Corte dei Conti LOMBARDIA Sentenza 24 giugno 2015, n. 117
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Corte dei Conti LOMBARDIA Sentenza 24 giugno 2015, n. 117
Corte dei Conti LOMBARDIA Sentenza 24 giugno 2015, n. 117 Integrale REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE LOMBARDIA IN COMPOSIZIONE MONOCRATICA ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio pensionistico iscritto al n. 28241 del registro di segreteria, sul ricorso proposto da G.A. (codice fiscale Omissis), nato a Omissis, il Omissis e residente in Omissis, Omissis, rappresentato e difeso, giusta procura agli atti, dagli avvocati Pi.To.; contro il Consiglio Regionale della Lombardia, con sede legale in Milano, via (...), codice fiscale 80053570158, in persona del Presidente del Consiglio regionale pro tempore, rappresentato e difeso, congiuntamente e disgiuntamente, in forza della procura agli atti e di deliberazione dell'Ufficio di Presidenza n. 151 del 27.04.2015 (doc.1), dagli Avv.ti Si.Sni. ed altri (...). OGGETTO: accertamento del diritto alla percezione in misura integrale assegno vitalizio da Consigliere regionale, decurtato ex art.3, l.rg. Lombardia 1.10.2014 n. 25. VISTI: il R.D. 13 agosto 1933, n. 1038; il D.L. 15 novembre 1993, n. 453, convertito dalla legge 14 gennaio 1994, n. 19 e la legge 14 gennaio 1994, n. 20; la legge 21 luglio 2000, n. 205, ed in particolare gli artt. 5 e 9; VISTO il ricorso e tutti gli altri documenti di causa; LETTA la comparsa di costituzione del Consiglio Regionale Lombardia; VISTI: il regio decreto 13 agosto 1933, n. 1038; il decreto legge 15 novembre 1993, n. 453 convertito nella legge 14 gennaio 1994, n. 19; la legge 21 luglio 2000, n. 205 e, in particolare, gli artt. 5, 9 e 10; il decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, artt. 60 e 74. SENTITE le parti presenti nella udienza pubblica del 23.6.2015; FATTO 1.Con ricorso depositato il 24.2.2015 (e successiva memoria esplicativa 12.6.2015) l'attore in epigrafe, ex Consigliere regionale della Regione Lombardia nella V legislatura e percettore, in tale veste, del c.d. assegno vitalizio dalla data di maturazione del diritto, censurava alcune comunicazioni di accreditamento del Consiglio regionale della Lombardia relative all'assegno vitalizio de quo, tutte riguardanti l'accreditamento di ratei mensili di detto assegno per il periodo novembre 2014-gennaio 2015 al netto della riduzione prevista dall'art. 3 della legge regionale 1 ottobre 2014, n. 25, pari al 7 per cento circa dell'importo mensile dell'assegno vitalizio del ricorrente, a partire dal mese di novembre 2014. In particolare l'attore chiedeva a questa Corte l'accertamento del suo diritto a ottenere, sul presupposto della declaratoria di incostituzionalità della citata disposizione di cui all'art. 3 della legge regionale 1 ottobre 2014, n. 25, e previa dichiarazione di illegittimità delle decurtazioni effettuate dal Consiglio regionale della Lombardia, l'integrale conservazione dell'assegno vitalizio in godimento, senza la riduzione prevista dal citato art. 3 della legge regionale n. 25 del 2014, nonché la restituzione di quanto già trattenuto dal Consiglio regionale della Lombardia in applicazione delle predette disposizioni, con gli accessori di legge, e con vittoria di spese, diritti e onorari. In particolare il ricorrente, dopo una accurata ricostruzione sulla storia e sulla natura (previdenziale, sostitutiva o integrativa di quella perduta in ragione dell'attività consiliare) dell'assegno vitalizio correlato al servizio onorario prestato, rimarcava come dopo l'abolizione dell'istituto dell'assegno vitalizio statuita, con decorrenza dalla X legislatura regionale in poi, dalla l.rg. 13.12.2011 n. 21, era intervenuta la legge 24.6.2013 n. 3, grazie alla quale, abolito l'assegno vitalizio, i consiglieri in carica non subiscono più le trattenute obbligatorie sul proprio trattamento economico a fini previdenziali e beneficiano di un immediato incremento dell'indennità mensile percepita, che possono liberamente scegliere se, come e in che misura accantonare per le esigenze di vita future. Inoltre, considerato che l'art. 3 della legge regionale n. 3/13 ha introdotto un cospicuo rimborso spese forfettario senza la necessità di alcun giustificativo di spesa, pari al 40% del trattamento economico mensile, ciascun singolo consigliere beneficia mensilmente, oltre all'indennità di carica pari a 6.327 Euro, di un ulteriore importo, non soggetto ad imposizione fiscale ex art. 52, comma 1, lettera b), del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, pari a 4.218 Euro, il quale appare sufficiente, per l'attore, non solo a ricoprire le spese per l'esercizio del mandato ma anche per accantonare significativi risparmi pro futuro Chiariva l'attore che, dopo tale scomparsa, dalla X legislatura in poi, dell'assegno de quo, la legge regionale lombarda n. 25 del 2014 era successivamente intervenuta su tre aspetti della disciplina dell'assegno vitalizio per i consiglieri regionali cessati che ne avessero acquisito il diritto: (a)in primo luogo, l'art. 2 aveva previsto l'innalzamento dell'età anagrafica necessaria per maturare il diritto all'erogazione dell'assegno vitalizio, equiparandola a quella prevista dalla normativa nazionale per i lavoratori e le lavoratrici del pubblico impiego; (b)in secondo luogo, l'art. 3, in questa sede rilevante, aveva introdotto per il periodo 1 novembre 2014-31 dicembre 2018 una riduzione degli importi mensili degli assegni vitalizi nella misura variabile dal 5 per cento al 16 per cento, a seconda dell'importo mensile del vitalizio (v. tabella allegata alla legge n. 25/14), a carico dei titolari di assegno vitalizio diretto con reddito complessivo annuo superiore a 18.000 Euro; riduzione estesa a norma dell'art. 4 anche ai titolari di assegno vitalizio indiretto con reddito complessivo annuo superiore a 24.000 Euro; (c)in terzo luogo, l'art. 5 aveva previsto la sospensione dell'assegno vitalizio per il periodo nel quale il beneficiario ricopra incarichi remunerati presso enti o società della pubblica amministrazione, fatta salva la rinuncia alla remunerazione derivante dall'incarico. L'art. 5 della legge n. 25/14 aveva inoltre precisato che i risparmi derivanti da suddetti interventi costituiscono "economia di spesa del bilancio del Consiglio regionale per l'esercizio finanziario 2014 e per gli esercizi successivi" e non vanno, quindi, versati all'entrata del bilancio dello Stato, com'è invece previsto dal comma 487 dell'art. 1 della 27 dicembre 2013, n. 147 ("legge di stabilità 2014") per le misure di contenimento della spesa relative ai vitalizi in favore di coloro che hanno ricoperto funzioni pubbliche elettive in organi costituzionali o delle regioni. L'attore, con vasti ed accurati argomenti sistematici e giurisprudenziali prospettava poi, quale presupposto logico-giuridico dell'accoglimento della propria domanda di accertamento, la non manifesta infondatezza della prospettata incostituzionalità incostituzionalità della citata disposizione di cui all'art. 3 della legge regionale 1 ottobre 2014, n. 25 sotto quattro profili: a)Violazione degli articoli 2, 3, 38 e 53 della Costituzione. Violazione dei principi costituzionali di eguaglianza e ragionevolezza correlati a quello di capacità contributiva, in quanto l'art. 3 della legge regionale n. 25/14 si porrebbe in contrasto con gli articoli 2, 3, 38 e 53 della Costituzione, in quanto tale prelievo - di carattere sostanzialmente tributario e comportante, irragionevolmente, una riduzione di notevole entità delle entrate dei soggetti incisi a fronte di un irrisorio risparmio di spesa per il bilancio regionale - risulterebbe operato in violazione dei principi di eguaglianza e ragionevolezza, correlati a quello di capacità contributiva e si tradurrebbe in un prelievo forzoso, in alcun modo assimilabile a una forma di contribuzione previdenziale, imposto a una limitata platea di soggetti, che si trovano costretti a rinunciare per più di 4 anni (novembre 2014-dicembre 2018), ad una quota del loro assegno vitalizio. Tale prelievo, di natura sostanzialmente tributaria, presenterebbe gli stessi vizi di analoghi istituti già censurati dalla Corte costituzionale, quale il "contributo di perequazione" di cui all'art. 18, comma 22-bis, del d.l. n. 98/11 esaminato dal giudice delle leggi nella sentenza del 5 giugno 2013, n. 116, e darebbe luogo a "un intervento impositivo irragionevole e discriminatorio a danno di una sola categoria di cittadini" in quanto: - a parità di capacità contributiva, i consiglieri in carica e i dipendenti della Regione Lombardia non sono sottoposti ad alcuna trattenuta obbligatoria; - va a colpire delle prestazioni previdenziali già in godimento, precipuamente finalizzate a sostituire o integrare i redditi di vecchiaia, in tutto o in parte, perduti in conseguenza della pregressa attività consiliare e, quindi, tutelate dall'art. 38 della Costituzione - comporta una riduzione di notevole entità delle entrate dei soggetti incisi a fronte di un irrisorio risparmio di spesa per il bilancio regionale. b) Violazione degli articoli 3, 97 e 117, comma 1, della Costituzione. Violazione del principio di certezza del diritto e di tutela dell'affidamento nella sicurezza giuridica, nonché nella garanzia di diritti acquisiti correlati a prestazioni tutelate ai sensi dell'art. 38 della Costituzione. Violazione del principio di ragionevolezza e proporzionalità della legge, introducendo la l.rg. n. 25/2014 una modifica nettamente peggiorativa di diritti definitivamente acquisiti, operata senza alcun reale e comparabile beneficio a favore delle finanze regionali. L'attore richiamava l'indirizzo della Consulta che aveva censurata ogni "modificazione legislativa che peggiorasse, senza una inderogabile esigenza, in misura notevole e in maniera definitiva, un trattamento pensionistico in precedenza spettante, con la conseguente irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente nutrite frustrando così anche l'affidamento del cittadino nella sicurezza pubblica che costituisce elemento fondamentale ed indispensabile dello Stato di diritto" (C. cost., 14 luglio 1988, n. 822). Richiamava altresì l'indirizzo della Corte secondo cui i sacrifici imposti ai beneficiari del trattamento di quiescenza erano legittimi se rispondenti ad una " inderogabile esigenza di contenimento della spesa pubblica " (cfr. sentenze 10 giugno 2010, n. 240; 24 ottobre 1996, n. 361) e un nesso di proporzionalità e di necessaria connessione logica tra il sacrificio richiesto agli interessati e l'entità del beneficio per il bilancio: nella specie tali requisiti difetterebbero, in quanto la legge n. 25/14 non era stata introdotta per far fronte a una situazione di dissesto finanziario dei conti della Regione Lombardia ("inderogabile esigenza di bilancio" suddetta) né per far fronte a inderogabili obiettivi di riduzione dei costi della politica, ma piuttosto per finalità mediatiche e di impatto sull'opinione pubblica. c) Violazione dell'art. 42, comma 3, e 97, comma 1, della Costituzione. Violazione dell'art. 117, comma 1, della Costituzione in riferimento all'articolo 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, configurando la normativa regionale del 2014 un intervento ablatorio legislativo, così violando il principio di espropriabilità della proprietà privata (il bene fungibile denaro) solo per ragioni d'interesse generale e nel rispetto di norme di legge e di regole di buon andamento dell'azione amministrativa, nonché del principio di imparzialità della medesima azione amministrativa. d) Violazione degli art. 117, commi 2, lettera o) e comma 3, della Costituzione, essendo la Regione del tutto priva di competenza alla introduzione di norme che incidono sul trattamento previdenziale già in godimento da parte dei componenti del Consiglio regionale cessati dalla carica, riservando l'art. 117, comma 2, lettera o) allo Stato la legislazione esclusiva nella materia della "previdenza social". Cessato il mandato consiliare, il rapporto del beneficiario dell'assegno vitalizio con la Regione perde ogni attinenza con la materia dell'organizzazione regionale per essere, invece, attratto nell'ambito della materia previdenziale. Né la legge n. 25/14 rientrerebbe nella competenza concorrente delle Regioni nella materia della "previdenza complementare e integrativa", i cui principi fondamentali sono stati fissati dallo Stato con il D.Lgs. 5 dicembre 2005, n. 252. La difesa attorea concludeva chiedendo, previa rimessione alla Consulta della questione di legittimità dell'art. 3 della legge regionale 1 ottobre 2014, n. 25 e conseguente declaratoria di incostituzionalità, l'accertamento del diritto del ricorrente ad ottenere la conservazione dell'assegno vitalizio in godimento, senza la riduzione di cui all'art. 3 della legge regionale 1 ottobre 2014, n. 25, con condannare dell'Amministrazione resistente a corrispondere gli importi mensili non versati a partire dal mese di novembre 2014 in applicazione della predetta disposizione, con gli accessori di legge. 2. Si costituiva il Consiglio regionale della Lombardia, chiarendo preliminarmente sul piano normativo che: a) la l.r. n. 12/1995 qualificava espressamente l'assegno vitalizio quale componente del trattamento indennitario dei consiglieri regionali, prevedendo (art. 1) che "il trattamento indennitario dei consiglieri regionali oltre alle indennità previste dalla legislazione regionale in vigore, è comprensivo dell'assegno vitalizio e dell'indennità di fine mandato"; b) anche a seguito dell'intervento del legislatore statale con il d.l. 138/201, la l.r. n. 21/2011, abrogando la l.r. n. 12/1995, aveva previsto una rimodulazione delle voci del trattamento indennitario dei consiglieri con l'abolizione degli istituti dell'assegno vitalizio e dell'indennità di fine mandato (art. 2). Il comma 3 del predetto art. 2 aveva fatto però salvi gli assegni erogati "Per i consiglieri regionali in carica nella IX legislatura o cessati dal mandato entro la IX legislatura (come il ricorrente) (per i quali) si applicano le disposizioni di cui alle leggi regionali vigenti in materia"; c) il Consiglio regionale, in attuazione del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, aveva approvato la l.r. 24 giugno 2013, n. 3, denominata proprio "Riduzione dei costi della politica in attuazione del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174", la quale ribadiva l'abolizione dell'assegno vitalizio, oltre a prevedere l'esclusione dall'erogazione dell'assegno vitalizio a seguito di condanna definitiva per delitti contro la pubblica amministrazione (art. 8); d) la l.r. n. 25 del 1 ottobre 2014, nel perseguire l'obiettivo di un'"ulteriore riduzione dei costi della politica, del contenimento della spesa pubblica e della tutela delle finanze regionali" (art. 1) aveva inciso sull'assegno vitalizio spettante ai consiglieri regionali cessati dal mandato, prevedendo all'art. 3 una riduzione temporanea - fino al 31 dicembre 2018- dell'assegno vitalizio da applicarsi con criteri di progressività sugli assegni vitalizi dei soggetti con un reddito complessivo annuo ai fini IRPEF superiore a euro 18.000,00, secondo la tabella allegata alla legge. Ciò premesso, la difesa del Consiglio eccepiva preliminarmente il difetto di giurisdizione del giudice adito, in quanto il ricorso atterrebbe alla sospensione dell'erogazione di un trattamento economico non avente , sulla scorta di giurisprudenza già espressasi sul punto, natura pensionistica, con conseguente devoluzione della controversia al giudice ordinario, quale giudice del diritto soggettivo in questa sede azionato a fronte della assenza di discrezionalità della P.A. nella deliberata riduzione dell'importo del vitalizio. Nel merito, la resistente eccepiva la manifesta infondatezza delle eccezioni di costituzionalità sollevate con conseguente rigetto della domanda. 3. All'udienza del 23 giugno 2015 i difensori presenti riprendevano e sviluppavano i rispettivi argomenti. Quindi la causa veniva decisa come da dispositivo letto in udienza. DIRITTO 1. La questione al vaglio del giudicante attiene all'accertamento del diritto del ricorrente ad ottenere la conservazione dell'assegno vitalizio in godimento, senza la riduzione di cui all'art. 3 della legge regionale 1 ottobre 2014, n. 25, previa rimessione alla Consulta della questione di legittimità dell'art. 3 della legge regionale 1 ottobre 2014, n. 25 che ha statuito tale decurtazione, oggetto di plurime ed eleganti censure da parte della accurata difesa attorea. 2. La questione va tuttavia doverosamente preceduta, come rettamente rimarcato dalla parimenti accurata difesa Regionale, dall'analisi della sussistenza o meno della giurisdizione di questa Corte dei Conti in materia di vitalizi ai Consiglieri Regionali, questione ben diversa da altre tematiche "patologiche" che hanno portato al vaglio della Sezione, ma in sede di distinta sede di giudizio di responsabilità, diverse condotte dannose per l'erario poste in essere da consiglieri Regionali (cfr. sul tema, tra le tante, C.conti, sez. Lombardia, 28.7.2014 n. 163). Difatti, quale giudice delle pensioni, questa Corte deve previamente vagliare se la pretesa attorea attenga o meno a questione previdenziale. Ritiene sul punto il giudicante di declinare la propria giurisdizione per i motivi infraprecisati. Va in primo luogo rimarcato che nessuna norma vigente attribuisce testualmente natura pensionistica all'assegno vitalizio oggetto di causa, né vige in materia previdenziale un principio di "assimilazione" del trattamento in esame a quello pensionistico in senso proprio solo per la presenza di talune affinità funzionali o strutturali tra trattamenti riconosciuti da lex specialis a funzionari onorari e pensioni erogate da lex generalis a pubblici dipendenti (versamenti contributivi, erogazione al raggiungimento di una certa età etc.), che potrebbe radicare la giurisdizione in capo a questa Corte, notoriamente attributaria per legge di giurisdizione solo sui trattamenti pensionistici in senso tecnico-giuridico, sia statali che di enti locali (da ultimo Cass., sez.un. , 8 giugno 2015 n. 11769). La giurisdizione della Corte dei conti in materia di controversie previdenziali dei soggetti in rapporto di pubblico impiego e sulle altre pensioni erogate dallo Stato si fonda infatti sull'art. 103, co. 2, cost., che attribuisce all'Istituto "la giurisdizione sulle materie di contabilità pubblica" nonché sulle "altre materie disciplinate dalla legge". La previsione legislativa è contenuta nell'art. 12 della l. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E; nell'art. 29 del r.d. 26 giugno 1933, n. 1024, nonché nell'art. 62 del r.d. 12 luglio 1934, n. 1214 (t.u. Corte dei conti), ed è da ricondurre, presumibilmente, ad un'originaria funzione di amministrazione attiva esercitata dalla Corte in tema di liquidazione delle pensioni pubbliche (disciplinata dalla l. 14 agosto 1862, n. 800 e soppressa con r.d. 13 agosto 1933, n. 703, mediante trasferimento alle Amministrazioni della relativa competenza). Detta competenza giurisdizionale non è venuta meno a seguito della contrattualizzazione del rapporto di pubblico impiego, che ha determinato la transizione al giudice ordinario, come giudice del lavoro, delle controversie relative al rapporto di lavoro della maggioranza dei lavoratori pubblici (art. 63, D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165), ferme restando le altre categorie di personale in regime di diritto pubblico devolute al TAR. La assenza di norma attributiva di natura pensionistica, la diversa natura dei percettori (funzionari onorari o pubblici dipendenti) e la diversità di natura, finalità (indennità di carica, non retributiva, goduta in relazione all'esercizio di un mandato pubblico) e di regime che distingue gli assegni vitalizi dalle pensioni ordinarie (si pensi solo al basilare distinguo afferente le condizioni estremamente più favorevoli per la maturazione e la misura del beneficio del vitalizio rispetto alla pensione) non consente, dunque, già per tale assorbente argomento testuale e sistematico, di radicare la giurisdizione in capo a questa Corte. Ma a ciò aggiungasi, con ben rimarcato dalla difesa della resistente parte pubblica, che la natura non previdenziale dell'assegno vitalizio è stata affermata sia dalla giurisprudenza costituzionale, sia dalla Corte di Cassazione. Con la sent.13 luglio 1994 n. 289 la Corte costituzionale, nel differenziare da un lato la posizione dei titolari di assegni vitalizi goduti in conseguenza della cessazione di determinate cariche e, dall'altro, quelle dei titolari di pensioni ordinarie derivanti da rapporti di impiego pubblico, osservava che "tra le due situazioni - nonostante la presenza di alcuni profili di affinità - non sussiste, infatti, una identità né di natura né di regime giuridico, dal momento che l'assegno vitalizio, a differenza della pensione ordinaria, viene a collegarsi ad una indennità di carica goduta in relazione all'esercizio di un mandato pubblico: indennità che, nei suoi presupposti e nelle sue finalità, ha sempre assunto, nella disciplina costituzionale e ordinaria, connotazioni distinte da quelle proprie della retribuzione connessa al rapporto di pubblico impiego". Va poi altresì rimarcato, quale evidente indice sintomatico della natura non previdenziale dell'assegno de quo, che lo stesso non viene erogato dall'INPS, notoriamente soggetto istituzionalmente preposto al pagamento di tutti i trattamenti pensionistici, ma dalla Regione stessa. Sui vitalizi goduti dagli ex consiglieri regionali (con riferimento alla l.r. 23/1995 Marche) ha avuto inoltre modo di pronunciarsi, oltre alla Consulta, anche la Corte di Cassazione, che, pur non esprimendosi sulla natura oggettivamente previdenziale o meno dell'istituto ("rimanendo irrilevante discettare se le caratteristiche oggettive del trattamento abbiano o meno natura previdenziale") ne riscontra la "diversità sostanziale e giuridica rispetto ad un trattamento previdenziale o pensionistico conseguente ad un rapporto di lavoro, pubblico o privato che sia" (Cass. civ. sez. trib. sent. 24/11/2010, n. 23793). L'orientamento espresso nella sentenza n. 23793/2010 trova ulteriore conferma in pronunce della Suprema Corte: la stessa sezione tributaria, con la sent. 20538/2010, esprimendosi sull'applicabilità ai vitalizi di una disposizione tributaria che trova presupposto applicativo nella natura previdenziale, così la escludeva: "le trattenute obbligatorie sull'indennità di carica dei consiglieri regionali, in base all'art. 3, comma 1, l. reg. Marche, 13 marzo 1995, n. 23 devono essere assoggettate a tassazione, non potendo ad esse applicarsi la causa di esclusione di cui all'art. 48, comma 2, lett. a) del dPR 917/1986 (relativa ai "contributi previdenziali e assistenziali") (...) in quanto ad esse non può essere riconosciuta natura previdenziale , essendo finalizzate all'erogazione di un vitalizio che si differenzia dalle prestazioni di natura pensionistica, come risulta sia dal tenore letterale della disposizione, sia dai principi espressi dalla Corte costituzionale nella pronuncia n. 289/1994" (Cass., Sez. Trib., sent. 1.10.2010, n. 20538). Successivamente, decidendo in materia di applicabilità dell'art. 9 della legge n. 898/1970, la I sezione civile della Cassazione ha confermato (riferendosi ai vitalizi dei parlamentari) che "L'assegno vitalizio spettante ai parlamentari cessati dal mandato presenta caratteri non riconducibili ad un trattamento pensionistico" (Cass. Civ. Sez. I, sent. 20.6.2012, n. 10177). Non rinvenendosi decisioni in senso contrario, può dunque ritenersi pacifico l'orientamento della Cassazione civile che, conformandosi alla sentenza della Corte cost. 289/1994, esclude la natura pensionistica dell'assegno vitalizio. La stessa Corte dei conti, in sede di controllo, ha affermato (v. Relazione sul rendiconto generale della Regione Friuli Venezia Giulia per l'esercizio finanziario 2013 allegata alla deliberazione FVG/118/2014/PARI; v. doc. 3 difesa Consiglio Regionale Lombardia): "Al riguardo va osservato anche che i vitalizi in essere, pur presentando aspetti simili a quelli del trattamento di quiescenza, quali la reversibilità e l'adeguamento automatico, oltre a condizioni più favorevoli per la maturazione e la misura del beneficio, non hanno la natura ed il fondamento giuridico delle pensioni ordinarie. In tal senso si sono infatti pronunciate sia la Corte costituzionale (sentenza n. 289 del 13/7/1994) che la Corte di Cassazione (sezione tributaria, sentenza n. 20538 del 1/10/2010, richiamata, da ultimo dalla sentenza Cass. Civile n. 10177 del 20/6/2012)" (pag. 771 della Relazione). Dalla non riconducibilità dell'istituto alla materia pensionistica pubblica discende l'estraneità alle fattispecie configurate dall'art. 5 della l. 205/2000 e il difetto di giurisdizione di questa Corte (nonostante isolate pronunce in senso avverso, non condivise da questo giudicante, tendenti a radicare nella Corte dei Conti il giudice in materia: Cfr. C. Conti, sez. Abruzzo, 12.10.2012 n. 372; Tar Trentino, 4.12.2014 n. 477; Tar Piemonte, sez. II, 16.4.2015 n. 612). Tale approdo ermeneutico non contrasta con la statuita e pacifica sussistenza della giurisdizione contabile in sede di giudizi di responsabilità amministrativo-contabile nei confronti di Consiglieri regionali per utilizzo non istituzionale dei finanziamenti pubblici percepiti dai Gruppi regionali (cfr. Corte Conti, sez. Lombardia n. 163 del 2014 cit.): difatti quest'ultima si fonda notoriamente sulla natura pubblica del soggetto danneggiato (Regione) e sulla destinazione pubblicistica del finanziamento al Gruppo, mentre ai fini del radicamento della ben distinta giurisdizione pensionistica di questa Corte rileva non già la natura giuridica del soggetto erogante (Regione ente pubblico), ma la natura giuridica della erogazione percepita dal beneficiario (tra l'altro funzionario onorario e non pubblico dipendente) e la finalità ontologica della stessa, ben potendo un ente, quale la Regione, erogare trattamenti economici non aventi natura pensionistica quale è una indennità di carica, non retributiva, goduta in relazione all'esercizio di un mandato pubblico. Se quest'ultima è un vitalizio di natura non previdenziale, non sussiste la giurisdizione contabile pensionistica. Nell'individuare il giudice competente in materia, in assenza di un referente normativo testualmente attributivo della giurisdizione, ritiene il giudicante di attingere ai principi generali sul riparto di giurisdizione fondato sulla distinzione tra diritti soggettivi ed interessi legittimi: l'assenza di potere discrezionale dell'amministrazione nella determinazione della misura dell'erogazione o della trattenuta oggetto di lite comporta che la posizione vantata dal ricorrente debba configurarsi come diritto soggettivo, con conseguente giurisdizione del giudice ordinario non essendo il contenzioso in esame ricompreso in nessuno dei casi di giurisdizione esclusiva del G.A. di cui all'art. 133 d.lg. 104 del 2010 (si vedano, in merito alla giurisdizione del giudice ordinario in materia di vitalizio: TAR Abruzzo, Sez. L'Aquila, 22.12.2011 n. 695; id., sez. Abruzzo sent. 716/2011; TAR Campania, Sez. Napoli, sent. 4.12.2012 n. 4909 e n. 4911 e, da ultimo, seppur in sede cautelare ed implicitamente Tar Lazio, sez.I-ter, 15.5.2015 n. 2072/ord. e n. 7139/ord.). La complessità della questione giustifica la compensazione delle spese di lite. P.Q.M. la Corte dei Conti - Sezione Giurisdizionale Lombardia - in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, dichiara il proprio difetto di giurisdizione e indica quale giudice competente il giudice ordinario; compensa le spese. Così deciso in Milano il 23 giugno 2015. Depositata in Segreteria il 24 giugno 2015.