Introduzione

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Introduzione
Introduzione
di Danilo Drago
Le operazioni di credit risk transfer (CRT) si realizzano ricorrendo a una categoria di strumenti ampia ed eterogenea. Tali strumenti sono accomunati dal
fatto che rendono possibile il trasferimento del rischio di credito o di una parte
di esso a un soggetto diverso dal creditore originario.
E’ d’uso distinguere tra strumenti innovativi e strumenti tradizionali di
credit risk transfer.
Gli strumenti tradizionali comprendono le diverse forme di garanzia e di
assicurazione del credito (fideiussioni, lettere di credito, avalli, polizze fideiussorie e via dicendo).
Gli strumenti innovativi si identificano con i derivati creditizi, con le
operazioni di loan sales e con la variegata categoria delle operazioni di securitization. Gli strumenti innovativi non godono di ottima fama. Da qualcuno
sono esplicitamente additati tra le cause della grande crisi finanziaria, i più benevoli ritengono che i suddetti strumenti hanno facilitato la propagazione della crisi e ne hanno moltiplicato a dismisura gli effetti. E’ opportuno però ricordare che si tratta solo di strumenti e che i loro effetti dipendono dall’uso
che decidono di farne gli attori economici.
Per comprendere le giustificazioni economiche che spiegano l’esistenza
degli strumenti di CRT è necessario considerare la natura dell’attività creditizia svolta dalle banche. La banca che eroga finanziamenti svolge un’attività
complessa che si compone di un insieme di attività elementari. Schematizzando, individuiamo dapprima un’attività di screening per selezionare tra i potenziali debitori quelli meritevoli di fido. A questa prima fase succede il momento
dell’origination, che culmina con la stipula del contratto. Naturalmente alla
stipula del contratto segue l’erogazione del finanziamento, che presuppone capacità di funding, ovvero disponibilità di risorse finanziarie da erogare.
L’intero processo presuppone la capacità, da parte della banca, di assunzione e
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gestione del rischio, sia a livello di portafoglio sia a livello del singolo prestito
attraverso il monitoring dell’affidato.
Nell’intermediazione creditizia tradizionale tutte le precedenti attività
sono svolte congiuntamente da un unico soggetto: la banca che eroga il finanziamento.
Gli strumenti di CRT consentono di scomporre l’attività di prestito nelle
singole attività elementari. In questo modo le diverse fasi del processo possono
essere offerte da soggetti differenti. Apparentemente sembra una complicazione: l’intervento di soggetti diversi, ognuno dei quali deve realizzare un proprio
margine di guadagno, allunga e rende più laborioso (e costoso?) il processo di
erogazione del credito.
Alla precedente obiezione gli studi economici rispondono ricorrendo alla
teoria dei vantaggi comparati (Katz, 1999). Per esempio, per giustificare la
presenza delle garanzie personali in un contratto di finanziamento,
l’applicazione della teoria menzionata consente di individuare per il fideiussore
un vantaggio informativo, o un vantaggio nel monitoring del debitore, mentre
per il soggetto che eroga il credito viene individuato un vantaggio nel funding.
Gli strumenti innovativi di CRT amplificano a dismisura le possibilità di
trasferimento del rischio e consentono di raggiungere una platea molto più
ampia di investitori.
A questo proposito l’espressione “trasferimento del rischio” non rende
pienamente l’idea perché il rischio viene smontato, trasformato, riassemblato e
infine distribuito. Prima che il rischio si trasferisca dall’erogatore iniziale del
prestito all’acquirente finale è necessario un processo di lavorazione nel quale
intervengono soggetti diversi, tra i quali è d’obbligo ricordare anche le agenzie
di rating. Da un pool di asset rischiosi si derivano titoli di debito (ABS e CDO)
suddivisi in tranche, ciascuna con un proprio livello di rischio, diverso dal rischio medio del pool di prestiti originario.
Con il progredire delle tecniche di CRT diversi studiosi hanno osservato
che l’intermediazione creditizia ha intrapreso una sorta di “scivolamento” verso il mercato e l’intermediazione mobiliare.
Dal punto di vista della singola banca la gestione del portafoglio prestiti
tende ad assomigliare maggiormente alla gestione di un portafoglio titoli, consentendo una serie di vantaggi, a cominciare da maggiori opportunità di diversificazione.
Nell’attività bancaria tradizionale il processo di diversificazione incontra
alcuni limiti. L’erogazione dei prestiti avviene, nella maggior parte dei casi, a
beneficio delle imprese o dei soggetti localizzati all’interno della zona di operatività della banca stessa. Si pone così il problema del rischio di concentrazione.
La concentrazione però comporta anche il vantaggio della specializzazione.
Per valutare le imprese servono informazioni e le banche costituiscono nel
tempo, onerosamente, un patrimonio di informazioni. Se una banca ha già af8
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fidato, per esempio, 10 imprese tessili, può usare le informazioni acquisite per
valutare la domanda di fido dell’undicesima impresa tessile. Conseguentemente, la stessa banca diventerà sempre più precisa, nelle proprie valutazioni, rispetto ad altri intermediari poco attivi nel settore. Il costo marginale per erogare nuovi prestiti al settore tessile diminuirà e la banca dovrebbe essere in
grado di selezionare i migliori clienti del settore. I vantaggi sono evidenti, almeno fino a quando non interviene una crisi che si abbatte sul settore tessile.
Le tecniche di CRT offrono una soluzione al trade off concentrazione/specializzazione: diviene possibile vendere i prestiti già erogati ai settori dove la banca è specializzata, o trasferirne il rischio, per erogare nuovi prestiti nei
medesimi settori. Diviene anche possibile acquistare esposizioni creditizie nei
confronti di altri settori differenti, nei quali la banca non è specializzata, al fine
di migliorare la diversificazione del portafoglio.
Sarebbe però quantomeno azzardato limitarsi a considerare soltanto i
vantaggi sopra richiamati. E’ necessario domandarsi se le banche, dopo aver
intuito le potenzialità offerte dalle tecniche di CRT, possano mutare il proprio
comportamento e il proprio modello di business.
Le banche potrebbero, per esempio, essere indotte a espandere l’offerta
di credito. Questo comportamento può essere inteso in due modi diversi.
In senso statico: un portafoglio meglio diversificato è un portafoglio
meno rischioso. La banca investe sia in prestiti sia in altre attività meno rischiose (essenzialmente riserve di liquidità e titoli). Quindi, con un portafoglio
meglio diversificato, la banca potrebbe decidere di aumentare l’investimento in
prestiti e di ridurre il peso delle altre attività meno rischiose, in modo da aumentare il rendimento medio dell’attivo.
In senso dinamico: la banca può aumentare il tasso di rotazione dei prestiti a parità di raccolta, dando così vita al famoso modello definito “originate
to distribute”. La diffusione del nuovo modello di intermediazione può avere
effetti anche a livello macroeconomico, generando un’espansione del credito a
disposizione dell’intero sistema economico.
Oppure le banche potrebbero cercare di sfruttare le opportunità offerte
dalle tecniche di CRT aumentando la leva finanziaria. Il minor rischio del portafoglio prestiti consente di attuare politiche di aumento del ROE per mezzo di
uno sfruttamento più intenso del leverage.
Oppure ancora le banche potrebbero ridurre l’impegno in attività costose come lo screening e il monitoring. Se i prestiti sono erogati sistematicamente
per essere rivenduti, sarà forte la tentazione di abbassare gli standard di valutazione e gli sforzi di controllo del comportamento del debitore, in modo da
ridurre l’incidenza dei costi relativi alla gestione del rapporto.
Infine le banche potrebbero essere disposte ad assumere maggiore rischio nella convinzione di poterlo gestire, trasformare e trasferire grazie alle
nuove tecniche di CRT (Cardone-Riportella et al., 2010).
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Oppure potrebbe verificarsi una combinazione di tutti gli effetti precedentemente elencati. Ognuno dei comportamenti sopra menzionati è stato preso in considerazione dalla teoria, anche con anticipo rispetto allo scoppio della
grande crisi finanziaria.
Mi limito volutamente a citare alcuni dei contributi pubblicati prima o
in concomitanza con l’inizio della crisi.
Instefyord (2005) e Wagner (2007) hanno studiato gli incentivi ad aumentare l’offerta di credito. Morrison (2005) ha studiato gli incentivi alla riduzione delle attività di screening e monitoring. Jiangli e Pritsker (2008) hanno
osservato che i gruppi bancari più attivi nel processo di securitization hanno
effettivamente aumentato la leva finanziaria.
In uno studio più recente Niyskens e Wagner (2011) hanno osservato che
le banche più attive nell’attività di CRT sono riuscite a essere meno rischiose
individualmente, aumentando tuttavia contestualmente il rischio del sistema
finanziario. Il ragionamento è il seguente: la diversificazione riduce o elimina il
rischio idiosincratico, ma non quello sistematico. Le banche che eliminano il
rischio idiosincratico risultano più legate al rischio sistematico. Ciò è misurabile osservando l’aumento dei beta azionari. Banche più esposte al rischio sistematico implicano anche un rischio sistemico più elevato.
Gli aspetti elencati possono essere osservati da prospettive differenti.
Tra le tante possibili assume rilevanza quella adottata dalle Autorità di Vigilanza.
Nel mondo dominato dalle tecniche di CRT le attività delle Autorità di
Vigilanza si complica notevolmente e diviene difficile persino tracciare la semplice mappa della distribuzione dei rischi di credito.
Il rischio di credito si trasferisce velocemente tra banche diverse, anche
appartenenti a sistemi economici nazionali diversi, e defluisce anche al di fuori
del sistema bancario. La situazione è paragonabile metaforicamente a un gigantesco fenomeno carsico, con il rischio che sparisce dalla banca che ha erogato il prestito per riemergere improvvisamente presso altre banche e altri operatori, in altri mercati e in differenti contesti.
Può accadere così che un aumento delle insolvenze relativo a un segmento dei finanziamenti immobiliari degli Stati Uniti metta in crisi una banca
pubblica tedesca (il caso della IKB).
Oppure può accadere che un Fondo Comune di investimento francese,
(un fondo monetario), sia costretto a sospendere l’attività di rimborso delle
quote, motivando la decisione con l’incapacità di assegnare un prezzo agli investimenti effettuati (differenti tipologie di CDO e ABS).
Un non addetto ai lavori potrebbe pensare che l’Autorità di Vigilanza
debba preoccuparsi della crisi della banca tedesca e non delle difficoltà del
Fondo Comune francese. Infatti, il caso del Fondo Comune non porrebbe ri-
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schi per la stabilità del sistema finanziario perché le perdite ricadrebbero esclusivamente sui sottoscrittori del Fondo.
Oggi sappiamo che il precedente ragionamento pecca di semplicismo.
Nel mondo tradizionale i fenomeni di contagio si trasmettono prevalentemente
attraverso il mercato interbancario. Nel mondo della CRT il contagio si diffonde anche attraverso il calo dei prezzi di mercato.
Nel nuovo sistema dominato dalle tecniche di CRT le condizioni di equilibrio gestionale delle banche e degli intermediari dipendono più strettamente
dalle condizioni del mercato finanziario e dei mercati di borsa.
I problemi posti dalla diffusione delle tecniche innovative di CRT sono
numerosi e, parallelamente, lo scoppio della crisi finanziaria ha creato problemi nuovi alle tecniche tradizionali.
L’analisi di queste nuove problematiche ha costituito il filo conduttore
dei lavori raccolti in questo volume e presentati al workshop “Il Credit Risk
Transfer in Italia dopo la crisi”, tenutosi all’Università della Calabria nel giugno 2013.
Nel contributo di apertura Luca Erzegovesi esamina le tecniche di trasferimento del rischio di credito che sono riconducibili alla famiglia delle garanzie di portafoglio. L’applicazione di queste tecniche al finanziamento delle
Pmi viene esaminata con prevalente attenzione all’Italia e al recente programma di garanzie di portafoglio erogate dal Fondo centrale di garanzia per le
Pmi ai sensi del Decreto interministeriale del 24 aprile 2013. Si tratta di un tema di notevole rilievo, in considerazione del fatto che dopo la crisi finanziaria
l’intervento pubblico mediante strumenti di credit risk management è diventato un elemento centrale delle politiche a sostegno degli impieghi bancari all'economia. Per mezzo di un modello di valutazione appositamente sviluppato,
Erzegovesi dimostra che le garanzie pubbliche e gli strumenti di finanza strutturata non sono in grado, da soli, di offrire un contributo risolutivo ai problemi di finanziamento delle PMI. In tal senso un apporto significativo potrebbe
derivare dal potenziamento del ruolo di intermediari specializzati nel facilitare
l’accesso al credito delle PMI, come, in Italia, i Consorzi di Garanzia Collettiva Fidi.
Proprio ai Confidi, la cui importanza all’interno del sistema economico
italiano è di tutta evidenza, è dedicato il lavoro di Paola Leone, Ida Claudia
Panetta e Pasqualina Porretta. Il lavoro si propone di valutare la financial
sustainability degli intermediari di garanzia, partendo dall’analisi degli equilibri patrimoniali, economici e finanziari. Gli autori sviluppano una specifica
metodologia di scoring/ranking avente l’obiettivo di misurare la rischiosità e la
performance del campione di Confidi considerato. La metodologia proposta
rappresenta un primo esercizio sperimentale finalizzato a realizzare una mappa di posizionamento, in grado di fornire suggerimenti strategici al singolo
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Consorzio di Garanzia in termini di gestione del portafoglio garanzie e di crescita potenziale.
Gabriele Sampagnaro, Maria Grazia Starita e Antonio Meles concentrano l’attenzione sul tema delle garanzie reali e sulle determinanti della presenza del collateral nelle operazioni di finanziamento. Gli Autori hanno avuto
la possibilità di accedere ai dati riservati di un importante gruppo bancario italiano e di esaminare i finanziamenti erogati nell’ambito di quasi 10.000 relazioni di clientela. I risultati ottenuti mostrano che i debitori riconosciuti più
rischiosi sono incoraggiati a prestare una maggior quantità di garanzie. Quando invece la qualità dei debitori è difficile da accertare, sono i soggetti meno
rischiosi che tendono a offrire garanzie come meccanismo di segnalazione della
propria qualità. Lo studio offre, inoltre, esplicite evidenze di una relazione positiva tra relationship banking e uso del collateral. Infine, le banche locali sono
più propense a richiedere la presenza del collateral rispetto alle “distant
banks”, ovvero quelle banche che hanno maggiori difficoltà a raccogliere e a
gestire la cosiddetta “soft information”.
Nel campo delle tecniche innovative di CRT un ruolo di primaria importanza è rivestito dai derivati di credito, al cui studio è dedicato il contributo di
Eleonora Broccardo, Maria Mazzuca e Elmas Yaldiz. In particolare lo studio
si concentra sulla diffusione e sulle modalità di impiego dei derivati creditizi da
parte delle banche italiane. I risultati dell’analisi empirica mostrano che un
numero limitato di banche ricorre ai derivati creditizi, con un picco prima dello scoppio della crisi (2007), e che esistono differenze significative tra banche
utilizzatrici e banche non utilizzatrici in termini di rischiosità del portafoglio,
capitalizzazione, ricorso a cartolarizzazioni, redditività dei prestiti, dimensione, quotazione sul mercato borsistico. Lo studio sembra, infine, non confermare l’ipotesi del ricorso ai derivati di credito per finalità di copertura.
Nel contributo conclusivo Alberto Burchi e Danilo Drago indagano il
grado di coerenza tra premi dei credit default swap (CDS) e rating, con
l’obiettivo di mettere in luce gli effetti che i disallineamenti rilevati producono
a livello di requisiti minimi patrimoniali per le banche.
I risultati ottenuti indicano che esiste un significativo disallineamento tra
il rischio di credito implicito nei prezzi di mercato dei CDS e quello valutato
attraverso il rating e che tale disallineamento non è costante nel tempo, ma subisce variazioni rilevanti durante le diverse fasi del ciclo economico. Il fenomeno osservato può determinare una serie di distorsioni ed effetti indesiderati.
Il problema più grave riguarda probabilmente i requisiti patrimoniali minimi
obbligatori previsti dagli Accordi di Basilea. Nei casi in cui la scala del rating
non riflette adeguatamente la scala del rischio espressa dal mercato, la banca
che soddisfa i requisiti patrimoniali non ha necessariamente un patrimonio
adeguato in relazione al rischio di credito sopportato.
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Gli aspetti legati alla CRT evidenziati nei contributi raccolti in questo
volume sono molteplici e richiamano la complessità del fenomeno analizzato e
le sue importanti ricadute sull’economia reale. In un report della Federal Reserve Bank di New York (Cumming e Einsenbeis, 2010) si legge che a fine 2006
nel mondo esistevano 62 imprese private con rating tripla A e 64.000 strumenti
originati da operazioni di CRT con identico rating. Per un breve lasso di tempo è sembrato che le tecniche innovative di CRT potessero compiere miracoli,
o addirittura trasformare il piombo in oro … quel tempo è finito e adesso si
tratta di verificare cosa rimane … e, soprattutto, cosa rimane da fare.
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Bibliografia citata
Cardone-Riportella, C., Samaniego-Medina, R., Trujillo-Ponce, A. (2010), «What
drives bank securitisation? The Spanish experience», Journal of Banking and
Finance, 34, (11), 2639-2651.
Cumming, C. e Eisenbeis, R. A. (2010), «Resolving Troubled Systemically Important
Cross-Border Financial Institutions: Is a New Corporate Organizational
Form Required?», Federal Reserve Bank of New York, Staff Report, n. 457,
July.
Instefjord, N. (2005), «Risk and hedging: do credit derivatives increase bank risk?»,
Journal of Banking & Finance, 29, (2), 333-345.
Jiangli, W. e Pritsker, M. G. (2008), «The Impacts of Securitization on US Bank Holding Companies», Proceedings 44th Conference on Bank Structure and Competition “Credit Market Turmoil: Causes, Consequences, and Cures”, Federal Reserve Bank of Chicago, 377-393.
Katz, A.W. (1999), «An Economic Analysis of the Guaranty Contract», The University of Chicago Law Review, 66, (1), 47-116.
Morrison, A. D. (2005), «Credit derivatives, disintermediation and investment decisions», Journal of Business, 78, (2), 621-648.
Nijskens, R. e Wagner, W. (2011), «Credit risk transfer activities and sistemic risk:
How banks became less risky individually but posed greater risks to the financial system at the same time», Journal of Banking & Finance, 35, (6), 13911398.
Wagner, W. (2007), «The liquidity of bank assets and banking stability», Journal of
Banking & Finance, 31, (1), 121-139.
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