Renzi non cede, via al nuovo senato
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Renzi non cede, via al nuovo senato
POSTE ITALIANE S.P.A. - SPED. IN ABB. POST. D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27.02.2004, N.46) ART.1, COMMA 1, DCB ROMA MARTEDÌ 1 APRILE 2014 ANNO XII • N°64 € 1,00 F FORZA ITALIA PARTITO DEMOCRATICO P R RIMPASTO FRANCIA B Berlusconi non vuole giocare lla parte di chi fa saltare le rriforme (per ora) A PAGINA 2 IIl big bang della minoranza. M Mappa della nuova galassia n A PAGINA 2 non renziana D Dopo la batosta Hollande iincorona Valls, la destra d A PAGINA 2 della sinistra ■ ■ RIFORME ■ ■ ANKARA Il libro nero del Titolo V: storia di un pasticcio La prevedibile sorpresa del referendum su Erdoğan FEDERICO ORLANDO S RIFORME COSTITUZIONALI STEFANO MENICHINI C «I l nuovo Sultano è ferito, forse azzoppato», scriveva qualche giorno fa Sergio Romano, nel primo di una serie di articoli sul Corriere della Sera dedicati alle elezioni amministrative turche. Il titolo del pezzo: “Il declino di Erdoğan, un leader in bilico tra economia e Twitter”. Romano è l’ex-ambasciatore a Mosca che, quando arrivò Mikhail Gorbaciov al vertice del Pcus, fece sapere al governo italiano che l’uomo della perestrojka non era così diverso dai suoi predecessori e che, anzi, con lui, nulla sarebbe cambiato in Unione sovietica. Questa volta, nel prevedere una batosta per Erdoğan (si pronuncia Erdoan) e l’inizio del suo tramonto, l’exdiplomatico ha l’attenuante di essersi trovato in buona e numerosa compagnia. In molti avevano pensato che l’escalation autoritaria e repressiva del primo ministro turco gli sarebbe costata cara nelle urne di domenica. SEGUE A PAGINA 4 SEGUE A PAGINA 5 Renzi non cede, via al nuovo senato Il premier: «Tranquillo sulla tenuta del Pd, Berlusconi manterrà i patti». Napolitano: «Da sempre contro il bicameralismo perfetto» ALESSANDRO ALLIEVI Cosa farà la Bce contro l’onda euroscettica ROBERTO SOMMELLA L ■■ PARIGI Il vento nero che spazza un’Europa senza progetto RICCARDO BRIZZI U a Bce è l’ultimo argine contro la svolta a destra della Francia e di parte dell’Europa. Berlino ha finalmente capito che senza un cambio di rotta alla politica economica dell’Unione si ritroverà da sola a vedersela con la marea montante di euroscetticismo. Il segnale inequivocabile di un allentamento del rigore ad ogni costo è arrivato qualche giorno fa dal falco presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, ma è come se avesse parlato Angela Merkel. La Bce potrà effettuare operazioni non convenzionali di riacquisto di titoli di stato e altri strumenti obbligazionari garantiti per rilanciare l’economia europea e forse già il prossimo 3 aprile il board dell’Eurotower discuterà su come armare il suo bazooka anti-recessione. Si è arrivati a questa svolta, sembra paradossale ma è così, grazie al successo del Front National di Marine Le Pen e dell’Ump alle amministrative francesi, preludio di un possibile analogo plebiscito di tutte le forze euroscettiche alle prossime elezioni continentali. no spettro si aggira per l’Europa: lo spettro dell’estrema destra, rinvigorito dai successi del Front National alle municipali francesi, ma non solo. Per rendersi conto del vento che tira basta ricordare come in occasione delle prime elezioni europee a suffragio diretto, svoltesi nel giugno 1979, un solo partito di estrema destra era riuscito a conquistare una – modesta – rappresentanza parlamentare: era il Movimento sociale italiano, che nell’emiciclo di Strasburgo poteva contare su quattro deputati. A trentacinque anni di distanza il quadro appare profondamente mutato. All’interno dell’europarlamento in scadenza siede un gruppo apertamente eurofobo, Europa della libertà e della democrazia, che conta trentadue deputati provenienti da dieci paesi. Più in generale l’estrema destra negli ultimi mesi sembra in ascesa all’interno di svariate arene nazionali. SEGUE A PAGINA 3 SEGUE A PAGINA 3 EDITORIALE Troppa fretta? Casomai è troppo tardi GUIDO MOLTEDO entivo evocare in tv, dalla dottrina di un filosofo o di un santo, questo principio: «Le buone leggi sono quelle fatte di poche parole». Noi del centrosinistra non lo sapevamo, quando ci capitò di governare la prima e (in pratica) unica volta, nei cinque anni dell’Ulivo, 1996-2001, e aggravammo il pasticcio istituzionale che oggi si cerca di rimuovere. Governo Prodi, D’Alema 1, D’Alema 2, Amato: pochi nomi per un massacro. Sempre disponibili a calarci le brache ai nostri avversari, sperando di farceli amici, iniziammo la legislatura riscrivendo l’articolo 111 della Costituzione, cioè “Norme sulla giurisdizione”: che, per compiacere a Previti, autore del testo per la campagna elettorale berlusconiana, chiamammo “Norme sul giusto processo”. ■ ■ FRANCOFORTE IL GOVERNO PRESENTA LA LEGGE P er ora l’avvertimento di Pietro Grasso è caduto nel vuoto. Anzi. Il giorno dopo l’uscita del presidente del senato che avvertiva il premier che a palazzo Madama «non ci sono i numeri» per approvare la riforma Matteo Renzi rilancia com’è nel suo stile, non risparmia attacchi a Grasso ed evoca le possibili conseguenze politiche di uno stop alla riforma. «Non si è mai visto che un presidente del senato intervenga su un procedimento in corso – dice il premier a SkyTg24 –. I presidenti hanno un ruolo terzo e non possono intervenire nel merito. Se sono arbitri non possono giocare». Quanto alla riforma costituzionale della camera alta e del Titolo V, passata ieri all’unanimità al consiglio dei ministri, Renzi si dice ottimista: «Chi si oppone è una minoranza, nel Pd e nel senato». Renzi detta anche i tempi della riforma: «Il primo sì dovrà arrivare prima delle Europee». Comunque, chi voterà no «se ne assumerà la responsabilità: andrò a casa io ma con me andrà a casa anche lui e si andrà alle elezioni». Insomma, l’avvertimento viene rovesciato in una minaccia uguale e contraria. Tanto che Grasso, in serata, è costretto a replicare. «Io parziale? State sereni». In realtà, per ora, sembra di capire che Grasso abbia voluto dare voce al dissenso di palazzo Madama soprattutto nel Pd ma che ieri si è sottratto all’“avvertimento”. Anche i 25 senatori firmatari (tra cui France- sco Russo e Stefano Esposito) di un appello al capo del governo ci tengono a spiegare che la loro posizione non coincide con quella espressa dal presidente di palazzo Madama. Nel pomeriggio rientra anche il dissenso di Scelta civica che, per bocca del ministro e segretario Stefania Giannini, aveva criticato l’accelerazione del premier. «Ma Scelta civica al senato voterà la riforma» conferma a Europa il portavoce della Giannini. Ma come sarà la riforma del senato e quale sarà il suo cammino? La nuova camera si chiamerà senato delle autonomie e manterrà i caratteri previsti già dalla bozza presentata il 12 marzo ma con il riconoscimento di funzioni rafforzate per la camera alta. «Voglio essere l’ultimo presidente del consiglio ad avere ricevuto il voto di fiducia dall’aula di Palazzo ■ ■ ROBIN Precario «Finisce oggi la nostra vita precaria», ha detto. Che non è proprio il concetto che associerei al giovane John Elkann. Madama» spiega il premier in conferenza stampa prima di ricordare i quattro “no” su cui si fonda la riforma: nessuna fiducia al governo (che dovrà ottenerla dunque solo dalla Camera), nessun voto sulla legge di bilancio (anche questo sarà prerogativa di Montecitorio), nessuna elezione diretta dei senatori (il plenum sarà composto da presidenti e consiglieri regionali e dai sindaci dei principali comuni) e nessuna indennità per i membri. I senatori saranno 148, compresi i 21 tra senatori a vita e personalità nominate dal capo dello Stato. «Il numero di rappresentanti del Senato sarà uguale per ogni regione – ha sottolineato il ministro delle riforme, Maria Elena Boschi – ma c’è disponibilità a discuterne, purché si mantenga il dimezzamento del numero dei membri». Il ddl costituzionale prevede anche una revisione del Titolo V della Costituzione, con il riordino della ripartizione di competenze tra Stato e Regioni, e l’abolizione del Cnel. «Lo considero solo un antipasto al processo di semplificazione e taglio che arriverà nella prossima settimane alla pubblica amministrazione». Intanto il capo dello stato Giorgio Napolitano fa sapere di essere «da tempo contrario al bicameralismo perfetto anche se non entro nel merito della riforma del governo». Una nota che intende smentire le voci di un presunto dissenso del Colle rispetto alla trasformazione del senato in una camere delle autonomie. Ma è un via libera? hi ha messo Matteo Renzi e il suo programma di riforme nel mirino avrà sicuramente occasione di sparare qualche colpo a palazzo Madama. Nonostante le ultime fibrillazioni tra Pd e Forza Italia è difficile che evapori l’ampia maggioranza che s’era aggregata intorno al patto del Nazareno, però incidenti di percorso sono possibili. Per fortuna è invece impensabile che questi tentativi possano essere in alcun modo favoriti dal presidente del senato: per quanto si sia fatto tirare dentro una polemica per lui impropria sul merito delle riforme e sui rapporti di forza parlamentari, Grasso ha troppo a cuore il senso del proprio ruolo per esporsi a ulteriori critiche. Oltre tutto sapendo che il suo lavoro sarà scrutinato adesso con particolare attenzione. Nell’ampia gamma di modifiche contenute nel disegno di legge di riforma costituzionale del governo c’è spazio per correzioni e miglioramenti. Perfino dalla scoppiettante conferenza stampa di Renzi, Boschi e Delrio s’è capito che la riforma del senato è un cantiere aperto, del quale (per il premier) sono fuori discussione solo le fondamenta: senatori non eletti direttamente e non retribuiti, nessun potere di voto su fiducia e bilancio. Sarà interessante seguire l’iter di una riforma sulla cui realizzabilità nessuno avrebbe mai scommesso un euro. A caldo, la sera del patto del Nazareno, anche noi avevamo concentrato i commenti sull’Italicum, avvertendo che la pur difficile riforma elettorale sarebbe stata comunque molto più agevole da portare a casa che non l’attacco allo status quo del bicameralismo e dei poteri delle Regioni. Di tutti gli argomenti critici possibili, gli avversari di Renzi fuori e soprattutto dentro il Pd dovranno evitarne solo uno, pena plateale figuraccia e smentite troppo facili: che la fine del bicameralismo sia una decisione «affrettata» e che sia necessario «prendere altro tempo». È una barriera che è stata travolta subito, ieri, senza entrare nel merito del progetto, da Napolitano: della necessità di chiudere con la duplicazone di funzioni e con l’elefantiasi parlamentare il capo dello stato s’è espresso «da tempo». «Da tempo» vuol dire che il sistema politico ha riconosciuto questa “urgenza” addirittura trent’anni fa, senza mai riuscire a combinare nulla per un motivo semplice che i cittadini a un certo punto hanno capito benissimo. SEGUE A PAGINA 5 Chiuso in redazione alle 20,30 martedì 1 aprile 2014 2 < N E W S A N A L Y S I S > PARTITO DEMOCRATICO Il big bang della minoranza. Mappa della nuova galassia non renziana mente. E non è la sola. A poche centinaia di metri di lì, alla stessa ora, si riuniranno anche i Giovani turchi capeggiatti da Matteo Orfini, i primi a uscire dalla dinamica congressuale e invitare a pensare al partito, non alla minoranza o alla maggioranza. Tanto che, per Orfini, Cuperlo è solo «un importante dirigente del partito». Non più la personalità di riferimento della loro area. «Noi Giovani turchi – dice a Europa Orfini – siamo stati accreditati come la quinta colonna della segreteria renziana e dopo l’ultima direzione come i più antirenziani di tutti» Non sono vere né l’una né l’altra definizione. «Noi guardiamo le cose nel merito. Sulla riforma del senato siamo più vicini a Renzi che a Grasso. Sul decreto Poletti invece l’abbiamo detto: così non va». In realtà il lavoro è l’unico tema che riesce a unire tutta l’ex minoranza. NICOLA MIRENZI I l battesimo avverrà stasera alla camera. Nel nuovo “correntone” del Pd – così l’hanno soprannominato, benché i diretti interessati rifiutino l’idea stessa della corrente– ci saranno deputati e senatori bersaniani (Nico Stumpo, Danilo Leva, Davide Zoggia), lettiani (Paola De Micheli), dalemiani (Enzo Amendola e Andrea Manciulli), ex popolari (Enrico Gasbarra). Avranno come punto di riferimento Roberto Speranza. E un padre nobile: Guglielmo Epifani. È così che una parte della minoranza Pd – frantumata dopo la fine del congresso –prova a riorganizzarsi per «rilanciare un’area riformista e superare definitivamente il congresso». Dicono di non voler sabotare il governo di Matteo Renzi. Ma rifiutano l’idea di un partito pensato come un comitato elettorale del leader. L’obiettivo – raccontano – è preparare le condizioni per costruire un fronte più ampio di quello che ha sostenuto Gianni Cuperlo al congresso. Sparigliare, aprire le porte, parlare non soltanto a quel 18 per cento di elettori democratici che hanno sostenuto la mozione che pure hanno appoggiato. La prima risposta di Gianni Cuperlo – l’ex leader? – è stata un avvertimento: «Quando la sinistra si divide, perde». Stasera però anche lui andrà all’appuntamento convocato. Per discutere, interloquire, prendere atto che c’è una parte della minoranza che sente il bisogno di organizzarsi autonoma- Mentre sulle riforme istituzionali la galassia dei non allineati a Renzi ha una geografia più complicata. Al senato ci sono coloro decisamente contrari alla riforma proposta dal governo: i civatiani, che si riconoscono in quel che ha scritto Walter Tocci sull’Unità, Il senato non può essere il dopo lavoro dei sindaci. Ci sono poi venticinque senatori – guidati da Stefano Esposito e Francesco Russo, ma d’appartenenza trasversale – che hanno lanciato un appello a Renzi invitandolo a «non porrre ultimatum sulla bozza che il consiglio dei ministri» ha presentato. E ce ne sono altri che nutrono delle perplessità su come il progetto è stato finora congegnato. Dal più deciso Paolo Corsini, ex sindaco di Brescia, a Miguel Gotor, Vannino Chiti e Doris Lo Moro: dubbiosi sul progetto, ma pronti a suggerire le modifiche che possono convincerli a votarlo. @nicolamirenzi RIFORME Berlusconi alza il prezzo. Ma vuole giocare la parte dell’innovatore FABRIZIA BAGOZZI C on un occhio ai sondaggi (in picchiata) per le europee l’ex Cavaliere gioca un gioco che punta a massimizzare il risultato nelle condizioni date in attesa del “verdetto” del 10 aprile: lucrare sulle difficoltà di Renzi a causa degli smottamenti interni al Pd continuando però a sfruttare il suo impulso innovatore. Sicché lascia che i suoi – i capigruppo di camera e senato Brunetta e Romani ma anche il consigliere politico Giovanni Toti – puntino i piedi per alzare il prezzo: «In questo clima di preoccupanti convulsioni dentro il Pd e tra presidente del consiglio e presidente del senato occorre ribadire che la prima riforma da realizzare per mettere in sicurezza il funzionamento isitituzionale è la riforma elettorale», fanno sapere i due. Addirittura sulle riforme Romani dipinge a palazzo Madama uno scenario da «Vietnam», avvalorando l’ipotesi di un senato ancora elettivo. Berlusconi manda avanti i suoi ma sul via libera alle riforme intende rimanere in scia e dimostrare di essere dalla parte degli innovatori e non dei conservatori. Dunque nel primo pomeriggio fa sapere che Forza Italia «rispetterà fino in fondo l’accordo sottoscritto, un patto fra due leader interessati a rinnovare in profondità il paese» e che il partito «ha dimostrato la sua serietà approvando alla camera la legge elettorale, che ora vorremmo vedere in aula al senato quanto prima». Non spinge aper- Non nel governo, ma nel dibattito parlamentare. L’ex Cavaliere ci conta, predisponendo alla tamente sulla priorità del voto sull’Italicum bisogna armi e scaramucce. Intanto (arrivato in commissione a palazzo fra i suoi – vedi alla voce Maria StelMadama ma non ancora incardinato). la Gelmini – si comincia a dire aperE sottolinea: «Siamo pronti a discu- Votare prima tamente che servirebbe «un nuovo tere tutto nel dettaglio, senza accetl’Italicum: incontro con il presidente Berlusconi tare testi preconfezionati». E se non solo Maria Elena Boschi, tattica di Fi per per chiarire aspetti non marginali dell’accordo del Nazareno». Un modo ma lo stesso Renzi chiudono la porta alle richieste della coppia Brunetta- portare a casa come un altro per dire che ora la trattativa entra nel dettaglio. Renzi ha Romani («la legge elettorale verrà il premierato già fatto sapere che i quattro punti esaminata subito dopo la revisione del fondamentali (niente elezione diretbicameralismo», ha detto ieri il pre- forte ta, niente indennità, niente fiducia e mier), su quel premierato forte a cui niente voto sul bilancio) non si toccosì tanto tiene l’ex Cavaliere – e che a @gozzip011 Renzi non dispiace – i giochi rimangono aperti. cano. JOBS ACT Prova della verità per il decreto lavoro: poche modifiche, molto selezionate RAFFAELLA CASCIOLI I l percorso ad ostacoli delle riforme, annunciate ormai più di un mese fa dal premier Renzi per dare una scossa all’economia italiana, ha il suo primo banco di prova nel decreto lavoro incardinato da giovedì scorso alla camera. La commissione Lavoro ascolterà da oggi fino alla fine della settimana tutti i soggetti sociali dai sindacati alle imprese, ad economisti esperti della materia. L’esame del provvedimento, che il ministro del lavoro Giuliano Poletti ha detto da subito di non essere disposto a stravolgere, dovrà in ogni caso tener conto delle obiezioni che provengono in primo luogo dalla minoranza del Partito democratico che pure in commissione lavoro ha la sua rappresentanza più folta. Oltre alle resistenze dei sindacati critici su gran parte del provvedimento. La partita che il governo sembra essere disposto a giocare, dopo una chiusura iniziale al dialogo, sebbene tutt’altro che semplice potrebbe tuttavia portare a un risultato di mediazione ben accetto da tutti. Per farlo tuttavia, soprattutto nell’interesse dei lavoratori e di chi aspira ad avere un lavoro, occorre una buona disponibilità all’ascolto. Non a caso relatore del provvedimento in commissione lavoro della camera presieduta dall’ex ministro Cesare Damiano è l’ex sottosegretario al welfare Carlo Dell’Aringa, da sempre capace di dialogare con misura con le parti sociali. Dell’Aringa proprio dalle pagine di Europa la scorsa settimana aveva concordato sulle necessità, peraltro espressa dal mini- stro, di non snaturare il testo approvato dal governo. Detto questo però la possibilità di introdurre modifiche anche per andare incontro ai rilievi espressi sia da esponenti politici democratici che dalle parti sociali è auspicabile. Occorre capire come la partita parlamentare possa essere conclusa con il doppio passaggio alle camere nei tempi e nei modi previsti. Di qui dunque le prime aperture e i tentativi di mediazione. Sembra farsi largo l’idea di mantenere i tre anni per i contratti a termine senza la causale, ma di ridurre il numero delle proroghe per questi contratti rispetto alle otto previste dal provvedimento. Proroghe che non sembrerebbero servire nemmeno troppo alle aziende a cui questa frammentazione in un tempo ridotto risulterebbe inutile. Per Cesare Damiano il decreto va modificato perché troppo sbilanciato e «può creare ulteriore precarietà». Proprio nel rapporto trimestrale sull’euroccupazione la Commissione Ue ha segnalato che, a partire dalla crisi economica, «ci sono numerosi elementi che indicano che i contratti di lavoro a tempo determinato sono diventati meno importanti come punto di partenza per ottenere un lavoro a tempo indeter- minato». Per Bruxelles «la stabilità al lavoro è diminuita in modo significativo, soprattutto per uomini e giovani». Non è un caso che mentre la minoranza Pd punta ad accorciare la durata del contratto a termine senza causale (per Damiano 3 anni è un periodo troppo lungo) c’è poi tutto il tema della formazione pubblica con il rientro dell’apprendistato e la conferma di non dover stabilizzare una quota di contratti prima di avviarne di nuovi. Se a questo si sommano l’impazienza di Confindustria, che può contare sull’appoggio in parlamento di Ncd e Forza Italia, e la contrarietà dei sindacati la cui posizione si rispecchia nelle obiezioni della minoranza Pd si può comprendere come la partita sia per il momento ancora in salita. @raffacascioli FRANCIA Hollande incorona Valls, la destra della sinistra per recuperare consensi LORENZO BIONDI H anno detto di lui: è la destra della sinistra, il Sarkozy socialista, il primo poliziotto di Francia, il Blair francese. Dicono di lui, qui in Italia: è il Renzi del Parti socialiste. Dopo la batosta elettorale di domenica François Hollande è corso ai ripari col rimpasto di governo, scegliendo come capro espiatorio il primo ministro Jean-Marc Ayrault. E chiamando lui, l’ex ministro dell’interno Manuel Valls, a risollevare i consensi del governo. Punti in comune tra Renzi e Valls: il riferimento a una sinistra che è “terza via”, l’ambizione mai celata di guidare il proprio paese (più che il proprio partito). Divergenze tra Renzi e Valls: il francese – 51enne – arriva a Matignon dopo una lunga carriera politica, cominciata all’inizio degli anni Ottanta con la deuxieme gauche di Michel Rocard. Una sinistra non ortodossa, già trent’anni fa. Valls – spagnolo di origine, nato a Barcellona da una famiglia di pittori e architetti, poi naturalizzato francese – è da sempre un uomo di comunicazione. Prima al partito, poi come spin doctor del primo ministro Lionel Jospin dal 1997 al 2002. Le cronache del tempo parlano di lui come dell’Alastair Campbell di Jospin: un paragone forse azzardato, ma Valls dimostra la capacità di imporre ai giornali l’agenda politica del governo. Coltiva buoni rapporti col conservatore Le Figaro, meno con Libération. E in effetti, durante tutta la sua carriera, a sinistra Valls suscita reazioni contrastanti. Come sindaco di Evry adotta un approccio tutto law and order. Ampi poteri alla polizia, linea dura contro il crimine e l’immigrazione irregolare. Sull’economia se la cava un po’ meno bene: bilanci in rosso e tasse in au- mento. Ma in quella banlieue alla periferia di Parigi di immigrati regolari fioccano; quando l’ipotesi di il pugno di ferro sulla sicurezza fa la fortuna del un “intervento umanitario” all’estero è nell’aria – Mali, Repubblica centrafricana – Valls è sindaco sceriffo. sempre in prima linea. Il ministro sa guaChe ormai sogna in grande. Nel 2011, dagnarsi con regolarità i titoli dei giordopo la caduta per mano giudiziaria di Il ministro nali. Il comico Dieudonné mette in scena Dominique Strauss-Kahn, Valls tenta la uno spettacolo accusato di antisemiticarta delle primarie socialiste per la pre- degli interni smo? E lui ingaggia una battaglia legale sidenza. E lo scetticismo degli elettori di promosso per ottenere la sospensione dello show. sinistra nei suoi confronti si manifesta nel La sinistra della maggioranza protesta, misero 6 per cento racimolato. Poco im- a premier. ma i sondaggi premiano il ministro porta: Valls ha un talento, Hollande ha È lui il Renzi dell’interno: il suo tasso di gradimento bisogno del sostegno di tutto il partito e doppia quello di Hollande, mentre il 31 chiama il rivale a guidare la comunicazio- francese? per cento dei francesi lo vedrebbe bene ne della sua campagna elettorale. Ma come primo ministro. Percentuale che quello si trasforma in uomo forte della macchina socialista, ed ecco la nomina a ministro sale al 40 tra gli elettori di destra (sic). Hollande ha ceduto ai sondaggi e alle urne. Per la sinistra della degli interni, dopo la vittoria. @lorbiondi Anche qui la musica non cambia. Le espulsioni gauche è quasi una resa. primo piano 3 martedì 1 aprile 2014 Il vento nero SEGUE DALLA PRIMA Non solo Le Pen RICCARDO BRIZZI N ell’autunno 2013 le legislative in Austria hanno visto la forte avanzata del Fpö (21,4 per cento), mentre in Norvegia (che pure non fa parte dell’Ue) il Partito del progresso è entrato nella coalizione di governo con i conservatori. Ma è l’Europa mediterranea a «fare scuola»: in Spagna, a 35 anni dalla fine della dittatura, si assiste al ritorno in auge dei simboli franchisti; in Grecia il crollo del Pasok (dal 44 per cento del 2009 all’attuale 4) è il segnale più evidente di una crisi di sistema di cui hanno beneficiato gli opposti estremismi di Syriza e Alba dorata; in Francia il Front national, “normalizzato” dalla leadership di Marine Le Pen, dopo il lusinghiero risultato delle municipali di domenica scorsa, attende di battere cas- Una Unione europea concentrata solo sull’economia fatica ad arginare l’avanzata dell’estrema destra, che rischia di dilagare alle elezioni di maggio sa alle europee. Gli analisti che annunciano un’ondata “nero-bruna” in occasione del voto di maggio si appoggiano ad alcuni argomenti forti: la crisi economica sta elettoralmente giovando soprattutto all’estrema destra; l’Ue è divenuta estrema- mente impopolare nell’opinione pubblica (secondo le rilevazioni di Eurobarometro soltanto il 30 per cento degli europei «sostiene» l’Ue, contro il 60 del periodo pre-crisi); la natura della consultazione, infine, appare priva di incidenza nazionale diretta, favorendo non solo l’astensionismo (dal 1979 al 2009 i votanti sono crollati dal 62 per cento al 43), ma anche il voto in favore di formazioni antisistema. Esistono in realtà anche interpretazioni meno catastrofiste. Osservando i risultati elettorali dell’ultimo decennio emerge infatti come soltanto dieci partiti di estrema destra su 28 abbiano incrementato i consensi. Il politologo olandese Cass Mudde ha stimato recentemente come alle prossime europee soltanto 12 formazioni di estrema destra su 28 dovrebbero ottenere rappresentanza, con appena 34 deputati eletti (4 per cento dell’emiciclo). Al di là delle previsioni, tre dati di fatto ci appaiono innegabili. In primo luogo le formazioni di estrema destra, ideologicamente piuttosto eterogenee, dal primo incontro dello scorso novem- europeo, che negli ultimi decenni ha inebre a Vienna (tra i rappresentanti di Fpö, sorabilmente perso alcuni parametri di Fn francese, Lega nord, Democratici legittimazione che ne avevano accomsvedesi, Vlaams Belang belga e Sns slo- pagnato la nascita e lo sviluppo: quello vacco) stanno moltiplicando gli sforzi in politico (costruire un solido argine anvista della costituzione di un gruppo ticomunista), quello militare (restare parlamentare comune che, negli auspici protetti sotto l’ombrello americano) e quello storico (la riconciliazione dei proponenti, dovrebbe cofranco-tedesca), trovandosi anstituire la “terza forza” del corato all’ultima ragion d’essere nuovo parlamento. ancora attuale, quella economiNel corso degli ultimi an- Il voto ni, oltretutto, sull’onda della per Strasburgo ca, fondata sull’obiettivo del raggiungimento di un benessere crisi, si è progressivamente diffuso, proprio nel momento in affermata una galassia di favorisce formazioni non classificabili gli antisistema: cui quest’ultimo è parso minacciato da una feroce competizione secondo la tradizionale linea internazionale e dallo sgretoladi frattura destra-sinistra, ma non tutti ma più genericamente assi- sono pessimisti mento dei generosi sistemi di welfare ereditati dal dopoguerra. milate alla nebulosa “popuL’impressione è che se l’Ue lista”, che tuttavia fanno non troverà a breve nuovi potendell’euroscetticismo uno dei principali cavalli di battaglia (è il caso ti motori di legittimazione finirà per del Movimento 5 Stelle, dei Veri Finlan- essere travolta dal disincanto democradesi, dell’Alternativa per la Germania, o tico che attualmente fornisce un combustibile determinante per i movimenti dello Ukip britannico). Occorre infine considerare la dram- populisti di ogni colore che proliferano matica crisi di consensi del progetto sul Vecchio continente. FRANCOFORTE Cosa farà la Bce contro l’onda euroscettica SEGUE DALLA PRIMA ROBERTO SOMMELLA T utto vuole la Germania, meno che restare l’unica in buona salute in un’Unione tormentata dalla fiacca ripresa, dal boom della disoccupazione e dal costante rafforzamento della moneta. Sarebbe un bersaglio fin troppo facile da colpire per tutti quei partiti anti-euro, che messi insieme rischiano di rappresentare un terzo del prossimo Parlamento europeo. Che sia stato sancito il ri- della Bundesbank e membro del board della Bantorno della politica è però presto per dirlo ma ca centrale europea («un piano di allentamento probabilmente la cancelliera tedesca si è ricordaquantitativo non è fuori discussione») ta di quello che diceva De Gaulle dell’Euoggi può essere salutata come una svolropa, «un carro tirato da un cavallo tedeta clamorosa e come il primo passo per sco con un cocchiere francese». Di certo fino ad ora abbiamo avuto la sensazione Anche il falco trasformare la Bce in qualcosa di molto simile alla Fed. Prestatore di ultima che durante tutta l’eurocrisi questo caWeidmann istanza. Per la prima volta infatti il suvallo fosse senza nocchiero e che tirasse proprio dalla parte sbagliata. Dopo le riconosce che per-falco, ex consigliere della Merkel, che più volte ha osteggiato la politica consultazioni francesi sta diventando ora servono espansiva di Francoforte, ha dato un inevidente a tutti che sarebbe fatale affidaformale via libera all’attuazione di un re la guida di tutta l’Unione ad un fantino politiche piano di acquisti di titoli di Stato e di che vuole decretarne la fine in virtù di un espansive bond con l’obiettivo di stimolare l’ecopiù ampio successo alle prossime consulnomia. E questo è ancora più significatazioni europee. Se così fosse, molto metivo se si ricorda che il capo della Bunglio che siano gli specialisti, i banchieri desbank era stato l’unico esponente del comitato centrali come Mario Draghi, ad indicare la strada direttivo della Bce ad aver votato contro lo scudo per uscire dalla crisi, visto che i leader europei anti-spread voluto dal presidente Mario Draghi sono tutti immobilizzati dalla scarsità delle risornel 2012. se pubbliche e dai rigidi vincoli di bilancio dei Oggi il suo cambio di rotta è il chiaro segnale Trattati. che la situazione si sta deteriorando, sia dal punto Ecco perché l’affermazione del numero uno di vista politico che da quello strettamente economico-finanziario. Se al voto per l’Europarlamento del 25 maggio i partiti di destra diventassero il primo partito in Francia, sarebbe un colpo durissimo per gli europeisti e per tutti coloro che sono saliti sul carro di degaulliana memoria. La ripresa in corso in Eurolandia è troppo flebile per riuscire a creare posti di lavoro – ad oggi è accreditata di uno scarso 1 per cento – e se si materializzasse lo spettro della deflazione diventerà impossibile per qualsiasi Paese bloccare l’aumento del rapporto debito-pil. Certo ci sono alcuni paletti ancora da chiarire, come la proibizione del finanziamento monetario da parte della Bce dei debiti sovrani Stati, che dovrà essere confermata, e la redistribuzione dei rischi fra gli Stati membri, ma un primo passo verso l’uscita dalla gabbia contabile tedesca è a portata di mano. Ora sta a tutti i partner dell’Eurozona spingere perché quest’apertura di Berlino venga colta al balzo e tramutata subito in atti concreti. @SommellaRoberto martedì 1 aprile 2014 lettere e commenti 4 FEDERICO ORLANDO RISPONDE Se Recanati fosse Avignone Cara Europa, ho letto con molto piacere, giorni fa, che il ministro dei Beni culturali Franceschini si opporrà alla trasformazione di un vecchio casale colonico, sull’ermo colle di Leopardi, in un country house o resort (le parole italiane fanno schifo in questo paese di servi da 1500 anni). Mi dicono che proprietaria del casale sarebbe una nobile recanatese, la quale intenderebbe ristrutturarlo e farne un’abitazione per il figlio. Non contesto i diritti della proprietà, ma nell’ambito della Costituzione: la quale, oltre che riconoscerla e garantirla, le impone i «modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale». Aveva dunque ragione il povero Leopardi a voler fuggire da Recanati «natio borgo selvaggio»? Flavio Rossini, Pesaro N on so, caro Rossini. Nel senso che ho avuto tra gli amici della mia vita splendidi cittadini di Recanati, i marchesi Leopardi Dittaiuti, coi quali, insieme, abbiamo fatto lotte per l’agricoltura, l’ambiente, il paesaggio marchigiano, la politica e la cultura liberali, e davvero sarei in imbarazzo a parlare di «natio borgo selvaggio». Tanto più che non conosco la nobildonna che vorrebbe ristrutturare il casale, né eventuali cittadini schierati con lei, magari per ragioni “lavorative”, in nome della santissima trinità del mattone del cemento e del denaro. Io so una cosa, che esiste una Costituzione la quale, oltre ai diritti e ai limiti della proprietà da lei ricordati, contiene un articolo, il 9, che dice: la Repubblica «tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione». Le confesso, caro Rossini, che quando i costituenti scrivevano queste cose, io e i miei compagni di un liceo del Sud che a quel tempo studiavamo Leopardi e seguivamo i lavori della Costituente, ma rosicavamo per il risultato del referendum istituzionale perché avevamo visto troppi brogli e violenze, sghignazzammo apprendendo che la nuova repubblica avrebbe tutelato il paesaggio. Chi avrebbe allora immaginato che, diventati vecchi, ci saremmo aggrappati proprio a quell’articolo per difenderci da un crimine contro l’Italia, quel po’ di Italia fisica, paesaggistica, ambientale che resta della devastazione di decine di milioni di ratti che popolano il nostro paese e lo spolpano in nome del loro diritto a “magnare”? Ho letto molte cose sul Colle dell’Infinito (qualcuno scrive che vi fu costruita anche una piscina), sulla Costituzione, sul Codice dei beni culturali, sugli orientamenti del Consiglio di stato, sul ministero dei beni culturali, sulla Sovrintendenza (quante barriere di carta, vedremo se la volontà di arricchirsi e “magnare” le travolgerà come a Pompei, a Segesta, a Napoli, in Liguria, a Venezia ecc.). Certo, mi sentirei più tranquillo se fossi cittadino francese. Domenica scorsa, nelle città storiche e artistiche di Perpignan e Avignone, alla cui conquista miravano i postfascisti della signora Le Pen, l’insurrezione degli uomini e delle donne di cultura, che in quelle città tengono da sempre le loro manifestazioni, hanno minacciato di portarle altrove se i municipi fossero caduti in mani politicamente indegne. Ebbene, i francesi sono stati attenti alle mani, hanno votato per i democratici, in quelle città l’arte non dovrà venire a contatto coi fascisti. L’avremmo fatto in Italia? Il vero problema, a Recanati come negli altri ottomila comuni, con o senza Infinito, è rispondere a questa domanda. ••• VERSO LE EUROPEE ••• #Europeforward contro gli antieuro EMILIO CIARLO E se la finissimo di avere paura della paura dei nostri cittadini? Se rispondessimo alle idiozie antieuropee con il coraggio e lo slancio invece che con l’imbarazzo e l’accondiscendenza? L’ha ribadito Beppe Severgnini con un bell’editoriale sul Corriere: gli europeisti, bloccati sulla difensiva, sembrano solo sperare che la bufera passi ma la mancanza di slancio e visione rischia di rendere le loro posizioni sempre più deboli e scolorite. Se addirittura seguissimo l’invito fatto da Stefano Menichini su questo giornale («Dai nomi per l’Europa esce il nuovo Pd») e invece di mandare in Europa vecchi arnesi esauriti e gente che non sa neanche parlare inglese, ci decidessimo a promuovere una classe dirigente italiana capace di trasformare in provvedimenti e azione politica le esigenze delle imprese e dei lavoratori italiani? Se provassimo a mettere in colle- gamento Roma e Bruxelles permanentemente, come fanno i tedeschi e gli inglesi, e non stare a guardarci, da provinciali, il nostro ombelico? Il documento “#Europeforward: l’Italia cambia verso in Europa” che si può leggere, commentare e sottoscrivere sul sito europeforward.wordpress.com serve a far partire un dibattito che oggi si avvita solo sulle polemiche anti euro. Lo inizieremo a presentare in questa settimana, a Roma e a Ventotene, e poi in giro per l’Italia perché se è vero che eleggeremo il nuovo Parlamento europeo in un clima di vero e proprio attacco all’Unione e ritorno a tensioni nazionaliste, non ci possiamo permettere un dibattito fatto di slogan da una parte e retorica dall’altra. È in Europa che si trovano le risorse economiche per il nostro sviluppo ed è a Bruxelles che si giocano partite decisive che, da sola, l’Italia non avrebbe il fisico di sostenere nell’arena globale. Come pensiamo di poter ridurre i costi dell’energia per le aziende o garantire la sicu- i suoi obiettivi quello di sostenere la rezza degli approvvigionamenti? Vogliacrescita, liberandola dalle manette mo accontentarci di una piccola politica dell’austerity e del rigore di bilancio. industriale italiana o contribuire a una Vogliamo che il prossimo Parlamento nuova politica industriale europea che europeo sia “costituente” e avvii i lavori rispetti più gli interessi del nostro paese per una Costituzione breve, come quella e meno le esigenze dei player nordeuroamericana, da approvare con un pei? Invece di subire la follia referendum continentale e non entieuropea non è ora di attaccare, spiegando che solo attra- Un documento con un voto degli Stati. Non si tratta di velleità ma della cura verso l’Europa, Roma può dicontro l’euroscetticismo perché scutere di globalizzazione equa, per sbloccarsi l’alternativa sarebbe, presto o diritti e democrazia, di amda posizioni tardi, la drammatica dissolubiente o di sicurezza globale? zione. #Europeforward elenca i te- difensive: mi per far cambiare verso e Se in Europa chiediamo a Bruxelles marcia all’Italia in Europa ma un’Italia con le “palle”, più partite decisive sicura di sé e dei propri chiede anche che l’Europa cambi testa e si trasformi da interessi, non è per miope e insopportabile adolescente irridicolo nazionalismo, né per risolta in una vera potenza civile, matul’autocompiacimento dell’italietta che ra, democratica e popolare. fu, ma al contrario per farla tornare a Proponiamo di smontare il Fiscal rivestire il ruolo storico di motore della compact dei governi e rimontarlo nella nostra Europa. Quella vera. Le idee ci cornice legale comunitaria, sotto il consono, occorrono persone capaci di trollo del Parlamento, di cambiare il entrare nel cuore di Bruxelles e giocare mandato della Bce così da prevedere tra la partita. ••• RIFORME ••• Il libro nero del Titolo V: storia di un pasticcio SEGUE DALLA PRIMA FEDERICO ORLANDO «T utti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati (…) Contro le sentenze e i provvedimenti sulla libertà personale (…) è sempre ammesso ricorso (…) per violazione di legge (…)». Undici righe e 74 parole. Quando nel ’97 preparammo il timballo in Bicamerale e lo votammo in aula, il testo era di 37 righe e 280 parole. Un articolo da codice di procedura penale calato come un meteorite nella Costituzione, una risorsa infinita per avvocati milionari e imputati eccellenti, una paralisi per gli altri. Poi Berlusconi licenziò la Bicamerale, il centrosinistra provvide da solo a debellare uno dopo l’altro i suoi governi, sicché avvicinandosi la fine della legislatura e adempiuto anche il bombardamento di Belgrado (ci arrangiammo senza F35), INFORMAZIONI E maggioranza (Pds), mandammo in cercammo possibili alleanze aula il nuovo articolo 117. elettorali fuori della destra. E chi Cinquant’anni prima i padri adocchiammo? La Lega di Bossi e costituenti ne avevano fatto, Pagliarini, che avevano alla camera nell’inedito capitolo oltre settanta deputati e facevano dell’“autonomia regionale”, un casino in nome del federalismo. esempio di limpidezza e di Così avemmo la geniale idea di sinteticità: limpido nella sfasciare quel che nella Costituzione costruzione, perché si limitava ad era semplice, appunto il Titolo V, elencare le 19 materie in cui la inventandoci un “regionalismo ai regione avrebbe avuto competenza limiti del federalismo”. Che di mese a legiferare, sintetico in mese si dilatava o nella descrizione di quelle restringeva a seconda che la Lega ci ignorava o ci Occorre ridare materie. In tutto, 32 righe, 136 parole. mandava a quel paese. allo Stato Sapete cosa Non per questo ci fermammo. Infarcendo i le competenze combinammo noi? Prima di tutto, ribaltammo la nostri sonni e i nostri eliminando logica delle competenze: discorsi di sussidiarietà, non più tutte allo Stato limiti del federalismo, le materie tranne le 19 conferite alle complementarietà, ed concorrenti regioni, ma tutte alle altri suoni di cui regioni tranne 17 capivamo poco o niente, espressamente riservate continuammo per mesi a alla legislazione esclusiva dello tessere la tela. Alla fine, dalla Stato. Poi aprimmo le cataratte del commissione affari costituzionali Niagara ed elencammo le materie di dove rappresentavo la rara avis legislazione concorrente (nelle quali liberal-ulivista nel gruppo di ANALISI www.europaquotidiano.it ISSN 1722-2052 Registrazione Tribunale di Roma 664/2002 del 28/11/02 Direttore responsabile Stefano Menichini Condirettore Federico Orlando Vicedirettori Giovanni Cocconi Mario Lavia quante parole, provate a contarle: 1.040, contro le 136 di prima. Naturalmente alle elezioni vinse Berlusconi, che nell’articolo 3 della legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3 lucidò il nostro titolo V. Prima Renzi lo butta a mare meglio è. Distribuzione Prestampa Abbonamenti con socio unico Sede legale via di Ripetta, 142 00186 – Roma SEDI 2003 SRL Via D.A.Azuni,9 – Roma Direzione tel. 06-50917341 Telefono e fax : 06-30363998 333-4222055 COMPUTIME Srl – via Caserta, 1 – Roma Annuale Italia 180,00 euro Sostenitore 1000,00 euro Simpatizzante 500,00 euro Semestrale Italia 100,00 euro Trimestrale Italia 55,00 euro Estero (Europa) posta aerea 433,00 euro ● Versamento in c/c postale n. 39783097 ● Bonifico bancario: BANCA UNICREDIT SpA Coordinate Bancarie Internazionali (IBAN) IT18Q0200805240000000815505 intestato a Edizioni DLM Europa Srl Via di Ripetta, 142 -00186 Roma. Consiglio di amministrazione Segreteria di redazione [email protected] Consiglieri via di Ripetta, 142 – 00186 Roma Tel 06 684331 – Fax 06 6843341/40 statale oltre centomila materie, essendo ben più di centomila le leggi con cui lo Stato mette il becco negli affari nostri. Col risultato, non previsto, di preparare la paralisi della Corte costituzionale, competente a decidere sui conflitti tra Stato e regioni per attribuzione di poteri. Risultato grafico: il nuovo 117 occupa in Costituzione quattro pagine, 90 righe e, se volete sapere EDIZIONI DLM EUROPA Srl Presidente V.Presidente Amm. delegato Redazione e Amministrazione spetta alle regioni la potestà legislativa, allo Stato la determinazione dei principi fondamentali). Dulcis in fundo: «Spetta alle regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato». Cioè a tutte, tranne 17. Figuratevi cosa poteva succedere in un paese dove sono di competenza Enzo Bianco Arnaldo Sciarelli Andrea Piana Mario Cavallaro Lorenzo Ciorba Domenico Tudini Guglielmo Vaccaro Pubblicità: A. Manzoni & C. S.p.A. Via Nervesa, 21 20139 Milano Tel. 02/57494801 Stampa LITOSUD Srl via Carlo Pesenti, 130 Roma Responsabile del trattamento dati D.Lgs 196/2003 Stefano Menichini Organo dell’Associazione Politica Democrazia è Libertà La Margherita in liquidazione «La testata fruisce dei contributi statali diretti di cui alla Legge 7 agosto 1990 n.250» 5 < C O M M E N T I > • • • C I T TÀ M E T ROP OL I TA N E • • • ••• EDITORIALE ••• City Act, via le briglie a Milano Troppo in fretta? Casomai troppo tardi PIETRO BUSSOLATI ti, discutere di visione e vocazione innono ambire ad essere territorio di sperivative per la nostra metropoli e che, parmentazione concreta di queste tesi. Mitendo dai poteri in capo al Commissario lano in particolare ha la vocazione nastraordinario, possa contribuire a declizionale e le caratteristiche per essere una sindaci governeranno il mondo. È la nare le competenze in capo al futuro sindelle aree innovative di trazione econosuggestiva provocazione lanciata da daco metropolitano e a pensare al dopo mica dell’Italia. In questo senso Expo ci Benjamin R. Barber, professore e politoExpo come occasione di rilancio econopermette di riflettere sul ruolo di Milano logo americano, che, nel suo ultimo libro, mico. nel mondo, un’occasione per elaborare ipotizza un mondo governato in una logiA questo riguardo, una delle proposte una prospettiva di sviluppo metropolitaca bottom-up, che parte dalle domande del documento intende, mantenendo legano di lungo periodo, che sia anche un’adei cittadini e dall’istituzione di un parmi economici con i paesi in via di sviluppo, genda di lavoro per tutte le forze riformilamento mondiale delle città. Questa istituire aree a burocrazia e tassaste della città. proposta, certamente visionaria, ci è di zione zero al fine di attrarre attività Il Partito democratico mestimolo per ricercare nuovi modelli di gotropolitano di Milano vuole vernance, più vicini ai bisogni di tutte Un documento d’impresa innovative, in grado di rilanciare Milano come hub interfarsi promotore di questa sfida: quelle istanze civiche che ripongono nei di indirizzo nazionale del mercato italiano. vogliamo individuare una visindaci, e nelle amministrazioni locali, sione supportata da forti aspettative di cambiamenIeri sera abbiamo presentato le politico per un obiettivi strategici atto. linee guida del City Act a Milano, traverso un documento rinascimento L’Europa individua le aree con esponenti di governo e del parLe grandi città di indirizzo politico, un ambrosiano metropolitane quali principali tito nazionale, proponendo una vimotori di sviluppo che, grazie ai al centro dello City Act. Fiscalità locasione di città metropolitana che, le, commercio, turismo, e non solo mutamenti economici, sociali arricchita da nuove autonomie e sviluppo del pianificazione territoed istituzionali in corso, pocompetenze, anche in assenza di riale, messa in rete del tranno avere un ruolo decisivo ulteriori fondi statali, sia in grado paese con le sistema universitario, nel delineare una nuova prodi avviare una nuova stagione di ricompetenze semplificazione amministrativa spettiva per il rilancio delle nascimento ambrosiano e quindi di rilansono solo alcuni dei temi affroneconomie locali. Come spiega cio dell’Italia. delle Regioni tati nel documento, che sarà poi anche Enrico Moretti, professoIl City Act come sfida politica per tola base per svilupparli sia con re di economia a Berkley, nel gliere le briglie a Milano per far crescere proposte di natura locale che con suo testo La nuova geografia del l’Italia, come avvio di un percorso, guiprovvedimenti legislativi nazionali. lavoro, alcuni fattori quali formazione, dato dall’amministrazione, di coinvolgiIl City Act significa dotare le Città conoscenza e sviluppo di città hi-tech ad mento con le migliori energie e conometropolitane più importanti delle comaltissima conoscenza possono rapprescenze della città per dare ancora più petenze delle Regioni, favorendo il consentare la via maestra per superare la forza territoriale al progetto restituendo trollo dei cittadini, sperimentare con cocrisi puntando su «ingegno, iniziativa, al Partito democratico un ruolo decisivo, raggio pratiche di innovazione amminicapitale umano, ecosistema produttivo». in forza delle proprie idee e proposte, di strativa (burocrazia e digitalizzazione), In Italia delle dieci neonate Città meimpulso strategico rispetto alle sfide che pensare ad una proposta programmatica tropolitane solo Milano e Napoli (Roma Milano sarà chiamata ad affrontare nei che consenta di anticipare i cambiamenha una legislazione già differente) possoprossimi anni. I ••• VOTO TURCO ••• La prevedibile sorpresa di Erdogan della Turchia, che fa capo a Fethullah Gülen, il predicatore e politologo che vive in esilio GUIDO MOLTEDO in Pennsylvania e che conta su numerosi seguaci leali in posti chiave della magistratura e delle forze armate. Un tempo alleati, che, quanto meno, il suo partito d’ispiErdoğan e Gülen si sono trasformati in acerrazione islamica, l’Adalet ve Kalkınma rimi nemici, e il perché è e resta un mistero. Partisi, avrebbe perso nelle due principali Il voto di domenica è stato la resa dei conti città del paese, Ankara e Istanbul, dove intra i due. L’abilità machiavellica di Erdoğan vece ha vinto. è consistita nel saldare – al cospetto dell’ePer giunta, il voto amministrativo turco è lettorato soprattutto anatolico, che gli ha stato un referendum proprio sulla figura di creduto – il fronte di Gülen con quello laicoRecep Tayyp Erdoğan, sulla sua leadership, nazionalista, accomunandoli come il nemico che dura ormai da undici anni. Lui stesso ha interno, quinta colonna di una vasta messo la competizione su quel piacospirazione occidentale tesa a rino, e così hanno fatto i suoi avversaportare al guinzaglio la Turchia, diri, innanzitutto il secondo partito, il L’esito delle ventata potenza regionale ingomnazionalista laico Cumhuriyet Halk Partisi, che ha accettato il suo terre- amministrative brante e non più docile come un tempo. no di confronto, trascurando i temi di domenica Probabilmente il fronte progreslocali e, più in generale, lo stato va oltre sista e laico ha sbagliato a non conmolto preoccupante dell’economia trapporre una campagna di conteturca, il vero tallone di Achille di i confini nuti, e ce ne sono tantissimi, basti Erdoğan. Il risultato è che l’Akp non pensare al prossimo botto dell’ecosolo ha vinto, avanzando di molto ri- turchi nomia legato alla diffusione irrespetto alle precedenti amministratisponsabile delle carte di credito e ve e perdendo di poco rispetto alle all’indebitamento fuori controllo ultime politiche, ma il primo ministro della maggioranza delle famiglie turche. Sesi trova nell’imbarazzo della scelta se candiguendo invece lo schema italiano della deledarsi ad agosto per la carica di presidente gittimazione del leader avverso (una denundella repubblica (carica che sarebbe riforcia del mix di corruzione, autoritarismo e mata su misura per lui, cioè in senso “presileaderismo), ha finito per fare il suo denzialista”) o se modificare le regogioco rendendolo perfino più potenle del suo partito e proporsi per un te. E più pericoloso. quarto mandato alla guida del goLe elezioni Come si è detto, l’economia verno. dell’era Erdoğan – il suo modello di Romano e altri osservatori imma- si sono islam in salsa democristiana: palazginavano una Turchia nella quale la contraddizione principale, politica e trasformate in zoni, intensa urbanizzazione, grandi culturale, fosse tra il leader islamiun referendum opere pubbliche – è entrata in crisi. Adesso Erdoğan è più forte politicasta, con il suo partito Akp, e il variesul primo mente, ma il suo “sistema” è fragile. gato mondo laico, legato a Mustafa Ed è più forte politicamente, ma Kemal Atatürk, il fondatore della ministro non nella regione mediorientale, moderna Turchia, e che su questo non nei rapporti con l’Europa e con terreno si sarebbe giocata la partita l’Occidente. Così, il voto di domenidi domenica. Naturalmente questo ca solleva interrogativi sul Sultano più che conflitto c’è, ed è forte, acuto, e promette dare le risposte rassicuranti che molti si atnuove battaglie, anche cruente. Domenica, tendevano, e trattandosi di uno dei paesiperò, si sono scontrate e confrontate sopratchiave del mondo di oggi, sono interrogativi tutto due narrative tutte interne all’islam che vanno ben oltre i confini turchi. politico turco, un conflitto tra Erdogan e la @GuidoMoltedo lobby, molto potente ed estesa, anche fuori SEGUE DALLA PRIMA E martedì 1 aprile 2014 SEGUE DALLA PRIMA STEFANO MENICHINI N on c’entrano le alte ragioni democratiche accampate oggi dai conservatori dell’esistente, bensì la banale constatazione che la riforma comportava un inaccettabile dimagrimento del sistema politico medesimo. Che da questo atteggiamento, da questi ritardi, da questo sostanziale ostruzionismo, sia poi discesa l’impotenza parlamentare, con essa lo scadimento della credibilità dell’istituzione e infine la vera degenerazione della qualità democratica del paese, questo è un concetto che stranamente sfugge ad abituali fustigatori dei vizi nazionali come Zagrebelsky e Rodotà, per non dire di Beppe Grillo. La verità è che ci sono tante rendite di posizione che vengono messe in pericolo in questa stagione. Comprese quelle degli eterni critici di un sistema che anche a loro fa comodo rimanga eternamente immodificabile. @smenichini