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MUSICOTERAPIA: DEFINIZIONE, CONTENUTI E APPLICAZIONE IN AMBITO PSICOGERIATRICO Alfredo Raglio Musicoterapeuta, formatore e ricercatore in ambito musicoterapeutico – Cremona Responsabile Servizio Musicoterapia Fondazione Sospiro (CR) [email protected] [email protected] www.alfredoraglio.it Il termine “musicoterapia” è ampiamente utilizzato nonostante in molti casi non siano chiari i contenuti dell’intervento e i suoi presupposti. Spesso la musicoterapia è assimilata a interventi con la musica che si realizzano in un ambito patologico o in un contesto medico. In altri casi non viene chiarito il significato della parola “terapia” in associazione all’utilizzo del mediatore musicale. Spesso non è chiaro quale sia l’utilizzo dell’elemento sonoro e quale sia la specificità terapeutica dello stesso, cioè quale sia la differenza tra un utilizzo generico del suono e della musica e uno specifico e mirato impiego della stessa con finalità terapeutiche. Se in molti casi partire dalla definizione di un ambito o di una disciplina può sembrare banale o pleonastico, per ciò che concerne la musicoterapia non lo è affatto. E’ importante infatti definire l’oggetto del nostro interesse e riuscire a distinguere la disciplina da altre forme di utilizzo della musica, quali ad esempio l’animazione musicale, la pedagogia musicale o l’ascolto di musica tout court. Possiamo quindi di considerare la definizione di musicoterapia proposta nell’ambito dell’VIII Congresso Mondiale di Musicoterapia (World Federation of Music Therapy, Amburgo, 1996): “La musicoterapia è l’uso della musica e/o dei suoi elementi (suono, ritmo, melodia e armonia) per opera di un musicoterapeuta qualificato, in rapporto individuale o di gruppo, all’interno di un processo definito per facilitare e promuovere la comunicazione, le relazioni, l’apprendimento, la mobilizzazione, l’espressione, la organizzazione e altri obiettivi terapeutici degni di rilievo nella prospettiva di assolvere i bisogni fisici, emotivi, mentali, sociali e cognitivi. La musicoterapia si pone come scopi di sviluppare potenziali e/o riabilitare funzioni dell’individuo in modo che egli possa ottenere una migliore integrazione sul piano intrapersonale e/o interpersonale e, conseguentemente, una migliore qualità della vita attraverso la prevenzione, la riabilitazione o la terapia”. Ciò induce a considerare alcuni imprescindibili dati, caratteristici della musicoterapia, che possiamo sintetizzare nei seguenti punti: 1. come ogni intervento terapeutico di natura relazionale (ad esempio gli interventi psicologici) la musicoterapia necessità di punti di riferimento teorico-­‐applicativi, cioè di una teoria che legittimi la sua applicazione in rapporto al mezzo utilizzato (l’elemento sonoro-­‐
musicale) e che integri la prassi terapeutica, basata su tecniche specifiche, essenzialmente la tecnica attivo-­‐improvvisativa – fare musica con il paziente – e quella ricettiva – ascoltare musica con il paziente). Solitamente nell’ambito musicoterapeutico si ritiene che l’ascolto musicale non sia di per sé terapeutico ma debba essere accompagnato da una componente verbale che si proponga di elaborare i vissuti emotivi emersi durante l’ascolto. In questo caso, ad esempio, la musicoterapia non ha ancora chiarito quanto l’aspetto terapeutico sia in rapporto al dato musicale o alla componente elaborativa di tipo verbale. Rispetto alla musicoterapia attivo-­‐improvvisativa la connotazione terapeutica, che prescinde dal modello teorico-­‐applicativo, fa riferimento a una chiara interazione/relazione che può divenire terapeutica in quanto promuove l’ascolto empatico e l’espressione/regolazione della componente emotiva consentendo, con adeguate strategie e comportamenti, di accogliere e/o modificare le dinamiche intra e interpersonali. In particolare la specificità dell’elemento sonoro-­‐musicale viene posta in relazione alla comunicazione non verbale e alle sue potenzialità relazionali, soprattutto in alcuni ambiti psicopatologici in cui la possibilità di espressione verbale è assente o ha perso la sua valenza semantica e simbolico/rappresentativa (si pensi ad esempio all’ambito della grave disabilità intellettiva, di alcune patologie psichiatriche o a quello delle demenze senili). Proprio in questi casi il suono e la comunicazione non verbale in generale recuperano una dimensione comunicativa arcaica che potenzialmente può ripristinare e riattivare l’espressione e la relazione con il mondo esterno, favorendo processi empatici e riparatori a fronte di gravi patologie, deficit o disarmonie. 2. La musicoterapia implica la necessità di un setting terapeutico, cioè una cornice e un insieme di regole alla base dell’intervento, che rendano possibile nel tempo l’evoluzione del processo terapeutico. E’ quindi necessario che tale processo abbia inizio seguendo criteri di invio e di assessment musicoterapeutico (per verificare l’idoneità specifica del paziente al trattamento) a cui fa seguito la presa in carico. Importante è la definizione di obiettivi terapeutici e di conseguenti strategie di intervento e di verifica, attraverso la valutazione del processo e degli esiti determinati dal trattamento. Come in ogni prassi terapeutica il raggiungimento (anche parziale) degli obiettivi prestabiliti determina la conclusione del trattamento, data anche da segnali di staticità e/o arresto dei cambiamenti osservati nel paziente. 3. Gli obiettivi dell’intervento musicoterapeutico sono legati alla riduzione dei sintomi e/o delle complicanze a essi relativi. L’azione della musicoterapia si riferisce a cambiamenti intrapsichici e interpersonali oltre che comportamentali. Tali esiti dovrebbero tendenzialmente divenire stabili e duraturi nel tempo. L’intervento musicoterapeutico dovrebbe quindi produrre non effetti di momentaneo benessere (quanto per esempio accade durante e immediatamente dopo l’ascolto di un brano gradito) ma cambiamenti che si protraggano nel tempo e che tendano a stabilizzarsi. Naturalmente il raggiungimento di tali obiettivi è in relazione al livello di compromissione dei destinatari dell’intervento. A tale proposito credo che la musicoterapia debba essere considerata sullo stesso piano di altri interventi terapeutico-­‐riabilitativi, cioè con specifiche caratteristiche e potenzialità ma non come intervento risolutivo o finalizzato alla guarigione. 4. Infine l’intervento musicoterapeutico implica la presenza di un professionista che abbia specifiche competenze cliniche, relazionali e musicali. Tali competenze caratterizzano i programmi di formazione in musicoterapia, in Europa e nei Paesi extraeuropei prevalentemente universitari e post universitari, in Italia ancora privati eccetto in qualche raro contesto. Credo che le quattro condizioni sopra descritte definiscano e connotino l’intervento musicoterapeutico distinguendolo da un generico e aspecifico intervento musicale rivolto a una patologia. Quanto affermato definisce anche una chiara distinzione tra la musicoterapia e l’animazione musicale, il laboratorio musicale o le proposte di ascolto musicale che in molti casi costituiscono attività significative nei differenti contesti di cura, pur non presentando la specifica connotazione terapeutica descritta precedentemente. Le distinzioni tra la musicoterapia e le sopra menzionate attività è quindi riconducibile ai differenti setting, contenuti e finalità che caratterizzano gli interventi. Ritengo che come ogni intervento terapeutico anche quello musicoterapeutico debba riferirsi a una prassi codificata e applicabile a ogni trattamento. Al proposito l’intervento può essere contestualizzato nelle seguenti fasi applicative: 1. Invio 2. Assessment musicoterapeutico (finalizzato all’inclusione/esclusione dal trattamento) 3. Definizione degli obiettivi terapeutici 4. Contratto terapeutico 5. Trattamento 6. Verifica 7. Conclusione dell’intervento Invio La musicoterapia si applica ormai in numerosi ambiti, ad esempio in quello psichiatrico, neuropsichiatrico, neurologico, geriatrico, ma anche nell’ ambito oncologico e delle cure palliative e in ambito preventivo, quindi in assenza di patologie conclamate (disagio psicologico, gravidanza, percorsi di crescita personale, etc). Se si volesse individuare una potenziale utenza in senso trasversale si potrebbe indicativamente affermare che l’intervento musicoterapeutico è particolarmente adeguato nei casi di compromissioni o deficit di natura emotivo-­‐affettivo-­‐relazionale di origine organica e o psicogena. L’intervento è applicabile nell’età evolutiva, nell’età adulta ma anche nell’età senile. Pare importante sottolineare che l’intervento musicoterapeutico adeguatamente proposto e condotto da un professionista formato si pone come un trattamento terapeutico non invasivo e, come tale, non presenta specifiche controindicazioni. L’invio avviene solitamente da parte di un referente clinico o dell’équipe multiprofessionale. Assessment musicoterapeutico Si tratta, dopo l’invio di un paziente, di valutare la sua reale disponibilità a sottoporsi all’intervento musicoterapeutico e, al tempo stesso, di accertare la sua idoneità al trattamento. Ciò avviene attraverso un numero limitato di sedute, che può variare a seconda della compromissione psicopatologica e della complessità dei casi. In queste sedute, nello specifico, vengono valutati la capacità di stare nel setting musicoterapeutico, la sensibilità verso l’elemento sonoro-­‐musicale, la capacità (anche minima) di modulare i comportamenti e la propria emotività attraverso l’utilizzo del mediatore sonoro-­‐musicale e la disponibilità all’interazione non verbale/sonoro musicale. Questi elementi sono considerati fattori specifici e imprescindibili per il potenziale esito positivo dell’intervento. Definizione degli obiettivi terapeutici Questa fase costituisce una parte fondamentale del lavoro e implica un’integrazione di competenze sul piano clinico e musicoterapeutico. Si tratti infatti di individuare quali possono essere le aree di funzionamento su cui porre l’attenzione, quindi le parti della persona ancora parzialmente sane. Frequentemente i diversi obiettivi musicoterapeutici vengono posti in relazione ad aspettative che riguardano l’ambito del funzionamento psichico, cioè quello dei sintomi e dei comportamenti a esso correlati. In altri casi si tratta di abilitare o a riabilitare funzioni dell’individuo. In assenza di patologie gli obiettivi sono in riferimento a percorsi di conoscenza e crescita personale nonchè allo sviluppo espressivo, creativo ed emotivo dell’individuo. In questo caso l’intervento assume una valenza preventiva. Gli obiettivi vengono fissati dopo la fase osservativa e ricondotti specificamente al caso trattato, ma anche ridefiniti e modulati in itinere. Obiettivi e relative strategie riguardano contestualmente l’ambito strettamente musicoterapeutico e quello clinico. Il contratto terapeutico Il contratto terapeutico consiste, là dove è possibile, in un colloquio con il paziente al di fuori del setting musicoterapeutico, in cui vengono definite le modalità con cui avverrà il trattamento (luogo, tempi, durata, contenuti dell’intervento, etc.), le finalità e le motivazioni dello stesso. Nel caso in cui non sia possibile un contatto verbale le prime sedute (che coincidono con l’assessment musicoterapeutico) costituiscono implicitamente un modo per far comprendere al paziente la natura del setting e quale significato possa assumere quest’ultimo nella relazione terapeutica. Una particolare attenzione dovrà quindi essere posta alle modalità di adesione mostrate dal paziente e alla sua accettazione o non accettazione della proposta. E’ evidente che il contratto terapeutico va esteso e condiviso con le istituzioni e la famiglia a seconda del contesto e delle caratteristiche del paziente. Dopo aver ottenuto il consenso definitivo inizia il trattamento musicoterapeutico. Trattamento Le sedute si svolgono in una stanza che preferibilmente dovrebbe avere i seguenti requisiti di base: -
dimensioni equilibrate -
isolamento acustico -
assenza di eventuali stimolazioni potenzialmente interferenti. Per quanto riguarda la durata delle sedute si stabilisce un limite massimo che generalmente è di circa 30-­‐40 minuti per le sedute individuali e di circa 40-­‐50 minuti per le sedute di gruppo. La cadenza degli incontri è preferibilmente bisettimanale. L’intervento può essere circoscritto a un numero definito di sedute oppure la sua conclusione viene definita in itinere quando si valuta che gli obiettivi terapeutici sono stati raggiunti in parte o totalmente, cogliendo l’ impossibilità di ulteriori evoluzioni nel trattamento musicoterapeutico. Le tecniche. a) La musicoterapia improvvisativa. E’ quella tecnica non verbale che implica l’interazione attraverso l’impiego di strumenti e/o di materiale sonoro-­‐musicale. Il setting strumentale è strutturato, calibrato sulla base dell’identità sonoro-­‐musicale dei pazienti e di un’attenta osservazione e indagine psicosonora. L’improvvisazione sonoro-­‐musicale viene utilizzata con il fine di creare un’interazione con il paziente e di sviluppare processi comunicativo-­‐relazionali. La restituzione, da parte del musicoterapeuta, sul piano emotivo e sonoro-­‐musicale, si modula in rapporto al procedere e allo svilupparsi della relazione, divenendo spesso più articolata e complessa. Le modalità di conduzione della seduta rimandano alla possibilità di contenere o stimolare il paziente cercando di ampliare le sue potenzialità espressive e comunicativo-­‐relazionali, sollecitando cambiamenti sul piano comportamentale e intrapsichico. Si tratta sostanzialmente di agire, attraverso l’interazione sonoro-­‐musicale, sui processi di armonizzazione/integrazione riferibili agli aspetti intra e interpersonali. La scelta dell’approccio musicoterapeutico implicherà la definizione dell’atteggiamento relazionale del musicoterapeuta e delle sue strategie di intervento. b) La musicoterapia recettiva. Un paziente per accedere a un trattamento di musicoterapia recettiva deve disporre di una sufficiente padronanza della comunicazione verbale e di una seppur minima capacità introspettiva ed elaborativa (riferite alla capacità di accogliere uno stimolo e di restituirlo modificato); il paziente inoltre deve possedere una funzione egoica che gli consenta, anche se in minima parte, di rispettare la cornice del trattamento, il setting; le sue strutture difensive non devono essere eccessivamente rigide e/o primitive. Ogni brano possiede un determinato “colore”, ogni musica esprime una determinata tonalità emotivo-­‐affettiva (più o meno definita, tratteggiata o ambigua). La musica può contenere al suo interno specifici rimandi extramusicali; questi possono avere motivazioni simboliche o più semplicemente possono essere dovuti a specifiche connotazioni di ordine socio-­‐culturale. In ogni caso sarà sempre il singolo fruitore a privilegiare un percorso piuttosto che l’altro e questo in relazione alla sua identità sonoro/musicale e alla sua biografia. Non ci si attende a priori e non si ricerca una specifica risposta (a una determinata musica non può sempre corrispondere una determinata risposta); sarà piuttosto il rapporto che ogni ascoltatore instaura con tale materiale a costituire oggetto di studio, in quanto elemento veramente qualificante le diverse risposte. La successione dei diversi brani proposti deve rispecchiare una struttura logica, un possibile percorso ideato dal musicoterapeuta. L’iniziale valutazione del paziente consente di evidenziare un “tema”, che può essere specificamente musicale e rimandare metaforicamente o direttamente alla realtà del paziente. Le musiche proposte, che tendono a riferirsi almeno inizialmente a tale “tema”, appartengono al repertorio del musicoterapeuta, ma sono anche in rapporto agli aspetti transferali e controtransferali presenti nella relazione. Le musiche possono essere proposte sia dal musicoterapeuta che dal paziente e acquisteranno, nel prosieguo del trattamento, una nuova valenza simbolica legata alla specificità della relazione musicoterapeuta/paziente nonché all’ evoluzione della storia di questa relazione. Il musicoterapeuta raccoglie le impressioni del paziente rispetto all’ascolto proposto e ne offre una restituzione verbale elaborata che porrà in relazione le considerazioni del paziente alla forma e alla struttura sonoro-­‐musicale. Nel trattamento si perseguono una finalità generale, cioè l’ampliamento, nei pazienti, della capacità di “ascolto” inteso sia in senso strettamente sonoro/musicale sia in senso metaforico (ascoltarsi, ascoltare, ascoltare l’altro da sé), ma anche obiettivi specifici, determinati dalle caratteristiche del paziente o del gruppo con cui si sta applicando la terapia. Come anticipato l’approccio recettivo presenta punti di contatto con l’intervento psicologico e conseguentemente con le competenze verbali ed interpretative del terapeuta. Non si tratta quindi di un intervento in cui semplicemente proporre ascolti musicali da cui derivare sensazioni o stati d’animo da rimandare al paziente. L’applicazione delle tecniche non può quindi prescindere da una rigorosa formazione relazionale e musicale del terapeuta. Le tecniche musicoterapeutiche possono essere applicate individualmente o in gruppo. Le sedute rivolte a singoli pazienti vengono privilegiate nei casi in cui il paziente presenti una notevole compromissione sul piano psicopatologico, tale da richiedere un rapporto individualizzato. In tale caso è anche necessario che la struttura psichica del paziente possa sostenere una relazione estremamente ravvicinata ed emotivamente intensa quale quella che si sviluppa nel rapporto esclusivo con il musicoterapeuta nel setting. Le sedute di gruppo si rivolgono invece a pazienti che hanno generalmente deficit di minore rilevanza o in assenza di patologie conclamate. In altri casi l’intervento di gruppo può essere proposto a pazienti che, per loro condizione patologica, non sono in grado di sostenere l’intensità di un rapporto individuale. In questi casi il gruppo attenua la relazione emotiva che caratterizza l’intervento musicoterapeutico e costituisce un importante filtro contenitivo che facilita il processo terapeutico. E’ importante rilevare che la relazione musicoterapeutica implica la presenza di piccoli gruppi di lavoro (3-­‐5 pazienti), affinché si possano sviluppare adeguate strategie osservative ed empatiche finalizzate al raggiungimento degli obiettivi terapeutici. Verifica Il momento di verifica del lavoro svolto è costituito dalla condivisione dei contenuti di Protocolli o Griglie di Osservazione (stesi al termine di ogni seduta) e di una valutazione periodica i cui elementi sono sintetizzabili in una Relazione o Profilo Musicoterapeutico. L’interesse primario è legato a cogliere quanto il quadro clinico del paziente si modifichi anche in rapporto al processo e ai cambiamenti in esso riscontrati. Il lavoro d'équipe arricchisce l'osservazione, contribuisce a renderla più obiettiva e fa in modo che il musicoterapeuta sia supportato nel lavoro e facilitato nella fase rielaborativa. Contemporaneamente a ciò i contenuti dei Protocolli o delle Griglie di Osservazione si possono integrare nel progetto terapeutico-­‐riabilitativo globale, rendendo l'intervento musicoterapeutico meno sterile e isolato. Il momento della verifica costituisce un’importante occasione di scambio e confronto reciproco in cui spesso emergono considerazioni inaspettate sul paziente che esercitano un importante ruolo di rilancio del progetto terapeutico-­‐riabilitativo. Spesso le considerazioni che emergono dal trattamento musicoterapeutico forniscono elementi di riflessione e considerazione che divengono spunti per nuovi e più mirati interventi. Ciò incide positivamente anche sulla motivazione degli operatori coinvolti nella presa in carico globale del paziente. A ciò va aggiunto che proprio dalla continuità che si viene a creare tra il setting musicoterapeutico e l’ambiente esterno (istituzionale o non) e dalla sinergia degli interventi, da quello assistenziale a quelli con valenza terapeutico-­‐riabilitativa, dipende l’esito positivo di qualsiasi cura. Se la musicoterapia costituisce un osservatorio privilegiato del paziente, le osservazioni dei caregivers costituiscono un importante e arricchente punto di vista nell’approccio e nella verifica dell’intervento musicoterapeutico. Conclusione del trattamento La conclusione del trattamento viene messa in evidenza da alcuni fattori tra cui la stabilizzazione dei cambiamenti (essenzialmente sul piano comunicativo-­‐relazionale, comportamentale e della riduzione dei sintomi) riscontrabile anche esternamente al setting musicoterapeutico o da possibili situazioni di disinvestimento nelle sedute. Queste situazioni implicano un minore coinvolgimento attentivo e relazionale, l’abbreviarsi della durata della seduta e, contestualmente, una caduta di interesse verso il setting musicoterapeutico. E’ importante accertare che questi eventi non siano l’espressione, in itinere, di una crisi della relazione musicoterapeutica. Ciò quindi richiede un’attenta autoanalisi da parte del musicoterapeuta e, auspicabilmente, il supporto dell’équipe multidisciplinare. Questi sono a mio modo di vedere gli elementi che definiscono una buona pratica musicoterapeutica e che garantiscono una corretta impostazione dell’intervento. La musicoterapia come ogni disciplina complessa, di recente nascita e in grande evoluzione, necessita di “prove”, “dimostrazioni” o, utilizzando termini più attuali, di accrescimenti scientifici e approfondimenti che ne comprovino l’importanza e l’efficacia. Le potenzialità terapeutiche della relazione sonoro-­‐musicale riscontrabili empiricamente inducono a porsi l’obiettivo/problema di codificare e comunicare con modalità scientificamente adeguate i contenuti e gli esiti dell’intervento musicoterapeutico. Da un lato quindi la musicoterapia è sottoposta alla necessità sopra menzionata di dimostrare e quantificare i risultati e questo non solo per appagare un certo rigore scientifico, ma anche per il bisogno, sul piano istituzionale, di legittimare la pratica della disciplina. Dall’altro la musicoterapia (costituita prevalentemente da eventi sonoro-­‐musicali e relazionali) si colloca a pieno titolo nel “paradigma della complessità”, caratterizzato da aspetti di discontinuità, non linearità e aleatorietà, richiedendo, quindi, un approccio olistico, in un’ottica anti-­‐riduzionistica. Sul piano culturale occorre pensare alla musicoterapia non come a una disciplina fumosa e sostanzialmente aliena da qualsiasi presupposto di scientificità, bensì come a una disciplina in fieri, che sta cercando di connettere i dati empirici (applicazioni e risultati) con principi scientifici di varia natura (psicopatologica, psicoterapica, neurofisiologica, etc.). Sarebbe un errore ritenere la ricerca musicoterapeutica qualcosa di avulso dalla pratica clinica. La ricerca, infatti, dovrebbe porsi come obiettivi l’organizzazione e la strutturazione scientifica delle riflessioni che riguardano il processo e gli esiti del trattamento, pervenendo alla produzione di dati e alla loro adeguata divulgazione. Ciò necessita di sinergie culturali, istituzionali e professionali affinchè si creino tutte le premesse che rendono possibile la sua attuazione. I database scientifici (cito per tutti PubMed e PsychINFO, consultabili nel web) danno la possibilità di accedere alle fonti di informazione più importanti rispetto a tutti gli interventi collocabili nell’ambito socio-­‐sanitario, musicoterapia compresa. La numerosità e il rigore degli studi riportati costituiscono un importante e significativo punto di partenza verso un approccio scientifico alla musicoterapia volto ad avvalorare quanto si riscontra empiricamente nella pratica clinica. Musicoterapia in ambito psicogeriatrico Quanto sopra esposto definisce la musicoterapia da un punto di vista teorico-­‐applicativo e può riferirsi anche al contesto psicogeriatrico. In questa parte dello scritto ci si soffermerà maggiormente sulla peculiarità dell’intervento in questo specifico ambito. Credo che Manarolo (2001) inquadri adeguatamente il contesto generale dell’applicazione della musicoterapia nell’anziano: “…Il paziente anziano sollecita l’azione del prendersi cura e dell’accudire… Curare è condividere un dolore, un disagio, un limite… Alla base di ogni nostro intervento più o meno sofisticato, più o meno tecnico, dobbiamo porre allora una capacità di comunione, la capacità di incontrare nell’altro una persona a cui e con cui ricostruire una progettualità (è questo il motore del nostro lavoro, senza questa premessa rischiamo di costruire artifizi teorici e metodologici privi di una reale potenzialità “curativa”); questa attitudine… si fa particolarmente urgente in quanto incontriamo soggetti che tragicamente hanno perso o stanno perdendo, nell’evolversi della malattia, la loro individualità, soggetti che spesso presentano il riemergere di comportamenti arcaici e che nei casi più gravi conservano la loro “specificità”, il loro essere unici, solo nella loro storia e nel corpo, nelle tracce che si sono sedimentate su di esso. Il nostro lavoro in questi casi si fa complesso e temerario proprio perché è nostra aspirazione, in quanto professionisti dell’espressione e della relazione, ridare voce alla soggettività che ancora sopravvive, operare una sorta di rianimazione della soggettività psicocorporea che ancora permane dentro corpi talvolta assistiti ma non “curati” (corpi quindi privati della loro valenza simbolica e ridotti ad “oggetti” da mantenere in buono stato). E’ nostro intento voler ridare voce a esistenze “dimenticate” ma dobbiamo altresì essere pronti a confrontarci con la perdita, con il lutto, con la morte di persone che ci saranno divenute “care”. Tali aspetti evidenziano con prepotenza il rapporto che ognuno di noi intrattiene con la morte, con la separazione , con i propri genitori. Dobbiamo costruire un legame ma anche accettarne la fine; il costo psicologico di tale percorso non è indifferente. L’anziano, ancor più se malato e sofferente, rappresenta difficilmente un oggetto d’identificazione; la vecchiaia, la demenza sono uno specchio in cui nessuno vuole riflettersi. Divenire anziani rappresenta sempre meno l’acquisizione di uno “status” degno di rispetto e carico di valenze simboliche; i vecchi hanno perso il loro significato personale e collettivo e sono diventati una categoria clinica e sociale, un problema concreto da gestire. In realtà la vecchiaia e la malattia così vicine alla morte possiedono valore e sacralità. L’uomo contemporaneo ha però smarrito gli strumenti simbolici per gestire tali aspetti e si ritrova così a negarli o a viverli con terrore e angoscia. Possiamo solo volgere lo sguardo altrove, negando il divenire del tempo e il compiersi del nostro ciclo vitale, o dispiacerci di fronte alle continue perdite che il tempo ci impone, di fronte al progressivo scollamento fra la dimensione corporea e la dimensione psicologica (il nostro corpo invecchia, ma si può dire lo stesso della nostra mente, dei suoi desideri, delle sue passioni ?). Solo il recupero di una dimensione simbolica e rituale, che attribuisca senso al nostro divenire, solo la maturazione di una visione esistenziale che includa e non escluda la vecchiaia e la morte può consentire il superamento di una psicologia angusta che conosce unicamente l’angoscia o la negazione. Tuttavia tali tematiche nelle cure prestate al paziente anziano non appaiono sempre presenti, esiste anzi il rischio che la risposta a necessità e bisogni sia esclusivamente tecnica e assistenziale, non includendo aspetti relazionali e psicologici (e negando di fatto il rapporto con la malattia e la morte ). Il rinnovato interesse per gli interventi mediati dalle terapie espressive, qual è appunto la musicoterapia, può offrirci allora l’occasione di recuperare attraverso altre vie il rapporto con la persona che vive in ogni nostro paziente, con il suo corpo, con i suoi ricordi e i suoi desideri, elementi che possono permetterci di sottolineare il senso di un percorso esistenziale. La musica in virtù della sua articolazione fra mente e corpo, in ragione del suo essere uno stimolo sensoriale, capace però di dispiegare le sue valenze simboliche, rappresenta uno strumento particolarmente adeguato al lavoro con pazienti, come i pazienti dementi, che soffrono per un progressivo decadimento delle competenze simboliche e cognitive. La musica infatti pur potendo parlare con intensità minore alla loro mente e al loro cuore, parlerà sempre con forza al loro corpo e alle competenze comunicative di base che costituiscono il fondamento biologico del musicale (il sistema centrale regolatore della comunicazione), competenze che come sappiamo permangono anche in contesti non evoluti (come nell’autismo infantile e nelle gravi forme di cerebropatia dell’età evolutiva) e in contesti involutivi (come per l’appunto quello delle demenze). L’ancoraggio corporeo del musicale (basti pensare al ritmo) e il suo rapporto con forme innate di espressione e di comunicazione (basti pensare al grido, al lamento, al pianto…) ci consentono di individuare un’area di incontro , di contatto e di scambio anche in situazioni gravemente regredite. In questi casi il “musicale” ci permette di mobilizzare il nostro paziente a un livello senso-­‐
motorio (ad es. con la proposta di attività corporee scandite e regolate da specifiche figurazioni ritmiche), di focalizzare la sua attenzione e di attivare la sua memoria (ad es. con l’ascolto di melodie per lui significative), di riattivare competenze relazionali (ad es. nelle attività di gruppo che impiegano il canto e il ritmo come strumenti di condivisione). In nostro intervento in questi casi configura, come abbiamo detto, una sorta di rianimazione psicofisica dove il suono, la musica svolgono il ruolo di attivatori (in quanto “stimolo”), di organizzatori psicocorporei (in quanto forma) e di mediatori relazionali (in quanto espressione). Quando i nostri pazienti conservano sufficienti potenzialità cognitive, incontriamo l’area del simbolo, del vissuto psicologico, dell’emotività, incontriamo la dimensione nostalgica che peculiarmente viene rappresentata ed espressa dal musicale. La musica allora consente di presentificare quasi concretamente il passato (questa musica mi fa rivivere); si riconquista così a livello simbolico ciò che si è perso concretamente; questa operazione mentale, sempre che non diventi un’illusione, si accompagna al sentimento doloroso della separazione, alla consapevolezza della perdita. La musica può allora aiutarci nella ricostruzione di un presente proprio evocando ciò che è stato ma che ancora sopravvive dentro di noi; noi siamo il nostro passato e l’evocazione nostalgica può vivificare presenze interne dimenticate”. Le problematiche dell’anziano (e ancora più significativamente quelle della persona con demenza) coinvolgono quindi la dimensione psichica, fisica e relazionale richiedendo, pertanto, una visione olistica della persona e un conseguente approccio eclettico (Padoani e Marini 2001). In particolare l’intervento musicoterapico si colloca bene in quel percorso di integrazione dell’Io, di maturazione e di crescita nonché di continuità storica e di senso auspicati da Erikson per la persona anziana (Padoani e Marini 2001). La musicoterapia può rispondere inoltre ad altri bisogni psicologici quali il mantenimento di relazioni sociali, la necessità di conferma dell’autostima e il mantenimento di un’atmosfera intensa e soddisfacente (Padoani e Marini 2001). La musicoterapia può essere definita come una disciplina che, attraverso l’impiego del materiale sonoro-­‐musicale, in ambito prevalentemente non verbale, induce effetti regressivi terapeutici atti a favorire il determinarsi di momenti riparativi delle funzioni del Sé, nei suoi aspetti di “comunicazione-­‐relazione” e di “affettività”. Le potenzialità curative della musica e della musicoterapia in ambito psicogeriatrico (escludendo l’ambito delle demenze per il quale rimando al seguito del lavoro) in alcuni casi hanno una valenza a-­‐specifica, cioè si riferiscono all’utilizzo del suono e della musica come elementi che producono benessere e aumentano la qualità della vita (Hays et al., 2005; Solé et al., 2010; Lee et al., 2010; Skingley et al., 2010). In altri casi la letteratura è riconducibile a patologie psichiatriche croniche che convivono, anche se in forma attenuata, nella persona anziana (Odell-­‐Miller, 1995; Hayashi et al., 2002; Myskja, 2005; Yassuda et al., 2009; Conn et al., 2010). Di particolare interesse sono anche gli studi che sottolineano l’efficacia della musicoterapia negli stati depressivi (Maratos et al., 2008; Erkkila et al., 2008; 2011; Harv Ment Health Lett, 2008; Chan et al., 2009; Guetin et al., 2009a; 2009b; Dirmaier et al., 2009; Brandes et al., 2010; Lin et al., 2010) o in alcune patologie neurologiche più frequenti nell’età senile: si pensi al Parkinson (Pacchetti et al., 1998; 2000; Haneishi, 2001; Bernatzky et al., 2004; Craig et al., 2006; Del Olmo, 2006; Boso et al., 2006) o allo stroke (Cross et al., 1984; Purdie et al., 1995; 1997; Magee et al., 2002; Hesse et al., 2003; Schneider et al., 2007; Kim et al., 2008; Sarkamo et al., 2008; 2010; Hayden et al., 2009; Norton et al., 2009; Forsblom et al., 2009; Schlaug, 2009; Altenmuller et al., 2009; Bradt et al., 2010; Johansson, 2011; Rojo et al., 2011), Di particolare interesse e più numerosi sono gli studi che riguardano l’applicazione della musica e della musicoterapia nell’ambito delle demenze. Tale condizione patologica infatti caratterizza maggiormente l’età senile. Nella definizione degli interventi non pare ancora chiara la natura terapeutica di alcuni di essi: i contenuti proposti sono spesso infatti riferiti all’utilizzo della musica, senza una specificità terapeutica nella strutturazione dell’intervento (si veda al proposito la revisione della letteratura realizzata da Raglio e Gianelli nel 2009). Di particolare rilievo la revisione Cochrane (Vink et al., 2003) che, aggiornata al 2011, include 10 studi randomizzati controllati che indicano significativi effetti sui disturbi comportamentali, sul funzionamento emotivo e su quello cognitivo (Groene, 1993; Lord et al., 1993; Clark et al., 1998; Gerdner, 2000; Brotons et al., 1997; Svansdottir et al., 2006; Sung et al., 2006; Raglio et al., 2008; Guetin et al., 2009; Raglio et al., 2010). Altri studi hanno riscontrato effetti sui disturbi psichici e comportamentali (Clendaniel e Fleishell 1989; Gerdner e Swanson 1993; Casby e Holm 1994; Goddaer e Abraham 1994; Brotons e Pickett-­‐Cooper 1996; Denney 1997; Raglio et al. 2001; Snowden et al. 2003), sulle abilità cognitive (Smith 1990; Rauscher et al.1993, 1997; Johnson et al. 1998; Koger e Brotons, 2000), sulle competenze relazionali e sociali (Clair e Bernstein 1990; Brotons et al. 1997; Koger et al. 1999; Koger e Brotons 2000; Raglio et al. 2001; Raglio et al., 2008), sui sintomi depressivi (Hanser e Thompson 1994; Fox et al. 1998; Snowden et al. 2003; Raglio et al., 2010), nonché sul livello generale di qualità di vita della persona (Smith e Lipe 1991; Aldridge 1993,1994; Kneafsey 1997; Pacchetti et al. 1998). Un’incidenza positiva della musica e della musicoterapia è stata riscontrata anche sui caregiver (Clair e Ebberts, 1997; Clair, 2002; Brotons e Marti, 2003). Alcuni studi nell’ambito delle demenze hanno inoltre posto l’attenzione anche sui possibili effetti fisiologici della musica e della musicoterapia (Kubota et al., 1999; Kumar et al., 1999; Suzuki et al., 2004; Takahashi et al., 2006; Raglio et al., 2010). BIBLIOGRAFIA -­‐ AA.VV. Music therapy may help depression. Harv Ment Health Lett. 2008;24(11):7. -­‐ Aldridge D,Music and Alzheimer's disease-­‐-­‐assessment and therapy: discussion paper. J R Soc Med. 1993;86(2):93-­‐95. -­‐ Aldridge D, Alzheimer's disease: rhythm, timing and music as therapy. Biomed Pharmacother. 1994;48(7):275-­‐281. -­‐ Altenmuller E, Marco-­‐Pallares J, Munte TF, Schneider S. Neural reorganization underlies improvement in stroke-­‐induced motor dysfunction by music-­‐supported therapy. Ann N Y Acad Sci. 2009;1169:395-­‐405. -­‐ Bernatzky G, Bernatzky P, Hesse HP, Staffen W, Ladurner G. Stimulating music increases motor coordination in patients afflicted with Morbus Parkinson. 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