CAPITOLO II I metodi sperimentali dell`Idrodinamica

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CAPITOLO II I metodi sperimentali dell`Idrodinamica
Cap.II I metodi sperimentali
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CAPITOLO II
I metodi sperimentali dell’Idrodinamica
§ 1. - Le misure di velocità.
La grandezza piú significativa in idrodinamica è la velocità, pertanto passiamo a considerare i vari metodi di misura: possiamo avere
metodi puntuali con strumenti in sostanza che effettuano una misura
in una regione limitata del fluido ed invece metodi estesi che forniscono, istante per istante, una panoramica della velocità su tutto il
campo di moto. I metodi puntuali si dividono a loro volta in invasivi
e non; i primi sono tali per il fatto che la corrente fluida viene disturbata dalla presenza di un corpo estraneo. A questa categoria appartengono il tubo di Pitot, il mulinello di Woltman ed i velocimetri
ad effetto Doppler acustico. Gli strumenti che non invadono la corrente usano essenzialmente la luce dei raggi laser che evidentemente
non possono recare nessun disturbo alla corrente stessa.
Il metodo esteso attualmente piú usato è la PIV (Particle Image
Velocimetry), consiste in immagini acquisite da una o piú telecamere
ad elaborata da un PC in modo da ricavare il campo di velocità in
una regione, per mezzo dell’analisi del moto di minuscole particelle
disperse nel fluido stesso.
§ 2. - Il tubo di Pitot.
In origine il tubo di Pitot era semplicemente un tubetto piegato ad
angolo retto ed immerso nella corrente. Investito da un filetto fluido
alla velocità v ne provoca l’arresto e la conseguente trasformazione
dell’energia cinetica in energia potenziale. Applicando il teorema di
Bernoulli tra il foro, detto presa dinamica, del Pitot ed un punto
generico sulla stessa linea di corrente abbiamo:
p v2
p
+h= + .
γ
γ 2g
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Da cui otteniamo la velocità torricelliana:
q
v=
2gh.
(1)
Oggi usiamo i tubi di Prandtl anche se vengono chiamati anch’essi
tubi di Pitot. Sono forniti da una presa statica PS, cioè una corona
di forellini in direzione ortogonale alla corrente. La differenza tra la
pressione alla presa dinamica PD e la corrispondente misurata alla
presa statica fornisce il carico h. Questo carico di solito viene misurato per mezzo di aste idrometriche a punta ricurva per ottenere una
precisione di 0, 1mm.
Figura 1: Un tubo di Prandtl a testa semisferica.
Le misure in generale si dividono in misure dirette ed indirette;
nelle prime viene impiegato uno strumento che fornisce proprio la
grandezza da misurare (per esempio il metro per la lunghezza, un
tachimetro per la velocità, ecc.). Nelle misure indirette invece la
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grandezza che interessa y non è immediatamente accessibile, se ne
misura un’altra x ed usando la funzione y = f (x) si risale alla misura
voluta. Nel nostro caso la formula del Torricelli (1) è la funzione di
trasformazione tra il carico h effettivamente misurato e la velocità
del fluido v.
Per conoscere l’influenza dell’errore della variabile indipendente
x su quella dipendente y procediamo ad effettuare il differenziale:
dy = f 0 (x)dx.
Sostituendo ai differenziali le differenze finite sia pur piccole abbiamo:
∆y = f 0 (x)∆x.
Quindi l’errore é proporzionale, tramite la derivata, all’errore
commesso nella misura della variabile indipendente. Nel nostro caso
avremo:
√
2g
dv = √ dh,
2 h
ossia abbiamo, alle differenze finite:
√
2g
∆v = √ ∆h.
2 h
Pertanto per grandi valori di h l’influenza dell’errore ∆h viene
attenuata, questo non avviene per i piccoli carichi. Quindi lo strumento risulta molto preciso alle alte velocità, mentre va usato con
molta cura ai bassi carichi.
Esso ha il pregio di non avere parti mobili ed inoltre di non aver
bisogno di taratura. I difetti consistono nelle lunghe attese necessarie
perché la pressione si stabilizzi e sulla necessità di usare acqua limpida
senza provocare ostruzioni della presa dinamica. Risulta quindi uno
strumento prettamente da laboratorio. Questo strumento è inoltre
integratore cioè fornisce soltanto la velocità media e non è in grado
invece di seguirne le eventuali fluttuazioni a causa dello smorzamento delle oscillazioni di pressione che si verificano all’interno dei vari
condotti.
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Figura 2: Lo schema dei piezometri e delle aste graduate.
§ 3. - Il mulinello Woltman.
Il mulinello Woltman consiste in uno strumento ad elica in grado
di misurare la velocità del fluido mediante la misura della velocità angolare dell’elica stessa. Si tratta di uno strumento integratore perché
l’inerzia dell’elica non consente di seguire le fluttuazioni di velocità,
ma solo il valore medio. Si tratta anche qui di una misura indiretta e
la relazione, la funzione che lega la variabile indipendente che viene
effettivamente misurata, cioè il numero di giri dell’elica nell’unità di
tempo n e la velocità v del fluido risulta lineare:
v = an + b,
(2)
dove a e b sono due constanti proprie dello strumento, che derivano
dalla sua taratura. Questa viene effettuata in una lunga vasca di
acqua calma, sul cui bordo scorre un carrello con velocità nota. Mediante numerose volate del carrello a diverse velocità, misurando
contemporaneamente n, possiamo alla fine avere la retta di regressione dei valori sperimentali ed infine le costanti a e b. I mulinelli
in Italia vengono tarati nell’apposita vasca dell’Istituto di Idraulica di Padova. In questo laboratorio di Idraulica abbiamo diversi
mulinelli: un mulinello da laboratorio della casa tedesca A. Ott di
Kempten in Baviera, la cui elica n. 3 ha la relazione di taratura:
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Figura 3: Il micromulinello A. Ott..
v = 0, 257n + 0, 017 (m/s) per n > 0, 88 mentre per valori inferiori a
tale velocità angolare abbiamo v = 0, 214n + 0, 046. Inoltre il laboratorio è dotato di diversi mulinelli da impiegare nelle misure in campagna, citiamo soltanto il mulinello SIAP n. OCG1 della casa S.I.A.P.
(Società Italiana Apparecchi di Precisione) di Bologna che viene di
solito usato nelle esercitazioni per il suo bassissimo attrito. Esso infatti non ha cuscinetti, ma l’asse dell’elica è calettato sul supporto
con due punte in modo da rendere minimo l’attrito, tanto che l’elica
può essere messa in moto da un semplice soffio. Questo strumento
per le basse velocità ha la seguente taratura: v = 0, 1364n + 0, 008
per n > 1, 35, invece per n < 1, 35 v = 0, 126n + 0, 022. Inoltre per
velocità ancora piú piccole, sia dai dati di taratura, sia dal controllo
con il velocimetro a laser, è stata individuata la seguente relazione:
v = 0, 14n + 0, 008 (m/s), che appunto viene impiegata per le bassissime velocità. Notiamo che il piccolo valore della costante b è sempre
un indice positivo nel senso che lo strumento possiede degli attriti
minimi.
Si tratta quindi sempre di una misura indiretta, la cui precisione
viene ricavata differenziando la (2):
dv = adn,
e sostituendo ai differenziali delle piccole differenze finite ∆v e ∆n.
Per esempio se ∆n é dell’ordine di 0, 017 m/s (se si ammette l’errore
di un giro in un minuto) abbiamo ∆v = 0, 017a. Per il mulinello
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A. Ott pertanto ∆v = 0, 004 m/s e per il mulinello SIAP ∆v =
0, 0024 m/s. L’errore relativo per una velocità di 0, 4 m/s risulta pari
all’1% e dello 0,6% rispettivamente. Si tratta quindi di strumenti che
presentano una buona precisione, adatti per il loro semplice impiego
alle misure nei canali e nei fiumi.
Figura 4: Il mulinello senza cuscinetti della SIAP di Bologna.
Il mulinello è stato principalmente impiegato per la determinazione
delle scale di deflusso. Infatti dalla definizione di portata di una
corrente avente una sezione di area A, abbiamo:
Z
Q=
A
vdA.
Questo integrale può essere trasformato in una sommatoria suddividendo la sezione in aree Ai , nel baricentro di ciascuna viene
effettuata la relativa misura di velocità vi , pertanto avremo:
Q=
n
X
Ai vi .
i=1
Ripetendo la misure per diverse altezze idriche alla fine avremo
la funzione Q = f (h) che rappresenta proprio la scala di deflusso in
quella determinata sezione del corso d’acqua.
Per esempio per l’Arno nella stazione di misura delle portate di
San Giovanni alla Vena abbiamo:
Q = 117, 3(h − 1, 7)3/2 .
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§ 4. - L’effetto Doppler.
Questo effetto, scoperto nell’800 da Doppler, riguarda tutti i
fenomeni di propagazione ondosa, qualsiasi sia la natura delle onde,
che possono essere: acustiche, elettromagnetiche o propagarsi sulla
superficie dell’acqua.
Se una sorgente di onde emette ad una certa frequenza f , cioè
l’inverso del periodo T , la lunghezza d’onda λo risulta essere λo = c/f
dove c è la velocità di propagazione delle onde stesse. Questo se la
sorgente è immobile nello spazio, se invece si muove in una certa
direzione le creste delle onde si addensano nel verso del moto, mentre
si fanno piú rare nel verso opposto. Detta v le velocità della sorgente
si dimostra facilmente che la nuova lunghezza d’onda λ è correlata
alla λo tramite la relazione dell’effetto Doppler:
µ
¶
v
λ = λo 1 ±
.
(3)
c
Doppler eseguı́ le esperienze con le onde sonore mettendo un trombettista su di un treno. Questi suonava sempre la stessa nota, ma
quando il treno si avvicinava gli osservatori a terra percepivano un
tono piú alto, mentre quando si allontanava si poteva udire un calo di tono. Per esempio se la tromba suona un LA = 440 Hz con
una corrispondente λo = 0, 77 m, (c = 340 m/s, che corrisponde a
1224 Km/h), se il treno si muove alla velocità di 100 Km/h possiamo percepire una frequenza di 479 Hz se il treno si avvicina, mentre
abbiamo 407 Hz quando si allontana, cioè quasi un SOL ed un SI,
quindi abbiamo un’alterazione di quasi un tono della scala musicale.
Tutto ciò viene sfruttato per misurare la velocità delle piccole
particelle in sospensione presenti nell’acqua. Un trasduttore immette
nel fluido un ultrasuono ad una lunghezza d’onda nota. Le particelle
riflettono questo suono emettendo una differente lunghezza d’onda
proprio per l’effetto Doppler. Pertanto l’unica incognita della relazione (3) è la velocità della sorgente cioè del pulviscolo presente
nell’acqua che essendo leggerissimo, segue praticamente i movimenti
del fluido stesso. Un tale strumento non è un integratore ma in grado
di misurare anche le fluttuazioni di velocità nelle sue tre componenti,
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i dati vengono poi elaborati direttamente da un computer. Si tratta
però di uno strumento invasivo per il fatto che il trasduttore deve
essere necessariamente immerso nell’acqua, altrimenti gli ultrasuoni
sarebbero riflessi dal pelo libero.
§ 5. - L’anemomnetro a filo caldo.
Si tratta di un anemometro cioè di uno strumento che ha un
impiego nella misura in aria o nei gas in genere. Esso consiste in un
sottilissimo filo di platino teso su di un sopporto che viene immerso
nella corrente nel punto di misura. Il filo fa parte di un ponte di
Wheastone con cui misuriamo la potenza necessaria per mantenerlo
alla stessa temperatura quando viene piú o meno raffreddato dal flusso dell’aria. In pratica abbiamo una relazione lineare tra la potenza
elettrica impiegata per riscaldarlo e la radice quadrata della velocità
del fluido. Esso necessita però di un’accurata taratura. Se il filo è
molto sottile si possono rilevare anche le fluttuazioni della turbolenza.
Esistono in commercio anche anemometri molto economici ma
con sensori abbastanza grandi che in pratica si comportano come
strumenti integratori. Servono per misurare le velocità medie negli
ambienti o nelle canalette degli impianti di condizionamento e di
ventilazione.
§ 6. - Il velocimetro a laser.
L’effetto Doppler, cosı́ come è stato visto nel paragrafo precedente, non può essere impiegato con le onde elettromagnetiche perché
per la loro enorme velocità di propagazione il rapporto v/c diviene
trascurabile per le ordinarie velocità dei fluidi. Quindi è stato sviluppato negli ultimi decenni un sistema che viene chiamato LDA (Laser
Doppler Anemometer) sottintendendo che non è un vero e proprio
effetto Doppler, ma si parla di effetto Doppler con un raggio di
riferimento, in pratica si tratta di un interferometro.
Un interferometro è uno strumento ottico che consiste in una sorgente di luce monocromatica e un divisore di fascio formato da due
fessure molto vicine. La luce passata tra le due fessure interferisce in
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tutti i punti del semispazio formando delle frange di interferenza di
spessore ∆x secondo la relazione:
s
∆x = λo ,
a
(4)
dove a è la distanza tra le fessure, s il percorso ottico, e λo la lunghezza d’onda della sorgente. Le frange si formano proprio per interferenza costruttiva o distruttiva tra le coppie di raggi in fase che partono
dalle fessure stesse.
Questo tipo di strumento non è adatto a misure di velocità, ma,
per questo, occorre una sorgente laser anch’essa monocromatica e
coerente.
Figura 5: Lo schema dell’interferometro a laser.
Infatti un raggio laser può essere diviso da uno specchio semitrasparente e successivamente, tramite due specchietti ed una lente
convergente, i due raggi vengono fatti convergere nel fuoco della lente
stessa. Qui si formano le frange di interferenza che applicando la (4)
hanno come espressione:
∆x =
λo
,
2 sin θ/2
dove θ indica l’angolo di convergenza.
(5)
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Figura 6: Le frange di interferenza che si formano nel punto d’incontro dei raggi
laser.
Il pulviscolo presente nel fluido, nell’attraversare le frange riflette
la luce con impulsi piú o meno frequenti a seconda della velocità Ux
con cui viene trascinato. Pertanto abbiamo:
Ux = ∆xf,
(6)
dove f rappresenta proprio la frequenza degli impulsi rilevata dal fotomoltiplicatore dello strumento ed è detta anche frequenza Doppler.
Quindi abbiamo in definitiva:
Ux =
λo
f,
2 sin θ/2
(7)
cioè una relazione lineare che lega la frequenza misurata con la velocità del fluido. In questo modo si può avere non solo il valor medio
ma anche la fluttuazione della velocità. Esso non necessita, come
si vede dalla (7), di nessuna taratura, ma viene spesso impiegato in
laboratorio per tarare o controllare altri strumenti.
Questo laboratorio di idraulica possiede un velocimetro con laser
He-Ne (Elio e Neon), che emette una lunghezza d’onda di 0, 6328µm.
La configurazione ottica è tale da avere θ = 11◦ , 6 pertanto applicando la (7) otteniamo la distanza tra le frange pari a 3, 28µm che è
appunto il fattore di proporzionalità tra le frequenze rilevate e la velocità del fluido. Questo strumento risulta inoltre totalmente non invasivo perché, attraverso le pareti trasparenti, nella corrente arrivano
soltanto i due raggi laser.
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Figura 7: Solo i raggi laser penetano nel fluido senza arrecare nessun disturbo.
§ 7. - Particle Image Velocimetry (PIV).
I metodi visti in precedenza risultano puntuali, consentono di eseguire le misure in un punto per volta, può invece risultare utile talvolta una procedura che consenta di avere una istantanea su tutto il
campo di moto e non solo in un punto particolare. La PIV, sviluppata recentemente, sfruttando sempre il pulviscolo presente nel fluido,
fornisce una panoramica del moto e risulta essere quindi un metodo
esteso.
Il principio è molto semplice: una lama di luce intermittente, cioè
stroboscopica, fornita da uno laser pulsato, illumina una parte del
fluido. Una telecamera con l’asse del suo obiettivo normale alla lama
di luce rileva le successive immagini delle particelle.
Per ciascuna particella il software riesce a calcolarne la velocità come rapporto tra lo spostamento ∆s rilevato dall’immagine e il
tempo ∆t tra due lampi di luce successivi:
∆s
.
∆t
Si tratta quindi di un software molto sofisticato che deve riconoscere la forma delle singole particelle seguendole ciascuna nel proprio moto, oppure deve coorrelare le due immagini ed infine fornire
v=
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Figura 8: Lo schema di acquisizione delle immagini e la loro elaborazione.
una panoramica del moto come campo vettoriale o come linee di
flusso.
Figura 9: Dalla correlazione tra due immagini di particelle viene ricavato il
campo di moto.
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§ 8. - La teoria dei modelli.
In un fluido possono esistere diverse forze, le principali sono le
forze viscose Fν e quelle dovute alla gravità Fg , mentre le forze dovute
alla tensione superficiale e quelle elastiche, dovute alla comprimibilità, vengono in genere trascurate. Le forze viscose e quelle di
gravità si devono equilibrare con la forza d’inerzia:
Fν + Fg = Fi .
Non esiste un modello che tenga conto contemporaneamente delle
forze di gravità e di quelle viscose, occorre fare in modo di trascurare
le une o le altre.
Nel caso in cui prevalgono le forze viscose avremo la similitudine di
Reynolds, altrimenti quella di Froude. Infatti se possiamo trascurare
le forze di gravità come nelle gallerie del vento abbiamo:
Fν = Fi
oppure:
Fi
=1
Fν
che deve valere sia nel prototipo che nel modello, pertanto possiamo
scrivere:
Fip
Fim
=
.
Fνp
Fνm
dove i pedici p ed m indicano rispettivamente le forze del prototipo
e del modello.
Cioè in definitiva otteniamo l’uguaglianza tra i numeri di Reynolds:
Rep = Rem .
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§ 9. - I modelli di Reynolds.
Si chiama appunto similitudine di Reynolds perché questo numero
deve essere conservato, ossia quello del modello deve essere lo stesso
del prototipo.
Si definisce in genere scala geometrica del modello il rapporto
delle grandezze lineari del modello e le corrispondenti del prototipo:
λ=
Lm
.
Lp
Dalla conservazione del numero di Reynolds abbiamo:
Um Lm
Up Lp
=
,
νm
νp
da cui:
Um
1 νm
=
.
Up
λ νp
Nel caso in cui venga usato lo stesso fluido del prototipo, abbiamo
quindi l’inconveniente che occorrono, nel modello, delle velocità che
risultano molto piú grandi di quelle del prototipo perché inversamente
proporzionali alla scala geometrica. Per questa ragione si costruiscono oggi gallerie del vento sempre piú grandi in modo da introdurvi
direttamente il prototipo ed avere quindi λ = 1.
Inoltre, sempre nel caso di λ = 1, dall’ultima relazione notiamo
che usando fluidi diversi: per esempio acqua nel modello (νm =
1cSt) ed aria nel prototipo (νp = 15cSt), abbiamo che le velocità
nel modello sono 15 volte minori di quelle del prototipo. Si comprende quindi come, in questo modo, l’osservazione dei fenomeni
risulti notevolmente agevolata.
Le pale delle turbine o dei compressori, per esempio, vengono
studiati con modelli in acqua per le ragioni precedenti.
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§ 10. - Le gallerie del vento e le vasche idrodinamiche.
Esistono gallerie del vento aperte o chiuse. Nelle prime l’aria
viene aspirata direttamente dall’esterno dell’edificio, e convogliata
attraverso delle griglie a nido d’ape e dei setacci per regolarizzarne
il flusso. Successivamente viene fatta convergere nella zona centrale
di prova, che presenta una minor sezione permettendo quindi all’aria
di raggiunge delle notevoli velocità. In questo tratto centrale viene
posta tutta la strumentazione necessaria: tubi di Pitot LDA, PIV,
o lame di luce per visualizzare il flussi. Inoltre vengono usate delle
bilance per la misura della forza che il fluido esercita sul modello.
Tale forza ha due componenti, quella in direzione del flusso si chiama resistenza R mentre quella ortogonale prende il nome di portanza
P . A valle della sezione di misura abbiamo un tratto divergente piú
lungo di quello convergente per diminuire le predite di carico, successivamente troviamo l’elica che aspira l’aria convogliandola di nuovo
all’esterno dell’edificio.
La resistenza e la portanza possono essere espresse in funzione
del carico cinetico U 2 /2g. Infatti se un corpo avente una sezione
massima trasversale Ax viene investito da una corrente con velocità
U , esercitando una pressione dinamica γU 2 /2g avremo:
R = Ax Cx γ
U2
U2
= Ax Cx ρ
2g
2
P = Ay Cy γ
U2
U2
= Ay Cy ρ ,
2g
2
dove Cx e Cy sono rispettivamente i coefficienti di resistenza e di portanza ricavabili dalle precedenti relazioni una volta misurate sperimentalmente le componenti R e P tramite la bilancia. Essi vengono
espressi in funzione del numero di Reynolds e sono validi per tutti i
corpi della stessa forma. Quindi una volta noti il Cx ed il Cy , forniti
dai manuali, si risale facilmente alle forze esercitate dal fluido sul
corpo stesso 1 .
1
Nella letteratura anglosassone vengono rispettivamente indicati come: CD
(drag coefficient) e CL (load coefficient).
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Nelle gallerie chiuse invece il flusso dell’aria compie un circolo,
dopo l’elica, con un condotto, viene convogliato di nuovo nella zona
dei setacci e delle griglie. L’aria in questo modo è sempre la stessa e si
riscalda girando a lungo nella galleria, pertanto occorre un sistema di
raffreddamento per controllarne la temperatura in modo da avere il
numero di Reynolds costante durante tutta la durata delle esperienze.
Le vasche idrodinamiche non si possono realizzare come le gallerie
del vento chiuse a causa dell’elevata densità dell’acqua. Occorrerebbero infatti delle potenze enormi per mantenerne in circolo tutta la
massa alla velocità di prova. Pertanto risulta molto piú conveniente
usare delle vasche rettilinee con acqua ferma, dove sui bordi esistono
due binari con un carro ponte che scorre a velocità nota trascinando i modelli. Sul carrello stesso viene posta tutta la strumentazione
necessaria per la determinazione delle forze idrodinamiche esercitate
sul modello stesso oltre alle telecamere, lame di luce ecc. per la
visualizzazione dei fenomeni idrodinamici.
In Italia esisteva, a Roma, la vasca idrodinamica della Marina
Militare (la Regia Marina) che, dopo la guerra, è stata trasformata
nell’Istituto Nazionale per gli Studi ed Esperienze di Architettura
Navale (INSEAN).
§ 11. - La similitudine di Froude.
Se il numero di Reynolds di una corrente è elevato, significa che
le forze viscose sono trascurabili, pertanto rimangono in gioco solo le
forze di gravità e quelle d’inerzia:
Fg = Fi
ossia:
Fi
=1
Fg
uguaglianza che deve valere anche nel modello in scala ridotta, pertanto occorre scegliere un valore opportuno della scala geometrica in
modo da avere un Re elevato.
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Per la similitudine abbiamo quindi:
Fim
Fip
=
.
Fgm
Fgp
Il rapporto tra le forze d’inerzia ρL2 U 2 e quelle gravitazionali ρL3 g
viene chiamo numero di Froude al quadrato: U 2 /gL, pertanto, assumendo l’altezza idrica h come grandezza significativa abbiamo l’espressione del numero di Froude:
U
Fr = √ .
gh
Dalle precedenti relazioni notiamo che per avere la similitudine dinamica questo numero si deve conservare cioè il numero di Froude del
modello deve essere uguale a quello del prototipo, quindi per questo,
tali modelli ne assumono il nome e vengono chiamati: modelli di
Froude.
La scala delle velocità adesso è data appunto dall’uguaglianza tra
i due numeri di Froude:
U
U
√ m =q p ,
ghm
ghp
ossia:
Um
=
Up
s
hm √
= λ,
hP
dove λ rappresenta al solito la scala geometrica di riduzione delle
grandezze lineari. La scala dei tempi risulta essere uguale a quella
delle velocità, infatti:
√
Tm
λ
= √ = λ.
Tp
λ
La scala delle portate viene fornita invece dal rapporto:
Qm
Um L2m
=
= λ5/2 .
Qp
Up L2p
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Quindi, una volta scelta la scala geometrica, abbiamo automaticamente le scale della velocità, dei tempi e della portata, cioè possiamo
conoscere rispettivamente la velocità che deve assumere la corrente
nel modello e la portata che deve essere fatta circolare nello stesso.
§ 12. - I modelli idraulici.
I modelli idraulici sono eseguiti in una scala tale da avere un numero di Reynolds elevato, pertanto seguono la similitudine di Froude.
Si distinguono varie fasi:
1)
2)
3)
4)
5)
-
scelta della scala;
costruzione del modello;
taratura;
esecuzione delle esperienze;
interpretazione dei risultati.
La scelta della scala viene effettuata in base alle potenzialità del
laboratorio ed agli spazi disponibili. Per esempio il nostro laboratorio ha una portata massima circolante di 500l/s. Se la portata del
prototipo risulta, per esempio di 2000m3 /s. abbiamo:
Qm
= 0.036 = 1/28.
Qp
Quindi possiamo costruire il modello in scala 1/30, salvo verificare
l’esistenza dello spazio necessario, altrimenti la scala deve essere
ridotta.
Si passa successivamente alla tracciatura del modello. Il pavimento del laboratorio viene suddiviso in quadrati con lato di 1 m. Anche
la carta su cui è disegnato il prototipo viene suddivisa in quadrati
di lato opportuno. Una volta individuati dei punti significativi sulla
carta, questi vengono riportati sul pavimento del laboratorio con il
prezioso ausilio del reticolo. Si passa quindi al tracciamento planimetrico raccordando i vari punti. Per quanto riguarda l’altimetria
essa deve essere eseguita con grande cura date le piccole pendenze in
gioco. A tal fine si dispongono sul pavimento dei caposaldi regolabili
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e, tramite una livellazione geometrica dal mezzo, vengono regolati
tutti alla stessa quota materializzando cosı́ un piano di fede. Nel
frattempo le varie sezioni del modello vengono disegnate su lastre
si alluminio o di compensato marino e successivamente ritagliate con
cura sul bordo segnato in modo da avere la siluette di tutte le sezioni.
Tramite il piano si fede le sezioni vengono murate con grande
cura, ciascuna alla sua quota in modo da rispettare le pendenze.
Si passa quindi alla fase di muratura vera e propria, si delimitano
i contorni del modello con muretti di mattoni o forati, si riempiono
gli spazi tra le sezioni, infine si passa un velo di malta cementizia
curando particolarmente la superficie.
Il modello viene alimentato da una vasca di testata, sempre in
muratura, dove viene immessa una condotta munita di saracinesca di
regolazione e di un diffusore per diffondere opportunamente il flusso
nella vasca stessa. Una vasca di raccolta, situata alla fine del modello, serve per convogliare le acque, tramite un sistema di canalette,
nella vasca di aspirazione delle pompe. Da quest’ultima le acque
vengono sollevate sulla torre piezometrica dove un serbatoio, munito di uno sfioratore di grande lunghezza, provvede a mantenere il
carico costante. In questo modo la portata rimane invariata durante
l’esecuzione delle esperienze.
Le portate vengono misurate tramite una vasca tarata che consiste
in un serbatoio di superficie nota S. Se un portata Q vi viene immessa
per un tempo t, una volta misurata l’altezza h con cui si è innalzato
il pelo libero della vasca stessa possiamo ricavarci indirettamente la
portata:
h
Q=S .
t
La costante della vasca tarata di questo laboratorio è S = 17.611m2 .
La successiva fase di taratura consiste nel conferire al modello la
necessaria scabrezza in modo tale che le altezze idriche siano in rapporto secondo la scala geometrica. Infatti di solito i modelli vengono
costruiti con superfici molto lisce e la portata di progetto vi scorre
con altezze idriche inferiori a quelle che dovrebbero essere secondo
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la scala. Pertanto, con molta pazienza viene aggiunta una scabrezza
artificiale consistente in zerbini di plastica, sabbia incollata sul fondo,
stecchine traversali ecc. in modo da raggiungere la scabrezza voluta.
Una volta tarato il modello si passa alla esecuzione delle esperienze e delle successive modifiche secondo le indicazioni del progetto
giungendo infine alla interpretazione dei risultati. Fase quest’ultima
non meno delicata delle precedenti perché, specialmente se il modello è a piccola scala (1/100 per esempio) non tutto quello che è stato
osservato può essere riportato alla realtà del prototipo. Stà quindi alla grande esperienza degli sperimentatori interpretare i risultati
sperimentali ed indicare le soluzioni opportune al progettista.