IDC 20 - Dic-Gen 07

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IDC 20 - Dic-Gen 07
Febbraio 2008
Periodico di informazione del Consiglio Direttivo dell’Unione Nazionale Imprese di Comunicazione
unicom
Anno VI - N° 27
IN QUESTO NUMERO:
Comunicare nell’era
della frammentazione
Viviamo nel tempo della comunicazione
frammentata, che, in pochi istanti, deve
riuscire a trasferire informazioni, emozioni e sentimenti. Alcune riflessioni
intiurno ad una serie di esempi mutuati
dal mondo dell’arte: cinema, teatro e
musica.
6
Sped. in Abb. postale 45% - D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N. 46) ART. 1, COMMA 1 - FilialeI Padova dcB - Euro 2,50
In caso di mancato recapito rinviare all’ufficio Postale di Padova Cmp detentore del conto per la restituzione al mittente che si impegna a pagare la relativa tariffa
Gestire lo stress, non eliminarlo
Stress positivo e stress negativo, coping
cognitivo e resilienza. Un intervento di
Guido Nanni sulla gestione dello stress
che tanto appartiene alla vita personale
e delle agenzie.
7
Ricerche e comunicazione,
Le “in depht interview”
Proseguiamo l’esplorazione delle tecniche di ricerca applicate alla comunicazione, occupandoci delle interviste in profondità
10
Il nuovo codice di Autodisciplina
della comunicazione commerciale
A gennaio 2008 è entrato in vigore il
nuovo Codice. Le novità che garantiscono una maggiore tutela.
12
Dal supermarket all’outlet
Gli spazi commerciali e d’intrattenimento sono le piazze dei giorni nostri, dove
non si comunica e non si socializza, ma si
compra e si spende.
16
Come api sul miele.
La teoria dello sciame
Il passaparola online si sta affermando
come un’efficace modalità di comunicare mutuata dal’osservazione della natura.
20
Aziende e Web 2.0.
Dall’essere all’apparire
Il Web 2.0 rapprenta un’interessante
opportunità a condizione di saperlo utilizzare al meglio e di diffidare sempre
da eccessive attese.
22
EDITORIALE
Cronache dal Bel Paese.
a sottostante comunicazione - che ci è pervenuta nel mese di gennaio - ci ha particolarmente colpiti. Non certo perchè annuncia la cessazione dell’attività di un’impresa, poichè di
tali notizie, purtroppo, sono piene le cronache quotidiane, ma perchè rappresenta un ulteriore segnale di una situazione del mercato della comunicazione che definire di palese degrado
è quasi eufemistico.
L
MESSAGGIO della MARKETING TV SERVICE
e della PUBLISOFT per il mercato pubblicitario.
Il 21 dicembre 1977 e' nata la MARKETING TV SERVICE. Il 21 dicembre 2007 la MARKETING TV
SERVICE ha compiuto 30 anni. Oggi 15 gennaio 2008 termina la sua attivita', con la consegna dei
dati al 31 dicembre 2007, avendo quindi assolto agli impegni dei contratti 2007.
E con la MTVS termina la attivita' anche la PUBLISOFT, dopo 24 anni. Nel 2008 il mercato dei
clienti storici MTVS rimarra' affidato alle cure dell'ormai monopolista AGB (che poi significa 50%
Nielsen e 50% WPP).
Ringrazio tutti i clienti, grandi e piccoli, che nei 30 anni trascorsi hanno sempre rinnovato la loro
fiducia nella qualita' storicamente riconosciuta della Marketing TV Service.
Perche' si chiude? Semplicemente perche' le grandi centrali media multinazionali hanno da anni
l'abitudine di rinnovare i contratti per l'anno nuovo "solo a parole" rinviando la quantificazione del contratto e la sua firma impegnativa a "data da destinarsi", cioe' normalmente a febbraio a marzo o addirittura ad aprile. Salvo poi, come e' avvenuto nell'aprile 2007 da parte di un
Centro media di rilevante importanza del mercato, "pretendere" una auto-riduzione del 30%
del contratto: questo gesto ha mandato in perdita il nostro bilancio 2007, allorche' ormai tutti
gli altri contratti erano gia' firmati e non c'era piu' alcuna possibilita' quindi di spalmare sul resto
del mercato la perdita di ricavi di uno o piu' clienti.
Attenzione! La chiusura della attivita' non e' una questione di costi o di prezzi elevati: negli ultimi anni avevo ulteriormente ammodernato la catena di produzione della MTVS, passando al
digitale sia nella produzione delle rilevazioni che nella produzione dei certificati: oggi la MTVS
e la Publisoft sono nel loro momento migliore come aziende-gioiello e con costi minimizzati
dalla tecnologia.
Il vero problema e' che essendo i contratti della MTVS e Publisoft impegnativi da gennaio a dicembre non e' possibile dimensionare e firmare alcuni contratti senza avere la certezza di poter
contare su tutti gli altri contratti per coprire i costi dell'anno, prima che l'anno inizi. Questa abitudine ormai pluriennale delle grandi centrali media multinazionali del mercato pubblicitario
era da noi accettabile finche' c'erano margini sufficienti (tra costi e ricavi) per sopportare eventuali riduzioni dei contratti ritardatari ad anno ormai iniziato. Ma siccome negli ultimi anni questi clienti hanno tenuto un comportamento "finanziario", diciamo, piuttosto autoritario di
"forte potere contrattuale nei confronti dei piccoli fornitori di servizi", non ci sono piu' margini
per rischiare di subire rinnovi ritardatari in diminuzione, e quindi un bilancio annuale in perdita.
D'altronde sinceramente non capisco proprio perche' io, Vittorio la Mesa, dovrei garantire ai
giganti mondiali di questo mercato dal 1 gennaio in poi la fornitura di servizi, il cui costo e' fisso
ed impegnativo per tutto il 2008, senza sapere se e come i clienti rinnoveranno i loro contratti.
(continua a pagina 2)
UNICOM
SOMMARIO
EDITORIALE
Cronache dal Bel Paese.
Il gioco al massacro
di Lorenzo Strona
Benvenuti in Unicom
La campagna Unicom in onda
sulle reti Mediaset e La 7
Buona comunicazione!
di Gargamella
La nuova customer satisfaction
di Rossella Tosto
1
3
4
IL M E S T I E R E DI C O M U N I C A R E
Comunicare nell’era
della frammentazione
di Renato Sarli
5
MANAGEMENT
Manager d’agenzia.
Gestire lo stress, non eliminarlo
di Guido Nanni
6
S O C I E TA’
La Chiesa tra talk-show e TG
di Francesco Pira
9
RICERCHE E COMUNICAZIONE
Le “in depth interview”
di Claudio Avallone
10
DIRITTO E COMUNICAZIONE
Il nuovo Codice di Autodisciplina
della Comunicazione Commerciale.
Diffamazione e diretta televisiva
di Fiammetta Malagoli
12
13
C O N S U M I E S O C I E TA’
Dal supermarket all’outlet
di Giuseppe Romano
16
EVENTI
Gli ulivi di Puglia in mostra a Roma
18
N U O VA C O M U N I C A Z I O N E
Come api sul miele
di Angela D’Amelio
20
ONLINE
Imprese e Web 2.0. Essere o apparire
di Sante J. Achille
24
MOSTRE
Le Corbusier ad Alessandria
America! a Brescia
25
INCONTRI
Madre Teresa di Calcutta
Questo numero è stato chiuso il il 13/ 02 / 2008
PS. Questa chiusura della MTVS e della Publisoft significa anche il licenziamento di una
ventina di persone (gia' avvenuto in data odierna): queste persone sono di elevata qualita' lavorativa, visto che sono stati loro a
produrre la "alta qualita" dei dati MTVS.
Vi sarei grato se voleste informarmi di possibilita' di un loro inserimento nelle vostre
strutture di Roma: in tal caso potrei indicarvi
quali siano le persone piu' adatte alle vostre
posizioni disponibili.
26
LETTURE
La nuova comunicazione politica
di Francesco PIra e Luca Gaudiano
Vittorio G. La Mesa
([email protected])
22
OPINIONI
Fondi Europei. Assistenzialismo
o sostegno all’economia
di Notarangelo de Bellis
Viva l’Italia
di Gargamella
La Marketing TV Service e la Publisoft non
sono degli enti statali che debbano garantire
un SERVIZIO PUBBLICO, a prescindere da chi
voglia comprare.
Non ho mai voluto avere rapporti professionali nella mia vita con il mondo pubblico, statale, ma per andare avanti come imprenditore privato avrei naturalmente bisogno dei
contratti, sicuri e per tutto l'anno, dei clienti
privati.
Evidentemente i miei affezionati clienti, che
da anni non mi hanno mai abbandonato, ma
hanno sempre chiesto riduzioni, non hanno
creduto al "grido di dolore" che ripetutamente lanciavamo ad ogni inizio anno.
Secondo me si possono pretendere dei servizi se si firmano dei contratti prima dell'inizio
del periodo; e penso che questo riguardi anche gli altri fornitori di servizi, quali Media
Consultants o Media Soft o altri.
Io ho 66 anni, ho lavorato per 43 anni prima
come impiegato e dirigente di varie multinazionali e poi per 35 anni come imprenditore.
Sono soddisfatto professionalmente del lavoro costruito negli anni (per me e per una ventina di famiglie) e della fiducia storicamente
riconosciuta dal mercato a me personalmente e alle mie societa', ringrazio tutti ma.....
.... mi ritiro dal "GIOCO AL MASSACRO " che
la globalizzazione e le crescenti pretese dei
finanziari di Wall Street e di Londra hanno
portato da anni anche in Italia.
Vi ringrazio nuovamente tutti, grandi e piccoli clienti, e vi lascio per il futuro nelle braccia dell'ormai monopolista AGB (50% Nielsen
e 50% WPP), per quanto riguarda i servizi da
noi forniti fino ad oggi in libera concorrenza.
27
Esprimere solidarietà, in questo, come in altri
casi analoghi - purtroppo tutt’altro che infrequenti - è indubbiamente doveroso.
Ma l’ennesima notizia che un’impresa del
nostro comparto si trova nella condizione di
dover chiudere i battenti, non può esimerci
da alcune riflessioni, cercando, innanzitutto,
di comprendere le ragioni che hanno determinato tali situazioni.
Ci sono certamente casi in cui le imprese non
sono state in grado di fronteggiare il cambiamento in atto, oppure non hanno saputo prevenirne le conseguenze. Molti imprenditori piccoli in larga misura - si sono illusi di operare all’interno di uno scenario immutabile, con
la conseguenza di ritrovarsi, da un giorno
all’altro, alle prese con problemi insolubili al
cospetto di un’evidente inadeguatezza della
propria offerta o della propria struttura all’evoluzione della domanda e con la consapevolezza di non avere alternative alla recita di un
malinconico “mea culpa”.
Ma ci sono molti altri casi in cui le situazioni di
difficoltà si sono determinate in forza di eventi non prevedibili.
Ad esempio: quante piccole imprese (editoriali
o del DM) si sono dovute arrendere ad una
ingiustificata, improvvisa e, certamente non
prevedibile, impennata dei costi di postalizzazione, determinati da un improvvido
provvedimento legislativo?
Ma la maggior parte delle situazioni di accentuata criticità si sono determinate in forza di
una degenarazione complessiva dei comportamenti della committenza e, non infrequentemente, di molte imprese del nostro stesso
comparto: la corsa forsennata e dissennata
alla competizione orientata al “prezzo più
basso” piuttosto che alla qualità del servizio,
la totale deregulation delle tariffe, le gare
condotte - sia dalla committenza privata che
da quella pubblica - in modo “disinvolto”, la
progressiva perdita di identità e di ruolo delle
imprese di comunicazione e, da ultimo, il perdurante scarso orientamento alla comunicazione da parte dei medi e dei piccoli imprenditori...
Nel corso della Tavola Rotonda che si è svolta
in occasione delle celebrazioni del trentesimo
anniversario della costituzione di Unicom,
tutti questi elementi di criticità sono venuti alla luce. Tranne forse quello posto in evidenza
dalla lettera di La Mesa.
Ma quando denunciammo lo strapotere di alcuni gruppi internazionali - uno in particolare
- la nostra voce rimase isolata, non ci fu l’auspicabile sostegno degli altri attori del mercato: Unicom venne lasciata desolatamente sola
a confrontarsi con i giganti. E neppure le Autorità preposte a sovrintendere il rispetto delle regole seppero - o vollero - prendere posizione.
Ora ci dichiariamo tutti solidali con chi si trova
in un mare di guai, ma ci ritroviamo, purtrop-
po, a piangere sul latte versato. Per molti è
troppo tardi. I forti sono diventati ancora più
forti e i vasi di coccio tra i vasi di ferro, cominciano ad incrinarsi e, qualcuno - ahimè - finisce inevitabilmente per andare in pezzi.
Benvenuti in Unicom
Il Consiglio Direttivo ha accolto le domande di ammissione di due nuove Associate:
Che fare dunque? Innanzitutto ritrovare coesione tra gli aventi causa, accantonando le
ragioni di divisione e promuovendo più collaborazione. Se le Associazioni che rappresentano le imprese si decideranno a lavorare
insieme - con il giusto spirito di collaborazione - facendo causa comune almeno sulle questioni più importanti (le gare, ad esempio),
qualche risultato potrà ancora essere alla
nostra portata.
Lorenzo Strona
Presidente Unicom
La campagna Unicom
in onda sulle reti Mediaset e La 7
E’ on air dal 2 di febbraio la campagna televisiva realizzata con la collaborazione di
Maurizio Costanzo (lo spot è visibile sulla
home page del sito www. unicomitalia.org).
Tra pochi giorni anche le reti satellitari Rai e
moltissime emittenti locali (200 circa) programmeranno lo spot mirato a sollecitare gli
imprenditori, medi e piccoli in particolare, ad
investire in comunicazione.
Nel frattempo stanno uscendo gli annunci
stampa.
Cogliamo quindi l’occasione per ringraziare
gli editori e le concessionarie che si sono resi
disponibili a collaborare a questa iniziativa
Al tempo stesso ci pare doveroso stigmatizzare il comportamento di coloro che, per evidente miopia, non hanno accolto il nostro
invito a programmare una campagna, i cui
effetti positivi sono destinati a ricadere sull’intero sistema italiano della comunicazione
E’, a nostro giudizio, cosa assai grave e, per
certi versi, incomprensibile.
NETWORK COMUNICAZIONE
(Silvia Brena)
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alla possibilità di utilizzare più mezzi e più
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Il percorso caratteristico di Network è fatto
di tre step: 1. Creare dei format di riferimento che dilatino la visibilità del brand e
gli regalino autorevolezza e credits di reale
problem solver nei confronti del proprio
target. 2. Fornire contenuti e servizi.
3. Diventare punti di riferimento anche per
i media
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leggera ed efficiente con uffici a Roma e
Milano, per rispondere alle esigenze di clienti che desiderano partner professionali
e veloci, in grado di fornire assistenza e
servizi con una visione olistica dalla consulenza strategica all’advertising, dalla promozione al web, dall’ufficio stampa al
CRM.
Buona comunicazione.
Metro (edizione romana del 7.02) ha ospitato un commento di Mariano Sabatini
che stigmatizza l’uso, a suo dire improprio, in due campagne in onda in questo
momento, di espressioni utilizzate rispettivamente da Igor Rigetti (“Buona comunicazione a tutti”, Campagna Unicom) e
da Rispoli (“Parola mia”, Campagna Cairo
Communication).
Ci chiediamo: quando il severo censore
proporrà il divieto ai parroci di accomiatarsi dai fedeli con l’espressione “Dio vi
benedica”, visto che ne fa quotidiano uso
Jerry Scotti?
Gargamella
[email protected]
3 / L’IMPRESA DI COMUNICAZIONE / N. 27 / 08
UNICOM
La nuova indagine
di customer
satisfaction
Attraverso un’indagine accurata stiamo monitorando
lo stato dell’arte della relazione tra l’Associazione
e gli associati, con l’obiettivo di migliorare
performance ed efficienza.
In questo particolare momento della vita associativa è apparso importante al Consiglio
Direttivo di UNICOM dare evidenza della volontà di lavorare sulla “cultura dell’ascolto” e
sulla “cultura della partecipazione”, con un
coinvolgimento dell’intera base associativa
chiamata ad essere protagonista in un progetto di misurazione ed analisi della customer satisfaction.
Tutti i momenti e le occasioni - formali ed
informali - che consentono di raccogliere
feedback ed analizzare problemi ed opportunità sono già oggi una buona fonte di
spunti e di stimoli al miglioramento e dovranno essere ulteriormente incentivati ed
ottimizzati per accrescere il legame fra associati ed associazione e riflettere insieme sulla
identità, senso di appartenenza, sulla soddisfazione maturata e sulle aspettative per il
prossimo futuro.
Con lo stesso intento, ma con una modalità
più estesa e capillare è sembrato utile ridisegnare anche un approccio più articolato e
funzionale alla misurazione della customer
satisfaction, che permetta di andare a fondo
sulle valutazioni e percezioni di chi ha scelto
di essere parte di Unicom e di individuare al
pari spunti e suggerimenti da tradurre in azioni visibili e concrete in linea con le aspettative degli associati. In sostanza un modo
oggettivo e strutturato per raccogliere opinioni e giudizi, proposte ed aspettative non
limitandosi a quelle che emergono o giungono spontaneamente, ma rivolgendo a tutte le imprese associate le stesse domande,
auspicando un alto tasso di partecipazione e
coinvolgimento per garantire l’efficacia di
questa azione.
Dopo un’ampia fase di confronto e dibattito
in sede di consiglio direttivo si è proceduto
pertanto a formalizzare un nuovo approccio
per la rilevazione della soddisfazione inter-
4 / L’IMPRESA DI COMUNICAZIONE / N. 27 / 08
na, orientato ad un esame trasparente e
completo in chiave diagnostica dei punti di
forza e di debolezza di Unicom, che potesse
sostituire con una metodologia differente la
scheda di soddisfazione fino allo scorso anno
inviata alle imprese associate.
Gli obiettivi
Numerosi sono gli obiettivi con cui è stata
impostata la rilevazione di customer satisfaction attualmente in corso, che prevede l’utilizzo di una metodologia di contatto individuale e telefonica per la gestione dell’intervista: coinvolgimento degli associati, analisi
delle aspettative, misurazione puntuale dei
parametri di qualità, valutazione di servizi,
iniziative ed eventi (nuovo sito internet, formazione, impresa di comunicazione, 30 anni
di Unicom, campagna istituzionale…), raccolta di suggerimenti e proposte per il futuro.
Il questionario
Coerentemente ad essi è stato elaborato un
questionario semi-strutturato che riepiloga
in diverse sezioni diverse aree di approfondimento attraverso cui:
• Raccogliere opinioni e giudizi della base associativa su servizi ed organizzazione
• Individuare la direzione in cui si è visto
evolvere il rapporto associato-Associazione
• Indagare i valori e le motivazioni che orientano oggi la relazione esistente con
l’Associazione e quelli che si auspica possano essere le direttrici su cui impostare la
relazione in futuro
• Individuare “plus e minus” dell’Associazione relativamente a diverse aree e servizi
• Stimolare la riflessione sul futuro dell’Associazione
• Analizzare aspettative e suggerimenti
• Prefigurare in un’ottica di condivisione e
coinvolgimento diffuso percorsi di miglio-
ramento continuo, innovazione e propositività rispetto alle esigenze del mercato
Tutti questi temi sono diventati oggetto di
una rilevazione quantitativa di tipo estensivo, atta cioè a coinvolgere in modo paritetico tutte le singole imprese aderenti ad Unicom, non prevedendo pertanto l’estrapolazione di un campione ma invitando tutte le
imprese a dare il proprio apporto per ottimizzare i risultati in termini di capillarità e
profondità dell’analisi.
I risultati
Al termine della fase di rilevazione sarà possibile analizzare tutti i risultati raccolti con
l’ausilio di software statistici per l’elaborazione dei dati, che permetteranno di tracciare un quadro analitico su ogni singola
area di approfondimento.
Si tratterà di un momento importante e delicato al contempo, seppur nella consapevolezza che il risultato consegnato dalla ricerca
interna dovrà costituire una vera e propria
bussola nella definizione delle nuove linee
guida d’azione.
Massima importanza sarà data anche alla
condivisione dei risultati attraverso una presentazione dei principali riscontri registrati
all’iniziativa in termini di tasso di partecipazione, evidenze emerse e azioni di ottimizzazione prefigurate per soddisfare le attese
degli associati nel pieno spirito di una piena
“cultura di ascolto” e di monitoraggio continuativo.
Nella lettera che annunciava questa iniziativa di monitoraggio, è stato già anticipato a
tutti gli associati che l’occasione più estesa ed
efficace in cui troverà spazio ed argomentazione la disamina dei risultati emersi da
questa indagine sarà la prossima Assemblea
di Maggio.
Intanto un doveroso ringraziamento a quanti (ci auguriamo una larghissima maggioranza) concederanno il proprio prezioso tempo
e daranno il proprio contributo con la massima sincerità, trasparenza e spirito di collaborazione
partecipando
all’indagine che ci consentirà di intraprendere
insieme un percorso articolato di miglioramento
continuo focalizzato sul
punto di vista delle imprese associate.
Rossella Tosto
Consigliere Unicom
IL MESTIERE DI COMUNICARE
Comunicare
nell’era
della frammentazione
Viviamo nel tempo della comunicazione frammentata,
che, in pochi istanti, deve riuscire a trasferire
informazioni, emozioni e sentimenti.
Renato Sarli ci propone alcune riflessioni
facendo ricorso ad una serie di esempi mutuati
dal mondo dell’arte: cinema, teatro e musica.
Raccontare una storia in trenta secondi è
una sfida che presenta difficoltà e fascino.
La capacità di sintesi è un dono che in pochi
hanno. Trenta secondi poi sono un tempo
che spesso ci sogniamo. Siamo in piena Era
della Frammentazione. I film sono sincopati,
i libri diventano racconti, gli show durano
due minuti, internet ci ha abituati a ragionare per schemi preconfezionati, la pubblicità radio e tv si fa in cinque secondi.
Il fascino di questo modo di essere della
comunicazione è evidente. Amici intellettuali mi hanno sempre guardato spocchiosamente quando facevo l’apologia del cinema
americano e opponevo ad esempio Gloria di
Cassavetes o Manhattan di Woody Allen a
quelli che ho sempre considerato polpettoni,
i film di Fassbinder o di altri europei concentrati solo sulla psicologia e non sull’azione.
Ma il cinema e quindi la televisione ha un
suo codice, un suo ritmo, e come in tutti i lavori che hanno a che fare con la creatività, le
regole si possono e devono rompere, ma bisogna prima conoscerle e saperle maneggiare.
Non si può nel cinema opporre drasticamente un modello ad un altro, non si può sostenere che quello d’azione è cinema povero e
quello lento è capace di comunicare. Siamo
tutti facilitati dal poter esprimere concetti
con mille parole.
La vera difficoltà (ed ecco quindi il fascino) è
esprimersi in modo potente ed efficace con
poche semplici parole. Non so chi mi legge,
ma io adoro Denys Arcand (autore di film come “Il declino dell’impero americano”, “Jesus di Montreal”, prima di “Le invasioni barbariche” che lo ha definitivamente reso celebre).
Il regista canadese che alterna lentezza, dialogo, analisi del personaggio, ha una capacità di sintesi folgorante. A mio avviso è il
regista che meglio incarna in questo momento la necessità di non perdere di vista
l’uomo e i suoi sentimenti nell’Era della
Frammentazione, nel tempo in cui l’input
tende a sostituirsi al messaggio.
D’altronde, il punto di osservazione di Arcand è privilegiato (forse). Il Canada francofono, così vicino agli Stati Uniti e così riserva indiana destinata ad essere sempre meno
legata alla realtà che scorre.
Intanto si comunica con sms, guardiamo gli
ultracorti di youtube e produciamo billboard. Per fortuna non perdo il gusto di scrivere lunghe mail, leggere libri e andare al cinema, ma dovendomi occupare di comunicazione osservo e pratico la parola-frase, il gesto dinamico e sintetico, lo stupore e l’immediatezza.
Non possiamo più pensare al ritmo, che per
essere apprezzato richiede la scansione dei
tempi, la creazione di una metrica. Il tempo
è quello di un battito d’ali.
L’impatto è lo strumento necessario. Ma
l’impatto da solo oggi non basta certo. La
frammentazione e la quantità di messaggi ci
costringono, da consumatori di input a selezionare ed erigere barriere forti nei confronti di gran parte di ciò che riceviamo.
Tra ricevere e recepire c’è una bella differenza! E quindi le soglie di ricezione si alzano e
per poterle raggiungere occorre lavorare di
frequenza e di stile. Di stile, sì, perché se anche dotassimo un bel soggetto breve e
impattante di forte frequenza, oggi dobbiamo considerare l’abitudine alla varietà, che
non è un ossimoro, ma una cruda realtà.
La quantità di materiale che cerca di imporsi alla nostra attenzione ci porta ad abituarci a pensare che ogni messaggio deve essere
(per essere originale) diverso dall’altro. E’
quello che cerchiamo in una comunicazione
piatta e invadente: l’originalità. Per questo
motivo è necessario lavorare su multi-soggetto fortemente connotati da uno stile
comune. Le scelte di linguaggio, il format
narrativo, lo stile grafico, elementi iconici
devono consentirci di riconoscere il messaggio come facente parte di una serie.
Questo vale per ogni mezzo, dalla televisione alla stampa, dall’affissione al web. Fermo
restando, voglio ribadirlo, che non esistono
regole e basta andare a teatro per vedere
come le sale siano affollate di persone che
non sono stanche della comunicazione, ma
cercano comunicazione originale. Per cui le
regole vanno superate.
Nel teatro contemporaneo ad esempio manca in questo momento la solennità, la ieraticità, la religiosità che invece sono aspetti
fondamentali e potenti insiti nel teatro in
modo inscindibile. Il teatro greco per raccontare l’uomo, le sue pulsioni, la sua psicologia, impiegava maschere, macchine, e
faceva calzare agli attori coturni che li rendevano più alti e imponenti. Teatralità appunto.
Pensiamo al ritmo inventato da Verdi che
con trombe e cori alternava pause dense di
significato per sottolineare azioni. E andiamo
al cinema, a teatro e alle
mostre dove troveremo
sicuramente stimoli per
comunicare in modo intelligente.
Renato Sarli
[email protected]
5 / L’IMPRESA DI COMUNICAZIONE / N. 27 / 08
MANAGEMENT
Manager d’agenzia.
Gestire lo stress,
non eliminarlo
Stress positivo e stress negativo, coping cognitivo
e resilienza. Una riflessione di Guido Nanni
sulla gestione dello stress che tanto appartiene
alla vita personale e delle agenzie.
“Non è tanto la malattia che conta, quanto
la risposta del malato alla sua malattia”
Fino al 1935 lo stress non era individuato
nella sua sintomatologia ed era genericamente assimilato a stati d’ansia e di nervosismo.Hans Selye, attraverso i suoi esperimenti sulle cavie, ha riconosciuto lo stress come
sindrome specifica, collegata ad un insieme
di reazioni fisiologiche che consentono di
adattarsi di fronte a differenti agenti nocivi
dell’ambiente (chiamati “stressor”).
In pratica, come avviene nel più classico
mondo animale, di fronte ad una situazione
che percepiamo come pericolosa per noi, entriamo in questi stati fisiologici:
Fase d’allarme, con stimolazioni nervose dell’ipotalamo che libera adrenalina (ghiandole
surrenali) e genera tachicardia, diminuzione
del tono muscolare, abbassamento della
temperatura del corpo. Se questa fase d’allarme non si interrompe, la conseguenza è la
formazione di ulcere gastriche, di iperglicemia e di vari altri sintomi fisici e psicologici,
che possono portare al “burn out” complessivo.
Fase di resistenza, con aumento della valvola corticosurrenale e degli ormoni corticali
che rovesciano i sintomi della prima fase: il
ritmo respiratorio si accelera fornendo più
ossigeno all’organismo, il ritmo cardiaco au-
menta favorendo metabolismo, ritmi cerebrali più rapidi. E’ il momento reattivo, dell’attacco o della fuga, con un focus attentivo
elevato sulla situazione pericolosa per noi.
Fase della resa, che consente di rientrare nell’equilibrio omeostatico iniziale. Se gli agenti stressanti persistono, riappaiono i disturbi
della fase d’allarme.
Oggi, molte persone e molti contesti lavorativi, vivono in una costante fase d’allarme,
con il continuo accumularsi di stimoli-stressori che portano ad una attivazione fisiologica e psichica eccessiva e che impongono
all’organismo sforzi esagerati e innaturali.
Come mostra la Tav. 1, lo stress rischia di
degenerare e di non essere più quella sindrome naturale che può invece aiutare le
persone ad affrontare e superare ostacoli.
Tra l’altro, studi scientifici hanno dimostrato
che lo stress contenuto entro determinati
limiti (“grado ottimale”) è utile: è vitalità
che riduce al minimo la velocità dell’invecchiamento.
Ma come fare a gestire lo stress e convivere
con gli stressor da cui ognuno di noi si sente
costantemente assediato?
Conviene innanzitutto fare riferimento ad
un paio di principi elementari, ma di cui
spesso ci si dimentica.
Il primo ci dice che le cause di stress sono
soggettive, ovvero ciò che mette in allarme e
in una posizione di disequilibrio una persona non necessariamente è causa di stress per
un’altra. Le reazioni allo stress variano da un
soggetto all’altro in funzione dell’ereditarietà, dell’età, della propria storia familiare,
della propria struttura mentale, della capacità di controllare e interpretare mentalmente le situazioni vissute.
E ognuno, sono certo, ha esperienza di ciò:
noi, magari, entriamo in allarme nel relazionarci con persone molto precise e organizzate, altri esattamente il contrario.
La soggettività dello stress indica che non
esistono stressor oggettivi e universali proprio perché lo stress dipende da come ognuno di noi interpreta e vive le varie cause e
situazioni. Questo insegna ad essere molto
precisi nel valutare le propri fonti di stress,
senza generalizzarle.
La Tav. 2 riporta le principali sorgenti di
stress rilevate nell’ambito lavorativo. A queste macrocategorie si possono ricondurre
molte piccole cause di stress quotidiano: come si vive il tempo e le scadenze, il rapporto
con gli errori e il fallimento, l’interesse e la
motivazione verso un progetto, la pressione
verso i risultati ecc.
Un secondo principio di buon senso da tenere presente per riuscire a gestire lo stress,
riguarda la capacità di distinguere tra sintomi e cause di stress. Spesso ci concentriamo
sui nostri sintomi: ansia, nervosismo, tensione, rabbia, paura, aggressività, fuga, depressione ecc.
In questo modo, a volte, confondiamo stati
Tav. 1 - Stress positivo e stress negativo
“DISTRESS” DA ATTIVAZIONE LENTA
Sonnolenza
Distrazione
Pensiero sfuocato
Nessuna coscienza di pericolo
Decisioni lente, mediocri, inefficienti
“EUSTRESS” DA ATTIVAZIONE MEDIA
Efficienza
Attenzione e pensiero concentrata sul
compito
Coscienza costruttiva del pericolo
Decisioni ottimali
“DISTRESS” DA ATTIVAZIONE ECCESSIVA
Ansia e rabbia
Attenzione che salta da una cosa all’altra
Pensieri catastrofici
Coscienza agitata del pericolo
Decisioni affrettate
6 / L’IMPRESA DI COMUNICAZIONE / N. 27 / 08
Guido Nanni - [email protected]
emotivi che con lo stress hanno poco a che
fare e comunque non focalizziamo le cause
che generano questi umori. E ci allontaniamo dalla possibilità di risolverli. Anzi generiamo a catena altre pressioni emotive
(senso di frustrazione, incapacità, desolazione ecc.) che amplificano il nostro costante
stato d’allarme.
E, di questo passo, nell’ambito lavorativo,
succede che vengono radicalizzate ed estese
alcune manifestazioni che intaccano il benessere complessivo. Prevalgono, così, sensazioni di tristezza, noia, timore, odio, vergogna, nostalgia, si arriva ad una complessiva
perdita di familiarità, di orizzonte di senso,
prevale l’incapacità di pensarsi.
Ci si sente naufraghi, in balia di situazioni
non controllabili. E, in questo desolante e
sconfortante scenario (volutamente esagerato), il nostro fisico continua a mettere in
moto reazioni che, però, non siamo più in
grado di ascoltare.
Dal mondo sportivo – che monitora lo stress
dei campioni e sperimenta costantemente il
modo di mantenerlo ad un livello naturale possiamo apprendere qualche orientamento
sulla gestione dello stress, basando il modello su tre livelli.
Primo livello
Riguarda gli interventi sintomatici, che aiutano a ridurre i sintomi dello stress. Queste
metodologie antistress sono soggettive e si
riferiscono ad interventi tecnici sui sintomi:
come, ad esempio, il controllo del sonno e
della dieta, il controllo della respirazione, il
training autogeno, gli esercizi di rilassamento del corpo (yoga, aerobica), i metodi di rilassamento mentale (meditazione), la musica, le immagini mentali, il massaggio.
Proprio perché l’energia si accumula e si disperde, allargando l’orizzonte, sappiamo
che ognuno ha i propri “antistress”: è importante adottarli e riconoscerli come fonti di
energia, come serbatoi positivi di compensazione delle altre più pericolose sorgenti di
stress. Aiutano, in pratica, ad abbassare il
livello di guardia e compensare la soglia di
allarme. Coltiviamo, quindi, tutti gli hobby e
le passioni dove, non solo in termini metaforici, si “scarica adrenalina” (sport, lettura,
impegno sociale, viaggi, pesca ecc.).
Secondo livello
Il “coping cognitivo” è un modello che considera come si valuta lo specifico evento
stressante: cognitivamente, l’evento può
essere distorto attraverso i filtri percettivi e
psicologici, che portano alla polarizzazione,
all’esagerazione, alla generalizzazione.
Intervengono, in questo processo, anche
meccanismi di difesa dall’ansia (rimozione,
regressione, razionalizzazione, compensazione, proiezione, negazione).
Attraverso un tenace e mirato lavoro di indi-
7 / L’IMPRESA DI COMUNICAZIONE / N. 27 / 08
MANAGEMENT
Tav. 2 - Alcune fonti di stress nelle organizzazioni lavorative
• L’ambiguità del ruolo. Assenza di chiarezza sul ruolo, sugli obiettivi da realizzare, sulla portata delle responsabilità.
• Il conflitto di ruolo. Contraddizione tra richieste e desiderio di soddisfarle, perché non ritenute confacenti ai propri incarichi e responsabilità.
• L’esercizio della responsabilità. Con conseguente timore di non essere all’altezza,
la paura di vedersi rifiutare una promozione, la crescita dell’isolamento, il soddisfare molteplici impegni.
• La cultura organizzativa. Partecipazione insufficiente al processo decisionale,
errori di comunicazione, limiti al comportamento, conflitto tra cultura aziendale
e valori individuali, partecipazione insufficiente.
• Lo stress relazionale. Collegato alla qualità dei rapporti umani intrattenuti con i
superiori, i subordinati, i colleghi.
• La carriera (e il “mobbing”). Incertezze, minacce del futuro, aspettative, delusioni, fine della carriera, status professionale, pressioni verso il licenziamento…
• Il “tecnostress”. Ambienti ad alta tecnologia e contesti “disumanizzati” (controlli
elettronici, velocità, virtualità, globalizzazione).
• Il conflitto con la vita privata. Problemi familiari, difficoltà finanziarie, richieste
familiari (in conflitto con quelle aziendali), contraddizioni valori personali e
aziendali.
Tav. 3 - Regolazione dello stress nella vita quotidiana
Primo livello, stress leggero
• Ricercare presenza e vicinanza fisica di persone attente alle tue necessità
• Rinforzare la stima di sé
• Ridere, piangere, urlare (per scaricare tensioni)
• Ritirarsi emozionalmente (es. dormire)
• Verbalizzare e raccontare il proprio stress e le proprie emozioni
• Intellettualizzare e spiegare il proprio problema di stress
• Agire fisicamente per scaricare l’energia eccessiva
• Attivare immaginazione e attività fantasmatica
• Sfogarsi somaticamente: mangiare, fumare, bere …
Secondo livello, stress più forte
• Iper vigilanza (irritabilità, insonnia)
• Iper emozionalità (riso isterico, attacchi di rabbia, suscettibilità, iperattività e
aggressività)
• Iper compensazione (sognare ad occhi aperti, continuare a rimuginare)
• Parziale distacco dalla realtà (amnesie, svenimenti, negazione della realtà,
nevrosi, nevrastenie)
• Sacrificio (malattie somatiche, tossicomania, ipocondria).
viduazione dello stressor, la persona può innanzitutto considerare una nuova ristrutturazione dello “stressor” (con un coping che,
ad esempio, può essere centrato sul problema o sull’emozione) e individuare poi solu-
8 / L’IMPRESA DI COMUNICAZIONE / N. 27 / 08
zioni considerando le proprie fonti di resistenza e di energia e le risorse dell’ambiente.
Questo modello è adottato dagli sportivi che
affrontano imprese in solitaria o che, comunque, sono desiderosi di aumentare la
propria performance sportiva.
Ed è sempre più adotatto anche all’interno
delle organizzazioni con sorgenti di stress
elevate data la forte competizione con il
mercato.
Terzo livello
E’ quello più complessivo dell’hardness e della “resilienza”, che, tecnicamente, è il grado con cui una struttura metallica è capace
di resistere ad un urto.
In termini estensivi, la resilienza riguarda il
processo di riorganizzazione positiva della
vita, a dispetto di esperienze critiche che di
per sé potevano portare ad esiti negativi
(Werner).
Oppure, con una altra definizione, la capacità di funzionare in modo “adattato” e di
divenire competenti nonostante si presentino situazioni di vita stressanti (Patterson).
Ma come si può far fronte alla situazione avversa, e contemporaneamente continuare a
svilupparsi e aumentare le proprie competenze nonostante tali condizioni sfavorevoli?
Qui si potrebbero sprecare tanti “consigli
per gli acquisti” più o meno validi e sensati.
Restando al tema specifico della gestione
dello stress, può essere utile citare alcuni
supporti e riferimenti che generano resilienza:
• Le reti di supporto e di sostegno personale e sociale
• La sensazione di esercitare una qualche
forma di governo su quanto accade
• La consapevolezza di sé e la forza dell’io
(anche come “barriera” fisica e corporale)
• La percezione di sentirsi riconosciuti parte
di un gruppo
• L’umorismo, il pensiero positivo, la risata
(Norman Cousin)
• La consapevolezza dell’autoinganno, la leggerezza.
Guido Nanni ha lavorato in aziende
(Henkel, ABB) e in agenzie di pubblicità
nazionali e internazionali (Grey, BBDO,
BGS D’Arcy) in ruoli
direttivi. Da cinque
anni è consulente
(Newton, Gramma).
Oggi, con la società
Platypus, di cui è partner, conduce progetti
di sviluppo organizzativo e di formazione
alle persone e ai team. E’ responsabile di un
corso sul Branding presso il CFMT (Centro
Formazione Terziario avanzato).
Collabora con l’Università di Bergamo.
[email protected]
SOCIETA’
Fare o apparire.
La Chiesa divisa
tra talk-show e TG
Una riflessione di Francesco Pira - che muove
dalle recenti polemiche innescate dalla vicenda
che ha visto protagonisti il Pontefice Benedetto XVI
e l’Università La Sapienza - sulle modalità
con le quali la Chiesa Cattolica si rapporta
con il mondo dei media e la società.
Pensare che non ci sia nulla di nuovo in quello che è accaduto nei giorni scorsi sui media
non è assolutamente possibile.
Mi riferisco in particolare al rapporto discusso e discutibile tra Chiesa e mass media, oltre
che tra Chiesa e Università e Politica.
La letteratura sulla comunicazione ci ha
spiegato in passato come la Chiesa di Roma
ha dedicato tutta la sua attenzione, in passato, alla copertura giornalistica "in senso
favorevole ma a far si che i valori del messaggio cristiano fossero presenti e salvaguardati anche nei mezzi non direttamente
dipendenti dagli apparati della gerarchia".
Ed il riferimento è all'Osservatore Romano,
Avvenire e Famiglia Cristiana.
Non avrei mai osato entrare in questa diatriba che per giorni ha aperto tutti i telegiornali e occupato le prime pagine dei quotidiani se non avesse minimamente toccato i
temi di cui mi occupo quotidianamente e
quindi la
comunicazione pubblica, quasi pubblica e
politica.
Sinceramente vedere il duello in tv tra
Monsignor Fisichella Rettore della Pontificia
Università e l'onorevole Pannella mi ha fatto
impressione.
Più che vedere l'onorevole, ma anche accademico, Buttiglione con i suoi colleghi delle
Università La Sapienza e Torino.
La Chiesa non ha bisogno di fare digiuni per
andare in tv" ha detto Monsignor Fisichella
puntando il suo sguardo verso il basso facendo finta di non parlare di Pannella.
La risposta non si è fatta attendere.
Giacintone il radicale ha chiosato mettendo
in seria difficoltà il faziosissimo Bruno Vespa:
"mi piace un'altra chiesa, quella dei frati
francescani e sono lontano dalla sua, da lei
vestito così che dice queste cose".
Devo dirvi sinceramente che ho provato, da
cattolico cristiano, un certo disagio.
Ho avuto la sensazione che i Monsignori o i
Cardinali (Ruini aveva rilasciato una lunga
intervista al Tg2 ) in tv fossero lontani dalla
chiesa che agisce ma non parla. Dai parroci
che in Sicilia, Calabria o Sardegna combattono tutti i giorni la malavita, o da tutti coloro
che ovunque stanno accanto ai poveri.
A chi ora dopo ora non sta in Vaticano ma è
in trincea a lavorare.
Sì quei preti che di solito si vedono nella
pubblicità dell'8 per mille. Quelli accanto
alla gente.
Ascoltare Fisichella o Ruini a Porta a Porta o
al Tg2 mi ha dato la sensazione che non ci
fosse in Vaticano più una grande regia mediatica. Mai successo nulla di tutto questo
con Giovanni Paolo II. Mai accaduto in tutto
il pontificato del Papa polacco che ci fosse una sbavatura comunicativa.
Poi l'appello, tutto mediatico, a riempire domenica piazza San Pietro per testimoniare
solidarietà al Papa. Una sorta di prova di forza da far vedere in tv per documentare che
chi non voleva il Sommo Pontefice alla Sapienza ha sbagliato.
Ho citato più volte la massima dell'Abate Dinouart che ripeteva : "è bene parlare quando si dice qualcosa che vale più del silenzio".
Ecco la sensazione di vuoto che si prova in
una competizione tra Monsignor Fisichella e
l'onorevole Pannella è questa.
Vedere porpore che si dividono tra Giuliano
Ferrara e Vittorio Feltri, che fanno bene il loro mestiere, in mezzo ad onorevoli e cattedratici fa un certo effetto.
Questo senza togliere il fatto che la lezione
del Professor Ratzinger e del Papa Benedetto XVI, insieme, sarebbe stata utile,
visto che avrebbe parlato del valore della
vita.
Ma qui siamo andati ben oltre la contestazione di un gruppo di docenti che non gradiva la presenza del Capo della Chiesa
Cattolica Cristiana. Qui è diventata una
Corrida in cui tutti devono dimostrare che
sanno cantare meglio di altri. Ma si rischia di
sentire, come accadeva nel programma di
Corrado ed oggi di Gerry Scotti, interpreti
stonati.
Ma la Chiesa non può dopo gli spot adesso
far parte dei talk show. Non perchè non
deve esporre il proprio pensiero, nè perchè
deve chiudersi a riccio. Ma come scriveva De
Kerchove già nel 1984 "sfruttare appieno
tutte le potenzialità espressive del piccolo
schermo fa correre il rischio alla Chiesa di
omologare l'espressione del sacro con gli
altri messaggi e generi dell'intrattenimento
e dell'evasione televisiva".
Comprendiamo che per Papa Benedetto XVI
raccogliere l'eredità mediatica di Giovanni
Paolo II è stato uno dei tanti pesi che deve
portare.
Così come capiamo che chi fa comunicazione
oggi per il Vaticano sa che Navarro Valls è
stato uno dei più grandi portavoce della fine
del secondo millennio e dell'inizio del terzo.
Qualunque cosa accada è che la Chiesa torni
al silenzio a cui è abituata.
Far vedere a Porta Porta i tanti sacerdoti o le
tante suore che lavorano ovunque in Italia e
realizzano progetti inimmaginabili vale molto di più che una presenza di Monsignor
Fisichella a Porta a Porta.
Ma è un'opinione. Forse suffragata dalla storia della comunicazione della Chiesa Cattolica Cristiana.
Basta rileggere l'enciclica Miranda Prorsus
del 1957 o Communio et Progressio del 1971
o i testi del Cardinale Martini sui media per
comprendere che non c'è spazio nei talkshow per una chiesa del fare.
Ma, come dicevo, è un'opinione, non la verità "sacrosanta", nè la rappresentazione della laicità mediatica. Un punto di vista.
Francesco Pira
9 / L’IMPRESA DI COMUNICAZIONE / N. 27 / 08
IL MESTIERE DI COMUNICARE
Ricerche
e comunicazione.
Le “in depth
interview”
Proseguiamo l’esplorazione delle tecniche di ricerca
applicate alla comunicazione, occupandoci
delle interviste in profondità.
Nello scorso numero de “L’Impresa di Comunicazione” abbiamo parlato dei focus
group e delle loro applicazioni nel campo del
marketing e della comunicazione. In questo
numero ci occuperemo di una tecnica d’indagine molto utilizzata: l’intervista in profondità.
Cosa si intende per intervista
Il termine “intervista”, nella ricerca sociale,
fa riferimento all’interazione – più o meno
strutturata – tra ricercatore e intervistato,
finalizzata alla raccolta di dati e informazioni rilevanti rispetto agli obiettivi d’indagine.
Il livello di strutturazione ci consente di distinguere tra tipologie d’intervista che, per
semplificazione, riconduciamo alle due macrocategorie della ricerca quantitativa e della
ricerca qualitativa.
Quando l’indagine è finalizzata alla raccolta
di dati numerici rappresentativi dell’universo
indagato, l’intervista consiste nella somministrazione di un questionario strutturato o
semi-strutturato.
È il caso delle interviste telefoniche, postali,
via web o anche faccia a faccia che ricorrono
all’ausilio di un questionario.
Quando, invece, lo scopo dell’indagine è di
approfondire la conoscenza di un fenomeno,
evidenziarne la complessità, far emergere i
fattori che lo determinano, l’intervista consiste in una discussione semi-strutturata o addirittura destrutturata tra ricercatore e intervistato.
In quest’ultimo caso, parliamo d’intervista in
profondità (“in depth interview”).
L’intervista, intesa in senso lato, può quindi
avere finalità sia quantitative che qualitative.
Questo ci aiuta a chiarire, ancora una volta,
che la distinzione tra ricerche qualitative e
quantitative fa riferimento soprattutto alle
finalità d’indagine, prima ancora che alle tecniche utilizzate, e che spesso non è opportuno utilizzare gli aggettivi quantitativo e qualitativo in riferimento alle singole tecniche.
10 / L’IMPRESA DI COMUNICAZIONE / N. 27 / 08
Le interviste in profondità, oggetto del nostro approfondimento, sono utilizzate per
indagare la complessità di un fenomeno e
hanno alcune caratteristiche distintive rispetto agli altri tipi d’intervista:
• sono faccia a faccia ovvero sono caratterizzate dal rapporto diretto tra intervistatore e
intervistato e non sono mediate da strumenti come il questionario strutturato o da mezzi
come il telefono;
• hanno un limitato livello di strutturazione,
che consente all’intervistatore di cogliere anche aspetti non considerati preventivamente;
• sono centrate sul contenuto, sui processi,
sul contesto ovvero considerano non soltanto la dimensione esplicita dell’intervista (le
opinioni dell’intervistato) ma anche gli atteggiamenti, i comportamenti, le caratteristiche culturali e valoriali, le componenti emotive e affettive, gli elementi di relazione con
il contesto, espressi anche a livello non verbale.
L’intervista in profondità, quindi, consente di
andare a fondo nel fenomeno indagato e di
osservare la realtà con gli occhi dell’intervistato, cogliendo la ricchezza del suo mondo
e favorendo una visione “olistica” della realtà osservata.
La traccia d’intervista
Malgrado le interviste in profondità si caratterizzino per un basso livello di strutturazione, è sempre necessario predisporre una traccia d’intervista che consenta all’intervistatore
di raccogliere le informazioni desiderate e di
garantire una certa uniformità tra le varie
interviste.
La traccia è una vera e propria scaletta, uno
schema costituito da alcuni temi che l’intervistatore vuole affrontare. Questa scaletta viene utilizzata come promemoria, visto che la
sequenza dei contenuti è determinata dal
libero flusso delle risposte dell’intervistato.
In questo senso, la tipologia, la successione
delle domande e il modo di porle vengono
spesso decisi in tempo reale dall’intervistatore. La costruzione della traccia presuppone,
quindi, la definizione degli obiettivi di ricerca ovvero l’esplicitazione delle informazioni
che si intende raccogliere.
Le tipologie di domande possono essere
diverse, secondo il grado di approfondimento che si vuole raggiungere.
In genere, l’intervista comincia con domande
di ampio respiro che stimolano una descrizione ampia del fenomeno indagato, con
l’intento di far emergere le variabili rilevanti
per l’intervistato.
L’approfondimento si raggiunge man mano
che l’intervista procede, attraverso domande
più specifiche e focalizzate su aspetti particolari.
In questo percorso di esplorazione e approfondimento, il modo di porre le domande è
estremamente importante e determina il
livello di disponibilità a collaborare dell’intervistato, che non deve mai sentirsi oggetto
di giudizio né forzato a rispondere in una
direzione piuttosto che in un’altra.
È bene precisare, infatti, che il fine ultimo
dell’intervista non è mai quello di rilevare le
opinioni del singolo soggetto quanto, piuttosto, quello di comprendere un fenomeno
attraverso la percezione di una o più categorie di soggetti. L’attenzione, quindi, non è su
“chi” pensa cosa ma su “come” ciò che le
persone pensano – ovvero opinioni, comportamenti, atteggiamenti, emozioni ecc. – influisce nella determinazione di un fenomeno.
Il ruolo dell’intervistatore
Questo breve excursus ci ha consentito di
mettere in evidenza la dimensione relazionale dell’intervista in profondità e di mostrare
quanto il ruolo del ricercatore sia cruciale per
il buon funzionamento dell’indagine.
Il compito dell’intervistatore è anzitutto
quello di mettere a proprio agio l’intervistato, stabilire una relazione di fiducia, contenere e gestire le reazioni di difesa o di chiusura dell’intervistato.
L’intervistatore deve prestare attenzione a
non influenzare le risposte dell’intervistato,
né verbalmente né attraverso atteggiamenti
paraverbali che possano influire sulla spontaneità dell’intervistato sia a livello logicorazionale sia a livello emotivo. Così come il
ricercatore è interessato agli elementi non
verbali della discussione (per esempio la postura, il livello di attenzione, la mimica facciale, i gesti ecc.), allo stesso modo egli stesso
dovrà fare attenzione al proprio comportamento non verbale, dovrà mostrare interesse
ed evitare di porsi in maniera giudicante.
Claudio Avallone - [email protected]
Come accade per altre tecniche di tipo qualitativo, anche l’intervista in profondità può
essere audio o video-registrata.
Tuttavia, nella prassi comune, diventa spesso
impossibile ricorrere a qualunque tipo di registrazione che non sia la trascrizione sotto
forma di appunti del ricercatore.
L’opinione dei singoli soggetti, infatti, sebbene non sia di per sé oggetto di indagine, è un
elemento che deve essere preservato, non solo in applicazione della normativa in materia
di tutela della privacy e in rispetto ai principi
di deontologia professionale ma anche per
favorire un maggiore livello di disponibilità a
“scoprirsi” da parte dell’intervistato.
Tanto è importante garantire la riservatezza
delle opinioni personali che, prima di cominciare l’intervista, è sempre bene specificare
quali finalità si vogliono raggiungere e come
verranno trattate le informazioni raccolte.
Questo consente di stabilire “un patto di
fiducia” tra ricercatore e intervistato.
La trascrizione di informazioni da parte dell’intervistatore costituisce, quindi, un elemento prezioso. Sta alla sensibilità del ricer-
catore e alla sua esperienza cogliere gli elementi rilevanti ai fini dell’indagine, fissarli
attraverso appunti scritti e rielaborarli subito
dopo l’intervista in modo da integrarli con
eventuali osservazioni fatte “a freddo”.
Il risultato di questa operazione consiste in
un report di ricerca che raccoglie e categorizza le principali tematiche emerse e il modo in
cui sono state affrontate dagli intervistati.
Anche in questo caso, come in quello dei focus group, il risultato finale è in buona parte
affidato alla discrezionalità del ricercatore
che, per garantire un elevato livello qualitativo, dovrà esplicitare le tappe del processo
che ha portato alle conclusioni e mettere in
evidenza i dati di realtà disponibili, per esempio citando le parole espresse dagli intervistati.
Insieme ai focus group, le interviste in profondità richiedono altissimi livelli di competenza da parte del ricercatore, non solo in fase di progettazione, ma anche in fase esecutiva, sul campo.
Per questo motivo, questa tecnica d’indagine
viene utilizzata soprattutto in contesti nume-
ricamente ristretti, per esplorare la percezione di un problema o per approfondire la
comprensione di un fenomeno.
È il caso, per esempio, delle indagini che coinvolgono il top management di un’organizzazione – amministratore delegato, alti dirigenti, responsabili di funzione – o la rete
vendita di un’azienda.
I campi di applicazione sono moltissimi e, per
limitarci al marketing e alla comunicazione,
possiamo citare le indagini sul posizionamento di un nuovo prodotto o sulla brand equity,
le rilevazioni sulla soddisfazione.
Spesso anche gli interventi di consulenza –
finalizzati a definire una nuova strategia di
marketing, piuttosto che a valutare l’efficacia e la coerenza di un’idea creativa, di una
campagna di advertising o a inventare un
nuovo prodotto – possono beneficiare dell’utilizzo di tecniche di ricerca come le interviste
in profondità, molto utili per esplorare una
strada da percorrere, per raccogliere spunti e
contributi, per favorire una più ampia comprensione del problema oggetto della consulenza.
Claudio Avallone
11 / L’IMPRESA DI COMUNICAZIONE / N. 27 / 08
DIRITTO E COMUNICAZIONE
Il nuovo codice
di Autodisciplina
della comunicazione
commerciale
Il 21 gennaio 2008 è entrato in vigore il niovo Codice
di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale
che sostituisce il Codice di Autodisciplina Pubblicitaria.
Il nuovo testo propone novità interessanti
ed una maggiore tutela anche delle startegie di marketing
diretto e di promozione.
Il nuovo codice, approvato dal Consiglio Direttivo dell’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria il 13 novembre scorso, amplia il campo
di azione del sistema autodisciplinare, prendendo spunto dagli interventi del legislatore
in materia di pratiche commerciali sleali (primo fra tutti la direttiva 2005/29/CE, ma poi
anche i D.Lgs. n. 145/2007 e il D. Lgs. n. 146/
2007) e dalla giurisprudenza del Giurì, che ha
sempre interpretato in modo ampio il concetto di “pubblicità”.
Il D.Lgs. n. 147/2007, che ha modificato il
Codice del consumo, in applicazione della direttiva comunitaria sulle pratiche commerciali sleali, ha previsto l’adozione di codici di
condotta da parte delle associazioni ed organizzazioni imprenditoriali e professionali, in
relazione ad una o più pratiche commerciali
e ad uno o più settori imprenditoriali.
Espressione del codice di condotta del mondo della comunicazione è il Codice di Autodisciplina, che, per adattarsi alle nuove esi-
Riferimenti legislativi
- Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale
- D. Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, Codice del
Consumo
- D. Lgs. 2 agosto 2007, n. 145, Attuazione
dell'articolo 14 della direttiva 2005/29/CE
che modifica la direttiva 84/450/CEE sulla
pubblicità ingannevole
- D.Lgs. 2 agosto 2007, n. 146, Attuazione
della direttiva 2005/29/CE relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno e che modifica le direttive 84/450/CEE, 97/7/CE, 98/27/
CE, 2002/65/CE, e il Regolamento (CE) n.
2006/2004
12 / L’IMPRESA DI COMUNICAZIONE / N. 27 / 08
genze introdotte dalla normativa sopra citata, si è evoluto nel nuovo testo appena entrato in vigore.
Comunicazione commerciale
in luogo di pubblicità
Le novità sono molte. Innanzi tutto alla parola pubblicità è stata sostituita la dizione “comunicazione commerciale”, ampliando così
notevolmente l’applicabilità del codice ed il
raggio di azione e di intervento degli organi
autodisciplinari.
Il Giurì potrà così, intervenire anche in materia di promozioni commerciali, di direct marketing, di comunicazioni commerciali diffuse
attraverso i new media, ma anche, entro certi ambiti, negli eventi e nelle relazioni pubbliche, quando vengano diffusi messaggi
volti a coinvolgere il pubblico, quando comunque si promuova la vendita di beni o servizi.
La comunicazione commerciale viene definita (Norme Preliminari e Generali, lettera d)
come la pubblicità e ogni altra forma di comunicazione, anche istituzionale, diretta a
promuovere la vendita di beni o servizi, qualsiasi siano le modalità utilizzate.
Rientrano in tale concetto anche le forme di
comunicazione sociale, di cui al Titolo VI del
codice, mentre, per espressa disposizione, rimangono escluse le politiche commerciali e
le tecniche di marketing in sé considerate.
Nel definire il significato di prodotto (non
modificando, in questo, la precedente versione), il nuovo testo precisa, in questo innovando, che la natura del prodotto o del servizio, in sé considerata, non forma oggetto
del codice.
Una grossa novità si rinviene nell’ art. 2 (Comunicazione commerciale ingannevole), dove viene precisato il metro di giudizio della
comunicazione ingannevole, metro che è
costituito dal consumatore medio del gruppo
di riferimento. Il consumatore più sprovveduto, con un’ evoluzione giurisprudenziale che
si è spiegata nel tempo, non costituisce più il
parametro di misura dell’ingannevolezza,
ma l’aspetto più interessante è costituito dal
riferimento al gruppo, ossia alla tipologia di
consumatori di quel determinato prodotto o
servizio.
E’ evidente che, a seconda del tipo di prodotto o di servizio, il mercato di riferimento,
dal punto di vista delle capacità del consumatore, cambia notevolmente.
I consumatori, ad esempio, di prodotti altamente tecnologici hanno tipicamente una
maggiore capacità di discernimento rispetto
ai consumatori di detersivi da bucato, per il
semplice fatto che i primi appartengono comunque ad un gruppo culturalmente preparato, attrezzato per cogliere le diverse sfumature del messaggio, attento alla sostanza.
Il secondo gruppo di consumatori è molto
più vasto, per questo più indiscriminato,
comprende anche i soggetti più deboli (bambini ed anziani, ad esempio), quelli meno
colti, meno sofisticati, meno smaliziati, soggetti che meritano una tutela più ampia rispetto all’ingannevolezza, perché il loro livello medio è, senza dubbio, diverso rispetto
a quello della categoria precedente.
L’indicazione del consumatore medio costituisce anche un po’ lo specchio dell’evoluzione dei tempi. Si può dire che oggi il consumatore non è più debole come un tempo, ma
è senz’altro più avveduto.
Per altro, l’introduzione del concetto di avvedutezza media in riferimento al consumatore è avvenuto attraverso il D. Lgs. n. 146/
2007, a cui sopra abbiamo fatto cenno, che
ha modificato il Codice del consumo.
Proprio l’art. 21 del Codice del consumo considera ingannevole una pratica commerciale,
che contiene informazioni non rispondenti al
vero o tale da essere idonea ad indurre in
errore il consumatore medio.
L’ entrata in vigore del nuovo codice ha ricadute notevoli non solo per il consumatore, i
cui interessi sono tutelati in tutte le forme di
comunicazione commerciale, ma anche per
gli operatori del sistema. Si pensi, in particolare, a quanto viene cambiata e ampliata la
tutela della creatività.
Il primo comma dell’art. 13 CAP sanciva che
“Deve essere evitata qualsiasi imitazione
pubblicitaria servile anche se relativa a prodotti non concorrenti, specie se idonea a creare confusione con altra pubblicità”.
Il nuovo testo dell’art. 13 recita, invece: “Deve essere evitata qualsiasi imitazione servile
della comunicazione commerciale altrui anche se relativa a prodotti non concorrenti,
specie se idonea a creare confusione con l’altrui comunicazione commerciale”.
Una tutela più estesa
E’ evidente che mentre prima era tutelata
a cura di Fiammetta Malagoli - Consulente legale Unicom
dalle imitazioni sostanzialmente la campagna pubblicitaria o comunque la pubblicità
sui mezzi classici, oggi anche il meccanismo
di un concorso a premio, una forma innovativa di marketing diretto, un evento volto alla
promozione di un prodotto e di un servizio
trovano tutela in sede autodisciplinare.
Grazie all’apertura offerta dal nuovo codice
e all’allargamento a forme di comunicazione
che evadono dalla restrittiva definizione di
pubblicità, tanti strumenti di comunicazione
nuovi ed originali potranno finalmente giovarsi di quell’ unico strumento di forte difesa
della creatività che è costituito dall’ art. 13
del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale.
Tutela della creatività
Un discorso non dissimile si può fare in relazionagli articoli del codice contenuti nel Titolo V, intitolato “Tutela della creatività” (articoli 43, 44 e 45).
In particolare il titolo dell’art. 43 del codice,
un tempo “Progetti pubblicitari”, già da epoca antecedente alla nuova versione del Codice di Autodisciplina, è divenuto “Progetti
creativi”, ampliando il raggio di azione a
tutto un settore prima non incluso.
Si pensi all’ideazione di un progetto, nel
quale si inseriscano molteplici azioni di co-
municazione, che comprendano anche, ad
esempio, eventi o promozioni.
Mentre, nella vecchia edizione del CAP, erano proteggibili, mediante il deposito presso
o IAP, solo i progetti pubblicitari (quindi le
campagne vere e proprie), oggi le agenzie
possono depositare, ai sensi dell’art. 43, nuovo testo, anche il progetto relativo al meccanismo di una manifestazione a premio o un’iniziativa di direct marketing.
Naturalmente, per l’operatività degli articoli
13 e 43, sarà necessario che si tratti sempre di
iniziative rivestenti i caratteri della novità e
dell’originalità.
Anche l’art. 44 (Avvisi di protezione), che
costituisce un’ulteriore forma di tutela della
creatività, ha trovato una nuova redazione.
Nella precedente versione del CAP, ai fini
della tutela delle creazioni pubblicitarie, potevano essere depositati presso lo IAP gli
annunci isolati utilizzati come anticipazione
e a protezione di una campagna.
Secondo l’attuale normativa autodisciplinare, ai fini della tutela degli elementi creativi
della comunicazione commerciale, possono
essere depositati i messaggi isolati utilizzati
come anticipazione e a protezione di una
campagna di comunicazione.
Un discorso non dissimile vale per l’art. 45 del
codice, relativo, nella vecchia versione, alla
pubblicità svolta all’estero ed oggi alla
comunicazione svolta all’estero.
Anche in questo caso non sfugge l’ampliamento della sfera di protezione, che si trasla
al concetto più ampio di comunicazione.
Anche alla luce del Codice del consumo,
nella sua versione novellata dal D. Lgs. n.
146/ 2007, balza in tutta evidenza l’importanza dell’autodisciplina.
L’art. 27-bis del Codice del consumo, infatti,
prevede che i consumatori ed i concorrenti,
anche tramite le loro associazioni o organizzazioni, prima di avviare la procedura
davanti all’Autorità Garante della concorrenza e del mercato, possano convenire con
il professionista di adire preventivamente un
organismo di autodisciplina al fine di vietare
o a far cessare la continuazione della pratica
commerciale scorretta.
In questo senso, l’Autodisciplina si affianca
agli organi di giustizia dello Stato, anche
con la funzione di alleggerirne gli oneri.
Fiammetta Malagoli
Consulente legale Unicom
Diffamazione e diretta televisiva.
Interviene la Cassazione
La Corte di Cassazione ha emesso un’interessante sentenza in tema di responsabilità del
giornalista televisivo, che intervista in diretta
un ospite.
Si tratta della sentenza n. 3597 - 23 gennaio
2008, emanata dalla quinta sezione penale
della Suprema Corte. Nel corso di un’intervista televisiva rilasciata ad un’emittente locale, il soggetto intervistato aveva accusato il
proprietario di un terreno confinante con
l’aeroporto, di tenere tale appezzamento
ingombro di rifiuti, tanto da averlo, di fatto,
reso una discarica. Nei confronti del giornalista il GIP aveva ritenuto che non vi fosse luogo a procedere in ordine al reato di diffamazione, essendo egli assolutamente inconsapevole delle dichiarazioni che avrebbe reso il
soggetto intervistato.
In relazione al diritto di cronaca, la sentenza
affermava che sia il giornalista sia il direttore
della testata avevano accertato la verità del
fatti segnalati, ossia la presenza, sul terreno,
di carcasse di autoveicoli e rottami.
Avverso la sentenza ricorreva in cassazione il
soggetto che si era ritenuto leso (e che si era
costituito parte civile), evidenziando come,
invece, il giornalista partecipi alla diffusione
delle affermazioni lesive dell’altrui reputazione e, da un punto di vista fattuale, che i
rifiuti si sarebbero trovati su un terreno con-
finante con quello della parte lesa, come una
semplice visione delle carte avrebbe dimostrato.
La Corte di Cassazione ha posto in evidenza
che il concetto di cronaca presuppone l’immediatezza della notizia e la tempestività
dell’informazione, con la conseguenza che
talvolta l’esigenza di velocità può sacrificare
l’accuratezza della verifica che la notizia
risponda al vero e sulla bontà della fonte. Nel
caso di diretta televisiva, quando le notizie
provengono da una fonte non “filtrata”, non
si può pretendere dal giornalista di effettuare un controllo, neppure rapido, prima di
diffondere la notizia, né si può pretendere
che egli verifichi la fondatezza della stessa,
perché la notizia viene contemporaneamente fornita e diffusa.
Questa contestualità nell’assunzione della
notizia e nella sua fruizione da parte del
pubblico impedisce all’intervistatore di vagliarne la fondatezza.
I principi stabiliti dalla Corte Suprema in materia di intervista diffusa attraverso la stampa
devono essere re-interpretati alla luce delle
caratteristiche del mezzo televisivo ed in considerazione della contestualità tra la raccolta
dell’intervista e la sua diffusione. L’obbligo di
controllo di veridicità, che il giornalista deve
operare prima di diffondere una intervista
sulla stampa, non può essere semplicemente
traslato al giornalista televisivo che operi in
diretta, proprio perché quest’ultimo non può
controllare ciò che non conosce e, men che
meno, può controllare la veridicità delle
informazioni fornite in un’intervista che, di
fatto, non è stata ancora rilasciata. Tuttavia,
il giornalista ha un obbligo di accuratezza
nella scelta dei soggetti da intervistare, nel
senso che dovrà adottare qualche cautela ed
evitare, ovviamente nei limiti del dovere di
informazione, di dare la parola a soggetti
che prevedibilmente che approfitteranno per
commettere i reati, non rispettando il diritto
di cronaca o di critica.
All’interno di un’intervista rilasciata in diretta, ogni qual volta l’intervistato travalichi i
limiti, il giornalista ha anche l’obbligo di intervenire, se possibile, interloquendo, chiedendo spiegazioni e precisazioni, chiarendo
che il punto di vista espresso è quello dell’intervistato.
Considerazioni analoghe a quelle sopra svolte, secondo la Corte, possono farsi anche per
il direttore della struttura, che non può essere tenuto responsabile per non aver impedito l’evento diffamatorio: egli, infatti, pur trovandosi in studio, non è neppure in contatto
diretto con l’intervistato.
Fiammetta Malagoli
13 / L’IMPRESA DI COMUNICAZIONE / N. 27 / 08
CONSUMI E SOCIETA’
Dal supermarket
all’outlet
Gli spazi commerciali e d’intrattenimento sono le piazze
dei giorni nostri, dove, però, non si comunica
e non si socializza, ma si compra e si spende.
Un viaggio attraverso la storia della grade distribuzione
possiamo forse meglio comprendere
comportamneti ed attese del consumatore d’oggi.
Piggly Wiggly non è un parente di Humpty
Dumpty, la testa d’uovo che Alice incontra
nel Paese delle Meraviglie. E’ il primo supermercato della storia, l’ha aperto Clarence
Saunders a Memphis, Massachussets, nel lontano 1916. La sua particolarità consisteva nel
libero servizio, quel “servitevi da soli, pagate
alla cassa” che, presente come motto nei
primi supermercati italiani, ci avrebbe istruito al nuovo metodo di vendita.
Michael Cullen, anch’egli statunitense, perfezionò il concetto con la catena King Cullen,
che nel 1930 ha introdotto l’idea di vendere
quantità di merce varia sotto lo stesso tetto.
Hanno cambiato la nostra vita, perchè hanno
coniato una nuova modalità di interazione
col mondo.
In Italia il primo supermercato ha aperto i
battenti nel 1956. Nel 1960 - informa Vera
Zamagni in quella pietra miliare della “storiografia alimentare” che è la Storia d’Italia.
Annali, vol. 13 (Einaudi 1998) - sono solo 16.
Salgono a 528 nel 1970 e a 1.959 nel 1982. Gli
ipermercati erano solo 2 nel 1972; nel 1991
erano saliti a 188.
16 / L’IMPRESA DI COMUNICAZIONE / N. 27 / 08
“In un grande magazzino, una volta al mese,
spingere un carrello pieno sottobraccio a te,
far la coda mentre sento che ti appoggi a
me”.
E’ il 1978, la canzone si intitola Perchè no e fa
parte dell’album Una donna per amico, tra i
più felici di Lucio Battisti. Una melodia irresistibile sostiene il testo di un Mogol in forma
e scolpisce nell’immaginario collettivo istanti
che già all’epoca tutti sperimentano: a chi,
fra gli uomini, non è capitato di accompagnare la propria bella - agognata o conquistata - in un supermercato, e a chi, fra le
donne, non è successo di farsi accompagnare
a fare la spesa dal maschio servente o spasimante?
E’ un rito di passaggio, quando non ancora di
possesso. E lo dobbiamo a quel cambio di
costumi che consegue al mutato rapporto tra
acquirente-consumatore e luoghi-strategie
di vendita.
“Niente orologi nei supermarket” è la Regola NUmero Uno dei manuali USA del marketing. Lì il tempo non passa. Fare la spesa
diventa qualcosa di simile ad un infinito bagno rigenerante.
L’evoluzione dei costumi
Dove l’evoluzione di simili riti ci abbia condotti oggi l’attesta inoppugnabile e appassionato Aldo Cazzullo in Outlet Italia, dove
rendiconta la sua sorta di odissea tra le megastazioni di intrettenimento commerciale
ormai diffuse in tutto il Nord e il Centro Italia
(al Sud, per ora, si moltiplicano piuttosto gli
hard discount e sorge qualche ipermercato:
le grandi aziende, come Ikea che ha or ora
soprasseduto sull’annunciata sede catanese,
diffidano delle “regole” che vigono da quelle parti). E dovrebbe rimanere chiaro che non
soltanto di sviluppo commerciale si è trattato, bensì di un mutamento dei costumi che ci
ha rivoluzionati nell’animo.
Se si vuole esaminarne la scansione storica
italiana, e coglierne meriti e difetti, aiuta
rifarsi a libri come quello firmato a quattro
mani da Franco A. Fava e Riccardo Garosci.
In C’era una volta il supermarket... e c’è
ancora, un sociologo e un imprenditore seguono, quasi inseguono, ciò che è accaduto
agli italiani nel decorso della storia recente e
nell’evoluzione delle strategie commerciali.
Se il riscontro scientifico è interessante, illuminante e concreta appare la sezione “esperienziale”, che illustra sotto il segno positivo
di una famiglia - quella medesima dei liguri
Garosci, cresciuti tra la Francia e Torino - il
meglio di ciò che è avvenuto a tutta la nazione: sia a quella parte, cioè, che ha avuto le
idee e ha assunto le iniziative, sia a quell’altra che ne ha tratto dapprima beneficio e,
poi, anche stimolo a cambiare il proprio modo di guardare il mondo.
Una storia italiana esemplare.
Giuseppe Garosci era un produttore di olio e
vino che verso il 1930 scoprì come un negozio di rivendita al minuto, infoltito di generi
alimentari a disposizione dei clienti, dotato
di una bilancia per il pubblico, spartano ma
efficiente, poteva indurre un atteggiamento
più attivo e più propositivo in chi entrava a
comperare.
Un’intuizione analoga a quella di Saunders e
Cullen, ancorchè in un ambiente sociale assai
meno industrializzato.
I decenni successivi gli avrebbero dato ragione e avrebbero colmato la lacuna strutturale:
se occorsero soltanto due anni per aprire un
secondo esercizio (e per coniare la SARI Spacci Alimntari Razionalizzati Italiani), negli
anni cinquanta si sviluppava il Consorzio
Cooperative Consumo del Piemonte, quattordici negozi-filiali, e nel 1959, a Torino, s’inaugurava uno dei primi supermercati italiani (il primo in assoluto fu quello napoletano
Magazzini Standard, ovvero Standa; seguirono a ruota Milano e Roma).
Sono iniziative brillanti, nel contesto in cui
vengono concepite e proposte. Un’altra, emblematica, è raccontata in Autogrill, avventura nata nel 1947 dal genio di Mario Pavesi e
oggi leader nel settore. La ditta Garosci (al
capostipite subentrano figli e nipoti) vende,
compra, si dilata, promuove consorzi commerciali - come la Végé italiana, del marzo
1959 - che imprimono una svolta alla qualità
e alla quantità della distribuzione, per esempio con i primi prodotti a marchio commerciale proprio: ovvero gli stessi delle grandi
marche, ma rietichettati per la catena e a
prezzi inferiori.
Nel 1972 inventano i “bollini di sconto”, antesignani di tessere punti e moderne card.
Impressionante la trasformazione degli anni
ottanta: nel 1980 Garosci spa fattura 83 miliardi e conta 330 dipendenti; nel 1983 arriva
a 220 miliardi, l’anno dopo a oltre 270.
Nel 1986, raggiunti i 335 miliardi, si lancia nel
primo megamercato, Megasidis, 4.500 metri
quadri, alla periferia di Imola.
Storie umane di industriali
Comincia la partnership con Promodès, colosso distributivo francese da 8.000 miliardi di
fatturato annuo. Si avviano gli ipermercati
della catena Continente.
Uscito nel 1989 dalla catena Végé, il gruppo
Garosci si allea con Pam e nel 1991 raggiunge mille miliardi di fatturato toccando i 1.600
dipendenti. E’ tra le prime sette aziende italiane del comparto distributivo. E’ conosciuto
con svariati marchi, per esempio Dì per Dì,
che nel 1989 conta 400 punti vendita.
A quel tempo i dipendenti del gruppo sono
oltre quattromila.
è vero che esso condiziona tutto. Dai ritmi
sonno-veglia a quelli dell’alimentazione,
dalla regolazione delle nascite a quella dell’età matura.
Non sussiste “tempo libero” perchè il tempo
che non si trascorre lavorando va impiegato
a ricompensare lo stress.
Stiamo consapevolmente generalizzando. E
tuttavia è difficile sfuggire all’impressione
che nella corsa universale verso gli outlet, gli
ipermercati, i centri commerciali, i villaggi
vacanze, i cinema multisala, le Spa, le discoteche, luoghi tutti in cui la presenza si traduce in scambio anonimo di denaro e merce, vi
sia qualcosa di sintomatico e di allarmante.
Qualcosa, anche, di antico. Che rassomiglia al
panem et circenses. Come dire che certe parti
di noi sono sempre lì.
Però è cambiata la loro contestualizzazione.
Una lettura senza peli sulla lingua deve addebitare al mercato - all’odierna interpretazione che diamo del mercato - la monetizzazione di aspetti umani che non dovrebbero
essere negoziabili.
Il punto vendita come “narrazione”
La moderna legge del consumo - teorizzata
e canonizzata - configura il luogo commerciale come “una narrazione, una storia
attraente e in movimento, piena di sorprese
e colpi di scena” in cui il cliente è coinvolto,
sicuramente attore più che spettatore. E tuttavia preda designata dell’ “effetto flipper”:
scaraventato entro un percorso obbligato
dove tutto è già previsto. Un’evasione da cui
non si evade.
Se è vero, è utile che ci vengano riproposte
le storie imprenditoriali che hanno privilegiato, nel lavoro e nel commercio, l’incontro
tra persone soddisfatte e da soddisfare.
Dove soddisfare deriva dal latino satis facere, fare abbastanza.
Tutto si riduce o si dilata, a intendersi sull’avverbio “abbastanza”.
Giuseppe Romano
da Il Domenicale del 02.02.08 p.g.c.
(continua sul prossimo numero)
Spiccano, in storie come questa, elementi che
trascendono il mero computo di costi e benefici. Se si compulsano le migliori vicende aziendali italiane, specie quelle fondate su singoli imprenditori o famiglie, non di rado si
incontrano persone di grande caratura umana, regole severe e rispettose delle persone,
rigore amministrativo, associato al coraggio
di guardare oltre le abitudini.
Gran parte di questo patrimonio umano “cultura aziendale” - viene meno quando
l’Italia, a cavallo degli anni Ottanta e Novanta, abbandona le proprie radici commerciali
e industriali per gettarsi in avventure finanziarie e borsistiche.
Probabilmente era inevitabile, in vista di ciò
che poi avremmo definito “globalizzazione”,
senza dire che c’era poco da fare contro l’invasione delle multinazionali.
Tuttavia non c’è da stupirsi se a un mondo
imprenditoriale sganciato dalle proprie origini “umanistiche” facciano riscontro modelli e
strategie di vendita sempre più caratterizzati
da proposte fredde: che prendono il consumatore per la gola, in tutti i sensi, obbligandolo a seguire istinti accuratamente catalogati e solleticati dai responsabili marketing.
Il discorso si fa complesso e, insieme, generale: riguarda quella società di massa che è
società del consumo e trova nello “svago” il
contraltare indispensabile di un lavoro che
(Marx non aveva tutti i torti) può alienare, se
17 / L’IMPRESA DI COMUNICAZIONE / N. 27 / 08
EVENTI
Gli ulivi di Puglia
in mostra a Roma
Ha ottenuto uno straordinario successo di critica
e di pubblico la mostra delle opere fotografiche
di Luca de Napoli e Ada Milone
sugli ulivi monumentali di Puglia
ospitata nelle Scuderie Ruspoli dello Spazio Etoile.
C'è anche un pizzico di erotismo negli ulivi di
Puglia descritti da Luca De Napoli e Ada
Milone nella mostra «Segreti scolpiti».
Una trentina tra fotografie (di De Napoli,
nato a Bari nel 1947) e dipinti (di Milone,
nata a Francavilla Fontana) che descrivono
gli ulivi secolari, candidati a diventare «patrimoni dell'umanità».
All'inaugurazione del 21 gennaio scorso
hanno partecipato, oltre al presidente Nichi
Vendola
e
all'assessore
regionale
all'Ecologia, Michele Losappio, anche l'attore
Sergio Rubini e Felice Laudadio, direttore
artistico della Casa del cinema di Roma.
Segreti Scolpiti è un progetto (meglio, una
campagna di sensibilizzazione) a cui De
Napoli e Milone hanno dato vita a Bari nel
2001. L'anno dopo la mostra è stata allestita
a Strasburgo - nella sede del Parlamento
europeo - quindi ha girato l'Italia e nel 2004
ha fatto tappa anche a Parigi.
La soddisfazione più grande è stata però
ottenuta a Bari, dove il 4 giugno 2007 è stata
promulgata la legge regionale sulla «Tutela e
valorizzazione del paesaggio degli ulivi monumentali della Puglia».
Per festeggiare l'evento, nel settembre scorso è tornata nel capoluogo pugliese ed è
stata allestita nel foyer del teatro Piccinni.
Tutte le informazioni sul progetto - che comprende anche libri fotografici e raccolte di
serigrafie - sono disponibili sul sito www.segretiscolpiti.com.
La critica
“Vedere è sempre vedere più di quanto si
vede” ammoniva negli anni Sessanta con elegante gioco di parole Merleau-Ponty, il maestro della école du regard.
Lo sguardo con cui Luca De Napoli ha indagato l’ulivo inseguendolo e fissandolo albero
per albero, tronco per tronco, lungo un tracciato territoriale di cui ha fissato ogni tappa,
ogni luogo, quello di chi vuole scoprirne
l’essenza di materia, la sua capacità di
sprigionare visioni, il suo segreto metamorfico. Un po’ come il segreto di quel “bosco vecchio” di Dino Buzzati in cui ogni tronco ha
un’anima, nasconde un personaggio, dice
cose che l’orecchio umano non intende.
Ma non si tratta, avvertivo, di spiritualismo,
di un approccio romantico alla natura come
“foresta di simboli”, cara a Baudelaire.
Queste fotografie che inquadrano come
sotto la lente di un microscopio un pezzo di
ulivo, si soffermano innanzi tutto sulla sua
consistenza tattile, la sua orografia per così
dire, la suggestione materica. Di volta in
volta essa dice di asperità solcate da ferite o
di sensuali velluti. Scorre sinuosa ed accesa
come fiotti di lava vulcanica oppure ha la stesura larga solida e solenne di rocce del pleistocenico. Una materia, il legno d’ulivo, che
non solo ha anime diverse ma rivela ancor
meglio, all’osservazione ravvicinata, quella
sua natura drammatica che sempre ha affascinato gli osservatori.
La drammaticità sta nel movimento contorto,
la spirale, il gorgo. Un palinsesto scritto dal
tempo, accumulo di vita.
Pietro Marino
Luca De Napoli
Luca De Napoli è nato a Bari il 16 gennaio del
1947, titolare e amministratore delegato del
Gruppo di Comunicazione GH2 (associato
Unicom).
Ha iniziato la sua attività di comunicatore nel
1969, avviando un processo di qualificazione
delle aziende pugliesi nella direzione della
comunicazione pubblicitaria.
Con attività di
docenza e di formazione ha educato generazioni
di operatori pubblicitari, contribuendo così alla
realizzazione di
professionalità
emergenti da collocare nel mondo
del lavoro.
18 / L’IMPRESA DI COMUNICAZIONE / N. 27 / 08
Specialista di comunicazione pubblicitaria,
di tecniche di stampa, di grafica editoriale e
graphic design ha ottenuto numerosi riconoscimenti per la comunicazione, nazionali
e internazionali.
Ricopre incarichi di consulenza per Enti e
grandi aziende private.
Nel campo della fotografia svolge attività di
ricercatore e operatore dal 1967, esperienza
che ha applicato nell’attività di comunicatore pubblicitario.
19 / L’IMPRESA DI COMUNICAZIONE / N. 27 / 08
NUOVA COMUNICAZIONE
Come api sul miele.
La teoria dello sciame
Il passaparola on line si sta affermando come
efficace modalità di comunicare.
La chiave di lettura di questo fenomeno potrebbe
essere la “teoria dello sciame”, enunciata da
Chuck Bryner, CEO di DDB Worlwide
e mutuata dall’osservazione della natura.
Il nostro lavoro ci chiede di affrontare numerose sfide quotidiane. Dobbiamo interpretare le nuove tendenze, osservare la direzione
del mercato e scegliere i mezzi più adatti per
stuzzicare i gusti del nostro target.
Il nostro lavoro diventerebbe assai più semplice se conoscessimo il meccanismo segreto
che regola le scelte e le decisioni dei consumatori.
Eppure, c’è chi sostiene che la rivelazione di
questo segreto sia sempre stata sotto i nostri
occhi.
concetto, è sufficiente guardare il volo di uno stormo di uccelli. Lo stormo si muove attorno a un “centro”, un polo di attrazione
che può essere del cibo, oppure un albero. Il
volo è preciso, coordinato e armonioso, sebbene non esista un leader che indichi una
direzione. Talvolta lo stormo sembra una creatura dotata di intelligenza propria. Invece è
il risultato della somma di azioni elementari
dei singoli uccelli: evitano di urtarsi l’un l’altro e cercano di mantenere una velocità costante.
Chuck Brymer, CEO della DDB Worldwide, in
un recente articolo su AdWeek ha suggerito
un’interessante chiave di lettura per descrivere il complesso mondo del mercato, basandosi sulla “swarm theory”, la teoria dello
sciame.
Api e formiche
Un’ispirazione ancora maggiore viene da insetti sociali come formiche e api.
Una colonia di formiche è in grado di risolvere problemi di strabiliante complessità come
costruire un nido perfettamente organizzato, trovare il tragitto più breve verso il cibo,
difendere il territorio. La colonia è un sistema auto-organizzato. Tutti svolgono compiti
elementari, nessuno “comanda”. Anche la
regina non ha altro ruolo, se non quello di
deporre le uova.
È incredibile constatare come un livello così
sofisticato di organizzazione derivi dalla
somma di azioni elementari.
La singola formica è come un minuscolo robot che risponde a semplici stimoli olfattivi
con un’azione pre-programmata. Milioni di
interazioni semplici danno vita a un comportamento immensamente complesso.
Questa teoria è stata elaborata alla fine degli
anni ’80 dagli studiosi di intelligenza artificiale. Essa ha permesso di elaborare soluzioni innovative a problemi di grande complessità, grazie ad algoritmi che traggono ispirazione dall’osservazione del comportamento
animale.
La teoria dello sciame studia i sistemi autoorganizzati, nei quali un’azione complessa
scaturisce da una sorta di “intelligenza collettiva”.
Come sottolinea il biologo Thomas Seeley,
dell’Università di Cornell, le api hanno un
comportamento ancora più raffinato, che diventa cruciale quando gli insetti devono
prendere decisioni importanti come la scelta
di un nuovo nido.
Anche nel caso di questi insetti, però, i singoli elementi della colonia agiscono senza un
leader, e probabilmente senza la consapevolezza di far parte di un sistema di una grande complessità. Dal punto di vista dell’ape, il
“quadro generale” è sconosciuto.
Per avere un’idea esemplificativa di questo
Con una grande semplificazione, si potrebbe
20 / L’IMPRESA DI COMUNICAZIONE / N. 27 / 08
dire che anche tra le persone esistano dinamiche comportamentali simili a quelle degli
sciami del regno animale.
Il mondo dei consumatori, per esempio, è
animato da principi simili a quelli enunciati
dalla “teoria dello sciame”. Esiste un “centro” d’attrazione, ed esistono i singoli che
compiono azioni relativamente semplici (decidere, scegliere e comprare). I singoli consumatori fanno parte di un sistema di enorme
complessità, del quale non possiedono la
chiave di lettura.
Forse, è possibile comprendere i meccanismi
occulti dietro alcune azioni di questi singoli.
Il fenomeno è ben noto su Internet, nelle
community virtuali e nei social networks. In
particolare in questi ultimi, le proprie decisioni sono spesso influenzate da quelle dei
conoscenti più vicini. In altre parole, la rete
“va” grazie al buon vecchio “passaparola”.
Il grande ritorno del “passaparola”
A sostegno di questa teoria ci sarebbero alcuni sorprendenti studi statistici. La GFK Roper
Consulting, per esempio, ha di recente condotto un’indagine sulle principali fonti di
informazione quando bisogna intraprendere
una scelta.
Parenti e amici sono considerati tra le fonti
considerate più autorevoli e fidate.
I risultati sono stati confermati anche da una
ricerca simile condotta dall’agenzia Ketchum
e dall’Università del Sud della California.
Così, il passaparola e la condivisione delle
informazioni sembrerebbero vincenti sulla
pubblicità, soprattutto per quanto riguarda
piccole decisioni come “l’acquisto di un elettrodomestico o la scelta di una destinazione
per le vacanze”.
Quando la stessa informazione e credenza su
un determinato prodotto si diffonde fino a
contagiare milioni di persone, il passaparola
diventa una forza prodigiosa in grado anche
di trasformare radicalmente un brand.
Questo scenario ridimensiona in modo drammatico il potere persuasivo dei media, e
obbliga a riformulare le proprie strategie di
comunicazione.
Il fenomeno “viral” è un mezzo che sfrutta
da tempo alcune dinamiche evidenziate dalla “swarm intelligence”.
Tuttavia, è una forma di comunicazione che
si diffonde in modo caotico e incontrollato.
Sarebbe necessario, invece, disciplinare e
semplificare la diffusione degli annunci pubblicitari, sfruttando i punti di forza del passaparola e dell’aggregazione collettiva. L’idea
è di trasformare i singoli utenti di social
networks come Facebook o MySpace in veicoli consapevoli di informazioni e marketing.
Il social network “Facebook” ha intrapreso
un primo passo in questa direzione. Facebook Beacon è un programma che tiene traccia dei propri acquisti. Ogni volta che si sot-
Angela d’Amelio - [email protected]
toscrive un servizio o si acquista un prodotto,
un annuncio pubblicitario personalizzato appare sul proprio profilo-utente di Facebook.
In questo modo, i contatti on line vedranno
un prodotto “raccomandato dal proprio amico”, con tanto di fotografia, a garanzia di un
consiglio fidato e attendibile.
Questo sistema ha dimostrato una certa efficacia, ma ha sollevato alcune perplessità su
presunte violazioni della privacy: non tutti
sarebbero contenti di rivelare ai propri amici
ciò che comprano.
Come attrarre lo sciame
La teoria dello sciame può aiutare un’azienda non solo con metodologie operative, ma
anche a diventare il “centro” d’attrazione
dello sciame.
È il caso di Nike+Web, sito dedicato ai corridori, dove gli sportivi di tutto il mondo fanno
amicizia, scambiandosi consigli e informazioni. Il brand acquisisce enorme autorevolezza
e influenza, rispondendo al naturale bisogno
di stare insieme.
Un brand che sa sfruttare questo potere di
aggregazione aumenta in modo esponenziale la propria influenza, fino a potersi persino
permettere il lusso di “sbagliare”. Magari
introducendo con successo sul mercato prodotti in apparenza poco competitivi. Basta
pensare al marchio Apple con il suo iPhone.
E per quel che riguarda noi consulenti di comunicazione, la teoria dello sciame dà persino un’ironica lezione di vita a chi cerca di trovare una chiave di lettura generale di un sistema complesso.
Sta a noi elaborare strategie adatte per far
accorrere i consumatori a comprare il prodotto. Come api al miele, appunto.
Angela D’Amelio
21 / L’IMPRESA DI COMUNICAZIONE / N. 27 / 08
ONLINE
Aziende e Web2.0
Dall’apparire
all’essere
Il Web 2.0 rappresenta indubbiamente una grande
opportunità per le imprese, a condizione di utilizzarlo
al meglio e di non farsi conquistare dalle “mode”.
Gli esempi di Digg e di Secon Life
possono indurre a qualche utile riflessione.
Si sa che la tecnologia e l'informatica hanno
ed avranno un ruolo determinante nella vita
di tutti giorni. Anno dopo anno, la rete gioca
un ruolo maggiore nel modo in cui viviamo,
scalzando vecchie abitudini, introducendo
nuovi servizi, dando nuove opportunità di
business alle aziende ... già le aziende - ma
cosa stanno facendo le aziende ?
Molto spesso niente.
Le piccole e medie imprese devono misurarsi
con un altro salto di qualità dovendo trasformare la propria presenza online da passiva in
attiva.
Tutti hanno un sito "istituzionale" attraverso
cui presentare la propria realtà produttiva
con le classiche pagine web:
• Chi Siamo
• Cosa facciamo
• Dove siamo
• Dove stiamo andando ...
Anche le istituzioni faticano a stare dietro alle novità del web. Conoscono la posta elettronica e la definizione di sito web, ma spesso dietro una facciata di modernità si cela un
animo conservatore e burocratico, affezionato alla carta.
Emblematico il caso della mia Camera di
Commercio che, per invitarmi alla partecipazione ad una gara informale pubblica per la
realizzazione di un sito web mi hanno mandato la raccomandata: con mio padre in ospedale operato di by-pass non ho potuto
ritirare la lettera dall'ufficio postale in tempo per partecipare alla gara, ma avrei potuto farlo se avessero fatto un invito (almeno
in parallelo) con la posta elettronica.
Ma questo non è l'unico caso di disorientamento istituzionale quando si parla delle
nuove forntiere del web - ne ha parlato recentemente dal suo blog un illustre collega
chiedendosi quale valenza potesse avere un
seminario su Second Life per gli artigiani e la
micro impresa della provincia: i dirigenti della CNA non si sono accorti che Second Life è
22 / L’IMPRESA DI COMUNICAZIONE / N. 27 / 08
in crisi con molte grandi aziende in fase di
disinvestimento.
Le domande che sento spesso rivolgermi sono:
• Cosa deve fare una azienda piccola o media
come la mia per dare ulteriore impulso alla
sua presenza online?
• Sento parlare di blogs e di social network.
Come posso utilizzare questi strumenti del
web?
Beh intanto bisogna prendere atto che il web
assume un ruolo sempre maggiore nella vita
di tutti i giorni e nella vita di tutti noi.
Sembra una affermazione banale e scontata
e probabilmente lo è, ma pochi sono disposti
a riorganizzare di conseguenza il ruolo che il
web ha all'interno dell'azienda.
La rete è piena di siti web realizzati e poi abbandonati a se stessi per lunghi periodi dell'anno, magari fino alla pubblicazione del bilancio aziendale.
Prendiamo ad esempio un settore che è stato
letteralmente stravolto dal web: il travel e gli
alberghi. Tutti gli albergatori sanno perfettamente che il web è lo strumento più utilizzato per effettuare prenotazioni, ma (quasi)
nessuno è disposto ad investire risorse per
aggiornare il sito con informazioni utili, interessanti, legate al territorio per distinguersi dalla concorrenza.
Bisogna portare il sito dalla periferia
al centro delle attività produttive
Arricchire il sito di contenuti non è sufficiente se non siamo pronti a metterci in discussione e comunicare con il Cliente.
Le nuove tecnologie multimediali ed interattive pongono una questione di fondo:
essere, non solo apparire.
Essere significa esserci per i Clienti che hanno
bisogno di assistenza e supporto, creare una
relazione con loro, assumersi le proprie responsabilità e gestire anche situazioni difficili quando le cose non vanno per il verso
giusto.
Il trend delle grandi aziende è stato esattamente il contrario negli ultimi anni con la
creazione di veri e propri firewall umani, i ragazzi dei call center messi in prima linea, isolando completamente le aziende dalla realtà
quotidiana.
Uscire dall'isolamento passa attraverso un
processo di apertura dell'azienda che mette
se stessa in discussione ed offre un volto umano ai Clienti desiderosi di contatto (assistenza e supporto, informazioni sui prodotti
ecc.)
Quali sono gli strumenti per uscire dall'isolamento e come organizzarsi per farlo?
Web 2.0. La nuova frontiera
Il Web 2.0, inteso come lo sviluppo di interattività e trasparenza della comunicazione,
rappresenta la nuova frontiera per le aziende. Ma è necessario porsi alcune domande:
• quali sono gli strumenti per uscire dall'isolamento?
• di quale organizzazione abbisogna una’azienda?
In effetti l'arena del web 2.0 è piena di iniziative che disorientano i non addetti ai lavori:
• aumentiamo la frequenza di pubblicazione
di notizie e contenuti nel sito?
• includiamo un FEED nel sito?
• creiamo un Blog?
• dobbiamo fare un profilo Facebook?
• vogliamo utilizzare Twitter?
• cos'è ‘sto Flickr?
Potrei continuare con ancora altri nomi e acronimi di iniziative alla moda. Diventa difficile capire dove investire il proprio tempo (e
denaro) in uno scenario che evolve quotidianamente.
Non esiste una risposta (o soluzione) univoca
al problema. Ogni strumento ha una validità
e rispondenza diversa, che deriva dal segmento di mercato di riferimento.
Questa cosa si chiarisce con un esempio.
Sante J. Achille - http://blog.achille.name
Il caso di Second Life
Second Life è un altro esempio di iniziativa,
che nel corso del 2007 ha visto grandi aziende investire.
Second Life è un mondo tridimensionale virtuale dove IBM, DELL e la nostra TELECOM
hanno investito somme rilevanti per stabilire
la propria presenza. Al mondo virtuale di
Second Life si accede mediante un software
(da scaricare ed installare), accompagnato
da una buona connessione ADSL.
Ad oggi gli utenti registrati sono appena
sotto i 12 milioni di cui circa 1 milione di frequentatori assidui.
Quale possa essere la validità economica di
un investimento su Second Life (oltre agli aspetti di marketing puro in funzione del posizionamento del brand) sfuggono a molti analisti titolati.
Quale ritorno positivo può avere il posizionamento del brand attraverso iniziative
di questo tipo quando i Clienti parlano male
di te?
Il concetto di branding non può prescindere
dagli utenti aggregati in reti sociali (social
networks) che lo sostengono.
Digg e Second Life mettono in evidenza la
necessità di utilizzare strumenti “a misura
d'uomo”, in linea con le abitudini e le aspettative della propria (potenziale) clientela.
Il primo e più sensato passo che una azienda
può fare è attivare la propria presenza web,
completandola con un blog o per lo meno
con una sezione a elevata frequenza di aggiornamento, ricca di contenuti.
Blog e sito sono sostanzialmente diversi
nella struttura e nella impostazione della
comunicazione. Con il blog devo cercare il
contatto con i miei utenti e clienti, metterò
a disposizione informazioni sui prodotti e
servizi e cercherò il dialogo per stabilire un
rapporto
con chi mi legge.
Troppo spesso il bicchiere è visto come mezzo vuoto dalle aziende: problematiche come
l'immagine aziendale o il controllo delle informazioni sono talmente ingombranti da
mettere a tacere ogni iniziativa in questa direzione... eppure colossi come Microsoft lo
hanno fatto e con grande successo, mostrando il volto umano di una azienda multinazionale percepita come “crudele monopolista”.
Se le aziende potessero vedere il bicchiere
mezzo pieno si accorgerebbero delle possibilità di poter “ascoltare” e avere informazioni importantissime che possono essere
utilizzate per migliorare i propri prodotti e
crearne di nuovi.
Ma tutto questo deve avvenire a piccoli passi, con una strategia adatta alle proprie
capacità tecniche e possibilità economiche,
senza esagerare spendendo troppo, ma
nemmeno troppo poco...
Sante J. Achille
Chi volesse continuare la discussione può
accedere a: http://blog.achille.name
I siti più amati dell’anno
acmilan.com
automobilismo.it
bancoposta.it
biohealth-italia.it
canale5.com
cellularmagazine.it
deejay.it
dica33.it
ebay.it
expedia.it
gay.tv.it
google.it
habbo.it
inter.it
libero.it
lycos.it
mtv.it
netlog.it
nokia.it
paypal.it
quattroruote.it
quotidiano.net
repubblica.it
telelavorando.it
tiscali.it
venere.com
viamichelin.it
youtube.it
23 / L’IMPRESA DI COMUNICAZIONE / N. 27 / 08
Fonte: ITERnews
Il portale di notizie Digg
Digg è un famoso portale di notizie la cui visibilità è determinata dal numero di voti degli utenti registrati.
Nel 2006 si è fatto un gran rumore su Digg e
le sua capacità di poter generare enormi
quantità di traffico... ma la qualità?
Quasi sempre di bassissimo livello, migliaia
di visite che possono anche mettere in crisi il
server, senza lasciare traccia dopo il loro passaggio.
Conviene avere traffico di questo tipo nel sito? Sicuramente no.
La maggior parte delle realtà produttive che
non si rivolgono alla massa non sanno cosa
farsene di questo tipo di promozione.
OPINIONI
I pareri riportati in questa rubrica sono liberamnete espressi dai rispettivi autori e non riflettono necessariamente le opinioni della redazione
Fondi Europei.
Assistenzialismo
o sostegno all’economia?
“TROPPI SCANDALI CON I FONDI EUROPEI,
MEGLIO RESTITUIRLI CHE SPRECARLI”.
Con questa affermazione “La Repubblica” di
mercoledì 16 gennaio 2008 titola un’intervista al Ministro Bersani. Nell’articolo poi “negli
ultimi anni al Sud i soldi (troppi soldi?) hanno
creato molti problemi. Più problemi che soluzioni, più emergenze che sviluppo, più delinquenza che legalità. Cinquanta miliardi di
fondi straordinari, per metà europei negli
scorsi sei anni sono corsi via come un fiume in
piena. Spesi ma già persi. Fuggiti dalle tasche
di Bruxelles, bruciati in migliaia di progetti
senza capo né coda”.
Ancora una volta si fa passare l’idea che il Sud
brucia risorse e opportunità, mentre si tace
che, con la scusa del Sud, scandalo dello scandalo, aziende del centro e del nord anche a
partecipazione pubblica, hanno voracemente
beneficiato di gran parte di tali somme.
E sempre Bersani “Piuttosto che vederli sperperati li rimando indietro. Meglio non spenderli che impegnarli male”. Egli vuole ridurre
“le categorie del bisogno: vuole finanziare
l’essenziale, il primario. Strade, scuole, asili,
acqua e inceneritori”.
Per lui esiste solo “una equazione indiscutibile l’imprenditore sta bene se la condizione sociale in cui si sviluppa la sua intraprendenza è
accettabile, degna. Quindi occhio al “capitale
sociale”, ai luoghi, alla qualità della vita delle
città, ai servizi essenziali e quelli tecnologici,
per esempio alla rete di banda larga nei più
piccoli centri. L’imprenditore in quanto tale
non riceverà più un euro”.
Allucinanti affermazioni! Al danno si aggiunge la beffa! Le piccole e medie imprese del
sud, che vivono appunto in un contesto degradato, dove spesso mancano o non funzionano i servizi essenziali, come le risposte della
burocrazia locale vittime spesso dell’indifferenza della classe politica locale, che devono
fare? Devono emigrare, magari al nord o
all’estero?
Ho denunciato più volte che questi fondi sono merce di scambio, di intermediazione finanziaria tra tecnocrazia locale e aziende del
centro-nord, ma non si è fatto niente.
Si è assistito a questo scempio inermi e colpevolmente silenti. Quando persino società, riconducibili alle Camere di Commercio, spavaldamente e impunemente partecipano a gare
e si aggiudicano commesse milionarie, in barba allo stesso decreto Bersani, è singolare poi
gridare allo scandalo!
È ingiusto e suona offensivo per le piccole e
medie imprese locali registrare tali affermazioni quando è sotto gli occhi di tutti che le
possibilità di accesso alle gare pubbliche, finanziate con fondi Europei, sono pur esse minime perché i bandi sono costruiti con modalità che non tengono conto delle caratteristiche strutturali delle aziende locali.
È chiaro quindi che esse sono tagliate fuori a
24 / L’IMPRESA DI COMUNICAZIONE / N. 27 / 08
vantaggio solo di aziende del centro nord
che sfruttano il sud solo come opportunità finanziaria di un mercato usa e getta.
In tutto questo clima di emergenza, poi, queste affermazioni suonano come un definitivo
“de profundis” a chi si occupa di servizi e
non fa “strade, asili e scuole”.
Il sud produce anche olio, pasta, buona cucina, turismo, cultura e questi sono “brand”
molto interessanti e fondamentali per l’intera nazione, ma vanno aiutati, pubblicizzati,
comunicati al mondo; quasi sempre dietro
questi “brand” ci sono piccole e medie imprese, le uniche che sanno e possono dare
amore e valore aggiunto a queste realtà.
Mettete queste piccole realtà imprenditoriali nelle condizioni di crescere, con aiuti al credito (al sud il denaro costa di più che al
nord!), con contributi alla defiscalizzazione
dei vari oneri d’impresa e poi si discute!
È vecchia e stantìa questa colossale bugia che
il sud drena denaro; esso è in perenne emergenza ed è un ottimo cavallo di Troia, ormai
noto a tutti, per far passare politiche e scelte
a tutto vantaggio di realtà economiche del
centro e del nord.
Nell’impaginato grafico dello stesso articolo,
infine, vengono citati quattro casi di cui tre
relativi ad esempi di campagne pubblicitarie
fatte in Cina ed in Inghilterra, commissionate dalla città di Catania, dalla regione Calabria e dalla provincia di Benevento.
Il modo con cui sono contestualizzati questi
esempi, con tanto di foto, veicola la sensazione che tali interventi di promozione turistica e gastronomica sui mercati esteri siano
la testimonianza di sprechi e quindi di scandali.
Mi indigno, come cittadino e come imprenditore del sud, di fronte a questo massimalismo ignorante e forcaiolo e a questa mistificatoria informazione che sa di medievale
inquisizione! Perché le regioni del nord, quali il Trentino, la Valle d’Aosta, la Toscana, giusto per citarne alcune, possono utilizzare
legittimamente tutte le tecniche del marketing e della comunicazione per conquistare
mercati stranieri e invece città e regioni del
sud, se lo fanno, sono sospettate di sperpero
se non addirittura di frode?
Se ci sono irregolarità sulle modalità di spesa
esse vanno colpite, ma demonizzare le tecniche di comunicazione o peggio l’uso di
esse da parte delle realtà del sud è criminale e, direi, razzista. Si fa passare l’idea che
questi sono strumenti possibili solo a realtà
ricche quasi fosse un lusso e non invece normali tecniche di vendita, di comunicazione e
di promozione validate dai più grandi esperti mondiali di tecniche di vendita e di comunicazione. Anche questo è discrimine!
In questi giorni, per esempio, è in pubblicazione un bando della Regione Puglia per
“l’affidamento del servizio di ideazione e realizzazione della campagna di comunicazione integrata e di servizi, in Italia e all’estero.
Importo a base di gara? 7.000.000,00 di Euro”. Faccio facile preveggenza nel dire che
esso sarà affidato a raggruppamenti di imprese quasi tutte del nord e forse una minima parte a qualche piccola realtà locale.
Nessuno però si indigna nell’andare a verificare la sua struttura che di fatto esclude la
partecipazione di imprese locali, se non nel
ruolo forse di modesta “comparsata”.
Ed infine! Fino a poco tempo fa la politica
non incentivava il prestito d’onore quale
forma moderna di inserimento dei giovani
sul mercato? Ed ora queste “partite IVA”,
gran parte delle quali nel campo dei servizi,
perché non possono competere e accedere a
questi fondi per far crescere il territorio?
Non è assistenzialismo, ma è dare corpo all’assunto di base che giustifica l’erogazione
per le nostre zone dei fondi europei, le cui
finalità, mi sembra, siano quelle di dare un
aiuto alla crescita del territorio che è formato da persone, da competenze, da sensibilità, da lavoro e non da asettiche sigle finanziarie nate sulle scrivanie di esperti aziendali che drenano grosse commesse ovunque
esse si trovino - e quindi anche al sud - la cui
gestione è spesso affidata a giovanissimi
precari assunti a contratto a termine o a progetto e poi scaricati secondo le nuove mode
dell’usa e getta.
Siamo persone non progetti finanziari!
Nicolangelo De Bellis
Amministratore di HGV ADVERTISING - San Severo
Viva l’Italia
In punta di piedi, senza clamori, Italia.it ha chiuso i battenti. Quello che era stato presentato - con toni trionfalistici - come la panacea in grado di risolvere i molti ritardi e le innumerevoli inefficienze del sistema di promozione del turismo italiano, si è spento in sordina. E’ semplicemente scomparso, insieme ai molti milioni di Euro (7 - 45 - 58? ...boh!) investiti nella fallimentare iniziativa. Quando l’operazione venne presentata ironizzammo
pesantemente sulla qualità grafica del logo . i t (il cosiddetto cetriolo), sull’opportunità di
investire risorse per promuovere il turismo in bicicletta e sul mega portale dedicato a chi
organizza online i propri viaggi e le proprie vacanze ed infarcito di refusi e di errori (ad
es. dall’Abruzzo erano scomparsi il mare e le relative spiagge). Allora azzardammo il
pronostico di un successo assai modesto dell’iniziativa, ma non arrivammo ad ipotizzare un
tale flop. Ora è arrivata la sentenza: Italia.it non funziona, buttiamolo nella spazzatura.
In fondo - avrà pensato qualche cervellone dei nostri - perchè spendere dei soldi per far
conoscere l’Italia, visto che, in questi ultimi tempi, grazie ad un po’ di spazzatura, le immagini del Bel Paese si sono conquistate le aperture dei TG di tutto il mondo?
Gargamella - [email protected]
MOSTRE
Le Corbusier.
Dipinti e disegni
Alessandria
Palazzo Monferrato
Via San Lorenzo, 21
Dal: 01-12-2007 al 30-03-2008
Tel: 199199111
Inedito percorso sul lavoro pittorico di uno
tra i maggiori architetti del XX secolo.
Charles-Edouard Jeanneret, al secolo Le
Corbusier (La Chaux-de-Fonds, 1887 - Roquebrune, 1965) disegnava continuamente.
Riempiva fogli di schizzi, che erano pensieri
visivi. Un “indefesso lavoro” che chiamava
“virtù”. E che s’innalza fino a vette di qualità
altissima. “Il fondo della mia ricerca e della
mia produzione intellettuale ha il suo segreto nella pratica ininterrotta della pittura”,
scriveva Le Corbusier. “Disegni, quadri, sculture, libri, case e progetti non sono che una
sola e identica manifestazione creatrice rivolta a diverse forme di fenomeni”.
America!
Storie di pittura
dal Nuovo Mondo
Brescia
Complesso Museale di Santa Giulia
fino al 4 maggio 2008
Orario:
dal lunedì al giovedì ore 9-19
da venerdì a domenica ore 9-20
Una grande mostra dedicata alla pittura americana del diciannovesimo secolo e intitolata “America! – Storie di pittura dal Nuovo
Mondo”: opere magnifiche, emozionanti,
dipinte da artisti di grande valore ma spesso
ignoti, o quasi, in Italia.
Lo spettatore compie un viaggio duplice, il
primo dentro l’immensità della pittura e nella conoscenza della storia e dei miti di una
grande nazione, l’altro nelle emozioni destate dalla “natura che si dispone davanti
all’occhio di colui che cammina come in uno
scenario infinito e immisurabile”.
Sono presenti circa 250 opere di pittura, molte delle quali di grande formato come è caratteristica della pittura ottocentesca in
America, oltre a 60 capolavori originali della
fotografia del diciannovesimo secolo, dieci
sculture e 80 oggetti rituali e di vita quotidiana dei nativi americani, due sale multimediali di approfondimento storico ai temi della
Frontiera e della Secessione.
La mostra propone il racconto, o meglio il
romanzo, di un secolo nel quale si assiste
“allo sterminato canto sulla natura” da parte
dei pittori della Hudson River School, ai viaggi di artisti americani alla scoperta del Sud
America o dell’Italia, poi l’emozione dei
“nuovi” territori dell’Ovest, con gli spaccati
di vita di Indiani e cowboy, fino alla pittura
impressionista d’oltreoceano e alla grande
ritrattistica nell’ultima parte del secolo. Una
mostra vastissima, articolata in sette ampie
sezioni all’insegna della scoperta e della meraviglia, nella quale i giganti dell’arte ameri-
cana propongono la selvaggia bellezza di
quel paesaggio “nativo” che, via via nel tempo, ma non sempre e non ovunque, sarà“addolcito” dall’intervento dell’uomo.
“America! Storie di pittura dal Nuovo
Mondo” è promossa dal Comune di Brescia,
dalla Fondazione CAB, dalla Fondazione Brescia Musei insieme a Linea d’ombra, la società di Marco Goldin che gestisce interamente
anche l’organizzazione della mostra.
Compagni di questo meraviglioso viaggio –
così come delle precedenti esposizioni che
Goldin ha curato a Brescia – saranno ancora
una volta i Fratelli Lucchetta del Gruppo
Euromobil, in veste di main sponsor.
25 / L’IMPRESA DI COMUNICAZIONE / N. 27 / 08
INCONTRI
Madre Teresa di Calcutta
Madre Teresa di Calcutta
Inno alla vita
La vita è un'opportunità, coglila.
La vita è bellezza, ammirala.
La vita è beatitudine, assaporala.
La vita è un sogno, fanne realtà.
La vita è una sfida, affrontala.
La vita è un dovere, compilo.
La vita è un gioco, giocalo.
La vita è preziosa, abbine cura.
La vita è ricchezza, valorizzala.
La vita è amore, vivilo.
La vita è un mistero, scoprilo.
La vita è promessa, adempila.
La vita è tristezza, superala.
La via è un inno, cantalo.
La vita è una lotta, accettala.
La vita è un'avventura, rischiala.
La vita è la vita, difendila.
Da’ il meglio di te...
L'uomo è irragionevole, illogico, egocentrico,
non importa, amalo.
Se fai il bene, ti attribuiranno
secondi fini egoistici,
non importa, fa’ il bene.
Se realizzi i tuoi obiettivi,
troverai falsi amici e veri nemici,
non importa, realizzali.
Il bene che fai verrà domani dimenticato,
non importa, fa’ il bene.
L'onestà e la sincerità ti rendono vulnerabile,
non importa, sii franco e onesto.
Quello che per anni hai costruito
può essere distrutto in un attimo,
non importa, costruisci.
Se aiuti la gente, se ne risentirà,
non importa, aiutala.
Da' al mondo il meglio di te,
e ti prenderanno a calci.
Non importa, da’ il meglio di te.
Ama la vita
Ama la vita così com'è.
Amala pienamente, senza pretese;
amala quando ti amano o quando ti odiano,
amala quando nessuno ti capisce,
o quando tutti ti comprendono.
Amala quando tutti ti abbandonano,
o quando ti esaltano come un re.
Amala quando ti rubano tutto,
o quando te lo regalano.
26 / L’IMPRESA DI COMUNICAZIONE / N. 27 / 08
Amala quando ha senso
o quando sembra non averlo nemmeno un po’.
Amala nella piena felicità,
o nella solitudine assoluta.
Amala quando sei forte,
o quando ti senti debole.
Amala quando hai paura
o quando hai una montagna di coraggio.
Amala non soltanto per i grandi piaceri
e le enormi soddisfazioni;
amala anche per le piccolissime gioie.
Amala seppure non ti dà ciò che potrebbe,
amala anche se non è come la vorresti.
Amala ogni volta che nasci
ed ogni volta che stai per morire.
Ma non amare mai senza amore.
Non vivere mai senza vita!
Trova il tempo...
Trova il tempo di pensare
Trova il tempo di pregare
Trova il tempo di ridere
È la fonte del potere
È il più grande potere sulla Terra
È la musica dell'anima.
Trova il tempo per giocare
Trova il tempo per amare ed essere amato
Trova il tempo di dare
È il segreto dell'eterna giovinezza
È il privilegio dato da Dio
La giornata è troppo corta
per essere egoisti.
Trova il tempo di leggere
Trova il tempo di essere amico
Trova il tempo di lavorare
E' la fonte della saggezza
E' la strada della felicità
E' il prezzo del successo.
Trova il tempo di fare la carità
E' la chiave del Paradiso.
(Iscrizione trovata sul muro
della Casa dei Bambini di Calcutta.)
La gioia
La gioia è amore,
la conseguenza logica
di un cuore ardente d'amore.
La gioia è una necessità
e una forza fisica.
la nostra lampada arderà
dei sacrifici fatti con amore
se siamo pieni di gioia.
Nata il 27 agosto 1910 in una benestante famiglia albanese, di religione cattolica a Skopje, la giovane Agnese Gonghe Bayaxiu, a diciotto anni, decise di prendere i
voti entrando come aspirante nell’ordine delle Suore di Nostra Signora di Loreto.
Nel 1931, dopo aver preso i voti
perpetui e assunto il nome di Maria Teresa, ispirandosi a Santa Teresa di Lisieux, partì per l'India per
completare i suoi studi. Diventò insegnante e, negli anni che trascorse alla St. Mary, si distinse per le
sue innate capacità organizzative,
tanto che nel 1944 fu nominata direttrice.
L'incontro con la povertà drammatica della periferia di Calcutta spinse la giovane Teresa ad una profonda riflessione interiore: nel
1948 ebbe l'autorizzazione dal Vaticano ad andare a vivere da sola
nella periferia della metropoli, a
condizione che continuasse la vita
religiosa. Nel 1950, diede vita alla
congregazione delle Missionarie
della Carità, la cui missione era
quella di prendersi cura dei "più
poveri dei poveri". Morì a Calcutta
il 5 settembre 1997.
Pier Paolo Pasolini, che ebbe modo
di incontrarla nel 1960, durante un
viaggio in India, quando ancora era sconosciuta, scrisse: « Ho conosciuto dei religiosi cattolici. E devo
dire che mai lo spirito di Cristo mi
è parso così vivido e dolce; un trapianto splendidamente riuscito. A
Calcutta, Moravia, la Morante e io
siamo andati a conoscere Suor Teresa, una suora che si dedica ai lebbrosi (...): la bontà senza aloni sentimentali, senza attese, tranquilla
e tranquillizzante, potentemente
pratica».
LETTURE
a cura di Paolo Romoli
Periodico di informazione
del Consiglio Direttivo
dell'Unione Nazionale Imprese
di Comunicazione - UNICOM
La nuova comunicazione politica
Francesco Pira
Luca Gaudiano
Anno VI - n. 27
Febbraio 2008
Direttore Responsabile
Lorenzo Strona
Franco Angeli Editore - pp. 221 - Euro 21,00
Comitato di Redazione
Claudio Breno
Angela D’Amelio
Alessandro Colesanti
Renato Sarli
Comitato Scientifico
Antonio Acampora
Claudio Avallone
Nicola Bovoli
Renato Camposano
Donatella Consolandi
Federico Crespi
Francesco Ferro
Francesco Miscioscia
Rossella Tosto
Giorgio Tramontini
Biagio Vanacore
Ivano Villani
Uscito a fine novembre in libreria il volume
rappresenta un'edizione completamente rivoluzionata del saggio La Nuova Comunicazione
Politica. Il libro fa il punto sull’evoluzione che
soggetti politici e mass media hanno contribuito a produrre, accanto a elementi di sistema non banali, nell’ambito della comunicazione politica.
“Abbiamo voluto dare – spiegano i due autori - il nostro contributo al dibattito sul rapporto tra politica e nuove tecnologie, cercando di
mettere in evidenza soprattutto le potenzialità e gli aspetti più innovativi che l’era digitale offre anche alla comunicazione
di partiti e candidati, e che dai più non vengono sfruttate, e nemmeno studiate e comprese
a pieno, anche se nell’ultima competizione
elettorale ci è sembrato che siano stati fatti
dei timidi passi in avanti.
In questo contesto si è cercato di comprendere cosa sta accadendo in altri paesi, quali le
prospettive di indagine e studio e quali i temi
che le campagne appena concluse o in partenza in due importanti nazioni come Francia
e Stati Uniti possono offrire alla riflessione e
sperimentazione della comunicazione politica
on-line italiana”. La comunicazione , come si
evince da questo nuova saggio, diventa sempre più un elemento fondamentale della
strategia politica, e si fa sempre più evidente
la ricerca del giusto equilibrio tra la necessaria virulenza in un clima perennemente elettorale e il moderatismo necessario a guadagnare il voto d’opinione e quello degli indecisi, in crescita – così come coloro che preferiscono non esprimersi – e che occupano il centro del mercato elettorale, poco inclini a essere influenzati da mobilitazioni di massa,
sventolar di bandiere e gagliardetti, e strepiti elettorali.
Il volume spiega le teorie, gli strumenti, le
tecniche, ma soprattutto le strategie della
Seconda Repubblica, raccontate da chi non
solo ha studiato i processi sociologici, ma anche da chi materialmente è stato protagonista di campagne elettorali giocate tra vecchi
e nuovi miti.
Gli autori
Francesco Pira, è professore di Comunicazione pubblica e sociale e relazioni pubbliche
dell'Università degli Studi di Udine.
Luca Gaudiano è Consulente del Ministero
delle Politche Agricole.
Hanno collaborato
a questo numero:
Sante J. Achille
Claudio Avallone
Angela D’Amelio
Fiammetta Malagoli
Guido Nanni
Francesco Pira
Giuseppe Romano
Renato Sarli
Rossella Tosto
Immagini:
- TIPS images (per gentile concessione)
UNICOM
Unione Nazionale
Imprese di Comunicazione
20122 Milano - Piazza Bertarelli, 1
tel. +39.02.863815 r.a. - Fax +39.02.809636
e-mail: [email protected]
www.unicomitalia.org
Concessionario di Pubblicità:
Mario Modica Editore
Via Cascina Spelta, 24/D
27100 Pavia
Editore incaricato:
LS&P srl - Viale Marazza, 30
28021 Borgomanero (No)
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