Maquetación 1 - Universidad Complutense de Madrid
Transcript
Maquetación 1 - Universidad Complutense de Madrid
«Io tutti / della prima stagione i dolci inganni / mancar già sento…»: la terza canzone del ‘Convivio’ come palinodia ‘leopardiana’ EMILIO PASQUINI Come sempre, comincerei con la parafrasi dell’intera canzone: che è già una forma di commento. Ecco dunque: «E’ necessario che io abbandoni le rime amorose, ispirate alla dolcezza dello stile, che ero solito perseguire nella mente; non perché non mi auguri di poterle ritrovare in futuro, ma perché gli atteggiamenti ostili e impietosi che la mia donna ha messo in atto mi hanno sottratto la possibilità di coltivare la scrittura a cui ero abituato. E dal momento che mi sembra giusto accantonare i temi amorosi, rinuncerò alla dolcezza dello stile a cui mi sono attenuto nel cantare dell’amore; e dunque con stile complesso e raffinato parlerò della virtù grazie alla quale si consegue la vera nobiltà allo scopo di confutare la tesi erronea e grossolana di coloro i quali sostengono che la nobiltà nasca dalla ricchezza. E, per cominciare, invoco quel signore, cioè Amore, che ha sede nello sguardo della mia donna, col risultato che essa, vagheggiandosi, si compiace di se stessa. 23 LA BIBLIOTECA DE T ENZONE G RUPO T ENZONE » Ci fu un imperatore (Federico II), il quale pretese che la nobiltà , in omaggio alla sua opinione, s’identificasse col possesso non recente di beni materiali, purché accompagnato da comportamenti signorili. E ci fu un altro personaggio, dotato di minor cultura, che riprese in considerazione tale sentenza ma eliminandone la condizionale conclusiva, proprio perché forse era privo di quella eleganza. Lo seguono in questa sua posizione tutti coloro che dichiarano nobile uno solo per il fatto che la sua stirpe è stata assai ricca per lungo tempo. E ha resistito così a lungo fra noi questa falsa opinione che si suole proclamare uomo nobile chi può dire di sé «Io fui nipote o figlio di quel tale dotato di grande virtù», quantunque egli non valga nulla. Anzi, a chi considera la cosa secondo verità, sembra quanto mai vile colui al quale la strada è mostrata (dal padre o dal nonno), e tuttavia la sbaglia e non riesce a percorrerla, e giunge a tal punto che è morto anche se cammina. » Chi propone la definizione «l’uomo è un vegetale dotato di anima», in primo luogo dice il falso e in secondo luogo usa una formula approssimativa, ma non riesce a vedere oltre. Analogamente l’imperatore errò nel dare la sua definizione, perché nella prima parte affermò una cosa falsa e nella seconda sviluppa una nozione imprecisa. Di fatto le ricchezze, a differenza di quanto la gente crede, non possono né dare né togliere nobiltà, poiché sono di natura spregevole. Infatti chi vuole dipingere una figura non può trasferirla su tavola se già non la possiede dentro; e un ruscello che scorre lontano non può pregiudicare la stabilità di una torre diritta facendola pendere. Che queste stesse ricchezze siano di poco valore e lontane dalla perfezione, risulta dal fatto che, per quanto raccolte in quantità, non riescono ad appagare l’animo umano, ma anzi producono un soprappiù di affanni; e perciò l’animo che è equilibrato e sincero non viene meno se le ricchezze stesse si vanno dissolvendo. » I fautori di una nobiltà di stirpe non ammettono che uomini di bassa condizione diventino nobili né che da un padre dappoco derivi una progenie che possa mai accreditarsi come nobile: costoro dichiarano esplicitamente questa tesi. Ma in seguito a questa ammissione sembra che si generi una contraddizione logica, dal momento che si giunge ad affermare 24 EMILIO PASQUINI Le dolci rime come palinodia ‘leopardiana’ che il tempo condizioni la nobiltà, in quanto (con antiche ricchezze) includono nella definizione di nobiltà l’attributo del tempo. Inoltre, una seconda conseguenza di tale premessa (cioè l’impossibilità della mutazione) è che noi uomini risultiamo essere tutti nobili o vili, o che la stirpe umana non tragga origine da un solo uomo, Adamo; ma un simile paradosso io non lo posso ammettere, ma neppure loro lo possono, se sono seguaci della fede cristiana. Per tutto ciò è evidente, per chi abbia mente limpida, che le loro affermazioni sono senza valore; e io, in quanto tali, le denuncio come false e mi allontano da loro. E a questo punto desidero esprimere, secondo il mio avviso, che cosa sia nobiltà e da cosa tragga origine; e rivelerò quali siano i comportamenti tenuti da un uomo dotato di nobiltà. » Io affermo che tutte le virtù essenzialmente derivano da un principio comune; e mi riferisco alle virtù morali che, nelle loro modalità, rendono l’uomo beato. Questo complesso virtuoso, a norma dell’ Etica Nicomachea di Aristotele, si palesa come un’abitudine selettiva a praticare sempre il giusto mezzo, detto con queste testuali parole. Affermo dunque che la nobiltà, per definizione, comporta sempre il bene di colui che viene ascritto a questa categoria, così come la viltà comporta sempre il male dei suoi rappresentanti. E siffatta virtù morale è sempre intesa come bene; per la qual cosa le due entità, nobiltà e virtù morale, convergono in un’unica formula in quanto producono un medesimo effetto. Ne consegue perciò necessariamente che l’una derivi dall’altra o che entrambe discendano da una fonte comune; ma se l’una rivela lo stesso valore dell’altra e per giunta una maggiore estensione, l’altra non potrà che derivare da lei. Quanto ho detto finora valga come premessa al ragionamento conclusivo. » Sussiste la nobiltà dovunque ci sia la virtù morale; non altrettanto la virtù dove sia la nobiltà: allo stesso modo in cui il cielo sussiste dovunque siano stelle, ma non viceversa (di giorno infatti nel cielo vengono meno le stelle). E noi vediamo questa perfezione in certe donne e nei giovani, nella loro verecondia, qualità da non confondere con la virtù morale. Dunque, come dal nero deriva il perso, cioè un nero purpureo, dalla nobiltà promana ogni virtù, o meglio la comune radice delle virtù medesime, cui accennai nella premessa. Perciò nessuno sia così spudorato da vantarsi 25 LA BIBLIOTECA DE T ENZONE G RUPO T ENZONE affermando: «Sono nobile per ragione di stirpe», in quanto possono quasi definirsi divini coloro che posseggono la grazia della nobiltà, scevra di qualsiasi difetto. Infatti solo Dio trasmette questo dono all’anima che si giova di una perfetta simbiosi col corpo, cosicché a pochi riesce palese che la nobiltà è l’origine della felicità, impiantata da Dio nell’anima perfettamente disposta. » L’anima dotata di questa perfezione non la serba celata, perché fin dal momento in cui si unisce al corpo ne rivela i segnali fino al momento della morte. E’ infatti ubbidiente, amabile e vereconda nel tempo dell’adolescenza, e mostra un aspetto fisico bello nell’insieme e armonico nelle sue varie parti. Durante la giovinezza, si mostra equilibrata e magnanima, capace di amare e aperta a ogni pregio di cortesia, tutta dedita a rispettare lealmente le norme vigenti in ogni àmbito. Nella senilità, quest’anima nobile rivela prudenza e giustizia, mostra di improntare la sua azione alla liberalità e gode nel suo intimo di ascoltare e di dire il bene del prossimo. Infine nel senio, quarta ed ultima parte della vita, si prepara a ritornare nel grembo del Padre, assorta nella contemplazione della propria morte, mentre ha chiuso serenamente la partita della vita trascorsa. A questo punto vi sarà chiaro quanti siano gli equivoci circa la nobiltà. » O mia canzone, concepita contro chi afferma cose improprie in tema di nobiltà, tu girerai per il mondo e quando ti troverai in presenza della donna gentile, non le nascondere quale sia la tua missione. Le potrai dire senza ambagi: «Io continuo a parlare della vostra amica», appunto la nobiltà». Ben più difficile – lo confesso – la parafrasi di questa terza canzone rispetto alle due precedenti, proprio per la sua decisa tonalità filosofica, tradotta in una sintassi logica e consequenziale. Sembra proprio che essa non sia nata, al pari delle altre due, come canzone d’amore, ma già come canzone di rettitudine (per rifarci a un celebre passo del De vulgari II ii 9): si veda come a IV ii 3 resti ambigua la spiegazione dei «nuovi sem26 EMILIO PASQUINI Le dolci rime come palinodia ‘leopardiana’ bianti» apparsi nella donna, che lo hanno indotto a «più non rimare d’amore», dove forse si nasconde la spiegazione dello scambio fra il letterale e l’allegorico. In ogni caso, le altre canzoni parlavano più liberamente di una donna reale trasformata, in virtù di un miracoloso gioco di prestigio, nell’icona della Filosofia; questa invece, partendo dall’esaltazione della verità («Cominciai dunque ad amare li seguitatori de la veritade e odiare li seguitatori dell’errore…»),1 ulteriore pretesto geniale legato all’invenzione della donna-Filosofia, punta decisamente sull’eone nobiltà, nei suoi addentellati sociali, riconoscendone appena (ma solo nel principio e nella fine del testo, ai vv. 5-8 e 142-146), la sua evidente e quasi etimologica pertinenza alla donna gentile. Anche la datazione, secondo le proposte del Barbi, la colloca in un tempo successivo alla stesura di Voi che ‘ntendendo e Amor che ne la mente, più strettamente legate alla vicenda della Gentile, a ridosso della scomparsa di Beatrice; mentre Le dolci rime viene piuttosto a coincidere con la frequentazione di Santa Croce e Santa Maria Novella, qualche anno dopo quella morte (Carpi ci ha parlato addirittura del 1295). Una diversità anche culturale. Certo, all’altezza delle due prime canzoni incluse nel trattato, non emergono ancora i testi con cui Dante fa i conti nella sua fase propriamente filosofica, non tanto il De consolatione e il De amicitia, quanto piuttosto l’Etica Nicomachea, la quale per giunta sta alla base del progetto delle 14 canzoni, «sì d’amor come di vertù materiate» (Cv. I i 14): soprattutto di questo secondo settore, improntato alla filosofia morale. Una simile svolta, segnata esplicitamente dalla decisione di lasciare, non si sa se per sempre,2 ‘le dolci rime’, mi ha richiamato la svolta leopardiana del 1826, a Bologna, segnata dall’epistola Al conte Carlo Pepoli, liquidatrice della stagione degli ‘idilli’ e instauratrice di una ‘prosa’ della vita contro ogni evasione poetica: di qui la ragione del titolo, forse un po’ ardito, con cui escono a stampa queste poche pagine. Di fatto, qui Dante mostra di abbandonare la dolcezza della rimeria amorosa per affrontare invece gravi problemi di filosofia morale: il fatto che cominci questo suo 27 LA BIBLIOTECA DE T ENZONE G RUPO T ENZONE nuovo percorso con il tema e con il concetto della nobiltà, pare significativo e, io credo, passibile di una spiegazione non peregrina, sullo sfondo della politica fiorentina di quegli anni, specie sotto la spinta delle masse popolari rappresentate da Giano della Bella (rispetto al quale – lo osservava Paolo Borsa – l’intervento di Dante s’iscrive in un registro aristocratico). Ma soprattutto io credo che la mossa palinodica dell’esordio costituisca un primo avvio verso la svolta decisiva che, alcuni anni dopo, segnerà l’esordio della Commedia; e ne sarà segnale perentorio, nel 1306, il sonetto all’amico Cino da Pistoia, incorreggibile tombeur de femmes: «Io mi credea del tutto esser partito / da queste nostre rime, messer Cino…». Detto in altre parole (e non mi si accusi di andar maniacalmente cercando ‘umbriferi prefazi’ del poema), non vi è dubbio che, per segnare appunto questa svolta, l’aver privilegiato la nobiltà rispetto a tutti gli altri possibili argomenti3 costituisce una prova del fatto che già a metà degli anni Novanta del XIII secolo Dante ponesse le premesse della concezione del mito del «nobile castello» del Limbo (If. IV), all’insegna della megalopsykia: non per caso il mito delle ‘Atene celestiali’ è sviluppato primariamente nel Cv. III xiv 7-15 (cfr. Forti 1977 e Pasquini 1995: 116 e ss.). Di qui l’importanza di quel precoce incontro con l’ Etica Nicomachea, volta a costruire le basi anche dei magnanimi del sapere. Analogamente, proprio nel segno della magnanimità, Leopardi arriva, dopo le premesse logiche e volontaristiche dell’epistola al Pepoli («Altri studi men dolci, in ch’io riponga / l’ingrato avanzo della ferrea vita, / eleggerò. L’acerbo vero, i ciechi / destini investigar delle mortali / e dell’eterne cose…»), alle desolate verità del Pastore errante e della Ginestra, espresse con energia fantastica e totale persuasione: tonalità, prima, nella stagione degli idilli, davvero ignote. Con ben più articolata e medievale struttura logica rispetto all’epistola leopardiana, Dante arriva a illuminare il suo concetto di nobiltà, dopo le premesse poste nella prima stanza: archiviate le ‘dolci rime’ d’amore e il ‘soave stile’ in materia amorosa, egli si volge tutto a confutare le opinioni erronee in materia di nobiltà e a dimostrare che cosa essa sia veramente. 28 EMILIO PASQUINI Le dolci rime come palinodia ‘leopardiana’ Seguono sei stanze, le prime tre delle quali contengono la confutazione degli errori sulla natura della nobiltà, specie di coloro che, come l’imperatore Federico II, nei cui confronti il guelfo Alighieri mostra davvero scarsi riguardi,4 sostengono che la nobiltà si fondi su antica ricchezza, trasmessa ereditariamente di padre in figlio; mentre le altre tre sviluppano una serrata dimostrazione della vera natura della nobiltà stessa. Dunque ‘riprovando’ e ‘provando’, che è il procedimento tipico della quaestio scolastica: prima infatti si sviluppa la confutazione (reprobatio) e poi la dimostrazione in positivo (probatio). Col che si esibisce la corretta giacitura dei due elementi del sintagma, che appariranno invece invertiti a Pd. III 3.5 Quanto alla reprobatio, si dica che essa qui appare soprattutto volta a demolire il valore della ricchezza, ma anche l’opinione che un uomo vile non possa diventare nobile,6 o che da un padre vile non possa nascere un figlio nobile. Occorreva dunque sfatare una volta per tutte le storture di chi equivocava su «l’umana bontade in quanto in noi è da la natura seminata e che “nobilitade” chiamare si dee» (Cv. IV i 7); che poi se la prendesse con l’imperatore non deve stupire, anche se all’altezza dei due trattati non sembra proprio che Dante, ormai persuaso della necessità dell’Impero, potesse ancora circoscriversi entro una dimensione guelfa.7 Tanto più che egli era convinto allora che il fulcro della dimostrazione poggiasse sulla superiorità della nobiltà rispetto alle virtù morali, grazie a questo ferreo sillogismo: a) premessa maggiore: l’esercizio delle virtù presuppone la perfezione del soggetto operante, cioè la sua nobiltà; b) premessa minore: la nobiltà può sussistere senza che si abbia operazione di virtù; c) dunque la virtù deriva dalla nobiltà, e non viceversa. Il che non esclude che a questo ferreo argomentare si associno comparationes domesticae che già preludono a toni e conquiste del poema. Così, per la premessa minore («E’ gentilezza dovunqu’è vertute, / ma non vertute ov’ella») scatta il paragone col cielo, il quale sussiste anche in assenza di stelle, mentre l’esistenza di stelle comporta anche quella del cielo: «sì com’è ‘l cielo dovunqu’è la stella, / ma ciò non e converso». 29 LA BIBLIOTECA DE T ENZONE G RUPO T ENZONE Una similitudine scorciata e poco armonica, ma che al limite (non senza le integrazioni che vengono dal commento in prosa a IV xix 3-6) potrebbe fungere da ‘umbrifero prefazio’ del sublime scenario di un cielo terrestre con cui si apre Pd. XXX, specie ai vv. 4 ss.: […] quando ‘l mezzo del cielo, a noi profondo comincia a farsi tal, ch’alcuna stella perde il parere infino a questo fondo; e come vien la chiarissima ancella del sol più oltre, così ‘l ciel si chiude di vista in vista infino a la più bella. Ma già prima, quando si andava argomentando (vv. 49 ss.) che le ricchezze «non posson gentilezza dar né tòrre», il correlato oggettivo messo in campo da Dante per sancire l’estraneità fra ricchezza e nobiltà, era attinto a un medesimo repertorio realistico: «né la diritta torre / fa piegar rivo che da lunge corre», “un ruscello non può influire sulla statica di una torre che si erge diritta lontano, facendola piegare”.8 Cade così ogni possibilità di collegare la nobiltà con l’appartenenza ad un’antica stirpe: essa infatti non è ereditaria, ma è un dono divino. E tale dono si esplica in precisi segnali, i quali si diversificano solo in rapporto alle varie età dell’uomo. Così, la verecondia nell’adolescenza, con tratti che ci richiamano il Foscolo delle Grazie, specie per la preminenza della componente estetica su quella etica, alla luce di Cv. IV xix 8, «non è virtù ma certa passione buona»;9 così la magnanimità nella giovinezza, la liberalità nella senettute, l’attesa della morte per ‘rimaritarsi’ con Dio nel senio, dopo i settant’anni. E non è senza qualche pregnanza che, a parte la chiamata in causa dell’allegoria di Catone e Marzia, sviluppata in questo quarto libro del Convivio, quello straordinario neologismo ricompaia in Purg. XXIII 81, per il «buon dolor ch’a Dio ne rimarita», a connotare il processo di espiazione attraverso il pentimento supposto da Dante agens nell’amico Forese ritrovato fra i golosi. Di assai maggior peso il rilievo, inevitabile per un lettore appena attento, sul vagheggiamento degli esseri nobili, dichiarati «quasi dei» (v. 30 EMILIO PASQUINI Le dolci rime come palinodia ‘leopardiana’ 113),10 in quanto frutto di un’emanazione divina: «ché solo Iddio a l’anima la dona / che vede in sua persona / perfettamente star». E’ dunque tutt’altro che arbitrario ravvisare in questa sopravvalutazione dell’anima nobile i primi germi della concezione dantesca che fa capo all’invenzione del ‘nobile castello’ nel Limbo, appunto la sede de ‘li spiriti magni’, connotati dall’attributo della magnanimità, visibile anche nell’atteggiamento e nella postura: «Genti v’eran con occhi tardi e gravi, / di grande autorità ne’ lor sembianti: / parlavan rado, con voci soavi…» (If. IV 112 ss.). Un’ipotesi che viene per giunta avallata da certi passi del commento alla nostra canzone nel IV libro del Convivio, dove si passano in rassegna le «undici vertudi dal detto Filosofo [Aristotele nella Nicomachea] nomate». Quasi al centro della serie, dopo il quartetto Fortezza Temperanza Liberalitade Magnificenza, e prima del sestetto Amativa d’onore Mansuetudine Affabilitade Veritade Eutrapèlia e Giustizia, sta appunto «Magnanimitade, la quale è moderatrice e acquistatrice de’ grandi onori e fama»11. Incluse nella nozione archetipica di Nobiltà, tali virtù innervano non solo le quattro età dell’uomo, ma anche l’invenzione di un luogo privilegiato nell’oltretomba (non potendosi in questi casi avallare una salvezza cristiana) «per gli spiriti eletti dell’antichità che bene operarono nella loro vita in questo mondo, facendo dare buoni frutti al seme di felicità infuso da Dio nella loro anima» (Pernicone 1970: 610). S’aggiunga la straordinaria esaltazione dei nobili romani a IV v 10-20, i ‘divini cittadini’ di IV v 17, che culmina nella prima presentazione di Catone e del suo ‘sacratissimo petto’, indubbio presagio dell’invenzione degli abitanti del nobile castello del Limbo in If. IV e dell’avvio stesso del Purgatorio, con Catone, un pagano suicida, eletto a guardiano del secondo regno solo in nome della libertà spirituale. D’altra parte, non occorrerebbe neppure rilevare che gran parte dei presagi della Commedia si trovano piuttosto all’interno del commento in prosa (il 4° libro del Convivio) che nel testo della terza canzone. Si va da elementi di ordine lessicale che già annunciano la temperie del poema (il verbo infernale «latrano» a IV iii 8; i neologismi «gavillava» a IV iv 12 e «trifoglioso» a IV vii 4, eccetera), al rilievo di certe citazioni, come il 31 LA BIBLIOTECA DE T ENZONE G RUPO T ENZONE «Diligite iustitiam qui iudicatis terram» che campeggia nel cielo di Giove (Pd. XVIII 90-93) adombrato a IV vi 18 in «Amate lo lume de la sapienza, voi tutti che siete dinanzi a’ populi»;12 si aggiungano le comparationes domesticae non giustificate dalla canzone:13 IV vii 3; IV ix 10 (per cavallo-cavalcatore, che adombra l’invettiva di Purg. VI anche per la presenza qui del sintagma ‘misera Italia’); IV x 11 (per il nesso ‘dipintore’-‘figura’) nella canzone; IV xvii 12; IV xviii 4; IV xx 8; IV xxiv 10; IV xxviii 4 (con la morte indolore da vecchi e l’anima che si stacca dal corpo come un pomo maturo dal suo ramo). Lo stesso si dica della metafora della ‘rosa’, centrale nella giovinezza (IV xxvii 4: «e conviensi aprire l’uomo quasi come una rosa che più chiusa stare non puote, e l’odore che dentro generato è spandere»), dove l’effetto («quella che alluma non pur sé ma li altri») implicitamente prepara la grande immagine di Virgilio lampadoforo nei canti di Stazio; e a maggior ragione della nutrita serie delle digressioni di ordine dottrinale che nascono da sollecitazioni casuali del testo poetico (se ne ha un’asciutta giustificazione a IV viii 10). Così quella (a IV iv 1-14) sulla necessità della Monarchia, ‘umbrifero prefazio’ del XVI del Purgatorio e del trattato latino specifico, mentre alla sostanza del discorso di Marco Lombardo mirano altro spunti, come IV xii 15-1614 e IV xxii 7 ss.,15 già sulla dirittura d’arrivo di «Di picciol bene in pria sente sapore…» (XVI 91 ss.). Così l’altra sulle potenze dell’anima a IV vii 11-15, preludio alla digressione di Stazio nel XXV del Purgatorio, specie se incrociata con IV xxi 4-5 («quando l’umano seme cade nel suo recettaculo…»); o ancora l’altra sull’hormen (IV xxi 13 ss.), che gradualmente approda all’arco della vita umana che «ne li perfettamente naturati esso ne sia nel trentacinquesimo anno» (IV xxiii 9 ss.), preludio a «Nel mezzo del cammin di nostra vita…», specie se misurato sulla successiva espressione «entra ne la selva erronea di questa vita» (IV xxiv 12). Ma è soprattutto il XXVIII capitolo del nostro quarto libro a fornire gli abbozzi embrionali del canto di Guido da Montefeltro, trasmettendo al XXVII dell’Inferno, che pur ne rappresenta la più clamorosa palinodia, tutto un repertorio di metafore nautiche; ma anche, ai §§ 5-6, dell’eco do32 EMILIO PASQUINI Le dolci rime come palinodia ‘leopardiana’ mestica del discorso di Salomone sulla resurrezione dei corpi, con la gioia di ritrovare le care sembianze delle persone amate (Pd. XIV 61-66). Per non dire della grande metafora del rapporto di Marzia e Catone, l’anima umana che torna a Dio dopo mille vicissitudini, che rappresenta la principale giustificazione della scelta di Catone come guardiano del Purgatorio (poco conta che lo stesso non accetti di essere pregato, da Virgilio con ingenua captatio benevolentiae, in nome della moglie). Quel passo (XXVIII 5-6), che si chiude con la citazione del De senectute ciceroniano, è uno dei non pochi segnali di autobiografismo all’interno del trattato. Così, non stupisce che il IV libro si chiuda con un’esclamazione (che manca invece alla chiusa della canzone), unico caso (per quel che ricordo) in Dante prosatore, cui fanno riscontro nel poema almeno due esclamazioni finali, nel XXXI del Purgatorio e nel XXV del Paradiso, entrambe con riferimento a Beatrice, in contesti di complessa tessitura autobiografica. Ma tutto ciò lascia intendere che nel work in progress dantesco quella canzone, che pur segnava uno stacco fra il poeta e il politico, nel IV libro del Convivio viene come transcodificata dal commento in prosa e proiettata ormai verso le conquiste spirituali del poema. NOTE Così all’inizio del commento; e si veda poi a IV ii 17-18 la formulazione di questo appello alla verità. Suggestiva, al nostro convegno, la prospettiva di Carpi, nel suo riguardare alla canzone «dieci anni dopo», fra il 1305 e il 1306, quando Dante era forse a Treviso presso i da Camino (Carpi 2013). Per la ricerca della verità, Giuliana Nuvoli ha efficacemente richiamato il nesso fra il Cicerone del De officiis e l’Agostino del De civitate Dei (ma alcuni suoi rilievi, a mio avviso, rientrano in un orizzonte interdiscorsivo piuttosto che intertestuale). 1 Peraltro, la speranza di un ritorno è adombrata ai vv. 3-4. Il che non esclude, ovviamente, l’opposizione fra la iunctura ‘dolci rime’-‘soave stile’ vv. 1, 10) e il nesso ‘rima aspra e sottile’ (v. 14), non sanabile col ricorso a Dve. II x 2, «qui 2 33 LA BIBLIOTECA DE T ENZONE G RUPO T ENZONE dulcis subtiliusque poetati vulgariter sunt». Restano, insomma (e lo sottolineava Pinto), due diversi paradigmi retorici, in quanto ancora il «soave e piana» (If. II 56) e soprattutto le «rime d’amor […] dolci e leggiadre» (Pg. XXIV 99) non possono che rappresentare il contromodello delle «rime aspre e chiocce» (If. XXXII 1). Su tutto questo, cfr. Pasquini 1995: 651-660; e s’aggiungano ora i rilievi di López Cortezo in connessione con il De amore di Andrea Cappellano (per la subtilitas amoris). Su cui varrà la pena di ripetere che non si può essere precisi, nonostante Barbi & C., salvo ipotizzare che trattassero tutti snodi della filosofia morale, virtù cardinali et similia; ma almeno un indizio preciso ce lo fornisce Dante stesso a a IV xxvii 10, dove si ripromette di parlare della Giustizia nel penultimo trattato, designando implicitamente Tre donne come testo da commentare. Sulle diverse tipologie di nobiltà ci ha intrattenuto amabilmente Rossend Arqués in sede di convegno, non senza un preciso richiamo alle tesi di Paolo Falzone (2011); mentre Pinto è acutamente intervenuto sul rapporto della nobiltà con l’amore, sottolineando i nessi con la canzone della “leggiadria”, Poscia ch’Amor del tutto m’ha lasciato: anch’essa in un registro palinodico e in una prospettiva d’impegno civile, se non democratico (lo stesso Pinto ci ricordava il commento di Tommaso alla terza proposizione del De causis, sull’anima nobilis, entro una sorta di ‘metafisica della nobiltà’) 3 Nella Monarchia III iii 4 farà invece macchina indietro, cogliendo una sintonia fra Federico II e la Politeia di Aristotile; ma già un giudizio positivo affiorava nel De vulgari e nel Convivio. 4 Notevole la spiegazione che si dà nel commento, a IV ii 15-16, circa la possibilità della doppia giacitura; ma vedi anche «in riprovando o in approvando» a IV ix 1. 5 E’ noto come Boccaccio ne abbia fornito un esempio superbo nella novella di Cimone (Dec. V 1) e come abbia distinto due diversi significati di ‘virtù’ nella novella di Ghismonda (IV 1). Su quest’ultimo snodo, preziose le messe a punto di Juan Varela-Portas all’interno del suo progettato commento alle canzoni dantesche, specie per quanto riguarda la ricerca della fama sociale o dell’elogio pubblico, anteposta allo scopo finale della felicità (il de summo bono più vulgato). 6 34 EMILIO PASQUINI Le dolci rime come palinodia ‘leopardiana’ Cfr. Carpi 2010, Tavoni in Alighieri 2011 e Santagata 2011: 9 e ss., 343 e ss., 357 e ss. Quanto a Carpi, in sede di convegno, egli ha fatto interagire (per il IV libro del Convivio) il tema imperiale con un certo orizzonte ‘infernale’. 7 8 Vedine le riprese, all’interno del commento, qui sotto citate. Anche se la più articolata spiegazione a IV xxv 10 sembra piuttosto scivolare verso l’area del pentimento, originato da «una paura di disonoranza per fallo commesso» che porta con sé «una amaritudine che è gastigamento a non più fallire». 9 10 Ripreso puntualmente nel commento in prosa a IV xx 4-5. Cfr. anche IV xxvi 7, «e questo sprone si chiama Fortezza o vero Magnanimitade, la quale vertute mostra lo loco dove è da fermarsi e da pugnare». 11 12 Citazione ribadita a IV xvi 1. A differenza del nesso ‘torre’-‘rivo’, replicato a IV xiii 16, di cui si è già detto sopra. 13 «E sì come peregrino che va per una via per la quale mai non fue, che ogni casa che da lungi vede crede che sia l’albergo […]; così l’anima nostra, incontanente che nel nuovo e mai non fatto cammino di questa vita entra, dirizza li occhi al termine del suo sommo bene, e però, qualunque cosa vede che paia in sé avere alcuno bene, crede che sia esso…». 14 «Dico dunque che da principio se stesso ama, avvegna che indistintamente; poi viene distinguendo quelle cose che a lui sono più amabili e meno […]. E conoscendo in sé diverse parti, quelle che in lui sono più nobili, più ama quelle…». 15 35 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI ALANI DE INSULIS: Liber in distinctionibus Dictionum theologicalium, P.L. 210, 687-1.112. ALIGHIERI, D. (1946): Rime, a cura di G. Contini, Torino, Einaudi. ALIGHIERI, D. (1967): Dante’s Lyric Poetry, by K. Foster and P. Poyde, vol. I, The Poems, Text and Traslation, vol. II, Commentary, Oxford, Clarendon Press. ALIGHIERI, D. (1969): Rime della maturità e dell’esilio, a cura di M. Barbi e V. Pernicone, Firenze, Le Monnier. ALIGHIERI, D. (1986): Il Convivio, a c. di G. Busnelli e G. Vandelli, Firenze, Le Monnier. ALIGHIERI, D. (1988): Opere minori, I. 2, a cura di C. Vasoli e di D. De Robertis, Milano - Napoli, Ricciardi. ALIGHIERI, D. (1991): Commedia, a c. di A. M. Chiavacci Leonardi, Milano, Mondadori. ALIGHIERI, D. (1994): La Commedia secondo l’antica vulgata, a cura di G. Petrocchi, Firenze, Le Lettere. ALIGHIERI, D. (1995): Convivio, a cura di F. Brambilla Ageno, 2 voll., Firenze, Le Lettere. ALIGHIERI, D. (2005): Rime, edizione commentata a cura di D. De Robertis, con cd-rom, Firenze, Edizioni del Galluzzo per la Fondazione Ezio Franceschini. ALIGHIERI, D. (2011): Rime, Vita Nova, De vulgari eloquentia, a cura di C. Giunta, G. Gorni, M. Tavoni, Introduzione di M. Santagata, Milano, Mondadori, pp. 329-354. ALIGHIERI, D. (2012): De vulgari eloquentia, a cura di E. Fenzi, con la collaborazione di L. Formisano e F. Montuori, Roma, Salerno Editrice (Opere di Dante, III). ALIGHIERI, D. (2013): Monarchia, a cura di P. Chiesa e A. Tabarroni, con la collaborazione di D. Ellero, Roma, Salerno ed. 189 ALIGHIERI, D. (2014): Libro de las canciones y otros poemas, edición de Juan Varela-Portas (coord.), Rossend Arqués Corominas, Raffaele Pinto, Rosario Scrimieri Martín, Eduard Vilella Morató, Anna Zembrino, traducción de Raffaele Pinto, Madrid, Akal. AMBROGIO, S. (1989): Opere morali II/II. Verginità e vedovanza, introduzione, traduzione, note e indici di F. Gori, [textum post E. Cazzaniga et Maurinam editionem F. Gori recognovit], Milano, Biblioteca Ambrosiana - Roma, Città Nuova. AMBROSIUS MEDIOLANENSIS (1999): Expositio psalmi CXVIII, recensuit M. Petschenig, editio altera supplementis aucta, curante M. Zelzer, Vindobonae, Österreichische Akademie der Wissenschaften. AMBROSIUS, S. (1897): Opera. Pars altera qua continentur libri De Iacob - De Ioseph - De patriarchis - De fuga saeculi - De interpellatione Iob et David - De apologia David - Apologia David altera - De Helia et ieiunio - De Nabuthae - De Tobia, recensuit C. Schenkl, Pragae-Vindobonae - Tempsky, Lipsiae - Freytag. ANDREAS CAPELLANUS (1985): De Amore, ed. de I. Creixell Vidal-Quadras, Barcelona, El Festín de Esopo. APPONIUS (1986): In Canticum canticorum expositionem, ediderunt B. de Vregille et L. Neyrand, Turnholti, Brepols. ARDUINI, B. (2010): «Il desiderio naturale della conoscenza in ‘Le dolci rime d’amor ch’io solea’», in Le Rime di Dante. Gargnano del Garda (25-27 settembre 2008), a cura di C. Berra e P. Borsa, Milano, Cisalpino, pp. 231-249. ARISTOTE (1967): Rhétorique, texte établi et traduit par M. Dufour, Les Belles Lettres, Paris. ARISTOTE (1968): De la richesse - De la prière - De la noblesse - Du plaisir - De l’éducation, fragments et témoignages édités, traduits et commentés sous la direction et avec une préface de P.-M. Schuhl par J. Aubonnet, J. Bertier, P. Hadot, J. Pépin, P. Thillet, Paris, Presses Universitaires de France. ARISTOTELES (1994): Politica, recognovit brevique adnotatione critica instruxit W. D. Ross, Oxford, Clarendon press. 190 ARISTOTELES (1996): Fisica, texto revisado y traducido por J. L. Calvo Martinez, Madrid, Consejo Superior de Investigaciones Científicas. ARNOBIUS IUNIOR (1992): Liber ad Gregoriam in Palatio constitutam, in ID., Opera minora, cura et studio K.-D. Daur, Turnholti, Brepols. AVALLE, D. S. (1977): Ai luoghi di delizia pieni. Saggio sulla lirica italiana del XIII secolo, Milano-Napoli, Ricciardi. AUGUSTINUS, S. (1894): De Genesi ad litteram libri duodecim, eiusdem libri capitula - De Genesi ad litteram inperfectus liber - Locutionum in Heptateuchum libri septem, recensuit I. Zycha, Pragae, Tempsky. AUGUSTINUS, S. (2004): Enarrationes in Psalmos 51-100. Pars 1: Enarrationes in Psalmos 51-60, edidit H. Müller, Wien, Verlag der Österreichischen Akademie der Wissenschaften. AUGUSTINUS, S.(2005): Enarrationes in Psalmos 101-150. Pars 5: Enarrationes in Psalmos 141-150, edidit F. Gori, adiuvante I. Spaccia, Wien, Verlag der Österreichischen Akademie der Wissenschaften. AUGUSTINUS, S. (1967): De sermone Domini in monte libros duos, post Maurinorum recensionem denuo edidit A. Mutzenbecher, Turnholti, Brepols. BADEL, C. (2005): La noblesse de l’Empire Romain. Les masques et la vertu, Seyssel sue le Rhone, Champ Vallon. BARUCCI, G. (2010): «‘Poscia ch’amor del tutto m’ha lasciato’. Gli ‘exempla’ di comportamento», in Le Rime di Dante. Gargnano del Garda (25-27 settembre 2008), a cura di C. Berra e P. Borsa, Milano, Cisalpino, pp. 251-277. BEDA VENERABILIS (1967): Opera, Pars II. Opera exegetica, 1. Libri quatuor in principium Genesis usque ad natiuitatem Isaac et eiectionem Ismahelis adnotationum, cura et studio Ch. W. Jones, Turnholti, Brepols. BO: BERNARDUS, S. (1957-1998): Opera, ad fidem codicum recensuerunt J. Leclercq, C. H. Talbot, H.M. Rochais, 9 voll., Romae, Editiones Cistercienses. 191 BERTI, E. (1970): «Etica», in Enciclopedia Dantesca, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, vol. II, pp. 756-758. BIBLIA sacra iuxta Vulgata versionem (1994), recensuit et brevi apparatu critico instruxit R. Weber [...], editio quarta emendata, Stuttgart, Deutsche Bibelgesellschaft. BOCCACCIO, G. (1985): Decameron, a cura di V. Branca, Milano, Arnoldo Mondadori. BOCCIOLINI PALAGI, L. (1978): Il carteggio apocrifo di Seneca e san Paolo, Firenze, Olschki. BOETHIUS, A.M.S. (1957): Philosophiae consolatio, edidit L. Bieler, Turnholti, Brepols. BONAVENTURA DA BAGNOREGIO (1985): Itinerario dell’anima a Dio. Breviloquio. Riduzione delle arti alla teologia, Milano, Rusconi. BOO: BONAVENTURA, D. S. S. (1882-1902): Opera omnia [...], studio et cura PP. Collegii a S. Bonaventura, 11 voll., ad Claras Aquas (Quaracchi), ex Typographia collegii S. Bonaventurae. BORSA, P. (2007a): La nuova poesia di Guido Guinizelli, Firenze, Cadmo. BORSA, P. (2007b): «“Sub nomine nobilitatis”: Dante e Bartolo da Sassoferrato, in Studi dedicati a Gennaro Barbarisi, a cura di C. Berra e M. Mari, Milano, CUEM, pp. 59-121. BOTTIROLI, G. (1996): «Il ragazzo che non amava i riassunti», Italiano e oltre, a. XI, n. 1, pp. 16-20. BROWN, J. (in rete): «Define la necesidad: sobre los goces e insatisfacciones de la mercancía», in http://iohannesmaurus.blogspot.com/2011/12/define-la-necesidadsobre-los-goces-e.html. BUZZETTI, D. (1997): «La Faculté des arts dans les universités de l’Europe méridionale. Quelques problèmes de recherche», in L’enseignement des disciplines à la Faculté des arts (Paris et Oxford, XIIIe-XVe siècles). Actes du Colloque international, édités par O. Weijers et L. Holtz, Turnhout, Brepols. 192 CAESARIUS ARELATENSIS, S. (1953): Sermones, nunc primum in unum collecti et ad leges artis criticae ex innumeris mss. recogniti studio et diligentia D. G. Morin, 2 voll., ed. altera, Turnholti, Brepols. CALPURNIUS SICULUS, T. (1954): T. Calpurnii Siculi De laude Pisonis et Bucolica et M. Annaei Lucani De laude Caesaris. Einsidlensia quae dicuntur carmina, édition, traduction et commentaire par R. Verdière, Berchem - Bruxelles, Latomus. CAROLUS REX (1998): Opus C. R. contra Synodum (Libri Carolini), herausgegeben von A. Freeman, unter Mitwirkung von P. Meyvaert, Hannover, Hahn CARPI, U. (2004): La nobiltà di Dante, 2 voll., Firenze, Polistampa. CARPI, U. (2010): «Un Inferno guelfo », Nuova rivista di Letteratura italiana XIII, 1-2, pp. 95-134. CARPI, U. (2013): L’‘Inferno’ dei guelfi e i prìncipi del ‘Purgatorio’, Milano, Franco Angeli. CASSIODORUS, M.A. (1973): Variarum libri XII, cura et studio A. J. Fridh - De anima, [cura et studio J. W. Halporn], Turnholti, Brepols. CASTELNUOVO, G. (2008): «Revisiter un classique: noblesse hérédité et vertu d’Aristote à Dante et à Bartole (Italie communale, début XIIIe milieu XIVe siècle)», in L’hérédité entre Moyen Âge et Époque moderne. Perspectives historiques, Études réunis par M. van der Lugt et Ch. de Miramon, Firenze, Sismel - Edizioni del Galluzzo, pp. 105155. CLCLT: Cetedoc Library of Christian Latin Texts, 2 cd-rom, Turnhout, Brepols - Universitas Catholica Lovaniensis Lovanii Novi, 19963. CICERO, M.T. (1911): Pro P. Sestio oratio, in ID., Orationes, recognovit G. Peterson, Oxonii, e Typographeo Clarendoniano. CICERO, M.T. (1922-1923): In C. Verrem actionis secundae libri, recognovit A. Klotz, 2 voll., Lipsiae - Berolini, in aedibus Teubneri. CICERO, M.T. (1982): In M. Antonium orationes Philippicae XIV, edidit P. Fedeli, Teubner, Leipzig. 193 CICERO, M.T. (1995): Orationes In P. Vatinium testem [et] Pro M. Caelio, edidit T. Maslowski, Stutgardiae - Lipsiae, in aedibus Teubneri. CODICE diplomatico dantesco (1940), edito da R. Piattoli, Firenze, Gonnelli. COLKER, M.L. (1961): «‘De nobilitate animi’», Medieval Studies 23, pp. 47-79. COLLI, A. (2012): «Nobilitas. Testi medievali e mappe ontologiche digitali. Il concetto di nobilitas come speculum per una web-analysis delle teorie dell’intelletto del XIII secolo», a cura di A. Colli, online all’indirizzo ‹http://nobilitas.lett.unitn.it/index.html›. COMICORUM Atticorum Fragmenta (1888): vol. III. Novae comoediae fragmenta. Pars 2 - Comicorum incertae aetatis fragmenta - Fragmenta incertorum poetarum - Indices - Supplementa), edidit Th. Kock, Lipsiae, in aedibus Teubneri. CONTAMINE, G. et Ph. (2003): «Noblesse, vertu, lignage et ‘anciennes richesses’. Jalons pour l’histoire médiévale de deux citations: Juvénal, ‘Satires’ 8, 20 et Aristote, ‘Politique’ 5, 1», in La tradition vive. Mélanges d’histoire des textes en l’honneur de Louis Holtz, réunis par P. Lardet [...], Paris-Turnhout, Brepols, pp. 321-334. CONSOLI, D. (1970): «Nobiltà e nobile», in Enciclopedia Dantesca, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, vol. IV, pp. 58-62. CORTI, M. (1959): «Le fonti del Fiore di virtù e la teoria della nobiltà nel Duecento», Giornale Storico della Letteratura Italiana 136, pp. 1-82. CORTI, M. (1983): La felicità mentale. Nuove prospettive per Cavalcanti e Dante, Torino, Einaudi. CORTI, M. (1993), Percorsi dell’invenzione. Il linguaggio poetico e Dante, Torino, Einaudi. CURTIUS, E. R. (1992): Letteratura europea e Medio Evo latino, a cura di Roberto Antonelli, Scandicci, La Nuova Italia [ed. orig. Europäische Literatur und lateinisches Mittelalter, Bern, A. Francke Verlag, 1948]. CYPRIANUS, S. (1976): Opera. II. Ad Donatum - De Mortalitate - Ad Demetrianum - De opere et eleemosynis - De zelo et livore, edidit M. 194 Simonetti. De Dominica oratione - De bono patientiae, edidit C. Moreschini, Turnholti, Brepols. DAVIS, Ch.T. (1984): Dante’s Italy and Other Essays, Philadelphia, University of Pennsylvania Press. DECARIA, A. (2012): «11. Poscia ch’amor del tutto m’ha lasciato», in ALIGHIERI, D., Le Quindici Canzoni. Lette da diversi. II, 8-15, con appendice di 16 e 18, Lecce, Pensa Multimedia, pp. 87-120. DE LIBERA, A. (1991): Penser au Moyen Âge, Paris, Seuil. EVANGELISTI, P. (2012): «Il quadrato di Aristotele. La moneta nell’edificazione della sovranità e della res publica (XIII-XIV s.)», in I linguaggi della società politica, 2° Atelier internazionale del progetto “Les vecteurs de l’idéel. Le pouvoir symbolique entre Moyen Âge et Renaissance (v. 1200 - v. 1640)”, Università degli Studi di Milano, 30 settembre - 2 ottobre 2010, Roma, Viella, pp. 367-394. FALZONE, F. (2010a): «Desiderio naturale, nobiltà dell’anima e grazia divina nel IV trattato del ‘Convivio’», in Dante the Lyric and Ethical Poet. Dante Lirico e Etico, edited by Z.G. Barański and M. McLaughlin, London, Modern Humanities Research Association - Maney Publishing, pp. 24-55. FALZONE, F. (2010b): Desiderio della scienza e desiderio di Dio nel ‘Convivio’ di Dante, Bologna, il Mulino. FENZI, E. (1991 [ma 1997]): «‘Sollazzo’ e ‘leggiadria’. Un’interpretazione della canzone dantesca Poscia ch’amor», Studi danteschi LXIII, pp. 191-280. FENZI, E. (2008): «Tra etica del dono e accumulazione. Note di lettura alla canzone dantesca Doglia mi reca», in GRUPO TENZONE, Doglia mi reca nello core ardire, edición de U. Carpi, Madrid, Departamento de Filología Italiana (UCM) - Asociación Complutense de Dantología, pp. 147-211. FENZI, E. (2013): «Dante ghibellino. Note per una discussione», Quaderns d’Italià 18, Dante i Llull, pp. 127-156. 195 FENZI, E. (2012): Introduzione, in D. ALIGHIERI, De vulgari eloquentia, a cura di E. Fenzi, con la collaborazione di L. Formisano e F. Montuori, Roma, Salerno Editrice (Opere di Dante, III), pp. XIX-LXII. FORTI, F. (1977): Magnanimitade. Studi su un tema dantesco, Bologna, Pàtron. FORTI, F: (2006 [1977]): Magnanimitade. Studi su un tema dantesco, premessa di E. Pasquini, Roma, Carocci. GAUTHIER, R.-A. (1951): Magnanimité. L’idéal de la grandeur dans la philosophie païenne et dans la théologie chrétienne, Paris, Vrin. GILSON, É. (1986): Dante et la philosophie, Paris, Vrin. GIUNTA, C. (2008): «Commento a ‘Poscia ch’amor del tutto m’ha lasciato’», in Le Rime de Dante. Atti della Giornata di studi (16 novembre 2007), a cura di P. Grossi, Paris, Istituto Italiano di Cultura, pp. 75-106. GREGOIRE LE GRAND (PIERRE DE CAVA): Commentaire sur le premier livre des Rois, IV. IV, 79-217, introduction, texte, traduction et notes par A. de Vogüe, Paris, Les Éditions du Cerf. GREGORII MAGNI, S. (1979-1985): Moralia in Iob, cura et studio M. Adriaen, 3 voll., Turnholti, Brepols. GUGLIELMETTI, R. E. (2005): La tradizione manoscritta del ‘Policraticus’ di Giovanni di Salisbury. Primo secolo di diffusione, Firenze, Sismel - Edizioni del Galluzzo. GÜNTERT, G. (1997): Tre premesse e una dichiarazione d’amore. Vademecum per il lettore del ‘Decameron’, Modena, Mucchi. HIERONYMUS, S.E. (1910-1918): Epistulae, recensuit I. Hilberg, 3 voll., Vindobonae - Tempsky, Lipsiae, Freytag. HORATIUS FLACCUS, Q. (1959): Opera, recognovit brevique adnotatione critica instruxit E.C. Wickham, editio altera, curante H. W. Garrod, Oxonii, e Typographeo Clarendoniano. IOANNES SARESBERIENSIS (1909): Policratici sive De nugis Curialium et vestigiis Philosophorum libri VIII, recognovit et prolegomenis, appa196 ratu critico, commentario, indicibus instruxit C.C.I. Webb, 2 voll., Oxonii, e Typographeo Clarendoniano. IOHANNES CASSIANUS (1888): De institutis coenobiorum et de octo principalium vitiorum remediis libri XII - De incarnatione Domini contra Nestorium libri VII, accedunt prolegomena et indices, recensuit et commentario critico instruxit M. Petschenig, Vindobonae, Tempsky. ISIDORUS HISPALENSIS (1957): Etymologiarum, sive Originum libri XX, recognovit brevique adnotatione critica instruxit W. M. Lindsay, Oxonii, e Typographeo Clarendoniano. IUVENALIS, D. I. (1997): Saturae sedecim, edidit I. Willis, Stutgardiae Lipsiae, in aedibus B.G. Teubneri. LEPORATTI, R. (2009): «Le dolci rime d’amor ch’io solea», in D. ALIGHIERI, Le quindici canzoni lette da diversi I, 1-7, Lecce, Pensa MultiMedia Editore, pp. 89-117. LIBER DE CAUSIS (EL LIBRO DE LAS CAUSAS) (2001), edición bilingüe, estudio preliminar y bibliografía y traducción de R. Águila Ruiz, Bilbao, Universidad del País Vasco. LIVIUS, T. (1982): Ab urbe condita libri XXVI-XXVII, recognovit P.G. Walsh, Leipzig, Teubner. MARIUS VICTORINUS, C. (1997): Liber de definitionibus. Eine spätantike Theorie der Definition und des Definierens, mit Einleitung, Übersetzung und Kommentar, hrsg. A. Pronay, Bern, Lang. MENGALDO, P. V. (1970): «Convenientia», in Enciclopedia dantesca, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, vol. I, pp. 187. MENGALDO, P. V. (1973): «Ornatus», in Enciclopedia dantesca, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, vol. IV, pp. 200-203. MIRAMON, Ch. de (2008), «Aux origines de la noblesse et des princes du sang. France et Angleterre au XIVe siècle», in L’hérédité entre Moyen Âge et Époque moderne. Perspectives historiques, Études réunis par M. van der Lugt et Ch. de Miramon, Firenze, Sismel - Edizioni del Galluzzo, pp. 157-210. 197 NARDI, B. (1949): Dante e la cultura medievale. Nuovi saggi di filosofia dantesca, seconda edizione riveduta e accresciuta, Bari, Laterza. NARDI, B. (1944): Nel mondo di Dante, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura. NOVATIANUS (1972): Opera quae supersunt, nunc primum in unum collecta ad fidem codicum qui adhuc extant necnon adhibitis editionibus veteribus edidit G.F. Diercks, Turnholti, Brepols. OVIDE (1977): Pontiques, texte établi et traduit par J. André, Paris, Les Belles Lettres. OVIDIUS NASO, P. (2004): Metamorphoses, recognovit brevique adnotatione critica instruxit R.J. Tarrant, Oxonii, e Typographeo Clarendoniano. PASQUINI, E. (1970): «Amico», in Enciclopedia dantesca, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana,, vol. I, pp. 203-208. PASQUINI, E. (1995): «Il “dolce stil novo”», in Storia della letteratura italiana, diretta da E. Malato. I (Dalle origini a Dante), Roma, Salerno. PASQUINI, E. (2001): Dante e le figure del vero, Milano, B. Mondadori. PERNICONE, V. (1970): «Le dolci rime», in Enciclopedia dantesca, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana,, vol. III, pp. 609-610. PINTO, R. (2002): «Gentucca e il paradigma poetico del ‘dolce stil novo’», Tenzone 3, pp. 191-215. PINTO R. (2008): «Le donne innamorate come soggetto politico nell’orizzonte utopico della modernità», in GRUPO TENZONE, Doglia mi reca nello core ardire, edición de U. Carpi, Departamento de Filología Italiana (UCM) - Asociación Complutense de Dantología, pp. 97-146. PINTO, R. (2011): «La seconda poetica del disdegno e il Liber de causis», in GRUPO TENZONE, Amor che movi tua virtù dal cielo, edición de C. López Cortezo, Madrid, Departamento de Filología Italiana (UCM) Asociación Complutense de Dantología, pp. 61-104. PINTO, R. (2013a): «Amor che nella mente” e Guido Cavalcanti», in GRUPO TENZONE, Amor che nella mente mi ragiona, edición de E. 198 Fenzi, Madrid, Departamento de Filología Italiana (UCM) - Asociación Complutense de Dantología, pp. 31-79. PINTO, R. (2013b): «La Grammatica in Dante», in Quaderns d’Italià 18, Dante i Llull, pp. 15-44. PL: Patrologiae cursus completus omnium SS. patrum, doctorum scriptorumque ecclesiasticorum sive latinorum, sive graecorum. Series Latina […], accurante J.-P. Migne, Turnholti, Brepols, 1844-1862. PLAUTE (1957): Pseudolus, in ID., Comédies, texte établi et traduit par A. Ernout, 2e éd. revue et corrigée, Paris, Les Belles Lettres, VI, pp. 14106. PLD: Patrologia Latina Database, online all’indirizzo ‹http://pld.chadwyck.co.uk›. PLINE LE JEUNE (1938): Panégyrique de Trajan, prefacé, édité et commenté par M. Durry, Paris, Les Belles Lettres. PSEUDO-SALLUSTE (1962): Lettres a César. Invectives, texte établi, traduit et commenté par A. Ernout, Paris, Les Belles Lettres. ROBIGLIO, A. A. (2006): «The Thinker as a Noble Man (‘bene natus’) and Preliminary Remarks on the Concept of Nobility», Vivarium 44, 2-3, pp. 205-247. ROBIGLIO, A. A. (2007): «Nobiltà e riconoscimento in Dante: in margine a una recente edizione del IV libro del ‘Convivio’», L’Alighieri 30, pp. 83-102. ROBIGLIO, A. A. (2009): «La latitudine della nobiltà. Una questione filosofica nel commento di Giovanni da Serravalle alla ‘Divina Commedia’ (1416)», Rassegna europea di letteratura italiana 33, pp. 31-49. RUBINSTEIN, N. (2004): «Dante and nobility», in ID., Studies in Italian History in the Middle Ages and the Renaissance, Roma, Edizioni di storia e letteratura, I. Political Thought and the Language of Politics. Art and Politics, edited by G. Ciappelli, pp. 165-200. SALLUSTIUS CRISPUS, C. (1991): Catilina - Iugurtha - Historiarum fragmenta selecta - Appendix sallustiana, recognovit L. D. Reynolds, Oxonii, e Typographeo Clarendoniano. 199 SANTAGATA M. (2011): L’io e il mondo. Un’interpretazione di Dante, Bologna, Il Mulino. SANTAGATA, M. (2012): Dante. Il romanzo della sua vita, Milano, Mondadori. SEDULIUS SCOTTUS (1996-1997): Collectaneum in Apostolum, eingeleitet und herausegegen von H. J. Frede und H. Stanjek, 2 voll., Freiburg, Herder. SENECA (1999): Hercules furens, Einleitung, Text, Übersetzung und Kommentar von M. Billerbeck, Leiden, Brill. SENECA, THE ELDER (1974): Controversiae, 2 voll., Cambridge [Mass.] Harvard University Press, London - Heinemann. SENÈQUE (1945-1964): Lettres à Lucilius, texte établi par F. Prechac et traduit par H. Noblot, 5 voll., Paris, Les Belles Lettres. SENÈQUE (1972): Des bienfaits, texte établi et traduit par F. Prechac, 2 voll., Paris, Les Belles Lettres. SYME, R. (2001): L’aristocrazia augustea. La classe dirigente del primo principato romano, Milano, Rizzoli (ed. orig. The Augustan Aristocracy, Oxford, Oxford University Press, 1986). TLL: Thesaurus linguae Latinae, Lipsiae, In aedibus B.G. Teubneri, 1900-2008; ora anche online all’indirizzo ‹www.degruyter.com/db/tll›. THOMAS DE AQUINO, S. (2000-2013): Sententia libri Ethicorum, in Corpus Thomisticum, Subsidia studii ab E. Alarcón collecta et edita Pompaelone ad Universitatis Studiorum Navarrensis [...], Fundación Tomás de Aquino, online all’indirizzo ‹www.corpusthomisticum.org/ctc0104.html›. TIBULLI aliorumque carminum libri tres (1915), recognovit I. P. Postgate, editio altera, Oxonii, e Typographeo Clarendoniano. TOLOMIO, I. (1979): «Introduzione», in L’anima dell’uomo. Trattati sull’anima dal V al IX secolo, introduzione, traduzione e note di I. Tolomio, Milano, Rusconi, pp. 5-102. TOMMASO D’AQUINO (1997): Somma teologica, Bologna, Edizioni Studio Domenicano. 200 UGUCCIONE DA PISA (2004): Derivationes, edizione critica princeps a cura di E. Cecchini, e di G. Arbizzoni, S. Lanciotti, G. Nonni, M.G. Sassi, A. Tontini, Firenze, Sismel - Edizioni del Galluzzo. VARELA-PORTAS DE ORDUÑA, J. (2006): Dante Alighieri, Madrid, Síntesis. VARELA-PORTAS DE ORDUÑA, J. (2013a): «La nascita del racconto», in La fortuna del racconto in Europa, a cura di M. Curcio, Roma, Carocci, pp. 33-42. VARELA-PORTAS DE ORDUÑA, J. (2013b): «De Ghismonda a Melibea: las verdades del alma», in Los viajes de Pampinea: novella y novela española en los Siglos de Oro, I. Colón Calderón, D. Caro Bragado, C. Marías Martínez y A. Rodríguez de Ramos (eds.), Madrid, Sial ediciones, pp. 91-98. VARELA-PORTAS DE ORDUÑA, J. (2013c): «Entre cielo y tierra: la ligazón y el abismo», Quaderns d’Italià 18, Dante i Llull, pp. 93-108. VARELA-PORTAS DE ORDUÑA, J. (2014): «El Libro de las canciones, ¿una nueva obra de Dante?», in D. ALIGHIERI, Libro de las canciones y otros poemas, edición de Juan Varela-Portas (coord.), Rossend Arqués, Raffaele Pinto, Rosario Scrimieri, Eduard Vilella y Anna Zembrino, Madrid, Akal, pp. 5-108. VASOLI, C. (1988): «Introduzione», in D. ALIGHIERI, Opere Minori I. 2, Convivio, a cura di C. Vasoli, Milano-Napoli, Ricciardi. VIRGILE (1980-1982): Énéide, texte etabli et traduit par J. Perret, 3 voll., Paris, Les Belles Lettres. 201