Io sono Camila
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Io sono Camila
EATBPE GU AG AOER CAD RC CI NE AG CI SL NE AG GY VE HR GM GF SL IO ZN PO IT OP SW C I C YFUORCAD YF UOTC FR A O Q KSJQ LP ABWI BA VICLWBE F C HU PE OI PR TW P TE R A XS O ON VI CL S TB P SX VT AE R CAMILFCAABW VA VICL ISMP BU I MZ NV ECWB NF RDCQ TE R AH BG VA I EA VA VI CL GMD ABWI NF XMFCABWI NF MD IO SONO CAMILA Biennale delle Arti e delle Scienze del Mediterraneo Associazione di Enti Locali per l’Educational e la Cultura - Ente Formatore per Docenti Istituzione Promotrice della Staffetta di Scrittura Bimed/Exposcuola in Italia e all’Estero Partendo dall’incipit di Carlo Grande e con il coordinamento dei propri docenti, hanno scritto il racconto gli studenti delle scuole e delle classi appresso indicate: Liceo “Carlo Botta” di Ivrea (TO) – classe II gamma Liceo Scientifico "Don Carlo La Mura" di Angri (SA) – classe IID Liceo “Duca degli Abruzzi” di Treviso (TV) – classe IIA Liceo Scientifico e Linguistico “De Carlo” di Giugliano in Campania (NA) – gruppo misto Istituto Italiano - Liceo Scientifico “E. Amaldi” di Barcellona (SPAGNA) – classe IIB I.S.I.S.S. “Ugo Foscolo” di Teano (CE) – classi VA ginnasio/IIB Liceo delle Scienze Umane “Pascasino” di Marsala (TP) – classi IIA/IIID I.I.S. “Sabatini-Menna” di Salerno – classe IIB Liceo Classico “XXVI Febbraio” di Aosta – classe VA Ginnasio Bilingue Editing a cura di: Matteo Forte Biennale delle Arti e delle Scienze del Mediterraneo Associazione di Enti Locali Ente Formatore per docenti accreditato MIUR Il racconto è pubblicato in seno alla Collana dei Raccontiadiecimilamani Staffetta Bimed/Exposcuola 2013 La pubblicazione rientra tra i prodotti del Percorso di Formazione per Docenti “La Scrittura Strumento indispensabile di evoluzione e civiltà” II livello. Il Percorso di Formazione è promosso dal MIUR Dipartimento per l’Istruzione Direzione Generale per il Personale Scolastico Ufficio VI e si organizza in interazione con l’Istituto Comprensivo “A. De Caro” di Lancusi/Fisciano (SA) Direzione e progetto scientifico Andrea Iovino Monitoraggio dell’azione e delle attività formative collegate Maurizio Ugo Parascandolo Responsabili di Area per le comunicazioni, il coordinamento didattico, l’organizzazione degli Stages, le procedure e l’interazione con le scuole, le istituzioni e i fruitori del Percorso di Formazione collegato alla Staffetta 2013 Linda Garofano Marisa Coraggio Andrea Iovino Area Nord Area Centro Area Sud Segreteria di Redazione e Responsabile delle procedure Giovanna Tufano Staff di Direzione e gestione delle procedure Angelo Di Maso, Adele Spagnuolo Responsabile per l’impianto editoriale Matteo Forte Grafica di copertina: Valentina Caffaro Rore, Elisa Costanza Giuseppina Camurati, Iulia Dimboiu, Giulia Maschio, Giulio Mosca, Raffaella Petrucci, Dajana Stano, Angelica Vanni - Studenti del Corso di Grafica dell’Istituto Europeo di Design di Torino, Docente Sandra Raffini Impaginazione Bimed Edizioni Relazioni Istituzionali Nicoletta Antoniello Piattaforma BIMEDESCRIBA Gennaro Coppola Amministrazione Rosanna Crupi I libretti della Staffetta non possono essere in alcun modo posti in distribuzione Commerciale RINGRAZIAMENTI I racconti pubblicati nella Collana della Staffetta di Scrittura Bimed/ExpoScuola 2013 si realizzano anche grazie al contributo erogato in favore dell’azione dai Comuni che la finanziano perché ritenuta esercizio di rilevante qualità per la formazione delle nuove generazioni. Tra gli Enti che contribuiscono alla pubblicazione della Collana Staffetta 2013 citiamo: Siano, Bellosguardo, Pisciotta, Cetara, Pinerolo, Moncalieri, Susa, SaintVincent, Castellamonte, Torre Pellice, Castelletto Monferrato, Forno Canavese, Rivara, Ivrea, Chivasso, Cuorgnè, Santena, Agliè, Favignana, Lanzo Torinese. Si ringrazia, inoltre, il Consorzio di Solidarierà Sociale “Oscar Romero” di Reggio Emilia, Casa Angelo Custode di Alessandria, Società Istituto Valdisavoia s.r.l. di Catania, Associazione Culturale “Il Contastorie” di Alessandria, Fondazione Banca del Monte di Rovigo. La Staffetta di Scrittura riceve un rilevante contributo per l’organizzazione degli Eventi di presentazione dei Racconti 2013 dai Comuni di Bellosguardo, Moncalieri, Ivrea, Salerno, Pinerolo, Saint Vincent, Procida e dal Parco Nazionale del Gargano/Riserva Naturale Marina Isole Tremiti. Si coglie l’occasione per ringraziare i tantissimi uomini e donne che hanno operato per il buon esito della Staffetta 2013 e che nella Scuola, nelle istituzioni e nel mondo delle associazioni promuovono l’interazione con i format che Bimed annualmente pone in essere in favore delle nuove generazioni. Ringraziamenti e tanta gratitudine per gli scrittori che annualmente redigono il proprio incipit per la Staffetta e lo donano a questa straordinaria azione qualificando lo start up dell’iniziativa. Un ringraziamento particolare alle Direzioni Regionali Scolastiche e agli Uffici Scolastici Provinciali che si sono prodigati in favore dell’iniziativa. Infine, ringraziamenti ossequiosi vanno a S. E. l’On. Giorgio Napolitano che ha insignito la Staffetta 2013 con uno dei premi più ambiti per le istituzioni che operano in ambito alla cultura e al fare cultura, la Medaglia di Rappresentanza della Repubblica Italiana giusto dispositivo Prot. SCA/GN/0776-8 del 24/09/2012. Partner Tecnico Staffetta 2013 Si ringraziano per l’impagabile apporto fornito alla Staffetta 2013: i Partner tecnici UNISA – Salerno, Dip. di Informatica; Istituto Europeo di Design - Torino; Cartesar Spa e Sabox Eco Friendly Company; ADD e EDT Edizioni - Torino; il partner Must Certipass, Ente Internazionale Erogatore delle Certificazioni Informatiche EIPASS By Bimed Edizioni Dipartimento tematico della Biennale delle Arti e delle Scienze del Mediterraneo (Associazione di Enti Locali per l’Educational e la Cultura) Via della Quercia, 64 – 84080 Capezzano (SA), ITALY Tel. 089/2964302-3 fax 089/2751719 e-mail: [email protected] La Collana dei Raccontiadiecimilamani 2013 viene stampata in parte su carta riciclata. È questa una scelta importante cui giungiamo grazie al contributo di autorevoli partner (Sabox e Cartesar) che con noi condividono il rispetto della tutela ambientale come vision culturale imprescindibile per chi intende contribuire alla qualificazione e allo sviluppo della società contemporanea anche attraverso la preservazione delle risorse naturali. E gli alberi sono risorse ineludibili per il futuro di ognuno di noi… Parte della carta utilizzata per stampare i racconti proviene da station di recupero e riciclo di materiali di scarto. La Pubblicazione è inserita nella collana della Staffetta di Scrittura Bimed/Exposcuola 2012/2013 Riservati tutti i diritti, anche di traduzione, in Italia e all’estero. Nessuna parte può essere riprodotta (fotocopia, microfilm o altro mezzo) senza l’autorizzazione scritta dell’Editore. La pubblicazione non è immessa nei circuiti di distribuzione e commercializzazione e rientra tra i prodotti formativi di Bimed destinati unicamente alle scuole partecipanti l’annuale Staffetta di Scrittura Bimed/ExpoScuola. PRESENTAZIONE dedicato alle maestre e ai maestri … ai professori e alle professoresse, insomma, a quell’esercito di oltre mille uomini e donne che anno dopo anno ci affiancano in questo esercizio straordinario che è la Staffetta, per il sottoscritto, un miracolo che annualmente si ripete. In un tempo in cui non si ha la consapevolezza necessaria a comprendere che dietro un qualunque prodotto vi è il fare dell’essere che è, poi, connotativo della qualità di un’esistenza, la Staffetta è una esemplarità su cui riflettere. Forse, la linea di demarcazione che divide i nativi digitali dalle generazioni precedenti non è nel fatto che da una parte vi sono quelli capaci di sentire la rete come un’opportunità e dall’altra quelli che no. Forse, la differenza è nel fatto che il contesto digitale che sempre di più attraversa i nostri giovani porta gli individui, tutti, a ottenere delle risposte senza la necessità di porsi delle domande. Così, però, è tutto scontato, basta uno schermo a risolvere i nostri bisogni… Nel contempo, riflettere sul senso della nostra esistenza è sempre meno un bisogno e il soddisfacimento dei bisogni ci appare come il senso. Non è così, per l’uomo, l’essere, non può essere così. Ritengo l’innovazione una delle più rilevanti chiavi per il futuro e, ovviamente, non sono contrario alle LIM, a internet e ai contesti digitali in generale, sono per me un motore straordinario e funzionale anche per la relazione tra conoscenza e nuove generazioni, ma la conoscenza è altro, non è mai e in nessun caso l’arrivo, l’appagamento del bisogno… La conoscenza è nella capacità di guardare l’orizzonte con la curiosità, il piacere e la voglia di conquistarlo, questo è! Con la staffetta il corpo docente di questo Paese prova a rideterminare una relazione con l’orizzonte, con quel divenire che accomuna e unisce gli uomini e le donne in un afflato di cui è parte integrante il compagno di banco ma, pure, il coetaneo che a mille chilometri di distanza accoglie la tua storia, la fa sua e continua il racconto della vita insieme a te… In una visione di globalizzazione positiva. Tutto questo ci emoziona anche perché è in questo modo che al bisogno proprio (l’egoismo patologico del nostro tempo), si sostituisce il sogno di una comunità che attraverso la scrittura, insieme, evolve, cresce, si migliora. E se è vero come è vero che appartiene alla nostra natura l’essere parte di una comunità, la grande scommessa su cui ci stiamo impegnando è proprio nel rideterminare con la Staffetta una proficua interazione formativa tra l’innovazione e la cultura tipica dei tanti che nell’insegnare hanno trovato… il senso. Dedico questo breve scritto ai docenti ma vorrei che fossero i genitori e gli studenti, gli amministratori e le imprese, la comunità e l’attorno, a prendere consapevolezza del fatto che è proprio ri/partendo dalla Scuola che potremo determinare l’evoluzione e la qualificazione del nostro tempo e dello spazio in cui viviamo. Diamoci una mano, entriamo nello spirito della Staffetta, non dividiamo più i primi dagli ultimi, i sud dai nord, i potenti dai non abbienti… La Staffetta è, si, un esercizio di scrittura che attraversando l’intero impianto curriculare qualifica il contesto formativo interno alla Scuola e, pure, l’insieme che dall’esterno ha relazione organica e continuativa con il fare Scuola, ma la Staffetta è, innanzitutto, un nuovo modo di esprimersi che enuclea nella possibilità di rendere protagonisti quanti sono in grado di esaltare il proprio se nel confronto, nel rispetto e nella comunanza con l’altro. Andrea Iovino L’innovazione e la Staffetta: una opportunità per la Scuola italiana. Quando Bimed ci ha proposto di operare in partnership in questa importante avventura non ho potuto far a meno di pensare a quale straordinaria opportunità avessimo per sensibilizzare un così grande numero di persone sull’attualissimo, quanto per molti ancora sconosciuto, tema di “innovazione e cultura digitale”. Sentiamo spesso parlare di innovazione, di tecnologia, di Rete e di 2.0, ma cosa sono in realtà e quali sono le opportunità, i vantaggi e anche i pericoli che dal loro utilizzo possono derivare? La Società sta cambiando e la Scuola non può restare ferma di fronte al cambiamento che l’introduzione delle nuove tecnologie ha portato anche nella didattica: cambia il metodo di apprendimento e quello di insegnamento non è che una conseguenza naturale e necessaria per preparare gli “adulti di domani”. Con il concetto di “diffusione della cultura digitale” intendiamo lo svi- luppo del pensiero critico e delle competenze digitali che, insieme all’alfabetizzazione, aiutano i nostri ragazzi a districarsi nella giungla tecnologica che viviamo quotidianamente. L’informatica entra a Scuola in modo interdisciplinare e trasversale: entra perché i ragazzi di oggi sono i “nativi digitali”, sono nati e cresciuti con tecnologie di cui non è più possibile ignorarne i vantaggi e le opportunità e che porta inevitabilmente la Scuola a ridisegnare il proprio ruolo nel nostro tempo. Certipass promuove la diffusione della cultura digitale e opera in linea con le Raccomandazioni Comunitarie in materia, che indicano nell’innovazione e nell’acquisizione delle competenze digitali la vera possibilità evolutiva del contesto sociale contemporaneo. Poter anche soltanto raccontare a una comunità così vasta com’è quella di Bimed delle grandi opportunità che derivano dalla cultura digitale e dalla capacità di gestire in sicurezza la re- lazione con i contesti informatici, è di per sé una occasione imperdibile. Premesso che vi sono indagini internazionali da cui si evince l’esigenza di organizzare una forte strategia di ripresa culturale per il nostro Paese e considerato anche che è acclarato il dato che vuole l’Italia in una condizione di regressione economica proprio a causa del basso livello di alfabetizzazione (n.d.r. Attilio Stajano, Research, Quality, Competitiveness. European Union Technology Policy for Information Society II- Springer 2012) non soltanto di carattere digitale, ci è apparso doveroso partecipare con slancio a questo format che opera proprio verso la finalità di determinare una cultura in grado di collegare la creatività e i saperi tradizionali alle moderne tecnologie e a un’idea di digitale in grado di determinare confronto, contaminazione, incontro, partecipazione e condivisione… I docenti chiamati a utilizzare una piattaforma telematica, i giovani a inventarsi un pezzo di una storia che poi vivono e condividono grazie al web con tanti altri studenti che altrimenti, molto probabilmente, non avrebbero mai incontrato e, dulcis in fundo, le pubblicazioni… Il libro che avrete tra le mani quando leggerete questo scritto è la prova tangibile di un lavoro unico nel suo genere, dai tantissimi valori aggiunti che racchiude in sé lo slancio nel liberare futuro collegando la nostra storia, le nostre tradizioni e la nostra civiltà all’innovazione tecnologica e alla cultura digitale. Certipass è ben lieta di essere parte integrante di questo percorso, perché l’innovazione è cultura, prima che procedimento tecnologico. Il Presidente Domenico PONTRANDOLFO INCIPIT CARLO GRANDE Camila Mi chiamo Camila, sono straniera. Lo so, sono appena arrivata, mi guardano con sospetto. Ho 15 anni e qui è tutto nuovo, nemmeno io so ancora bene chi sono. Scendendo con l’aereo ho visto case, giardini, montagne. Ho amato questo luogo, l’ho scelto. Perché qui vivono mio padre e mia madre, da tanti anni. Mi piacciono questa pianura, queste montagne che mi sono toccate in sorte. Io sono Camila. Vorrei lavorare e risparmiare, vorrei una nuova casa. Basta miseria, basta paura. Potete capire la danza dei miei desideri? Sono curiosa, io, sono testarda. Ho due grandi doni: so parlare e non mi arrendo mai. Io sono Camila. Vado fino in fondo alle cose, io. Combatto. 14 CAPITOLO PRIMO La distanza «È pronto, a tavola!» Camila chiude il diario e raggiunge la cucina, dove i suoi genitori stanno già cenando. Non ha voglia di mangiare, qualcosa le chiude lo stomaco, e la madre se ne accorge. «Agitata?» Camila non sente, o forse dimentica subito; è immersa nei suoi pensieri, intenta a immaginare quel fatidico primo giorno di scuola che l’indomani arriverà. 13/09/12 È andata. Ho immaginato a lungo tutti gli scenari possibili; ma non avrei mai pensato che degli sguardi potessero trafiggermi così. Loro credono di sapere già tutto di me: - È africana- sento dire - è una poveraccia - , e guardano i miei vestiti. Io non conosco nulla di loro. Non so niente di quella massa di Andrea Valeria Marco Giulia che oggi per la prima volta ho visto. Eppure io non li ho giudicati. Posso solamente pensare che loro abbiano avuto quello che mi è sempre mancato: un’infanzia spensierata, un Paese sereno in cui vivere. Per la prima volta mi sono sentita diversa. Ma io combatto. Io sono Camila. Ho camminato a testa alta fino al mio banco. Vicino, una ragazza fissa gli occhi su di me. Mi sento in imbarazzo per lei. «Ciao» le dico. La voce non mi esce come vorrei. In risposta ricevo un sorriso imbarazzato cui segue un silenzio imbarazzante, riempito dalla voce della professoressa. Mi presenta alla classe e propone di leggere un brano sulla mia terra. 16 «Giulia,vuoi leggere tu?» La distanza La ragazza prende la scheda e legge: «La Somalia, punto chiave per i commerci nel mondo antico, è una Repubblica Federale caratterizzata da un clima perlopiù arido e da un territorio prevalentemente composto da altopiani e pianure. Essa è uno degli Stati più poveri del mondo ed è considerato uno Stato fallito». Fallita. È così che mi vedono, come la Stato da cui provengo. Non sanno com’è vivere in un continuo clima di terrore, nell’anarchia pura; non sanno quanto dobbiamo essere forti noi donne in un paese restìo a trattarci come meritiamo. Fin da piccola Camila ha visto morte e sangue ovunque; ha visto le sue sorelle lottare contro i soprusi degli uomini. Le ha viste denunciare maltrattamenti per altre cui mancava il coraggio per farlo, le ha viste cercare di cambiare la propria situazione. Io sono come loro. Combatto, non mi arrendo mai. Non mi spavento di fronte al futuro, perché so di poter stare solo meglio rispetto a come ho vissuto finora. La campanella suona e Giulia interrompe la lettura; subito, un frastuono di banchi e sedie annuncia l’inizio dell’intervallo. Camila segue i compagni e si ritrova nel caos del corridoio. Gli altri corrono, la urtano, intenti a raggiungere il banco della merenda. Lei li osserva con curiosità ma i suoi pensieri vengono nuovamente interrotti dal suono metallico della campanella. «Oh ma questa è morta?» mormora una delle compagne. «Tutto bene? Sembri imbambolata!». Camila non risponde, lo sguardo perso. Un’altra aggiunge: «Poverina, le mancherà il suo Paese!» «Ma figurati! Cosa vuoi che le manchi di quel posto?» «Ma sì, hai ragione. Ci saranno solo giraffe, elefanti. La gente vive ancora nelle capanne...» Capitolo primo 17 Le due continuano a dire cattiverie, finché Giulia, la compagna seduta dietro, sbotta: «Ma cosa ne volete sapere voi? Piantatela di fare le pettegole! Non siete mai uscite da qui, cosa ne sapete?» «Lo sanno tutti che là sono poveri e arretrati, vuoi mettere: le loro capanne e le nostre case?» A questo punto Camila si volta verso di loro e dice, con voce irritata: «Guardate che le case ci sono anche da noi!» «Sarà! E per andare a scuola prendete il cammello?» Giulia alza gli occhi al cielo: «Siete veramente ridicole! Finitela con questi discorsi da bambine ignoranti! Non capisco come fate ad essere così stupide certe volte!» «Guardate che io non so che farmene della vostra pietà! Non ne ho proprio bisogno». Camila ora le fissa decisa, nascondendo il profondo fastidio; poi si volta e torna ad ascoltare la professoressa. Francesca e Sara fanno spallucce e si rimettono a spettegolare per i fatti loro. «Sara, stai attenta. O vuoi il triplo dei compiti per casa?» «Stavo solo chiedendo una cosa». Risponde la ragazza. Come un pizzicotto, il suono della campanella la riporta alla realtà. Pochi secondi dopo, sta attraversando il parco. Tutti la guardano. Le sembra quasi di poter sentire quello che pensano. Sente la loro diffidenza: è percettibile nell’aria che la circonda, è come una tensione sottile. Eppure le piace essere diversa. E odia con tutto il suo cuore quella maschera di sofferenza che le addossano sempre; sa che è soprattutto quella povertà imposta che la divide dagli altri. Quella che molti chiamano compassione a volte non lo è, a volte è solo mancanza di rispetto. Si è dispiaciuti per qualcuno quando si pensa che quello non sia abbastanza forte per farcela, ma quello non è il caso di Camila. Lei sa di avere tutto ciò che le serve per sopravvivere e vivere felice: “Io non ho bisogno di voi” avrebbe voluto gridare. “Io sono forte quanto e più di voi!” Camila continua a camminare, non si fa fermare dagli sguardi. Prosegue fiera, lo sguardo dritto e la 18 La distanza testa alta. Ha notato da tempo, appena arrivata, che lì la gente è sempre di fretta. La fretta la irrita. In Africa, fretta significa fuga, significa pericolo. Da cosa scappano? Qui tutto è tranquillità. Questo è il loro Paese, queste sono le loro strade, qui si possono riconoscere in tutto quello che vedono. Nella frenesia del parco c’è una nota stonata: è un uomo, seduto su una panchina, tranquillo. Camila si ferma e segue il suo sguardo. Prima non aveva neanche notato quella fontana. Il rumore delle gocce si confonde come in quei dipinti in cui la bellezza risiede in piccoli particolari che rischiano di fuggire all’osservatore distratto. La fontana è semplice. Il getto talmente povero che neanche un passerotto si disseterebbe. Le gocce creano una melodia insolita. Il ritmo la culla per un attimo. Tutto intorno a lei diventa sottofondo e scenografia. Una goccia. Poi un’altra. Quel ritmo l’ha seguita fin lì. HUU WAA YA HUU WAA, HBRTA MA JOOKTOO KOR1 - cantava la nonna. Però adesso c’è anche lei, in alto e al nord, con la mamma, e la nonna è rimasta laggiù. Eppure la sente così vicina ora, sembra che sia ancora lì con lei, a consolarla e incoraggiarla come faceva nelle giornate buie. TY KORUF AY GADHATAI , KAKSHIAX KAKSHIAX2 Forse anch’io ho fatto quel rumore andandomene. HUU WAA YA HUU WA3 Chissà cosa sta facendo ora? Forse sta cucinando i suoi longaez o i suquaar. La ninna nanna risuona nella sua testa come una vibrazione. Un balsamo per il suo cuore stanco. Sorride per un secondo, si sente a casa. Camila riapre gli occhi accorgendosi solo in quel momento di averli chiusi. Corre verso casa e spalanca la porta. Appena vede la mamma, le si avvicina e la abbraccia. Hooyo4. Capitolo primo 19 Ma il suo profumo non è quello dell’ Africa, è quello della nuova terra... La campanella dell’ultima ora suona. Camila raduna velocemente i suoi quaderni e si avvia verso l’uscita. Cammina svelta e sicura. «Camila!» Giulia la raggiunge. «Che noia l’ultima ora, vero?» Camila, sorridendo, annuisce, sorpresa dalla spontaneità della compagna. Camminano assieme fino al cortile «Guarda! Ci sono mamma e Simone, mio fratello. Lo vedi quel bambino grassottello? Vieni!» «Ciao mamma! Lei è Camila». «Io sono Simone!» e la osserva affascinato. «Perché hai la sciarpa sulla testa?» dice impertinente. «Ma cosa dici?» interviene la mamma, visibilmente imbarazzata, con un sorriso di scuse rivolto a Camila. La ragazza guarda il bambino negli occhi e, con un sorriso, gli risponde: «Sai, nel mio Paese molte ragazze portano il velo; è una nostra usanza, come in Italia mangiare la pasta!» «Giulia, adesso andiamo o farai tardi all’allenamento. Ciao Camila, piacere di averti conosciuta!» Anche per Camila è tardi. Con passo svelto ripercorre la via ormai familiare: attorno a lei gli alberi del parco perdono le prime foglie. Il venticello fresco è per lei pungente e penetrante. Non è ancora abituata a quel clima. Sono contenta che Giulia mi abbia presentato la sua famiglia. Per il momento nessuno si è mai dimostrato così amichevole nei miei confronti. Un raggio di sole la sveglia. Poi guida il suo sguardo velato di sonno su una busta da lettera sul comodino. Camila la apre. Legge. La lettera le scivola via dalla mano... 20 La distanza Note 1 Ninna nanna la tua mamma non c’è, si è recata in alto e a nord 2 Si è portata via le sue ciabatte, facendo kabshiax kabshiax 3 Ninna nanna 4 Mamma Capitolo primo 21 CAPITOLO SECONDO La nonna Sono le quattro del pomeriggio, il sole è forte, le giornate sono a tutti gli effetti ancora estive. È proprio il tepore di un raggio birichino penetrato dalla finestra che mi ha schiuso dolcemente gli occhi, che, per una volta, sono caduti su uno oggetto inusuale in un posto inusuale. Si tratta di una lettera apposta sul comò; il mittente sembra scarabocchiato, mentre il destinatario sono proprio io. Mio padre sa che sono gelosa dei miei oggetti, che tengo tanto ai miei spazi, a quella che qui in Occidente chiamano privacy, quindi non si è nemmeno sognato di aprire questa busta, anche perché immagina che possa essere stata mandata da una mia amica. In verità anche io ho creduto questo, ho immaginato che potesse trattarsi di Amina, Tanisha e Nadira, che mi hanno salutato con le lacrime agli occhi all’aeroporto di Mogadiscio la mattina della mia partenza. L’ho afferrata voracemente quella lettera, col dito ho strappato la busta, facendo attenzione però a non distruggere la stupenda giraffa librante nella savana che campeggia sul francobollo. L’ho letta senza fermarmi e l’ho lasciata sul letto. Ho affondato la testa sul cuscino rimanendo immobile a fissare per qualche istante il vuoto. Ma io sono Camila e sono forte. Lo devo essere. Mi sono così alzata, ma facendo attenzione a non cadere. L’equilibrio è precario, la notizia brutta. Questi primi giorni di scuola nel nuovo istituto sono davvero stancanti, anche per una ragazza dinamica come Camila. Strano, perché ormai è giunta in Italia al principio dell’estate, ma si consideri il cambiamento radicale di vita di Camila, un’adolescente che ha cambiato patria, clima, lingua, amiche e soprattutto un pezzo importante della sua famiglia: le sorelle, sfortunate, e la persona a cui, almeno fino ad adesso, ella ha voluto bene più che ad ogni altra: Zahra, la nonna materna. Non è facile abituarsi a vivere in una nazione diversa, in pace (o così sembra), ma in cui si ha l’impressione che la gente non sia così felice come credeva. Sembra che a tutti manchi 22 La nonna qualcosa. Sarà questo strano animale chiamato modernità? Certo, sembrano problemi di poco conto, per lei che fin da piccola è stata costretta ad assistere ad episodi particolari, che vorrebbe dimenticare, come quando i suoi zii, perseguitati in patria, iniziarono una non meglio precisata navigazione verso l’Occidente alla ricerca della felicità, ma non vi approdarono mai. Questi primi giorni di scuola sono duri, proprio per alunne che vogliono studiare sodo. Camila è una di queste perché in lei è insita la lotta e non si tira mai indietro. I prof italiani sembrano disponibili, non solo con lei, la ragazza somala (come sa che la chiama Francesca di nascosto), ma con tutti gli alunni, e poi c’è un altro dato positivo: non danno molti compiti. Al ritorno dalle lezioni, comunque, ogni giorno, prima di svolgere i compiti, Camila ha preso un’abitudine impensabile fino a tre mesi prima: si addormenta. Ha bisogno di dormire. Non molto, mezz’ora, ma le è necessario per ricaricarsi prima di inoltrarsi nella seconda parte della giornata. Anche oggi è andata così. Tornata a casa, pranzo veloce senza colloquiare troppo con i genitori (se ne parlerà come sempre di sera), poi, distesa sul letto, crollo repentino come una pera secca. Al risveglio la sorpresa amara di quella lettera. Va in bagno, è necessaria una grande rinfrescata al viso. Poi si ferma dinanzi allo specchio. Ormai, appena entro in bagno, mi guardo subito allo specchio, amo compiere questa operazione, a volte mi ci perdo. Sarà perché nella mia terra gli specchi non sono così diffusi come in Italia, sarà che voglio verificare se è vero ciò che mi dice mia madre. Ehm… Sono carina, mi dice, e le ragazze somale sono tra le più belle, non solo del continente africano, ma di tutto il mondo… Me lo ripete per darmi coraggio nell’affrontare gli sguardi maliziosi delle mia nuove compagne? Badando alle sue parole, mi fermo a guardare gli occhi neri e sempre in movimento, i capelli neri mossi, oserei chiamarli lisci, diversi da quelli crespi delle mie sorelle. Mi dice anche che le mie labbra sottili (forse troppo?), aprendosi, svelano il mio sorriso smagliante, lucente, unico, pronto ad essere donato. Sarà… lo dico io che deve farsi una visita oculistica… Aggiunge anche che non devo vergognarmi di essere alta, perché tante ra- Capitolo secondo 23 gazze, anche italiane, lo vorrebbero essere e che il mio imbarazzo ignora che la mia diversità costituisce la mia bellezza. Che esagerata! A me però, a pensarci bene, qualcosa piace, e pure tanto del mio viso. Il naso. Perché nel mio viso il naso non la fa da padrone, se ne sta buono buono, perchè snello e piccolo, non so se più simile a quello “francese” o “greco”, ma, in fin dei conti, davvero non me ne importa. Strano, mi concentro sul naso, forse perché dare valore ad una sciocchezza adesso è vitale per me che ho appena avuto una notizia bruttissima in una lettera speditami da mia sorella Shirin: nonna Zahra si è sentita male ed è stata ricoverata. Si tratta di una malattia. Inizia per lei una dura battaglia, come quelle che ha sempre combattuto nella mia terra e per la mia terra. Ha detto a mia sorella di scrivermi, ma “in incognito”: ella per adesso non vuole informare i miei genitori, che devono pensare soltanto a lavorare. Devono in special modo pensare a me ed al mio futuro. Io dovrò avere in custodia questa notizia, ma non so fino a quando… Uffa, lo dicevo io, in questi giorni avvertivo,come per una sorta di sesto senso, che dovesse accadere qualcosa e, a dir la verità, da alcuni giorni mi sembrava di sentire le canzoni che mia nonna mi cantava... Ora ho bisogno di chiudere gli occhi… Come per magia mi ritrovo piccola, tra la gente al mercato di Mogadiscio… Era lì che mi recavo ogni settimana con la nonna. Quando poteva, lei mi comprava delle stoffe colorate con le quali insieme amavamo cucire dei vestiti per me e le mie sorelle. Era bello trascorrere i pomeriggi insieme a lei, quei pomeriggi ricchi di felicità, specie quando mi insegnava a cucinare piatti unici e dolci buonissimi. Mi piacevano tanto quei dolcetti, i Guarn ogh zol, che aiutavo a preparare con tanta passione e, nonostante mi pasticciassi tutta mescolando la farina con il burro e lo zucchero, mi fissava con amore dicendo che ero bravissima. Gli ultimi ingredienti, modestamente, li aggiungevo io: stendevo la pasta sul tavolo e con un coltellino intagliavo le forme dei biscotti che la nonna metteva a cuocere; poi, appena pronti, li rotolavo nello zucchero a velo… che divertimento! 24 La nonna Spesso poi mi accompagnava in luoghi della città che pochi conoscevano: proprio per la loro rarità i paesaggi si presentavano incantevoli e perciò amavo disegnarli sotto la sua supervisione. Infatti, appena giunte a casa, mi aiutava e mi passava, come una perfetta aiutante,i pastelli. Ho sempre inciso, nella mia mente, il mio miglior disegno: il sole, durante il tramonto, visto dalla collinetta di Mogadiscio che affaccia sul mare. Era il mio, anzi il nostro, miglior disegno. Si, il nostro, perché senza mia nonna non sarei riuscita ad illustrarlo, come non sarei nemmeno riuscita a vivere serenamente il periodo più bello della mia vita, l’infanzia, quando la mia famiglia era ancora unita. Ma io, un giorno, proverò a costruirla una famiglia forte ed onesta, con un uomo al mio fianco e tanti bambini sorridenti che mi abbracceranno ed ai quali insegnerò ciò che mia nonna ha insegnato a me; lei però ci dovrà essere sempre, non mi deve abbandonare... Con lei spesso passavamo mattinate di sole sulle sponde del fiume a cantare simpatici motivetti. Era divertente creare gli strumenti con oggetti quotidiani che trovavamo ed i primi che costruimmo furono un sonaglio e due conchiglie legate da uno spago. Ecco, questi strumenti li ho conservati e da allora sono diventati i miei portafortuna… Ricordo poi il primo digiuno: avevo sette anni ed a Mogadiscio erano tutti intenti a prepararsi al Ramadan. A mezzogiorno iniziai ad avvertire la sete, ma la nonna mi aiutò ad andare avanti confortandomi e disegnandomi sulla mani i tradizionali tatuaggi della mia terra. Oltre ai bei ricordi ci sono anche quelli delle lunghe giornate in cui la città era sotto attacco e non potevamo uscire di casa; ricordo la paura che provavo, ma nonna Zahra riusciva sempre a calmarmi; come quella volta in cui ero davvero spaventata dai boati che provenivano dal centro e mi raccontò leggende fantastiche per distrarmi, tipo quella del… I pensieri ed i dolci ricordi di Camila vengono interrotti dal suono del campanello e da una voce… Camilaaaaaa!!! Vieni, c’è Giulia che è venuta a trovarti, sbrigati! Capitolo secondo 25 CAPITOLO TERZO La pizza Camila continua a guardare le ante dell’armadio senza riuscire a trovare nulla di adatto per la serata. Giulia l’ha invitata alla cena di classe: sarebbe stata la sua prima pizza con i nuovi compagni. È passata una settimana da quando l’amica è venuta a casa sua per farlo, e Camila si è interrogata più volte sul perché di quell’invito al di fuori della scuola. Non sa come comportarsi e cosa indossare. Nonostante una lunga riflessione, a due ore dall’inizio della serata la ragazza non ha ancora trovato una risposta ai suoi interrogativi. In preda al panico, le viene in mente la nonna malata, le parole della lettera ricevuta da lei… a un tratto ricorda del bel foulard portato con sé dalla Somalia. Metterò il mio nuovo hijab! È perfetto per questa serata! Lo cerca nell’armadio e lo indossa. E’ di un bel color viola acceso con sfumature di colori più tenui. I bordi sono rifiniti con pieghe e cuciture fatte a mano. Profuma di incenso, di lavanda. Profumi che l’hanno accompagnata dalla nascita. È tardi. Camila finisce velocemente di sistemarsi, saluta i genitori e sale in macchina con Giulia e sua madre, che le avrebbe accompagnate in pizzeria. L’auto non è molto grande ma accogliente. Camila si siede sul sedile posteriore vicino all’amica. «Che piacere conoscerti!» le dice con aria cortese la donna. «Pronte per partire, ragazze?» «Ci divertiremo un sacco, vedrai! I nostri compagni, al di fuori della scuola, ti piaceranno!». Afferma decisa Giulia. Camila non risponde, ma sorride compiaciuta. Con uno sguardo curioso e impressionato si immerge nello splendore di Verona illuminata dalle numerose luci della sera. La macchina passa vicino alla celebre Arena. Camila rimane estasiata, la sua sensibilità le permette di assorbire immediatamente la maestosa bellezza del monumento. 26 La pizza «Sai, Cami, è un anfiteatro romano. La mamma quando ero piccola, mi portava qui a vedere le opere liriche!». Spiega Giulia. Lei non ha mai pensato che quella strana e ostile città avrebbe potuto affascinarla tanto, malgrado il modo negativo con cui, in varie occasioni, gli immigrati erano stati trattati. In breve tempo si ritrovano a passare davanti ad un’altra celebrità veronese, Porta Nuova. La mamma di Giulia prende a raccontarle le vicende storiche della porta. «Quest’opera d’arte è una di quelle cose che mi fanno sentire fiera di essere nata in questa città». Conclude. «Veramente incredibile, imponente ed elegante allo stesso tempo». Aggiunge Camila. Mentre la macchina è ferma ad un semaforo, guardando dal finestrino, la ragazza nota un uomo anziano che si aggira per la città, vestito di stracci e intento a domandare qualche soldo. Con molta tristezza vede che nessuno si ferma ad ascoltarlo, anzi molti lo evitavano cambiando lato della strada per non essere importunati, solo una giovane coppia gli allunga qualche soldo. Questo fatto riporta Camila con la mente in Somalia, al campo profughi lasciato alcuni mesi prima, dove viveva con la madre, le sorelle e la nonna in attesa di ricongiungersi al padre, arrivato in Italia su un barcone, qualche tempo prima. Poi la partenza, e la nonna che era rimasta nel campo. Tutti i pensieri che le occupano la mente sono improvvisamente interrotti da una dolce sinfonia orchestrale proveniente da un bar vicino e dal vociare dei passanti. Quella sera le strade sono animate dalle persone che passeggiano godendosi il clima autunnale della città, unito alle suggestioni romantiche della storia di Romeo e Giulietta. «Vedi, Cami, quello è il Ponte di Castelvecchio, poco oltre c’è la pizzeria “da Gigi”» dice Giulia rompendo il profondo silenzio che si sta creando in auto. Camila si volta, e non appena vede il ponte viene catturata dalla bellezza delle sue arcate. 27 Capitolo terzo «Eccoci arrivati! Presto, andiamo!» Esclama Giulia. «Grazie, mamma, a dopo». In pizzeria sono già arrivati alcuni loro compagni di classe tra cui Francesca e Sara, pronte a squadrarla come sempre. Iniziano immediatamente a criticare l’hijab di Camila. «Guarda, non sa nemmeno abbinare i colori, un fazzoletto viola su una maglia rosa!» Nonostante sia abituata al loro scherno, Camila ci rimane male: non riesce a comprendere perché le sue compagne di classe siano così aggressive nei suoi confronti. Io combatto, io sono. Nel frattempo è arrivato il resto della classe, i ragazzi si siedono pronti a ordinare la pizza. Tutti trovano un posto, anche Giulia che si è messa vicino a Sara; solo Camila è ancora lì, in piedi, ad aspettare che qualcuno le chieda di sistemarsi vicino a lei. È un po’ imbarazzante stare così, con le braccia incrociate; non sapendo che fare si guarda attorno... Quanti tavoli, quante sedie, quante persone, che posto affollato! Le persone sono tutte sorridenti davanti al loro piatto invitante. Camila gira lo sguardo e si accorge che una signora la sta guardando, sorride. Lei ricambia, e questo le restituisce una grande fiducia. Forse ho sbagliato... le persone qui a Verona non sono poi così male, non tutte hanno pregiudizi come Francesca e Sara… «Camila! Camila! Ehi, Cami, sveglia!» la chiama Giulia. Camila scuote la testa e si volta. «Ragazza mia, non puoi stare in piedi per tutta la serata! Dai, siediti qui accanto a me». Camila le sorrise e si siede. Vede che Francesca e Sara bisbigliarono qualcosa come: «Vuoi vedere che in Somalia non hanno nemmeno le sedie!» Poi ridono entrambe». 28 La pizza Voci, risate, schiamazzi. Questo è ciò che mi circonda in questo momento. I miei compagni di classe si vogliono bene, e si vede. Sono legati tra loro, e quando stanno insieme riescono ad essere se stessi. Mi sento circondata da un mare di affetto di cui purtroppo non faccio ancora parte. Guardo i miei compagni e inizio a sognare. Provo a immaginare come sarebbe bello che anche loro mi accettassero come fa Giulia. Che fossero disponibili nei miei confronti come io sono verso di loro. Come vorrei che quel muro che ci divide cadesse, sarei pronta a dimenticare che loro mi umiliano per le mie origini. Sarei pronta a ricominciare tutto da capo senza rancore. Porto l’hijab, è vero, e vengo da un paese lontano dall’Italia; ma sono come tutte le altre ragazze: so ridere, ascoltare, confidarmi, scherzare. Mentre penso a questo un urlo mi scuote. «Ehi, arriva il cameriere!» tutti quanti si agitano come se stesse succedendo qualcosa di sconvolgente. Si ferma accanto a me e dice qualcosa che non capisco: sono concentrata sul suo aspetto e sul suo atteggiamento socievole ma al tempo stesso formale. «Camila, devi dire al cameriere che pizza vuoi, mica ti legge nella mente come i vostri sciamani!» mi raggiunge la voce di Francesca. Tutti ridono. Muoio dall’imbarazzo, non so cosa dire! Oddio, non so che pizza voglio! «Dai, ragazze, smettetela! E poi in Somalia non ci sono gli sciamani», interviene Giulia, facendo zittire tutti. «Camila, prendi la pizza con i funghi, come la mia! È buona, fidati!» «Ehm, va bene, grazie! Allora una pizza con i funghi». Il cameriere mi sorride e annuisce. Cavolo, che figuraccia! Non mi resta altro che abbassare la testa... 29 Capitolo terzo Stiamo ancora ordinando quando un ragazzo alto, capelli scuri, e con una rada barba incolta si avvicina al nostro tavolo. Deve essere Alvise, il vecchio compagno di classe, bocciato, di cui mi ha parlato Giulia. Non riesco a staccargli gli occhi di dosso. Nonostante non sia bellissimo, ha un aspetto ipnotico e il suo sguardo emana simpatia. Si avvicina e viene a sedersi proprio accanto a me. Dopo qualche attimo di silenzio imbarazzato si gira e mi rivolge la parola. «Ehi, io sono Alvise», dice cordiale. «Piacere, Camila», risponde intimidita. «Scusa la mia invadenza, ma vorrei capire perché voi ragazze mussulmane portate quel fazzoletto». «E’ un’antica usanza della nostra religione». «Il burqa lo cucite in casa oppure lo comprate nei negozi?» «Questo non è un burqa, si chiama hijab e la differenza sta nel fatto che lascia scoperto solo il viso, mentre il burqa non lascia trapelare nulla. Di solito lo compriamo, quello che adesso indosso è un regalo di mia nonna...» Mia nonna... Questo ragazzo è riuscito a farmi pensare a lei, che mi ha allevato come una figlia e adesso, invece è lontana da me, ammalata. Mi si spezza il cuore. In questo momento vorrei scoppiare a piangere. Ma non posso, devo essere forte. Una mano sulla spalla cerca di consolarmi. Mi giro... è quella di Alvise. Sono imbarazzata. Di solito in Somalia tra ragazzi e ragazze non ci sono contatti. Mi distacco. «Camila, stai bene?» chiede Alvise «Hai gli occhi lucidi». Non so perché, ho un’intensa sensazione di volermi confidare con lui. «Mia nonna... è in Somalia, in un campo profughi, ammalata e io non posso né assisterla né starle vicino. Mi sento male perché lei mi ha cresciuta, abbiamo passeggiato, riso, chiacchierato... e adesso mi sembra di tradirla, non facendo niente per lei». 30 La pizza Lo guardo e mi sembra stranamente coinvolto nella mia storia. Continuo a parlare, finchè non vedo che la tristezza invade anche i suoi occhi. Mi fermo. Alvise sta zitto per un po’, poi a un tratto… «Sai, io so benissimo cosa significa provare quella sensazione di perdita. È orribile…» Alle sue parole provo un turbamento indefinito, come una vertigine. Sono emozionata, ma soprattutto malinconica per la situazione triste che ci accomuna. È stato bello trovare qualcuno con cui confrontarsi ed essere libera di parlare di ciò che voglio senza aver paura di essere giudicata. La serata trascorsa è stata... fantastica! La pizza, poi, davvero ottima! Quasi meglio dei suquaar della nonna... quasi, però! Mentre paga, sul suo viso si dipinse un sorriso sincero, il primo da quando è arrivata in Italia. Per quella sera il ricordo del campo profughi in Somalia scompare, per quella sera non sente nemmeno l’odore bruciante di tutti quei disperati, ma solo il profumo caldo e felice della pizza. 31 Capitolo terzo CAPITOLO QUARTO Non mi vergogno della mia terra Tornata a casa, Camila ripensò alla sera che aveva appena trascorso, che contrariamente alle altre era stata meno monotona e più serena. Fino a quel momento non aveva mai creduto di poter trovare qualcuno con cui confidarsi liberamente, senza sentirsi giudicata e che non prestasse attenzione al colore della sua pelle o al suo modo di vestire. Questa sensazione di leggerezza e felicità le faceva ritornare alla mente i pomeriggi trascorsi con la nonna quando, mentre impastavano i Makroud, i loro dolci preferiti, parlava dei suoi sogni futuri: girare il mondo e cercare di cambiare in meglio il suo paese. Durante quei pomeriggi erano solite ascoltare canzoni alla radio. La cantante preferita della nonna era Saba Anglana, la quale diceva sempre: Nella diversità ho trovato la mia forza, ma la normalità è un valore da conquistare, citazione che la nonna le ripeteva sempre, che incantava Camila e che la rassicurava nei momenti bui. Saba Anglana aveva trovato la forza nella sua diversità ed era ciò che desiderava fare anche lei. Se solo la nonna fosse stata qui, gliel’avrebbe ripetuta con quel suo sorriso dolce e confortante che in un istante riusciva a farle dimenticare tutte le difficoltà affrontate dall’arrivo a Verona sino a quel momento. Le lettere di Shirin arrivavano ogni settimana, le condizioni della nonna peggioravano di giorno in giorno. Non c’era giorno in cui Camila non vivesse con la speranza di ricevere una lettera nella quale la sorella le scrivesse che finalmente la nonna era guarita, ma allo stesso tempo con la paura che arrivasse quella lettera tanto indesiderata. Lei era Camila, lei era forte, poteva riuscire ad affrontare questa situazione. La professoressa Borrelli,visto il disagio che aveva Camila a relazionarsi con i suoi compagni, le aveva assegnato un compito riguardo al suo paese che avrebbe poi dovuto esporre alla classe, con l’intenzione di interessare gli altri 32 Non mi vergogno della mia terra alunni a nuove culture e far in modo che Camila si sentisse apprezzata. Così lei aveva preparato un tema e una canzone somala, che era la sua preferita. «Non preoccuparti, stai tranquilla» disse Giulia. Camila la ringraziò e le sorrise timidamente. «Camila, vieni qui e leggici il tuo tema» disse la prof Borrelli. «Riesce a parlare in italiano secondo te?» chiese Francesca sottovoce a Sara ridendo. Mi alzo lentamente dalla sedia, un po’ insicura mi dirigo verso la cattedra, la tensione mi attanaglia lo stomaco, ma forse funzionerà. Non devo farmi prendere dall’emozione, seguirò il consiglio di Giulia e riuscirò a leggere ciò che ho scritto. Non guarderò i visi dei miei compagni tuttavia infastiditi. Sto solo camminando verso la cattedra che già sento i loro sguardi accusatori su di me. “Tutti conoscono la Somalia come uno degli stati più poveri dell’Africa Orientale o come un paese di guerra, ma io non sono della stessa opinione. Io conosco la Somalia come la mia terra di sole e altruismo, dove le persone condividerebbero con chiunque anche l’ultimo goccio d’acqua rimasto. Io conosco la Somalia come la terra dedita alle tradizioni allegre : nelle stagioni in cui ci sono abbondanti raccolti è solito riunirsi per danzare con canti ritmati accompagnati da strumenti a percussione ed a fiato […]” Battendo le mani sui banchi, i compagni imitavano il suono dei tamburi e con la bocca facevano versi che riportavano al suono della musica africana. Ridevano. Smetto di leggere e alzo gli occhi dal foglio. Ecco lo sapevo, ridono e ridono ancora. Prendono in giro me, la mia famiglia, la mia gente, le mie tradizioni, la mia Somalia. Cosa potevo mai aspettarmi? Non sono a casa mia, loro non capiscono, non potrebbero mai capire. Sono ferita ma non se ne accorgono mica, tutto questo per loro è uno scherzo, sono una cavia di un laboratorio scientifico, mi usano come loro divertimento. Non è possibile sparire e riapparire accanto a mia nonna? Come se tutto questo non fosse mai successo. Come se non fossi mai ar- Capitolo quarto 33 rivata a Verona, non vivessi in un vero e proprio appartamento, non frequentassi questa scuola, voglio semplicemente sentirmi a casa. Non riesco più a reggere questa situazione, esplodo. Apro la porta con un gesto violento e scappo via. Camila corse per il corridoio della scuola e, mentre Alvise uscì dalla propria classe, si scontrarono. A quel punto Alvise vide il viso sconvolto di Camila, si avvicinò lentamente abbracciandola e lei scoppiò in un pianto pieno di rabbia e collera. Si sedettero nel cortile della scuola e Camila le spiegò tutto. «Non hai ancora concluso il tuo tema, vuoi finirlo per me?» disse dolcemente Alvise porgendole il quaderno. -“[…] Purtroppo la mia terra in questo periodo non è nelle migliori condizioni, ma spero sempre che ritorni la terra di un tempo. Per questo motivo ho riportato le parole di una canzone che si adattano a questo momento e che mi riporta agli ultimi momenti vissuti in Somalia: “‘Teuio en-dro an avel c’hlas Da analañ va c’halon c’hloaz’t Kaset e vin diouzh e anal Pell gant ar red en ur vro all Kaset e vin diouzh e alan Pell gant ar red, hervez ‘deus c’hoant”. Alvise chiese: «Cosa vuol dire?» “Tornerà il vento azzurro E porterà con sé il mio cuore ferito Sarò spinto via dal suo respiro Lontano nella corrente, in un altro paese Sarò spinto via dal suo respiro Lontano nella corrente, ovunque voglia”. «Sai, questo tuo forte amore per il tuo paese mi fa venire in mente una canzone molto conosciuta in Italia: “Terra promessa” di Eros Ramazzotti, molto conosciuto». 34 Non mi vergogno della mia terra Alvise gliene cantò una strofa: Una terra promessa un mondo diverso dove crescere i nostri pensieri noi non ci fermeremo non ci stancheremo di cercare il nostro cammino. In quel momento Camila si lasciò trasportare dalle teneri parole di quella canzone. Quei terribili minuti trascorsi in classe poco prima furono cancellati dalla dolcezza di Alvise. Camila riprovò la stessa sensazione di leggerezza e serenità della sera precedente. Capitolo quarto 35 CAPITOLO QUINTO Shirin Non posso credere a come mi sono comportata stamattina. Perché sono uscita correndo dalla classe? Sì, i miei compagni sono stati crudeli nei miei confronti, ma forse io non sono così forte come pensavo di essere... Se fossi forte sarei rimasta in classe e avrei continuato a leggere, o avrei cercato di spiegare che il mio paese è diverso da quello che pensano. Sono chiusi nei loro pregiudizi e non vogliono ascoltare. Sono uscita correndo dalla classe, mi sono arresa. Dovrei restare qui per sempre, nel mio letto, il mio letto mi proteggerà e io non dovrò più dimostrare di essere forte. Riiiiiiiiiiiiiiiiiiiiing.Tanto lo prenderà la mamma. Riiiiiiiiiiiiiiiiiing. Spero che la prof non dica niente a mamma e papà,voglio che continuino a vedermi come una persona forte e coraggiosa. Riiiiiiiiiiiiiing. Anche se loro direbbero che è comprensibile. «Camila, prendi il telefono!» «Ora ci vado!» «Pronto? Pronto? Chi parla?» Camila mette giù il telefono. «Chi era?» «Non lo so, mamma, c’erano le solite interferenze». «Stai tranquilla, richiameranno». Cinque minuti dopo il teléfono squilla di nuovo. «Ciao, sono Shirin!» «Shirin?!? Non ci posso credere! Quanto tempo!» «Camila, non crederai a quello che ti sto per dire! Ti sto chiamando dall’aeroporto di Fiumicino!» «Davvero? E cosa ci fai a Roma?!» «Sorpresa! Di a mamma e papà di venirmi a prendere in stazione per le sette, se è possibile. Adesso non ho tempo di raccontarti altro. Non vedo l’ora di vederti, ciao, un bacione!» 36 Shirin Camila non sta più nella pelle pensando che tra poco vedrà di nuovo la sua amata Shirin. È molto unita a lei, da sempre. Con i genitori si incammina verso la stazione di Verona Porta Nuova per andare ad accoglierla. Sono tutti e tre molto impazienti ma subito, dopo un paio di minuti di attesa sulla pensilina, la vedono scendere dal vagone. Camila si volta verso suo padre, che sembra molto emozionato, come lo è anche la mamma. Senza pensarci due volte Camila corre incontro alla sorella e la stringe calorosamente a sé; quasi come se si stesse sciogliendo tra le sue braccia le cadono due lacrime al pensiero di tutti i momento passati insieme. Durante tutto il tragitto di ritorno, né il papà, né la mamma e neppure Camila smettono di fare mille domande a Shirin, che però continua ad eluderle. «Dopo, dopo, vi racconto tutto dopo…» Arrivano a casa, e vedendo che la sorella è stanca, Camila la lascia riposare. «A tavola!» sento la mamma che ci chiama. Mi catapulto in soggiorno, ansiosa di riunirmi con mia sorella. Arriva un bellissimo vassoio pieno di Kallunn, uno dei miei piatti preferiti. La mamma ha cucinato anche un’altra pietanza somala, i famosi suquaar che ci preparava la nonna la domenica. Siamo tutti a tavola, e sembra un giorno qualsiasi in Somalia, nella nostra casa. Peccato che manchino proprio la nonna e mia sorella Nura. Da fuori dobbiamo sembrare una famiglia proprio carina. Mia madre è piccola di statura, ma ben proporzionata, dai lineamenti fini e delicati; mio padre invece è un uomo alto e piuttosto robusto, dai capelli corti ed il mento ben delineato. Poi c’è Shirin, splendente, e poi ci sono io… Certo, i miei genitori sembrano molto invecchiati dai tempi della Somalia, secondo me per colpa del lavoro, che li impegna tantissimo. La mamma infatti lavora come infermiera in un ospedale, il Tecnomed, mentre papà, che in Somalia aveva un piccolo ambulatorio medico, si è dovuto accontentare di un lavoro come guardiano notturno. «Allora, questa visita a sorpresa?» domanda Camila incuriosita, riempiendosi il piatto di Kallunn. Capitolo quinto 37 «È fantastico, due giorni fa mi ha chiamato Halima Abdi Arush, offrendomi di fare un intervento ad un convegno internazionale sull’emancipazione femminile, insieme ad altre attiviste di IIDA». «IIDA?» chiede Camila. «Sì, non ti ricordi,papà, che ti spiegai che mi ero iscritta a questa organizzazione?» «E perché è così importante per te? Di cosa si occupa esattamente?» chiede la mamma. «Beh, è un’organizzazione senza scopo di lucro. Priva di connotazioni politiche. Difende i diritti di noi donne somale, la nostra integrazione nella società, la nostra formazione e poi propone attività per farci raggiungere un’indipendenza economica». «Sono orgoglioso di te» dice il papà. «Anzi» aggiunge «sono molto orgoglioso di tutte le donne della mia famiglia. Non potrei essere più felice». Shirin lo abbraccia e, dopo un attimo di silenzio, dice: «Ma, papà, non dice un nostro proverbio che “le donne sono trappole del diavolo?”» Il papà ribatte: «Nella nostra cultura ci sono cose magnifiche però sono presenti anche dei pregiudizi che bisogna superare per rendere il mondo migliore; almeno qua in Italia i proverbi non sono così maschilisti!» Camila replica subito guardando fissamente il padre: «Non pensare che sia così! A scuola, in qualche occasione, ho sentito proverbi del tipo “Chi dice donna dice danno!”» Shirin aggiunge: «Per questo io sono qui, per difendere i diritti delle donne in Somalia e per fare riflettere la gente, a qualunque cultura appartenga, sulla necessità di rispettare la dignità di ogni essere umano». La mamma si alza per prendere la torta al cioccolato in cucina. «Mmmm… buonissimaaaa!» esclama Shirin. «La mamma l’ha fatta apposta per te!» bofonchia Camila con un pezzo di torta in bocca. Ma poi non ce la fa più: è così ansiosa di avere notizie della nonna! 38 Shirin «Shirin, come sta la nonna?» Shirin risponde con tristezza e faccia cupa: «Lo sapevo che me l’avresti chiesto. Papà, mamma, la salute della nonna è peggiorata notevolmente nelle ultime settimane. E poi le medicine giù al campo non arrivano più con la stessa frequenza di una volta». Spero di aver fatto la cosa giusta costringendo Shirin a dire come stavano le cose veramente... Il papà rimane per un po’ in silenzio, poi sospira e si alza: «Devo andare al lavoro» dice. Mamma è molto scossa: lei e nonna Zahra sono sempre state molto unite ed il pensiero di saperla ammalata, così lontana, la turba moltissimo. Ci guardiamo negli occhi e ci abbracciamo. Siamo unite, noi. Noi ce la possiamo fare. Mia madre si asciuga le lacrime ed alza il viso. Le due ragazze vanno a letto. Domani, anche se è domenica, devono alzarsi presto: il treno per Milano parte alle 8:30 e Camila vuole accompagnare Shirin alla stazione. Si addormenta. Ma è già tempo di uscire di casa. Le due sorelle notano subito alcuni giovani che appoggiati sul cofano di una macchina fumano distrattamente. Con questo freddo, a quest’ora, che fanno quei tre balordi davanti a casa nostra? Qui non si ferma mai nessuno. In effetti i giovani cominciano a seguirle. Anche Shirin, avvertita da Camila, comincia ad essere preoccupata. Le due sorelle non dicono niente ma si accostano una all’altra camminando più velocemente. A causa di questi cretini arriveremo alla stazione ancora prima del previsto. Ma la battuta di spirito le muore in gola... Capitolo quinto 39 All’improvviso Camila si trova per terra come se fosse stata investita da un autobus, tutto avviene così in fretta che non sente neanche dolore. Da terra vede cadere anche Shirin con la faccia piena di sangue. «Camila!» Devono averle rotto il naso. Non contenti i ragazzi seguitano a darle dei calci insultandola in arabo. Camila riconosce suoni che le sono familiari ma il dialetto le è sconosciuto. «CAMILA!» Riesce a capire solo alcune parole: ...maledetta… tornatene in Somalia… le donne al loro posto... «CAMILA! È ORA! SVEGLIATI!» Camila si sveglia di colpo, sudando. Niente. Non è successo niente. Era solo un sogno. «Camila! Dobbiamo uscire tra poco se non vogliamo perdere il treno!» È veramente ora di andarsene. Escono molto presto di casa, per arrivare alla stazione con calma. Alla stazione invece, non ci siamo mai arrivate. Ora sono qui, nella sala d’attesa del Pronto Soccorso, con la mamma, mentre di là stanno medicando Shirin, che proprio davanti alla stazione è stata aggredita, picchiata e derubata di tutto il materiale che doveva presentare alla conferenza: sembrava che la stessero aspettando, proprio come nel mio sogno. Camila inizia a piangere. «Figliola, stai tranquilla: Shirin non è grave, hai sentito i medici…» «Lo so, mamma, lo so». «Allora perché piangi, tesoro?» «Per tutto,mamma, perché sono stufa di tutto; perché da quando sono in Italia tutto va storto». «Perché dici questo?» 40 Shirin «Perché qua tutti quanti pensano soltanto agli affari propri, non si preoccupano per gli altri e criticano, soprattutto criticano! Mi sono stufata di essere la diversa della classe, quella che gli altri guardano con sospetto o se va bene con indifferenza. Lo so che non posso tornare in Somalia, ma il mio cuore è lì, vicino alla nonna, che avrebbe tanto bisogno di me…» La porta della sala d’aspetto si apre all’improvviso: sono Giulia e Alvise, sconvolti, che hanno saputo dell’aggressione e vengono a chiedere notizie di Camila e di sua sorella. La mamma volge il viso verso Camila. «Vedi che qualcuno si preoccupa per te? Che non per tutti sei indifferente?» sembrano dirle i suoi occhi. Capitolo quinto 41 CAPITOLO SESTO Il cambiamento Alvise e Giulia, visibilmente preoccupati per la loro amica, tirano un sospiro di sollievo nel vedere che non le è accaduto nulla. Giulia, inaspettatamente, corre ad abbracciarla; e tutti i dubbi e le preoccupazioni che pochi secondi prima avevano spinto Camila ad arrendersi, a non combattere più, vengono cancellati; perché quel gesto, così desiderato quanto inaspettato, dà alla ragazza la consapevolezza di non essere sola. Vorrebbe reagire, ricambiare l’abbraccio, ma è immobilizzata, frenata dalla paura che potrebbe sbagliare, commettere qualche errore. E non si rende conto che, invece, per Giulia quel gesto è così spontaneo, da mettere in evidenza la sua voglia di starle accanto non solo in quel momento ma in tutta la vita. Quando le due ragazze si allontanano, rimane tra loro un vuoto riempito dal silenzio, silenzio che Giulia rompe dicendole che lei le è accanto. Alvise annuisce a sottolineare il suo appoggio. I due le chiedono di raccontare l’accaduto e Camila, annuendo, inizia a parlare prima del suo sogno premonitore e poi della brutale aggressione subita dalla sorella; dalla sua voce trapelano tutta la rabbia, la tristezza e l’angoscia che si scatenano dentro di lei. Ormai conosce bene Alvise e Giulia e sa che con loro può parlare di tutto: ha imparato a fidarsi. I due cercano di consolarla in ogni modo, ma Camila è fortemente provata e questa volta è lei ad abbracciare Giulia per cercare conforto e per ringraziarla della sua presenza. Giulia dopo un po’ deve lasciarla perché deve allenarsi: gioca in una squadra di pallavolo di serie C; Alvise resta. Continua a fissare Camila ma non sa cosa fare, che cosa dire. Allora inizia a parlare della sua vita, della sua famiglia, dei suoi amici. La ragazza ascolta: si rende conto che Alvise è più di un amico: è così dolce, così comprensivo. Ma è meglio non manifestare questi sentimenti, potrebbe perdere uno dei pochi amici che ha. Ad un tratto esce Shirin con il medico del pronto soccorso. È in piedi! Qualche 42 Il cambiamento contusione, un braccio fasciato. Per fortuna, nulla di grave. Può tornare a casa ma deve stare a riposo per qualche giorno e Camila decide di starle accanto. Il mattino seguente Alvise vuole parlare con la classe ma Giulia ha qualche dubbio, pensa che Camila potrebbe arrabbiarsi e non venire più a scuola. Ma alla fine si convince: parleranno alla classe. Ma la notizia inerente l’aggressione si è già diffusa però ciò che si dice non corrisponde al vero; infatti è una bugia che siano state le ragazze a provocare l’aggressione ed è anche falso che Shirin abbia insultato i ragazzi, perché l’accaduto corrisponde all’opposto delle dicerie. Ma ancora una volta, come già visto in passato, sono i pregiudizi ad avere la meglio. Si pensa che solo perché questa ragazzina non è italiana, sia una minaccia per il Paese, che la causa sia lei, a prescindere. E non c’è modo di far cambiare idea perché per loro Shirin è colpevole e continueranno a tenerla a distanza anche nel caso in cui venga dimostrato che la ragazza non c’entra niente. Tutti i compagni di Camila sono di questa idea, nessuno esprime un parere contrario. Tutti sono offuscati dalla pelle di Camila, dal niqab che lei indossa o dal suo italiano non perfetto; tutti sono offuscati dalla sua “diversità” tanto da attribuire a lei e a sua sorella la colpa senza nemmeno prendere in considerazione l’idea di essersi sbagliati. Mentre i compagni discutono sui probabili insulti che le due ragazze avrebbero potuto fare ai ragazzi, entrano in classe Giulia e Alvise che, venuti a conoscenza delle dicerie, gridano infuriati di tacere, di smetterla di dire sciocchezze. Li accusano di essere superficiali e razzisti. E, infine, raccontano come sono andati realmente i fatti, cercando di convincerli dell’innocenza delle giovani, ma a nulla valgono le loro parole, non riescono a far cambiare idea ai propri compagni. Intanto, entra in classe la professoressa la quale, venuta a conoscenza dell’aggressione, si era informata sulla vicenda e, udendo le parole degli alunni, decide di rinunciare alla normale lezione per parlare e chiarire i motivi dell’aggressione. Racconta ai ragazzi che Shirin è membro dell’organizzazione IIDA, organizzazione che difende i diritti delle donne somale e che quella mattina si doveva recare a Milano per fare un intervento in un Con- 43 Capitolo sesto vegno sull’emancipazione femminile. A questo punto, Giulia aggiunge che molto probabilmente ad aggredire Shirin siano stati due ragazzi africani i quali non sopportano che le donne abbiano gli stessi diritti dell’uomo. I maschietti della classe abbassano tutti il viso e, sconcertati, si accorgono di essere stati estremamente superficiali, di aver giudicato una persona per il colore della pelle, per i suoi diversi modi di fare, per i suoi strambi vestiti, senza considerare la componente più importante di una persona: lei è come loro un essere umano dotato di emozioni, di sentimenti e di un cuore che loro hanno violentemente ferito. Nessuno, però, ha il coraggio di ammettere ad alta voce i propri sbagli, fino a quando Sara, che aveva tanto deriso Camila, si alza in piedi, sotto lo sguardo sorpreso dei suoi compagni, e confessa di essere stata un stupida a prenderla in giro, di aver sbagliato e di voler rimediare; inoltre, dice di apprezzarla e di stimarla dal momento che lei, nei sui panni, non avrebbe saputo mantenere la calma di fronte ad accuse ed offese del tutto gratuite. Tutti annuiscono e abbassano lo sguardo, consapevoli di essere colpevoli. E decidono di rimediare a quello sbaglio, perché ancora in tempo per farsi perdonare. L’idea viene ad Alvise che consiglia di recarsi tutti insieme a casa della ragazza a chiederle scusa, idea che viene accolta con euforia ed entusiasmo. Suonata la campanella dell’ultima ora, una massa di alunni si riunisce nel cortile della scuola: è la classe di Camila che discute sull’orario dell’incontro e decide di comprare un mazzo di fiori e di scrivere una lettera a nome di tutti. Nel pomeriggio, alle 17.00, i ragazzi percorrono la strada, soddisfatti e fieri della loro scelta. Arrivano alla dimora di Camila e bussano alla porta con timore, il timore di non essere perdonati. Ad aprirli è la mamma che, vedendoli, sorride e quasi le scendono le lacrime dagli occhi nel comprendere che, da quel giorno, la vita della figlia sarebbe stata più serena; chiama ad alta voce la ragazza che scende le scale facendo i gradini due alla volta. È per Camila una sorpresa trovarseli tutti lì, di fronte a lei, con il cuore in mano, pronti a chiederle scusa, pronti confessare i propri errori. E lei, dolce e tenera, accetta le 44 Il cambiamento loro scuse senza esitazione perché non c’è miglior cosa del riconoscere i propri sbagli. Prende i fiori, un mazzo di rose rosse, e legge la lettera: “Cara Camila, sappiamo che cosa stai vivendo: sei triste perché strappata dal tuo Paese per seri motivi; sappiamo che hai difficoltà a sorridere perché ti manca l’affetto dei tuo cari. A nome del nostro Paese ti chiediamo scusa: ti aspettavi un paese migliore, pieno di gente cordiale, altruista, generosa. Invece no. Siamo ipocriti, egoisti, superficiali, giudichiamo con facilità e cerchiamo, con i nostri modi, di schiacciare i più deboli. Ti chiediamo scusa per averti deriso per le tue origini,per il tuo modo di vestire e di agire. I tuoi amici”. 45 Capitolo sesto CAPITOLO SETTIMO Il viaggio Un sorriso, disteso e luminoso, riscalda il silenzio imbarazzato. I compagni, che affollano il piccolo ingresso, stropicciano i piedi, con gli occhi che rincorrono le interessantissime linee delle mattonelle del pavimento. «Chi vuole un sorso di shah?», la voce della mamma di Camila viene accolta con un sospiro di sollievo. Meglio annegare in un buon tè profumato le loro incomprensioni e ricucire l’armonia desiderata impastandosi la bocca di rondelle di banana fritte e zuccherate; perché mamma sa che mangiare e bere insieme significa celebrare la vita, e le parole non servono. «Ma li avete riconosciuti questi criminali?» esclama Sara, mentre, sorseggiando il tè profumato di cannella e zenzero fa quasi fatica a strapparsi dal piacevole ricordo della cucina della sua nonna, giù in Sicilia. «No, purtroppo non riusciamo a ricordare nulla, solo dei visi in penombra, delle grida concitate…». Le due sorelle si guardano, ancora più forte è il loro legame, dopo quella disavventura. Camila si spazzola i capelli e si prepara per andare finalmente a dormire. Shirin la guarda sorridendo. Ha molto affetto per la sua sorella minore e la sua serenità quasi cancella il ricordo dell’aggressione subita e la preoccupazione per la nonna. Shirin l’ha affidata a delle volontarie francesi di una ONG, che assistono i degenti dell’ospedale, con sollecitudine e grande umanità. Il sistema sanitario del suo paese è quasi interamente organizzato da queste associazioni internazionali umanitarie. Lo squillo del telefonino di Shirin, minaccioso, insistente, nel cuore della notte fa sobbalzare le ragazze. «Shirin, je suis desolée… ta grand-mère a eu une crise très grave… nous n’avons pas les moyens». Sono le quattro del mattino, mamma e papà, seduti in cucina parlano sommessamente, ma dalle loro espressioni, dai cenni frettolosi delle mani, che a volte 46 Il viaggio accarezzano l’uno il viso dell’altra, sembra che tutto sia deciso. È sempre rimasta affascinata, Camila, dal loro modo di capirsi, dall’incrocio complice dei loro sguardi, dalla saggezza delle loro decisioni. Anche lei un giorno avrà al suo fianco un uomo così. Alvise, ecco chi le viene subito in mente. Il suo sorriso, i suoi occhi. Alvise è in ogni cosa, in ogni oggetto. In ogni sapore, profumo, sensazione, c’è un briciolo di Alvise. Ma Camila ha paura. Sa di non essere brutta, ma sa che il suo colore di pelle, il suo hjiab, la sua religione potrebbero essere un ostacolo, enorme, insormontabile. Due mondi, due strade, per sempre parallele. «Mamma ed io abbiamo deciso: (Camila ritorna nella piccola cucina), tu, Camila, partirai con tua sorella per Mogadiscio; porterete il denaro necessario per aiutare la nonna; telefonerò al mio collega Daud Tahalil e gli chiederò il favore di darci una mano. Potrà contattare i medici che si occupano della nonna e chiedere di quale farmaci ha bisogno». Papà si prende la testa fra le mani, ma poi sorride fiducioso. Non vuole preoccupare ulteriormente le sue donne, soprattutto la piccola Camila, così giovane, sensibile ma forte e decisa, come nonna Zahra, battagliera discendente di un’antica tribù bantu. Mamma gli chiede a bassa voce: «Come faremo coi soldi?» «Nin daad qaaday xumbo cuskay». [Un uomo trascinato dalla corrente si aggrappa alla schiuma] sussurra Hamid. La “schiuma” è il Dott. Benedetti, il proprietario dell’azienda di cui lui è custode. È un gran lavoratore, basso ma corpulento, che pretende assoluta diligenza e serietà nel lavoro e non tollera che i suoi dipendenti facciano gli scansafatiche. Solo qualche giorno prima non ha rinnovato il contratto ad un operaio, «troppe assenze ingiustificate», ma è l’unico che paga tutti i suoi dipendenti con regolarità, arrivando al punto di dividere gli utili tra di loro piuttosto che intascarsi tutto lui, diventare debitore dei fornitori, fallire e chiudere l’azienda, mandando tutti in cassa integrazione. Dovrà chiedere una parte della liquidazione al Dott. Benedetti, per poter affrontare le spese, non c’è alternativa. Ma Hamid ha due grandi doni, sa parlare e non si arrende mai. 47 Capitolo settimo «Mi dica Hamid», uno sguardo in tralice, attraverso gli occhiali d’oro. Un respiro forte, un’espressione ferma e dignitosa, d’altronde non sta chiedendo l’elemosina, ma solo un favore, Insh’Allah. «Dottore, mia madre ha bisogno di medicinali, in Somalia. Le chiedo un anticipo sulla liquidazione. Non ho altri cui rivolgermi se non lei. Non un giorno di lavoro perso, mai una malattia, mai un litigio con i colleghi. Sono un uomo onesto con una famiglia e con valori da difendere; uno di questi è la cura nei confronti dei miei affetti più cari». Benedetti conosce i suoi dipendenti; li assume lui stesso, li guida, li rimprovera, li gratifica, a seconda delle occasioni. La sua azienda lavora ancora, nonostante la crisi, perché lui è un uomo onesto, che paga le tasse, l’assicurazione. Lui dichiara tutto, fino all’ultimo centesimo. Lui una madre l’ha avuta, piccolina anche lei, ed anche un padre, con delle mani grandi così! Da molti anni non è più figlio, ma solo padre, e capisce la disperazione dignitosa Hamid. Camila ha la valigia pronta ed i biglietti sono in cucina. L’aereo parte domani sera. Mentre la prof. Borrelli, con il suo entusiasmo, trascina tutti nell’Egitto di Ramses ed i suoi compagni la ascoltano affascinati, lei pensa a nonna Zhara, alle sue mani che profumano di cannella, ai suoi capelli grigi, alla sua voce roca, ma calda, capace di calmarla e di coprire il boato degli spari che si sentono sempre, a Mogadiscio. Non vuole perderla! non può sopravvivere di lei solo un ricordo, solo un hjiab ed una ricetta di Guarn ogh zol. Le lacrime stanno per confonderla ma lei non vuole dimostrare al mondo quel dolore così intimo, che si tiene stretto, come una cosa sua soltanto; alza gli occhi e incrocia lo sguardo di Francesca, che le sorride, mi dispiace, Camila, sembra dirle. Le sorride di rimando, per sollevarla dal problema, poi chiede di uscire. Ho bisogno di raccogliere le idee e di affrontare tutto con serenità. Non sarei dovuta venire a scuola. Ma non avrebbe visto Giulia ed Alvise. Alvise l’aspetta dalla quinta ora, fuori in cortile. «Come stai?» «Parto, domani sera, per Mogadiscio. Nonna si è aggravata ed io e Shirin andiamo da lei. Non so quando tornerò, perché tutto dipende da…». Quelle la- 48 Il viaggio crime che rifiutavano di uscire cominciano a sgorgare a goccioloni, insieme a singhiozzi soffocati. Alvise non ce la fa a vedere quel viso dolce, che si bagna di lacrime, quel naso perfetto arrossarsi, quella voce incrinarsi nel pianto, non ce la fa ad immaginare di non vederla più, di non poterla abbracciare più. Non è facile neanche per lui assorbire il dolore di quella ragazza, ha quasi paura di rimanerne schiacciato, ma anche Alvise è coraggioso, sa parlare e va fino in fondo alle cose. Un respiro forte, un abbraccio avvolgente e parole sussurrate all’orecchio, carezzevoli, capaci di calmare e di infondere energia. Uno sguardo, un bacio rapido, una promessa. Giulia è triste. Stasera parti! Ma tornerai? Come farò senza di te, con chi riderò della Borrelli che fa le imitazioni di Nefertari? Chi sarà la mia finestra sul mondo... Giulia è un’adolescente italiana, sensibile, ottimista, spensierata. Non ha mai visto le strade di Mogadiscio, i bambini denutriti, la povertà, la distruzione. Camila le vuole bene, anche lei è una finestra sul suo nuovo mondo. Devono prendere il treno. Piove, la stazione è affollata perché è venerdi e molti approfittano per tornare a casa per il fine settimana. La famiglia di Camila non si scioglie dall’unico abbraccio che li terrà uniti per ancora pochi istanti. Alvise non sa come avvicinarsi a quel gruppetto colorato, che spicca nel grigiore dei binari, teme di sbagliare nei gesti, in tutto. Ma lui va in fondo alle cose. Camila lo vede avvicinarsi. Un breve cenno di saluto nei riguardi dei suoi genitori e poi gli occhi di Camila tutti per lui, come due calamite, da cui è impossibile staccarsi. Un ricordo di quell’amore appena sbocciato, una piccola macchina fotografica, che i tuoi occhi siano i miei le dice. Il treno parte, svelta, salta su la richiama suo padre. Dal finestrino sembrano davvero piccoli, lontani, ormai assenti. Mogadiscio. La città sta vivendo da due anni una grande rinascita, frutto del più lungo periodo di pace dopo vent’anni anni di conflitti. Nel caos della città vecchia, cerca di raggiungere il campo dove è ricoverata nonna Zahra. Niente monumenti come a Verona. Arte e Cultura erano più che osteggiate durante 49 Capitolo settimo l’occupazione del movimento integralista, naturalmente. Da alcuni carretti sente Radio Mogadiscio dare l’ultimo bollettino: ancora scontri nella parte nord della città. Le sembra di non essere mai partita, si sente addosso l’odore della polvere da sparo e gli occhi dei suoi coetanei; lei è diversa anche qui, ormai. Quando voltano a destra, ecco lo spettacolo dello Uebi Scebeli, il fiume dei leopardi, tradurrebbe ad Alvise. Quanto orizzonte. L’acqua grigiastra lambisce un piccolo e malfermo ponte di legno, ormai incrostato di muschi. Intorno ai piloni, resti di cordami fradici e scivolosi, galleggiano creando strani ghirigori. I tuoi occhi siano i miei... la riva è ingombra di carcasse di biciclette, di lattine di plastica sventrate, si intravedono un pezzo di sedia di legno, una ciabatta verde, un grande cesto abbandonato. Il cielo è pulito, e si stagliano in controluce le vette del Karkaar. 50 Il viaggio CAPITOLO OTTAVO Ritorno a Mogadiscio Dopo un così lungo e faticoso viaggio, eccoci arrivate a Mogadiscio, la mia vecchia e cara città! Quanti ricordi mi affollano la mente, quante sensazioni mi rievoca questo posto, riesco ancora a riconoscere il suo odore, ricordo la felicità che provavo quando giocavo con gli altri bambini, era tutto più semplice qui, tutto più vero, potevo essere solo me stessa! Finalmente arrivo da lei, chissà come sta la nonna! Prendiamo il taxi che ci condurrà fino al piccolo ospedale del campo profughi dove nonna Zhara probabilmente ci aspetta, voglio pensare che sia così! La strada polverosa e affollata sembra interminabile, l’ansia raddoppia le distanze e il tempo sembra dilatarsi inverosimilmente. Siamo arrivate, chiediamo informazioni e finalmente ci avviciniamo ad un piccolo letto in una grande camerata. La vedo, eccola, è diversa, debole, non riesco a guardare i suoi occhi, non più sorridenti come al solito, ma spenti, stanchi, pieni di un intenso dolore. Cerco di abbracciarla ma ho paura di farle male, è così piccola, esile, indifesa ed impaurita, eppure la stringo forte ricordando che è sempre stata lei la roccia, il sostegno di tutta la mia vita fino ad ora. Io e Shirin, dopo aver salutato la nonna, ci rechiamo dal dottor Chesson per consegnargli il danaro indispensabile ad acquistare le medicine necessarie per le sue cure. Dopo due giorni di angoscia e di ansia finalmente il dottore ci comunica di aver trovato i farmaci necessari e che inizierà a somministrarglieli oggi stesso. Ancora interminabili ore d’attesa, di speranza, reagirà la minuta sagoma distesa nel piccolo letto ai farmaci che tanti sacrifici sono costati? Attendere, ora si deve solo attendere! Cosi ci ha cortesemente congedato il dottore. Attendere e pregare, pregare 52 Ritorno a Mogadiscio che il nostro affetto, possa centuplicare l’effetto dei farmaci e ridarci la speranza di vederla migliorare, tornare quella di un tempo. Com’è lunga l’attesa al capezzale di una persona cara, come è facile perdere la cognizione del tempo fissando un volto che si vorrebbe subito veder lieto e disteso. Finalmente la nonna migliora, sorride, di un sorriso meraviglioso, stanco, ma che non vedevo da molto tempo e che mi mancava molto, e i suoi occhi non più sofferenti, ma vivi e lucidi, dimostrano la grande gioia di rivedermi. Il mio cuore esulta nel rivederla nuovamente serena, ed il mio pensiero corre, inevitabilmente, ai miei genitori, ed alla necessità di tranquillizzarli, pertanto mi precipito a telegrafare: “Carissimi, Stamani il dottor Chesson ha somministrato le prime dosi di farmaci alla nonna e finalmente guardando i suoi occhi ho ritrovato quello sguardo che tanto amo. Arrivederci a presto, baci Camila”. Mogadiscio è sempre uguale eppure mi appare cosi diversa. Appena arrivata i ricordi mi hanno risucchiato indietro nel tempo, ho rammentato tutti quei semplici momenti vissuti che la mia mente stava per dimenticare, i sorrisi, gli sguardi, gli odori, i rumori, le parole non dette, i gesti non fatti, ma anche i pianti, la sofferenza e la disperazione, la paura di morire o di perdere qualcuno d’importante. Oggi mi sento un po’ come Saba nell’“Ulisse”, non so a quale terra appartengo, ho rinunciato al mio Paese per raggiungere l’Italia, “oggi il mio regno è la terra di nessuno”. Nonna Zhara rivolge a Camila mille domande, è desiderosa di sapere della sua nuova vita, delle sue nuove abitudini, registrare i suoi cambiamenti, lei risponde con entusiasmo, raccontando dei suoi nuovi amici, del suo nuovo paese, eppure talvolta sembra essere pensierosa, Il suo sguardo spesso si perde nel vuoto, le mani tese in un movimento compulsivo sono il simbolo di un’interna inquietudine. Cosa hai provato tornando in Somalia? 53 Capitolo ottavo Le chiede ad un tratto la nonna. Ed è allora che Camila, quasi senza pensare, si sente rispondere : «Non sono più a casa qui, l’odore di casa per me non è più quello della terra somala, non sono più miei, i suoi paesaggi incontaminati. Casa ormai è in Italia, con le persone che corrono frenetiche, l’odore della pizza, i monumenti antichi e il profumo di Alvise. Il mio posto non è più qui». Camila alza gli occhi e getta il suo sguardo fuori dalla finestra, persa nel ricordo dell’incontro con Alvise; così vivo tanto da sentire il suo profumo e la sua voce. La nonna legge nel suo sguardo, una traccia di felicità e spensieratezza mista ad emozione. Curiosa le chiede: «A cosa pensi Camila? Ti vedo raggiante» e Camila risponde: «Credo di essermi innamorata, nonna, di un ragazzo dolce e fantastico che ho conosciuto in Italia, sento la sua mancanza». La nonna la invita a sedersi accanto a lei e le dice: «Ricordi quando da piccola ti sedevi accanto a me, sull’uscio di casa, e mi chiedevi di raccontarti qualche storia?». «Questa storia o meglio questa leggenda, narra di un uomo che si è perso nel deserto, sviene e al suo risveglio è solo... cammina per ore senza meta e alla ricerca di qualcosa. Preso dal desiderio dell’acqua scorge all’orizzonte un laghetto, con degli alberi che circondano in parte la riva. Corre verso quell’oasi, immerge le mani nell’acqua, che di acqua all’improvviso non ha più l’aspetto. Si ritrova le mani piene di sabbia calda, di colore uguale a tutte le cose che aveva visto nell’ultimo giorno. È tutto come prima, di alberi e di acqua fresca neanche più l’ombra. Era un miraggio. Il nostro viandante si rialza deluso e continua il suo cammino. La sete ora è troppa, è insopportabile. Scorge un’altra oasi, stavolta però non ci si avvicina per paura che sia un altro miraggio e che possa restare, quindi, ancora una volta a bocca asciutta. In realtà, invece, questa volta era un’oasi vera, in acqua e corteccia. Passa avanti, affannato, assetato, stremato. Le gambe non lo reggono più e cade a terra senza rialzarsi mai più» Nonna Zara s’interrompe, fissa Camila che 54 Ritorno a Mogadiscio esclama sorpresa: «Finisce così la leggenda?» La Nonna la guarda un po’ triste, perché ha capito che la nipote non ha colto il senso di quello che le voleva dire attraverso quel racconto. Poi le chiede: «Non ti ha insegnato nulla questa leggenda?». Il silenzio lascia spazio a una smorfia di Camila. La nonna riprende a parlare: «Nella vita bisogna distinguere, un miraggio dalla realtà. Se rinunci pensando che sia un miraggio quello che stai guardando, probabilmente avrai perso un’oasi, dove riposarti, dissetarti e trovare la forza e l’energia per completare il resto del cammino. Se t’illudi di guardare un’oasi e trovi alla fine un miraggio avrai perso solo tempo e sarai tu a essere ferita». Camila saluta affettuosamente la nonna, abbracciandola e baciandole le guance ripetutamente, senza riuscire a trattenere qualche lacrima di tristezza, la nonna sorride, rincuorata. Si allontana dal letto scorgendo Shirin dietro la porta e la saluta. Purtroppo il tempo corre, è già ora di ripartire. Era contenta di ritornare a casa, in Italia, ma allo stesso tempo era anche triste di allontanarsi dalla nonna. Si avvia in aeroporto, Giunta ormai quasi a Verona, Camila è pervasa dall’irrefrenabile voglia di rivedere i suoi compagni. L’aereo sta per atterrare quando dall’alto riconosce l’Arena, e di nuovo viene assalita dalla gioia e dal ricordo di quell’invito di Giulia a mangiare la pizza con i suoi amici, quella serata indimenticabile nella pizzeria vicino l’Arena. E così, mentre accenna un sorriso per quei ricordi che le ritornano alla mente, una voce interrompe bruscamente il flusso dei suoi pensieri, l’aereo sta per atterrare. La attanagliano tante emozioni contrastanti, lo spavento e la felicità di vedere Giulia e soprattutto Alvise. Intanto il tempo come sempre è volato, Camila si appresta a scendere dall’aereo e a prendere i suoi bagagli. Una fila di taxi è lì che aspetta, si avvicina per prenderne uno per tornare a casa. 55 Capitolo ottavo Lungo il tragitto passa davanti alla sua scuola che sta frequentando, non pensava che quell’edificio potesse già mancarle così. I ragazzi escono da scuola e lei con lo sguardo cerca Alvise, che in quel momento si accingeva ad uscire. Lui con quei capelli castano scuro, e quegli occhi tanto verdi da perdercisi dentro; quella figura slanciata ed atletica, aveva rapito completamente la sua attenzione. Stava parlando con Giulia, forse di lei? No! Probabilmente la prof aveva semplicemente assegnato troppi compiti, o magari parlavano d’altro. È un tipo molto semplice lui, forse proprio quella semplicità mi ha fatto innamorare. Questo pensava Camila mentre l’auto ormai si lasciava già in dietro l’edificio scolastico, e i due ragazzi già lentamente scomparivano dalla sua visuale. 56 Ritorno a Mogadiscio CAPITOLO NONO La lettera Sono Camila. Ho venticinque anni e non ho mai smesso di combattere. Parigi, 27 settembre 2023. «Zahra! Dove sei finita?» Camila la cerca per tutta la casa quando ad un certo punto la vede scendere dalle scale con un grosso scatolone di cartone. «Che cosa c’è qui dentro?» chiede Zahra curiosa. «Vieni qui», le dice Camila, invitandola a sedere accanto a lei sul tappeto del salotto e, dopo aver fatto un bel respiro, apre lo scatolone. Ricordi. Ecco cosa contiene la scatola: gli stessi che la ragazza aveva tentato di seppellire negli angoli più nascosti del suo cuore. Per prima cosa Zahra tira fuori una foto Polaroid che immortala due ragazze dal sorriso vivace, lei e Giulia. Gira la foto: febbraio 2013. Camila le spiega: «Sai tesoro, lei era la mia migliore amica, la prima che ha guardato i miei occhi e non il colore della mia pelle». Zahra sorride senza capire fino in fondo e subito tira fuori un foulard di un viola acceso. «Oh, il mio hijab!». Gli occhi di Camila si accendono, lo prende in mano e sente ancora il profumo d’incenso, quello di dieci anni fa. «Questo me l’ha regalato la tua bisnonna, la stessa che mi ha insegnato a cucinare gli squaar che ti piacciono tanto». Gli occhi di Camila si velano di ulteriori ricordi, ancora più lontani. «…E poi?» Zahra domanda con l’ingenuità di chi non sa. «E poi si è ammalata, ma dopo qualche mese è riuscita a sconfiggere la malattia, raggiungendoci in Italia. Nonostante la sua tenacia, piano piano si è spenta, in silenzio, con lo stesso sorriso di sempre, come l’acqua di un fiume che si prosciuga». 58 La lettera Zahra sorride debolmente, cogliendo una briciola del vuoto che la donna ha lasciato. Ora è Camila a pescare nella scatola, non sa che cosa possa uscirne ma non ha più paura. La sua mano trova una busta di carta ruvida con una grafia che riconosce subito, quella di Alvise. Un’ondata di emozioni la travolge, proprio come la prima volta che la lesse: Camila, il tuo nome mi sembrava il modo migliore per iniziare questa lettera. Non sai quante volte l’ ho sussurrato, nella speranza di averti qui. Mi sento stupido a scriverti ma prima della tua partenza non ho trovato le parole giuste per confessarti ciò che mi fai provare. Mi sento ancora più stupido per non essere riuscito a dirti che ti amo. Sì, ti amo, dopo tutto questo tempo ho ancora paura di ammetterlo, ma ormai non c’è più bisogno di averne. Da quando sei partita ho ripensato molto al nostro bacio, ai momenti passati insieme e credo di non essere mai stato così bene con una ragazza. Mi manchi, mi manchi davvero tanto. Le mie giornate con te erano piene di vita. Ora non posso far altro che vivere di ricordi anche se senza il tuo sorriso è davvero difficile. Un bacio, Alvise. Dopo un attimo di esitazione, visibilmente commossa, Camila propone alla bimba: «Zahra, ti va di fare un viaggio?» Verona, 10 ottobre 2023, Camila si rende conto che Verona non è cambiata affatto, come se il tempo si fosse fermato: i suoi monumenti, le sue strade, le persone con quell’accento a cui quasi si era abituata e che ora invece le sembra così strano. Anche lei sembra quella di una volta, indossando il suo hjiab viola sgargiante. Zahra le stringe la mano, sembra proprio Camila la prima volta che ha camminato per quelle vie. La sua manina calda e color caffè intenerirebbe chiunque, come il suo sguardo e i suoi capelli neri che ricordano tanto la nonna. Dopo molti anni passati a Parigi, finalmente Camila si sente pronta per ritrovare quelle che una volta erano la sua vita, la sua città e le sue abitudini. Tornare a Verona Capitolo nono 59 le ha fatto capire quanto tiene a questa città. Zahra trascina Camila in una pasticceria del centro. Il lungo viaggio Parigi - Verona ha fatto venire una gran fame ad entrambe: una buona cioccolata calda, con questo freddo autunnale, è l’ideale. Alvise è per strada, sta tornando a casa quando si ferma davanti alla vetrina di una pasticceria attratto da quei dolciumi. Entra. Il profumo di biscotti e cioccolata lo inebria. Viene attirato da una risata sonora che proviene da un tavolo al quale sono sedute una bambina dagli occhi vispi e una giovane donna di spalle. Quest’ultima porta un velo di un colore particolare: ad Alvise sembra famigliare. Si avvicina al bancone e, quando si gira per guardarla in viso, rimane pietrificato: Camila! «Ti va di fare una passeggiata?», prorompe Alvise in quel silenzio fatto di sguardi che tanto gli mancavano. Camila ha un sussulto, non si immagina che queste poche parole avrebbero causato in lei così tanti pensieri. Si ricorda della prima volta in cui si sono incontrati, delle chiacchierate, del loro addio. Si sente per un momento come allora, poi i lamenti di Zahra la riportano alla realtà: lei vive a Parigi, ha una bambina a cui badare, Alvise è ricomparso dopo anni con un passato in parte sconosciuto alle spalle. Eppure quegli occhi verdi sono sempre gli stessi. Non deve essere per forza tutto complicato, pensa e, con un sorriso di approvazione, si dirigono verso il ponte di Castel Vecchio. Durante il tragitto iniziano a parlare della loro nuova vita ma inevitabilmente i discorsi finiscono sempre per sfiorare quella vecchia. Ad ogni passo i loro pensieri sembrano indietreggiare e il paesaggio immutato li riporta al loro legame, che pare esserlo altrettanto. E avrebbero continuato, ma Alvise ad un tratto si ferma. Qualcosa attira la sua attenzione, lo sguardo fisso su un’ insegna, quella della loro vecchia scuola. Quando si gira, Camila ha gli occhi pieni di lacrime, qualcosa la turba, forse i ricordi tormentati della difficile adolescenza, o forse... Un momento! I loro sguardi si incrociano nuovamente. Alvise è sorpreso nel vedere la Camila di una volta asciugarsi le lacrime che rigano il suo viso. Realizza che, anche se le sensazioni non sono 60 La lettera cambiate, la realtà ormai non si può negare. Lei ha la sua vita, una figlia, un marito... Il treno è ormai passato. Proprio come quando Camila era salita su quello che l’avrebbe portata all’aeroporto verso Mogadiscio. Cos’era cambiato dal giorno della sua partenza per Parigi, prima che il padre decidesse di trasferirsi lì per lavoro? E se le avesse detto a voce che l’amava, sarebbe rimasto solo un ricordo della sua gioventù? No, non sarebbe successo, glielo avrebbe detto. Ora. «Piccola!», dice rivolgendosi a Zahra «cosa ne dici di andare a giocare sull’altalena?» La bimba chiede: «Zia Camila, posso andare?» Al suono di quelle parole, Alvise si lascia sfuggire: «Ma come, ti ha chiamata zia?» A quel punto Camila aspetta che la bambina se ne vada per giustificare il clamoroso equivoco: «Sai Alvise, Zahra in realtà è mia nipote, la figlia di mia sorella. Tutto è successo quattro anni fa. Un attimo prima Noura provava la gioia di essere madre e l’attimo dopo la consapevolezza di non poterla veder crescere. Come puoi immaginare, in Somalia le condizioni igieniche negli ospedali, a differenza dell’Italia, sono pessime. Purtroppo Noura è stata una delle tante vittime di questo sistema infernale». Camila ha un attimo di esitazione ma riprende cambiando discorso: «Sono troppo giovane per avere una figlia e poi non ho ancora trovato la persona...». Alvise rimane in silenzio colpito dal dolore che traspare dalle parole di Camila, tuttavia non riesce a nascondere la gioia per aver capito che forse non tutto era perduto. Forse il treno non era passato, forse non era mai partito. Forse Camila era sempre rimasta nel suo cuore e lui con lei. Forse su quel treno erano saliti insieme. Camila, ancora provata, lo stringe a sé come se non volesse più lasciarlo. Alvise ne è sicuro e dice: «Amore mio, finalmente ho capito. Non è un caso essere qui insieme, ora non ho più bisogno di dirti ciò che provo, siamo abbastanza grandi per capire che ciò che è successo in passato, esiste ancora». Capitolo nono 61 Camila sorride, sa cosa rispondere. «Venite a vedere! Ho trovato un quadrifoglio!», urla Zahra. Camila prende Alvise per mano e pian piano si incamminano verso il parco, che però adesso le sembra così diverso dalla prima volta che l’aveva attraversato, sotto gli sguardi discriminatori della gente. Quegli occhi spalancati, quelle bocche che bisbigliano, ormai sono scomparse. Nessuno nota più il colore della sua pelle,nessuno critica più il suo hjiab, nessuno si ferma più al suo aspetto esteriore. Io sono Camila, e ora non ho più bisogno di combattere. 62 La lettera APPENDICE 1. La distanza Liceo “Carlo Botta” di Ivrea (TO) – classe II gamma Dirigente Scolastico Lucia Mongiano Docente referente della Staffetta Teresa Skurzak Docente responsabile dell’Azione Formativa Cristina Megalizzi Gli studenti/scrittori della classe II gamma Marta Amosso, Vittorio Bellotto, Valentina Bena, Andrea Bertacco, Ilaria Bertacco, Francesca Bonaudo, Vittoria Borio, Marta Cignetti, Elisa Cobetto, Martina Conterio, Martina Cristoforo, Emanuele Curtotti, Alice Dalmasso, Teresa Giannone, Elisa Iannone, Lucia Landorno, Giulia Maccone, Alberto Pau, Lidia Perotti, Giulia Rama, Carol Rotella, Marianna Saviozzi, Anna Scognamillo, Giorgia Tantillo, Giada Uldanh Hanno scritto dell’esperienza: “…L’esperienza è risultata estremamente stimolante, anche se difficoltosa sul piano dell’organizzazione perché il testo è stato scritto a più mani tra tutti gli allievi, nessuno escluso. È stata un’occasione preziosa per riflettere e discutere sull’esperienza in oggetto (nella fattispecie, l’integrazione) e sulle tecniche narratologiche”. APPENDICE 2. La nonna Liceo Scientifico con annessa sezione Liceo Classico “Don Carlo La Mura” di Angri (SA) – classe IID Dirigente Scolastico Filippo Toriello Docente referente della Staffetta Raffaele Rossi Docente responsabile dell’Azione Formativa Raffaele Rossi Gli studenti/scrittori della classe IID Mario Calabrese, Ivan Califano, Anna Cinque, Claudia Cuciniello, Eleonora D’Andretta, Christian D’Aniello, Michele D’Antonio, Elena D’Antuono, Federico Di Leo, Paola Esposito, Maryem Ettabai, Benedetta Falcone, Giulio Ferraioli, Alessandro Grieco, Maria Biondina Grimaldi, Vincenzo Guida, Alessio Mascolo, Carlo Mascolo, Siriah Montella, Ilenia Orecchio, Valerio Pizzo, Gerardo Risi, Gerardo Rispoli, Vincenza Russo, Yuri Tartaglione, Salvatore Testa, Michele Todisco, Giuseppe Trombetta, Concetta Trovato, Mario Ungaro Hanno scritto dell’esperienza: “…Come tutor degli alunni, ho preferito utilizzare un modus lavorandi di tipo cooperativo perché più funzionale alla necessità di valorizzare in ciascun alunno la propria specifica competenza e perché mi è sembrato uno strumento adatto a costruire un clima relazionale positivo nell’aula multimediale ed in classe, attraverso la costruttiva collaborazione volta alla realizzazione di un prodotto finito concreto, Condividere con un compagno la stesura del capitolo di un romanzo ha permesso inoltre, attraverso il confronto, l’ascolto, la lettura e la scrittura di una storia, di migliorare le competenze linguistiche, applicare le tecniche narratologiche, stimolare la competizione e incentivare altresì le relazioni interpersonali tra gli alunni stessi”. APPENDICE 3. La pizza Liceo “Duca degli Abruzzi” di Treviso (TV) – classe IIA Dirigente Scolastico Maria Antonia Piva Docente referente della Staffetta Annalisa Dossini Docente responsabile dell’Azione Formativa Chiara Ghirardello Gli studenti/scrittori della classe IIA Economico Silvia Bianchi, Marlene Bianco, Nicolo Bovinelli, Jacob Lorenzo Boz, Federica Bozzo, Giorgia Croce, Carlotta Dacomo, Ottavia Damian, Eleonora Fabbro, Federica Facchin, Nicola Favero, Greta Fermi, Lorenzo Giacomel, Beatrice Nocchi, Alvise Rossato, Annalaura Salvatore, Jasmine Schiano, Giusy Stea, Massimo Stefani, Giovanni Tonello, Eva Toniolo, Laura Tonon, Tommaso Zamai, Ilenia Zanatta Hanno scritto dell’esperienza: “…L’esperienza è stata entusiasmante nonostante alcuni inghippi che ci hanno rallentato nelle ultime fasi. I ragazzi della classe IIA del Liceo Economico-Sociale sono stati tutti coinvolti e hanno partecipato con grande trasporto, tanto che un gruppetto, durante le giornate di chiusura per concorso della sede centrale, si è trovato nella succursale per iniziare la fase di editing. Esperienza sicuramente da ripetere, anche se molto impegnativa per il docente”. APPENDICE 4. Non mi vergogno della mia terra Liceo Scientifico e Linguistico “De Carlo” di Giugliano in Campania (NA) – gruppo misto Dirigente Scolastico Anna Taglialatela Docente referente della Staffetta Anna Maria Uccella Docenti responsabili dell’Azione Formativa Anna Stanziano, Concetta Papa Gli studenti/scrittori delle classi IIB - Claudia Calise, Miriam Cimmino, Francesco Casillo IIF - Mario Russo, Luigi Granata IIB Ling. - Eleonora D’Amanzo, Debora Taglialatela, Rossella Di Rosa, Immacolata Sarnataro IIA Ling. - Beatrice Ciccarelli, Nadia Regina, Camilla Amato IIH - Domenico Fammiano, Luca Castellone, Giuliano Smarrazzo, Francesco Di Napoli, Myriam Pirozzi, Arianna Ciccarelli,De Sara Rosa IIE - Giuliano Panico, Alberto Scialò, Antonio Miele IIG - Alessia Capano, Alessia Scafa IID - Elisabetta Pinto, Francesca Marano, Noemi Capodanno, Luisa Gallo Hanno scritto dell’esperienza: “…L’esperienza è stata una vera scoperta per gli alunni e per noi stessi docenti! Sicuramente, la scelta del gruppo misto si è rivelata da un lato difficile, per la forzata commistione di gruppi- classe diversi, ma poi questa stessa difficoltà si è rivelata un elemento vincente per la scoperta dell’altro, per l’apertura al nuovo…Pertanto, via via che il capitolo prendeva forma, si delineavano anche nuove amicizie, prendevano corpo svariati e multiformi approcci all’altro da sé, e tutto questo sotto i nostri occhi di docenti, spesso poco avvezzi alla didattica a classi aperte...” per leggere l’intero commento www.bimed.net link: staffetta di scrittura creativa APPENDICE 5. Shirin Istituto Italiano Statale Comprensivo Liceo Scientifico “E. Amaldi” di Barcellona (SPAGNA) – classe IIB Dirigente Scolastico Cristino Cabria Docente referente della Staffetta Velia Cimino Docente responsabile dell’Azione Formativa Donatella Degrassi Gli studenti/scrittori della classe IIB Luca Bigolin, Guadalupe Blanco, Jaime Codagnone, Iñaki Corcoy Canet, Valerio Corsi, Sofia Giampietro, Daniela Gurnari, Francesco Hanrion Giovinazzo, Natalia Leiría Dantas, Chiara Levante, Carmen Lores Benavente, María Paz Marciano Radovic, Lorenzo Masiello, Pablo Pirrone Eslava, Marc Porbellini, Abril Raluy, Aldo Spagnoli, Martina Torre, Uriel Torres Deumal, Marina Vila Mestre Hanno scritto dell’esperienza: “…Pensiamo che la nostra partecipazione alla staffetta di scrittura creativa sia stata nel complesso positiva. È stato interessante leggere i capitoli precedenti e commentarli insieme, ma il bello è cominciato con il brain storming, guidato dall’insegnante, per “farsi venire” le idee da mettere nel nostro capitolo. Non era facile trovare un accordo, perché su molti particolari avevamo idee diverse: basti pensare, per esempio, che abbiamo discusso a lungo ed accanitamente sulla sorte della nonna di Camila… La maggiore difficoltà, tuttavia, è stata mettere insieme tutte le sequenze, anche perché ognuno di noi ne aveva scritta una… Ma alla fine ce l’abbiamo fatta, e nei tempi previsti! E siamo soddisfatti del risultato!!!”. APPENDICE 6. Il cambiamento I.S.I.S.S. “Ugo Foscolo” di Teano (CE) – classi VA ginnasio/IIB Dirigente Scolastico Alessandro Cortellessa Docente referente della Staffetta Genovina Palmieri Docente responsabile dell’Azione Formativa Genovina Palmieri Gli studenti/scrittori delle classi VA Ginnasio - Concetta Belculfinè, Marco Capoccia, Floriana Cirella, Mara Cortellessa, Lina De Fusco, Maria Grazia De Simone, Luciano Fumo, Paolo Grieco, Marzia Iannazzo, Lepre Emma, Rosanna Napolano, Fabiola Ruolo, Rosita Setaro, Mauro Varone, Angela Zanni, Manuela Zanni IIB Liceo Scienze applicate - Irene Cortellessa, Valentina Della Torre, Camilla Di Benedetto, Lucia Faella, Pierluigi Faella, Donatella Genovese, Emanuele Iadicicco, Fiorella Izzo, Gennaro Loffredo, Martina Mayer, Luca Mignacco, Chiara Morrone, Karen Petteruti, Maria Anna Pignagrande, Miriana Verdolotti Hanno scritto dell’esperienza: “…Si può ribadire quanto già scritto nell’Appendice relativa alla Staffetta Triennio. In particolare nel Biennio l’impegno per questo “percorso” ha avuto una ricaduta positiva in termini di miglioramento dell’autostima, crescita individuale e spinta ad una maggiore motivazione. Didatticamente è stata l’occasione per consolidare la conoscenza delle tecniche per la costruzione di un testo narrativo”. APPENDICE 7. Il viaggio Liceo delle Scienze Umane “Pascasino” di Marsala (TP) – classi IIA/IIID Dirigente Scolastico Antonella Coppola Docente referente della Staffetta Maria Gabriella Bustini Docenti responsabili dell’Azione Formativa Maria Gabriella Bustini, Antonella De Stefano Gli studenti/scrittori delle classi IIID - Chiara Li Causi, Germana Signorino, Erica Accardi, Ylenia Sardo, Carola Donato, Valeria Gianmarinaro, Giulia Martino, Silvia Pugliese, Elena Morana, Paola Calandro, Martina Basile, Giulia Gerbino, Giorgia Civello, Veruska Barraco, Silvia Rubino, Desirèe Russo, Jessica Pisciotta IIA - Laura Perrone, Ylenia Civello, Maria Rita Maltese, Giusy Rizzo, Catia Riggio Hanno scritto dell’esperienza: “…È stata un’esperienza molto stimolante e divertente. I ragazzi hanno accolto con entusiasmo il progetto e, dopo diversi incontri durante i quali hanno letto, commentato e valutato i capitoli già redatti dalle altre scuole, hanno iniziato a intrecciare le fila del loro capitolo, le cui parti sono state “smontate”, recuperate, ricucite, fino a raggiungere la realizzazione del prodotto finale. La maggior parte delle studentesse ha dimostrato ottime capacità di ascolto e di collaborazione. Alcune di loro, dopo questa esperienza hanno scoperto una vera e propria passione per la scrittura e già si cimentano nella composizione di brevi racconti”. APPENDICE 8. Ritorno a Mogadiscio Liceo Artistico “Sabatini-Menna” di Salerno (SA) – classe IIB Dirigente Scolastico Ester Andreola Docente referente della Staffetta Maria Di Lieto Docente responsabile dell’Azione Formativa Angela Visone Gli studenti/scrittori della classe IIB Serena Apicella, Lucia Aprile, Vincenzo Avella, Chiara Barone, Francesco Pio Bisogno, Pio Maria Bisogno, Giulia Capolupo, Simona Cuciniello, Stefano Della Cerra, Pasquale Langella, Maria Memoli, Vittorio Nunziata, Angela Pantò, Julia Pappacena, Antonio Pappalardo, Francesco Rispoli, Manuel Romano, Silvia Russo, Annamaria Senatore, Giovanni Sorrentino, Francesco Troisi, Michela Vassallo Hanno scritto dell’esperienza: “…L’esperienza è stata particolarmente interessante specialmente per gli allievi con qualche lieve difficoltà nelle discipline letterarie. Il loro impegno e l’interesse dimostrato durante la stesura del lavoro confermano la validità della Staffetta Creativa non solo come potenziamento di eccellenze ma anche come stimolazione per i meno dotati”. APPENDICE 9. La lettera Liceo Classico “XXVI Febbraio” di Aosta (AO) – classe VA ginnasio bilingue Dirigente Scolastico Anna Maria Traversa Docente referente della Staffetta Serena Del Vecchio Docente responsabile dell’Azione Formativa Serena Del Vecchio Gli studenti/scrittori della classe VA ginnasio bilingue Sidorela Bushi, Eugénie Caveri, Coralie Darbelley, Federica Demaestri, Costanza Garbetta, Camilla Giardini, Jezahel Jordan, Sophie Pession, Marta Privitera, Valentina Romagnoli, Sylvie Viglino Hanno scritto dell’esperienza: “…L'esperienza della Staffetta sarà uno di quei momenti della nostra vita che ricorderemo con piacere. L'ansia di ricevere il capitolo successivo, la delusione e lo scoraggiamento vissuti in alcuni momenti del percorso e, infine, la stesura del nostro capitolo (l'ultimo),tutto questo ci ha fatto capire quanto sia importante essere una classe unita, nonostante gli inevitabili scambi di opinione - anche molto accesi - che abbiamo avuto tra di noi. Durante la staffetta ci siamo impegnati a commentare ogni capitolo per postarlo sul forum, ma abbiamo notato con dispiacere che siamo stati praticamente gli unici, mentre sarebbe stato bello poterci confrontare con i “colleghi” delle altre scuole per scambiare con loro impressioni ed emozioni. Tralasciando questo dettaglio, possiamo dire che ci siamo divertiti molto, che abbiamo imparato moltissimo l'uno dall'altro e che è stata un'esperienza che vorremmo davvero ripetere”. NOTE NOTE NOTE NOTE INDICE Incipit di CARLO GRANDE ..............................................................................pag 14 Cap. 1 La distanza ................................................................................................» 16 Cap. 2 La nonna ......................................................................................................» 22 Cap. 3 La pizza ........................................................................................................» 26 Cap. 4 Non mi vergogno della mia terra ........................................................» 32 Cap. 5 Shirin ..............................................................................................................» 36 Cap. 6 Il cambiamento ..........................................................................................» 42 Cap. 7 Il viaggio ....................................................................................................» 46 Cap. 8 Ritorno a Mogadiscio..............................................................................» 52 Cap. 9 La lettera ......................................................................................................» 58 Appendici ..................................................................................................................» 64 Finito di stampare nel mese di aprile 2013 dalla Tipografia Gutenberg Srl – Fisciano (SA) ISBN 978-8897890-75-1