Renzi non cede, via al nuovo senato

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Renzi non cede, via al nuovo senato
POSTE ITALIANE S.P.A. - SPED. IN ABB. POST. D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27.02.2004, N.46)
ART.1, COMMA 1, DCB ROMA
MARTEDÌ 1 APRILE 2014
ANNO XII • N°64 € 1,00
F
FORZA ITALIA
PARTITO DEMOCRATICO
P
R
RIMPASTO FRANCIA
B
Berlusconi
non vuole giocare
lla parte di chi fa saltare le
rriforme (per ora)
A PAGINA 2
IIl big bang della minoranza.
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Mappa della nuova galassia
n
A PAGINA 2
non renziana
D
Dopo
la batosta Hollande
iincorona Valls, la destra
d
A PAGINA 2
della sinistra
■ ■ RIFORME
■ ■ ANKARA
Il libro nero
del Titolo V:
storia
di un pasticcio
La prevedibile
sorpresa
del referendum
su Erdoğan
FEDERICO
ORLANDO
S
RIFORME COSTITUZIONALI
STEFANO
MENICHINI
C
«I
l nuovo Sultano è ferito, forse azzoppato», scriveva
qualche giorno fa Sergio Romano,
nel primo di una serie di articoli
sul Corriere della Sera dedicati alle elezioni amministrative turche.
Il titolo del pezzo: “Il declino di
Erdoğan, un leader in bilico tra
economia e Twitter”. Romano è
l’ex-ambasciatore a Mosca che,
quando arrivò Mikhail Gorbaciov
al vertice del Pcus, fece sapere al
governo italiano che l’uomo della
perestrojka non era così diverso
dai suoi predecessori e che, anzi,
con lui, nulla sarebbe cambiato in
Unione sovietica. Questa volta,
nel prevedere una batosta per
Erdoğan (si pronuncia Erdoan) e
l’inizio del suo tramonto, l’exdiplomatico ha l’attenuante di
essersi trovato in buona e numerosa compagnia. In molti avevano
pensato che l’escalation autoritaria e repressiva del primo ministro turco gli sarebbe costata
cara nelle urne di domenica.
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Renzi non cede,
via al nuovo senato
Il premier: «Tranquillo sulla tenuta del Pd, Berlusconi manterrà
i patti». Napolitano: «Da sempre contro il bicameralismo perfetto»
ALESSANDRO
ALLIEVI
Cosa farà
la Bce contro
l’onda
euroscettica
ROBERTO
SOMMELLA
L
■■ PARIGI
Il vento nero
che spazza
un’Europa
senza progetto
RICCARDO
BRIZZI
U
a Bce è l’ultimo argine contro la
svolta a destra della Francia e
di parte dell’Europa. Berlino ha finalmente capito che senza un cambio di rotta alla politica economica
dell’Unione si ritroverà da sola a
vedersela con la marea montante di
euroscetticismo. Il segnale inequivocabile di un allentamento del rigore ad ogni costo è arrivato qualche giorno fa dal falco presidente
della Bundesbank, Jens Weidmann,
ma è come se avesse parlato Angela Merkel. La Bce potrà effettuare
operazioni non convenzionali di
riacquisto di titoli di stato e altri
strumenti obbligazionari garantiti
per rilanciare l’economia europea e
forse già il prossimo 3 aprile il board
dell’Eurotower discuterà su come
armare il suo bazooka anti-recessione. Si è arrivati a questa svolta,
sembra paradossale ma è così, grazie al successo del Front National
di Marine Le Pen e dell’Ump alle
amministrative francesi, preludio di
un possibile analogo plebiscito di
tutte le forze euroscettiche alle
prossime elezioni continentali.
no spettro si aggira per l’Europa: lo spettro dell’estrema
destra, rinvigorito dai successi
del Front National alle municipali francesi, ma non solo.
Per rendersi conto del vento
che tira basta ricordare come in
occasione delle prime elezioni
europee a suffragio diretto, svoltesi nel giugno 1979, un solo partito di estrema destra era riuscito a conquistare una – modesta
– rappresentanza parlamentare:
era il Movimento sociale italiano,
che nell’emiciclo di Strasburgo
poteva contare su quattro deputati.
A trentacinque anni di distanza il quadro appare profondamente mutato. All’interno
dell’europarlamento in scadenza
siede un gruppo apertamente eurofobo, Europa della libertà e
della democrazia, che conta trentadue deputati provenienti da
dieci paesi. Più in generale l’estrema destra negli ultimi mesi
sembra in ascesa all’interno di
svariate arene nazionali.
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SEGUE A PAGINA 3
EDITORIALE
Troppa fretta?
Casomai è
troppo tardi
GUIDO
MOLTEDO
entivo evocare in tv, dalla
dottrina di un filosofo o di
un santo, questo principio:
«Le buone leggi sono quelle
fatte di poche parole».
Noi del centrosinistra non
lo sapevamo, quando ci capitò
di governare la prima e (in pratica) unica volta, nei cinque
anni dell’Ulivo, 1996-2001, e
aggravammo il pasticcio istituzionale che oggi si cerca di rimuovere. Governo Prodi, D’Alema 1, D’Alema 2, Amato:
pochi nomi per un massacro.
Sempre disponibili a calarci le brache ai nostri avversari, sperando di farceli amici, iniziammo la legislatura
riscrivendo l’articolo 111 della Costituzione, cioè “Norme
sulla giurisdizione”: che, per
compiacere a Previti, autore
del testo per la campagna
elettorale berlusconiana,
chiamammo “Norme sul giusto processo”.
■ ■ FRANCOFORTE
IL GOVERNO PRESENTA LA LEGGE
P
er ora l’avvertimento di Pietro
Grasso è caduto nel vuoto.
Anzi. Il giorno dopo l’uscita del
presidente del senato che avvertiva il premier che a palazzo Madama «non ci sono i numeri» per
approvare la riforma Matteo Renzi rilancia com’è nel suo stile, non
risparmia attacchi a Grasso ed
evoca le possibili conseguenze politiche di uno stop alla riforma.
«Non si è mai visto che un presidente del senato intervenga su un
procedimento in corso – dice il
premier a SkyTg24 –. I presidenti
hanno un ruolo terzo e non possono intervenire nel merito. Se sono
arbitri non possono giocare».
Quanto alla riforma costituzionale della camera alta e del Titolo V, passata ieri all’unanimità
al consiglio dei ministri, Renzi si
dice ottimista: «Chi si oppone è
una minoranza, nel Pd e nel senato». Renzi detta anche i tempi
della riforma: «Il primo sì dovrà
arrivare prima delle Europee».
Comunque, chi voterà no «se ne
assumerà la responsabilità: andrò
a casa io ma con me andrà a casa
anche lui e si andrà alle elezioni».
Insomma, l’avvertimento viene
rovesciato in una minaccia uguale e contraria. Tanto che Grasso,
in serata, è costretto a replicare.
«Io parziale? State sereni».
In realtà, per ora, sembra di
capire che Grasso abbia voluto
dare voce al dissenso di palazzo
Madama soprattutto nel Pd ma
che ieri si è sottratto all’“avvertimento”. Anche i 25 senatori firmatari (tra cui France-
sco Russo e Stefano Esposito) di
un appello al capo del governo ci
tengono a spiegare che la loro posizione non coincide con quella
espressa dal presidente di palazzo
Madama. Nel pomeriggio rientra
anche il dissenso di Scelta civica
che, per bocca del ministro e segretario Stefania Giannini, aveva
criticato l’accelerazione del premier. «Ma Scelta civica al senato
voterà la riforma» conferma a Europa il portavoce della Giannini.
Ma come sarà la riforma del
senato e quale sarà il suo cammino? La nuova camera si chiamerà
senato delle autonomie e manterrà i caratteri previsti già dalla
bozza presentata il 12 marzo ma
con il riconoscimento di funzioni
rafforzate per la camera alta. «Voglio essere l’ultimo presidente del
consiglio ad avere ricevuto il voto
di fiducia dall’aula di Palazzo
■ ■ ROBIN
Precario
«Finisce oggi la nostra vita
precaria», ha detto. Che non è
proprio il concetto che associerei
al giovane John Elkann.
Madama» spiega il premier in
conferenza stampa prima di ricordare i quattro “no” su cui si
fonda la riforma: nessuna fiducia
al governo (che dovrà ottenerla
dunque solo dalla Camera), nessun voto sulla legge di bilancio
(anche questo sarà prerogativa di
Montecitorio), nessuna elezione
diretta dei senatori (il plenum sarà composto da presidenti e consiglieri regionali e dai sindaci dei
principali comuni) e nessuna indennità per i membri.
I senatori saranno 148, compresi i 21 tra senatori a vita e personalità nominate dal capo dello
Stato. «Il numero di rappresentanti del Senato sarà uguale per
ogni regione – ha sottolineato il
ministro delle riforme, Maria Elena Boschi – ma c’è disponibilità
a discuterne, purché si mantenga
il dimezzamento del numero dei
membri».
Il ddl costituzionale prevede
anche una revisione del Titolo V
della Costituzione, con il riordino
della ripartizione di competenze
tra Stato e Regioni, e l’abolizione
del Cnel. «Lo considero solo un
antipasto al processo di semplificazione e taglio che arriverà
nella prossima settimane alla
pubblica amministrazione».
Intanto il capo dello stato
Giorgio Napolitano fa sapere di
essere «da tempo contrario al bicameralismo perfetto anche se
non entro nel merito della riforma
del governo». Una nota che intende smentire le voci di un presunto
dissenso del Colle rispetto alla
trasformazione del senato in una
camere delle autonomie. Ma è un
via libera?
hi ha messo Matteo Renzi e il
suo programma di riforme nel
mirino avrà sicuramente occasione
di sparare qualche colpo a palazzo
Madama.
Nonostante le ultime fibrillazioni tra Pd e Forza Italia è difficile
che evapori l’ampia maggioranza
che s’era aggregata intorno al patto
del Nazareno, però incidenti di
percorso sono possibili. Per fortuna
è invece impensabile che questi
tentativi possano essere in alcun
modo favoriti dal presidente del
senato: per quanto si sia fatto tirare dentro una polemica per lui impropria sul merito delle riforme e
sui rapporti di forza parlamentari,
Grasso ha troppo a cuore il senso
del proprio ruolo per esporsi a ulteriori critiche. Oltre tutto sapendo
che il suo lavoro sarà scrutinato
adesso con particolare attenzione.
Nell’ampia gamma di modifiche contenute nel disegno di legge
di riforma costituzionale del governo c’è spazio per correzioni e miglioramenti. Perfino dalla scoppiettante conferenza stampa di
Renzi, Boschi e Delrio s’è capito
che la riforma del senato è un cantiere aperto, del quale (per il premier) sono fuori discussione solo le
fondamenta: senatori non eletti direttamente e non retribuiti, nessun
potere di voto su fiducia e bilancio.
Sarà interessante seguire l’iter
di una riforma sulla cui realizzabilità nessuno avrebbe mai scommesso un euro. A caldo, la sera del
patto del Nazareno, anche noi avevamo concentrato i commenti
sull’Italicum, avvertendo che la pur
difficile riforma elettorale sarebbe
stata comunque molto più agevole
da portare a casa che non l’attacco
allo status quo del bicameralismo e
dei poteri delle Regioni.
Di tutti gli argomenti critici
possibili, gli avversari di Renzi fuori e soprattutto dentro il Pd dovranno evitarne solo uno, pena
plateale figuraccia e smentite troppo facili: che la fine del bicameralismo sia una decisione «affrettata»
e che sia necessario «prendere altro tempo».
È una barriera che è stata
travolta subito, ieri, senza entrare nel merito del progetto, da
Napolitano: della necessità di
chiudere con la duplicazone di
funzioni e con l’elefantiasi parlamentare il capo dello stato s’è
espresso «da tempo». «Da tempo» vuol dire che il sistema politico ha riconosciuto questa “urgenza” addirittura trent’anni fa,
senza mai riuscire a combinare
nulla per un motivo semplice che
i cittadini a un certo punto hanno capito benissimo.
SEGUE A PAGINA 5
Chiuso in redazione alle 20,30
martedì
1 aprile
2014
2
< N E W S
A N A L Y S I S >
PARTITO DEMOCRATICO
Il big bang della minoranza. Mappa della nuova galassia non renziana
mente. E non è la sola.
A poche centinaia di metri di lì,
alla stessa ora, si riuniranno anche i
Giovani turchi capeggiatti da Matteo
Orfini, i primi a uscire dalla dinamica
congressuale e invitare a pensare al
partito, non alla minoranza o alla maggioranza. Tanto che, per Orfini, Cuperlo è solo «un importante dirigente del
partito». Non più la personalità di riferimento della loro area. «Noi Giovani turchi – dice a Europa Orfini – siamo
stati accreditati come la quinta colonna della segreteria renziana e dopo
l’ultima direzione come i più antirenziani di tutti» Non sono vere né l’una
né l’altra definizione. «Noi guardiamo
le cose nel merito. Sulla riforma del
senato siamo più vicini a Renzi che a
Grasso. Sul decreto Poletti invece l’abbiamo detto: così non va».
In realtà il lavoro è l’unico tema che
riesce a unire tutta l’ex minoranza.
NICOLA
MIRENZI
I
l battesimo avverrà stasera alla camera. Nel nuovo “correntone” del Pd
– così l’hanno soprannominato, benché
i diretti interessati rifiutino l’idea stessa della corrente– ci saranno deputati
e senatori bersaniani (Nico Stumpo,
Danilo Leva, Davide Zoggia), lettiani
(Paola De Micheli), dalemiani (Enzo
Amendola e Andrea Manciulli), ex popolari (Enrico Gasbarra). Avranno come punto di riferimento Roberto Speranza. E un padre nobile: Guglielmo
Epifani.
È così che una parte della minoranza Pd – frantumata dopo la fine del
congresso –prova a riorganizzarsi per
«rilanciare un’area riformista e superare definitivamente il congresso». Dicono di non voler sabotare il governo
di Matteo Renzi. Ma rifiutano l’idea di
un partito pensato come un comitato
elettorale del leader. L’obiettivo – raccontano – è preparare le condizioni per
costruire un fronte più ampio di quello
che ha sostenuto Gianni Cuperlo al
congresso. Sparigliare, aprire le porte,
parlare non soltanto a quel 18 per cento di elettori democratici che hanno
sostenuto la mozione che pure hanno
appoggiato.
La prima risposta di Gianni Cuperlo – l’ex leader? – è stata un avvertimento: «Quando la sinistra si divide,
perde». Stasera però anche lui andrà
all’appuntamento convocato. Per discutere, interloquire, prendere atto che
c’è una parte della minoranza che sente il bisogno di organizzarsi autonoma-
Mentre sulle riforme istituzionali la
galassia dei non allineati a Renzi ha
una geografia più complicata. Al senato ci sono coloro decisamente contrari
alla riforma proposta dal governo: i
civatiani, che si riconoscono in quel che
ha scritto Walter Tocci sull’Unità, Il
senato non può essere il dopo lavoro dei
sindaci. Ci sono poi venticinque senatori – guidati da Stefano Esposito e
Francesco Russo, ma d’appartenenza
trasversale – che hanno lanciato un
appello a Renzi invitandolo a «non
porrre ultimatum sulla bozza che il
consiglio dei ministri» ha presentato.
E ce ne sono altri che nutrono delle
perplessità su come il progetto è stato
finora congegnato. Dal più deciso Paolo Corsini, ex sindaco di Brescia, a
Miguel Gotor, Vannino Chiti e Doris Lo
Moro: dubbiosi sul progetto, ma pronti a suggerire le modifiche che possono
convincerli a votarlo. @nicolamirenzi
RIFORME
Berlusconi alza il prezzo. Ma vuole giocare la parte dell’innovatore
FABRIZIA
BAGOZZI
C
on un occhio ai sondaggi (in picchiata) per
le europee l’ex Cavaliere gioca un gioco che
punta a massimizzare il risultato nelle condizioni date in attesa del “verdetto” del 10 aprile:
lucrare sulle difficoltà di Renzi a causa degli
smottamenti interni al Pd continuando però a
sfruttare il suo impulso innovatore. Sicché lascia
che i suoi – i capigruppo di camera e senato
Brunetta e Romani ma anche il consigliere politico Giovanni Toti – puntino i piedi per alzare
il prezzo: «In questo clima di preoccupanti convulsioni dentro il Pd e tra presidente del consiglio e presidente del senato occorre ribadire che
la prima riforma da realizzare per mettere in
sicurezza il funzionamento isitituzionale è la
riforma elettorale», fanno sapere i due. Addirittura sulle riforme Romani dipinge a palazzo
Madama uno scenario da «Vietnam», avvalorando l’ipotesi di un senato ancora elettivo.
Berlusconi manda avanti i suoi ma sul via
libera alle riforme intende rimanere in scia e
dimostrare di essere dalla parte degli innovatori e non dei conservatori. Dunque nel primo
pomeriggio fa sapere che Forza Italia «rispetterà fino in fondo l’accordo sottoscritto, un
patto fra due leader interessati a rinnovare in
profondità il paese» e che il partito «ha dimostrato la sua serietà approvando alla camera la
legge elettorale, che ora vorremmo vedere in
aula al senato quanto prima». Non spinge aper- Non nel governo, ma nel dibattito parlamentare.
L’ex Cavaliere ci conta, predisponendo alla
tamente sulla priorità del voto sull’Italicum
bisogna armi e scaramucce. Intanto
(arrivato in commissione a palazzo
fra i suoi – vedi alla voce Maria StelMadama ma non ancora incardinato).
la Gelmini – si comincia a dire aperE sottolinea: «Siamo pronti a discu- Votare prima
tamente che servirebbe «un nuovo
tere tutto nel dettaglio, senza accetl’Italicum:
incontro con il presidente Berlusconi
tare testi preconfezionati».
E se non solo Maria Elena Boschi, tattica di Fi per per chiarire aspetti non marginali
dell’accordo del Nazareno». Un modo
ma lo stesso Renzi chiudono la porta
alle richieste della coppia Brunetta- portare a casa come un altro per dire che ora la trattativa entra nel dettaglio. Renzi ha
Romani («la legge elettorale verrà il premierato
già fatto sapere che i quattro punti
esaminata subito dopo la revisione del
fondamentali (niente elezione diretbicameralismo», ha detto ieri il pre- forte
ta, niente indennità, niente fiducia e
mier), su quel premierato forte a cui
niente voto sul bilancio) non si toccosì tanto tiene l’ex Cavaliere – e che a
@gozzip011
Renzi non dispiace – i giochi rimangono aperti. cano.
JOBS ACT
Prova della verità per il decreto lavoro: poche modifiche, molto selezionate
RAFFAELLA
CASCIOLI
I
l percorso ad ostacoli delle riforme,
annunciate ormai più di un mese fa
dal premier Renzi per dare una scossa all’economia italiana, ha il suo
primo banco di prova nel decreto lavoro incardinato da giovedì scorso
alla camera. La commissione Lavoro
ascolterà da oggi fino alla fine della
settimana tutti i soggetti sociali dai
sindacati alle imprese, ad economisti
esperti della materia.
L’esame del provvedimento, che il
ministro del lavoro Giuliano Poletti
ha detto da subito di non essere disposto a stravolgere, dovrà in ogni
caso tener conto delle obiezioni che
provengono in primo luogo dalla minoranza del Partito democratico che
pure in commissione lavoro ha la sua
rappresentanza più folta. Oltre alle
resistenze dei sindacati critici su gran
parte del provvedimento. La partita
che il governo sembra essere disposto
a giocare, dopo una chiusura iniziale
al dialogo, sebbene tutt’altro che
semplice potrebbe tuttavia portare a
un risultato di mediazione ben accetto da tutti. Per farlo tuttavia, soprattutto nell’interesse dei lavoratori e di
chi aspira ad avere un lavoro, occorre
una buona disponibilità all’ascolto.
Non a caso relatore del provvedimento in commissione lavoro della
camera presieduta dall’ex ministro
Cesare Damiano è l’ex sottosegretario
al welfare Carlo Dell’Aringa, da sempre capace di dialogare con misura
con le parti sociali. Dell’Aringa proprio dalle pagine di Europa la scorsa
settimana aveva concordato sulle
necessità, peraltro espressa dal mini-
stro, di non snaturare il testo approvato dal governo. Detto questo però
la possibilità di introdurre modifiche
anche per andare incontro ai rilievi
espressi sia da esponenti politici democratici che dalle parti sociali è auspicabile. Occorre capire come la
partita parlamentare possa essere
conclusa con il doppio passaggio alle
camere nei tempi e nei modi previsti.
Di qui dunque le prime aperture e i
tentativi di mediazione. Sembra farsi
largo l’idea di mantenere i tre anni per
i contratti a termine senza la causale,
ma di ridurre il numero delle proroghe
per questi contratti rispetto alle otto
previste dal provvedimento. Proroghe
che non sembrerebbero servire nemmeno troppo alle aziende a cui questa
frammentazione in un tempo ridotto
risulterebbe inutile. Per Cesare Damiano il decreto va modificato perché
troppo sbilanciato e «può creare ulteriore precarietà». Proprio nel rapporto trimestrale sull’euroccupazione
la Commissione Ue ha segnalato che,
a partire dalla crisi economica, «ci
sono numerosi elementi che indicano
che i contratti di lavoro a tempo determinato sono diventati meno importanti come punto di partenza per
ottenere un lavoro a tempo indeter-
minato». Per Bruxelles «la stabilità
al lavoro è diminuita in modo significativo, soprattutto per uomini e giovani».
Non è un caso che mentre la minoranza Pd punta ad accorciare la
durata del contratto a termine senza
causale (per Damiano 3 anni è un
periodo troppo lungo) c’è poi tutto il
tema della formazione pubblica con
il rientro dell’apprendistato e la conferma di non dover stabilizzare una
quota di contratti prima di avviarne
di nuovi. Se a questo si sommano
l’impazienza di Confindustria, che
può contare sull’appoggio in parlamento di Ncd e Forza Italia, e la contrarietà dei sindacati la cui posizione
si rispecchia nelle obiezioni della
minoranza Pd si può comprendere
come la partita sia per il momento
ancora in salita.
@raffacascioli
FRANCIA
Hollande incorona Valls, la destra della sinistra per recuperare consensi
LORENZO
BIONDI
H
anno detto di lui: è la destra della sinistra, il
Sarkozy socialista, il primo poliziotto di Francia, il Blair francese. Dicono di lui, qui in Italia: è il
Renzi del Parti socialiste. Dopo la batosta elettorale di domenica François Hollande è corso ai ripari
col rimpasto di governo, scegliendo come capro
espiatorio il primo ministro Jean-Marc Ayrault. E
chiamando lui, l’ex ministro dell’interno Manuel
Valls, a risollevare i consensi del governo.
Punti in comune tra Renzi e Valls: il riferimento
a una sinistra che è “terza via”, l’ambizione mai
celata di guidare il proprio paese (più che il proprio
partito). Divergenze tra Renzi e Valls: il francese –
51enne – arriva a Matignon dopo una lunga carriera politica, cominciata all’inizio degli anni Ottanta
con la deuxieme gauche di Michel Rocard. Una sinistra non ortodossa, già trent’anni fa. Valls – spagnolo di origine, nato a Barcellona da una famiglia di
pittori e architetti, poi naturalizzato francese – è da
sempre un uomo di comunicazione. Prima al partito, poi come spin doctor del primo ministro Lionel
Jospin dal 1997 al 2002. Le cronache del tempo
parlano di lui come dell’Alastair Campbell di Jospin:
un paragone forse azzardato, ma Valls dimostra la
capacità di imporre ai giornali l’agenda politica del
governo. Coltiva buoni rapporti col conservatore Le
Figaro, meno con Libération.
E in effetti, durante tutta la sua carriera, a sinistra Valls suscita reazioni contrastanti. Come sindaco di Evry adotta un approccio tutto law and order.
Ampi poteri alla polizia, linea dura contro il crimine
e l’immigrazione irregolare. Sull’economia se la cava un po’ meno bene: bilanci in rosso e tasse in au-
mento. Ma in quella banlieue alla periferia di Parigi di immigrati regolari fioccano; quando l’ipotesi di
il pugno di ferro sulla sicurezza fa la fortuna del un “intervento umanitario” all’estero è nell’aria –
Mali, Repubblica centrafricana – Valls è
sindaco sceriffo.
sempre in prima linea. Il ministro sa guaChe ormai sogna in grande. Nel 2011,
dagnarsi con regolarità i titoli dei giordopo la caduta per mano giudiziaria di Il ministro
nali. Il comico Dieudonné mette in scena
Dominique Strauss-Kahn, Valls tenta la
uno spettacolo accusato di antisemiticarta delle primarie socialiste per la pre- degli interni
smo? E lui ingaggia una battaglia legale
sidenza. E lo scetticismo degli elettori di promosso
per ottenere la sospensione dello show.
sinistra nei suoi confronti si manifesta nel
La sinistra della maggioranza protesta,
misero 6 per cento racimolato. Poco im- a premier.
ma i sondaggi premiano il ministro
porta: Valls ha un talento, Hollande ha È lui il Renzi
dell’interno: il suo tasso di gradimento
bisogno del sostegno di tutto il partito e
doppia quello di Hollande, mentre il 31
chiama il rivale a guidare la comunicazio- francese?
per cento dei francesi lo vedrebbe bene
ne della sua campagna elettorale. Ma
come primo ministro. Percentuale che
quello si trasforma in uomo forte della
macchina socialista, ed ecco la nomina a ministro sale al 40 tra gli elettori di destra (sic). Hollande ha
ceduto ai sondaggi e alle urne. Per la sinistra della
degli interni, dopo la vittoria.
@lorbiondi
Anche qui la musica non cambia. Le espulsioni gauche è quasi una resa.
primo piano 3
martedì
1 aprile
2014
Il vento
nero
SEGUE DALLA PRIMA
Non solo Le Pen
RICCARDO
BRIZZI
N
ell’autunno 2013
le legislative in
Austria hanno
visto la forte
avanzata del Fpö
(21,4 per cento),
mentre in Norvegia (che pure non
fa parte dell’Ue) il Partito del progresso
è entrato nella coalizione di governo con
i conservatori. Ma è l’Europa mediterranea a «fare scuola»: in Spagna, a 35
anni dalla fine della dittatura, si assiste
al ritorno in auge dei simboli franchisti;
in Grecia il crollo del Pasok (dal 44 per
cento del 2009 all’attuale 4) è il segnale
più evidente di una crisi di sistema di cui
hanno beneficiato gli opposti estremismi di Syriza e Alba dorata; in Francia il
Front national, “normalizzato” dalla
leadership di Marine Le Pen, dopo il
lusinghiero risultato delle municipali di
domenica scorsa, attende di battere cas-
Una Unione europea
concentrata solo
sull’economia fatica
ad arginare l’avanzata
dell’estrema destra,
che rischia di dilagare
alle elezioni di maggio
sa alle europee.
Gli analisti che annunciano un’ondata “nero-bruna” in occasione del voto di
maggio si appoggiano ad alcuni argomenti forti: la crisi economica sta elettoralmente giovando soprattutto all’estrema destra; l’Ue è divenuta estrema-
mente impopolare nell’opinione pubblica (secondo le rilevazioni di Eurobarometro soltanto il 30 per cento degli europei «sostiene» l’Ue, contro il 60 del
periodo pre-crisi); la natura della consultazione, infine, appare priva di incidenza nazionale diretta, favorendo non
solo l’astensionismo (dal 1979 al 2009 i
votanti sono crollati dal 62 per cento al
43), ma anche il voto in favore di formazioni antisistema.
Esistono in realtà anche interpretazioni meno catastrofiste. Osservando i
risultati elettorali dell’ultimo decennio
emerge infatti come soltanto dieci partiti di estrema destra su 28 abbiano incrementato i consensi. Il politologo
olandese Cass Mudde ha stimato recentemente come alle prossime europee
soltanto 12 formazioni di estrema destra
su 28 dovrebbero ottenere rappresentanza, con appena 34 deputati eletti (4
per cento dell’emiciclo).
Al di là delle previsioni, tre dati di
fatto ci appaiono innegabili. In primo
luogo le formazioni di estrema destra,
ideologicamente piuttosto eterogenee,
dal primo incontro dello scorso novem- europeo, che negli ultimi decenni ha inebre a Vienna (tra i rappresentanti di Fpö, sorabilmente perso alcuni parametri di
Fn francese, Lega nord, Democratici legittimazione che ne avevano accomsvedesi, Vlaams Belang belga e Sns slo- pagnato la nascita e lo sviluppo: quello
vacco) stanno moltiplicando gli sforzi in politico (costruire un solido argine anvista della costituzione di un gruppo ticomunista), quello militare (restare
parlamentare comune che, negli auspici protetti sotto l’ombrello americano) e
quello storico (la riconciliazione
dei proponenti, dovrebbe cofranco-tedesca), trovandosi anstituire la “terza forza” del
corato all’ultima ragion d’essere
nuovo parlamento.
ancora attuale, quella economiNel corso degli ultimi an- Il voto
ni, oltretutto, sull’onda della per Strasburgo ca, fondata sull’obiettivo del
raggiungimento di un benessere
crisi, si è progressivamente
diffuso, proprio nel momento in
affermata una galassia di favorisce
formazioni non classificabili gli antisistema: cui quest’ultimo è parso minacciato da una feroce competizione
secondo la tradizionale linea
internazionale e dallo sgretoladi frattura destra-sinistra, ma non tutti
ma più genericamente assi- sono pessimisti mento dei generosi sistemi di
welfare ereditati dal dopoguerra.
milate alla nebulosa “popuL’impressione è che se l’Ue
lista”, che tuttavia fanno
non troverà a breve nuovi potendell’euroscetticismo uno dei
principali cavalli di battaglia (è il caso ti motori di legittimazione finirà per
del Movimento 5 Stelle, dei Veri Finlan- essere travolta dal disincanto democradesi, dell’Alternativa per la Germania, o tico che attualmente fornisce un combustibile determinante per i movimenti
dello Ukip britannico).
Occorre infine considerare la dram- populisti di ogni colore che proliferano
matica crisi di consensi del progetto sul Vecchio continente.
FRANCOFORTE
Cosa farà la Bce
contro l’onda
euroscettica
SEGUE DALLA PRIMA
ROBERTO
SOMMELLA
T
utto vuole la Germania, meno che restare l’unica in buona salute in un’Unione tormentata
dalla fiacca ripresa, dal boom della disoccupazione e dal costante rafforzamento della moneta. Sarebbe un bersaglio fin troppo facile da colpire per
tutti quei partiti anti-euro, che messi insieme rischiano di rappresentare un terzo del prossimo
Parlamento europeo. Che sia stato sancito il ri-
della Bundesbank e membro del board della Bantorno della politica è però presto per dirlo ma
ca centrale europea («un piano di allentamento
probabilmente la cancelliera tedesca si è ricordaquantitativo non è fuori discussione»)
ta di quello che diceva De Gaulle dell’Euoggi può essere salutata come una svolropa, «un carro tirato da un cavallo tedeta clamorosa e come il primo passo per
sco con un cocchiere francese». Di certo
fino ad ora abbiamo avuto la sensazione
Anche il falco trasformare la Bce in qualcosa di molto
simile alla Fed. Prestatore di ultima
che durante tutta l’eurocrisi questo caWeidmann
istanza. Per la prima volta infatti il suvallo fosse senza nocchiero e che tirasse
proprio dalla parte sbagliata. Dopo le
riconosce che per-falco, ex consigliere della Merkel,
che più volte ha osteggiato la politica
consultazioni francesi sta diventando
ora servono
espansiva di Francoforte, ha dato un inevidente a tutti che sarebbe fatale affidaformale via libera all’attuazione di un
re la guida di tutta l’Unione ad un fantino politiche
piano di acquisti di titoli di Stato e di
che vuole decretarne la fine in virtù di un
espansive
bond con l’obiettivo di stimolare l’ecopiù ampio successo alle prossime consulnomia. E questo è ancora più significatazioni europee. Se così fosse, molto metivo se si ricorda che il capo della Bunglio che siano gli specialisti, i banchieri
desbank era stato l’unico esponente del comitato
centrali come Mario Draghi, ad indicare la strada
direttivo della Bce ad aver votato contro lo scudo
per uscire dalla crisi, visto che i leader europei
anti-spread voluto dal presidente Mario Draghi
sono tutti immobilizzati dalla scarsità delle risornel 2012.
se pubbliche e dai rigidi vincoli di bilancio dei
Oggi il suo cambio di rotta è il chiaro segnale
Trattati.
che la situazione si sta deteriorando, sia dal punto
Ecco perché l’affermazione del numero uno
di vista politico che da quello strettamente economico-finanziario. Se al voto per l’Europarlamento
del 25 maggio i partiti di destra diventassero il
primo partito in Francia, sarebbe un colpo durissimo per gli europeisti e per tutti coloro che sono
saliti sul carro di degaulliana memoria. La ripresa
in corso in Eurolandia è troppo flebile per riuscire
a creare posti di lavoro – ad oggi è accreditata di
uno scarso 1 per cento – e se si materializzasse lo
spettro della deflazione diventerà impossibile per
qualsiasi Paese bloccare l’aumento del rapporto
debito-pil.
Certo ci sono alcuni paletti ancora da chiarire,
come la proibizione del finanziamento monetario
da parte della Bce dei debiti sovrani Stati, che dovrà essere confermata, e la redistribuzione dei rischi fra gli Stati membri, ma un primo passo verso
l’uscita dalla gabbia contabile tedesca è a portata
di mano. Ora sta a tutti i partner dell’Eurozona
spingere perché quest’apertura di Berlino venga
colta al balzo e tramutata subito in atti concreti.
@SommellaRoberto
martedì
1 aprile
2014
lettere e commenti 4
FEDERICO
ORLANDO
RISPONDE
Se Recanati fosse Avignone
Cara Europa, ho letto con molto piacere, giorni
fa, che il ministro dei Beni culturali Franceschini si
opporrà alla trasformazione di un vecchio casale
colonico, sull’ermo colle di Leopardi, in un country
house o resort (le parole italiane fanno schifo in
questo paese di servi da 1500 anni). Mi dicono che
proprietaria del casale sarebbe una nobile recanatese, la quale intenderebbe ristrutturarlo e farne
un’abitazione per il figlio. Non contesto i diritti
della proprietà, ma nell’ambito della Costituzione:
la quale, oltre che riconoscerla e garantirla, le impone i «modi di acquisto, di godimento e i limiti
allo scopo di assicurarne la funzione sociale». Aveva dunque ragione il povero Leopardi a voler fuggire da Recanati «natio borgo selvaggio»?
Flavio Rossini, Pesaro
N
on so, caro Rossini. Nel senso che ho avuto tra gli
amici della mia vita splendidi cittadini di Recanati,
i marchesi Leopardi Dittaiuti, coi quali, insieme, abbiamo
fatto lotte per l’agricoltura, l’ambiente, il paesaggio marchigiano, la politica e la cultura liberali, e davvero sarei in
imbarazzo a parlare di «natio borgo selvaggio». Tanto più
che non conosco la nobildonna che vorrebbe ristrutturare
il casale, né eventuali cittadini schierati con lei, magari
per ragioni “lavorative”, in nome della santissima trinità
del mattone del cemento e del denaro.
Io so una cosa, che esiste una Costituzione la quale,
oltre ai diritti e ai limiti della proprietà da lei ricordati,
contiene un articolo, il 9, che dice: la Repubblica «tutela
il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione». Le confesso, caro Rossini, che quando i costituenti scrivevano queste cose, io e i miei compagni di un liceo
del Sud che a quel tempo studiavamo Leopardi e seguivamo i lavori della Costituente, ma rosicavamo per il
risultato del referendum istituzionale perché avevamo
visto troppi brogli e violenze, sghignazzammo apprendendo che la nuova repubblica avrebbe tutelato il paesaggio. Chi avrebbe allora immaginato che, diventati
vecchi, ci saremmo aggrappati proprio a quell’articolo
per difenderci da un crimine contro l’Italia, quel po’ di
Italia fisica, paesaggistica, ambientale che resta della
devastazione di decine di milioni di ratti che popolano il
nostro paese e lo spolpano in nome del loro diritto a
“magnare”? Ho letto molte cose sul Colle dell’Infinito
(qualcuno scrive che vi fu costruita anche una piscina),
sulla Costituzione, sul Codice dei beni culturali, sugli
orientamenti del Consiglio di stato, sul ministero dei
beni culturali, sulla Sovrintendenza (quante barriere di
carta, vedremo se la volontà di arricchirsi e “magnare”
le travolgerà come a Pompei, a Segesta, a Napoli, in
Liguria, a Venezia ecc.). Certo, mi sentirei più tranquillo se fossi cittadino francese.
Domenica scorsa, nelle città storiche e artistiche di
Perpignan e Avignone, alla cui conquista miravano i postfascisti della signora Le Pen, l’insurrezione degli uomini e
delle donne di cultura, che in quelle città tengono da
sempre le loro manifestazioni, hanno minacciato di portarle altrove se i municipi fossero caduti in mani politicamente indegne. Ebbene, i francesi sono stati attenti alle
mani, hanno votato per i democratici, in quelle città l’arte non dovrà venire a contatto coi fascisti. L’avremmo
fatto in Italia? Il vero problema, a Recanati come negli
altri ottomila comuni, con o senza Infinito, è rispondere a
questa domanda.
••• VERSO LE EUROPEE •••
#Europeforward contro gli antieuro
EMILIO
CIARLO
E
se la finissimo di avere paura della
paura dei nostri cittadini?
Se rispondessimo alle idiozie antieuropee con il coraggio e lo slancio invece
che con l’imbarazzo e l’accondiscendenza? L’ha ribadito Beppe Severgnini con
un bell’editoriale sul Corriere: gli europeisti, bloccati sulla difensiva, sembrano solo sperare che la bufera passi ma la
mancanza di slancio e visione rischia di
rendere le loro posizioni sempre più deboli e scolorite.
Se addirittura seguissimo l’invito
fatto da Stefano Menichini su questo
giornale («Dai nomi per l’Europa esce il
nuovo Pd») e invece di mandare in Europa vecchi arnesi esauriti e gente che
non sa neanche parlare inglese, ci decidessimo a promuovere una classe dirigente italiana capace di trasformare in
provvedimenti e azione politica le esigenze delle imprese e dei lavoratori italiani? Se provassimo a mettere in colle-
gamento Roma e Bruxelles permanentemente, come fanno i tedeschi e gli inglesi, e non stare a guardarci, da provinciali, il nostro ombelico?
Il documento “#Europeforward: l’Italia cambia verso in Europa” che si può
leggere, commentare e sottoscrivere sul
sito europeforward.wordpress.com serve a
far partire un dibattito che oggi si avvita
solo sulle polemiche anti euro.
Lo inizieremo a presentare in questa
settimana, a Roma e a Ventotene, e poi
in giro per l’Italia perché se è vero che
eleggeremo il nuovo Parlamento europeo
in un clima di vero e proprio attacco
all’Unione e ritorno a tensioni nazionaliste, non ci possiamo permettere un dibattito fatto di slogan da una parte e retorica dall’altra.
È in Europa che si trovano le risorse
economiche per il nostro sviluppo ed è a
Bruxelles che si giocano partite decisive
che, da sola, l’Italia non avrebbe il fisico
di sostenere nell’arena globale. Come
pensiamo di poter ridurre i costi dell’energia per le aziende o garantire la sicu-
i suoi obiettivi quello di sostenere la
rezza degli approvvigionamenti? Vogliacrescita, liberandola dalle manette
mo accontentarci di una piccola politica
dell’austerity e del rigore di bilancio.
industriale italiana o contribuire a una
Vogliamo che il prossimo Parlamento
nuova politica industriale europea che
europeo sia “costituente” e avvii i lavori
rispetti più gli interessi del nostro paese
per una Costituzione breve, come quella
e meno le esigenze dei player nordeuroamericana, da approvare con un
pei? Invece di subire la follia
referendum continentale e non
entieuropea non è ora di attaccare, spiegando che solo attra- Un documento con un voto degli Stati. Non si
tratta di velleità ma della cura
verso l’Europa, Roma può dicontro l’euroscetticismo perché
scutere di globalizzazione equa, per sbloccarsi
l’alternativa sarebbe, presto o
diritti e democrazia, di amda posizioni
tardi, la drammatica dissolubiente o di sicurezza globale?
zione.
#Europeforward elenca i te- difensive:
mi per far cambiare verso e
Se in Europa chiediamo
a Bruxelles
marcia all’Italia in Europa ma
un’Italia con le “palle”, più
partite decisive sicura di sé e dei propri
chiede anche che l’Europa
cambi testa e si trasformi da
interessi, non è per miope e
insopportabile adolescente irridicolo nazionalismo, né per
risolta in una vera potenza civile, matul’autocompiacimento dell’italietta che
ra, democratica e popolare.
fu, ma al contrario per farla tornare a
Proponiamo di smontare il Fiscal
rivestire il ruolo storico di motore della
compact dei governi e rimontarlo nella
nostra Europa. Quella vera. Le idee ci
cornice legale comunitaria, sotto il consono, occorrono persone capaci di
trollo del Parlamento, di cambiare il
entrare nel cuore di Bruxelles e giocare
mandato della Bce così da prevedere tra
la partita.
••• RIFORME •••
Il libro nero del Titolo V: storia di un pasticcio
SEGUE DALLA PRIMA
FEDERICO
ORLANDO
«T
utti i provvedimenti giurisdizionali devono essere
motivati (…) Contro le sentenze e i
provvedimenti sulla libertà personale (…) è sempre ammesso ricorso
(…) per violazione di legge (…)».
Undici righe e 74 parole. Quando
nel ’97 preparammo il timballo in
Bicamerale e lo votammo in aula, il
testo era di 37 righe e 280 parole.
Un articolo da codice di procedura
penale calato come un meteorite
nella Costituzione, una risorsa infinita per avvocati milionari e imputati eccellenti, una paralisi per gli
altri.
Poi Berlusconi licenziò la
Bicamerale, il centrosinistra
provvide da solo a debellare uno
dopo l’altro i suoi governi, sicché
avvicinandosi la fine della
legislatura e adempiuto anche il
bombardamento di Belgrado (ci
arrangiammo senza F35),
INFORMAZIONI
E
maggioranza (Pds), mandammo in
cercammo possibili alleanze
aula il nuovo articolo 117.
elettorali fuori della destra. E chi
Cinquant’anni prima i padri
adocchiammo? La Lega di Bossi e
costituenti ne avevano fatto,
Pagliarini, che avevano alla camera
nell’inedito capitolo
oltre settanta deputati e facevano
dell’“autonomia regionale”, un
casino in nome del federalismo.
esempio di limpidezza e di
Così avemmo la geniale idea di
sinteticità: limpido nella
sfasciare quel che nella Costituzione
costruzione, perché si limitava ad
era semplice, appunto il Titolo V,
elencare le 19 materie in cui la
inventandoci un “regionalismo ai
regione avrebbe avuto competenza
limiti del federalismo”. Che di mese
a legiferare, sintetico
in mese si dilatava o
nella descrizione di quelle
restringeva a seconda che
la Lega ci ignorava o ci
Occorre ridare materie. In tutto, 32
righe, 136 parole.
mandava a quel paese.
allo Stato
Sapete cosa
Non per questo ci
fermammo. Infarcendo i le competenze combinammo noi? Prima
di tutto, ribaltammo la
nostri sonni e i nostri
eliminando
logica delle competenze:
discorsi di sussidiarietà,
non più tutte allo Stato
limiti del federalismo,
le materie
tranne le 19 conferite alle
complementarietà, ed
concorrenti
regioni, ma tutte alle
altri suoni di cui
regioni tranne 17
capivamo poco o niente,
espressamente riservate
continuammo per mesi a
alla legislazione esclusiva dello
tessere la tela. Alla fine, dalla
Stato. Poi aprimmo le cataratte del
commissione affari costituzionali
Niagara ed elencammo le materie di
dove rappresentavo la rara avis
legislazione concorrente (nelle quali
liberal-ulivista nel gruppo di
ANALISI
www.europaquotidiano.it
ISSN 1722-2052
Registrazione
Tribunale di Roma
664/2002 del 28/11/02
Direttore responsabile
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Condirettore
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Vicedirettori
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Mario Lavia
quante parole, provate a contarle:
1.040, contro le 136 di prima.
Naturalmente alle elezioni vinse
Berlusconi, che nell’articolo 3 della
legge costituzionale 18 ottobre 2001
n. 3 lucidò il nostro titolo V. Prima
Renzi lo butta a mare meglio è.
Distribuzione
Prestampa
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00186 – Roma
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statale oltre centomila materie,
essendo ben più di centomila le
leggi con cui lo Stato mette il becco
negli affari nostri. Col risultato, non
previsto, di preparare la paralisi
della Corte costituzionale,
competente a decidere sui conflitti
tra Stato e regioni per attribuzione
di poteri. Risultato grafico: il nuovo
117 occupa in Costituzione quattro
pagine, 90 righe e, se volete sapere
EDIZIONI DLM EUROPA Srl
Presidente
V.Presidente
Amm. delegato
Redazione e Amministrazione
spetta alle regioni la potestà
legislativa, allo Stato la
determinazione dei principi
fondamentali). Dulcis in fundo:
«Spetta alle regioni la potestà
legislativa in riferimento ad ogni
materia non espressamente
riservata alla legislazione dello
Stato». Cioè a tutte, tranne 17.
Figuratevi cosa poteva succedere in
un paese dove sono di competenza
Enzo Bianco
Arnaldo Sciarelli
Andrea Piana
Mario Cavallaro
Lorenzo Ciorba
Domenico Tudini
Guglielmo Vaccaro
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«La testata fruisce dei contributi
statali diretti di cui alla Legge 7
agosto 1990 n.250»
5
< C O M M E N T I >
• • • C I T TÀ M E T ROP OL I TA N E • • •
••• EDITORIALE •••
City Act, via le briglie a Milano
Troppo in fretta?
Casomai troppo
tardi
PIETRO
BUSSOLATI
ti, discutere di visione e vocazione innono ambire ad essere territorio di sperivative per la nostra metropoli e che, parmentazione concreta di queste tesi. Mitendo dai poteri in capo al Commissario
lano in particolare ha la vocazione nastraordinario, possa contribuire a declizionale e le caratteristiche per essere una
sindaci governeranno il mondo. È la
nare le competenze in capo al futuro sindelle aree innovative di trazione econosuggestiva provocazione lanciata da
daco metropolitano e a pensare al dopo
mica dell’Italia. In questo senso Expo ci
Benjamin R. Barber, professore e politoExpo come occasione di rilancio econopermette di riflettere sul ruolo di Milano
logo americano, che, nel suo ultimo libro,
mico.
nel mondo, un’occasione per elaborare
ipotizza un mondo governato in una logiA questo riguardo, una delle proposte
una prospettiva di sviluppo metropolitaca bottom-up, che parte dalle domande
del documento intende, mantenendo legano di lungo periodo, che sia anche un’adei cittadini e dall’istituzione di un parmi economici con i paesi in via di sviluppo,
genda di lavoro per tutte le forze riformilamento mondiale delle città. Questa
istituire aree a burocrazia e tassaste della città.
proposta, certamente visionaria, ci è di
zione zero al fine di attrarre attività
Il Partito democratico mestimolo per ricercare nuovi modelli di gotropolitano di Milano vuole
vernance, più vicini ai bisogni di tutte
Un documento d’impresa innovative, in grado di
rilanciare Milano come hub interfarsi promotore di questa sfida:
quelle istanze civiche che ripongono nei
di indirizzo
nazionale del mercato italiano.
vogliamo individuare una visindaci, e nelle amministrazioni locali,
sione supportata da
forti aspettative di cambiamenIeri sera abbiamo presentato le
politico per un
obiettivi strategici atto.
linee guida del City Act a Milano,
traverso un documento rinascimento
L’Europa individua le aree
con esponenti di governo e del parLe grandi città di indirizzo politico, un ambrosiano
metropolitane quali principali
tito nazionale, proponendo una vimotori di sviluppo che, grazie ai al centro dello City Act. Fiscalità locasione di città metropolitana che,
le, commercio, turismo, e non solo
mutamenti economici, sociali
arricchita da nuove autonomie e
sviluppo del
pianificazione territoed istituzionali in corso, pocompetenze, anche in assenza di
riale, messa in rete del
tranno avere un ruolo decisivo
ulteriori fondi statali, sia in grado
paese con le
sistema universitario,
nel delineare una nuova prodi avviare una nuova stagione di ricompetenze
semplificazione amministrativa
spettiva per il rilancio delle
nascimento ambrosiano e quindi di rilansono solo alcuni dei temi affroneconomie locali. Come spiega
cio dell’Italia.
delle Regioni
tati nel documento, che sarà poi
anche Enrico Moretti, professoIl City Act come sfida politica per tola base per svilupparli sia con
re di economia a Berkley, nel
gliere le briglie a Milano per far crescere
proposte di natura locale che con
suo testo La nuova geografia del
l’Italia, come avvio di un percorso, guiprovvedimenti legislativi nazionali.
lavoro, alcuni fattori quali formazione,
dato dall’amministrazione, di coinvolgiIl City Act significa dotare le Città
conoscenza e sviluppo di città hi-tech ad
mento con le migliori energie e conometropolitane più importanti delle comaltissima conoscenza possono rapprescenze della città per dare ancora più
petenze delle Regioni, favorendo il consentare la via maestra per superare la
forza territoriale al progetto restituendo
trollo dei cittadini, sperimentare con cocrisi puntando su «ingegno, iniziativa,
al Partito democratico un ruolo decisivo,
raggio pratiche di innovazione amminicapitale umano, ecosistema produttivo».
in forza delle proprie idee e proposte, di
strativa (burocrazia e digitalizzazione),
In Italia delle dieci neonate Città meimpulso strategico rispetto alle sfide che
pensare ad una proposta programmatica
tropolitane solo Milano e Napoli (Roma
Milano sarà chiamata ad affrontare nei
che consenta di anticipare i cambiamenha una legislazione già differente) possoprossimi anni.
I
••• VOTO TURCO •••
La prevedibile sorpresa di Erdogan
della Turchia, che fa capo a Fethullah Gülen,
il predicatore e politologo che vive in esilio
GUIDO
MOLTEDO
in Pennsylvania e che conta su numerosi seguaci leali in posti chiave della magistratura
e delle forze armate. Un tempo alleati,
che, quanto meno, il suo partito d’ispiErdoğan e Gülen si sono trasformati in acerrazione islamica, l’Adalet ve Kalkınma
rimi nemici, e il perché è e resta un mistero.
Partisi, avrebbe perso nelle due principali
Il voto di domenica è stato la resa dei conti
città del paese, Ankara e Istanbul, dove intra i due. L’abilità machiavellica di Erdoğan
vece ha vinto.
è consistita nel saldare – al cospetto dell’ePer giunta, il voto amministrativo turco è
lettorato soprattutto anatolico, che gli ha
stato un referendum proprio sulla figura di
creduto – il fronte di Gülen con quello laicoRecep Tayyp Erdoğan, sulla sua leadership,
nazionalista, accomunandoli come il nemico
che dura ormai da undici anni. Lui stesso ha
interno, quinta colonna di una vasta
messo la competizione su quel piacospirazione occidentale tesa a rino, e così hanno fatto i suoi avversaportare al guinzaglio la Turchia, diri, innanzitutto il secondo partito, il L’esito delle
ventata potenza regionale ingomnazionalista laico Cumhuriyet Halk
Partisi, che ha accettato il suo terre- amministrative brante e non più docile come un
tempo.
no di confronto, trascurando i temi
di domenica
Probabilmente il fronte progreslocali e, più in generale, lo stato
va oltre
sista e laico ha sbagliato a non conmolto preoccupante dell’economia
trapporre una campagna di conteturca, il vero tallone di Achille di
i confini
nuti, e ce ne sono tantissimi, basti
Erdoğan. Il risultato è che l’Akp non
pensare al prossimo botto dell’ecosolo ha vinto, avanzando di molto ri- turchi
nomia legato alla diffusione irrespetto alle precedenti amministratisponsabile delle carte di credito e
ve e perdendo di poco rispetto alle
all’indebitamento fuori controllo
ultime politiche, ma il primo ministro
della maggioranza delle famiglie turche. Sesi trova nell’imbarazzo della scelta se candiguendo invece lo schema italiano della deledarsi ad agosto per la carica di presidente
gittimazione del leader avverso (una denundella repubblica (carica che sarebbe riforcia del mix di corruzione, autoritarismo e
mata su misura per lui, cioè in senso “presileaderismo), ha finito per fare il suo
denzialista”) o se modificare le regogioco rendendolo perfino più potenle del suo partito e proporsi per un
te. E più pericoloso.
quarto mandato alla guida del goLe elezioni
Come si è detto, l’economia
verno.
dell’era Erdoğan – il suo modello di
Romano e altri osservatori imma- si sono
islam in salsa democristiana: palazginavano una Turchia nella quale la
contraddizione principale, politica e trasformate in zoni, intensa urbanizzazione, grandi
culturale, fosse tra il leader islamiun referendum opere pubbliche – è entrata in crisi.
Adesso Erdoğan è più forte politicasta, con il suo partito Akp, e il variesul primo
mente, ma il suo “sistema” è fragile.
gato mondo laico, legato a Mustafa
Ed è più forte politicamente, ma
Kemal Atatürk, il fondatore della
ministro
non nella regione mediorientale,
moderna Turchia, e che su questo
non nei rapporti con l’Europa e con
terreno si sarebbe giocata la partita
l’Occidente. Così, il voto di domenidi domenica. Naturalmente questo
ca solleva interrogativi sul Sultano più che
conflitto c’è, ed è forte, acuto, e promette
dare le risposte rassicuranti che molti si atnuove battaglie, anche cruente. Domenica,
tendevano, e trattandosi di uno dei paesiperò, si sono scontrate e confrontate sopratchiave del mondo di oggi, sono interrogativi
tutto due narrative tutte interne all’islam
che vanno ben oltre i confini turchi.
politico turco, un conflitto tra Erdogan e la
@GuidoMoltedo
lobby, molto potente ed estesa, anche fuori
SEGUE DALLA PRIMA
E
martedì
1 aprile
2014
SEGUE DALLA PRIMA
STEFANO
MENICHINI
N
on c’entrano le alte ragioni democratiche accampate oggi dai conservatori dell’esistente,
bensì la banale constatazione che la riforma comportava un inaccettabile dimagrimento del sistema politico medesimo.
Che da questo atteggiamento, da questi ritardi, da questo sostanziale ostruzionismo, sia poi
discesa l’impotenza parlamentare, con essa lo
scadimento della credibilità dell’istituzione e infine la vera degenerazione della qualità democratica del paese, questo è un concetto che stranamente sfugge ad abituali fustigatori dei vizi nazionali come Zagrebelsky e Rodotà, per non dire
di Beppe Grillo.
La verità è che ci sono tante rendite di posizione che vengono messe in pericolo in questa
stagione. Comprese quelle degli eterni critici di
un sistema che anche a loro fa comodo rimanga
eternamente immodificabile.
@smenichini