curiosita - Studio Di Nanno
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Studio Di Nanno CURIOSITA' Inviato da Administrator sabato 14 febbraio 2009 Ultimo aggiornamento mercoledì 05 gennaio 2011 Lo sapevate che.............. Quando a Milano non vi era il tramvai già si gustava il panettone Baj Questa fu la pubblicità della ditta Baj che per prima produsse in quantità industriale il panettone milanese. Un dolce che, secondo Ludovico Muratori, troneggiava sulle tavole natalizie milanesi già dal XV secolo. Sulla nascita del panettone vi sono molte leggende fra le quali la più accreditata è quella che lo fa risalire al "pan de Toni" dal nome di un garzone di cucina della corte di Ludovico il Moro. La suggestiva tra-dizione narra infatti che, nel corso di un banchetto offerto dal Duca in occasione del Natale, il cuoco di corte fece bruciare il dessert. La situazione fu salvata dal garzone Toni che aveva preparato un pan dolce con gli avanzi di cucina (burro, canditi e pasta). IL dolce ebbe successo tanto che il Duca domandò quale fosse il suo nome e quando Toni disse che non aveva ancora deciso come chiamarlo, il Duca decise per “Pan de Toni”, da cui il nome panettone. Forse sarà pura goliardia la mia, ma, a proposito del Panettone voglio ricordare alcune simpatiche rime composte con arte e maestria da un tale Guglielmo Faggi il quale, per una campagna pubblicitaria della Motta, scrisse versi a fiumi sull’argomento. Vi riporto i più significativi. Alla maniera di Dante: "Tanto maestoso e tanto onesto pare 10 Panettone nel suo dolce aspetto che sente voglia in sé di manducare chiunque lo rimiri in suo cospetto..." Alla maniera di Petrarca: "Levommi il mio pensiero in parte ov'ero 11 panetton che sempre cerco in terra e a gran gioia il core mi disserra con la sua vita nobile ed altera..." Alla maniera di Vincenzo Monti: "Quando Giason del Pelio spinse nel mar gli abeti e primo corse a fendere co' remi il seno a Teti, d'Orfeo le dita eburnee trassero dalla lira un fraseggiar melodico che al panetton s’ispira…. http://www.studiodinanno.it Realizzata con Joomla! Generata: 16 March, 2017, 22:57 Studio Di Nanno Alla maniera di Leopardi “ la donzelletta vien dalla cittade in sul calar del sole senza il fascio dell’erba e reca in mano un caro involucro invece che viole che la furbetta suole gustare appena desta dimani al dì festa:il Panettone” http://www.studiodinanno.it Realizzata con Joomla! Generata: 16 March, 2017, 22:57 Studio Di Nanno PALAZZO DOGANA A FOGGIA II Palazzo Dogana, in Piazza XX Settembre, fu costruito dopo il terremoto del 1731. Durante la restaurazione borbonica Ferdinando IV vi stabilì la sua residenza dal 14 aprile al 26 giugno 1797. Fu sede della Regia Dogana della "Mena delle pecore", fino a quando questa istituzione, dovuta alla transu-manza delle greggi, non fu abolita nei primi anni dell'Ottocento. Sala del Tribunale Nel 1796 Palazzo Dogana viene invaso da muratori, stuccatori, decoratori, fabbri e falegnami per il matrimonio tra il principe ereditario Francesco di Barbone e la principessa Clementina d'Austria. Le nozze si svolgono il 25 giugno del 1797 e per qualche giorno Foggia diventa capitale del Regno. Il Salone del Tribunale, dopo la cerimonia religiosa in Cattedrale, è il centro di grandi festeggiamenti, allietati anche dall'esecuzione dell'opera "Daunia Felix", composta per l'occasione da Giovanni Paisìello. Tanto calda e generosa è l'accoglienza dì Foggia e delle sue più ricche famiglie (che hanno contribuito generosamente al prestito pubblico lanciato per finanziare i preparativi) che il Re eleva al rango di marchesi i casati dei Freda, dei Celentano, dei Filiasi e dei Saggese. L’essenziale non si vede con gli occhi!!! Come hanno trascorso la Pasqua uno studente della quarta liceo scientifico di Grottaglie, un avvocato penalista di Brindisi, un biologo titolare di un laboratorio d’analisi anch’egli di Grottaglie, un neurologo di Foggia, un otorinolaringoiatra e la moglie avvocato civilista di s. Marco in Lamis, un dirigente della Provincia di Foggia, un geometraimprenditore edile di S. Marco in Lamis, alcuni dei quali accompagnati dalle consorti? Tutti insieme. E appassionatamente. Ma non a casa, evidentemente… A seguito di una deliberazione assunta nel pomeriggio di lunedì 6 aprile, a meno di ventiquattr’ore dall’immane sisma che ha provocato lutti e distruzione in Abruzzo, il Governatore del Distretto Lions 108 AB Puglia, dr. Nicola TRICARICO, con il suo staff dirigenziale, convocato come unità di crisi – Lions Team ALERT, ha stanziato la devoluzione di una somma di oltre 30.000 euro da destinare a progetti per la ricostruzione identificati dall’omologo Distretto Lions A, competente per la Romagna, Marche, Abruzzo e Molise. I fondi saranno messi a disposizione dai soli dei 94 Lions Clubs pugliesi attraverso la sottoscrizione di 10 euro per ciascun socio. Tuttavia, chiunque può aiutare ad incrementare tale somma, versando su un apposito conto corrente bancario: Banca Carime – Filiale di San Giovanni Rotondo - IBAN: IT27X0306778590000000000160, specificando se chi versa è non-Lion e con la causale “Contributo Pro Terremoto Abruzzo”. La raccolta fondi, per essere veramente efficace, si chiuderà definitivamente il 30 aprile prossimo. Sempre nel corso della stessa riunione, l’Unità di Crisi dei Lions pugliesi ha deliberato di inviare, direttamente e per il giorno di Pasqua, una squadra operativa sul posto, guidata dal Governatore in persona, allo scopo di consegnare, ai Lions abruzzesi ed agli sfollati millecento uova di cioccolato al latte, fatte appositamente confezionare da un noto stabilimento dolciario pugliese. E così, partendo di buon ora (alcuni nel pieno della notte) un camion, un furgone cabinato ed una capiente monovolume da sette posti hanno portato, dapprima a L’Aquila, poi ad Alba Adriatica, sulla costa, cinque computers completi ed attrezzati, oltre ad una stampante ad aghi; migliaia di confezioni di sapone liquido per le mani, bagno schiuma, http://www.studiodinanno.it Realizzata con Joomla! Generata: 16 March, 2017, 22:57 Studio Di Nanno sapone intimo; migliaia di kit con spazzolino e dentifricio; cento coperte in pile e le uova di cioccolato. A L’Aquila, presente anche il Governatore del Distretto A, dr. Achille GINNETTI, sono stati scaricati i computers e le coperte, affidati alla Delegata di Zona de L’Aquila, avv. Francesca RAMICONE (che indossava ancora una felpa della figlia ed un paio di jeans donati dalla Protezione Civile, in quanto ha perso letteralmente ed in maniera irrimediabile casa e studio), che provvederà alla loro distribuzione. I computers, anche se pochi, serviranno per riavviare attività lavorative interrotte dal momento del terremoto. Mentre le massime Autorità dello Stato, Presidente del Consiglio e Presidente della Camera, a poche decine di metri dal punto di contatto dei Lions, lasciavano L’Aquila, immediatamente dopo, questi ultimi si dirigevano, a nord-est, verso la costa, dove decine di Leos abruzzesi (i giovani Lions) attendevano le uova ed i generi per l’igiene, da distribuire alle popolazioni sparse lungo il litorale adriatico dove, per il giorno di Pasqua, nessuno aveva pensato di passare. Si sapeva già prima di partire che Enti, grandi aziende e persino Suà Santità avevano puntato alla città capoluogo per distribuire migliaia di dolci al cioccolato. Per gli sfollati sulla costa ci hanno pensato, in silenzio, i volenterosi Lions di Puglia il cui motto, per il presente anno sociale, non a caso è: <<Credere nel servire, Servire per credere>>! Mimmo Pagliara Claudio Di Nanno (Cerimonieri Distretto Lions 108AB Puglia) La storia della bandiera italiana Gli albori di un Simbolo Una data esatta per poter collegare il vero momento in cui si perverrà, per gradi successivi alla formazione del nostro Vessillo nazionale, non è di facile individuazione anche perché non nasce da un'idea prettamente italiana, ma è l'adattamento, con le successive modifiche, di un Simbolo che le truppe militari francesi, al comando di Napoleone Buonaparte, dettero alle truppe italiane in occasione della prima campagna d'Italia, epoca decisiva dell'inizio del disfacimento del radicato sistema italico della frammentazione della Penisola in numerosi Stati e Staterelli. Questo evento, oggi visto come un fatto accidentale e di unificazione di comando con le truppe francesi, fu, invece, il progressivo divenire della necessità di guardare al Simbolo non più come ad un Segno distintivo prettamente militare' o come successivamente, ad un Segno dinastico ma come il Simbolo d'un Popolo che tendeva a conquistare una propria autonomia ed una libertà, fino a quel momento negata dal potere assoluto imperante e dalla dominazione austriaca. Sorgono, in quel tempo parecchie Repubbliche di stampo giacobino quali la Ligure, la Romana, la Partenopea e l'Anconitana, la Transpadana e la Cisalpina e tutte adottano il Tricolore a tre bande verticali di uguali dimensioni con i colori, in sequenza dall'asta, di verde, bianco e rosso. Molte di queste repubbliche non sopravvivranno, ma l'idea della libertà e dell'unità travalicherà i fatti storici e si radicherà nei cuori e nelle menti dei nostri eroici Progenitori. La Repubblica Cisalpina, che fuse in sé la Transpadana, che abbracciava la Lombardia, il Novarese e gran parte dell'Emilia, ebbe diverse varianti del Simbolo, fino all' Il maggio 1798, data in cui il Consiglio repubblicano dette ufficialità al tricolore verticale composto dalle tre bande variamente colorate, ma di forma quadrata.Il Tricolore, quale bandiera nazionale, nasce a Reggio Emilia il 7 gennaio 1797, su proposta del deputato don Giuseppe Compagnoni di cui si riporta parte del discorso tenuto al Parlamento della Repubblica Cisalpina: " ... che si renda universale lo Stendardo o Bandiera Cispadana, la quale debba portarsi da tutti. ... " Anche se la foggia non è uguale a quella attuale e le prescrizioni per l'asta non sempre sono state seguite, questa bandiera rappresenta il primo segno di bandiera italiana, che oggi sventola sul territorio italiano.L'origine delle tre fasce di uguale dimensione e di colore diverso, ma sempre richiamanti gli attuali tre colori di uguale dimensione sono da attribuirsi , come ispirazione, a quelle del modello francese del 1790, mentre i nostri tre colori riecheggiano, il rosso ed il bianco, del simbolo dell'antichissimo stemma comunale di Milano (croce rossa http://www.studiodinanno.it Realizzata con Joomla! Generata: 16 March, 2017, 22:57 Studio Di Nanno su campo bianco) ed il verde il colore delle uniformi della Guardia Civica. Al centro del campo bianco fu riprodotto un turcasso, contenete quattro frecce, e circondato da un serto di alloro e ornato da un trofeo d'armi. LE VARIE TAPPE STORICHE La prima tappa del nascere e sventolare del Tricolore, l'abbiamo trovata nell'epoca napoleonica, fautrice del nascere di un sentimento di libertà e di appartenenza ad un mondo in cui i diritti sono legati alla persona e non al censo di nascita o alla pura volontà divina di una dinastia. Il secondo passo evolutivo è rappresent ato dall'epoca Risorgimentale, laddove si rafforzano le iniziative tendenti a stabilizzare i primi simboli che vengono usati nelle varie circostanze e nei vari territori che cominciano a sganciarsi dai vecchi schemi totalitari per raggiungere la libertà dal potere assoluto ed affidare tale Potestà al popolo sovrano.Nascono gli ideali e si rafforzano gli spiriti d'indipendenza e di senso di unità nazionale.Vediamo adesso, passo passo, come si arriverà all'attuale Bandiera. Il primo Simbolo che ricorda quello attuale, nasce con tre barre orizzontali e la disposizione dei colori è in ordine diverso da quello attuale (bianco, rosso e verde). Fu infine, il 10 dicembre del 184 7 che il Tricolore venne sventolato per le vie della città di Genova per ricordare l'anniversario della insurrezione dell'anno precedente. Tale sventolio volle indicare chiaramente un'avversione al Potere straniero e dare aperta testimonianza di un patriottismo ormai giunto alla piena maturazione dei tempi. In tale manifestazione popolare sventolarono due Tricolore: di uno era Alfiere Goffredo Mameli; dell'altro Luigi Paris, ma lo spirito eh animava i numerosi partecipanti, arrivati da ogni parte d'Italia, era il chiaro simbolo di voler riunire l'Italia, "Espressione geografica", come l'aveva, ironicamente, definita il Principe di Matternich al Congresso di Vienna. ll momento cIou dell'astensione del Tricolore si ebbe il 23 marzo del 1848, ad opera del Re Carlo Alberto che lo adotta come bandiera del proprio esercito che conduce alla guerra contro l'Austria.Il Sovrano vi apporta la modifica di aggiungere, n l campo bianco, lo stemma di Casa Savoia. Uscito vittorioso dallo scontro, designa il Tricolore come il simbolo per eccellenza della libertà e lo fa adottare dalle ultime Repubbliche che lotteranno contro la restaurazione dei vecchi Governi: la Repubblica Romana la Repubblica Veneta. Il Tricolore, nel 1849, divenne il simbolo del Regno di Sardegna e nel 1861 del Regno d'Italia, diventando la Bandiera nazionale italiana. I riconoscimenti giuridici e le Simbologie del tempo Tappe giuridiche sono sempre quelle più impegnative perché sollevano molte esegesi e queste si trascinano per decenni, senza preoccuparsi dei risvolti normativi che ne derivano per la mancanza della certezza di una chiara Legge scritta che ne disciplini la materia in maniera univoca e definitiva. E' vero che i riconoscimenti giuridici del Tricolore non vantano una tradizione scritta molto remota, ma è anche vero che hanno sofferto del bizantinismo prettamente latino che prolunga oltre ogni ragionevole aspettativa i giusti percorsi riconoscitivi.Nelle ormai consolidate ed indiscusse Fonti del Diritto, com'è noto, vi sono anche le Tradizioni orali popolari, che, in una coscienza di unità nazionale, che si andava formando attraverso le azioni cruente delle battaglie, delle insurrezioni popolari e delle affermazioni di libertà, non aveva ancora una chiara visione d'insieme che potesse accomunare popoli di tradizione ed estrazione talmente diversa quali quelli dell'estremo nord con quelli dell'estremo sud, ma forniva l'ideale dell'unità. Fu necessaria un'opera di grande e paziente lavorio di cesellature successive per far capire che il campanilismo doveva travalicare i confini ristretti entro i quali si circoscrive per abbracciare spazi sempre più grandi. L'ottimo paziente e certosino lavoro fatto dal "Gran Tessitore d'Italia" (Camillo Benso, Conte di Cavour n.d.r.), unitamente a quello di altri non meno famosi Parlamentari, fece sì che l'Organo deliberante prendesse in considerazione l'idea di profferire un unico Vessillo che esprimesse per tutti gli Italiani e per l'Italia riunificata, il simbolo dell'unità nazionale.Nella Costituzione repubblicana del 1947, all'art. 12, si legge: "La Bandiera della Repubblica Italiana è il Tricolore: verde, bianco e rosso a tre bande verticali di eguale dimensione" Il significato dei tre colori è: Verde= Il colore delle nostre pianure, Verde prato brillante (17 -6153);Bianco = La neve delle nostre cime. Bianco latte (11- 0601);Rosso = Il sangue dei caduti. Rosso pomodoro (18-1662).I numeri a fianco ai colori dei toni del nostro simbolo nazionale sono tratti dalla scala Pantone e ci vollero ben 206 anni per arrivare alla loro codificazione. La bandiera della Marina Militare Italiana istituita il 9 Novembre 1947 con Decreto Legislativo n° 1305, con gli stemmi delle Repubbliche marinare di Venezia, Pisa, Genova ed Amalfi, sormontate dalla corona turrita e rostrata, per distinguerla sul mare da quella messicana,Marina Mercantile 1947 :Bandiera della Marina Mercantile recante al centro della banda bianca l'emblema araldica delle quattro Repubbliche Marinare senza corona turrita e rostrata per distinguerla da quella militare e da quella messicana (D.L. n° 1305, 1947). La Bandiera mercantile decretata il 9 novembre 1947 e in vigore dal 30 successivo. Lo stemma con le armi inquartate delle repubbliche marinare, Venezia, Genova, Amalfi e Pisa, fu aggiunto alla bandiera nazionale per differenziarla in mare da quella messicana, che all'epoca era pulita. Analoga la bandiera della marina militare, ma lo stemma è coronato e il leone di Venezia tiene il libro chiuso sotto la zampa, alza la spada e differisce per alcuni altri particolari. Per le navi da guerra, infatti, l'emblema araldica delle quattro repubbliche marinare è sormontato dalla corona turrita e rostrata con il leone di San Marco, armato di una spada, che poggia la zampa anteriore sinistra sul Vangelo chiuso. Nella bandiera della marina mercantile la corona non è presente ed il leone, rappresentato nel quarto della repubblica veneziana, è senza spada ed il Vangelo è aperto con la scritta "pax tibi Marce evangelista meus". Una storia quasi autentica La bandiera tricolore non vanta una tradizione storica di colori legata a fatti di battaglie popolari, come la Francia, in occasione della Rivoluzione francese, della presa della Bastiglia o qualche altra battaglia combattuta e vinta, dal popolo, in favore dei diritti dei cittadini. Esiste, invece, una tradizione popolare, mantenuta e tramandata verbalmente da padre in figlio da coloro che parteciparono alle eroiche dieci giornate di Brescia, chiamata la Leonessa d'Italia per la strenua resistenza opposta alle preponderanti e ben armate truppe austriache. Poiché trattasi di http://www.studiodinanno.it Realizzata con Joomla! Generata: 16 March, 2017, 22:57 Studio Di Nanno cultura popolare, essa, alle volte tende a sconfinare, colorandosi di fantasia e mito. Mi sovviene, oggi che scrivo a tema, che, casualmente, tanti anni fa, durante un soggiorno in quella ridente cittadina, ebbi modo di ascoltare la fiera ed orgogliosa voce di un ultra ottuagenario, nipote d'un popolano bresciano, combattente all'epoca delle dieci giornate, che, col fervore che ogni popolano mette nel narrare dei fatti non ritenuti fantasiosi, ma che allignano in tradizioni di cui il più delle volte i saggisti storici non riescono a comprovarne la fonte e la veridicità dei fatti, mi volle far conoscere. Egli, impersonando si combattente, si riportò ai quei tempi e con spirito evocativo mi disse: "In quelle terribili giornate di fuoco e fiamme, non si viveva più un attimo di pace, e tutta l'attenzione della popolazione era rivolta a far sì che il nemico non facesse brecce nelle nostre barricate, rompendo il cordone della resistenza.Tutti eravamo impegnati. Le donne avevano il compito di pensare al vitto e di aiutare le poche infermiere, improvvisatesi Crocerossine, a curare i vari feriti che gli uomini, non precisamente validi per il combattimento a fuoco, tiravan giù dalle barricate, per un primo soccorso e successivamente, con barelle di fortuna, portavano nelle retrovie per una migliore assistenza e sistemazione logistica. Prodigioso fu l'aiuto dei ragazzi che, sprezzanti del fischiar d'ogni dove delle pallottole, si facevano trovare dappertutto con ampie stoffe di lenzuola fatte a brandelli o con pezze di stoffa pulite, atte ad asciugare il sangue o far da improvvisato tampone alle ferite sanguinolenti. Fu proprio uno di questi ignoti e giovanissimi eroi lombardi che fece, forse non nascere, ma sicuramente rafforzare, l'idea del Tricolore.Questi, infatti, in una sacca verde, issata sul suo alpenstock, intarsiato a mano, col quale indubbiamente si aiutava a scalare le montagne o a guidare le pecore al pascolo, aveva stipato tutte le lacinie di stoffa bianca e tutti i tranci di laccio ch'era riuscito a trovare e con una tale attrezzatura, agitando il sacco in aria, indicava, alle persone del soccorso infermieristico, che lì v'erano disponibili delle bende e dei lacci per una prima sutura delle ferite.Il colore della sacca fu scelto verde, probabilmente perché indica il simbolo universale della speranza, e non bianco che poteva significare resa; né rosso che poteva significare pericolo. L'idea piacque tanto ai Comandanti delle battaglie che incoraggiarono questa brillante ed utilissima iniziativa e la incoraggiarono a tal punto che, dall'iniziale unico sventolio, si videro molti giovani agitatori di alpenstock, muniti di sacca verde, ripiena di bianche bende e di lacci di sutura. Quando questi giovani arrivavano sul posto, tiravano fuori le bianche bende ed aspettavano, in loco, per ritirare quelle macchiate e portarle a lavare.Fu quindi osservato come da una sacca di drappo verde, fissata ad un bastone si srotolasse un telo bianco che, per l'eroismo dei valorosi combattenti, si tingeva di rosso sangue. otando il continuo susseguirsi dello scorrere dei colori, verificatosi, quasi ossessivamente per tutta la decade, il passo fu breve e facilmente si pervenne al nascere e all'ideazione della sequenza delle bande colorate della nostra Bandiera nazionale."Quindi tacque! Durante tutto il racconto non smisi un attimo di guardare negli occhi il narratore, ma lo vidi sempre fiero, sereno e placido e pieno di quella calma che m'indicava che ciò che stavo ascoltando altro non era che la semplice versione dei fatti che lui ricordava per averli sempre sentiti ripetere, più e più volte, dal suo avo e da altri saggi avi. Anche se elaborata e fantasiosa, l'eziogenesi sembra attendibile e verosimile. L 'attuale vessillo Dopo la lunga dissertazione fatta sulla dinamica e sulla varia composizione del nostro Simbolo nazionale, ben poco rimane da dire, se non aggiungere il modo in cui è strutturato fisicamente e con quali materiali viene assemblato.E' composto da una freccia d'ottone dorato; da un'asta rivestita di velluto verde ed ornata con bullette d'ottone; da un drappo quadrato di cm. 99 x 99 diviso verticalmente in tre parti uguali i cui colori sono il verde, vicino all'asta, il bianco in mezzo ed il rosso che chiude la sequenza; da una fascia formante due strisce di colore turchino azzurro terminanti con frange dorate; da un cordone argentato legato alla fascia.La stoffa da cui il drappo è formato è la "stamigna". Essa è uno speciale tessuto pregiato ricavato da lana intrecciata con tela. Questo particolare ordito la rende resistente ed idonea al sicuro garrirc cui è chiamato ogni vessillo.Il Simbolo nazionale, è anche la Bandiera dei Corpi d'Armata dell'Esercito, dell' Aeronautica e dei Reparti a terra della Marina Militare. Quando dal 5 ottobre del 2000 col Decreto Legge n° 297, l'Arma dei Carabinieri fu elevata al rango di IV Corpo d'Armata della Repubblica Italiana, il nostro Vessillo ne divenne, anche per Esso, l'unica Bandiera.Di tanti altri particolari sul Vessillo potrei accennare, quali ad esempio: come si espone; quale posto occupa nello schieramento ufficiale di parata; chi sono i militari che hanno l'onore di fare da Alfiere e da Scorta nel farlo sfilare; che va salutato ed onorato da tutti; che s'inchina soltanto davanti al Capo dello Stato, cui riconosce il ruolo di Capo supremo delle Forze Armate; di come si custodisce e di chi ne è il Responsabile; di come si lo si scambia fra i vari Consegnatari che lo passano con le consegne dei ruoli; etc. etc., ma l'addentrarsi in questo campo, prettamente specifico, esula dal compito per cui nasce questo Opuscolo ed io me ne astengo. (Lions Club Copertino Salento). http://www.studiodinanno.it Realizzata con Joomla! Generata: 16 March, 2017, 22:57 Studio Di Nanno 1861-2011 AITUALITA' DEI VALORI FONDAMENTALI NEL 1500 ANNIVERSARIO DELL'UNITA'D' ITALIA. IMPEGNO DI TUTTI A PROMUOVERE LE ISTITUZIONI E RENDERE EFFETTIVO L'ESERCIZIO PARTECIPATIVO DELLA CITTADINANZA ITALIANA ED EUROPEA Nel 2011 ricorderemo un momento della nostra storia nel quale una generazione soprattutto di giovani seppe trasformare un popolo, il nostro popolo, in una Nazione. Questo è stato il Risorgimento. Questo l'Italia vuol ricordare e rivivere nel suo operare quotidiano, nelle istituzioni, nelle coscienze dei cittadini. Le parole che risuonarono nel Parlamento di allora erano la voce degli eletti.alla prima legislatura dell'Italia unita, che consapevoli di essere protagonisti di un'opera politica che nessuno aveva previsto e che solo il coraggio, l'ardimento di patrioti e governanti aveva saputo costruire. In ventitré mesi, dall'estate del 1859 alla primavera del 1861, era stato compiuto una sorta di miracolo. Centocinquanta anni fa. Quale Italia immaginarono i giovani di allora? L'unità alla quale miravano moderati e repubblicani si raffigurava prima di tutto nell'unità territoriale ma era sentita ancor più come esigenza di dar vita a una comunità di valori, come conquista di quei diritti civili che erano germogliati nelle antiche repubbliche italiane descritte dal Sismondi. Il contributo dato al Risorgimento da tanti letterati, filosofi, poeti e scrittori fu essenziale. L'Italia nacque nelle coscienze prima ancora che sui campi di battaglia e nelle istituzioni della politica. Ed é nelle coscienze che dobbiamo rafforzarla e farla crescere. . I patrioti di allora; pur nell'entusiasmo del momento, avvertivano un senso d'incompiutezza nello straordinario successo raggiunto. Lo segnala l'enfasi stessa di alcune loro affermazioni. Per la prima volta, milioni d'italiani erano stati chiamati a votare - a suffragio universale, quella prima volta! - per l'adesione al regno costituzionale di Vittorio Emanuele. I plebisciti furono un'esperienza indelebile per quella generazione e, naÌ a caso, i risultati delle votazioni sarebbero dovuto essere iscritte nel colonnato del Vittoriano, secondo il progetto originario del Sacconi. Tuttavia, chi aveva combattuto per l'Italia libera, indipendente, unita soffrì la mancanza di un vero momento costituente che si esprimesse in un 'assemblea eletta, nella quale si potessero confrontare le diverse anime del nostro Risorgimento. Era mancato quel patto solenne, quel "giuramento" tra i cittadini che, non a caso, aveva ispirato nel Manzoni i versi di "Marzo 1821 ", che aleggiava nelle pagine delle grandi opere sulla storia delle antiche repubbliche, marinare e comunali, nella musica e nel melodramma dei nostri compositori. Ispirazioni artistiche e storiche che ai patrioti di allora apparivano prefigurazioni di una "assemblea costituente" che solo la Repubblica Romana del, 1849 seppe tentare - sotto i cannoni dell'assedio di Roma - e che soltanto con la Repubblica Italiana, il 2 giugno 1946, fu realizzata. L'unità fu il risultato dell'agire di molti uomini, mossi da motivazioni per più aspetti differenti, ma animati da uno stesso spirito. Come si può dimenticare U genio militare di Garibaldi, che seppe combattere e vincere, di solito in condizioni d' inferiorità numerica? Come si può dimenticare il genio diplomatico di Cavour, la sua dedizione illuminata alla costruzione della macchina amministrativa dello Stato, alla nascita di un'economia moderna? Ma non dobbiamo neppure dimenticare che l'unità non si sarebbe realizzata se, dopo la sfortunata rivoluzione del 1848, Vittorio Emanuele -accogliendo il consiglio dei suoi collaboratori più illuminati non avesse conservato al Piemonte lo Statuto e il Tricolore, se non avesse accolto in Piemonte migliaia di esuli da ogni parte d'Italia, come Scjaloia, Poerio, Spaventa, Ferrara, De Sanctis, Tommaseo. Questo è il grande merito di colui che ancora oggi ricordiamo come Padre della Patria. Per capire lo spirito di quello che accadde in quei giorni, di come fu possibile che accadesse, dobbiamo rileggere la http://www.studiodinanno.it Realizzata con Joomla! Generata: 16 March, 2017, 22:57 Studio Di Nanno lettera che Farini scrisse a Cavour da Teano, il27 ottobre 1860: "Facemmo insieme tutta la strada da Presenzano a Teano, Garibaldi alla sinistra del Re, noi tutti, generali, ministri, ufficiali mescolati con le Camicie Rosse a cavallo, lombardi, veneti, inglesi, piemontesi, genovesi e romagnoli Dal Re a Pangella, volere o non volere, diventammo tutti una banda di garibaldini ... ". Siamo tornati ora a pronunciare, senza remo re e senza retorica, giustamente e finalmente, la parola "Patria" E' una parola impegnativa, nobile, che fa riflettere. Non si può pronunziare senza interrogarsi su cosa significa, su quali doveri porta con sé. Per Giuseppe Mazzini "la Patria è una comunione di liberi e d'uguali affratellati in concordia di lavori verso un unico fine. La Patria non è un aggregato, è un'associazione. Non vi è Patria dove l'uniformità di quel diritto è violata dall'esistenza di caste, di privilegi, d'ineguaglianze". . Queste parole del Mazzini rilette oggi mentre celebriamo la costruzione dell'Italia unita, ci inducono a onorare i Padri Costituenti che, nel 1947, seppero realizzare l'ideale dell'unità d'Italia inteso comunità morale e politica delle volontà di uomini e donne, liberi e uguali. Lo fecero iscrivendo i diritti fondamentali del cittadino quale fondamento giuridico della vita stessa della comunità nazionale. L'alto insegnamento di civiltà di quelle pagine che danno origine alla ~ nostra Repubblica è vivo, operante, fonte d'ispirazione anche per le scelfe europee che abbiamo fatto e che stiamo per fare. Carlo Cattaneo definisce la Patria "un comune nascimento di pensieri" e tutto il suo programma federalista è concepito come una forma più ricca di unità, superiore a quella degli Stati accentrati, nella convinzione che la vera unità è quella che conserva il pluralismo e trae forza da esso. E non a caso Cattaneo celebra nei suoi scritti il momento in cui "liguri, subalpini e toscani" nel 1848 adottarono il Tricolore"a segno di unità". Sulla piazza di San Marco a Venezia, il 22 marzo 1848, Daniele Manin, salito in piedi sul tavolo di un caffè, pronunciò queste parole: "Non basta aver abbattuto l'antico governo, bisogna altresì costituirne uno nuovo, e il più adatto ci sembra quello della Repubblica, che rammenti le glorie passate e le libertà presenti. Con questo formeremo uno di quei centri che dovranno servire alla fusione successiva, e poco a poco, di far di questa Italia un sol tutto". E fu proprio l'eroe veneziano il primo Presidente della Società Nazionale che impostò il compromesso tra i repubblicani e Vittorio Emanuele, per un programma concreto di indipendenza nazionale. Solo la Repubblica ha saputo costruire il regionalismo. Lo sviluppo dell'autogoverno, delle autonomie locali. Immenso fu il senso di soddisfazione e dj speranza dei padri Costituendi quando là Costituzione repubblicana accolse il progetto delle' Regioni d'Italia. Apparve allora una grande conquista di libertà, un arricchimento per la Nazione. E' un programma che oggi trova un nuovo impulso costituzionale, che deve essere portato avanti per promuovere un governo migliore e dunque per sviluppare la coscienza di collaborare tutti alla realizzazione del bene collettivo. La battaglia per le libertà degli italiani non fu mai isolata; fu vissuta insieme ai popoli d'Europa: greci, polacchi, ungheresi, tedeschi. L'Inno di Mameli - il canto degli insorti del 1848 - ci ricorda quella lotta comune. Non a caso tutti questi popoli si trovano oggi insieme a progettare un nuovo avanzamento nella costruzione delle istituzioni comuni, di un 'Unione Europea più grande e più coesa. Per significato profondo, ciò che accade in Europa è simile a quello che l'Italia visse un secolo e mezzo fa.. Anche oggi, come allora, le coscienze dei giovani vanno più avanti delle realizzazioni. I giovani d'Europa sentono già l'importanza della bandiera azzurra con ventisette stelle, dell'''Inno alla Gioia"; sentono già l'importanza dei legami giuridici e delle libertà comuni che abbiamo conquistato. Sta in noi essere all'altezza e costruire istituzioni che rendano effettivo l'esercizio della cittadinanza europea. In questo sappiamo di avere il conforto degli ideali, delle speranze, del pensiero e dell'azione degli artefici del Risorgimento d'Italia. Della Transumanza…… struttura e quotidianità dell'attività pastorale 1 . I l sistema pastorale moderno Premessa Tralasciamo la vita pastorale arcaica e guardiamo più da vicino il sistema pastorale degli ultimi tre secoli e mezzo, periodo in cui si inquadra la vicenda storica della Dogana di Foggia (1447- 1806). Alfonso I d'Aragona. detto il Magnanimo, salito al trono delle Due Sicilie nel 1142, il 1O agosto del 1447 affidava al catalano Francesco Montluber la riorganizzazione della transumanza nominandolo Doganiere a vita ed insediando la Dogana di Puglia, cioè la radunanza, a Lucera. Successivamente sarà trasferita a Foggia nel 1468, dove resterà operante fino alla sua definitiva soppressione avvenuta nei 1806 disposta da Gioacchino Murat. La riorganizzazione consisteva nel regolamentare l'affitto delle terre a pascolo e nel disciplinare il sistema viario in tratturi, tratturelli, bracci e soste. I tratturi erano vere e proprie strade campestri la cui larghezza andava dai 18,50 ai 60 passi (da m. 34,26 a 111,11 - l passo = m. 1,85). I tratturi più importanti erano: . L' Aquila - Manoppello - Bucchianico - Montenero di Bisaccia - Larino, fino al fiume Saccione; Celano - Rocca .di Mezzo - Popoli - Sulmona - Pettorano - Pacentro - Palena - Gambatesa -Lucera; http://www.studiodinanno.it Realizzata con Joomla! Generata: 16 March, 2017, 22:57 Studio Di Nanno Pescasseroli - Alfedena - Castel di Sangro - Isernia - Cantalupo - Sepino - Orsara - Bovino -Deliceto - Ascoli Satriano. L'EPITAFFIO Chiamato nel nostro idioma 'U PATAFFIE cronologicamente, dopo la Croce al Piano, è il primo monumento eretto a Foggia, certamente dopo il 1661. È sito all'inizio di Via Manzoni, già Via Epitaffio, all'inizio dell'ex tratturo Foggia - L'Aquila, ed è un ricordo del millenario transito dei pastori abruzzesi durante la transumanza nelle terre del tavoliere. Consiste in un cippo miliare di dimensioni inusitate, in pratica è un enorme pilastro ottagonale sormontato da una statua. Su una sfaccettatura è incastonata una lapide e su altre facce ci sono cinque diversi stemmi araldici. La statua rappresenta il re spagnolo Carlo II, figlio e successore di Filippo IV,e non lo stesso Filippo IV come erroneamente si è indotti a credere da una superficiale lettura della stessa lapide. L'epigrafe ricorda la reintegra dei tratturi voluta ed eseguita nel 1651 dal Consigliere Reale Ettore Capecelatro, marchese di Torello, regnante Filippo IV, senza alcun accenno alla statua sita in sommità. La lapide e la relativa cornice si compongono di due parti, eseguite in tempi distinti. L'inferiore, posta in seguito, ne ricorda il restauro avvenuto nell'anno1697 a cura di tale Guerrero de Torres. L'epigrafe nella sua parte iniziale riporta: regnante Filippo IV [1651]. Il restauro è eseguito nel 1697 durante il regno di Carlo il [16611700] e consiste principalmente in lavori di ripristino per eliminare i danni causati da infiltrazioni d'acqua piovana e nell'aumento dell'altezza del pilastro sistemando in sommità la statua del re del momento,ossia Carlo II. Foggia,nel XVI secolo, contava circa 5.000. * '" '" Il Doganiere era un commissario la cui funzione principale consisteva nella riscossione della regia fida, la tassa da versare per la transumanza. . Alfonso I d'Aragona fissò la regia fida in 8 ducati veneziani per ogni 100 animali piccoli (pecore e capre) [pari a ducati 0,08 per capo], scontati a 6 ducati veneziani per i forestieri abitanti nello Stato Pontificio e per i baroni!!! Stessa fida era dovuta per lO animali grandi (bovini ed equini). • LA TRANSUMANZA Il termine transumanza deriva dal francese transhumer, che significa spostamento stagionale di greggi e mandrie dai pascoli di montagna a quelli di pianura e viceversa, formante un complesso impianto organizzativo che si reggeva sulla legge dell'ubbidienza e su quattro elementi strettamente intrecciati tra loro:fattore istituzionale -umano -produttivo ambienta/e. Fattore produttivo: gregge e mandrie, oscillanti da un centinaio a diverse migliaia di capi; Fattore ambiemale: gli erbaggi, vincolo per sviluppo quantitativo e qualitativo di greggi e mandrie; · Fattore umano: organizzatori ed addetti, aventi un rapporto con gli armenti dominato da un rigidoe preciso criterio di distribuzione delle responsabilità; · Fattore istituzionale: la Dogana della Mena delle pecore in Puglia, che regolamentava: la normativa dell'attività armentaria; la mediazione politica tra i poteri forti dell'epoca ( corona, baronaggio, ordini religiosi e grandi proprietari ); di mediazione sociale tra i "partiti" allora imperanti ( agricoltori e allevatori, dal un lato e piccoli e grandi proprietari, dall'altro ). Il fulcro delt'attività pastorale non era quello umano, ma quello animale, cioè le esigenze del gregge: produzione, riproduzione, organizzazione, cadenze operative giornaliere e stagionali, distribuzione del lavoro e delle responsabilità. L'ubbidienza era la legge. Una legge antica che non consentiva deroghe, bisognava accettare gli ordini senza discuterli. L'organizzazione armentaria era retta dal principio gerarchico militare a tutti gli effetti, ma unitario, in virtù del quale il bene economico (gli armenti ) costituiva l'elemento funzionale e di supporto. * ** • La struttura degli annenti Occorre innanzitutto sfatare l'opinione diffusa sulla vita ed attività pastorale ritenute monotone ed immutabili durante il corso dell'intera giornata. Era una vita segnata dall'indigenza e dalla fatica, almeno per le figure inserite nelle posizioni basse della scala pastorale. La mandria era un mosaico composto da diverse tessere inserite in un delicato equilibrio sul quale vigilavano le figure più eminenti della masseria, il locato ( il padrone ) e soprattutto il massaro. Nella mandria gli animali erano distinti tra loro: i grossi dai piccoli, i bovini dagli equini, gli equini da allevamento da quelli da lavoro, ecc. Il gregge presentava una ramificazione ancora più stretta rivolta al ciclo riproduttivo degli animali, alle esigenze per 1 http://www.studiodinanno.it Realizzata con Joomla! Generata: 16 March, 2017, 22:57 Studio Di Nanno ‘aumento e miglioramento degli armenti, nonché alla domanda di mercato di carne, lana e formaggi. La morra era l'insieme che cadenzava tutto questo ed era composta, convenzionalmente, da 357 animali; c'erano marre meno numerose, ma ognuna diversa dall'altra: -quella di animali grossi era diversa da quella di animali piccoli; -quella delle giumente con puledre si distingueva da quella delle giumente pregne; -quella degli agnelli era diversa da quella dei montoni: -quella delle fellate diversa da quella delle cordesche e così via. Una prima classificazione si basava sull'arco vitale della pecora che poteva arrivare fino a tredici anni, anche se raramente si consentiva che essa potesse superare l'età feconda (sei-sette anni). Gli agnelli si distinguevano dalla fase stagionale di concepimento e/o di nascita, in primaticci (ipiù richiesti ), vemarecci o gennarini, cordeschi e mulacchi. Al compimento di un anno diventavano ciavarrini, due anni ciavarri. tre anni pecora, sette anni pecora vecchia. La classificazione delle pecore sotto il profilo riproduttivo e produzione di carne, era: fecondate ( recchiarelle ), di primo parto (fellate). in grado di partorire periodicamente ( di corpo o matricine ), le sterili ( sorde o lunari ); per la produzione del latte, erano classificate in: lattifere (laltare) e non lattifere (sterpe o sterpate). Per la produzione della lana si adottavano addirittura tre Ordini di classificazione, a secondo dell'età, della stagione di tosatura, della razza degli animali. il ricambio e la selezione qualitativa annuale del gregge, generalmente le perdite da recu-perare. era del 15 %, cui si aggìungevano le sostituzioni delle vecchie e dei montoni non più attivi (i serroni; l'apporto delle nascite si aggirava su1 45 % ~ di esso poco meno dei 2/3 era destinato alla vendita e più di 1/3 alla reintegrazione del gregge. * I luoghi della transumanza: la " posta " e il " giaccio " Gli insediamenti dell'intero complesso armentario erano: • le poste -insediamenti assegnati ai locati in Puglia; • i giacci ( in foggiano 'ulazze )-insediamenti assegnati in montagna durante la permanenza estiva; gli erbaggi e le locazioni erano ricoveri di animali e pastori utilizzati durante la notte e nelle giornate di pioggia. Nelle poste pugliesi l'insediamento era nel casone, un edificio in muratura a due piani con locali ampi e meglio areati, in cui risiedeva il massaro e, talvolta, il caciere. In totale le poste erano 400, tutte rivolte a mezzogiorno, riparate da ferole e canne ed intessute con la paglia, formavano i capomandra, cioè i ricoveri per i pastori. Ogni posta era provvista di divisori interni che formavano zone dette giacci, che servivano per il ricovero delle pecore. In tal modo si creavano opportune separazioni per evitare comunanza tra pastori ed animali. I giacci col tempo indurivano con il solime ( lo sterco ) delle pecore e formavano un ambiente asciutto e senza fango. Nelle poste montane i giacci erano distinti e separati tra loro: quelli destinati alle pecore madri con iloro agnelli ( primaticce ), altri alle vernarecce, altri alle pecore che partorienti (cordesche), altri alle pecore non lattifere ( sterpe ), altri ai ciavarri maschi e castrati, altri a capre e asini smammati ed altri, infine, alle pecore sterili ( sorde o lunari o vacue ). ngregge, quindi, anche nei ricoveri conservava la sua frastagliata ramificazione. Gli stazzi ( mandre ) erano delimitati da reti, cespugli di rovi e, in montagna, con pietrame a secco. Ad una decina di metri, al centro del recinto a secco ( casso), vi era il ricovero dei pastori procojo o capomandra, un locale basso ricoperto con ferole, canne, frasche, paglia o sottili tavole (scindule). All'interno del capomandra vi era nel suolo un'apertura rettangolare rivestita di lisce dove sì accendeva il fuoco in caso di maltempo (furnella e, se grande, papajone ); davanti all'ingresso l'albero del pastore ( l'arciclocco ), a cui erano appesi gli utensili primari e pezzi disossati di carne di pecora messi a seccare ( 'a mesciscke ). L'arredo era stringato ed essenziale, come il ricovero: addossate ad una parete vi erano le lettére a castello per i pastori, mentre i garzoni dormivano a terra su frasche e pelli. Per sedersi qualche sgabello a tre gambe ( chianchelle o provole ) e qualche scannellucce. Sospesi alle pareti c'erano gli utensili, i contenitori del sale, i corni dell'olio e qualche bisaccia variopinta contenente il fagotto del pastore. Nell'aria, mischiato al fumo, l'odore del siero non più fresco e quello carnale della promiscuità. In montagna, in una zona verde protetta dai venti, contornato da siepi spontanee, di fronte al procojo c'era il grascùo. Sia in montagna che in pianura non mancava mai il guado: una barriera di legno tra due piccoli recinti, dotata di strette aperture in cui erano incanalate le pecore per la mungitura morra a morra, ossia una a una. Nell' essenzialità e provvisorietà delle strutture di ricovero è notevole il peso delle regole • doganali che riconoscevano ai padroni ( locati ) e subordinati il diritto di herbare, acquare e legnare, ma solo nélla stretta misura delle esigenze della masseria. Emerge la bravura dell' organizzazione mobile dell'impresa pastorale, realizzata sulla valorizzazione di un unico bene, la pecora. Era un'organizzazione gerarchica di modello militare in cui la vita degli uomini si innestava in quella degli animali, esponendosi alle prove della natura e caricandosi di pesi e disagi derivanti da un servizio assolto con totale dedizione. '" * '" • Le figure della transumanza Il coinvolgimento degli uomini nell'impresa pastorale non si fermava ai confini della masseria, ma si integrava in un vasto processo produttivo coinvolgendo migliaia di persone a guardare una quantità enorme di animali, costruire pagliai, mandre e tuguri; consumare canape e lino per fare funi, reti e sacchi; fabbricare caldai, caccavi, fiscelle, secchie, altri vasi ed utensili necessari alla pastorizia ed ai suoi seguaci. Alla fme del Settecento oltre duemila erano i padroni armentari che frequentavano la Dogana e almeno altre seimila http://www.studiodinanno.it Realizzata con Joomla! Generata: 16 March, 2017, 22:57 Studio Di Nanno famiglie erano dedite alla pastorizia per un totale di circa qua-rantamila persone, ossia l'8 %o della popolazione del Regno di Napoli e il 4 % della popolazione di tutte le province interessate alla transumanza, anche se sui fogli della Dogana i dati riportati erano inferiori alla realtà. È accertato, comunque, che nel 1824, quando la mena delle pecore era in fase di declino, gli addetti erano oltre sessantamila. Vediamo ora le figure che a noi interessano maggiormente per illustrare la quotidianità della pratica pastorale . • L'armentario di greggi (proprietario ), pur essendo la figura più esterna all'attività pastorale, era il soggetto di maggior peso economico-sociale ed il più ascoltato protagonista nel sistema di mediazioni nella Dogana. Faceva ricorso al lavoro salariato per l'assistenza della mandria, affidando l'organizzazione e la gestione del gregge al massaro. In molti casi i maggiori proprietari erano soggetti atipici come Confraternite ed enti ecclesiastici. Accanto ai proprietari puri vi erano figure miste, che concorrevano alle poste della Dogana associandosi tra loro, e padroncelli che detenevano piccole quantità di animali all'interno di un gregge nel quale agivano come salariati. Per queste categorie la pratica pastorale era completa. La pastorizia deve la sua enorme fortuna ai grandi padroni. In cambio del consenso al potere politico dominante e al sistema fiscale ancorato alla Dogana essi avevano ottenuto il riconoscimento della loro autonomia e del vincolo associativo che, preesistente alla stessa Dogana, era stato istituzionalizzato con la Generalità dei locati, che eleggeva i suoi rappresentanti e agiva come una democrazia primitiva detta Università dei padroni degli animali essendo un 'ampia Università del Regno, composta da pochi ricchi ed un infinito numero di poveri che faticavano in tutto l'anno a vantaggio del Regio Fisco. I grandi padroni avevano ottenuto anche un insieme di privilegi di cui il più importante era l'istituzione di un Foro per le cause doganali e l'affermazione dell'eguaglianza di fronte alla legge. Il capitalista armentario, a seguito della crisi del sistema pastorale, si inserì nel campo dell'impresa agraria e delle professioni, formando una classe dirigente maturata, dopo il decennio francese, a causa della crisi del Regno meridionale e la formazione e consolidamento dello stato unitario. • Il massaro era la figura predominante della storia della transumanza, esercitando un ruolo di snodo e di mediazione tra l'egualitarismo del sistema doganale e l'autoritarismo dell'organizzazione armentaria. Per le sue funzioni, responsabilità e competenze, era identificato con la vita e con la sorte della masseria. La fiducia del padrone si trasformava nella maggioranza dei casi in una delega pressoché totale riguardo alla programmazione, organizzazione e gestione dell'impresa. Il padrone interveniva nella fase preparatoria della stagione per concorrere agli appalti o ai contratti per le poste in Puglia e per gli erbaggi in montagna; solo alcune volte per vendere i prodotti alla Fiera di Foggia o in qualche altra fiera minore. Il resto era affidato al massaro che riceveva fiducia e rispetto in cambio di una dedizione assoluta. Questa dedizione si evidenziava con una manifestazione scenografica quando, , di ritorno dalla Puglia il locato (il padrone) a cavallo, dopo aver visto sfilare la candida carovana, riceveva dal massaro vestito di nuovo e col cappello in mano l'omaggio del: " Ben trovato, signor Padrone ". Alla fine dei due periodi stagionali, in pianura ed in montagna, tra il padrone e il massaro parlavano i conti che testimoniavano l'incidenza delle vicende naturali dell'anno, la competenza e l'onestà del massaro. Competenza forgiatasi con un lungo tirocinio fatto in famiglia: massaro, figlio di massaro, con la pratica pastorale, anche nelle collocazioni più umili. Il massaro doveva conoscere tre mestieri: pastore, buttero, cadere. · Compiti del massaro Suggeriva al padrone i pascoli più adatti, impostava il programma stagionale, decideva la selezione degli animali, stabiliva quotidianamente la rotazione delle morre sui pascoli per evitare l'usura degli erbaggi, formava la squadra dei sottoposti, assegnava i pastori alle morre e li abbinava con i garzoni, vigilava sulla mungitura e sulla caseificazione, faceva il prezzo degli animali con i macellai, del formaggio e delle pelli con icompratori, della lana dopo la fine della Dogana. Teneva i rapporti con i proprietari dei pascoli, coordinava lo spostamento del gregge sul tratturo, trattava con i proprietari per le soste, custodiva ed amministrava il frutto della masseria, disponeva i turni di riposo dei pastori in montagna ( quindicine ), anticipava loro piccole somme e saldava le loro competenze a fine stagione, e " le questioni insorte tra i pastori. Nei confronti di tutti gli altri addetti al gregge aveva la prima e l'ultima parola, su tutte le questioni. Tale principio di autorità era giustificato non solo per l'investitura del padrone, ma anche per la conoscenza delle cose e per l'esperienza accumulata La sua funzione superiore era simboleggiata dalla sua solitaria sistemazione nel casone in Puglia, dal fatto che era l'unico che poteva cavalcare sul tratturo, dalla permanenza nella sua abitazione in estate, dall'ammissione alla tavola del padrone. La sua autorità era rilevante anche in paese in cui aveva un ruolo eminente per il reddito e per l'investimento in terre e animali; era, in pratica, una figura che saliva socialmente assimilandosi alla nuova borghesia terriera. Era anche in stretto contatto con alcune figure esterne all'impresa pastorale, ma di grande importanza per la sua economia: sensali, incetta/ori di pelli e formaggi, compratori di carne e lana, bassettieri. Personaggi strettamente collegati per la commercializzazione dei prodotti condizionando le sorti dell'attività; anticipavano pagamenti e servizi precorrendo un modo di agire più moderno. Personaggi vicini al massaro all'interno della scala pastorale, suoi subordinati, erano: 11buttero, il capobuttero ed il caciere l butteri facevano parte dell'organico della masseria solo nella fase di trasferimento e permanenza in Puglia. Erano adibiti al carico e al trasporto con i muli di tutto quanto occorreva al funzionamento della masseria e alla vita dei pastori: rotoli di reti, fasci di paletti, funi, scannetti di legno, trespoli di ferro, caldaie di rame, contenitori del latte, secchi, http://www.studiodinanno.it Realizzata con Joomla! Generata: 16 March, 2017, 22:57 Studio Di Nanno fiscelle di giunco, attrezzi per ferrare gli animali, bisacce variopinte, fagotti dei pastori, scorte alimentari per il viaggio e per la permanenza, spesso agnelli nati lungo il tratturo e altro. Erano gli ultimi a partire per raccogliere le reti ed i primi ad arrivare per predisporre i riposi. Durante la permanenza in pianura rifornivano di acqua e legna la masseria facendo attenzione che il diritto di legnare su terra altrui non superasse lo stretto necessario. Dovevano approvvigionare di pane i pastori e di ciambelle i cani, trasportare ricotte e formaggi ai commercianti rivenditori, la lana alla fiera e ogni altro frutto ai compratori, accompagnare ed assistere il massaro nei suoi movimenti, tenere il fuoco sempre pronto per le lavorazioni, aiutare il caciere in caso di necessità Ritornati in montagna, uscivano dagli addetti alla masseria e si convertivano in carrettieri al servizio della casa padronale, approvvigionandovi legna, trasportando i prodotti delle terre del padrone, accompagnando quest'ultimo nei suoi viaggi, rispondendo ad ogni comando della padrona, aiutando a salare e stagionare i formaggi. La loro integrazione con la casa padronale era così stretta da essere loro consentito di dormire in paese e di mangiare in essa, anche se ad una mensa secondaria. Le loro donne, infine, erano la riserva femminile di lavoro a disposizione della padrona. • Il capobuttero aveva una collocazione più elevata nella gerarchia pastorale per il riconoscimento di una responsabilità generale, subordinata solo a quella del massaro e talvolta del caciere. Questo status era simboleggiato dal controcanto della conta delle pecore fatta dal massaro cui era chiamato, alla presenza del padrone, alla vigilia della partenza per la Puglia. Egli non aveva incombenze materiali gravose, ma era il responsabile dell'intero sistema di approvvigionamento della masseria, dei sincronismi tra marce e riposi durante il viaggio sui tratturi, era il custode del frutto prima che venisse avviato ai compratori, in pratica il più stretto collaboratore del massaro nel governo dell'impresa e nella vigilanza sulla condotta degli uomini. Capace, se necessario, di aiutare o sostituire il caciere, sì accollava anche l'onere della cucina collettiva dopo avere distribuito ai pastori il dovuto per il sobrio pasto. In estate, a differenza del massaro che restava in paese e vigilava a distanza sul gregge, saliva in montagna e lo sostituiva nella gestione della masseria. Era l'animatore della comunità pastorale: esperto di astrologia riguardo al tempo e all'influsso degli astri sugli animali; coordinava la raccolta delle erbe farmaceutiche occorrenti in caso di necessità; era depositario di storie e canti tradizionali e disponibile nel povero intaglio dei pastori. . Il caciere veniva subito dopo il massaro nell' impresa pastorale sul lato produttivo. A lui era affidato ilfrutto più delicato del gregge, il latte, più precario della carne e della lana. Dalle sue mani usciva il bene (ilformaggio), che era sottoposto all'esame degli acquirenti. Per tutto questo rivestiva un ruolo determinante nell'equilibrio economico della masseria: era colui che faceva fruttare le morre. TIsuo ruolo era accentuato dal sistema tradizionale di trasformazione del latte, sperimentato per secoli, ma che lasciava ampio spazio alla sapienza di operatore. La sua attività in Puglia si incrociava con quella del coratino ( quaratine ) che sostituì nel tempo il capobuuero nella funzione di custode del formaggio . • Il coratino, riguardo al bene, svolgeva la triplice funzione di custodia, salatura e mediazione commerciale e, a fine stagione, in caso di mancata accettazione del prezzo del partito ( l'intero deposito) da parte del massaro, veniva compensato per le altre prestazioni. Riceveva a giorni alterni in primavera ed ogni tre - quattro giorni in inverno, formaggio e ricotta e procedeva ad annotarne il quantitativo (pessanda ) facendo segni convenzionali su apposite aste ( 'a tagghie ), di cui una metà restava a lui e un'altra al pastore. In montagna il formaggio, portato ogni due giorni da uno scapolo, era curato e custodito nel caciaro della casa padronale. . l pastori sono le figure più numerose e anche più presenti nell'organizzazione pastorale. La loro immagine ci è stata trasmessa in una cornice di solitudine e di attesa del lento fluire delle ore: situazioni lontanissime dalla realtà. Erano inseriti, invece, sulla base di una precisa e rigida distribuzione di lavoro e competenze, in un organismo articolato, unitario e gerarchico, quale era il gregge. Ad ognuno di loro era affidata una morta, che aveva caratteristiche tipiche e che richiedeva particolari competenze e prestazioni. Spesso, all'interno della stessa morra, che pure aveva carattere omogeneo, ci si trovava di fronte a reazioni diverse da parte di animali simili. Ogni pastore, sotto lo sguardo del massaro e con l'aiuto di uno o più garzoni e di alcuni cani, rispondeva totalmente alle esigenze degli animali da governare. Doveva custodire contro il rischio di pericoli esterni ( furti, lupi, incidenti, dispersioni ); vigilare sulla sanità degli erbaggi e contro gli sconfinamenti; assicurare la duplice mungitura quotidiana; individuare a tempo le malattie e curarle; favorire nel tempo giusto gli accoppiamenti ed assistere gli animali durante il parto e fare in modo che la madre prendesse l'agnello; lavare le pecore prima della tosatura; numerarle con particolari contrassegni; tenere sul tratturo la giusta cadenza per . permettere lo spostamento e il nutrimento; forzare l'alimentazione degli animali da macellare; castrare gli agnelli da carne; leggere il tempo per mettere in tempo le pecore al riparo, ecc. Per tutte queste incombenze affidate, il pastore assumeva forma ed impegno prolungato e faticoso che richiedeva una completa dedizione. In Puglia, da ottobre a maggio, i pastori erano legati giorno e notte ai loro animali, senza pause. Solo in estate, in montagna, il ferreo legame si allentava e potevano godere della quindicina ( tre giorni di riposo a casa alternati a un periodo di lavoro ), della remenuta ( un giorno di riposo dopo il viaggio) e della crosta ( un giorno di permesso prima della scasata, la partenza per la Puglia ). In cambio, i pastori ricevevano, oltre ad un..salario molto basso ( a metà Seicento inferiore alla metà di quello del massaro ), appena sufficiente per le esigenze familiari dì sopravvivenza, un chilo di pane e uno di sale al mese, un litro di olio per il loro nutrimento, nonché la facoltà di inserire nella povera saccheua qualche lembo di lana e qualche zampetto secco http://www.studiodinanno.it Realizzata con Joomla! Generata: 16 March, 2017, 22:57 Studio Di Nanno d'agnello. Fu facile, in seguito trovare, in una condizione così dura e povera di prospettive, la spinta verso il brigantaggio e l'emigrazione. I garzoni ( guaglioli ), si situavano all'ultimo posto della gerarchia pastorale, erano gtovani ed adolescenti, generalmente figli e parenti di pastori, che iniziavano il tirocinio dalle funzioni più umili e faticose. Anche tra loro esisteva una diversificazione in base all'età ed alle competenze. Dal massaro erano abbinati ai singoli pastori e ricevevano incarichi particolari. Senza discutere. • Il cacciatore di lupi, infine, era considerato e festeggiato come un eroe della comunità. È indispensabile, inoltre, menzionare alcune figure secondarie come i pesatori e i tosatori. • I pesatori, vigente la Dogana, erano dipendenti retribuiti dai venditori e dai compratori. Erano nominati dai padroni ( locati ) delle aree più importanti della transumanza. ·I tosatori ( carusatori ) intervenivano nel mese di maggio ( in montagna per una seconda tosatura povera anche in agosto ). Il loro arrivo era il segnale del raccolto armentario e coincideva con una delle poche occasioni di festa per i pastori. Ultime due figure, fondamentali collaboratori non umani dei pastori, erano il cane e il manzo. • Il cane, oltre ad essere il guardiano vigile e coraggioso contro ladri e lupi, coadiuvava il pastore ed il garzone nel tenere unita la morra. Anche tra i cani, di pura razza maremmano-abruzzese, vigeva specializzazione e ripartizione dei compiti, poiché alcuni erano dediti alla difesa e al compattamento del gruppo, altri a , stimolare l'ordine della marcia, altri a rispondere a diversi comandi del pastore. · n manzo, un agnello castrato ammaestrato da lunghi colloqui con il pastore, diventava il capofila dietro al quale gli animali si accodavano. Era prezioso soprattutto nei passaggi pericolosi: il guado di un fiume, il salto nell'acqua per il lavaggio della lana, il sentiero a ridosso di un precipizio, il faticoso tratturo. Per i suoi servizi, aveva un pittoresco riconoscimento: durante la tosatura gli si lasciavano tre ciuffi di lana che, al momento del ritorno in paese, erano legati con nastri colorati in segno di festa. *** . La giornata nella masseria Uomini e animali vivevano la loro giornata nella masseria come un unico corpo pulsante, coordinato secondo cadenze dettate dai bisogni degli animali. Le ore e le azioni si svolgevano in sequenze ripetitive, durante le lunghe permanenze invernali in Puglia ed estive in montagna. Eventi inaspettati di ordine umano o naturale potevano renderle più precipitose ed intense, ma non cambiarne il corso. Gli stessi snodi della stagione pastorale, la discesa in pianura, il ritorno ai monti, le Fiere di Foggia e di Lanciano concorrevano a mutare o ad accentuare aspetti e momenti particolari. Nella masseria la giornata iniziava quando il gelo della notte incominciava a sciogliersi e prima che il sole si alzasse. Già durante la notte, però, non mancavano le visite di garzoni e pastori agli stazzi, ma un pericolo poteva averli costretti alla veglia intorno al fuoco. Alzatosi, i pastori, dopo aver svegliato i garzoni sdraiati per terra su frasche e pelli, si liberavano della manta di lana e scendevano dalla lettèra per indossare gli abiti o soltanto sistemarli se con essi avevano dormito. Il vestito era di panno o di velluto, il cappellaccio a tronco di cono, le scarpe, le strangunére (gambali di pelle di agnello), il pelliccione e, in caso di pioggia, il guardamacchia (grembiule impermeabile di pelle di capra ). Nel frattempo il massaro aveva già fatto il giro delle mandrie verificando che tutto fosse a posto per la mungitura e per la caseificazione. La monta mattutina iniziava prestissimo: i recinti venivano aperti in prossimità del guado e le pecore toccate dai garzoni perché si infilassero una ad una nelle strettoie, dove i pastori l'afferravano per una gamba posteriore, aiutando si con un cappio legato ad un palo, per le più riottose. I garzoni trasportavano i secchi di latte verso il fuoco dove il caciere li versava nel caccavo (quaccheve). Si compiva, così, l'operazione più importante della giornata, la cagliata (quagliata) , per finire con la produzione di forme di ricotte e cacio sistemate nelle fiscelle (fruscelle e cambese). Finalmente, dopo alcune ore di lavoro, vi era la pausa di ristoro per i pastori per consumare il loro semplice pasto, e per i cani, ai quali si dava da mangiare il siero della quagliata con panizzl di crusca. Il massaro attribuiva alle singole morre le strisce sulle quali pascolare, prestando attenzione al sostegno degli animali da trattare con riguardo ed a prevenire la precoce usura degli erbaggi. Ogni pastore si muoveva con la sua morra, il garzone ed i cani verso il pascolo assegnato facendo attenzione che l'erba si fosse asciugata dalla brina notturna, con la spara (fagotto con un po' di pane ed un po' di formaggio ) legata alla cintura o corda dei pantaloni, insieme al grande ombrello verde Cromano ), costantemente a portata di mano. Per il pastore seguivano ore di minore tensione, non di inerzia. Doveva vigilare sugli animali, controllarne l'alimentazione e l'abbeverata e, durante tutto ciò, poteva approfittare per brevi pause di riposo e consumare il suo frugalissimo pasto. Durante queste ore poteva dedicarsi agli intagli e alla fabbricazione delle rudimentali stoviglie di legno di cui si serviva, non trascurando, però, la raccolta di erbe da utilizzare per la cena e di quelle farmaceutiche. All'imbrunire le morre ritornavano al giaccio per la mungitura serale. Mentre le pecore scorrevano nel guado, tra i pastori affiancati si creava un colloquio di confidenza e di racconti; i garzoni recuperavano i secchi del latte che dal caciere veniva lavorato solo se abbondante e le condizioni climatiche ne sconsigliavano la conservazione fmo alla mattina successiva . . La cena. Quando gli animali rientravano negli stazzi, si creava una delle poche occasioni comunitarie dei transumanti. Era il momento del pasto serale, con l'immancabile acquasale consumata intorno al fuoco o con la cottura di erbe spontanee raccolte durante il giorno. Si creava un momento di affabulazione, di commento sulle vicende della giornata. Più spesso, http://www.studiodinanno.it Realizzata con Joomla! Generata: 16 March, 2017, 22:57 Studio Di Nanno la stanchezza vinceva e si cercava il sonno, esposto a improvvise emergenze. Per questo, pastori e garzoni di solito si sdraiavano liberandosi solo di scarpe e strangunére, allentandosi la cinta alla vita, come soldati pronti all'allarme. Questa vita comunitaria era destinata storicamente ad accrescersi con il declino della tran-sumanza e quando i discendenti dei pastori, divenuti braccianti sulle terre delle antiche poste. segnarono con la loro iniziativa politica e sociale il trapasso dall'Ottocento al Novecento. La vita nel giaccio. soprattutto in inverno, si svolgeva nel fango, in condizione di massima sporcizia ed in promiscuità con gli animali. A ciò in alcuni giorni la fatica si dilatava a dismisura per l'arrivo di: • nevicate, che erano l'insidia mortale per le pecore. ancor più dei lupi e degli orsi. Contro questi potevano avere un aiuto dai cani e dai pastori, da quella, che interrompeva le fonti alimentari, non c'era rimedio; • epidemie, che procuravano effetti catastrofici, come lo fu la schlavina (vaiolo elvatico), che potevano annientare anche la metà di un gregge. Ma la più grande fatica gli uomini la sopportavano a causa della figlianza, cioè quando le pecore partorivano dopo cinque mesi di gravidanza ( ai montoni si concedevano in estate le pecore di corpo e ad ottobre le fellate ) ed in seguito per indurre le madri ad allattare gli agnelli o trovare un'altra madre all'agnello isolato ed infine avviare i nuovi nati alla pastura. In aggiunta, due volte l'anno occorreva trascorrere alcuni giorni sul tratturo: erano i giorni di arrivo e partenza. Le quotidiane operazioni dovevano farsi nella precarietà di un giaccio da montare la sera e smontare la mattina. Tutto diventava frenetico ed intenso, con la stanchezza del viaggio e la tensione della vigilanza contro il disperdersi delle pecore, degli sconfinamenti, del rischio dei guadi, di passaggi pericolosi temendo che la pioggia potesse rendere il tratturo una lunga serpe di fango. Il viaggio di rientro in montagna, almeno, covava il piacere dell'approdo al paese, del ritorno alla moglie e ai figli; quello verso la Puglia, invece, era solo una promessa di solitudine e di fatica. Per le popolazioni delle aree pastorali il tratturo non è stato solo un grande canale di unificazione di culture, ma anche un tirocinio alla ricerca di mondi in cui cogliere l'occasione per una vita più ricca ed aperta. La funzione acculturante del tratturo compensava in parte l'aridità di una giornata pressata dalla fatica e dall'uniformità dei cicli naturali e biologici. . La cultura pastorale La giornata pastorale incorporava il rispetto di regole secolari di allevamento e ubbidienza al comando che indicavano ruoli e obbiettivi da conseguire ed esprimevano una cultura di valori di tradizione e di conoscenza di pratiche materiali vissute con autonomia e padronanza. Il lavoro e la gerarchia erano il valore cardine della vita pastorale che comportava dedizione e adattamento a condizioni di sacrificio estreme. R pastore, sin dal tirocinio da adolescente in qualità di garzone, si abituava a credere che degli animali a lui affidati egli rispondeva non solo numericamente, ma anche moralmente come partecipe della custodia e del miglioramento della robba del padrone, cui era legata la vita sua e , quella dei suoi familiari. Degli animali assistiti e di quelli che vivevano nel loro stesso habitat i pastori avevano una conoscenza biologica e psicologica appresa su una lunga osservazione e su continui scambi di esperienza. I bisogni e le reazioni degli animali venivano interpretati ed anche prevenuti. Con loro essi avevano definito un codice comunicativo che dava esiti sorprendenti di comprensione e di reattività, come nel caso dei cani, dei manzi e dei cavalli. La cultura profonda che i pastori avevano delle pecore che gestivano risaltava nella facilità con cui le sostenevano durante i parti, le tecniche per ridestare l'istinto materno nelle riottose, la prevenzione per evitare gli aborti, la precisione con cui stabilivano gli accoppiamenti, la ricerca delle erbe per la qualità dei prodotti, la buona selezione genetica, l'efficace cura con rimedi primitivi delle malattie correnti tra gli animali. Buono era il rapporto con la natura, avendo una casistica dettagliata degli influssi degli astri sul comportamento degli animali e abbastanza sviluppata la percezione dei fenomeni meteorologi. Ma, dove davano prove più sicure era nella conoscenza e selezione delle singole erbe per scongiurare il rischio di intossicazione animale provocata da specie velenose. • Il processo di caseificazione era determinato dalla qualità dei pascoli, del latte e dalla resa qualitativa dei prodotti, diventati oggi culto gastronomico. L'artigianato pastorale era di dimensioni più limitate, con espressioni primitive mediante incisione, si limitava a bastoni ed ai pochi oggetti di uso quotidiano. • La cultura materiale dei pastori consisteva in una rozza alfabetizzazione, che attenuava il diffuso analfabetismo interrotto solo tra i soggetti più importanti della masseria Il conteggio dei prodotti depositati o scambiati e delle pecore era svolto con un sistema semplice, ma pratico: l'incisione di segni convenzionali ( tacche ) su una canna divisa longitudinalmente a metà. · Il marchio delle pecore avveniva incidendo i lobi superiori e inferiori delle orecchie in modo che risultassero le unità, le decine, le centinaia e le migliaia e, in ogni momento, l'entità e la composizione del gregge. • La religiosùà pastorale era superficiale e legata soprattutto a fugaci visite fatte alle numerose edicole votive ubicate lungo i percorsi dei tratturi e dei paesi attraversati. Più intenso era l'atteggiamento propiziatorio nei confronti dei tradizionali protettori dei pascoli. Radicato e diffuso era il culto per il S. Michele del Gargano e per il S. Antonio degli animali. • La sessualità nella transumanza era vissuta quasi come quella della religiosità. Vivevano una vita affettiva tormentata e carente, privata di elementi essenziali di rapporti e di un normale esercizio della sessualità. Solo in periodi recenti la privazione familiare fu alleviata con il pro-gressivo inserimento delle donne nella transumanza. Era noto il detto secondo cui i figli dei pastori nascevano nel mese di marzo. • L'omosessualità e la pederastia erano invece fenomeni molto sviluppati e segnalati in ricerche http://www.studiodinanno.it Realizzata con Joomla! Generata: 16 March, 2017, 22:57 Studio Di Nanno condotte in aree calabresi. A questa piaga se ne aggiungeva una peggiore: la diffusione di pratiche bestiali, conosciuta tramite fonti letterarie. * ** • La donna nella transumanza In assenza degli uomini di casa, era diventata il perno intorno a cui ruotava l'organizzazione familiare. Le competeva accudire ed educare i figli, tenere i rapporti con la casa padronale, provvedere agli anziani, pensare ai pochi animali di sostegno per la casa, coltivare il pezzo di terra in dotazione della famiglia, risparmiare sulle anticipazioni del salario del marito, in breve assumere tutte le responsabilità fondamentali inerenti alla cerchia dei parenti ed ai rapporti nella comunità. . La patrona, cioè la moglie del locato, esaltava questo ruolo centrale ed attivo della donna, che diveniva, soprattutto d'estate, il supremo amministratore del gregge. A lei si conferivano i prodotti per la salatura e la conservazione e le si doveva rendere conto degli animali persi, dei pezzi di misische ( pecora disossata ed essiccata all'aria aperta ), ossia di ogni movimento economico riguardante il gregge. Era il riferimento della rete caritativa e di benevolenza della masseria i cui prodotti, in occasioni particolari come il giorno dell'Ascensione ( ritorno dalla Puglia ), erano dispensati ai poveri. Reggeva il primitivo sistema assistenziale sostenendo, in caso di necessità, le famiglie dei pastori lontani e gli anziani pastori privi di famiglia In un contesto di connotazione patriarcale, nella società pastorale si delineava una strutturazione matriarcale di grande rilievo. * ** http://www.studiodinanno.it Realizzata con Joomla! Generata: 16 March, 2017, 22:57