la durabilita` del calcestruzzo: teoria, pratica

Transcript

la durabilita` del calcestruzzo: teoria, pratica
LA DURABILITA' DEL CALCESTRUZZO:
TEORIA, PRATICA, PRESCRIZIONI.
geom. Ivano PIGNI - Coordinatore Comitato Tecnico ASSIAD 1. - PREMESSA.
Per molto tempo tutti abbiamo considerate eterne le strutture di calcestruzzo ma oggi è sufficiente
guardarsi un po' intorno per accorgersi che non è così, le patologie che riguardano il calcestruzzo
sono di chiara e conclamata gravità e, se ancora oggi, è quasi impossibile prevedere con
esattezza quanti anni resisterà in opera un calcestruzzo è però possibile fare molto per limitare le
cause esterne ed interne del degrado.
Ogni volta che si discute di degrado del calcestruzzo è atteggiamento comune riferirsi soprattutto
all'inquinamento o ad altri fattori esterni: la conoscenza dei materiali e lo studio accurato delle
patologie ci dimostrano invece che su 100 calcestruzzi precocemente degradati circa 45 lo sono
per un confezionamento non corretto (dosaggi di cemento troppo bassi, rapporti A/C troppo
elevati, scarsa cura nel proporzionare le miscele, mix design errati, ecc.); 25 circa, per errori o
imperfezioni nella messa in opera (scarsa o nulla compattazione, casserature non idonee,
nessuna operazione di curing, ecc.); 25 circa, per una progettazione non corretta dell'opera
(copriferro inadeguati, spazi interferro troppo limitati per consentire la posa di conglomerati di
adatte caratteristiche, errata valutazione dell'ambiente di esposizione e delle sollecitazioni che
esso deve fronteggiare, ecc.): Solo 5 calcestruzzi, infine, risultano danneggiati da cause
accidentali e quindi totalmente imprevedibili.
L'eccessivo e rapido degrado del calcestruzzo ha quindi responsabilità abbastanza nette e precise
ed un primo rimedio è intuitivo, responsabilizzare e qualificare maggiormente i singoli operatori.
(fig 1)
Un calcestruzzo durevole, infine, ha un costo superiore a quello di un calcestruzzo
corrente mentre i prezzi di capitolato e di mercato delle strutture in c.a., quasi sempre
poco remunerativi, tendono a far realizzare conglomerati di bassa qualità. Bassa qualità
che, tuttavia, ad un sommario controllo, sembra soddisfare le poche specifiche tecniche
prescritte. Il progresso tecnologico ed il miglioramento sensibile della qualità dei prodotti
oggi disponibili, sono diventati anch'essi, paradossalmente, causa di degrado. E' oggi
possibile: ridurre le sezioni resistenti, aumentare i tassi di lavoro delle strutture, eseguire
getti e mettere in esercizio le strutture in tempi brevissimi e, tutto ciò, come vedremo più
avanti, può essere molto pericoloso. (fig 2)
Si cercherà ora di esaminare più nel dettaglio le molteplici cause che provocano degrado e che
abbiamo cercato di sintetizzare nella tabella precedente ma possiamo affermare, fin d'ora, che le
possibilità di insorgenza di una alterazione sono proporzionali alla permeabilità del conglomerato
cementizio. Un calcestruzzo impermeabile non consente la penetrazione a nessun elemento
chimico, neutro o aggressivo che sia. Al contrario, un calcestruzzo molto permeabile può essere
soggetto a qualsiasi attacco portatogli dall'ambiente circostante. Il calcestruzzo durevole deve
quindi possedere una caratteristica fondamentale: la compattezza. Un calcestruzzo sarà tanto più
compatto quanto più accuratamente sarà stato progettato, eseguito, controllato e messo in opera.
2. - PROGETTO DELL'IMPASTO - MIX DESING.
Il calcestruzzo come noi lo conosciamo è una miscela di particelle solide (cemento e aggregati)
con acqua. Possiamo quindi dire che, allo stato fresco, la porosità dell'impasto, che è poi il
contrario della compattezza, è uguale alla quantità d'acqua necessaria a riempire tutti i vuoti
rimasti tra i granuli. Ma qual'è il volume di questi vuoti?. In un sistema di sfere monogranulari il
volume dei vuoti dipende da una legge fisica invalicabile il rapporto tra il volume del cubo e della
sua sfera che esso circoscrive. Via via che il numero delle sfere cresce cioè diminuisce il loro
diametro esse possono assumere una disposizione spaziale più complessa ed una porosità
decrescente. In un recipiente di dimensione infinita (senza pareti) la minima porosità raggiungibile
con sfere monogranulari è del 26%. Ciò significa che se in un sistema le sfere sono più di una,
sono tutte uguali e non c'è "effetto parete", che esse siano grandi o piccolissime non importa:
questa è la massima compattezza raggiungibile. I vuoti tra le sfere sono in grado, però, di
accogliere sfere più piccole: in un sistema di sfere assortite la porosità può quindi diminuire
ancora. Questo esercizio, puramente matematico, (introdurre una "sfera" più piccola nel vuoto
lasciato da quattro "sfere" più grandi affiancate), si potrebbe protrarre all'infinito ottenendo una
lievissima diminuzione della porosità ad ogni "passaggio" (aggiunta di sfere più piccole) ma, in
pratica, già alla quinta aggiunta, la possibile introduzione di nuovo materiale sarà così esigua da
rendere inutile il proseguire oltre. La porosità residua ultima è del 15%.
Nella pratica di ogni giorno, per il nostro "esercizio", non abbiamo mai a disposizione sfere
perfette ma solo uno o più insiemi di granuli di varia forma e vario assortimento. Le equazioni ed i
calcoli, allora, si complicano un po'; sarà più pratico allora, affidarsi a delle convenzioni stabilite
sulla base di risultati sperimentali. La minima porosità ottenibile sarà, in ogni caso, molto vicina a
quella teorica e vi si giunge (è un metodo tra tanti ed è tra i più affidabili) componendo gli
assortimenti granulometrici disponibili in modo che la distribuzione granulometrica risultante
coincida con una distribuzione teorica che assume la figura data dall'equazione 1:
1) P% = d/D
Se a questa configurazione, disegnata su carta millimetrata, affiancheremo un minimo di
tolleranza, la figura che otterremo sarà il famoso e famigerato "fuso granulometrico" entro cui
dovremo tentare di rimanere con il nostro insieme se vorremo ottenere la miscela più compatta
possibile. Tale fuso granulometrico è solo uno degli svariati metodi, sia grafici sia matematici,
utilizzabili per ottenere il risultato voluto e si rifà alla teoria di Fuller. Non sarà il massima della
scienza matematica ma ha il pregio della semplicità esecutiva e della costanza di risultati. Un
esempio valido di fuso granulometrico di riferimento costruito sulla base dei setacci della Norma
UNI ha come equazioni 2 costitutive:
2) P% = (d/D)0,4
3) P% = (d/D)0,65
(limite max sabbia
(limite max ghiaia
=
Tolleranze)
di cui quello che segue è un esempio significativo (fig. 3).
Nella distribuzione granulometrica così definita manca qualcosa: il cemento che è un insieme di
granuli per la gran parte più fini del limite granulometrico posto al precedente diagramma; e
l'acqua. Entrambi questi materiali sarebbero teoricamente in grado di "saturare" la porosità residua
del nostro insieme di granuli ma c'è una complicazione. L'acqua serve per dare lavorabilità al
calcestruzzo: un insieme teoricamente perfetto di granuli non serve a nulla se non possiamo
metterlo in opera. L'acqua serve per idratare il cemento che altrimenti rimarrebbe "inerte". Il
cemento serve, se idratato bene a conferire resistenza e rigidezza (monoliticità) all'insieme.
Occorre quindi proporzionare in modo corretto anche questi componenti senza per questo perdere
di vista il risultato finale che deve essere quello della massima compattezza (o della minima
porosità, se preferite). Vediamo prima di proporzionare il cemento. Il cemento ha una finezza che
nella sua parte più grossolana si confonde con la parte finissima degli aggregati; esistono materiali
di finezza analoga al cemento o più fini ancora: sono estremamente utili. Meglio quindi dimenticare
un attimo la parola cemento per sostituirla con il termine più generico: "Filler" o se volete “Binder”.
Definendo filler, ogni particella solida al di sotto dei 125 micron.
A naso, può sembrare che più filler si aggiunge maggiore sia la compattezza ottenibile; non è
così. L'aggiunta di filler per percentuali anche significative aumenta effettivamente la compattezza
ma poi, oltre un certo limite ad ogni aggiunta di filler corrisponde un'aumento della porosità. Per il
filler quindi esiste, dimostrato dalla pratica, un dosaggio ottimale (vedi diagramma allegato 1).
Esso dipende principalmente dalla dimensione massima dei granuli presenti nell'insieme e
risponde a precise equazioni, per semplicità, lo esponiamo sotto forma di tabella 11.
L'acqua è l'elemento che ancora ci manca. Come abbiamo già accennato essa serve ad idratare
correttamente il cemento ma questo è un fabbisogno minimo (8-9% del peso del cemento cioè 4050 l/mc) e molto più per conferire all'impasto la giusta attitudine ad essere messo in opera
correttamente cioè a conferirgli lavorabilità. Qui non ci aiutano ne teoria ne equazioni; dobbiamo
necessariamente affidarci a delle prove pratiche per stabilire quale sia il contenuto minimo di
acqua necessario. Contenuto d'acqua che, ricordiamolo sempre, corrisponderà alla minima
porosità residua possibile nel nostro insieme. Appare ovvio come tale contenuto dipenda
principalmente dai mezzi disponibili per la messa in opera ma è interessante osservare con
attenzione i fenomeni che si verificano operando con l'insieme" che abbiamo più sopra definito.
Intanto osserviamo che il comportamento degli impasti (ciò che finora avevamo definito
genericamente "insieme") è ripetibile una volta rispettate le definizioni date (distribuzione
granulometrica compresa nel fuso predefinito, contenuto di filler compreso nei limiti della tabella)
non dipende quindi, in prima approssimazione, ne dalla natura e dalla forma dei granuli disponibili
ne dalla qualità e dal tipo di cemento utilizzato. Osserviamo poi che già a partire da un contenuto
d'acqua di 150 litri per metro cubo si possono ottenere ottimi valori di compattezza agendo con
intense vibrazioni. Con medie intensità di vibrazione si ottengono risultati accettabili solo con
almeno 165 litri d'acqua per metro cubo. Oltre i 165 litri d'acqua per metro cubo non c'è vibrazione
che tenga, la porosità aumenta sempre in modo proporzionale al contenuto effettivo di acqua.
Abbiamo così individuato il dosaggio ottimale del componente che mancava al nostro mix per
trasformarlo in un calcestruzzo utilizzabile e rispondente al requisito richiesto: la massima
compattezza possibile. Preparato l'impasto di calcestruzzo vediamo ora quali sono i fenomeni che
si verificano.
3. - L'IDRATAZIONE DELLA PASTA DI CEMENTO.
Una lunga serie di ricerche, iniziate all'alba del secolo e tuttora in atto, perfezionate con l'adozione
di sempre nuove apparecchiature, ci consente di schematizzare così le trasformazioni che
avvengono nei costituenti principali del cemento in presenza di acqua:
C3S silicato tricalcico ---!
!--- + Acqua ------> C-S-H + Ca(OH)2
C2S silicato bicalcico ---!
PORTLANDITE
C3A alluminato tricalcico + Acqua ------> C2AH8 + C4AH13 + C3AH6
C3A + Gesso + Acqua ------> C3A.3CaSO4.32H2O - C3A.CaSO4.12H2O - C4AH13
ETTRINGITE
C4AF alluminato ferrito tetracalcico + Acqua ------> C2(A opp.F)H8+C4(A opp.F)H13+
+C3(A opp.F)H6
C4AF + Gesso + Acqua ------> C3(A opp.F).3CaSO4.32H2O+C3(A opp.F).CaSO4.12H2O+
+C3(A opp.F)H13
I due silicati, C3S e C2S, portano alla formazione di uno stesso idrato, C-S-H. L'osservazione al
microscopio lo descrive come un insieme di fogli molto sottili che, avvolgendosi su se stessi, formano tubicini aperti, più o meno lunghi. Questa cristallizzazione lanceolata ricopre progressivamente i granuli di cemento anidri che assumono il classico aspetto di un "riccio". L'eccesso di cal-
cio lo ritroviamo dapprima sotto forma di idrossido Ca(OH)2 disciolto nell'acqua, in seguito questo
eccesso precipita cristallizzando in placchette esagonali impilate tra i granuli di cemento
parzialmente idratato: è la PORTLANDITE.
L'idratazione del C3A provoca, nell'immediato, la formazione di un GEL (sostanza ad alta viscosità
che può ancora configurarsi come una miscela di alluminato e acqua) poi, in rapida successione,
la cristallizzazione di alluminati idrati (C3AH8 e C3AH13) che si presentano come placchette
esagonali e la cristallizzazione cubica dell'alluminato definitivo (C3AH6).
La cristallizzazione degli alluminati che è una reazione che avviene in un tempo più breve di quello
necessario a descriverla, se non controllata, bloccherebbe completamente l'idratazione degli altri
componenti, in particolare del C2S. Per mantenerne il controllo viene sempre aggiunto un
regolatore di presa: il Gesso (CaSO4.2H2O).
La reazione del C3A in presenza di Gesso conduce alla formazione di una serie di solfoalluminati.
Il Trisolfoalluminato o ETTRINGITE, in particolare, cristallizzato molto finemente, ricopre per un
certo tempo i granuli ancora anidri del cemento e li protegge da una reazione troppo rapida. Via
via che la reazione progredisce però l'ettringite assume una forma più stabile quella di bastoncelli
prismatici. Contemporaneamente all'ettringite si formano piccole quantità di monosolfoalluminato e
di alluminato idrato che assume l'aspetto di placchette. Analogamente si comporta l'alluminatoferrito-tetracalcico (C4AF).
Come abbiamo visto, le particelle solide disperse in acqua che costituiscono la pasta di cemento,
sono dei granuli policristallini costituituiti da silicati e alluminati. Questi componenti presentano
velocità di idratazione molto differenti e di questo occorre tenere conto parlando di durabilità. Ogni
loro reazione, poi, produce quantità abbastanza importanti di calore. L'analisi e lo studio delle varie
fasi di sviluppo del calore consente di seguire e giudicare lo stato di avanzamento e il progredire
dell'idratazione. Si è potuto stabilire che la reazione del C3S e del C3A non evolve più, in maniera
significativa dopo i 28 giorni dall'introduzione dell'acqua. Tra i 28 giorni ed i 6 mesi si registra
ancora una sensibile attività residua da parte del C2S e del C4AF. Dopo i 6 mesi si registrano
ancora delle piccole evoluzioni ma è molto difficile stabilire se ciò sia attività primaria residua o
reazione di cemento totalmente idratato con sostanze presenti nell'ambiente.
Lo sviluppo del calore di idratazione del C3S, di gran lunga il componente principale degli attuali
cementi, presenta all'analisi, un segnale caratteristico: si verifica una produzione notevole di
calore nei primi istanti di idratazione a cui fa seguito un periodo, che dura parecchie ore, di inerzia
quasi totale denominato "periodo dormiente", poi la temperatura riprende a salire in modo costante
per molte ore. Si attribuisce questo segnale così particolare alla reazione di adsorbimento da parte
del C3S con conseguente formazione di gel, sarebbe quindi una reazione più fisica che chimica. Il
secondo sviluppo di calore è invece legato alla reazione chimica vera e propria, cioè alla
formazione dei silicati idrati C-S-H e alla precipitazione del Ca(OH)2. Il periodo "dormiente" è
tuttora molto misterioso tuttavia è noto che l'uso degli additivi e le variazioni di temperatura
agiscono proprio sulla durata di tale periodo e sono quindi in grado di accelerare o ritardare la
velocità di indurimento della pasta di cemento. Diviene quindi chiaro che il periodo di idratazione
del cemento va seguito con cure particolari.
Prima tappa sulla strada dell'ottenimento della massima durata sarà quindi quella di avere cura
assidua del calcestruzzo, se non fino al termine ultimo delle reazioni di idratazione, almeno fino a
quando lo sviluppo delle resistenze non l'abbia reso sufficientemente robusto e compatto (3-5
giorni). L'insieme degli accorgimenti da porre in atto in questa fase è conosciuto con il nome di
"curing".
4. - REAZIONI DEI COMPOSTI IDRATATI CON L'AMBIENTE.
Quando è fortemente compatto e ben dosato in cemento (le due cose purtroppo non sono
sinonimi), il calcestruzzo resiste bene alla maggior parte degli attacchi fisici e chimici che gli
vengono portati dall'esterno. Troppo spesso però il calcestruzzo non è così e allora tutti i suoi
componenti (cemento, ferro, aggregati) possono subire alterazioni e queste alterazioni mettere in
pericolo la stabilità stessa dell'opera.
Le alterazioni della pasta di cemento possono essere causate da agenti esterni (soluzioni acide,
terreni ricchi di gesso, aggressivi gassosi portati a contatto della pasta di cemento dall'acqua che
permea il calcestruzzo) o da agenti interni (idratazione della calce e del magnesio liberi nel
cemento, reazione alcali e alcali-silice, solidificazione dell'acqua sotto l'azione del gelo ecc.).
Queste alterazioni si manifestano in due modi contrari dagli effetti ugualmenti dannosi:
• con L'EROSIONE - alcuni dei componenti si trasformano in altri molto solubili che l'acqua
allontana lasciando vuoti via via crescenti che diminuiscono progressivamente la resistenza
meccanica. Una reazione questa, all'inizio lenta e quasi impercettibile ma, una volta innescata,
sempre più rapida e distruttiva;
• con l'ESPANSIONE - alcuni dei componenti si trasformano in altri ancora insolubili ma di
volume nettamente superiore. Ciò crea tensioni notevoli e quando tali tensioni superano la
resistenza del conglomerato si assiste alla formazione di fessure che, seppure non sufficienti a
indebolire in modo irrimediabile la struttura, sono una porta spalancata agli aggressivi che
possono completare in breve tempo la loro azione disgregatrice.
Di tutti i componenti del cemento idratato, la Calce (portlandite) è di gran lunga quello più debole
essendo molto facilmente solubile. La calce può poi emergere dalla struttura attraverso porosità o
microfessure
e
formare una efflorescenza bianca di Ca(OH)2 che all'aria carbonata
trasformandosi in CaCO3 insolubile. L'acqua che può permeare il calcestruzzo discioglie sempre
la calce sia essa acidula, salina o pura (acqua di ghiacciaio). Per l'importanza che rivestono e per
la loro frequenza le azioni aggressive possono essere così schematizzate:
⇒ AZIONE DI ACIDO CARBONICO (H2CO3) E ANIDRIDE CARBONICA (CO2).
L'acido carbonico in natura non esiste lo si deve considerare come una soluzione acquosa di
anidride carbonica. l'Anidride carbonica in acqua è presente sotto diverse forme:
• - CO2 libera sotto forma di gas e questa presenza è costantemente alimentata dalla massiccia
presenza di questo gas nell'aria
• - CO2 semicombinata chimicamente Ca(HCO3)2-Bicarbonato solubile
• - CO2 combinata chimicamente CaCO3 - Carbonato insolubile secondo la seguente reazione di
equilibrio (equazione 3):
A.1 - La CO2 è in difetto in rapporto al CaCO3: si stabilisce un equilibrio nel senso 2 <---- della
reazione (A) si ha precipitazione di CaCO3 insolubile (calcite o aragonite). Precipitati questi non
espansivi che otturano le porosità fungendo, spesso da protettivi del calcestruzzo. Siamo in
presenza di acqua incrostante
A.2 - La CO2 Š in eccesso in rapporto al CaCO3:
I° - si stabilisce un equilibrio nel senso 1----> della reazione (A) con formazione di
Ca(HCO3)2 solubile.
II° - avviene l'attacco del Ca(OH)2 del cemento: CO2 + H2O + Ca(OH)2 ----> CaCO3 + 2H2O
III° - il CaCO3 si trasforma come nel caso I°
Siamo in presenza di un'acqua aggressiva si ha erosione.
L'attacco portato dalla CO2, trascurabile nel calcestruzzo, è estremamente dannoso per uno dei
componenti essenziali del cemento armato: il ferro d'armatura. L'ambiente che circonda le
armature ha una funzione determinante sulla loro conservazione. Il calcestruzzo, o meglio il
cemento, realizza questa protezione grazie all'elevata alcalinità (pH almeno=12,5) che induce e
che è dovuta principalmente all'idrossido di calcio che abbiamo visto formarsi in grande quantità al
momento dell'idratazione. La CO2 reagendo come abbiamo appena visto proprio con la calce
abbassa in breve tempo il pH sotto il valore 11 (Steel Corrosion Limit).
Le armature in presenza dell'ossigeno e dell'umidità dell'ambiente possono subire una
degradazione consistente per la trasformazione molto rapida del ferro metallico (Fe) in ossido e in
idrossido di ferro (ruggine) secondo la seguente reazione generale:
4Fe + 3O2 + 2H2O ----> 4Fe(OOH)
Tale reazione presenta sostanzialmente due fenomeni di degrado ugualmente importanti:
I° Diminuzione della sezione del ferro metallico
II° Distacco del copriferro a causa del rigonfiamento del ferro nella sua trasformazione da ferro a
ossido e poi a idrossido. (spalling) (fig 4)
L'idrossido di ferro esiste in varie forme: in particolare esiste la forma Ÿ.FeOOH denominata
lapidocrocite che in ambiente molto basici (pH maggiore di 11 appunto) si presenta stabile, molto
denso, compatto e ben aderente al ferro sottostante. Questo idrossido forma una barriera
praticamente impenetrabile all'ossigeno e all'acqua e ciò preserva le armature da ulteriori danni: si
dice allora che il ferro è "passivato".
In ambienti meno basici (pH minore di 11), come si verifica quando la CO2 ha reagito con la calce
presente, l'idrossido superficiale diventa molto soffice, poroso e non più protettivo.
Il ferro non più passivato è allora in grado di ossidarsi ulteriormente secondo le seguenti reazioni
schematiche:
ANODO (reazione anodica)
+
e
4Fe + 8H2O ----> 4FeOOH + 12H + 12
CATODO (reazione catodica)
e
3O2 + 6H2O + 12 ----> 12 OH
Come si può notare, affinché l'ossidazione del ferro possa proseguire occorre che sia presente
una gran quantità di umidità e che sia ininterrotto il flusso di elettroni tra anodo e catodo,
condizione quest'ultima estremamente facilitata dall'alta conducibilità elettrica del ferro.
Vista la facilità con cui avvengono queste reazioni e l'estrema disponibilità delle "materie prime"
necessarie, se dopo qualche anno dal getto, abbiamo ancora delle armature in opera ciò è dovuto
al fatto che, per fortuna, si devono verificare alcune condizioni concomitanti: occorre, soprattutto,
disponibilità di ossigeno e di acqua.
In genere la diffusione dell'ossigeno e dell'acqua in un mezzo poroso non avviene in
contemporanea e ciò perché l'ossigeno e i gas in genere si diffondono con estrema lentezza
nell'acqua. Pori capillari pieni d'acqua (U.R. maggiore del 95%) non contengono ossigeno; pori
capillari con U.R. minore del 50% non hanno tutta l'acqua necessaria alla reazione anche se
dispongono di una grande concentrazione di gas aggressivo. Ne consegue che le strutture più
esposte all'aggressione sono quelle porose (veloce diffusione di gas e acqua) alternativamente
bagnate da pioggia o spruzzi con intervalli di condizioni non sature (U.R. tra 50 e 80%) cioè tutte le
strutture esterne non protette dalla pioggia (coperture, pavimentazioni, strutture stradali, ecc.) e le
zone soggette all'alternarsi delle maree o al rapido susseguirsi dei periodi di piena e di magra
(moli, darsene, palificazioni, dighe, piloni di ponti, ecc). Ce n'è comunque a sufficienza per
preoccuparsi seriamente.
⇒ AZIONE DI CLORO E CLORURI.
Sostanzialmente analogo a quello appena visto in dettaglio è l'attacco portato al calcestruzzo e
alle armature da parte del cloro e dei cloruri. L'unica differenza è data dal fatto che il Cloro
reagisce con l'idrossido di ferro trasformandolo in cloruro facilmente solubile. L'attacco all'armatura
è quindi sempre ed esclusivamente di riduzione della sezione disponibile (pitting). Nel caso dei
cloruri (sali disgelanti, acqua di mare, ecc) è poi necessario distinguere qual'è il tipo di cloruro
presente perché nel caso di presenza importante di cloruro di calcio (CaCl2) si può verificare anche
la formazione di fessure per effetto dell'espansione provocata dall'ossicloruro di calcio
(3CaO.CaCl2.15H2O).
La diffusione del cloro, purtroppo, non è del tutto inibita dalla forte presenza d'acqua perciò l'unica
protezione a questo tipo di attacco è quella offerta dalla massima compattezza del calcestruzzo e
dalla composizione del cemento impiegato.
La diffusione del cloro è governata dalla formula (fig 5):
⇒ AZIONE DEGLI ACIDI.
Per acidi si vuole qui intendere soprattutto degli acidi deboli o degli acidi forti molto diluiti perché
l'attacco degli acidi forti in concentrazioni elevate richiederebbe misure appropriate e nessuno,
salvo incidenti, credo e spero, si sogna di costruire contenitori per tali materiali esclusivamente in
cemento armato. Si ha allora:
I° Caso - La calce passa in soluzione senza reagire. La pasta di cemento si decalcifica
progressivamente per la dissoluzione della calce degli idrati Ca(OH)2; C-S-H; C4AH13. Lo stadio
ultimo della degradazione è la formazione di SiO2.nH2O ed Al2O3.nH2O cioè ossidi semplici idrati.
Questo è un gel e la cui resistenza è nulla. I volumi residui sono via via sempre minori si ha perciò:
EROSIONE.
II° Caso - La calce passa in soluzione e partecipa a ulteriori reazioni chimiche:
A) Si avrà uno strato protettivo se si formeranno composti nuovi insolubili
p.es. H2CO3 (acido carbonico) + Ca(OH)2 ----> CaCO3 + 2H2O
B) Ci sarà erosione se si formeranno composti nuovi solubili
p.es. 2HNO3 (acido nitrico) + Ca(OH)2 ----> Ca(NO3)2 + 2H2O
A questo ultimo caso appartengono tutti gli attacchi degli acidi organici (Acetico, Tannico, Lattico,
Formico, ecc.). Questi sono acidi deboli e poco aggressivi ma sono presenti quasi sempre in forte
concentrazione: si pensi, ad esempio, ai luoghi di conservazione dei prodotti agricoli o alle
strutture di stoccaggio e smaltimento degli scarti di lavorazione e dei rifiuti.
Anche gli acidi grassi provenienti dagli olii e grassi vegetali o animali, certi acidi derivanti dallo
zucchero, l'acido umico e fulvico provenienti dai vegetali (terreno agricolo) sono acidi deboli e poco
aggressivi ma sono presenti pressoché ovunque.
L'azione dell'acido solforico conduce a formazione di solfati di calcio pochissimo solubili. Non
rientra nel caso II° A) perché questi solfati provocano reazioni secondarie con altri componenti del
cemento e sarà, per questo, descritta a parte.
⇒ AZIONE DEI SALI:
E' questa una reazione di scambio ionico e pertanto può avvenire solo dopo che è iniziata la
dissoluzione della calce e in presenza d'acqua.
A) In presenza di sali coerenti in Ca(OH)2 si ha formazione di prodotti insolubili che formano uno
strato protettivo
++
++
p.es. Azione del cloruro di magnesio: lo ione Mg sostituisce lo ione Ca cioè: MgCl2 +
---->
Mg(OH)2 + CaCl2
+ Ca(OH)2
Insolubile
Solubile
B) In presenza di sali non coerenti in Ca(OH)2 si ha formazione di sali solubili e gas volatili si ha
cioè EROSIONE
+
p.es. due ioni NH4 del cloruro d'ammonio sostituiscono lo ione Ca
++
cioè:
2NH4Cl + Ca(OH)2 ----> 2NH3 + 2H2O + CaCl2
Gas
Solubile
Uno schema di questo tipo si applica a tutti i cloruri e a tutti i nitrati. Questi sali sono presenti in
grande concentrazione in tutti i materiali disgelanti e in molti fertilizzanti così come negli eluati dei
rifiuti sia civili sia industriali.
In ogni caso perché‚ ci sia aggressione devono essere presenti contemporaneamente due fattori:
l'aggressivo e l'acqua. Un calcestruzzo sarà aggredibile solo se permeabile all'acqua e se sarà in
condizioni di umidità variabili di frequente nel tempo. Un calcestruzzo compatto è pressoché
impermeabile e quindi poco o nulla aggredibile dagli acidi e dai sali così come li abbiamo definiti.
⇒ AZIONE DEI SALI SOLFATICI
Anche in questo caso si tratta di una reazione di scambio ionico e quindi può avvenire solo in
presenza di calce in dissoluzione e di acqua. Non rientra negli schemi proposti perchè lo scambio
ionico conduce alla formazione di CaSO4 (solfato di calcio) cioè lo stesso materiale che viene
utilizzato come regolatore di presa. Con il C3A del cemento il solfato genera solfoalluminati: cristalli
insolubili che occupano un volume molto maggiore di quello dei composti di partenza
(ricordate l'ettringite?). In quantità giuste tali cristalli sono componenti essenziali in quantità
eccessiva generano una notevole e pericolosa ESPANSIONE.
La reazione chimica la conosciamo già ma forse vale la pena di ricordarla (equazione 4):
Esistono ancora due tipi di attacchi cui può essere soggetto il calcestruzzo uno di tipo fisico e uno
di tipo chimico che nell'introduzione di questa relazione abbiamo definito come: "cause interne di
degrado". Riteniamo sia opportuno evidenziarle.
⇒ REAZIONE ALCALI-SILICE E ALCALI-AGGREGATO.
Avviene per reazione degli alcali presenti nel cemento (K2O, Na2O, CaO) o in alcuni aggregati
(p.es. feldspati) con i componenti più reattivi degli aggregati stessi. Si possono citare due casi:
A) Aggregati contenenti silice attiva (solubile). Si ha formazione di un gel CaO-K2O-Na2O-nH2O
che può portare a conseguenze diverse a seconda che:
A.1) Il CaO sia in forte eccesso. Il gel che si forma non è espansivo ma si deposita sulla
superficie degli aggregati e ne annulla la coesione con la pasta di cemento.
A.2) Vi sia eccesso di alcali (K2O, Na2O). Il gel che si forma diviene fortemente espansivo per
adsorbimento d'acqua. L'espansione è notevole e porta sempre alla comparsa di fessure
molto caratteristiche.
B) Aggregati dolomiaci (Ca.Mg(CO3)2). Si ha formazione di Mg(OH)2 insolubile e di CaCO3, K2CO3,
Na2CO3 altrettanto insolubili ma di volume molare nettamente superiore ai costituenti. Si ha anche
qui un'espansione ma i danni sono sempre notevolmente minori che nel caso precedente. A questi
tipi di aggressione, purtroppo, non c'è rimedio. Occorre solo accertarsi bene della natura degli
aggregati prima di utilizzarli per la confezione del calcestruzzo. E' comunque buona regola,
peraltro codificata dalle norme vigenti (UNI 8520), sottoporre sempre tutti gli aggregati per
calcestruzzo a prove di laboratorio atte ad escludere ogni loro potenziale reattività.
⇒ ATTACCO DEL GELO.
I fenomeni criogenici in sistemi capillari (quali appunto il calcestruzzo) sono materia di studio
vastissima che, tuttavia, in prima approssimazione, si può così sintetizzare.
L'aumento di volume dovuto alla formazione del ghiaccio crea delle sovrappressioni che spostano
l'acqua interstiziale, generando, nel contempo, modeste quantità di calore (dovute al comprimersi
dell'aria presente). Tale calore abbassa il punto di congelamento dell'acqua contenuta nei capillari
più interni (acqua di saturazione). Chiamando "t0" la temperatura di congelamento dell'acqua a
pressione atmosferica e "t1" la temperatura di congelamento dell'acqua di saturazione possiamo
distinguere due casi:
1) GELO MODERATO - Si ha quando la temperatura dell'aria è compresa tra "t0" e "t1" (di solito tra
0° e -5°C). Il fronte del gelo avanza molto lentamente dall'esterno verso l'interno. L'acqua
interstiziale viene spinta lentamente verso la superficie dove a sua volta gela. Si creano delle
sovrappressioni molto modeste che tuttavia sono in grado di innescare numerose microfessure.
L'attacco è debole e superficiale ma può diventare importante se i cicli di gelo-disgelo si ripetono
per molte volte ad intervalli ravvicinati di tempo. Il materiale subisce i danni più gravi dalle
fessurazioni dovute alla: "fatica" (sollecitazioni ripetute e ravvicinate).
2) GELO INTENSO - Si ha quando la temperatura dell'aria è sensibilmente minore di "t1". Il fronte
del gelo aggredisce simultaneamente anche le parti più interne. L'aumento di volume dovuto al
ghiaccio che si forma è rapido e molto netto (l'acqua non ha il tempo di migrare all'esterno) e
causa nel materiale fessurazioni e disgregazioni profonde già dopo pochi cicli di gelo-disgelo.
A questi carichi già piuttosto gravosi dobbiamo aggiungerne altri forse meno conosciuti ma
altrettanto importanti. All'acqua interstiziale sono (praticamente sempre) associate quantità
notevoli di sali disciolti e quindi alle sovrappressioni del gelo dobbiamo aggiungere quelle di tipo
osmotico e, cosa ancora più importante, quelle derivanti dalla ricristallizzazione dei sali disciolti
all'interno del sistema capillare. Il gelo, in ogni caso, non agisce allo stesso modo su tutti i
calcestruzzi: la sua azione sarà diversa a seconda dell'età di maturazione e a seconda della
resistenza meccanica che il calcestruzzo presenta. Quando il gelo colpisce prima della presa del
cemento genera, gelando l'acqua d'impasto, una miscela di cemento aggregati e cristalli di
ghiaccio più o meno grandi; c'è un aumento di volume che il calcestruzzo ancora plastico è
perfettamente in grado di assorbire; la presa non avviene quindi, mi raccomando, non scasserate!.
Al cessare dell'azione del gelo ci sono ottime probabilità che il calcestruzzo riprenda ad indurire
comportandosi poi in modo normale.
Quando il gelo colpisce un calcestruzzo "giovane" cioè già indurito ma con resistenze ancora
modeste allora la distruzione è pressoché totale ed irrimediabile. Il calcestruzzo sarà quindi
massimamente vulnerabile dal momento di fine presa fino a che non abbia raggiunto almeno 5
MPa di resistenza meccanica. In questa fase si può solo proteggerlo mantenendo la temperatura
del getto se non calda almeno non inferiore a 0°C. Poiché risulta pressoché impossibile impedire
la saturazione con acqua del sistema capillare: "calcestruzzo" l'unico rimedio a tanta forza
distruttiva risulta essere quello di introdurre dei vuoti d'aria atti ad interrompere il sistema capillare
con spazi sufficienti ad annullare le sovrappressioni più sopra descritte.
5. PRATICA E PRESCRIZIONI.
Fin qui abbiamo solo parlato di "disgrazie" cercando di analizzare ciò che può succedere ad un
calcestruzzo esposto nell'ambiente. E' ora necessario fornire qualche suggerimento per tentare di
minimizzare i danni e prolungare la vita del calcestruzzo: dobbiamo cioè provare a gestire la
durabilità.
Al termine del capitolo precedente abbiamo accennato al "Sistema Capillare Calcestruzzo" bene è
proprio il sistema capillare il maggior responsabile di tutte le reazioni che possono avvenire,
ricordiamo ancora una volta a costo di essere monotoni che perché ci sia aggressione accorre che
ci sia l'aggressivo e soprattutto che ci sia l'acqua. Bisognerebbe quindi annullare (impossi-bile) o
quantomeno minimizzare fino a renderla innocua la porosità presente nell'impasto.
Il cemento, che è una delle componenti del calcestruzzo, sarebbe perfettamente capace di
ottenere questo risultato ma dobbiamo aiutarlo e favorirlo. Per comprendere come, è opportuno, e
mi scuso per il tedio, fare ancora un po' di teoria.
Ritorniamo un attimo all'inizio quando parlavamo di idratazione della pasta di cemento; ormai
sappiamo che il cemento è composto da numerosi silicati e alluminati la tabella seguente allora è
abbastanza chiara:
Tabella 1
Come si può vedere, e come forse avevamo già detto, l'idratazione del cemento porta ad un
aumento importante del volume dei solidi. L'acqua di lavorabilità però è sempre molto maggiore
dell'acqua di reazione o combinata e, per evaporazione, lascia nella pasta una porosità notevole
che verrà solo parzialmente riempita da questo aumento.
La curva di distribuzione della porosità infatti mostra che la sua diminuzione avviene soprattutto a
spese dei pori di maggiore dimensione cioè del sistema capillare.
Per esempio in una pasta di cemento con rapporto A/C = 0.5, tra i 2 ed i 28 giorni, il volume dei
capillari di diametro superiore a 0,1 µ passa dal 24% al 4% solamente. Il riempimento progressivo
dei capillari porta ad una sostanziale diminuzione della permeabilità e tale diminuzione è funzione
dell'età di maturazione della pasta.
TABELLA 2
La tabella che segue fornisce, invece, il tempo di maturazione necessario alla pasta di cemento
confezionata con differenti rapporti A/C perché avvenga l'interruzione del reticolo capillare. Per un
rapporto A/C superiore a 0.7 tale interruzione non può mai avvenire, il reticolo capillare resta
sempre aperto qualunque sia l'età del cemento: un calcestruzzo così non sarà mai durevole.
TAB.3
A quanti stanno pensando: "si! ma io calcestruzzi così... non ne farò mai" offro un piccolo esempio:
un calcestruzzo dosato 300 kg di cemento al metro cubo, con lavorabilità fluida, con aggregati di
grano max 25 mm; ha bisogno di 230 litri d'acqua per metro cubo (acqua totale ovviamente cioè
acqua aggiunta+umidità degli aggregati) ciò significa 230/300 = A/C = 0.77... e addio durabilità!.
Se quanto detto vi sembra esagerato proviamo a dare un'occhiata alla tabella seguente:
Tabella 4
Prima regola del gioco quindi calcestruzzi a basso rapporto A/C ma come ottenere questo risultato
in pratica?. Intanto utilizzando sempre additivi riduttori d'acqua e non speculando troppo sui
dosaggi di cemento. Ricordando che i valori di tabella si riferiscono a calcestruzzi non additivati
con l'uso dell'additivo possiamo utilizzare le seguenti equivalenze:
• Con additivi fluidificanti (0,4 - 0,6% del peso del cemento) acqua totale = -8%
• Con additivi polivalenti (0,4 - 1,2% del peso del cemento) acqua totale = da -8 a -15%
• Con additivi superfluidificanti (1 - 2,5% del peso cemento) acqua totale = -20%
L'esempio precedente in presenza di un buon riduttore d'acqua (-20%) avrebbe fornito un
calcestruzzo 185/300 = A/C = 0.62. Non saremmo ancora in una zona di sicurezza ma avremmo
già migliorato in modo significativo le prestazioni del calcestruzzo (330 Kg di cemento avrebbero
portato il rapporto A/C ben al di sotto di 0.6 quindi in buona sicurezza). In buona sicurezza e a tutto
vantaggio della resistenza meccanica del calcestruzzo che, infatti, è funzione del rapporto A/C (fig
6)
Bene ha fatto quindi la normativa italiana (UNI 9858) ed europea (prEN 206) a legare la durabilità
a dei dosaggi minimi di cemento, a rapporti A/C massimi e ad una resistenza minima. Nelle
normative citate, poiché come abbiamo visto a tutti gli attacchi si può rispondere migliorando la
qualità del calcestruzzo, si è voluto legare la durabilità alla effettiva presenza degli agenti
aggressivi e alla loro concentrazione. Sono state così create le cosiddette classi di esposizione.
(vedi tabelle di UNI 9858). Sulla base delle classi di esposizione si sono poi dettate delle
prescrizioni minime. E' immediatamente chiaro che il nostro concetto usuale di prestazione di
resistenza è stato abbastanza ribaltato, Un calcestruzzo durevole offre quasi sempre prestazioni di
resistenza superiori a quelle richieste dal progetto. Il dosaggio e il tipo di cemento devono essere
scelti, per questo, non in funzione della resistenza ma soprattutto in funzione della classe di
esposizione. La classe di esposizione però non la decidiamo noi deve essere una richiesta di
progetto. Occorre allora sensibilizzare tutti i progettisti con cui siamo in contatto affinché siano più
precisi e fiscali in questo senso. Con rapporto A/C compreso tra 0.5 e 0.55 possiamo
ragionevolmente affrontare ogni classe di esposizione (eccetto la 5c ma questa riguarda in effetti
condizioni estremamente gravose riscontrabili solo, a mia memoria, ciminiere industriali e torri
condizionamento gas, getti in mare nella zona di bagnasciuga e qui è ragionevole e magari
economico pensare a qualche protezione supplementare).
Gli additivi riduttori d'acqua ci aiutano a contenere entro termini ragionevoli i dosaggi di cemento
senza penalizzare la lavorabilità. Assolutamente non proponibile il diminuire il rapporto A/C
diminuendo l'acqua d'impasto e di conseguenza la lavorabilità. A nulla vale tentare di interrompere il reticolo capillare se poi per difficoltà di posa e di assestamento lasciamo vacuoli, nidi di
ghiaia e quant'altro. Resta ancora una raccomandazione: il curing. Dalla tabella III rileviamo che
l'interruzione del sistema capillare avviene, per i rapporti A/C appena citati, in tempi compresi tra i
7 ed i 14 giorni dal getto. In questo periodo occorre proteggere il getto dall'evaporazione troppo
rapida dell'acqua. Non dobbiamo però bagnare o meglio non dobbiamo bagnare e poi lasciare
asciugare e poi bagnare e poi... perché abbiamo visto che questa è la condizione più favorevole
per la dissoluzione della calce.
Come fare allora? Beh per le strutture in cui il rapporto superficie volume è modesto (travi, pilastri,
muri, ecc.) basta lasciare casserato per un tempo ragionevolmente lungo (quello previsto per la
maturazione da 7 a 14 giorni sarebbe l'ideale ma possiamo anche farci qualche sconto) diciamo
almeno 5 giorni e proteggere la superficie di getto con fogli di polietilene, con stracci o stuoie
umide (anche bagnare va bene, intendiamoci, solo bisogna prevedere una nebbia, un aerosol, non
una secchiata d'acqua e via). Per le superfici grandi (solai, pavimenti, ecc) esiste la possibilità di
utilizzare fogli di polietilene ma esiste anche l'alternativa di vaporizzare su tutta la superficie
prodotti antievaporanti e in questo campo c'è solo l'imbarazzo della scelta.
E qui non possiamo farci sconti.
La pena è grave: sono le FESSURAZIONI.
Avremo chiuso una porta piccola per aprire un varco immenso nelle difese che volevamo
apprestare.
Abbiamo ormai ripetuto alla nausea che il pericolo più grande è la dissoluzione della calce.
Impedire questo fenomeno e dare sicurezza al costruito è oggi possibile grazie ad un prodotto
forse poco noto ma che certamente merita una riflessione attenta: Il Fumo di Silice condensato o
Silica Fume. A rigor di logica questo non può essere considerato un additivo: gli additivi lo
ricordiamo sono quei prodotti aggiunti al massimo in ragione del 5% del peso del cemento (UNI
7101-prEN 934-2) tuttavia il fumo di silice è, senza alcun dubbio, uno dei materiali più stimolanti è
di maggior soddisfazione sia per i ricercatori che per gli utilizzatori. Trattandosi di un sottoprodotto
di lavorazioni industriali, è importante che esso sia sottoposto ad attento controllo di qualità per
evitare che la presenza di materiali deleteri superi determinati livelli. A questo provvedono
costantemente i nostri fornitori.
⇒ ORIGINE COMPOSIZIONE E CARATTERISTICHE DEL FUMO DI SILICE.
Il fumo di silice (in inglese SILICA FUME o CONDENSED SILICA FUME) è una polvere che si
ottiene come sottoprodotto della lavorazione all'arco elettrico del silicio, del ferro-silicio e di altre
leghe metalliche a base di silicio. Chimicamente il fumo di silice è in prevalenza costituito da silice
la cui percentuale può variare da circa l'85% fino al 98%. Gli altri costituenti minori (ossidi di
alluminio, ferro, calcio, magnesio, ecc.) possono essere presenti in quantità più o meno trascurabili
a seconda del tipo di lega di silicio prodotta. tab 5 e tab 52
Per le applicazioni nel calcestruzzo, il fumo di silice si presenta:
1. sotto forma di polvere "tout venant" (cosi com'è scaricata dai filtri di abbattimento delle polveri
che la producono),
2. sotto forma di polvere compatta (Silica fume densificato),
3. sotto forma di fango o slurry al 50% di solido.
Il fumo di silice è mineralogicamente un materiale completamente amorfo. L'osservazione al
microscopio elettronico mostra la presenza di sferette raggruppate a formare degli agglomerati "a
grappolo" la cui dimensione arriva anche a diverse decine di micron. Ciò facilità molto l'uso ed il
dosaggio. I legami tra le sferette all'interno del grappolo sono però molto tenui: è sufficiente
l'agitazione meccanica necessaria alla preparazione del calcestruzzo per rompere questi legami e
trasformare il fumo di silice nel materiale finissimo che in effetti è.
⇒ MECCANISMO DI AZIONE DEL FUMO DI SILICE NEL CALCESTRUZZO.
Il fumo di silice possiede, in relazione alla sua natura chimico-fisica, due distinte funzioni: la
funzione di filler e quella pozzolanica. Entrambe si collocano ad un livello di gran lunga superiore a
quello di altri materiali molto noti quali: le ceneri volanti e le pozzolane naturali.
1. La funzione di filler è legata alla finezza estrema posseduta da questo materiale che è, sia
come diametro medio dei granuli che come superficie specifica, circa 100 volte più fine del
cemento. Questo consente ai granuli di fumo di silice di collocarsi tra i granuli più grossi del
cemento creando una struttura estremamente compatta che lascia a disposizione dell'acqua
uno spazio molto ridotto (DSP - Densified with small particles). L'uso del fumo di silice non è
mai disgiunto dal contemporaneo impiego di buoni additivi superfluidificanti.
2. La funzione pozzolanica è legata alla composizione chimica ed alla natura morfologica dei
granuli di silice sono altamente reattivi. La misura dell'attività pozzolanica con il saggio Fratini,
normalmente usato per i cementi pozzolanici, conferma che si ottengono risultati eccellenti con
dosaggi di silice che sono meno di un terzo di quelli della miglior pozzolana disponibile in Italia.
Questo prodotto è quindi in grado di garantire, in tempi brevi, la completa insolubilizzazione
della calce presente nelle pasta di cemento.
Il fumo di silice poi è prodotto indispensabile in tutti quei luoghi ove non siano disponibili cementi
pozzolanici o d'alto forno. Per queste ragioni il fumo di silice non viene e non deve essere
considerato un aggregato o un aggiunta ma parte integrante, a tutti gli effetti, della quota cemento
presente nella miscela. Non si deve trascurare, inoltre, che l'uso di calcestruzzi modificati con fumo
di silice, fornisce, ai ferri d'armatura, una notevole protezione dalla corrosione in virtù dei suoi
elevati valori di resistività elettrica (reciproco della conducibilità). Numerosi test confermano che la
resistività del calcestruzzo modificato con fumo di silice è da 3 a 7 volte maggiore di quella di un
calcestruzzo di pari rapporto A/C. Questa proprietà permette di ritardare molto, se non di bloccare,
l'innesco della "pila elettrica" che è, in definitiva, la vera responsabile della corrosione del ferro.
Sperimentalmente si dimostrato che le resistenze meccaniche aumentano in misura proporzionale
all'aggiunta di fumo di silice. Il calcestruzzo con fumo di silice ha, inoltre, migliori resistenze
all'abrasione e all'erosione.
Abbiamo così risposto ad un gran numero di attacchi. Tutti quelli che richiedono la dissoluzione
della calce per la presenza d'acqua sono scongiurati perché abbiamo confezionato un
calcestruzzo che, grazie al basso rapporto A/C e alla maturazione corretta, non presenta più un
reticolo capillare attivo. Con la silice abbiamo reso impossibile ogni ulteriore dissoluzione della
calce. Resta ancora un piccolo rischio: la corrosione delle armature per effetto della progressiva
carbonatazione che abbiamo rallentato moltissimo ma che non potremo fermare. Possiamo e
dobbiamo aumentare i copriferro. Con ciò rispondendo anche ad un'altro motivo di degrado che
essendo artificiale e casuale non tratteremo qui: L'INCENDIO.
Vogliamo ricordare, molto velocemente, che il copriferro minimo è prescritto dalle norme
(Eurocodice 2 p.es.); utilizziamo quei valori e saremo a posto!. Attenzione però perché la
legislazione Italiana (legge 1086 e regolamenti di applicazione) ammette, in realtà, copriferro molto
minori e soprattutto parla solo di ferro principale. Seguendo quelle prescrizioni si rischia di avere le
staffe a 8-10 mm dalla pelle del calcestruzzo e ciò vanificherebbe tutti i nostri sforzi. Possiamo solo
auspicare che tali leggi vengano al più presto modificate. Ci auguriamo anche che si tornino ad
usare i buoni vecchi distanziali in cemento che i nostri padri si confezionavano nelle giornate di
pioggia.
Abbiamo ancora un nemico da combattere, si è affacciato più volte in questa trattazione ed è
tempo di affrontarlo:
LE FESSURAZIONI.
Le fessurazioni sono indotte nel conglomerato cementizio da sollecitazioni meccaniche derivanti
essenzialmente da:
• Variazioni dimensionali igrometriche
• Variazioni dimensionali dovute a cause termiche
queste ultime possono essere:
◊ Naturali (gelo e disgelo)
◊ Artificiali (incendio) non trattate qui.
- Variazioni igrometriche.
Le variazioni di umidità relativa possono generare, attraverso l'insorgere di variazioni dimensionali,
uno stato tensionale nel calcestruzzo: - quando l'umidità relativa scende al disotto del 95% il
calcestruzzo tende ad essicarsi e a contrarsi (ritiro) il contrario avviene se il materiale si trova in
ambienti saturi di umidità o sott'acqua (rigonfiamento) - In presenza di vincoli (armature metalliche,
attriti con la base d'appoggio, ecc) il rigonfiamento genera tensioni di compressione che il
calcestruzzo assorbe molto bene.
Il ritiro invece genera tensioni di trazione che possono causare stati fessurativi e ciò purtroppo non
è facilmente prevedibile sulla base di un calcolo teorico. Da un punto di vista pratico è utile
distinguere il ritiro in "Plastico" ed "Igrometrico" a seconda che esso si manifesti nel periodo in cui
il calcestruzzo è ancora plastico o quando è già indurito anche se in realtà, in entrambi i casi, la
causa del ritiro rimane l'evaporazione dell'acqua dal calcestruzzo verso l'ambiente. Quando è
ancora allo stato plastico il calcestruzzo presenta un modulo elastico estremamente basso, le
tensioni che si creano sono molto modeste ma la resistenza a trazione è nulla. Le fessurazioni in
questa fase sono da ritenere molto probabili. Va precisato subito che questo tipo di fessure
riguarda solo le superfici non casserate ed esposte ad ambienti asciutti (pavimentazioni, solai,
massetti, rivestimenti di galleria e di scarpate in calcestruzzo spruzzato, ecc.). La prevenzione può
essere sostanzialmente di due tipi:
• Prevenire l'evaporazione dell'acqua interponendo una barriera (teli di polietilene, membrane
anti-evaporanti, ecc.) cioè facendo quello che abbiamo chiamato curing.
• Umidificare con acqua nebulizzata in modo da mantenere sempre satura di umidità la superficie
di contatto.
Tali misure, ancorché previste ed esplicitamente raccomandate dalle normative (UNI 9858 - ENV
206), sono spesso disattese date le obiettive difficoltà che si incontrano nel realizzarle soprattutto
quando le dimensioni da trattare sono effettivamente importanti o quando si opera con clima
avverso (alta temperatura, bassa U.R., forte vento, ecc.).
Può allora essere utile, anzi indispensabile, ricorrere all'impiego di fibre polimeriche. Il compito
delle fibre polimeriche (0,6-1,5 kg per mc di calcestruzzo; diametro 10-20 micron; lunghezza 5-25
mm) è quello di aumentare la resistenza a trazione della matrice cementizia. I risultati di controllo
delle fessurazioni sono sempre ampiamente garantiti.
Il ritiro del calcestruzzo allo stato indurito coinvolge le strutture per un lungo periodo di tempo.
Teoricamente si protrae anche per decine di anni dal getto se l'ambiente è costantemente secco.
All'atto pratico però la gran parte del ritiro igrometrico si manifesta entro i primi sei mesi dal getto.
Purtroppo, mentre il ritiro plastico può essere facilmente contrastato impedendo l'evaporazione
dell'acqua o utilizzando fibre polimeriche, il ritiro igrometrico può solo essere ridotto cercando di
portarlo al di sotto della resistenza a trazione del calcestruzzo. Le misure necessarie per ridurre il
ritiro igrometrico (meno di 500 µ/m a 6 mesi è ritenuto un limite sufficiente ad evitare fessurazioni)
riguardano essenzialmente la composizione del calcestruzzo: E' necessario :
• ridurre al massimo il rapporto A/C
• aumentare al massimo possibile la pezzatura degli inerti per
• diminuire il fabbisogno d'acqua di lavorabilità
• impiegare sempre additivi riduttori d'acqua.
• aumentare il rapporto Aggregato/cemento
Rapporti aggregato/cemento maggiori di 5 e rapporti A/C inferiori a 0.5 forniscono, di norma,
calcestruzzi sufficientemente sicuri.
Nei casi più difficili (restauro di strutture degradate, ancoraggio di macchinari, ecc.) può essere
necessario e opportuno ricorrere ad agenti espansivi. Questi additivi sono in grado,
adeguatamente contrastati dalle armature, di indurre sollecitazioni che annullano il ritiro.
- Variazioni dimensionali dovute al gelo.
Dell'attacco del gelo abbiamo già parlato diffusamente ci limitiamo quindi a riprendere il capitolo
dei rimedi quando dicevamo che l'unica protezione possibile e prescritta dalle norme (UNI 9858 e
ENV 206) è l'introduzione di pori d'aria.
Nel calcestruzzo indurito possiamo distinguere pori di vario genere:
• Pori di costipamento "aria intrappolata", costituiti dai vani rimasti tra i grani di inerte di
dimensione maggiore di 1 mm. In un calcestruzzo di buona granulometria e ben costipato tali
pori sono vicini a 0%.
• Pori dei grani, cioè presenti negli aggregati; la loro influenza è del tutto trascurabile quando si
utilizzano aggregati sottoposti a controllo e definibiti: "resistenti al gelo".
• Pori della pasta di cemento indurita, cioè pori di gel e pori capillari.
I pori del gel si formano nel momento dell'idratazione e il loro diametro varia da 0.001 a 0.1 µ e, di
norma, non hanno inflenza sulla durabilità in quanto inattivi riguardo alle forze di capillarità.
I pori capillari invece sono, quasi esclusivamente, il risultato di un eccesso di acqua di impasto il
loro diametro è compreso tra 0.1 a 1 µ e sono quelli che abbiamo cercato di otturare con tutte le
nostre precedenti prescrizioni. Il loro volume è, all'incirca, se siamo stati bravi, 30 l/m3 con A/C 0.5
e 60 l/m3 con A/C 0.6. Sono filiformi e costituiscono una rete più o meno ben collegata e fine.
Secondo il grado di asciugamento del calcestruzzo contengono in parte aria ed in parte acqua e,
di solito, non bastano ad assorbire l'aumento di volume dell'acqua che gela ne la pressione dei
cristalli di sale in formazione. Occorre perciò creare pori d'aria di dimensione giusta, al momento
giusto e nel posto giusto; ecco perchè vanno introdotti artificialmente.
I pori introdotti artificialmente "aria inglobata" sono ripartiti in modo regolare nella pasta di
cemento, sono sferici e sensibilmente più grandi dei pori capillari (20-300 µ) e interrompono i
canali della rete capillare creando i necessari spazi di espansione. Il tenore di aria inglobata
minimo è prescritto per norma ed è funzione della dimensione del grano massimo dell'aggregato:
Tabella 6 –
Nel calcestruzzo fresco i pori d'aria artificiali, in quanto sferici, esercitano un'azione lubrificante e
quindi migliorano la lavorabilità consentendo di ridurre il rapporto A/C. Nell'ambito granulometrico
sono da considerarsi come componenti finissimi e, nel caso di granulometrie carenti di finissimi,
correggono efficacemente questo difetto. I pori d'aria artificiali, rallentano la trasudazione
dell’acqua e allora occorre porre attenzione alle superfici molto ampie perché potrebbero
asciugare troppo rapidamente (l'acqua non affluisce più dal basso per mantenerle umide) creando
situazioni di ritiro igrometrico differenziale (imbarcamenti - curling). In genere le superfici di
calcestruzzo a vista hanno un migliore aspetto grazie ai pori d'aria.
Nel calcestruzzo indurito i pori d'aria diminuiscono la resistenza meccanica in proporzione alla loro
quantità. Questo calo, parzialmente compensato dalla maggior lavorabilità che consente riduzioni
d'acqua, vale approssimativamente circa il 3% per ogni percento di aria introdotta
La produzione dei calcestruzzi aerati può presentare qualche difficoltà e ciò perché l'azione degli
additivi aeranti è influenzata da numerosi fattori:
• curva granulometrica degli aggregati.
• modulo di finezza della sabbia
• dosaggio e tipo di cemento
• consistenza del calcestruzzo
• temperatura del calcestruzzo
• tipo di miscelatore
• durata della miscelazione, ecc.
• additivazione: spesso gli additivi superfluidificanti hanno azione disaerante oppure introducono
essi stessi dei vuoti d'aria non desiderati.
In prima approssimazione possiamo dire che l'aria inglobata nel calcestruzzo è proporzionale al
rapporto tra (g) particelle inferiori a 0.1 mm (cemento e silica fume) e (s) sabbia 0/4 mm; secondo
la seguente formula:
g
X = ------g+s
Quando X è molto vicino a 1 (0.9 -1 = paste di cemento e filler) l'effetto aerante degli additivi è
quasi nullo mentre è massimo con X compreso tra 0.2 e 0.4 (normali calcestruzzi). Tutti gli additivi
aeranti del commercio presentano, a questo riguardo, comportamenti abbastanza simili che
possono quindi essere tabellati così: (tab 7)
dove A è il rapporto tra la percentuale d'aria del campione additivato e la percentuale d'aria del
campione di riferimento.
Come tutte le regole che si rispettino anche questa ha le sue brave eccezioni:
• Additivi a base di resine Vinsol-alcali sembrano poco sensibili alla granulometria della sabbia e
quindi danno sempre buoni risultati.
• Additivi a base di alchilsulfonati e trietanolamina sono invece sensibilissimi e, per questo, poco
usati.
Per questo, pur sottolineando come per calcestruzzi normali anche ad alto dosaggio in cemento
(prefabbricazione), (X) sia sempre inferiore a 0.6 non possiamo che consigliare l'esecuzione di
prove preliminari orientative. E ancora: i pori d'aria inglobati hanno una loro distribuzione
granulometrica abbastanza caratteristica che comprende pori molto piccoli (inferiori al micron) e
pori molto grandi (superiori a 300 µ). Questi pori ( sia quelli molto piccoli sia quelli più grandi) sono
totalmente ininfluenti ai fini della resistenza al gelo ma devono essere accettati. Per ottenere il
desiderato quantitativo d'aria in modo continuo e ripetibile è possibile ricorrere alle microsfere cave
(MSC). Si tratta di minuscole sfere di plastica dal diametro di 10-60 µ il cui involucro elastico
lasciandosi comprimere sotto pressione svolge egregiamente la funzione di ammortizzatore ed è,
nel contempo, sufficientemente robusto da non essere danneggiato in fase di mescolazione e
getto. Per ogni percento di volume d'aria inglobata, queste microsfere, richiedono un volume di
pori inferiore (l'aria inglobata è solo quella data dai pori di dimensione adeguata) consentono
quindi di ottenere resistenze migliori e impasti più regolari. Questi prodotti, commercializzati anche
in Italia, sono molto utilizzati in Svizzera e in Germania, soprattutto nel campo della
prefabbricazione e della realizzazione di piste stradali e aeroportuali in calcestruzzo.
Bene! adesso siamo pronti a combattere la battaglia della durabilità con buone prospettive di
vincerla; proviamo allora a riassumere quanto detto in una sorta di decalogo:
1) Il calcestruzzo durevole è un calcestruzzo progettato con cura, controllato ad ogni passaggio,
curato nella sua messa in opera e nella sua maturazione. E' un prodotto di pregio, è costoso e
deve essere pagato il giusto.
2) Occorrono molti giorni per progettare architettonicamente una costruzione, occorre tempo per le
verifiche statiche, la progettazione è un costo notevole nel bilancio di un'opera. Perché non
perdere qualche minuto a progettare un mix design che ci garantisca la durabilità?
3) I cementi e gli additivi hanno qualità note e controllate, ci garantiscono da ogni sorpresa. I nostri
fornitori hanno tecnici qualificati che seguono l'utilizzazione dei prodotti. Perché non approfittarne?
4) Ogni kg di cemento ed ogni lira di additivo risparmiate sono anni di vita sottratti al calcestruzzo
che confezioniamo o mettiamo in opera. E' un risparmio vero?
5) Poiché poi verremo chiamati a rispondere delle difettosità del nostro calcestruzzo sarebbe bene
dedicare un po' di tempo a verificare le sue condizioni di messa in opera e la disposizione dei ferri.
Una cattiva progettazione e una cattiva esecuzione pregiudicano anche il calcestruzzo migliore.
6) Il calcestruzzo a prestazione garantita è in prima approssimazione un calcestruzzo durevole.
Prescriviamo e facciamo prescrivere solo questo tipo di calcestruzzo.
7) Il calcestruzzo verde è un materiale estremamente vulnerabile nei primi giorni dal getto
proteggiamolo e controlliamolo bene. Pochi giorni di attesa in più sono la differenza tra un pessimo
calcestruzzo ed uno ottimo .
8) Gli additivi non sono medicine ne vaccini, sono prodotti che permettono di ottenere prestazioni
altrimenti non raggiungibili. Se anche non vediamo subito un risparmio in termini economici
pensiamo al contenzioso che ci affligge e alle grane che abbiamo avuto.
9) Un buon calcestruzzo è sempre anche un bel calcestruzzo. Molti problemi di faccia a vista
potrebbero essere risolti semplicemente eseguendo un calcestruzzo corretto in ogni sua
prestazione.
10) Gli aggregati sono una parte importante, e come volumi e come costo, del calcestruzzo che
confezioniamo dedichiamo anche a loro un poco di cura e di controlli. Avremo certamente vita più
facile.
7. BIBLIOGRAFIA:
- I.PIGNI - Lavori vari non pubblicati
- Il fumo di silice e il calcestruzzo - IN CONCRETO - gennaio/febbraio 97
- M.COLLEPARDI - Pubblicazione attività di ricerca ENCO 1989-1993
- G.E. FERRARIS - Il Calcestruzzo Durevole - Convegno AITEC - Padova 1987
- AA.VV. - LE BETON HYDRAULIQUE - Edizioni Ecole National des Ponts et Chausses
- 1^ edizione 1982
- F.FINZI - Progettazione e durabilità del c.a. - Estratto da "Industria Italiana delle Costruzioni"
- UNICEMENTO - Normative varie; CEN-TC-104 prEN 206
- G.TOGNON - Dispense per i corsi di aggiornamento C.T.E.
- M.BERRA - S.TAVANO - Proprietà delle miscele cementizie contenenti fumo di silice. Estratto
da "Il Cemento" - 1986
- M.BERRA - G.FERRARA. - S.TAVANO - Corrosione delle armature. Influenza di alcuni materiali
con attività pozzolanica: Fumi di Silice e Ceneri Volanti. - Convegno AITEC - Padova 1987