto nel 1995-96 lungo una linea che andava da
Cuneo a Bergamo. Ad Ovest e Nord-Ovest prevaleva crt, a Est e a
Sud-Est Unicredito. Si è visto perché l’urgenza di mutare la tipologia
d’espansione fosse maturata prima a Verona. La Provincia di Torino
invece non era ancora satura e anche nel 1999 sarebbe stata una delle
poche del Nord-Italia a non esserlo, nonostante due grandi Banche,
crt e San Paolo, avessero sede a Torino. Il fatto di avere una base ancora profittevole comunque non mutava i termini del problema perché la Banca, per crescere, avrebbe dovuto implodere verso il centro.
L’apertura di nuovi sportelli stava in ogni caso mostrando i suoi limiti perché richiedeva tempi troppo lunghi. Nel 1997 questi limiti, già
individuati dal management, si sarebbero uniti alle opportunità degli
azionisti, che dovevano collocare le azioni ed avevano la necessità di
abbandonare il controllo totale delle rispettive Banche.
Alla base restava però la constatazione che il processo di crescita
per linee interne, aprendo nuovi sportelli, sia pure integrati dall’incorporazione di alcune banche di minori dimensioni, non portava
abbastanza lontano. La Cassa di Risparmio di Torino nel 1983 aveva
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219 sportelli, 40 dei quali a Torino, 108 in provincia, 55 nel resto
del Piemonte, 14 in Valle d’Aosta e 2 in altre regioni. Nel 1992,
ormai divenuta Banca crt, possedeva 306 sportelli, dei quali 54 a
Torino, 134 in provincia, 67 nel resto del Piemonte, 16 in Valle
d’Aosta e 35 in altre regioni. Uno sforzo organizzativo e finanziario
enorme, portò nel 1996 la rete a crescere ancora fino a 389 sportelli,
dei quali 61 a Torino, 155 in provincia, 90 nel resto del Piemonte,
22 in Valle d’Aosta e 61 in altre regioni. Non si potevano aprire più
di 20 sportelli all’anno e comunque la loro redditività decresceva con
l’aumento della distanza. Per ottenere risultati di rilievo occorreva altro. Fu proprio in quel momento che il mercato finanziario si rimise
in moto, generando di colpo nuove opportunità.
Gli stessi limiti alla crescita erano stati notati anche dalle altre
Banche impegnate in analoghe operazioni in aree differenti e sulla
base di questa logica, tra Verona e Treviso, si era costituita Unicredito, per aggregare anche altre Casse del Triveneto. Eppure questo
tipo di sviluppo per regione, che potrebbe apparire così lineare e che
esisteva solo in Lombardia fin dal xix secolo, non si concretizzò in
nessun’altra. Da un lato ciò dipese dagli equilibri tra le Fondazioni
di origine bancaria, ma il fatto che sia fallito ovunque fa pensare
che ci sia stato qualche ostacolo di natura più strutturale. Forse un
processo di quel tipo da un lato sarebbe stato necessariamente più
lento, dall’altro avrebbe portato a risultati troppo modesti dal punto
di vista dimensionale. Ma sin dal 1996 e in modo decisamente più
brusco dal gennaio 1997, si entrò in una nuova fase dell’evoluzione
del sistema bancario italiano. La borsa iniziava una galoppata che in
soli 18 mesi l’avrebbe portata a moltiplicare per 5-10 volte le quotazioni.
L’accordo con Cariverona risaliva al 1995 ma il “fidanzamento”
raggiunse l’obiettivo del matrimonio solo due anni dopo, a causa
del difficile incastro istituzionale tra due diversi problemi: la forma
giuridica che consentisse di ottenere le agevolazioni fiscali previste
dalla direttiva Dini e l’equilibrio tra le due Fondazioni di maggiore
dimensione (Verona e Torino), che volevano mantenere la pariteticità ed evitare che la Banca dell’una potesse passare sotto il controllo
dell’altra. Fu necessario tutto il 1996 per trovare la formula giusta:
in particolare se creare una nuova holding, Unibanca, o far confluire
crt direttamente in Unicredito.
Questa seconda opzione fu scelta nel 1997 e formalizzata il 30
settembre. Già prima del conferimento ed in previsione di esso iniziarono però le prime mosse di una vera e propria mutazione genetica: in particolare sul piano interno fu riorganizzata la struttura
della Banca. Il punto di vista cambiò radicalmente: non c’era più un
centro in espansione potenzialmente illimitata, ma una ben definita
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porzione di territorio da gestire. Vennero sciolti i Servizi filiali che
governavano porzioni di rete da Torino e costituite otto Direzioni
territoriali dislocate direttamente in loco. Queste erano a loro volta
articolate in 24 Filiali, dalle quali dipendevano le Agenzie. La stessa
organizzazione veniva applicata a Verona. Era il modello a tre livelli
che le grandi SpA avevano applicato da sempre e, come in esse, fu
accompagnato da un sostanzioso accrescimento delle facoltà di credito dei direttori locali.
Un altro mutamento radicale era relativo al piano esterno delle partecipazioni. Quelle nelle Banche locali a questo punto avevano senso solo in una prospettiva di reale integrazione in tempi non
troppo lunghi. Chi non poteva o non voleva stare al passo doveva
scendere dal convoglio: la logica del mercato non consentiva più di
attendere i ritardatari e gli svogliati. Vennero così cedute la partecipazioni del 16% nella Banca della Valle d’Aosta e del 25% nella
Cassa di Risparmio di Tortona. Lo stesso avrebbe fatto Cariverona
con la partecipazione del 25% nella Cassa di Risparmio di Udine e
Pordenone.
Le linee progettuali di questi primi mutamenti erano già state
definite in marzo e in luglio i nuovi Amministratori nominati dalla Fondazione crt si erano insediati nel Consiglio di Unicredito:
in particolare Andrea Comba con il ruolo Vice-Presidente vicario
ed Enrico Filippi, Presidente della Banca crt, con quello di VicePresidente. Inoltre i due Direttori Generali, Giorgio Giovando della
crt e Giuseppe Mazzarello di Cariverona assunsero la carica di Amministratori delegati di Unicredito, pur conservando gli incarichi
nelle rispettive Banche di provenienza. La Sede legale di Unicredito
si sarebbe spostata a Torino, mentre la Direzione operativa sarebbe
rimasta a Verona.
L’operazione però non era conclusa ma appena iniziata, ciò spiega
il doppio incarico ai due Dirigenti. La fusione, infatti, non doveva
essere formale ma sostanziale. Unicredito era un Gruppo bancario e
pertanto, in particolare nei confronti della Banca d’Italia, diventava
titolare di una serie di attribuzioni: referente per la vigilanza, responsabile delle segnalazioni contabili, dell’adeguatezza patrimoniale, delle partecipazioni, del rischio, dei controlli interni e dell’organizzazione. La Banca d’Italia avrebbe cioè chiesto ad Unicredito, per
tutte le sue controllate, quanto prima chiedeva alla Banca crt per
il suo Gruppo: una gestione unitaria ed un effettivo controllo sulle
scelte strategiche e sull’equilibrio gestionale delle singole banche e
società del Gruppo. Questi aspetti devono essere tenuti ben presenti
per comprendere i motivi delle incisive modifiche di struttura che
la Banca crt avrebbe poi realizzato. Ciò valga inoltre, fin d’ora, non
solo per questa prima fase in sede Unicredito ma anche per la suc-
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cessiva e più ampia, in sede UniCredito Italiano, che sarebbe iniziata
l’anno successivo.
Il progetto Unicredito comunque presupponeva il mantenimento
dei marchi e perfino il rafforzamento sui mercati tradizionali, ma richiedeva la separazione e la messa a fattor comune di gran parte delle
strutture centrali. L’obiettivo era quello di creare una Capogruppo
che fornisse efficienti servizi di supporto alle reti commerciali delle
banche, permettendo loro di focalizzarsi sui rispettivi mercati e sulle necessità della clientela, ed avesse anche una struttura capace di
integrare altre banche. Definito il percorso, nell’autunno del 1997
vennero creati gruppi di lavoro misti crt/Cariverona/Cassamarca.
Sulla base dei risultati del loro lavoro vennero costituite le Direzioni
della holding Unicredito4.
Presero così corpo fenomeni nuovi, che in seguito sarebbero divenuti normali. Banca crt distaccò parzialmente sulla holding i primi
tre dirigenti: Piero Botto, Secondino Natale e Franco Leccacorvi,
come Direttori delle Partecipazioni, del Coordinamento e del Bilancio, mantenendo le rispettive funzioni nelle banche di provenienza.
Nasceva un nuovo tipo di manager mobile, con uffici in diverse città.
Un mutamento agevolato dalla piena maturazione delle tecnologie
informatiche: pc portatili, telefoni cellulari e posta elettronica. Iniziava anche un inedito scambio di professionalità: fino ad allora i
manager si erano incontrati in sedi ufficiali tendenzialmente neutre,
tipicamente quelle interbancarie, ora divenivano colleghi pur restando di banche diverse. Fenomeno che, fin dal principio, non riguardò
solo il vertice ma anche i numerosi quadri direttivi che fecero parte
dei gruppi di lavoro.
La ristrutturazione, già avviata in area commerciale, doveva estendersi alla Direzione della Banca crt le cui strutture centrali impegnavano più di 1.200 dipendenti sul totale di 5.000. Il trasferimento di competenze alla Capogruppo comportava una semplificazione
strutturale e dimensionale a partire da contabilità e partecipazioni
che sarebbero poi state seguite da finanza, crediti, elaborazione dati,
sicurezza e stabili. In vista del mutamento di obiettivi la Direzione
Generale doveva cambiare modalità di funzionamento. La gerarchia
fu sburocratizzata, eliminando le Vice-Direzioni fisse per specifiche
attività e creando una sola Vice-Direzione Generale, resa più elastica
con la flessibilità negli incarichi e l’introduzione di una componente
variabile nella remunerazione dei manager fino ad un massimo del
20%. Queste novità erano in via di diffusione in quel momento in
tutto il sistema bancario, a partire dai vertici, sarebbero state progressivamente estese alla base.
Le sinergie di Gruppo potevano consentire un recupero di personale dalle strutture centrali. Si riteneva di poter riallocare 200-300
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4
Oltre alla Segreteria degli
Or­gani sociali e alla Finanza
d’impresa, immediatamente avviate, la holding doveva comprendere: Acquisti e logistica, Auditing
e controlli, Bilancio, Coordinamento e pianificazione dei progetti di sviluppo sul mercato,
Controllo di gestione, Organizzazione, Partecipazioni, Personale, Relazioni esterne e Riscossione
tributi.
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la fusione di banca crt e unicredito italiano
persone nella rete al servizio dei clienti. La Banca si pose quindi
l’obiettivo di raddoppiare a 40 le aperture di nuovi sportelli per il
1998, dei quali 10 in provincia di Torino, 11 nel resto del Piemonte,
12 in Lombardia, in particolare nelle province di Bergamo e Milano,
e 7 in altre regioni. Analogo piano avrebbe realizzato Cariverona
convergendo anch’essa verso l’area intermedia. La Capogruppo non
escludeva l’eventuale creazione di una nuova Banca con marchio
proprio, per attenuare la discontinuità tra Est ed Ovest. Acquisì dunque il controllo della Banca di Bergamo, che aveva un solo sportello
ma avrebbe potuto essere rapidamente sviluppata con la cessione di
quelli in zona delle altre Banche del Gruppo.
Sullo scorcio del xx secolo una qualunque operazione di fusione
e integrazione tra banche non poteva che passare attraverso il ridisegno del sistema informatico, che fu dunque uno dei primi progetti.
Poiché l’obiettivo era quello di chiudere in pochi mesi fu richiesta
dal novembre 1997 la consulenza della McKinsey. Nel marzo 1998
era stato definito il disegno della Macchina Operativa di Gruppo
– mog –, che comprendeva i sistemi informativi, le infrastrutture
tecnologiche e la gestione delle attività di back-office operativo e amministrativo. La mog sarebbe stata costituita in separata società di
servizi per tutto il Gruppo. Nello stesso tempo veniva studiato un
nuovo marchio per la Capogruppo, anche in vista della quotazione
in borsa del suo titolo.
Nell’aprile 1998, dopo un anno di intenso lavoro, la situazione
era molto positiva, sia in termini di avanzamento progettuale che di
risultati reddituali delle Banche. La borsa però continuava a salire,
anche per le aspettative sulle fusioni ormai entrate nel vivo e con
buoni risultati. Il programma originale di Unicredito prevedeva di
portare alla quotazione il titolo e smobilizzare il 50% sul mercato
attraverso un’opv. La sua esecuzione diventava complessa e rischiosa
per la crescita delle quotazioni. Il mercato era teso: il prezzo avrebbe
dovuto essere molto alto, perfino difficile da fissare, poi si sarebbe
corso il rischio di una scalata. A Verona questi aspetti erano vissuti,
come si è visto, con maggiore senso di urgenza e fu ben accolto un
sondaggio di Merril Lynch per conto del Gruppo Credito Italiano
che proponeva un forte allargamento del processo di integrazione
appena iniziato.
Questo stava andando molto bene dal punto di vista tecnico, ma
gli equilibri si erano rivelati un po’ instabili, perché i soggetti erano
pochi, con quote molto alte e diverse. crt e Cassamarca erano state
conferite per il 100% ad Unicredito, mentre il 20% delle azioni di
Cariverona erano collocate presso privati. L’architettura istituzionale
era un po’ sbilanciata, anche perché Cassamarca era più piccola e
in molti casi andava un po’ al traino di Cariverona non potendo
la fusione di banca crt e unicredito italiano
esprimere, a causa dei limiti dimensionali, una capacità propositiva
e le squadre di persone che le due Casse maggiori potevano mettere in campo. Tutti questi problemi si sarebbero risolti con la diluizione amichevole in un Gruppo già quotato, che avrebbe messo a
disposizione delle Fondazioni di origine bancaria un titolo liquido,
riducendo automaticamente il loro ruolo a quello di azionisti di minoranza. Inoltre le dimensioni del nuovo Gruppo avrebbero reso più
difficili eventuali attacchi ostili e creato un soggetto di dimensioni
più europee5. La Fondazione crt aderì anch’essa alla proposta.
UniCredito Italiano (1998-1999)
Il problema del Credito Italiano era opposto a quello delle Casse
privatizzate. La Banca disponeva di una rete nazionale che era fitta
solo nelle grandi metropoli, si smagliava già nelle loro immediate
cinture e per il resto aveva quelli che il Presidente Lucio Rondelli
definiva “insediamenti puntiformi e di grande difficoltà”. Il modello
era vecchio, adatto a quella che era stata una Banca di Interesse Nazionale, presente in tutti i centri maggiori con filiali molto grandi:
una media Succursale di provincia aveva da 25 a 50 dipendenti e le
Agenzie non meno di 6, mentre quelle della crt avevano una media
di 4 addetti. La presa sul mercato di questi due modelli di banche,
nazionale a maglie larghe e locale a maglie fitte era stata del tutto diversa a partire dalla metà degli anni Ottanta, quando erano maturate
le prime conseguenze di due silenziose rivoluzioni della prima metà
degli anni Settanta, quella del trasporto su gomma e quella fiscale.
In quegli anni le reti autostradali si erano saldate: l’automobile
e l’autoarticolato erano divenuti l’elastico strumento standard per
il movimento di persone e di merci. Altrettanto importanti furono
la scomparsa dei dazi, sostituiti dall’iva, la cessazione della capacità
impositiva degli enti locali e la trasformazione delle imprese in sostituti d’imposta. Cancellati i vincoli fisici e fiscali che portavano alla
concentrazione, le strutture centralizzate iniziarono a disgregarsi,
trasformandosi in arcipelaghi. Le grandi città italiane persero progressivamente popolazione mentre le industrie abbandonavano le
prime periferie urbane per ridislocarsi in cinture più ampie oppure
nei contadi, in distretti diffusi per decine di chilometri.
Le conseguenze di questi radicali mutamenti nella composizione
fisica e relazionale dei mercati erano state diverse per le banche nazionali e per quelle locali. Il Credito Italiano nel 1983 aveva 17.100
dipendenti e 435 sportelli; nel 1993 i dipendenti erano scesi a 15.800
e gli sportelli saliti a 635; alla fine del 1997 gli sportelli erano cresciuti ancora fino a 730 mentre i dipendenti diminuivano a 13.800.
Lo stesso andamento si verificò nelle altre banche nazionali. Diver-

5
Il Gruppo avrebbe avuto
più di 2.500 sportelli, quasi
27.000 dipendenti ed avrebbe
costituito il 10% del sistema
bancario italiano, con 175.000
miliardi di raccolta e 147.000
di impieghi.

la fusione di banca crt e unicredito italiano
sa fu la vicenda quantitativa delle maggiori banche locali, come la
Cassa di Risparmio di Torino che nel 1983 aveva 4.600 dipendenti,
saliti a 5.300 nel 1992 e ridiscesi a 5.000 nel 1997 con una rete di
oltre 400 insediamenti.
I due modelli tentavano di convergere e in tal senso il Credito Italiano aveva effettuato un incisivo sforzo di apertura di nuovi
sportelli, che però ormai cozzava contro gli stessi limiti individuati dalle altre banche. Per quella via non sarebbe più stato possibile
correggere lo squilibrio verso i centri maggiori, che si sostanziava in
170 grandi Filiali urbane e 250 Agenzie di medie dimensioni, solo
300 avevano la taglia ridotta di quelle delle banche locali. Occorreva
integrare delle reti locali già formate.
Nel 1994 Lucio Rondelli, rientrato come Presidente dopo l’uscita
del Credito Italiano dall’iri, aveva riaperto il dossier delle acquisizioni. Nel 1989 come Amministratore Delegato aveva già tentato
l’integrazione della Banca Nazionale dell’Agricoltura. L’operazione,
troppo in anticipo sui tempi, non era riuscita e nel 1990 Rondelli
era stato dimissionato dall’iri. Per accelerare le dinamiche aziendali,
Rondelli scelse all’esterno un giovane manager, Alessandro Profumo, che nel 1995 divenne Direttore Generale del Credito Italiano.
Intanto pose la sua attenzione sul Credito Romagnolo, che aveva
6.300 dipendenti e 350 sportelli, concentrati in Romagna e Friuli. Era una società per azioni quotata in borsa, fu dunque lanciata
un’offerta pubblica di acquisto.
Non è il caso di ripercorrerne gli eventi, basti rammentare che
una contro-offerta ne alzò il prezzo e l’operazione riuscì solo grazie all’alleanza con Carimonte, una Holding nata come Unicredito
dall’unione di due banche locali: la Cassa di Risparmio di Modena
e la Banca del Monte di Bologna e Ravenna, che però erano state
fuse in un’unica Carimonte Banca. L’acquisizione del Credito Romagnolo sfociò in un accordo tra il Credito Italiano e Carimonte
holding. Tra le due Banche emiliane si ebbe una nuova effettiva fusione: il Credito Romagnolo incorporò Carimonte Banca e mutò
il suo nome in Rolo Banca 1473. Il controllo di quest’ultima, che
iniziò ad operare il 1 gennaio 1996 con 8.100 dipendenti e 640
sportelli, sarebbe stato esercitato in comune attraverso una società
Credit-Carimonte.
Questa breve ripresa dei precedenti rende chiara la logica dell’offerta che il Credito Italiano presentò ad Unicredito nel 1998 e fu
così ben accolta. Fin dal 1996 il Gruppo Credito Italiano operava
con una Banca nazionale a rete larga ed una Banca regionale a rete
fitta, si trattava di allargare il modello, aggiungendo altre Banche
locali per avere una forte copertura anche in Veneto e Piemonte. Le
Banche avrebbero mantenuto vita propria. Il Credito Italiano avreb-
la fusione di banca crt e unicredito italiano
be assorbito la holding Unicredito, per trasformarsi a sua volta in holding col nuovo nome di UniCredito Italiano. Era infine previsto lo
scorporo delle filiali proprie per ridare, in tal modo, vita al Credito
Italiano che però sarebbe stato una controllata come le altre, sia pure
nazionale anziché locale.
Questo dal punto di vista delle logiche di rete bancaria. Trattandosi però di una fusione tra società per azioni, avevano pari importanza
gli equilibri societari. Ai vecchi azionisti del Gruppo Credito Italiano
(compresi quelli di Rolo Banca) sarebbe rimasto il 61% delle azioni,
mentre il 39% sarebbe andato alle tre Fondazioni di origine bancaria
di Unicredito, che si impegnavano a cedere a terzi metà delle loro
quote entro due anni. Il risultato era frutto di un’attenta valutazione
del patrimonio delle Banche da incorporare, che presentava un’eccedenza rispetto ai coefficienti di solvibilità richiesti dalla Banca d’Italia.
L’ottimizzazione del capitale necessario alla futura attività consentiva di distribuire patrimonio agli azionisti di Unicredito, prima della
fusione, in forma di dividendo straordinario. La somma liquida di
pertinenza della Fondazione crt era di 495 miliardi.
Progressivamente le parti risultanti dalla scomposizione di quella
che era stata la Cassa di Risparmio di Torino andavano differenziandosi, precisavano i loro ruoli e si strutturavano in conseguenza. La
Fondazione crt si assicurava un primo obiettivo: portare ricchezza
alla città ed alla regione, a vantaggio delle quali avrebbe usato il patrimonio. Questo sarebbe poi stato accresciuto dal successivo smobilizzo di parte delle azioni e dai dividendi di quelle rimaste in portafoglio. Diluendosi in un Gruppo più ampio si separava più nettamente
dalla Banca, alla quale restava un secondo obiettivo: il rafforzamento
quantitativo e qualitativo dei servizi alla clientela e agli operatori
economici locali. Questo sarebbe stato raggiunto, insieme alle altre
Banche, nel quadro di un nuovo modello di federalismo bancario.
Le attività in corso per la strutturazione di Unicredito si interruppero, per riprendere immediatamente con gli stessi obiettivi e la stessa metodologia in un contesto più ampio. In giugno fu costituito un
Comitato guida con l’Amministratore Delegato Credit, Alessandro
Profumo e i Direttori Generali Giorgio Giovando per Banca crt,
Giuseppe Mazzarello per Cariverona e Franco Benincasa per Cassamarca, affiancati da una Segreteria tecnica. I lavori furono gestiti
da un Ufficio di integrazione diretto da Luca Majocchi e composto
da delegati di tutte le banche, che doveva coordinare il lavoro dei
“cantieri”. Questi erano a loro volta formati da rappresentanti del
Credito Italiano e delle tre Banche di Unicredito. Rolo Banca 1473
in questa fase non fu coinvolta in pieno perché il suo collocamento
nel Gruppo era già definito. I suoi rappresentanti parteciparono solo
ad alcune attività.


I gruppi di lavoro di Banca
nei cantieri furono diretti
da: Vladimiro Rambaldi (Personale), Franco Grosso (Controllo e gestione rischi), Piero
Botto (Partecipazioni), Franco
Leccacorvi (Contabilità e amministrazione), Piero Marcone
(Finanza e Investment banking),
Alessandro Vignani (Tecnologie informatiche), Piero Percio
(Centri servizi), Franco Maia
(Credito e Large corporate),
Claudio Ranghino (Estero e
Correspondent banking), Patrizia Monzeglio (Pianificazione e
Controllo di gestione), Virgilio
Olmo (Commerciale privati e
imprese), Luciano Bovini (Rete
filiali), Piergiuseppe Ghia (Logistica e sicurezza).
6
crt
la fusione di banca crt e unicredito italiano
Dovendo trattare temi complessi in tempi brevi fu di nuovo richiesta la consulenza della McKinsey. Fu comunque confermato il
concetto guida di ambedue i processi che ora venivano a confluire:
la distinzione tra il momento “produttivo” che doveva essere gestito
dalla Capogruppo o da società di Gruppo dedicate, e il momento
“distributivo” che sarebbe stato responsabilità delle Banche. I cantieri partirono in un clima di grande entusiasmo con il coinvolgimento
di oltre 150 persone. Fu un’inedita esperienza di nuove modalità
di lavoro, dalle quali l’allargamento del contesto fece sparire ogni
campanilismo. I manager ed i loro assistenti si conobbero e si abituarono a lavorare insieme. Iniziò così a formarsi una rete di relazioni
che sarebbe divenuta poi il tessuto connettivo della nuova impresa6.
Dopo un’intensa estate di lavoro i cantieri chiusero le operazioni alla
fine di settembre ed il 15 ottobre 1998 UniCredito Italiano acquisì
le Banche di Unicredito diventando in tal modo titolare del 100%
delle azioni di Banca crt.
In quei giorni, rispettivamente l’8 ottobre ed il 26 novembre,
maturarono anche altre due trattative: l’acquisizione da parte di
UniCredito Italiano della Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto e della Cassa di Risparmio di Trieste. Due Banche piccole, con
meno di 1.000 dipendenti e cento sportelli, ma con fitte reti locali
che consentivano un presidio ottimale di mercati altrimenti bloccati
dalla saturazione. Si trattava però di operazioni del tutto diverse,
regolate per contanti, che prevedevano l’uscita delle Fondazioni di
origine bancaria locali ed il differimento dell’integrazione alla fine
del 1999. L’accavallarsi di diverse iniziative va tenuto presente per
comprendere il contesto degli eventi, così come occorre considerare
che l’incorporazione di Banche locali di grande o piccola dimensione non serviva solo sul piano interno.
Le dimensioni adeguate e la solidità erano infatti il prerequisito
per potersi confrontare sul piano internazionale da due punti di vista. Il primo era la difesa del mercato domestico dalle attenzioni delle
banche estere, in particolare dalle temute banche tedesche, il secondo la ferma intenzione di UniCredito Italiano di perseguire progetti
di collocamento internazionale del Gruppo. Si prevedeva l’acquisto
di banche all’estero, ma anche la possibilità di fusioni internazionali
alla pari con un altri grandi Gruppi. Si tornerà sull’argomento, per
ora basti averlo rammentato e tener presente che le Fondazioni di
origine bancaria, nel loro nuovo ruolo di azionisti di UniCredito
Italiano, condividevano anche questi progetti.
L’atto finale della fusione di Banca crt in UniCredito Italiano,
come osservato in premessa, fu uno degli eventi di un lungo ed articolato processo di osmosi tra entità diverse che andarono progressivamente scomponendo i loro elementi costitutivi, per ricombinarli
la fusione di banca crt e unicredito italiano
poi generando nuovi composti. Il processo non iniziò dal grande
corpo delle banche ma dai loro vertici, innanzitutto da quelli azionari. La prima conseguenza della trasformazione del Credito Italiano
in UniCredito Italiano fu infatti l’ingresso nel Consiglio di Amministrazione di nuovi Consiglieri in rappresentanza delle Fondazioni
di origine bancaria. Il Consiglio passò da 14 a 19 membri ed il Comitato Esecutivo da cinque a sei. In particolare la Fondazione crt
espresse tre consiglieri: Fabrizio Palenzona, che assunse anche la carica di Vice-Presidente ed entrò a far parte del Comitato Esecutivo,
Luca Remmert e Giovanni Vaccarino7.
Per converso la Capogruppo, controllando Banca crt al 100%,
indicò i componenti del Consiglio di Amministrazione eletto il 19
gennaio 19998. Il numero dei Consiglieri salì da 15 a 20, sei dei
quali erano manager di UniCredito Italiano: Profumo, Majocchi,
Nicastro, Minolfi, Naef e Danielis. Queste presenze, come nelle altre
Banche, servivano a garantire il raccordo e l’uniformità dei processi
di integrazione9. La continuità fu invece espressa dalla nomina a Presidente di Giorgio Giovando, che era stato Direttore Generale fin dal
1984 ed aveva guidato la trasformazione della vecchia Cassa in una
Banca moderna. La carica di Direttore Generale fu affidata a Edoardo Massaglia, già Vice-Direttore Generale, che fin dal 1997, quando
le attività legate all’integrazione prima in Unicredito poi in UniCredito Italiano erano divenute più assorbenti, si era fatto sempre più
carico della struttura centrale che sarebbe rimasta a Torino per governare la Banca. Massaglia aveva affiancato Giovando nel processo
di crescita dalla crt ed era quindi una figura di indiscussa esperienza
e competenza tecnica, ma era anche dotato di grande entusiasmo e
comunicativa, che si sarebbero rivelati altrettanto importanti nelle
complesse e delicate attività degli anni successivi. Per l’incarico di
Vice-Direttore Generale fu indicato Mario Aramini, Direttore Centrale di UniCredito Italiano che aveva maturato grande esperienza in
Piemonte al Credito Italiano10.
I processi incrociati di osmosi proseguirono in direzione contraria,
verso Milano, nel primo semestre 1999, mentre quelle che erano state
le strutture centrali del Credito Italiano andavano trasformandosi in
strutture di Capogruppo. In giugno al termine del riesame dei processi operativi, sette dirigenti di Banca crt passarono stabilmente ad
UniCredito Italiano: Franco Grosso assunse la responsabilità della Direzione Audit; Secondino Natale l’incarico di dirigere l’Area Pianificazione e Controllo di Gruppo nella Direzione Strategia Pianificazione
e Controllo; Franco Leccacorvi quello di Responsabile del Servizio
Bilancio e Contabilità nella Direzione Amministrazione; Giuseppe
Vovk e Giuseppe Canuto rispettivamente gli incarichi di Responsabile
dell’Erogazione e del Recupero dei Crediti; Claudio Ranghino quello

7
CdA Credito Italiano, 15 ottobre 1998
Lucio Rondelli* Presidente,
(Egidio Giuseppe Bruno* VicePresidente), Alessandro Profumo* Amministratore Delegato.
Consiglieri: Franco Bellei, Roberto Bertazzoni, (Gerardo Broggini), (John Carter), Leonardo
Del Vecchio, (Federico Falck),
Achille Maramotti, Angelo Marchiò*, (Giampiero Pesenti*),
(Franz Schmitz), (Jean - Marie
Weydert). [* Comitato Esecutivo. ( ) gli uscenti]
CdA UniCredito Italiano, 11
gennaio 1999
Lucio Rondelli* Presidente,
(Paolo Biasi* Vice-Presidente Vicario), (Fabrizio Palenzona* Vice-Presidente), Alessandro Profumo* Amministratore Delegato.
Consiglieri: Franco Bellei, (Feliciano Benvenuti), Roberto Bertazzoni, (Eugenio Caponi), (Mario Cattaneo), (Philippe Citerne),
(Carlo Delaini), Leonardo Del
Vecchio, (Dino De Poli*), (Franzo Grande Stevens), Achille Maramotti, Angelo Marchiò*, (Luca
Remmert), (Giovanni Vaccarino), (Anthony Wyand). [* Comitato Esecutivo. ( ) gli entranti]
8
CdA Banca CRT, 15 ottobre
1998
Enrico Filippi* Presidente,
Giuseppe Giordana* Vice-Presidente. Consiglieri: Roberto Armand, Fabrizio Caraccia, Francesco Coda Zabet*, (Terenzio
Cozzi)*, Mario Deaglio *, Francesco Devalle, (Mario Galli),
Giorgio Giovando*, Lionello
Jona Celesia*, (Roberto Panizza),
Giuseppe Pichetto, Stefano Piperno, Giovanni Spandonaro. [*
Comitato Esecutivo. ( ) gli uscenti]. Giorgio Giovando, Direttore
Generale; Edoardo Massaglia,
Vice-Direttore Generale.
CdA Banca CRT, 19 gennaio
1999. Giorgio Giovando* Presidente, (Sergio Pininfarina)* VicePresidente. Consiglieri: Roberto
Armand, (Vittorio Beltrami),
(Giorgio Bodo), Fabrizio Caraccia, Francesco Coda Zabet, (Danilo Danielis), Mario Deaglio,
Francesco Devalle, Giuseppe
Giordana, Lionello Jona Celesia,
(Luca Majocchi), (Massimo Minolfi), (Massimiliano Naef), (Roberto Nicastro), Giuseppe Pichetto, Stefano Piperno, (Alessandro
Profumo), Giovanni Spandonaro.
[* Comitato Esecutivo. ( ) gli entranti]. Edoardo Massaglia, Direttore Generale.

9
Poteva quindi accadere che
un dirigente di Banca crt entrasse a far parte del Consiglio
di Amministrazione di un’altra
Banca del Gruppo, come fu ad
esempio il caso di Secondino
Natale nella Cassa di Risparmio di Trieste.
10
Il distacco di Mario Aramini presso la Banca crt terminò poi nell’ottobre 2000,
quando assunse l’incarico di
Direttore Generale di Cariverona e Gabriele Piccini prese
il suo posto. Un’altra testimonianza dell’emergere di un rapporto del tutto nuovo tra i manager e le banche, rapporto che
si sarebbe esteso poi a quadri e
impiegati.
11
La prima procedura, nel
1999, fu l’anagrafe poi, nella
prima metà del 2000, migrarono crediti, fidi e garanzie,
nella seconda metà lo sportello,
i sistemi di pagamento e la contabilità. Le ultime procedure
migrarono alla metà del 2001 e
solo a quella data venne completato anche il trasferimento
del personale in capo alla nuova società.
la fusione di banca crt e unicredito italiano
di Responsabile Pianificazione, Budget, Amministrazione e Controlli
nella Direzione Estero ed infine Piero Botto quello di Responsabile
Pianificazione delle partecipate non bancarie.
Il piano di integrazione prevedeva due fasi di un anno. Nel 1999
si doveva provvedere innanzitutto al riassetto societario: completare la
Capogruppo accentrando funzioni dalle strutture centrali delle Banche e scorporare la rete diretta di filiali ereditata dal Credito Italiano.
Inoltre si doveva creare il Sistema Informativo di Gruppo e migrare su
di esso il nuovo Credito Italiano e la Banca crt; avviare la Macchina
Operativa di Gruppo per le lavorazioni accentrate; ristrutturare le partecipazioni di Gruppo ed unificare le società strumentali. Nel secondo
anno sarebbero state completate le migrazioni e tutti gli altri processi.
Le strutture centrali delle Banche avevano assunto negli ultimi decenni una notevole rilevanza sia operativa che dimensionale. Quelle
del Credito Italiano avevano 2.800 addetti, Cariverona e crt 1.200
ciascuna e 300 Cassamarca. La loro incidenza era però decrescente
con le dimensioni della Banca. Quelle del Credito Italiano, nonostante la loro imponenza, costituivano solo il 20% dell’organico,
contro il 25% delle due casse maggiori ed il 30% di Cassamarca. Le
implicazioni dell’integrazione in termini di economie di scala erano
evidenti. Per quanto riguarda Banca crt le prime tre aree interessate,
cioè i Sistemi informatici, i Centri servizi e la Finanza occupavano
rispettivamente 250, 200 e 100 addetti. La Finanza era la più urgente e fu accentrata nella Capogruppo in marzo trasferendo i titoli alla
Tesoreria unica che da quel momento avrebbe regolato per tutto il
Gruppo gli sbilanci tra raccolta e impieghi. Questa struttura doveva
necessariamente operare da un solo punto, ma solo poche persone si
trasferirono a Milano, le altre si ricollocarono nella rete.
Le altre due attività vennero invece conferite a società di Gruppo.
I Sistemi informatici alla Gruppo Credit Servizi, creata nel 1997 per
unificare i sistemi di Credito Italiano e Rolo Banca. gcs operava su
due poli, uno di 400 addetti a Milano ed uno di 250 a Bologna. La
società mutò nome in UniCredit Servizi Informativi – usi – ed incorporò i sistemi delle altre banche. Rilevò hardware, software, contratti
e personale aprendo altri due poli a Verona e Torino. usi seguì poi
una sua evoluzione come società di Gruppo, non rilevante ai fini di
questa nota. Basterà rammentare che i server furono trasferiti a Milano con un limitato numero di persone e la Banca crt fu la prima
ad iniziare ed a completare la migrazione sul Sistema Informativo di
Gruppo11. Il polo usi di Torino, con 200 addetti, si specializzò poi in
particolare nelle segnalazioni di vigilanza, nell’audit e nella gestione
delle società prodotto del Gruppo.
Analogo fu lo sviluppo dei Centri servizi. Questi comprendevano
tutte le lavorazioni di back-office, cioè le attività amministrative lega-
la fusione di banca crt e unicredito italiano
te ai processi di contabilità, all’operatività in titoli, all’estero, ai sistemi di pagamento ed alla finanza. Nelle quattro Banche il personale
addetto superava le 2.200 unità, più di 400 delle quali in Banca crt.
Nel settembre 1999 anche questa parte della Macchina Operativa
di Gruppo, come fino ad allora era stata definita, venne costituita
in società, con il nome di UniCredit Produzioni Accentrate – upa
–. L’operatività di upa come quella di usi iniziò coordinando i poli
regionali ottenuti dallo scorporo degli uffici delle diverse Banche,
e proseguì integrando tutte le procedure operative ogni volta che i
relativi sistemi informatici venivano migrati.
La razionalizzazione del Gruppo interessò immediatamente anche le filiali estere e le partecipazioni. Per le prime le scelte furono
facili. Il Credito Italiano aveva avuto due grandi filiali a Londra e
New York e due medie ad Hong Kong e Singapore. Le filiali della
Banca crt a Londra e New York, così come quella di Cariverona a
Londra, che erano di dimensioni inferiori e di più recente apertura,
furono assorbite da quelle del Credito Italiano. Rimase in funzione
la filiale di Parigi di Banca crt, che non aveva consorelle su piazza.
Naturalmente tutte divennero filiali di UniCredito Italiano, a disposizione del Gruppo nel suo insieme. Il numero complessivo delle
persone coinvolte era comunque modesto: poco più di 200 per il
Credito Italiano, meno di 100 per Banca crt ed una ventina per
Cariverona.
Per le partecipazioni invece le attività si sarebbero dilatate assai
più a lungo nel tempo. Lo smobilizzo o l’incremento di quote azionarie, spesso di controllo, in organismi complessi, con molti dipendenti e che valevano anche centinaia di miliardi di lire, non potevano essere effettuati rapidamente. Per gli scopi di questa nota basterà
accennare alle principali operazioni conseguenti alla trasformazione
di Banca crt da Capogruppo a Banca federata. Nel suo nuovo ruolo
essa aveva infatti minore necessità di detenere società controllate,
che vennero dunque per lo più conferite alla Capogruppo.
Alcune partecipazioni vennero cedute perché ormai inutili: così
fu ad esempio per la Findata System, partnership informatica al 30%
con ibm, che ne acquisì il controllo totale. La più importante di questo tipo di cessioni fu la quota del 40% che la Banca crt possedeva nell’iccri. L’Istituto aveva perduto il suo ruolo a causa delle
trasformazioni avvenute nelle Casse di Risparmio e le sue attività
tradizionali non rientravano tra gli obiettivi strategici di UniCredito
Italiano. La partecipazione fu ceduta alla Banca Popolare di Lodi
realizzando più di 200 miliardi di liquidità.
Altre partecipazioni invece vennero conferite a società del Gruppo più inserite in un determinato ramo d’affari, in cambio Banca
crt ritirò una quota di quelle società. Fu il caso ad esempio della


la fusione di banca crt e unicredito italiano
Findata Leasing, incorporata dalla Locat insieme ad altre analoghe
minori società: alla Banca crt restò il 9% della Locat. Operazioni di
questo tipo potevano avere un iter più complesso, come avvenne con
la Fida sim, della quale Banca crt acquisì prima le quote di minoranza. La società fu poi incorporata in UniCredit sim ed alla Banca
crt restò il 42% della sim di Gruppo. Questa fu poi a sua volta incorporata da Xelion, costituita da UniCredito Italiano nella seconda
metà del 2000 come banca multicanale per il trading on-line e le reti
di promotori. Alla Banca crt restò infine il 22% di Xelion. Un ultimo caso analogo fu quello della Fondinvest, Società di gestione del
Risparmio che, come le altre sgr fu incorporata da GestiCredit sgr.
Quando nel 2000 UniCredito Italiano acquisì Pioneer, una grande
società di asset management negli USA e ristrutturò tutto il comparto, comprese le attività in Italia e quelle basate in Irlanda, tutto il
back-office dei fondi comuni fu accentrato a Torino.
Il rimescolamento delle fusioni poteva dunque sottrarre ma anche portare attività a Torino, come nel caso della Banca Mediocredito, della quale Banca crt deteneva il controllo con il 62,5%. La
Banca aveva sede a Torino, 300 dipendenti e più di 12.000 miliardi
di finanziamenti. Fu prescelta come fornitrice del finanziamento a
medio e lungo termine per tutto il Gruppo, conservando la sede a
Torino oltre a due presidi in Lombardia e Veneto. Da quel momento
tutti i nuovi finanziamenti sarebbero stati erogati per suo tramite.
Alcuni anni dopo la Banca fu trasferita ad UniCredito Italiano con
una percentuale di controllo salita ad oltre il 90%. Per chiarire ulteriormente le dinamiche infragruppo vale la pena di osservare che
contemporaneamente UniCredito Italiano scelse Mediovenezie,
l’analogo istituto a medio termine controllato da Cariverona, come
bad bank, affidandole l’incarico di gestire il recupero crediti per tutto
il Gruppo, con sede a Verona ed altri cinque presidi territoriali in
Italia. Banca crt le trasferì 8.000 pratiche.
Un ultimo esempio di attività messa a fattor comune e che rimase
a Torino fu quello della riscossione dei tributi, un settore di lavoro
tipicamente legato alle Casse di Risparmio. UniCredito Italiano acquisì da Banca crt la Conrit, società di riscossione dei tributi con
giurisdizione esclusiva sulle province di Torino ed Aosta. Nel 2000 la
Conrit mutò nome in Uniriscossioni ed incorporò poi i rami d’azienda delle società esattoriali di altre Banche del Gruppo, Cariverona ed
Esamarca, estendendo la sua giurisdizione alle province di Verona,
Vicenza, Belluno, Mantova e Treviso ed il numero degli sportelli da
42 a 96; i dipendenti passarono da 460 a 970. Le successive vicende
delle aggregazioni le avrebbero “portato in dote” altre province: Modena, Pordenone, Trieste e Trento allargando il perimetro di esazione
ad un’area con sette milioni di abitanti.
la fusione di banca crt e unicredito italiano
Nel giro di un anno dunque la metà delle incombenze e del personale della Direzione Generale erano stati riallocati altrove oppure
individuati ed incanalati in un processo che li avrebbe portati alla
loro destinazione finale, anche se per il momento restavano formalmente all’interno della Banca. La Direzione Generale di un Gruppo
si era trasformata nella struttura direttiva di una banca commerciale.
Restava da aggiornare il suo modello operativo. Il piano strategico di
UniCredito Italiano prevedeva il passaggio alla gestione del mercato
per segmenti di clientela. Le prime due Banche che si lanciarono nella realizzazione del nuovo modello furono la Banca crt ed il nuovo
Credito Italiano.
Nel secondo semestre del 1999 la Direzione commerciale fu sostituita da due diverse Direzioni: Retail (compreso lo small business)
e Corporate (compreso il large corporate). In seguito quel modello fu
modificato sulla base dell’esperienza acquisita sul campo ed applicato a tutto il Gruppo. La segmentazione della clientela era finalizzata all’introduzione della figura professionale del “gestore”, al quale
affidare uno specifico portafoglio di clienti. In particolare il Retail
prevedeva tre figure: Addetti alla Gestione personalizzata, per privati
ad alto reddito; Gestori small business e Addetti clientela universale.
La nuova struttura della rete si sarebbe articolata in sei Direzioni
territoriali e 46 Filiali. Diminuirono le prime ma raddoppiarono le
seconde, per decentrare il più possibile l’autonomia e la responsabilità. La rete degli sportelli alla fine del 1999 era salita a 437 unità ed
erano stati aperti i primi 4 punti private banking. L’organico totale
era di 4.900 persone, 3.900 delle quali nella rete. La Direzione Generale era scesa al 20% ma, tenuto conto degli uffici centrali in via di
riallocazione nelle strutture di Gruppo, la Direzione Generale aveva
ormai solo 700 addetti su 4.700, il 15% del totale.
I processi di riorganizzazione avevano una propria dinamica interna e procedevano secondo il piano di integrazione, delineato fino
alla fine del 2001, ma i successivi esiti, anche sul piano interno, furono fortemente condizionati dagli eventi esterni delle privatizzazioni
e delle fusioni, che nel 1999-2000 furono particolarmente intensi.
Non essendo quelle vicende specifico oggetto di questa nota vi si
accennerà solo nella misura sufficiente a spiegare fino a che punto
gli esiti di tali eventi abbiano poi condizionato la futura strategia
evolutiva del Gruppo UniCredito Italiano e quindi lo stesso destino
di Banca crt.
Gli episodi più rilevanti furono due: quello della Banca Commerciale Italiana e quello della Banca Nazionale del Lavoro/Banco Bilbao Vizcaja. Per quanto riguarda la Comit, sulla base di uno
studio preparatorio e d’accordo col vertice manageriale della Banca,
nella seconda metà di marzo UniCredito Italiano avanzò alla Banca


la fusione di banca crt e unicredito italiano
d’Italia la richiesta di autorizzare una Offerta pubblica di scambio
sulle azioni Banca Commerciale Italiana. Il Governatore Fazio si
oppose all’idea dell’ops e si ebbe un passaggio di note tra la Banca
d’Italia ed UniCredito Italiano, il cui vertice decise peraltro di procedere. L’operazione venne illustrata ai mercati finanziari, proseguirono i contatti con gli Advisor ed il vertice della Comit e il 20 aprile
venne reso noto il documento informativo sull’operazione. L’Advisor
di UniCredito Italiano era Lazard.
Il piano della fusione prevedeva che UniCredito Italiano mantenesse il nome e le sue funzioni di holding, e così pure le società
specializzate di Gruppo come usi, upa ecc. La rete di filiali ereditata dal Credito Italiano, che doveva essere scorporata, sarebbe stata
fusa con quella delle filiali Comit creando un’unica grande “banca
nazionale” che sarebbe stata divisionalizzata in Corporate e Retail.
Al suo interno il corporate Comit avrebbe assorbito quello Credit e
viceversa per il retail. La Banca nazionale doveva prendere il nome
di Banca Commerciale Italiana ed avrebbe avuto 1.600 sportelli. Le
Banche federate e Rolo Banca sarebbero rimaste nella stessa posizione in cui si trovavano, con altri 2.200 sportelli in tutto; si sarebbero
loro aggiunte la Banca Regionale Europea, Biverbanca ed il Banco di
Chiavari e della Riviera Ligure. La rete estera avrebbe infine contato
altri 400 insediamenti.
Ai primi di maggio si doveva tenere un’assemblea straordinaria
degli azionisti di UniCredito Italiano, ma il 5 venne annunciato un
nuovo patto di sindacato tra un gruppo di azionisti Comit, che si
pronunciò contro l’offerta. Il successivo 14 maggio il Consiglio di
Amministrazione della Comit defenestrò gli Amministratori. L’operazione era impossibile, la proposta venne ritirata ed UniCredito Italiano si concentrò su altre attività. Sul piano estero l’acquisizione di
Bank Pekao in Polonia, effettuata d’accordo con Allianz; sul piano
interno lo scorporo della rete Credito Italiano, che era stato sospeso
per attendere l’esito dell’ops su Comit. Si dette anche corso all’integrazione della Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto e della Cassa
di Risparmio di Trieste nella veste di nuove Banche federate e fu
decisa la fusione per incorporazione della Banca Popolare di Rieti,
poi effettuata sul nuovo Credito Italiano anziché, come previsto inizialmente, su Rolo Banca 1473. Nel quadro di queste operazioni di
risistemazione dell’assetto di gruppo venne anche ceduto il controllo
della Banca di Bergamo, ereditata da Unicredito e ormai da tempo
divenuta inutile.
Tali operazioni erano però insufficienti perché la crescita interna
era in realtà legata ai progetti internazionali. Sin dal 1998, alla stesura del piano triennale, era stata infatti prevista, come inevitabile
passo successivo, la costruzione di piattaforme europee. La fusione
la fusione di banca crt e unicredito italiano
con Comit avrebbe permesso il dimensionamento e la qualificazione
del Gruppo per le operazioni internazionali. Indiscrezioni di stampa
indicavano Deutsche Bank: non c’era nulla di concreto ma i target
avevano quelle dimensioni. Le sole due operazioni possibili in Italia
in quel momento riguardavano il Mediocredito Centrale/Banco di
Sicilia ed il San Paolo-imi. La prima però sarebbe stata insufficiente e
la seconda avrebbe creato il problema di un semi monopolio in Piemonte. Verso la metà del 1999 divenne quindi prioritario il dossier
già aperto sulla Banca Nazionale del Lavoro.
La bnl era stata collocata nel 1998. Le sue dimensioni, distribuzione e struttura erano paragonabili a quelle di Comit, aveva persino
lo stesso orientamento corporate. Fondendosi con il Credito Italiano
avrebbe potuto assumere il medesimo ruolo di supporto alla creazione di una grande banca nazionale, ma anche il suo ingresso nel
Gruppo avrebbe già portato al necessario rafforzamento sul mercato
interno. Il primo azionista della bnl era il Banco Bilbao Vizcaja –
bbv – con il 10%, altre quote erano possedute da Banche e Assicurazioni italiane. Il bbv era simile a UniCredito Italiano per approccio
al mercato, ma di dimensioni un po’ maggiori. Incontri tra manager
ed azionisti delle due Banche furono di reciproco gradimento e si
ipotizzò una partnership forte con uno scambio azionario nella misura del 20% e l’obiettivo di giungere in tempi ragionevoli, ma non
prefissati, ad una effettiva fusione.
Queste quote però dovettero essere ridimensionate per volontà
della Consob: il bbv avrebbe assunto il 12% di UniCredito Italiano e
questo il 10% del bbv. La differenza sarebbe stata coperta da un investimento diretto delle Fondazioni di origine bancaria, che ritenevano molto interessante l’accordo. L’ingrandimento del Gruppo con
una successiva fusione avrebbe anche consentito loro di diminuire
le percentuali di possesso secondo gli accordi del 1998. I Vice-Presidenti Palenzona e Biasi affiancarono dunque attivamente Rondelli e
Profumo nei preliminari per l’operazione internazionale, che aveva
l’approvazione della Banca d’Italia.
Questo era lo stato delle trattative ad ottobre, ma già nel gennaio
2000 le possibilità di esito positivo andavano sfumando. Le fusioni
in Italia e all’estero si seguivano a ritmo serrato ed il bbv, che aveva
dei dossier aperti anche in patria, si fuse con un’altra banca spagnola, Argentaria, trasformandosi in bbva. Le sue dimensioni divennero
troppo diverse: il totale dell’attivo diventava superiore del 50%, la
capitalizzazione di borsa il doppio. La stessa bnl costituiva un ostacolo perché il management ed altri azionisti non gradivano il passaggio ad UniCredito Italiano. In febbraio era evidente che l’accordo
non si sarebbe concluso, anche se in teoria il canale restava aperto
per l’evidente volontà di spagnoli e italiani di trovare una base ope-


la fusione di banca crt e unicredito italiano
rativa sulla quale costruire l’operazione. All’inizio di aprile del 2000
fu annunciata ufficialmente la chiusura delle trattative.
UniCredito Italiano cambiò radicalmente strategia e puntò su
un’accelerazione dei processi interni. L’Amministratore Delegato
Alessandro Profumo orientò decisamente questa scelta e da quel momento la sua posizione compì un durevole salto di qualità. Il parametro di raffronto tra società per azioni quotate è la capitalizzazione
di borsa. L’unico modo per aumentarla, non potendo espandere il
perimetro in Italia né all’estero, era un’ulteriore crescita di redditività. Il roe doveva pertanto salire oltre il 20% e il rapporto costi/ricavi
scendere al di sotto del 50%. Si sarebbe così generato patrimonio,
rendendo il Gruppo indipendente e pronto a riprendere, non appena possibile, le operazioni di fusione interne o internazionali. La
focalizzazione sugli aspetti interni e sulle modifiche strutturali non
poteva che avvenire con il rafforzamento dell’Amministrazione.
Il percorso scelto era molto innovativo: puntare su internet. Riordinare le Banche con un disegno organizzativo mirato alla specializzazione dei canali di contatto con i clienti, individuando segmenti
diversi, per offrire i canali virtuali più adatti alle varie esigenze. Il
processo prevedeva partnership tecnologiche e industriali come, del
resto, aveva appena fatto bbva, che aveva concluso un accordo strategico con Telefonica, la maggiore compagnia di telecomunicazioni
iberica, dal quale si attendeva una fortissima proiezione nel mondo
della new economy.
UniCredito italiano verso s3 (2000-2002)
Lo strumento interno senza il quale nulla di tutto ciò sarebbe
stato possibile era la segmentazione della clientela. Si è già accennato
alla sua introduzione in Banca crt, ma non sarà inutile un cenno
sulle sue origini per comprendere le differenze tra i diversi modelli di
Contabilità generale e di Controllo di gestione e le loro conseguenze
operative. Il Credito Italiano era nato nel 1895 per aggregazione di
Banche diverse ed aveva sempre conservato contabilità separate. Sedi
e Succursali avevano bilanci propri, così come la Direzione Centrale
che, come fosse una holding, formava unendoli il bilancio generale.
Pertanto il Controllo di gestione che il Credito Italiano aveva creato
dopo il 1980 non aveva puntato sullo sportello ma direttamente sul
cliente, per misurane la redditività. Lo sportello si sarebbe ottenuto
per aggregazione di clienti. La disponibilità dei dati aveva portato
poi, a metà degli anni Novanta, alla radicale innovazione della figura
del Gestore: raggruppando i clienti si poteva misurare il risultato
del lavoro da questi affidato alla Banca e quindi introdurre quote di
remunerazione variabile ai Gestori sulla base di quei risultati.
la fusione di banca crt e unicredito italiano
Questo era il modello, fortemente commerciale, che Banca crt
aveva cominciato ad implementare dal 1999, per prima nel Gruppo
e con decisione, insieme al Credito Italiano. Era dunque già pronta
a seguire gli sviluppi del nuovo piano industriale che la Capogruppo
definì tra marzo e giugno del 2000. UniCredito Italiano prevedeva
di investire più di 2.000 miliardi per l’on-line banking e la “webbizzazione”, in particolare su Xelion, banca rivolta alla clientela affluent,
cioè di segmento alto, con l’obiettivo di acquisire 450.000 clienti in
tre anni. In seguito si sarebbe costituita anche un’altra banca virtuale per il mass market e le famiglie con l’obiettivo di un milione di
clienti.
Per quanto riguarda le Banche federate, la nuova struttura di offerta alla clientela prevedeva, oltre alla forte diversificazione dell’attività commerciale attorno ai segmenti di clientela, anche il passaggio dalla centralità della rete di sportelli tradizionali ad una effettiva
multicanalità: sportelli con formati distributivi differenziati, negozi finanziari ed unità private banking, ma anche la realizzazione di
portali web, come veicolo tecnico per un vero home banking e non
solo per il trading on-line. Sarebbe inoltre stato incoraggiato l’uso del
canale telefonico e potenziate le reti di promotori finanziari. Infine
si prevedeva l’installazione di molti chioschi informatici con atm
evoluti.
Il nuovo piano industriale di UniCredito Italiano mirava, oltre
che alla ristrutturazione sul mercato interno, anche ad altri due filoni di sviluppo, di pari importanza per il Gruppo: il wholesale, attività
all’ingrosso in particolare sui mercati internazionali e l’acquisizione
di Banche nella Nuova Europa i paesi emergenti dalla Polonia fino
alla Turchia. Per unificare sotto una sola responsabilità ognuno dei
tre filoni, nel luglio 2000 la Capogruppo fu articolata in tre Divisioni: Wholesale, affidata a Pietro Modiano, Banche estere e Nuova
crescita, affidata a Roberto Nicastro e Banche Italia, affidata a Luca
Majocchi12.
Nell’arco cronologico degli eventi qui ricostruiti le principali componenti della Divisione Wholesale furono UniCredit Banca
Mobiliare all’interno e TradingLab, Europlus e Pioneer all’estero.
Questa Divisione era la “fabbrica” dei prodotti finanziari del Gruppo
e sarebbe poi divenuta un asse portante del Corporate. La Divisione
Banche estere e Nuova crescita, in quel periodo, giunse a condurre
un nutrito gruppo di Banche (Bank Pekao in Polonia, Bulbank in
Bulgaria, Splitska Banka, poi anche Zagrebacka Banka in Croazia,
UniBanka in Slovacchia) ed infine a realizzare una partnership al
50% con il Gruppo Koc in Turchia.
La Divisione più importante ai fini che qui interessano è naturalmente la terza, che in realtà era la prima nell’organigramma: Banche

12
Il nome originale di questa divisione fu modificato in
New Europe alcuni anni dopo.

la fusione di banca crt e unicredito italiano
Italia. Da quel momento fu Luca Majocchi ad occuparsi di tutte le
Banche federate ed infatti, entro la fine dell’anno, l’ad Alessandro
Profumo uscì dal Consiglio di Banca crt e fu da lui sostituito. Non è
necessario ricostruire qui tutte le successive vicende della Divisione,
né quelle della stessa Banca crt, se non nella misura in cui sono pertinenti ai fini dell’esito conclusivo. Rileva invece tener presente che,
all’interno di questo quadro di riferimento e fin dalla fine di marzo,
le Fondazioni di origine bancaria, di certo le maggiori, avevano accettato di modificare molto più di quanto non avessero inizialmente
previsto il tradizionale assetto organizzativo delle Banche conferite.
La rivoluzione telematica mutava il valore dei canali fisici e la progressiva evoluzione della rete di sportelli doveva tenere conto del
fatto che l’economia aveva in quel momento un’accelerazione che
non consentiva di difendere localismi e tradizioni in modo contrario
al mercato.
Per il momento questa consapevolezza restò sullo sfondo ma, nel
giro di un anno, mentre Banca crt proseguiva rapidamente la sua
trasformazione interna, lo scenario esterno subì a sua volta una rapida evoluzione. Tutti puntavano al più rapido inserimento possibile
nel web. Gli investimenti delle altre grandi Banche italiane erano
dello stesso ordine di grandezza di quelli di UniCredito Italiano,
simili gli obiettivi d’acquisizione di clienti con nuove banche on-line
e identiche le scelte o le prospettive di alleanza con portali specializzati esterni e società di telecomunicazioni. Per la verità il fenomeno
era mondiale e non riguardava solo le banche. Iniziato negli usa, qui
aveva raggiunto l’apice con la cosiddetta bolla della new economy che
scoppiò appunto nella primavera del 2000.
Le nuove società specializzate nelle tecnologie web avevano raggiunto quotazioni altissime sulla base di grandi aspettative di utili
che si rivelarono irreali. Per portare clienti sui nuovi canali si dovevano praticare prezzi bassi e le banche si accorsero presto che sia
i portali contenutistici esterni che le stesse banche virtuali avevano
una redditività minore del previsto. La bolla della new economy si
sgonfiò perché, contrariamente alle aspettative di tutti, nel settore
del web si creò molto mercato ed a prezzi più bassi per una continua
caduta dei costi materiali e la scoperta di una inaspettata facilità a
creare siti e reti on-line.
Lo spostamento della clientela sui canali telematici sarebbe avvenuto lo stesso, ma per vie interne alle banche, senza bisogno di
partnership speciali con società specializzate esterne, ma con normali accordi di fornitura di servizi. Le banche scoprirono immediatamente anche un altro aspetto interessante: i clienti non sostituivano il vecchio tipo di rapporto “analogico” con uno digitale, ma si
limitavano ad aggiungere il secondo al primo. Ne discendeva che
la fusione di banca crt e unicredito italiano
la concorrenza con le altre banche poteva assumere un aspetto più
fair, ma le esigenze di una ristrutturazione della rete fisica e la sua
integrazione o modellazione sulla base delle esigenze dei nuovi canali
divenivano più pressanti.
Dall’inizio del 2001 l’attività di integrazione fu accelerata e tutti i previsti processi di passaggio di competenze e personale dalle
Banche federate alle strutture di Gruppo furono completati definitivamente entro il primo semestre. Nel frattempo vennero decisi
e messi in atto nuovi ed incisivi accentramenti, il più rilevante dei
quali fu il passaggio di tutto il large corporate, compreso quello della
Capogruppo, in carico ad UniCredit Banca Mobiliare – ubm –. La
decisione fu presa nel marzo 2001 ed in maggio Banca crt deliberò
il trasferimento dei rapporti ad ubm. Non si trattava di una differenza da poco: la concentrazione del credito è insita nella natura stessa
dell’impresa bancaria per cui, nonostante l’orientamento alle piccole
e medie imprese ed ai privati, i primi 50 grandi clienti assorbivano
comunque un terzo degli impieghi. Si trattava di perdere il rapporto
con imprese come Fiat, Eni, Telecom, Enel ecc. per limitarsi solo a
quelle italiane.
Contemporaneamente, nel quadro di un progetto di Gruppo
sull’asset management e il risparmio gestito, Banca crt iniziò a dotarsi di una rete di promotori. Il primo passo fu il recupero di quelli che
Fida sim aveva ceduto ad UniCredit sim. Questa nuova rete doveva
però essere integrata nella struttura territoriale delle Agenzie ed aveva l’obiettivo di aiutare lo sviluppo delle attività di private banking.
Un’ultima e fondamentale decisione fu quella di specializzare per
canale la rete periferica. Fino a quel momento la sintesi tra retail e
corporate era avvenuta a livello di Filiale; il nuovo modello avrebbe
realizzato la specializzazione delle Direzioni territoriali, dividendo
la nuova rete in tre canali, ciascuno con gerarchia propria: Retail,
Corporate e Private, che avrebbero fatto riferimento alle rispettive
Direzioni. Vennero costituite cinque Direzioni territoriali Retail, divise in 38 Aree alle quali facevano capo 434 sportelli e due Direzioni territoriali per il Corporate, divise in 13 Aree alle quali facevano
capo 48 team operativi. Il Private, che era ancora in via di sviluppo,
fu costituito in rete unica con nove punti Private banking dai quali dipendevano altri 12 Satelliti. Questa incisiva ristrutturazione fu
decisa ed attuata entro luglio. A quella data Banca crt aveva 4.700
dipendenti, solo 600 dei quali in Direzione Generale.
La ristrutturazione mirava a portare la Banca verso il cliente cercando di anticiparne le domande invece di aspettarlo passivamente.
Alla conclusione il Direttore Generale Edoardo Massaglia avrebbe
rivendicato con orgoglio, a nome di tutto il personale, che si era trattato di un progetto a valenza molto elevata, sviluppato interamente


la fusione di banca crt e unicredito italiano
in ambito crt e che la Banca, anche in questo caso, aveva voluto
accelerare i tempi rispetto alle altre Banche federate. Le differenze
strutturali rispetto al precedente schema organizzativo erano molto
pronunciate: il modello federale stava lentamente evolvendo verso
un modello divisionale.
Durante quel primo semestre maturò un’altra importante novità, ma in questo caso sul piano istituzionale. Giorgio Giovando
che, come Direttore Generale, aveva prima governato la Banca per
quindici anni nella sua trasformazione da ente ad impresa e, come
Presidente, l’aveva poi guidata nel nuovo mondo globale dei grandi Gruppi bancari, ritenne di aver assolto i suoi compiti e che fosse dunque giunto il momento di lasciare anche questo incarico ad
un’altra persona, come già aveva fatto per la posizione di dirigenza.
Dopo aver presentato il suo ultimo bilancio, con l’utile record di
343 milioni di Euro, più di 70.000 per dipendente, il Presidente si
dimise, sostituito da Sergio Pininfarina, industriale piemontese che
era, da più di due anni, il Vice Presidente di Banca crt. La generazione precedente, davanti al mondo diverso che essa stessa aveva così
efficacemente contribuito a creare, ritenne che il percorso su quella
strada dovesse essere guidato da energie nuove.
Pochi mesi prima infatti, alla fine del 2000, si era dimesso anche
il Presidente di UniCredito Italiano, Lucio Rondelli, che fu sostituito da Carlo Salvatori. Giovando e Rondelli avevano creduto, per
quanto in situazioni e per motivi diversi, di dover accompagnare il
mutamento per un po’ ma non all’infinito. Com’era nello stile di
ambedue personaggi, la loro fu un’uscita silenziosa: avevano dedicato alle rispettive aziende tutta la vita e le avevano sempre messe al di
sopra delle loro stesse persone. Il percorso della Banca crt non subì
comunque alcun mutamento, perché il Direttore Generale Edoardo
Massaglia rimase al suo posto. Nelle società per azioni la Presidenza
del Consiglio di Amministrazione e la Direzione manageriale sono
responsabilità e ruoli del tutto diversi.
La situazione era davvero molto cambiata: all’inizio del processo
di integrazione nel 1998 le Fondazioni di origine bancaria avevano
sentito le Banche rispettivamente conferite come il loro vero punto
di ancoraggio al più grande Gruppo del quale erano divenute azioniste. Solo tre anni dopo si trovavano nella condizione di osservare gli
eventi e le strutture in tutt’altro modo. Il Gruppo aveva ormai oltre
65.000 dipendenti: 31.200 dei quali nelle Banche Italia, 1.600 nel
Wholesale, 25.500 nella New Europe e più di 6.000 nelle imprese
e strutture centrali di ogni tipo. In quel contesto una singola banca
regionale di 5.000 dipendenti, fosse pur stata la “banca di casa” assumeva un diverso significato rispetto a quando ne costituiva l’unico
asset patrimoniale.
la fusione di banca crt e unicredito italiano
La Fondazione crt possedeva il 14% di UniCredito Italiano, una
partecipazione che in quel momento valeva quattro miliardi di Euro.
Per vari motivi le Fondazioni di origine bancaria non avevano potuto smobilizzare le loro quote: le agevolazioni fiscali originariamente
destinate dalla legge Ciampi alle operazioni di questo tipo erano state sospese per intervento della Commissione Europea di Bruxelles
nell’aprile 2000 e le fusioni nazionali o internazionali, che avrebbero
consentito una diluizione, non avevano potuto aver luogo per le ragioni già viste. Nell’estate del 2001 si era svolta un’altra trattativa,
questa volta con la tedesca Commerzbank, ma si era arenata sui prezzi di concambio. La focalizzazione era tornata sul piano interno.
Le differenze di posizione generano automaticamente differenze
nei punti di vista. Così il successo nella fase d’avvio della divisionalizzazione fece si che al vertice del Gruppo ci si chiedesse fino a che
punto il bisogno di venire incontro al potenziale di diversificazione
occorrente per servire esigenze locali che non potevano trovare risposta in servizi e procedure standard, rendesse ancora necessaria la
presenza di banche locali. I problemi da risolvere in caso di conservazione dell’assetto raggiunto in quel momento non erano pochi.
Il primo era la crescita di una nuova di classe dirigente dopo che le
migliori energie erano state portate a fattor comune in Capogruppo, trovandovi spesso un’ulteriore realizzazione.13 Valeva la pena di
far crescere qualche decina di nuovi dirigenti solo in una visione e
con obiettivi regionali o non era meglio lanciare da subito i “giovani
talenti” in un’arena più ampia, date le dimensioni e l’articolazione
del Gruppo?
Un secondo problema era stato evocato proprio dal Direttore
Generale di Banca crt: Edoardo Massaglia aveva osservato che in
molti territori c’era convivenza tra diverse Banche del Gruppo, in
pesi percentuali a volte ragguardevoli. Dopo aver completato l’accentramento delle “macchine”, per essere davvero liberi di gestire
i rapporti con i clienti, sarebbe stato meglio procedere a scambi di
sportelli, per ottenere una regionalizzazione piena. I complessi equilibri interni avevano portato dopo il 1998 solo ad un articolato meccanismo di desistenze dall’apertura di nuovi sportelli in alcune aree e
di coordinamento in altre. Un accordo che, ad esempio, privilegiava
Banca crt in Piemonte ed in Valle d’Aosta, in cambio di sue rinunce
in altre regioni.
Un ultimo importante aspetto, che orientò il Gruppo verso la soluzione che infine fu scelta, era la collocazione di Rolo Banca 1473.
Questa non era, a rigore, una Banca federata, infatti non era definita
così nel regolamento di Gruppo: nata già nel 1997, era controllata attraverso Credit-Carimonte. Non aveva partecipato ai cantieri
con Unicredito, ma era stata presente in tutte le successive attività

13
Ad esempio Franco Leccacorvi, che dirigeva il Servizio
Bilancio e Contabilità, all’interno della Direzione Amministrazione, ne assunse l’intera
responsabilità quando, alla fine
del 2000 il precedente Direttore Raffaello Vignoletti, di
provenienza Credito Italiano,
lasciò il servizio per il pensionamento.

la fusione di banca crt e unicredito italiano
di integrazione informatica, di back-office, logistica ecc. Era dunque
ben allineata dal punto di vista tecnico, ma godeva di un’ampia autonomia, tanto da sviluppare una propria strategia di acquisizione
di banche di minori dimensioni, in una prospettiva “adriatica” che
andava in qualche modo ricondotta ad una sintesi all’interno del
Gruppo. Aveva infatti ereditato dalle Banche emiliano-romagnole
che l’avevano costituita una fitta presenza in Friuli, Molise e Puglia
alla quale nel 2000, dopo la rinuncia alle Casse del Tirreno, aveva
aggiunto prima il controllo sulla Cassa di Risparmio di Carpi e poi
quello sulla Banca dell’Umbria.
Rolo Banca 1473 era piuttosto grande, aveva 750 sportelli e più
di 7.000 dipendenti. Ancora più grande era il nuovo Credito Italiano che ne aveva oltre 10.000, ma costituiva a sua volta un problema, avendo dimensioni ormai inadeguate al ruolo di unica banca
nazionale ed una posizione minoritaria in regioni molto importanti
come il Piemonte, l’Emilia-Romagna ed il Veneto. Il Gruppo aveva
comunque superato, in molti casi in anticipo sulle previsioni, gli
obiettivi del piano triennale 1998-2001 basato sul modello federale,
che aveva permesso di valorizzare il radicamento locale. La possibilità
di mettere a fattor comune le attività di produzione, servizio e supporto incontrava però un limite strutturale nella pluralità di Banche
con diverse dimensioni e strutture, inoltre la presa sul mercato era
condizionata da una frammentazione dell’offerta che, in prospettiva
futura, vincolava la capacità di seguire l’evoluzione delle esigenze e
del grado di sofisticazione della clientela.
Nel frattempo i principali concorrenti erano cresciuti di dimensioni e avevano avviato rilevanti processi di riorganizzazione. Poiché i
punti di forza del Gruppo UniCredito Italiano erano il radicamento
territoriale e la specializzazione per segmento di clientela, si ritenne
che la risposta più efficace fosse quella di far evolvere le Banche federate in Banche di segmento a copertura nazionale. Nella tarda estate del
2001 maturarono dunque i tempi perché quella che, fin dal giugno
2000, era stata solo una delle possibili scelte divenisse un progetto reale. Il progetto ebbe il nome di s3, cioè 3 Segmenti, e l’obiettivo di riorganizzare il Gruppo creando tre banche specializzate nel Retail, nel
Corporate e nel Private banking. La decisione di far evolvere il modello
federale in modello multi-specialistico fu annunciata il 17 ottobre.
Nei giorni successivi il progetto fu discusso ed approvato anche dal
Consiglio di Amministrazione di Banca crt e presentato a Torino dai
vertici del Gruppo alle Autorità locali. Sarebbe stato mantenuto uno
stretto legame con il territorio nelle strutture operative delle Banche e
costituti Comitati locali per conoscere meglio le esigenze ed adeguare
la presenza e l’azione del Gruppo, secondo l’esperienza già condotta
da Rolo Banca in Friuli e Molise.
la fusione di banca crt e unicredito italiano
Il Coordinamento del progetto fu affidato a Luca Majocchi, che
dunque riaprì i cantieri appena chiusi. Presa la decisione occorreva
infatti approfondire i lineamenti del progetto con tutte le componenti interessate, valutare il perimetro della riorganizzazione ed individuare il percorso societario. L’organizzazione di progetto fu posta
alle dipendenze del Comitato strategico della Capogruppo, mentre
il coordinamento operativo dell’attività sarebbe stato svolto dal Comitato dei Direttori delle Banche, sotto la supervisione del responsabile della Divisione Banche Italia. Venne costituita una Segreteria
tecnica con cinque macro-aree: Gestioni societarie, Strutture e risorse, Commerciale, Processi, Presidio del cambiamento, ed avviati 13
cantieri.14 Questi attivarono a loro volta più di 40 gruppi di lavoro
con componenti sia della Capogruppo che delle Banche.
Per lo più, a partire dallo stesso Majocchi, essi avevano già lavorato alla precedente integrazione e questa prima fase fu dunque
abbastanza rapida. Il progetto venne definito in meno di due mesi
ed il piano industriale fu approvato dal Consiglio di Amministrazione di UniCredito Italiano il 14 dicembre 2001. Il ruolo della
Capogruppo non sarebbe mutato e le tre Banche avrebbero avuto
sede per il Retail a Bologna, per il Corporate a Verona e per il Private
banking a Torino. Il processo prevedeva tre tappe: 1) aggregazione in
una sola Banca veicolo dell’attività delle sette Banche e delle unità di
Capogruppo coinvolte nell’operazione; 2) riorganizzazione interna,
senza soluzione di continuità nell’esercizio dell’attività bancaria, con
identificazione analitica delle strutture operative in tre Divisioni per
segmenti di mercato; 3) trasferimento alle tre Banche delle strutture,
delle persone e dei clienti identificati nella fase precedente.
Si trattava di un’operazione nuova che toccava aspetti identitari profondi. Non bastava dunque concentrasi sull’attività tecnica,
sebbene fosse molto importante, era necessario un coinvolgimento
diffuso. Mentre i lavori preparatori di s3 proseguivano simultaneamente alla ordinaria attività di banca, nei mesi di gennaio e febbraio
2002 l’Alta Direzione effettuò una serie di incontri in tutt’Italia con
il personale direttivo delle imprese del Gruppo: più di 8.000 persone, per esercitare un’azione trainante attraverso il coinvolgimento
positivo dei livelli manageriali. Le diverse attività finalizzate alla realizzazione dell’obiettivo si incastrarono tra loro senza soluzione di
continuità: nel marzo 2002, ad esempio, Banca crt attivò sull’intera
rete dei suoi sportelli la nuova gestione delle attività small business.
Nello stesso mese di marzo vennero stabiliti i concambi tra le azioni
delle Banche del Gruppo e la Banca d’Italia autorizzò l’operazione.
Un altro aspetto rilevante della nuova identità comune era la scelta dei marchi, che fu definita nel successivo mese di maggio insieme
a quella definitiva dei nomi. Il nuovo marchio UniCredit, un’evo-

14
Retail, Corporate, Private,
Logistica, Marchi e Comunicazione di Marketing, Sistemi
informativi e processi produttivi, Crediti, Legale e normativa,
Strutture e gestione risorse, Comunicazione interna ed esterna,
Controllo rischi, Contabilità e
bilancio, Percorso societario.

15
Le due Banche locali di
minori dimensioni controllate
da Rolo Banca 1473, la Banca
dell’Umbria e la Cassa di Risparmio di Carpi, non furono
coinvolte nell’operazione societaria perché il loro livello di integrazione non era sufficiente.
Continuarono la loro attività
divenendo semplicemente controllate di UniCredit Banca.
la fusione di banca crt e unicredito italiano
luzione stilistica di quello adottato nel 1998, sarebbe stato uguale
per tutti ma differenziato nel colore: la Capogruppo avrebbe conservato il rosso, per il Retail si sarebbe utilizzato l’arancione ed il
nome UniCredit Banca, per il Corporate il blu ed il nome UniCredit
Banca d’Impresa, per il Private il verde ed il nome UniCredit Private
Banking. In vista dell’operazione societaria furono poi soppresse le
divisioni Banche Italia e Wholesale costituendo al loro posto le divisioni: Retail, affidata a Luca Majocchi; Corporate, affidata a Pietro
Modiano ed infine Private e Asset management, che l’ad Alessandro
Profumo tenne al momento ad interim. La Divisione Banche estere
e Nuova crescita mutò nome in New Europe e rimase affidata a
Roberto Nicastro che, da ottobre 2001, era Vice Direttore Generale
come Majocchi e Modiano.
Alla fine di maggio il complesso lavoro di identificazione di tutte
le componenti che dovevano far parte del ramo d’azienda bancario
fu conclusa. Comprendeva contratti, licenze, marchi, debiti e crediti
con clienti e banche, dipendenti. Non vennero compresi gli immobili, perché in quell’occasione anche la gestione del parco immobiliare
di Gruppo fu identificata come un’attività di servizio comune, alla
stessa stregua dell’informatica, della logistica ecc. e ne venne decisa
la gestione centralizzata, con l’obiettivo di costituire in seguito una
specifica società immobiliare di Gruppo.
Tutto era ormai pronto ed il 30 giugno l’operazione societaria
venne perfezionata. Si trattava di un evento complesso, sia sotto il
profilo societario che sotto quello organizzativo. La Capogruppo
UniCredito Italiano incorporò la finanziaria Credit-Carimonte, che
deteneva il controllo di Rolo Banca 1473, ed altre sei Banche: la
stessa Rolo Banca, Cariverona, Banca crt, Cassamarca, caritro e
cr Trieste. Non fu incorporato il nuovo Credito Italiano che, nei
mesi successivi, doveva svolgere il ruolo di Banca unica per ridurre
al minimo complessità e rischi di transizione dal modello federale a
quello per segmenti. Le altre sei dunque, inclusa Banca crt, cessarono giuridicamente di esistere e tutte le loro componenti materiali
e patrimoniali andarono “su” nella Capogruppo, secondo l’espressione che in quel momento si usò all’interno per spiegare in sintesi
l’operazione. Simultaneamente però, una gran parte di quelle stesse
componenti, e cioè il ramo d’azienda bancario, ritornò “giù” per
conferimento da parte della Capogruppo al Credito Italiano, il quale effettuò un aumento di capitale di quattro miliardi Euro, pari al
valore netto del conferimento. Il Credito Italiano assunse il nuovo
nome di UniCredit Banca15.
Il passaggio degli asset attraverso la Capogruppo, anziché l’incorporazione diretta da parte del Credito Italiano-UniCredit Banca,
aveva lo scopo di semplificare l’operazione: si incorporava tutto; ciò
la fusione di banca crt e unicredito italiano
che non veniva poi trasferito alla Banca unica restava in via automatica sotto la responsabilità della holding UniCredito Italiano. Nell’inventariazione delle attività, passività e rapporti giuridici da conferire
al Credito Italiano si era mirato ad individuare quelli attinenti o
strumentali alla gestione dei rapporti con la clientela, tutte le altre
attività, passività e rapporti giuridici sarebbero rimasti in capo ad
UniCredito Italiano.
Un caso esemplare di tale procedimento fu quello relativo alle
Casse del Cuneese, nelle quali Banca crt aveva a suo tempo acquisito partecipazioni tra un quarto ed un terzo del capitale. La collaborazione era ottima: le Casse di Fossano, Bra, Savigliano e Saluzzo con
i loro oltre 50 sportelli si appoggiavano ad usi e upa per la gestione
in outsourcing dei sistemi informativi e le lavorazioni accentrate, si
servivano di UniCredit per il correspondent banking, di ubm per la
partecipazione alle aste dei titoli di stato e di Pioneer per il risparmio
gestito. Le partecipazioni non erano di controllo e l’equilibrio raggiunto era di reciproca soddisfazione, pertanto le quote non vennero
passate a UniCredit Banca ma rimasero nella Capogruppo.
Sotto l’aspetto societario Banca crt e Cassamarca vennero incorporate, contro il solo annullamento delle rispettive azioni e senza
aumento di capitale perché possedute al 100%. Fu invece necessario
un aumento di capitale della Capogruppo a fronte dell’incorporazione di Rolo Banca 1473, per il 38,8% delle sue azioni e per il 49%
di quelle di Credit-Carimonte. Per le altre si trattava invece di quote
ridotte: il 20% di cr Trieste e addirittura lo 0,23% e lo 0,04% di
Cariverona e caritro, per le quote rimaste ad azionisti minori, che
sarebbero divenuti azionisti di UniCredit. Furono emesse più di un
miliardo di azioni, diluendo di circa un quinto i precedenti azionisti.
Le percentuali di possesso più rilevanti mutarono: Fondazione Cariverona 13,3% (ex 16,3%); Fondazione crt 11,3% (ex 13,8%); Carimonte Holding 7,1% (ex 0,7%); Gruppo Allianz 5,1% (ex 4,8%);
Fondazione Cassamarca 2,3% (ex 2,8%).
La banca unica (secondo semestre 2002)
L’organizzazione di progetto durò fino al 30 giugno 2002, quando passò le consegne all’esecutivo ed alle funzioni della Banca unica,
UniCredit Banca, che doveva esercitare l’attività bancaria in modo
unitario sino al termine del 2002, secondo una logica divisionale e
mantenendo le caratteristiche distintive delle Banche locali. Non si
trattava di un’operazione facile a causa della contemporanea costituzione delle tre nuove Banche di segmento e delle dimensioni della
struttura: esclusa la Capogruppo e tutte le altre società di Gruppo, la
sola UniCredit Banca aveva 29.700 dipendenti16.

16
Essi erano così ripartiti
per ex-Banca di provenienza:
Credito Italiano 10.831, Rolo
Banca 7.127, Banca crt 4.643,
Cariverona 4.434, Cassamarca
1.140, Caritro 813, cr Trieste
724. I dipendenti trasferiti da
Banca crt ad UniCredit Banca erano 2.034 maschi e 2.636
femmine; il 18% erano laureati
ed il 76% diplomati.

17
Cesare Farsetti, già Direttore Generale di Rolo Banca
1473, fu l’unico a non assumere questi incarichi perché era
stato nominato Presidente di
Xelion.
18
Le altre unità erano: Marketing strategico e di segmento,
Marketing di canale, Comunicazione di Marketing e relazionale, Marketing Corporate,
Advisory Corporate, E-business
Corporate, Servizi estero Corporate, Servizi di Investimento,
Prodotti e servizi Small business, Servizi di conto corrente
e sistemi di pagamento, Servizi
Private banking, Sviluppo commerciale banche.
la fusione di banca crt e unicredito italiano
In seguito al triplicarsi delle dimensioni ed al mutamento di nome
da Credito Italiano ad UniCredit Banca, la Banca unica rinnovò le
sue strutture di vertice: il Presidente Alberto Cravero, di matrice
Credito Italiano, divenne Presidente di Adalya, Banca immobiliare
del Gruppo, e fu sostituito dal bolognese Aristide Canosani. La Banca doveva infatti spostare la Sede e la Direzione operativa da Milano
a Bologna. Sergio Pininfarina e Mario Fertonani furono nominati
Vice-Presidenti. L’incarico di Amministratore Delegato fu assunto
da Alessandro Profumo e quello di Direttore Generale da Luca Majocchi.
Gli sportelli di ognuna delle ex-Banche, per limitare l’impatto
sulle strutture operative a contatto con i clienti continuarono ad
operare come prima, aggiungendo solo delle vetrofanie col nuovo
nome accanto al vecchio e modificando i timbri con la nuova ragione
sociale. Ognuna di esse divenne Divisione di UniCredit Banca ed i
rispettivi ex-Direttori Generali, simultaneamente Capi della propria
Divisione e Vice-Direttori Generali di UniCredit Banca. Così fu per
Edoardo Massaglia di Banca crt, Massimo Bianconi del Credito Italiano, Mario Aramini di Cariverona, Franco Benincasa di Cassamarca, Lucio Chiricozzi di Caritro e Gianni Ravidà di cr Trieste17.
Questa però era solo la struttura provvisoria, che doveva gradualmente trasformarsi durante il secondo semestre 2002. I vertici della
nuova struttura, che sarebbe stata pienamente operativa dal 1 gennaio
2003, erano naturalmente già stati individuati: in particolare Luca Majocchi avrebbe assunto l’incarico di Amministratore Delegato ed Edoardo Massaglia di Direttore Generale, mentre Gabriele Piccini sarebbe
stato Vice-Direttore. Il ticket di vertice di Banca crt si trasferì dunque
immediatamente a Bologna per prendere parte fin dal primo giorno
alla costruzione della nuova banca, Piccini a tempo pieno, mentre Massaglia per alcuni mesi continuò ad essere presente anche a Torino.
La graduale riorganizzazione su tre Segmenti coinvolse in primo
luogo le funzioni centrali e intermedie, a partire da quelle di governo
delle attività commerciali e creditizie. Le Aree commerciali della Capogruppo racchiudevano infatti funzioni di marketing e di servizio
alle reti. Per avvicinarle ai rispettivi mercati queste funzioni dovevano essere spostate nella Banca, per far sì che i loro uffici passassero
poi alle Banche di segmento. Nel quadro di questa ridefinizione dei
perimetri 14 unità organizzative della Capogruppo, per un totale di
350 persone, vennero trasferite ad UniCredit Banca. Alcune avevano
un profilo marcatamente operativo, come il Call Center di Milano o
l’ufficio Roma Enti che si occupava dei rapporti con i grandi Enti di
Stato, gli altri avevano ruoli di supporto tecnico o nettamente progettuali, ma sempre relativi ai rapporti con la clientela18. Per contro
una mezza dozzina di unità, di rilevanti dimensioni e per un totale
la fusione di banca crt e unicredito italiano
di 270 persone, furono identificate come non direttamente legate
a quei rapporti e quindi trasferite da UniCredit Banca alla Capogruppo. Si trattava in particolare dei poli logistici e di sicurezza, ma
anche di persone che si occupavano di attività esattoriale e dovevano
passare poi ad Uniriscossioni.
La fase preparatoria fino al giugno 2002 aveva avuto per lo più
natura giuridica, con l’obiettivo di costituire la società veicolo. Nel
secondo semestre ebbe luogo la sua progressiva scomposizione. Per
minimizzare le complessità, i tempi e gli oneri del lavoro, il censimento della clientela e l’identificazione di risorse e strutture furono
effettuati in modo analitico solo per le future Banche Corporate e
Private; in tal modo la Banca Retail, le cui dimensioni erano decisamente maggiori, sarebbe stata ottenuta automaticamente per differenza. Al termine del processo di individuazione dei segmenti le
attività bancarie riferibili ai mercati Corporate e Private sarebbero
infatti state scisse in nuove banche dedicate, lasciando quelle Retail
alla stessa UniCredit Banca.
Alla fine di agosto, una rapida messa a punto informatica completò gli allineamenti gestionali ed operativi portando alla completa
uniformità tutti gli sportelli, di qualunque ex-banca. L’operazione fu
resa facile dall’avvenuta unificazione delle piattaforme informatiche,
dal comune modello di servizio per gestori e dal condiviso approccio
al mercato per segmenti. Questo era già completo nelle Divisioni
Credito Italiano e Banca crt, ed in avanzata fase di realizzazione
nelle altre. La creazione delle Banche di segmento, impegnò dunque
per lo più le strutture di Direzione Generale e quelle intermedie sul
territorio per il governo della rete. La separazione delle configurazioni di front-office commerciale tra Retail, Corporate e Private, già in
gran parte realizzata, poté essere conclusa “in via ordinaria” nel corso
del 2002 senza bisogno di specifici progetti.
L’attività commerciale e il processo di riorganizzazione rimasero
separati, contenendo così gli impatti sul personale e sui clienti, minimizzando l’instabilità delle strutture nel periodo transitorio. Furono costituite le Direzioni di indirizzo e supporto: Amministrazione,
Legale, Personale, Pianificazione, Audit e Organizzazione, mentre le
sette Divisioni ex-Banche continuavano il loro lavoro e le tre Divisioni Retail, Corporate e Private venivano realizzate dai Comitati di
avvio, già insediati in luglio e composti dai responsabili designati
delle future Banche e dai titolari delle loro principali funzioni. Entro il mese di settembre completarono il disegno della Direzione
Generale, dando la priorità alle funzioni commerciali: Marketing,
Pianificazione, Condizioni, e Crediti.
Nel contempo gli organismi intermedi della rete venivano ridefiniti. Per garantire il presidio unitario del territorio furono indivi-


19
Nel mese di settembre
erano state costituite due società: UniCredit Servizi Corporate ed UniCredit Servizi Private.
Queste avevano poi deliberato
di assumere il nome di UniCredit Banca d’Impresa e di
UniCredit Private Banking ed
inoltrata domanda per l’esercizio delle proprie attività alla
Banca d’Italia. Erano quindi
pronte a ricevere la scissione
delle attività, prevista per il 1
gennaio 2003.
la fusione di banca crt e unicredito italiano
duate delle Regioni omogenee, da suddividere in Mercati: questi i
nuovi nomi attribuiti alle strutture territoriali. Gli sportelli vennero
riuniti sulla sola base delle opportunità locali di lavoro, senza tenere
conto della provenienza dalle diverse ex-banche. Questa attività, di
fondamentale importanza, portò a costituire 600 nuove posizioni
di governo commerciale, ridisegnando il presidio del territorio nazionale per i tre segmenti e mescolando tra loro i dipendenti ed i
clienti. Si trattò di una complessa e delicata attività di identificazione
delle persone da inserire nelle posizioni di governo, valutandone la
professionalità, il profilo manageriale e la conoscenza del mercato e
dei clienti. I responsabili designati delle funzioni di Direzione Generale di ognuna delle future Banche di segmento incontravano poi,
in apposite riunioni sul territorio, i futuri responsabili delle nuove
strutture commerciali, via via che questi venivano nominati tra luglio e settembre 2002.
Al termine del processo, il 3 ottobre, vennero soppresse le sette
Divisioni coincidenti con le ex-Banche. Il loro posto fu preso dalle
tre Divisioni di segmento: Retail, Corporate e Private ad estensione
nazionale, che assorbirono subito le funzioni creditizie, commerciali,
di pianificazione e di marketing. Le altre: Legale, Amministrazione,
Personale e Organizzazione divennero invece specifiche Direzioni,
a diretto riporto dell’Amministratore Delegato o del Direttore Generale, mantenendo per il momento i presidi territoriali di Milano,
Bologna, Torino, Verona, Treviso, Trento e Trieste. Scomposizione e
ricomposizione erano dunque graduali. Da novembre anche queste
furono allocate nelle tre Divisioni di segmento, completandone l’assetto in vista della imminente nascita delle nuove Banche19.
La scomparsa delle vecchie Banche avveniva in modo lento e progressivo ma era previsto che ne restasse traccia leggibile anche dopo
il 2003. UniCredit Banca, trasformatasi in banca Retail, avrebbe infatti avuto un unico marchio, ma i nomi delle ex-Banche federate
sarebbero stati inseriti sotto di questo. Il secondo nome non avrebbe
però riflettuto l’origine storica di ogni sportello, ma avrebbe avviato
una progressiva omogeneizzazione per territori. Nelle province in
cui prevaleva una banca storica il suo sotto-marchio avrebbe assorbito quelli degli altri, nelle province con più banche forti sarebbero
stati ottimizzati a livello di comune, nelle aree prive di presenze storiche si sarebbe comunque adottato un sotto-marchio per provincia,
ed infine nelle grandi città il marchio più noto.
Come banca Retail, UniCredit Banca avrebbe posto la Sede e la
Direzione Generale a Bologna. La sua struttura territoriale prevedeva
11 Regioni commerciali, per un totale di oltre 2.500 sportelli. Ogni
Regione era organizzata in Mercati, con 7-8 sportelli tradizionali in
media, cui avrebbero fatto capo alcuni team affluent e small business.
la fusione di banca crt e unicredito italiano
Avrebbe iniziato la sua attività con più di 25.000 dipendenti, oltre
quattro milioni di clienti e l’obiettivo di servire le famiglie con patrimoni al di sotto di una soglia indicativa di mezzo milione di Euro,
nonché le minori attività economiche con un fatturato orientativamente inferiore ad 1,5-2,5 milioni di Euro. Le due Banche Corporate
e Private, nelle aree in cui non possedevano propri punti operativi
diretti, si sarebbero appoggiate ai suoi servizi di base, transazionali e
di supporto operativo.
UniCredit Banca d’Impresa avrebbe posto la Sede e la Direzione
Generale a Verona. La sua struttura territoriale prevedeva quattro
Regioni commerciali e 210 Filiali in tutto. Avrebbe iniziato l’attività
con 3.500 dipendenti ed 80.000 clienti e l’obiettivo di servire le
medie imprese e gli enti pubblici, ma anche le piccole imprese con
fabbisogni più sofisticati ed un fatturato annuo indicativamente superiore ad 1,5-2,5 milioni di Euro, ponendosi in un ruolo attivo nel
sostegno della crescita economica e nello sviluppo dell’innovazione.
UniCredit Private Banking avrebbe avuto Sede e Direzione Generale a Torino e 135 Filiali articolate in 10 Aree commerciali. Avrebbe
iniziato l’attività con 1.000 dipendenti e 100.000 clienti di 35.000
diversi nuclei familiari. Ogni Filiale avrebbe potuto disporre in media di 4-6 gestori e 1-2 assistenti, con l’obiettivo di servire i possessori di patrimoni mobiliari indicativamente superiori a mezzo milione
di Euro, ai quali prestare una consulenza qualificata in relazione al
complesso delle loro esigenze di gestione nel lungo periodo.
Il 1 gennaio 2003 le tre Banche di segmento iniziarono la loro
attività: Banca crt aveva cessato di esistere sei mesi prima. Apparentemente a Torino, invece della sua Direzione Generale, si trovava quella di UniCredit Private Banking. Come si è visto e come
si preciserà meglio in seguito, non si trattava di un passaggio meccanico da una Banca all’altra e neppure da una all’altra Direzione:
i dipendenti della prima erano passati alla seconda solo in parte. A
Torino iniziarono infatti ad operare anche le strutture di governo
locale delle altre Banche di segmento e furono queste, in realtà, ad
assorbirne la maggior parte del personale. Le più importanti erano la
Direzione regionale Piemonte-Valle d’Aosta di UniCredit Banca, il
Polo specialistico small business e finanziamenti di UniCredit Banca
e la Condirezione regionale Piemonte-Valle d’Aosta-Liguria di UniCredit Banca d’Impresa. A Torino restavano inoltre i Poli di usi e
upa, la Banca Mediocredito, la Sede legale di Uniriscossioni ed infine
gli uffici locali della Capogruppo per la gestione degli immobili, la
logistica e la sicurezza.
Prima di osservare in dettaglio come le parti di Banca crt andarono a distribuirsi fra le Banche di segmento e con ciò chiudere la
nota, vale la pena di spendere qualche parola su un ultimo aspetto di


20
Lo studio era stato realizzato per UniCredito Italiano
dal Consorzio aaster, fondato
e diretto dal sociologo Aldo
Bonomi, esperto in ricerche
sulle problematiche del territorio, dello sviluppo e delle forme
di convivenza.
la fusione di banca crt e unicredito italiano
continuità nella presenza sul territorio. Il vertice del Gruppo ritenne
che, dal punto di vista relazionale, non fosse sufficiente limitarsi a
tenere informati i clienti. La chiusura delle Banche storiche toccava
aspetti identitari di rilievo, che andavano presidiati, inoltre incideva
sui consolidati canali di comunicazione, talvolta anche non istituzionali, che esistevano tra la Banca ed i territori nei quali essa operava.
L’evoluzione societaria e organizzativa era già stata illustrata ai
Rappresentanti delle realtà locali assicurando che il Gruppo avrebbe
continuato a prestare attenzione alle specifiche esigenze dei diversi
mercati. Per garantire capacità di iniziativa e rapidità di decisione
le nuove Banche avevano collocato direttamente nel territorio le
strutture di Direzione regionale. Ma non bastava, era quindi stato
promosso il ‘progetto Itaca’, studio dei luoghi e dei flussi che mirava
ad individuare le Geocomunità del territorio italiano20. Sulla base
delle indicazioni di questa analisi la Capogruppo decise di creare dei
Comitati, formati dai rappresentanti delle tre Banche di segmento
nel territorio e da esponenti locali. Questa decisione fu presa il 19
dicembre 2002 e fu una delle ultime prima del big bang. I Comitati avrebbero poi seguito, nel decennio successivo, un loro processo
evolutivo, non rilevante in questa sede; basti far cenno alle loro caratteristiche di partenza.
Non dovevano avere funzioni operative ma raccordare le Banche
al sistema economico e sociale, effettuandone un attento “ascolto”
ed indicando poi le opportunità di crescita da perseguire. Di ogni
Comitato avrebbero fatto parte una quindicina di rappresentanti
delle autonomie funzionali, delle associazioni di categoria, esponenti della cultura, del volontariato e dell’imprenditoria locali. A breve
termine avevano l’obiettivo di valorizzare il radicamento territoriale, ridurre i rischi di diluizione dei rapporti e supportare le relazioni locali; l’obiettivo a più ampio raggio era quello di creare reti
di rapporti “lunghe”, agevolare la comprensione delle realtà locali
ed offrire a queste un canale di comunicazione, tra di loro e con il
Gruppo, in relazione a interessi generali, non solo alle attività proprie di ogni rappresentante. In questa prima fase furono individuate
in Piemonte quatto Geocomunità: Torino-Canavese, Valle d’Aosta,
Piemonte-Sud (Cuneo-Alba-Asti-Alessandria-Tortona) e Piemonte
Nord-Orientale (Biella-Novara).
Dopo la fusione. Conclusioni
Dunque Banca crt era scomparsa, in teoria solo il suo nome restava ancora come specificazione locale in quasi tutto il Piemonte:
UniCredit Banca-Banca crt; in realtà le sue componenti si erano
sparse per il Gruppo. Per concludere vale dunque la pena di seguirle,
la fusione di banca crt e unicredito italiano
a partire dai vertici. Aveva iniziato la sua carriera professionale nella
Cassa di Risparmio di Torino/Banca crt Edoardo Massaglia, Direttore Generale di UniCredit Banca a Bologna, al quale dunque facevano
capo tutti i 25.000 dipendenti. Inoltre due delle 11 Regioni commerciali di UniCredit Banca, quella Piemonte Nord-Valle d’Aosta,
con sede a Torino e quella Liguria-Piemonte Sud, con sede a Genova,
avevano responsabili di matrice crt: Patrizia Monzeglio e Roberto
Bertola. Alle loro dipendenze lavoravano rispettivamente 3.000 e
1.900 dipendenti circa e in queste due Regioni commerciali c’erano
decisive presenze crt anche al successivo livello: nella prima il Condirettore Paolo Chiapatti ed il Responsabile Organizzazione Enrico
Bioò e nella seconda il Condirettore Giovanni Forestiero. Nelle altre
l’unico Dirigente di origine crt era Monica Cellerino, Condirettore
nella Direzione regionale Emilia Ovest con base a Modena.
Per quanto riguarda UniCredit Banca d’Impresa, proveniva da
Banca crt Antonio Chighine il quale, nel quadro della Direzione
commerciale Nord-Ovest che copriva l’intero triangolo industriale, era Condirettore regionale per il Piemonte, la Valle d’Aosta e la
Liguria. Infine in UniCredit Private Banking le presenze di matrice
crt erano ancor più marcate, in conseguenza del posizionamento a
Torino della Sede e della Direzione Generale. Vladimiro Rambaldi
dirigeva la Segreteria Generale, Francesco Marchiandi l’Amministrazione, Paolo Lupo i Crediti, Giorgio Guarneri la Pianificazione e il
Risk Management, Luciana Malatesta la Tesoreria e Catterina Seia la
Comunicazione e Pubbliche relazioni21. Anche la Rete Private vedeva due Condirezioni regionali, quella del Piemonte Nord e quella di
Genova-Alessandria affidate a due dirigenti crt: Cesare Schettini e
Simonetta Santambrogio.
La porzione Nord-Occidentale del territorio italiano, Piemonte,
Valle d’Aosta e Liguria, per quanto nel contesto del Gruppo, era
dunque in sostanza gestita da Torino e da persone per lo più provenienti da Banca crt. La fusione dette comunque luogo a curiosi
rimescolamenti ai quali, nel vecchio mondo della “foresta pietrificata”, nessuno avrebbe pensato neppure per burla. UniCredit Private
Banking pose la sua Sede in via Arsenale 21, a Torino, nel Palazzo
della Luce, famoso anche come Palazzo della Fortuna per aver ospitato la rai dalla nascita al suo trasferimento a Roma. Il Credito Italiano vi aveva poi ampliata, da un edificio adiacente, la propria Sede
di Torino fondata nel 1904. La Filiale fu chiusa e i dipendenti si
mescolarono a quelli di Banca crt. Il Palazzo della Fortuna ospitava
una Direzione di 215 persone, 167 delle quali provenienti dalla crt,
le altre quasi tutte dal Credito Italiano.
Erano diversi i rapporti nella rete, che risentiva di una certa proporzionalità con le rispettive dimensioni delle ex-Banche, ma anche

21
Anche al successivo livello
della Direzione Generale, quello delle Unità organizzative,
quasi tutti i dirigenti erano di
matrice crt: Alessandro Rasino, Gestione e Amministrazione del Personale; Modesto De
Luca, Segreteria e Affari societari; Ennio Dogliani, Legale;
Antonino Graglia, Bilancio;
Francesco Gherlone, Fiscale;
Giuliano Vezzani, Erogazione
crediti; Lidia Bertola, Pianificazione e Controllo strategico;
Marco Allovio, Controllo di
Gestione; Claudia Comino,
Comunicazione.

la fusione di banca crt e unicredito italiano
dalla propensione d’origine a gestire questo specifico segmento. Il
37% degli 800 addetti erano infatti di provenienza Credit, il 29%
Rolo, il 14% crt, il 13% Cariverona, il 4% Cassamarca ecc. Non
aveva dunque senso identificare UniCredit Private Banking con
Banca crt solo perché la sede di ambedue era, o era stata, a Torino.
I gestori di origine crt erano solo 100, quindi nessuna Direzione
regionale e solo due Condirezioni su 12 furono affidate a dirigenti di
derivazione crt. Quella identificazione, già non vera in partenza, lo
sarebbe stata ancor meno alla fine, nel 2010, quando UniCredit Private Banking arrivò al numero di 1.400 dipendenti e 156 Filiali. In
definitiva, all’origine, la Banca Private assorbì solo 300 dipendenti di
Banca crt, cioè appena il 6-7% del totale. Questi però costituivano
il 28% degli organici di UniCredit Private Banking a causa del peso
della Direzione Generale.
Per intendere quanto il modello organizzativo e territoriale delle
nuove Banche fosse diverso dai precedenti vale la pena di osservare
la composizione delle Aree. Su un totale di 135 Filiali Private banking, 21 erano di origine crt, quattro delle quali a Torino, 15 nel
resto del Piemonte e solo due, Bergamo e Pistoia, in altre regioni.
In Piemonte c’erano altre cinque Filiali di origine Credit, una delle
quali a Torino e infine, a Cuneo, una di origine Cariverona. Ma le
Aree commerciali non tenevano più conto dei confini regionali. Nel
Nord-Ovest erano compresi Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria, ma
le province di Novara, Vercelli e Verbania erano assegnate alla Lombardia. Una delle tre Condirezioni includeva la Liguria e le province
di Alessandria ed Asti: sei delle nove Filiali erano di origine Credit,
ma il Condirettore era di matrice crt. Le altre due, Piemonte Nord e
Piemonte Sud, si dividevano la provincia di Torino, alla quale una aggiungeva la Valle d’Aosta e il Biellese, l’altra la provincia di Cuneo. La
prima aveva nove Filiali, otto delle quali ex-crt, come il Condirettore
da cui dipendevano, la seconda ne aveva 10, due delle quali ex-Credit,
una ex-Cariverona e sette ex-crt, mentre non lo era il loro Condirettore. Infine le tre province del Piemonte Nord-Orientale “cedute” alla
Lombardia avevano tre Filiali, due ex-crt ed una ex-Credit.
UniCredit Banca d’Impresa aveva una struttura d’altro tipo, legata
ad un’attività che richiedeva maggiore concentrazione del personale.
Sui 3.500 dipendenti, circa 650 erano in Direzione Generale, per
quasi metà in una grande Direzione Crediti, ma solo 20 provenivano
da Banca crt e ciò spiega perché non ci fossero dirigenti crt di alto
livello se non in Rete. I dipendenti delle 210 Filiali erano 2.800 ma,
per la diversa densità industriale delle Regioni, più di mille appartenevano alla Direzione commerciale Nord-Ovest. Erano originari per
un terzo di Banca crt e due terzi del Credito Italiano. Naturalmente
i primi agivano per lo più in Piemonte, i secondi in Lombardia e
la fusione di banca crt e unicredito italiano
prevalevano anche in Liguria. In tutto 400 dipendenti della Banca
crt, pari al 9% del totale passarono ad UniCredit Banca d’Impresa,
all’interno della quale costituivano l’11% degli organici.
Il grosso dei dipendenti di Banca crt dunque, più di 3.900, l’85%
del totale di quelli in servizio al momento della fusione in UniCredito Italiano, passarono ad UniCredit Banca, della quale costituivano
il 16% degli organici. Questi numeri non erano però relativi ad una
struttura statica in attesa di estinzione. Al contrario, Banca crt era
in pieno movimento: più di 500 di quei dipendenti erano stati assunti negli ultimi due anni ed oltre 600 di quelli che avevano fatto
parte dei suoi organici originali alla fine del 1998, erano già passati
in diverse società del Gruppo, prima che le altre due Banche di s3 ne
assorbissero ancora 700. Il turn-over era forte e comprendeva anche
parecchie centinaia di persone che, nel frattempo, erano andate in
pensione. Dunque non solo la fusione, come osservato in premessa,
non fu un atto istantaneo perché gli eventi si dispiegarono su parecchi anni, ma riguardò una struttura che, dal suo stesso interno, si andava modificando a grande velocità e proprio in quella prospettiva.
Tutti erano coinvolti, sia pure a diversi livelli, e lo scopo di questa
nota è per l’appunto quello di restituire il senso di questa coralità e
di questo movimento.
Dopo aver osservato come si fossero posizionate tutte le componenti di Banca crt al decollo del nuovo modello operativo per segmenti, non c’è forse miglior modo per intendere la dinamica degli
eventi che considerare alcuni dati statistici sull’interconnessione tra i
due più numerosi gruppi di portatori di interessi: i clienti e i dipendenti, tra i quali ogni giorno avvenivano, in relazione ai soli sportelli
ex-crt, tra i 250.000 ed i 300.000 “contatti” fisici o virtuali, nel
quadro complessivo di 1,6-1,7 milioni di operazioni al giorno per
l’insieme della rete di UniCredit Banca alla fine del 2002.
Il semplice numero delle operazioni è naturalmente un dato assai
“rozzo” ma, in via di prima approssimazione, può aiutare a rendere
concreta l’esposizione. I dati sono relativi alla sola UniCredit Banca
che, dopo la separazione delle altre Banche di segmento e le precedenti modifiche strutturali del Gruppo, aveva assunto la configurazione di una grande Cassa di Risparmio ad estensione nazionale.
Era una società per azioni, ma non era quotata in borsa, aveva un
solo proprietario, il bilancio era unico ed accentrato, la sua struttura era fortemente decentrata ma monocratica, aveva cioè al vertice
una Direzione Generale e non una Direzione Centrale22. Anche la
tipologia delle operazioni svolte con i clienti, dopo la separazione
del Corporate e del Private banking, era quella tipica delle Casse di
Risparmio: depositi, mutui, tesorerie di enti locali, rapporti con i
liberi professionisti e con la piccola imprenditoria locale.

22
Direzione Generale, Direzione Centrale e Sede Centrale non sono sinonimi. Oggi
nelle banche esistono solo Direzioni Generali ma così non
era in passato. Una Direzione
Centrale si differenzia da una
Direzione Generale per il fatto
di essere un organo collegiale,
nel quale l’Amministratore
Delegato ha il ruolo di primus
inter pares essendo anche membro del Consiglio di Amministrazione. Una Sede Centrale,
a sua volta, si differenzia da
una Direzione Centrale perché
segue direttamente gli ordinari affari di banca sulla propria
piazza, oltre a coordinare una
rete di filiali. Questo modello
fu quasi universale fino alla Prima guerra mondiale e rispondeva alla logica di banche che
avessero tardato ad estendere
la loro rete e/o avessero sportelli periferici piccoli, rispetto
alla sede. Fu il tipico caso di
Casse di Risparmio e Banche
Popolari che, in caso di crescita
a dimensioni notevoli, passavano al modello della Direzione
Generale. Le società per azioni
invece, in particolare quelle
quotate, in caso di forte crescita adottavano in genere il modello collegiale della Direzione
Centrale. Questo rispondeva
meglio alla loro articolazione
in Sedi, Succursali e Agenzie,
con dimensioni e poteri molto differenziati. Le grandi Sedi
delle città maggiori avevano la
consistenza e le capacità operativa di vere e proprie Banche,
con un territorio esteso ad una
o più regioni e bilanci propri.
Dal 1990 la confluenza verso
un unico modello di tutto il
sistema bancario italiano, portò
le banche a convergere verso il
modello della Direzione Generale e del bilancio unico.

la fusione di banca crt e unicredito italiano
Poiché il soggetto della nota è Banca crt, i dati sono relativi alle
aree di dominanza, con qualche cenno ai pochi sportelli al di fuori.
La grande maggioranza delle sue strutture erano confluite nelle due
Direzioni Piemonte Nord-Valle d’Aosta e Liguria-Piemonte Sud. La
prima copriva un territorio di 3.100.000 abitanti, aveva 297 sportelli su 167 diverse piazze e 3.000 dipendenti circa, 2.400 dei quali
provenienti da Banca crt; in quest’area gli sportelli ex-crt eseguivano l’83% del totale delle operazioni di UniCredit Banca con clienti.
La seconda copriva un territorio di 2.700.000 abitanti, aveva 187
sportelli su 121 piazze e 1.900 dipendenti circa, 1.100 dei quali provenienti da Banca crt; in quest’area gli sportelli ex-crt eseguivano il
57% del totale delle operazioni. Fuori di queste due Direzioni restava ben poco: il nucleo più consistente era in Lombardia, in particolare tra Milano, Monza e Bergamo, dove poco più di una trentina di
sportelli con 250 dipendenti copriva l’8% dell’operatività regionale
della Banca. Un altro nucleo di 20 sportelli si trovava a Roma, con
150 dipendenti circa e copriva il 4% dell’operatività locale. C’erano
infine una decina di sportelli sparsi tra la Toscana e l’Emilia ed altri
quattro nel Triveneto; nulla a sud di Roma.
Nel corso dei successivi tre anni, UniCredit Banca ebbe modo
di razionalizzare la rete dei propri insediamenti, con un approccio
neutrale che sarebbe stato più difficile per ciascuna delle ex-Banche.
L’operazione comportò un selettivo numero di chiusure di sportelli
che erano ormai semplici duplicati di altri. Ovviamente ciò avvenne
in particolare nelle aree periferiche delle vecchie reti, per le quali
avevano svolto le funzioni di avamposti ora non più necessari. Degli
sportelli ex-Banca crt nel Triveneto chiusero Verona, Vicenza e Treviso, mentre Padova si integrò tra le agenzie locali. In Emilia chiusero
due dei tre sportelli di Bologna e quello di Modena, mentre rimasero
quelli di Parma, Piacenza e Reggio Emilia. In Toscana chiuse Pistoia, rimasero Firenze, Livorno e Lucca. Furono chiuse anche quattro
delle 20 agenzie di Roma, mentre una venne spostata. Infine, in
Lombardia, su 34 sportelli ne furono chiusi nove, due a Milano e gli
altri a Pavia, Vigevano, Cinisiello, Vimercate, Busto Arsizio, Como
e Brescia. In totale, all’esterno dell’area core, chiusero 20 sportelli sui
70 esistenti ed i loro clienti e dipendenti si spostarono nelle più vicine agenzie, che talvolta si trovavano addirittura nella stessa strada.
Il numero di chiusure fu naturalmente ben più limitato nelle
due Direzioni che erano state al centro dell’attività di Banca crt. In
Liguria-Piemonte sud, su 115 sportelli conferiti ne vennero chiusi,
nel corso dei successivi tre anni, tre a Genova ed uno a Carmagnola,
Cuneo ed Alessandria. In Piemonte Nord-Valle d’Aosta sui 234 conferiti ne vennero chiusi cinque a Torino città e due a Novara, gli altri
a Settimo Torinese, Ivrea, Biella, Domodossola, Baveno, Vigliano
la fusione di banca crt e unicredito italiano
Biellese ed Aosta. In queste due Direzioni per contro, nello stesso
periodo, vennero chiusi rispettivamente nella prima sei sportelli exCredito Italiano e nella seconda quattro sportelli ex-Credito Italiano
e tre ex-Cariverona.
Queste scelte discendevano dal posizionamento dei diversi insediamenti nel quadro dei rispettivi Mercati. La ripartizione dei territori, come si è accennato in precedenza, non era stata effettuata in
modo astrattamente geografico o seguendo i confini amministrativi,
ma tenendo conto del carico demografico e della densità delle attività economiche presenti. Le due Direzioni in questione avevano in
tutto 25 e 17 Mercati.23 Questi erano molto diversi, a seconda se
metropolitani, provinciali o misti, e diverso era il mix tra i vari tipi
in ogni Direzione. Genova ad esempio era divisa in tre Mercati, due
dei quali però si estendevano anche all’esterno della città ed uno
giungeva fin oltre Chiavari. A Torino invece c’erano ben 10 Mercati
nella città vera e propria. Ognuna di queste unità locali poteva dunque estendersi su qualche migliaio di chilometri quadrati, come la
Valle d’Aosta, o su poche centinaia di ettari come quelle urbane di
Torino.
Si trattava di un nuovo modello di visione del territorio diffusosi
nel Sistema bancario sullo scorcio del xx secolo. Quello precedente
si era basato sul concetto di “piazza”, sia pure integrato da quello di
“zona” d’azione, ma con prevalenza della prima24. Esaminando i dati
in questa più antica prospettiva si può osservare che, a fine 2002,
nella Direzione Piemonte Nord-Valle d’Aosta il 44% delle operazioni di UniCredit Banca aveva luogo sulla piazza di Torino, con 100
sportelli, 27 dei quali ex-Credito Italiano, seguiva Moncalieri con il
3%. Nella Direzione Liguria-Piemonte sud il 18% delle operazioni
veniva realizzato sulla piazza di Genova con 30 sportelli, quattro dei
quali ex-crt, seguivano alla pari Alessandria, Orbassano e Pinerolo
con il 4%. La diversa concentrazione derivava dal prevalere dei modelli insediativi della crt e del Credito Italiano25.
Nonostante tale diversità la fusione dette buoni risultati, grazie
alle caratteristiche dei dipendenti e dei clienti. In relazione ai primi
è opinione di chi scrive che ogni tipo di banca esistente prima delle
fusioni avesse un suo profilo antropologico. I dipendenti delle Banche di Interesse Nazionale erano visibilmente diversi da quelli degli
Istituti di Credito di Diritto Pubblico, delle Casse di Risparmio,
delle Banche Popolari ecc. Ogni banca inoltre, all’interno della propria categoria, possedeva ulteriori specificità. Alcuni di questi profili
si rivelarono, alla prova dei fatti, altamente compatibili tra loro. Fu
il caso di quelli Banca crt e Credito Italiano tra i quali in sostanza si
giocò l’integrazione nell’estremo Nord-Ovest d’Italia. Erano infatti
accomunati da alcuni caratteri di base che prescindevano dai diversi

23
Per un’analisi puntuale si
veda il set di mappe nell’Appendice fotografica.
24
Dalla metà dell’Ottocento
e per più di un secolo, le piazze
furono il cardine del sistema.
La rete bancaria aveva maglie
larghe, con numerosi comuni
serviti da una sola banca ed ancor più non bancabili. Inoltre i
principali strumenti del credito
e del trasferimento di fondi erano la cambiale e l’assegno, uniti
dalla caratteristica di dover essere trasferiti su una piazza predeterminata per il pagamento
o il protesto. Gli accordi, le tariffe ed i rapporti in genere tra
banche erano dunque basati su
reciprocità di piazza e la Banca d’Italia teneva ogni giorno,
nelle oltre cento città da lei presidiate, una Stanza o “stanzino”
di compensazione, attraverso i
quali regolava e sorvegliava gli
scambi di questi e di altri tipi
di valori tra le banche presenti
sulla piazza.
25
Può essere interessante osservare i dati relativi alla piazza
di Cuneo, l’unica di dimensioni significative con la presenza
di tre Banche: Cariverona con
il peso del 40% in termini di
numero di operazioni, Banca
crt con il 38% e Credito Italiano con il 22%. Tre sportelli erano in Piazza Galimberti, la più
importante della città: vennero
chiusi quelli Credito Italiano e
Banca crt. L’80% del lavoro
su piazza si concentrò così in
quella che era stata la sede della
Banca Cuneese Lamberti Mejnardi, pochi anni prima incorporata da Cariverona.

la fusione di banca crt e unicredito italiano
indirizzi operativi delle Banche d’origine: abitudine a pensare in termini di strutture più che di persone, rapidità nell’adeguarsi a nuovi
contesti e obiettivi, disciplina. Per esperienza di vita vissuta, non si
fece mai questione di “noi” o di “voi”.
Fin dal 1998 Banca crt fu sempre la prima a completare le migrazioni ed a mettere in atto le nuove procedure e modalità di approccio ai mercati. I clienti le rimasero legati per tutto il corso del
mutamento e non mostrarono segni di malumore neppure dopo la
scomparsa della Banca. Se si raffrontano infatti per i tre anni successivi i dati grezzi del numero totale di operazioni, sia pure scontando
tutti i limiti di un’informazione così semplice, si evidenziano delle
flessioni nelle aree a più fitto insediamento delle ex-Banche federate,
sia nel Triveneto che in Emilia Romagna, ma non in Piemonte dove,
come in Valle d’Aosta e in Liguria, ma anche in Toscana, Lombardia
ecc. si registrano invece crescite più o meno consistenti sia nei centri
urbani, comprese le grandi metropoli, che nei distretti diffusi.
Questa osservazione conclusiva sugli esiti di medio periodo della fusione in una realtà più ampia e diversamente articolata, non
costituisce un giudizio storico, impossibile a distanza di appena 10
anni e per di più dall’interno. La diversa reazione dei clienti infatti
doveva forse molto a caratteri propri che potevano o meno spingerli
a riposizionarsi. Durante la profonda evoluzione che si è cercato di
tratteggiare, si evidenziò una diversa reattività al mutamento tra la
clientela classica e quella di tipo “metropolitano” che prevaleva nel
Nord-Ovest, anche in provincia: in quest’area infatti le reti urbane
sono polarizzate sulle grandi metropoli. L’Italia Nord-Orientale invece non ha poli concentrati, in grado di indirizzare intere regioni.
Vive dunque un diverso bisogno, anche psicologico, di ancoraggio
a minori realtà locali come ultime istanze identitarie. Non si tratta
di modernità, condivisa da ambedue, ma di punto di vista e non
riguarda solo i rapporti con le banche ma l’evoluzione della società
in genere. Una verifica su altri casi di fusioni bancarie sarebbe di
grande interesse.
Durante gli ultimi 20 anni le città, in particolare quelle minori
dimensioni, sono andate perdendo gran parte delle funzioni urbane
che, con diversi raggi d’azione, spingevano le persone il più vicino
possibile ai loro centri. Quelle funzioni si sono dislocate in luoghi
diversi e sono in parte divenute virtuali: la loro collocazione fisica è
indifferente. Sono nate così città diffuse, collegate da strade e autostrade; ogni città grande o piccola ha vissuto un proprio processo di
“polverizzazione” all’esterno e le “polveri” di tutte le città si stanno
mescolando tra loro, come in nuove galassie nascenti.
Le imprese hanno avuto la stessa evoluzione: dove una grande società manifatturiera occupava una nicchia di mercato, oggi essa è co-
la fusione di banca crt e unicredito italiano
perta da un distretto industriale. Le grandi imprese esistono ancora,
sono perfino cresciute, ma hanno tutt’altra struttura: sono galassie di
società diverse. Per affrontare ogni nuova sfida della tecnologia e del
mercato non creano nuovi reparti, ma nuove aziende. Inoltre oggi
un’impresa può essere quasi priva di fisicità: può produrre con una
rete di terzisti, just in time e quindi senza magazzini, ed utilizzando
un call center per le vendite, i reclami ecc. Un’entità globalizzata di
questo tipo può anche avere una vastissima scala. Le imprese di servizi hanno vissuto un’analoga evoluzione, spesso più pronunciata di
quella delle banche: lo testimonia ad esempio il radicale mutamento
di rapporti tra i clienti e le utility telefoniche, elettriche ecc. Esse
hanno chiuso le loro grandi filiali nei capoluoghi e negli altri centri
maggiori, creando enormi call center remoti ed una rete fittissima di
piccoli negozi, che operano in un contesto di forte concorrenza e
mobilità della clientela, inimmaginabile vent’anni or sono.
Questa nota non voleva né poteva essere in sé storica. L’estensore
però, a conclusione del suo lavoro, sente l’esigenza di dichiararne la
prospettiva, che è quella della ricostruzione a futura memoria di una
determinata configurazione storica, nel senso moderno del termine,
cioè economica, tecnologica, e organizzativa. La conoscenza della
storia serve solo a questo: riconoscere delle configurazioni. La storia
non si ripete, come non si può ripetere una partita a carte. Se si rimettono di fronte gli stessi due giocatori, con le stesse carte e quelle
del mazzo nello stesso ordine, la seconda partita sarà inesorabilmente diversa dalla prima. La storia non serve a prevedere il futuro, ma a
riconoscere configurazioni e personaggi che, come le carte da gioco,
non sono infiniti: un mazzo di carte può averne 40 o 52. Non si
può prevedere l’esito della prossima partita, ma solo la capacità di
riconoscere le carte può consentire di vincerla. Chi non le conosce
difficilmente ci riuscirà.
Negli anni a cavallo del cambiamento di secolo e di millennio,
nel contesto di un mondo che si andava rimescolando in tutte le sue
componenti, il Sistema bancario italiano ha giocato una rilevante
partita di fusioni, su una scala non più vista nei precedenti 70 anni.
Una fusione, come osservato in premessa, è un processo che amalgama il vecchio e il nuovo, come nei lenti vortici di una corrente fluviale: in questo caso gli azionisti, i dipendenti, i clienti e i fornitori,
oggi in buona parte nuovi e ignari delle precedenti esperienze. Le
risorse della letteratura possono forse restituire nel modo migliore il
senso di questo fluire e sciogliersi in qualcos’altro:
«Pensa a un fiume, denso e maestoso, che corre per miglia e miglia
entro argini robusti, e tu sai dove sia il fiume, dove l’argine, dove la terra
ferma. A un certo punto il fiume, per stanchezza, perché ha corso per
troppo tempo e per troppo spazio, perché si avvicina il mare, che annulla


la fusione di banca crt e unicredito italiano
in sé tutti i fiumi, non sa più cosa sia. Diventa il proprio delta. Rimane
forse un ramo maggiore, ma molti se ne diramano, in ogni direzione,
e alcuni riconfluiscono gli uni negli altri, e non sai più cosa sia origine
di cosa, e talora non sai cosa sia fiume ancora, e cosa già mare» Da: “Il
nome della rosa” di Umberto Eco.