il motore della moto - Moto Guzzi Cardellino 73

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il motore della moto - Moto Guzzi Cardellino 73
inserto di “IN MOTO” del 1995 “il motore della moto”
INDICE:
1. Il Motore In Sintesi
2. Il Ciclo A Quattro Tempi
3. Il Ciclo A Due Tempi
4. Il Rapporto Di Compressione
5. I Carburanti
6. La combustione
7. Il Rendimento Termico
8. Il Rendimento Meccanico
9. Il Rendimento Volumetrico
10. Parametri Motoristici
11. Architetture Costruttive
12. L'equilibratura Dei Motori
13. La Testata
14. La Distribuzione
15. Testate Plurivalvole
16. Le Valvole A Fungo
17. Le Valvole A Lamelle
18. Le Valvole A Disco Rotante
19. Il Cilindro
20. Il Pistone
21. I Cuscinetti A Rulli E A Sfere
22. I Cuscinetti A Guscio Sottile
23. La Biella
24. I Cuscinetti Di Biella A Rotolamento
25. Alberi A Gomiti Compositi
26. Alberi A Gomiti Monolitici
27. Il Basamento
28. La Lubrificazione
29. Il Raffreddamento
30. I Sistemi Di Scarico Dei Motori A Quattro Tempi
31. Le Marmitte A Espansione
32. Risuonatori E Valvole Allo Scarico
1.
IL MOTORE IN SINTESI
I motori impiegati in campo motociclistico possono essere a due o a quattro tempi. Nei
primi il ciclo di funzionamento si svolge in due giri dell'albero a gomito (ossia in quattro
corse del pistone all'interno della canna del cilindro), mentre nei secondi ha luogo in un
solo giro dell'albero stesso (e quindi in due corse del pistone). Schematicamente un
motore (per motivi di praticità facciamo qui riferimento ad un monocilindrico), è costituito
da un basamento, al quale è vincolato il cilindro, chiuso alla estremità opposta dalla testa.
Internamente al cilindro è alloggiato il pistone, con un piccolissimo gioco che gli consente
di muoversi liberamente, mentre internamente al basamento è alloggiato l'albero a gomito.
Il pistone è vincolato al perno di manovella dell'albero a gomito dalla biella e dallo spinotto.
Nei motori a quattro tempi internamente alla testata sono ricavati il condotto dì aspirazione
(dal quale entra nel cilindro la miscela aria-benzina) e quello di scarico (attraverso il quale
escono dal cilindro i gas combusti), che le valvole provvedono a mettere in comunicazione
con il cilindro nei momenti opportuni. Il ciclo a quattro tempi si svolge come descritto nelle
pagine successive.
Alesaggio - Con questo termine si indica il diametro interno del cilindro. Di norma viene
espresso in millimetri.
Corsa - È la distanza che separa i due punti estremi che il pistone raggiunge mentre si
muove all'interno del cilindro. In corrispondenza di tali punti estremi il pistone inverte il
senso del suo movimento. Viene espressa in millimetri.
Punto morto inferiore (PMI) - È il punto più vicino alla camera di manovella (e quindi
all'albero a gomito) che il pistone può raggiungere nel suo movimento all'interno del
cilindro.
Punto morto superiore (PMS) - È il punto più lontano dall'albero motore che il pistone
raggiunge nel suo movimento all'interno del cilindro.
Cilindrata - È il volume generato dal pistone nel suo movimento da un punto morto
all'altro. Si calcola agevolmente una volta noti l'alesaggio e la corsa. Metà dell'alesaggio
moltiplicata per se stessa e quindi per 3,1416 ci dà l'area di base del cilindro e quest'ultima
moltiplicata per la corsa ci fornisce appunto il volume generato dal movimento del pistone.
In un motore policilindrico viene detta cilindrata unitaria quella relativa a un solo cilindro.
2.
IL CICLO A QUATTRO TEMPI
Fase di aspirazione - Il pistone scende verso il PMI e richiama la miscela aria-benzina
all'interno del cilindro. In questa fase il gruppo pistone-cilindro si comporta esattamente
come una pompa e si ha un assorbimento di potenza dell'albero a gomiti (che deve
appunto azionare la "pompa"). In effetti la fase di aspirazione inizia ancor prima che il
pistone abbia cominciato la sua corsa verso il PMI. La valvola di aspirazione infatti si
comincia ad aprire con numerosi gradi di anticipo rispetto al PMS (e quella di scarico
termina di chiudersi un bel po' dopo). E possibile cosi sfruttare la depressione che i gas
combusti (che lasciano il cilindro a elevata velocità) creano dietro di se per mettere in
movimento la "colonna" dei gas freschi nel condotto di aspirazione prima ancora che il
pistone abbia iniziato la corsa di aspirazione. Analogamente si cerca di sfruttare al meglio
l'inerzia della colonna gassosa che entra nel cilindro per migliorare il riempimento; a tal
fine si fa chiudere la valvola di aspirazione con un considerevole ritardo rispetto al PMI
(che è il punto nel quale il pistone cessa di esercitare la sua azione aspirante). I gas che
entrano nel cilindro ai regimi elevati sono infatti dotati di una considerevole velocità e di
conseguenza sono riluttanti ad arrestarsi repentinamente. Essi continuano quindi ad
entrare anche dopo che il pistone ha già invertito il suo moto, cominciando a risalire verso
il PMS. È ben chiaro che il ritardo di chiusura della valvola viene scelto (come del resto
tutta la fasatura della distribuzione) in modo da consentire l'ottenimento del più elevato
riempimento entro un ben determinato campo di regimi. In teoria il miglior rendimento
volumetrico (cioè la migliore "respirazione" del motore) si ottiene quando la colonna
gassosa arresta il suo moto proprio allorché la valvola si chiude. Questo chiaramente si
può ottenere solo ad una determinata velocità di rotazione; a regimi più elevati
inevitabilmente la valvola si chiuderà troppo presto (quando cioè la colonna gassosa sta
ancora entrando nel cilindro) e ai regimi più bassi si chiuderà troppo tardi (cioè quando la
colonna gassosa ha già invertito il suo moto e una parte della carica sta uscendo dal
cilindro per ritornare nel condotto). È chiaro che in entrambi i casi il rendimento
volumetrico del motore ne soffrirà. Al termine della fase di aspirazione la pressione
all'interno del cilindro è in genere inferiore (e talvolta anche in misura non trascurabile) a
quella atmosferica. E evidente che se tale pressione fosse più elevata di quella
atmosferica il rendimento volumetrico del motore risulterebbe Superiore all'unità. Questa
condizione si ottiene sempre nei motori sovralimentati; essa si può verificare anche, sia
pure in misura molto inferiore, in alcuni motori aspirati di elevate prestazioni, nei quali
sfruttando opportunamente l'inerzia delle colonne gassose e le pulsazioni che si verificano
all'interno dei sistemi di aspirazione e di scarico, a certi regimi di rotazione effettivamente è
possibile ottenere un rendimento volumetrico superiore ad uno.
Fase di compressione - Dopo che la valvola di aspirazione si è chiusa ha inizio la fase di
compressione, durante la quale la carica (ovvero la miscela aria-benzina viene portata ad
elevata pressione. Come è noto allorché sì comprime un gas questo subisce anche un
certo riscaldamento. E quindi chiaro che al termine della fase di compressione la miscela
aria-benzina si troverà ad una temperatura considerevolmente più alta di quella che aveva
nel momento della chiusura della valvola di aspira. A questo riscaldamento dovuto alla
compressione si deve naturalmente aggiungere quello dovuto allo scambio termico con i
gas "residui" (sono i gas combusti che, in quantità assai limitata ma non trascurabile,
rimangono all'interno del cilindro dopo che è terminata la fase di scarico). Nella prima
parte della fase di compressione inoltre, la carica riceve calore dalle pareti del cilindro;
continuando il pistone a salire verso il PMS, da un certo punto in poi però la temperatura
della miscela aria-benzina, che viene compressa in misura sempre crescente, supera
quella delle pareti metalliche e si svolge un processo inverso (la carica cede calore alle
pareti del cilindro). Naturalmente agli alti regimi il tempo a disposizione è estremamente
ridotto e quindi questo scambio termico è di entità assai minore; per questo motivo quanto
più è elevata la velocità di rotazione, tanto maggiore in genere risulta la temperatura della
carica alla fine della fase di compressione. In effetti comunque la situazione non è così
semplice; lo scambio termico dipende infatti da svariati altri fattori come la quantità di
carica presente nel cilindro, la velocità con la quale la carica si muove ed il rapporto tra la
superficie lambita dai gas ed il volume che questi occupano. Per quanto riguarda i gas
residui, la loro temperatura è di circa 650-800° C. Durante il funzionamento del motore, al
termine della fase di compressione i gas presenti nel cilindro raggiungono una pressione
dell'ordine di 12-20 bar ed una temperatura di circa 300-500° C; naturalmente i valori sono
tanto più elevati quanto maggiore è il rapporto di compressione.
Fasi di espansione e di scarico - La combustione inizia allorché tra gli elettrodi della
candela scocca la scintilla e si propaga rapidamente attraverso tutta la camera. La velocità
del fronte della fiamma nei motori moderni può raggiungere valori nettamente superiori ai
50 m/s al centro della camera. La pressione massima di compressione si ha diversi gradi
dopo il PMS (l0°-20°), quando cioè la biella ha già assunto una certa inclinazione ed il
pistone ha già invertito il suo moto; essa può raggiungere i 65-75 bar nei motori di elevata
potenza specifica (oltre gli 80 bar il rischio di detonazione è molto serio). La massima
temperatura durante la combustione è dell'ordine di circa 2000-2500° C. I gas spingono
con forza il pistone verso il PMI nella fase di espansione, che è la fase "utile" del ciclo,
durante la quale circa un terzo dell'energia termica liberata dalla combustione viene
trasformata in energia meccanica. Dei due terzi rimanenti, una parte viene ceduta al
sistema di raffreddamento ed un'altra viene perduta assieme ai gas di scarico (che quando
lasciano il cilindro sono ancora molto "energetici"). La valvola di scarico non si apre al PMI
ma comincia a sollevarsi dalla sede con un considerevole anticipo rispetto ad esso (45°85°). In questo modo allorché il pistone inverte il suo moto e risale verso il PMS (fase di
scarico) non si trova a dover compiere un considerevole lavoro per espellere i gas
combusti attraverso il passaggio valvola-sede dato che già una considerevole parte di essi
ha abbandonato spontaneamente il cilindro; inoltre la valvola è già ben sollevata, al PMI, e
quindi il passaggio dei gas avviene agevolmente. In altre parole grazie all'anticipo di
apertura della valvola di scarico si diminuiscono considerevolmente le perdite per
"pompaggio". Si potrà obiettare che a causa della anticipata apertura non si può sfruttare
completamente la fase di espansione (quando la valvola si solleva dalla sede i gas si
riversano nel condono di scarto e all'interno del cilindro si ha una repentina diminuzione di
pressione). In effetti però dal punto di vista della produzione di energia meccanica l'ultima
parte della corsa ha un'importanza relativa, dato che la pressione che i gas esercitano sul
cielo del pistone oltre ad essere ormai piuttosto bassa è anche assai poco "efficace" a
causa del fatto che l'angolo tra la biella e la manovella dell'albero diventa sempre meno
favorevole. Alla fine della fase di espansione la pressione dei gas è di circa 4-7 bar e la
loro temperatura dell'ordine di 900-l400° C. I gas combusti entrano nel condotto di Scarico,
non appena la valvola comincia ad aprirsi, con una velocità che può raggiungere i 600-700
m/s. Nei motori moderni la quantità di gas che esce dal cilindro prima che il pistone
raggiunga il PMI è valutabile nel 60-70% del totale. li pistone risale verso il PMS
incontrando una resistenza ben ridotta da parte dei gas; la velocità di questi ultimi nel
condotto si è nel frattempo abbassata considerevolmente rispetto a quella iniziale ed è ora
di circa 250 m/s (e alla fine della fase di scarico diventa ancora più bassa). La temperatura
dei gas di scarico è dell'ordine di 75.1000°C. Tutti i dati numerici fin qui forniti si riferiscono
naturalmente al motore funzionante con la valvola del gas completamente aperta; essi
variano in misura considerevolissima al diminuire ditale apertura. Ad esempio la
temperatura dei gas combusti quando il motore funziona al minimo è di circa 250-350°C e
sale, ad aperture parziali della valvola del gas e a regimi di rotazione medi a 550-650°C.
Per quanto riguarda lo scambio termico tra i gas e le pareti del cilindro, al quale si è già
accennato, della quantità totale di calore da essi trasmessa alle superfici metalliche il 6370% viene ceduto durante la fase di espansione, il 29-35% durante quella di scarico e solo
I' 1-2% durante quella di compressione.
3.
IL CICLO A DUE TEMPI
Il motore a due tempi per impiego motociclistico è estremamente semplice: in un
monocilindrico con aspirazione di tipo tradizionale, le parti in movimento si riducono infatti
all'albero motore, alla biella ed al pistone. Il passaggio dei gas che entrano ed escono dal
cilindro è regolato dal pistone che scopre od ostruisce. nei momenti opportuni, alcune
aperture (dette "luci") praticate nelle pareti del cilindro stesso. Tutte e quattro le fasi del
ciclo (cioè aspirazione, compressione. espansione e scarico) vengono compiute in m solo
giro dell'albero a gomiti. Per immettere la miscela aria-benzina nel cilindro occorre una
pompa, che viene ricavata nella camera di manovella e nella parte di cilindro al di sotto del
pistone: il movimento di quest'ultimo causa una variazione di volume del "carter-pompa"
che alternativamente richiama miscela fresca dal carburatore attraverso il condotto di
aspirazione e la invia al cilindro motore attraverso uno o più condotti di travaso. In pratica
è come se le fasi fossero sei, due delle quali si svolgono nel basamento (aspirazione e
precompressione della miscela fresca) e quattro nel cilindro (compressione, espansione,
scarico e travaso). Seguiamo ora brevemente il percorso che la miscela aria-benzina
compie all'interno del motore. Quando il pistone sale verso il PMS, all'interno del carterpompa si crea una certa depressione; allorché il mantello del pistone scopre la luce di
aspirazione, a causa della differenza di pressione la miscela fresca che si forma nel
carburatore viene richiamata all'interno del basamento. La depressione nel carter-pompa è
dell'ordine di 0,2 - 0,4 bar. Dopo aver raggiunto il PMS il pistone inverte il suo moto e si
dirige nuovamente verso il PMI; quando esso chiude la luce di aspirazione la miscela
fresca aspirata precedentemente nel basamento subisce una certa compressione a causa
della diminuzione di volume determinata dallo spostamento del pistone
("precompressione"). Ad un certo punto si aprono le luci di travaso (nei motori
motociclistici moderni sono sempre più di due) ed attraverso i condotti che le collegano al
basamento la carica (ovvero la miscela fresca) viene immessa nel cilindro. sostituendosi
(più o meno completamente) ai gas combusti che in esso si trovavano e che stanno
attraverso la luce di scarico. Spostandosi dal PMI verso il PMS il pistone chiude le luci di
travaso e quindi anche quella di scarico ed inizia la fase di compressione, che si svolge in
maniera del tutto simile a quella dei motori a quattro tempi. Un poco prima che il pistone
raggiunga il PMS tra gli elettrodi della candela scocca la scintilla ed ha inizio la
combustione; segue quindi la fase di espansione (ossia la fase utile del ciclo) nella quale i
gas ad alta pressione e temperatura agiscono sul pistone spostandolo velocemente e con
forza verso il PMI. Ad un certo punto il margine del cielo del pistone scopre la luce di
scarico e i gas, ancora dotati di una notevole pressione, si riversano attraverso di essa ad
alta velocità nel condotto dì scarico stesso. All'interno del cilindro si ha un repentino calo di
pressione; poco dopo l'inizio della fase di scarico si aprono le luci di travaso e, come già
visto, i gas freschi entrano nel cilindro e completano l'espulsione dei gas combusti (fase di
"lavaggio"). E chiaro che la luce di scarico si deve aprire con un certo anticipo rispetto a
quelle di travaso, in modo da far sì che i gas vadano dal basamento al cilindro e che non si
verifichi il contrario. Nel funzionamento a pieno carico la temperatura dei gas combusti è
dell'ordine di 6500C, valore sensibilmente inferiore a quelli che si hanno nei 4T. Questi gas
sono infatti diluiti da una cospicua quantità di miscela fresca e inoltre durante la
combustione si raggiungono temperature più basse a causa della considerevole presenza
di gas combusti nella carica. La precompressione porta i gas nella camera di manovella ad
una pressione di 1,3 - 1,5 bar e quindi è evidente che la pressione nel cilindro, allorché si
aprono le I luci di travaso, deve essere inferiore a questo valore. In base a quanto detto
finora appare evidente che i problemi del motore a due tempi sono di natura "respiratoria",
a causa anche del breve tempo a disposizione per aspirare la carica nel basamento e per
effettuare la immissione della carica stessa nel cilindro. L'ottenimento di un buon lavaggio
non è certamente semplice (ci Sono voluti molti anni di studi e ricerche sperimentali per
raggiungere gli attuali risultati); è infatti necessario ridurre al minimo i miscelamenti tra la
carica ed i gas combusti e le perdite di miscela fresca attraverso la luce dì scarico.
4.
IL RAPPORTO DI COMPRESSIONE
La miscela aria/benzina viene compressa notevolmente, dopo essere stata aspirata
all'interno del cilindro, prima di venire accesa da una scintilla che scocca tra gli elettrodi
della candela. Durante la fase di compressione il pistone sì sposta dal Punto Morto
Inferiore al Punto Morto Superiore. Il rapporto tra i volumi a disposizione dei gas freschi
all'interno del cilindro, con il pistone nelle due posizioni citate (cioè al PMI ed al PMS),
viene detto appunto "rapporto di compressione". In altre parole esso può essere definito
come il rapporto tra la cilindrata unitaria (volume generato dal pistone nel suo
spostamento da un punto morto all'altro) più il volume della camera di combustione ed il
volume della sola camera di combustione. Si potrà obiettare che in realtà la valvola di
aspirazione non finisce di chiudersi al PMI ma solo diversi gradi dopo di esso e che la
combustione ha inizio con un certo anticipo rispetto al PMS. A queste osservazioni,
giustificatissime, si deve però rispondere che il rapporto di compressione ha un valore
puramente teorico (talvolta si parla di rapporto di compressione "geometrico"). Esso non
solo non tiene conto dell'anticipo di accensione ma neppure (cosa ben più importante), del
grado di riempimento del cilindro, ovvero del rendimento volumetrico. A questo proposito è
interessante osservare che diversi costruttori di motori a due tempi calcolano il rapporto di
compressione come rapporto tra il volume del cilindro (camera di combustione compresa),
misurato quando il margine del cielo del pistone è allineato con lo spigolo superiore della
luce di scarico e il volume della sola camera di combustione. Questo modo di procedere è
tipico, ma non esclusivo, della scuola giapponese. Nei motori ad accensione per scintilla
se la pressione e la temperatura della miscela aria/benzina presente nella camera di
combustione alla fine della fase di compressione superano determinati valori (che variano
da motore a motore e in funzione principalmente della forma e delle dimensioni della
camera e della posizione della candela) inevitabilmente insorge la detonazione. Dato che il
rendimento termico del motore aumenta al crescere del rapporto di compressione, è
opportuno che quest'ultimo sia assai elevato, ma non tanto da causare il rischio che si
verifichi la detonazione (la pressione e la temperatura della miscela aria/benzina all'interno
del cilindro alla fine della fase di compressione dipendono essenzialmente proprio dal
rapporto di compressione impiegato).
5.
I CARBURANTI
I motori impiegati in campo motociclistico funzionano trasformando in energia meccanica
parte della energia termica liberata dalla combustione della miscela aria-carburante
precedentemente aspirata e quindi compressa all'interno del cilindro. La combustione, che
si svolge con estrema velocità ma in maniera comunque graduale e ordinata, è costituita
da una serie di reazioni chimiche in seguito alle quali l'idrogeno e il carbonio del
carburante si combinano con l'ossigeno dell'aria. I prodotti finali di una combustione
completa sono l'anidride carbonica e l'acqua. Si tratta quindi alla fin fine (ma in realtà ciò
che avviene è piuttosto complesso dal punto di vista chimico, dato che vi sono svariate
fasi intermedie nello sviluppo delle reazioni) di una ossidazione, che ha luogo con grande
sviluppo di calore. li carburante comunemente impiegato per alimentare i motori
motociclistici, sia a due che a quattro tempi, è la benzina, costituita da una miscela di
idrocarburi, cioè di composti chimici formati esclusivamente da atomi di carbonio e di
idrogeno. La benzina si ottiene dal petrolio per distillazione (è la frazione che bolle, ossia
vaporizza, per venire poi ricondensata, tra 25 e 210°C circa) e ha quindi una composizione
che varia in misura anche sensibile a seconda del greggio di partenza. Gli idrocarburi
infatti sono numerosi e di vari tipi e a seconda di quelli preponderanti nel petrolio che si
distilla, si hanno cambiamenti nella composizione della benzina. In aggiunta alla
distillazione frazionata sono stati messi a punto altri sistemi che consentono di aumentare
la "resa" (ossia la qualità di benzina che si ottiene dal greggio). Si tratta del cracking, della
idrogenazione, delta alchilazione e della polimerizzazione. Non risultano convenienti, sotto
l'aspetto economico, i sistemi che consentono di ottenere la benzina per sintesi. La
benzina non ha quindi una formula chimica e viene definita da una serie di caratteristiche
chimico-fisiche che deve presentare secondo le norme dì legge o quelle industriali vigenti
nei vari Paesi (attualmente è in corso una unificazione e oramai nelle nazioni dell'Europa
occidentale le benzine sono pressoché eguali o lo diventeranno fra breve). Tipicamente
essa ha un contenuto in carbonio pari a circa l'86%; il rimanente 14% è costituito da
idrogeno. Come per tutti i carburanti, una caratteristica di fondamentale importanza è il
suo potere antidetonante, che viene indicato dal numero di ottano. Più elevato
quest'ultimo, maggiore il potere antidetonante, e quindi più alto il rapporto di compressione
che può essere adottato senza che si verifichi la detonazione. Di grande importanza è
anche il potere calorifico (che indica, come noto, il "contenuto" di energia del carburante),
dell'ordine di 43,5 mJ/kg. Perché la combustione risulti completa una parte di benzina, in
peso, deve essere miscelata con circa 14,6 parti di aria. Si dice in questo caso che la
miscela ha dosatura o titolo 14,6. Quando la benzina è in eccesso rispetto a tale valore
(chimicamente corretto), la miscela viene detta ricca o grassa mentre quando essa è in
difetto viene detta povera o magra. La tonalità termica (quantità di energia sviluppata dalla
combustione di un determinato volume di miscela aria-carburante correttamente dosata
dal punto di vista chimico) è di 3,5 + 3,7 kJ/dm3. Altre caratteristiche importanti sono il
calore latente di vaporizzazione (dal quale dipende il "raffreddamento interno" che il
carburante è in grado di assicurare al motore> e la volatilità; a quest'ultima è legata non
solo la facilità di avviamento a freddo ma anche la maggiore o minore propensione a
fenomeni di vapor-lock. La massa volumica (una volta detta peso specifico> della benzina
è di 0,73+0,78 kg/dm3. La benzina viene impiegata in tutti i principali paesi industrializzati
del mondo per il costo ridotto, per la disponibilità in grandi quantitativi, per la relativa
facilità di produzione e per le ottime caratteristiche complessive. Esistono però anche altri
carburanti che possono essere utilizzati per alimentare i motori ad accensione per scintilla.
Per incrementare il potere antidetonante della benzina per molti anni si è fatto ricorso alla
aggiunta di piccole quantità di composti a base di piombo (si tratta del "famigerato" piombo
tetraetile e, in minore misura, del piombo tetrametile), assai nocivi per la salute. In seguito
il contenuto di questi additivi è stato via via ridotto. Con la comparsa sulla scena delle
marmitte catalitiche sono entrate in produzione le benzine "verdi", totalmente prive di
composti di piombo; quest'ultimo elemento infatti "avvelena" il catalizzatore nel giro di
pochi chilometri. Tra i carburanti alternativi vanno menzionati gli alcoli. Quello metilico,
detto anche metanolo, viene impiegato in alcune autovetture da competizione, ove
ammesso dal regolamento, mentre quello etilico, facilmente ottenibile dove e una grande
disponibilità di "materia prima" vegetale, viene commercializzato in Brasile per essere
impiegato in autotrazione. In campo motociclistico si utilizzano miscele alcoliche nello
speedway. L'impiego di questi carburanti consente di raggiungere rapporti di
compressione più elevati di quelli che si possono adottare quando il motore viene
alimentato con la benzina. Ciò è possibile non solo perché il numero di ottano è più
elevato ma anche perché il superiore calore latente di vaporizzazione assicura una
migliore raffreddamento interno del motore. La dosatura è corretta dal punto di vista
chimico quando una parte di alcol metilico viene mescolata con nove parti d'aria (in peso).
Impiegando alcol etilico la dosatura corretta è 6,4. Questo vuoI dire che il consumo risulta
molto più elevato di quello che si ha alimentando il motore con benzina. Il potere calorifico
dell'alcol metilico è 26,8 mJ/kg e quello dell'alcool etilico addiritura 19,7 mJ/kg, ossia
inferiore a metà di quello della benzina. La tonalità termica della miscela carburata però
risulta analoga e questo proprio per via della ben differente dosatura della miscela stessa.
In Italia, la legge vieta l'impiego di carburanti diversi della benzina in vendita ai distributori
per i veicoli adibiti a circolazione stradale. Il numero di ottano viene misurato utilizzando
modalità differenti. Per ogni carburante esistono infatti un numero di ottano Research e un
numero di ottano Motor (il primo è quasi sempre sensibilmente superiore al secondo). Per
la determinazione del potere antidetonante si impiegano motori da laboratorio a rapporto
di compressione variabile. La differenza tra i valori ottenuti con i due metodi (Research e
Motor) costituisce la "sensitività" del carburante.
6.
LA COMBUSTIONE
L'energia meccanica che il motore invia alla ruota posteriore tramite la trasmissione viene
fornita dalla combustione della miscela aria-carburante che ha luogo all'interno dei cilindri.
Essa libera una considerevole quantità di calore, solo una parte della quale (all'incirca un
terzo o poco più) viene utilizzata ossia trasformata in energia meccanica. A sua volta una
parte di quest'ultima si perde per la strada a causa degli inevitabili attriti prima di
raggiungere la destinazione finale, cioè la ruota motrice del veicolo. In un certo senso
all'interno del cilindro ha luogo una trasformazione: l'energia chimica (e quindi allo stato
"latente") contenuta nel carburante si tramuta infatti in energia termica. Le reazioni che
durante la combustione hanno luogo tra l'ossigeno (che nell'aria è presente in misura del
23,2%, in peso) e gli idrocarburi, sono estremamente complesse in quanto prevedono, in
tempi eccezionalmente brevi, la formazione di svariati prodotti intermedi "attivi". In altre
parole la combustione della miscela carburata avviene in più stadi, con una serie di
reazioni a catena. Come logico l'interesse del progettista di motori endotermici è quello di
ottenere una combustione rapida, più completa possibile (e quindi estremamente
"energetica") e al tempo stesso di ridurre al minimo le perdite di calore (cioè la quantità di
energia termica ceduta alle pareti metalliche), al fine di elevare il rendimento del motore. I
parametri che devono essere presi in considerazione sono numerosi e vanno dalla
geometria della camera (tenendo conto non solo della forma e dell'estensione della zona
"attiva" ma anche di quella delle zone squish) alla disposizione della candela, alla
dosatura della miscela aria-carburante, alla omogeneità della miscela, etc… Di importanza
fondamentale è la turbolenza che viene impartita alla miscela aria-benzina poiché ad essa
è legata in larga misura la velocità di combustione. Quest'ultima di norma aumenta al
crescere della densità della carica (elevati rapporti di compressione, alti carichi motore),
della temperatura e della turbolenza, e risulta più elevata con miscele a titolo leggermente
ricco (ecco perché le miscele di questo tipo sono quelle che consentono di ottenere le
maggiori potenze). Una elevata turbolenza distorce e frammenta il fronte di fiamma (che si
forma nella zona della candela per poi propagarsi attraverso tutta la camera) aumentando
quindi la superficie di contatto tra i gas in combustione e la carica fresca e migliorando la
"diffusione" del calore in seno a quest'ultima, col risultato di rendere più veloce la
combustione. Nei moderni motori di elevate prestazioni al centro della camera di
combustione si possono raggiungere velocità di avanzamento del fronte di fiamma
dell'ordine di una cinquantina di metri al secondo e più. il gradiente di pressione (ossia la
rapidità con la quale la pressione stessa aumenta in funzione dell'angolo di rotazione
dell'albero a gomiti) durante la fase principale della combustione è dell'ordine 1,5-2,5
bar/grado. Durante la combustione all'interno della camera vengono raggiunte
temperature massime che si aggirano sui 2000-2500°C. Schematicamente la combustione
può essere divisa in tre fasi. La prima è quella di "innesco", che segue lo scoccare della
scintilla e non dà luogo a un apprezzabile incremento di pressione rispetto a quello
determinato dalla sola compressione (movimento verso il PMS del pistone). La seconda
fase è quella principale (combustione turbolenta): il fronte di fiamma avanza con
considerevole velocità e l'incremento di pressione è rapido e di cospicua entità. La
pressione massima del ciclo viene raggiunta all'incirca 10°-20° dopo il PMS (nei moderni
motori di prestazioni molto elevate sono comuni valori dell'ordine di 65-75 bar); essa
determina la fine della fase principale, che viene seguita dalla fase di completamento della
combustione. Durante quest'ultima viene bruciata la parte di miscela aria-benzina ancora
incombusta (all'incirca il 15% o poco più di tutta quella introdotta nel cilindro). Poiché la
turbolenza aumenta al crescere del regime di rotazione, alle alte velocità si ottengono
combustioni più rapide. Per introdurre nella miscela una adeguata turbolenza si fa ricorso
a vortici orientati (swirl), creati durante la fase di aspirazione e/o quella di compressione e,
in misura maggiore, a microvortici più o meno disordinati (ottenuti facendo espellere dal
pistone, allorché si avvicina al PMS, una parte della miscela aria-benzina da alcune zone
periferiche della camera). Questo secondo tipo di turbolenza viene detto squish.
L'estensione e la disposizione delle zone di squish sono importanti e vengono determinate
sperimentalmente per ogni motore. Oltre alla geometria complessiva della camera (che
deve essere al tempo stesso compatta e "pulita" in modo da dar luogo alle minori perdite
di calore possibili e a ridurre il tragitto del fronte di fiamma>, è molto importante anche la
disposizione della candela. Idealmente sembra preferibile sempre quella perfettamente
centrale, che consente di ottenere un fronte di fiamma più vantaggioso in termini sia di
geometria che di distanza da percorrere. In certi casi si può verificare una combustione di
tipo esplosivo di parte della miscela aria-carburante non ancora raggiunta dal fronte della
fiamma. Si tratta della detonazione, che ha luogo quando in tale porzione della carica
(quella più lontana dalla candela, in genere) la temperatura e la pressione superano
determinati valori critici. La detonazione dà luogo a una serie di onde di pressione che
attraversano con velocità elevatissima (dell'ordine di 1000 metri al secondo e più) la
camera urtando e rimbalzando contro le pareti. In certe condizioni di funzionamento ciò dà
luogo a una tipica rumorosità detta battito in testa Una detonazione intensa può dare
origine a seri danneggiamenti meccanici, tra i quali lo sfondamento del cielo del pistone.
La detonazione può essere causata da un carburante con numero di ottano insufficiente,
da in' anticipo di accensione eccessivo, da un rapporto di compressione troppo elevato,
etc... Come logico tutti i motori di serie funzionano senza alcun rischio di incappare nella
detonazione purché non vengano manomessi (a livello di rapporto di compressione e/o di
fasatura di accensione) e purché vengano alimentati con benzina di adeguata qualità. Il
problema della detonazione oggi riguarda infatti solo i preparatori e i costruttori di motori
da competizione.
7.
IL RENDIMENTO TERMICO
I motori impiegati in campo motociclistico, sia a due che a quattro tempi, sono "classificati"
tra le macchine termiche alternative. Si tratta infatti di unità motrici a pistoni (organi animati
di moto alterno) che funzionano utilizzando una parte del calore (ossia dell'energia
termica) sviluppato dalla combustione della miscela aria-carburante aspirata e quindi
compressa all'interno dei cilindri. Uno dei principali problemi con i quali hanno a che fare i
tecnici di tutto il mondo è proprio legato al fatto che quella trasformata in energia
meccanica è soltanto una parte (e per di più piuttosto limitata!) della energia disponibile
(cioè del calore sviluppato). In questo capitolo vediamo perché succede questo e quali
sono le strade a disposizione dei progettisti per migliorare il rendimento termico (che è
costituito dal rapporto tra l'energia effettivamente "trasmessa" al pistone e quella
sviluppata dalla combustione). Occorre sottolineare che il concetto di rendimento non va
assolutamente confuso quello di potenza. E' evidente a parità di potenza erogata, ha un
rendimento migliore il motore che nell'unità di tempo consuma una quantità minore di
carburante (esso infatti "utilizza" meglio l'energia teoricamente disponibile). Questo
equivale a dire che tra due motori il rendimento è più elevato in quello che a parità di
consumo orario, eroga una potenza maggiore. Il rendimento termico di un motore è
strettamente legato al rapporto di compressione. E principalmente per questo motivo che i
diesel, che possono (e devono) impiegare rapporti di compressione molto più elevati di
quelli utilizzabili nei motori a benzina, hanno rendimenti nettamente più alti e quindi
consumi specifici inferiori rispetto a questi ultimi. Tra i motori a benzina hanno un consumo
specifico molto minore quelli a quattro tempi perché in essi il "lavaggio" (come già visto,
con questo termine si indica la sostituzione dei gas combusti presenti nel cilindro da parte
della carica fresca) è nettamente migliore dato che non si ha una forte contaminazione
della miscela aria-benzina da parte dei gas bruciati che rimangono all'interno del cilindro
né si ha una forte perdita dì carica fresca allo scarico (come avviene invece nei 2T). Il
rendimento termico è legato fortemente alla geometria della camera di combustione;
quest'ultima infatti da un lato contribuisce in misura rilevante a determinare il rapporto di
compressione-limite che si può adottare (ossia quello oltre il quale, in quel determinato
motore, insorge la detonazione) e dall'altro influenza sensibilmente le perdite di calore,
ossia la quantità di energia termica che i gas cedono alle parti metalliche (e quindi al
sistema di raffreddamento). Questa è legata oltre che alla differenza di temperatura, alla
superficie che viene lambita dai gas stessi o, per essere più precisi, al rapporto superficievolume della camera. Come noto a chiunque abbia una anche solo minima dimestichezza
con la geometria, il solido che ha la minima superficie, a parità di volume, è la sfera.
Poiché una camera di questa forma non è agevolmente e razionalmente realizzabile, si
ricorre in genere a camere di combustione emisferiche. Proprio queste, unitamente a
quelle a tetto, consentono infatti (come estesamente verificato nella pratica) di ottenere il
rendimento più elevato. Naturalmente ci sono molti dettagli importantissimi sui quali
lavorare partendo da questa considerazione-base, ossia l'inclinazione tra le valvole,
l'ampiezza e la disposizione delle aree di squish, la disposizione della candela, etc... Nei
motori a 4 T inoltre le camere a tetto e quelle emisferiche sono anche le più vantaggiose
sotto l'aspetto del rendimento volumetrico in quanto consentono di adottare valvole molto
grandi (a parità di alesaggio) e quindi permettono al motore di "respirare" meglio ai regimi
di rotazione elevati. Per quanto riguarda la sola geometria delle camere di combustione,
comunque, il motore a due tempi appare sensibilmente avvantaggiato rispetto al quattro
perché in esso non vi sono le valvole a condizionare il progettista con la loro presenza (e a
lavorare a temperatura più elevata rispetto alle pareti circostanti). Le perdite di calore
attraverso le pareti metalliche sono inevitabili perché queste ultime per forza di cose
hanno una temperatura molto più bassa di quella dei gas in combustione (e anche di quelli
già bruciati). E quando due corpi a contatto si trovano a temperature diverse, tra loro ha
sempre luogo uno scambio termico (con il calore che da quello a temperatura più elevata
passa a quello più "fresco"). Nei motori a quattro tempi la maggior parte dell'energia
termica perduta in questo modo viene ceduta alla testata (che ne può "assorbire" all'incirca
il 70-75%). Nei motori a due tempi la situazione è sensibilmente diversa, soprattutto per la
presenza nel cilindro di un condotto di scarico attraverso il quale fuoriescono i gas ad
elevata temperatura; di conseguenza la testa assorbe una quota sensibilmente più bassa
di tutto il calore ceduto alle pareti metalliche. Un'altra "via" attraverso la quale sfugge una
rilevante parte della energia termica (che non può così essere convertita in energia
meccanica) è il sistema di scarico. Quando lasciano il cilindro infatti i gas combusti sono
ancora molto energetici (e infatti in svariati motori automobilistici e per veicoli industriali
vengono impiegati per azionare un turbocompressore). Anche le perdite di energia termica
allo scarico sono inevitabili, purtroppo. Il risultato è che di tutta l'energia teoricamente
disponibile, in quanto liberata dalla combustione, in un 4 T solo il 31-35% circa viene
trasformato in energia meccanica (il rendimento termico è quindi dell'ordine di 0,31í 0,35);
il 30% circa viene ceduto al sistema di raffreddamento, mentre un altro 30% o poco più
finisce perduto allo scarico. Inoltre si hanno ulteriori perdite (di entità molto minore) per
irraggiamento, pure esse inevitabili. Nei motori a due tempi il rendimento termico è
nettamente più basso arrivando nel migliore dei casi attorno a 0,25í 0,27. Questa
differenza rispetto ai quattro tempi è legata in misura fondamentale alla fase di lavaggio,
tutt'altro che soddisfacente (circa il 25í 30% della miscela fuoriesce incombusta allo
scarico).
8.
IL RENDIMENTO MECCANICO
Non tutta l'energia meccanica disponibile a livello del pistone arriva alla trasmissione
primaria. Una parte di essa infatti si perde per la strada a causa degli inevitabili attriti tra gli
organi mobili e del lavoro che occorre compiere per aspirare nel cilindro la miscela ariabenzina e quindi per espellere i gas combusti (perdite di "pompaggio"). Ogni motore è
caratterizzato quindi anche da un rendimento meccanico, che indica appunto l'entità di
queste perdite dovute all'attrito e al pompaggio e che è costituito dal rapporto tra la
potenza prelevabile all'uscita del motore e quella teoricamente disponibile (a livello di
pistone). Tale rendimento peggiora al crescere del regime di rotazione. Principale "fonte"
dì perdite per attrito è il gruppo pistone/segmenti. Leggermente minore è l'influenza dei
cuscinetti di banco e di biella. Nettamente più basse sono le perdite legate alla potenza
spesa per azionare la distribuzione (meno del 10% delle perdite totali) e per comandare
organi accessori come le pompe dell'olio e dell'acqua e il generatore di corrente. Di entità
rilevante possono diventare agli alti regimi le perdite dovute allo "sbattimento" ossia a
quello che, in modo indubbiamente efficace, i tedeschi chiamano Oilbremse (freno olio).
Gli imbiellaggi che lavorano su cuscinetti volventi danno luogo a un miglior rendimento
meccanico rispetto a quelli con cuscinetti a strisciamento (bronzine); ciò avviene anche (e
soprattutto) perché i primi richiedono pompe dell'olio con portata assai minore e perché
nel circuito di lubrificazione la pressione è molto più bassa (l'assorbimento di potenza da
parte della pompa è quindi nettamente inferiore). Nei moderni motori a quattro tempi di
prestazioni assai elevate si impiegano pistoni con mantello di estensione molto ridotta
(altezza contenuta, ampie "sfiancature" laterali) non solo per diminuire le masse in moto
alterno ma anche per limitare gli attriti. Pure l'adozione di segmenti di altezza ridotta è
vantaggiosa ai fini del rendimento meccanico. In alcuni motori da competizione si
utilizzano pistoni dotati di due soli segmenti (al posto degli usuali tre) per diminuire le
perdite meccaniche; nei due tempi da corsa si adotta un segmento solo. Essenziali ai fini
del rendimento meccanico sono l'accuratezza delle lavorazioni, la geometria dei
componenti e la precisione di montaggio. Piccoli errori di "quadratura" delle bielle
(parallelismo tra gli assi dei due occhi) ad esempio, possono determinare perdite per
attrito di entità cospicua, specialmente nei motori veloci. Oltre al motore, anche la
trasmissione è caratterizzata da un suo rendimento meccanico, costituito dal rapporto tra
la potenza disponibile all'uscita e quella che si ha in entrata. Vantaggiosi sono gli
ingranaggi a denti dritti e i cuscinetti volventi. Una frizione a secco in linea di massima
determina un rendimento meccanico della trasmissione migliore di quello che si ha con
una frizione a bagno d'olio (minori perdite per sbattimento). Tra una catena della
trasmissione finale correttamente lubrificata e un'altra "secca" o quasi vi è una sensibile
differenza di rendimento. Il prodotto tra il rendimento termico e quello meccanico
costituisce il rendimento globale (o complessivo) del motore, che indicativamente risulta
dell'ordine di 0,28í 0,32 per i quattro tempi e di 0,20í 0,22 per i due tempi; esso è
inversamente proporzionale al consumo specifico, che quindi fornisce informazioni
affidabili sull'efficienza complessiva del propulsore.
9.
IL RENDIMENTO VOLUMETRICO
La potenza erogata dal motore, a parità di ogni altro parametro, è fondamentalmente
legata alla quantità di miscela aria-benzina che entra nei cilindri ad ogni ciclo. In altre
parole, essa risulta direttamente proporzionale al rendimento volumetrico. Quest'ultimo è
costituito dal rapporto tra la quantità di miscela carburata effettivamente aspirata nel
cilindro e quella che, a pressione e temperatura ambiente, occupa un volume pari a quello
generato dal pistone nel suo spostamento dal Punto morto superiore (PMS) al Punto
morto inferiore (PMI). Quanto maggiore è questo rendimento, tanto migliore risulta la
"respirazione" del motore. All'aumentare della quantità di miscela aria-benzina che ad ogni
ciclo viene immessa nei cilindri cresce l'energia termica sviluppata durante la
combustione; ogni fase utile risulta più "energetica" e la coppia prodotta dal motore (alla
quale è direttamente legata la potenza) risulta più elevata. Il rendimento volumetrico non è
costante ma varia al variare della velocità di rotazione. Il valore più elevato si raggiunge al
regime di coppia massima, dopo il quale la curva cala progressivamente. L'andamento di
questa curva viene determinato fondamentalmente dalla fasatura di distribuzione ma ha
una grande importanza anche la geometria del sistema di aspirazione; hanno una
influenza rilevante anche le caratteristiche del sistema di scarico. Variando il diagramma di
distribuzione, ovverosia gli anticipi di apertura e i ritardi di chiusura delle valvole rispetto ai
punti morti, cambia il regime al quale si ha la migliore "respirazione" del motore. Dalla
fasatura di distribuzione infatti dipende fondamentalmente il grado di "sfruttamento", ai vari
regimi, dell'inerzia delle colonne gassose (che viaggiano lungo i sistemi di aspirazione e di
scarico) ai fini del riempimento del cilindro. La chiave per ottenere il miglior rendimento
volumetrico in tutti i motori veloci è proprio da ricercare nello sfruttamento combinato
dell'inerzia dei gas e dei fenomeni "pulsatori" che hanno luogo all'interno dei condotti.
Eccezionale importanza assume quindi la geometria (lunghezza, diametro dei condotti,
forma delle prese d'aria, ecc...) dei sistemi di aspirazione e di scarico, ai quali in fase di
progetto e di messa a punto i tecnici di tutte le Case dedicano sempre la massima
attenzione. L'esasperata ricerca di potenze specifiche sempre più elevate, con motori che
ruotano sempre più in alto, unitamente all'esigenza di mantenere un accettabile campo di
utilizzazione pratica del propulsore (che, non lo si scordi, deve anche essere debitamente
silenziato) pone non pochi problemi ai costruttori proprio a livello di sistemi di distribuzione
e di complessi di aspirazione. Un problema di notevole portata è legato al tempo sempre
minore che i gas freschi hanno a disposizione per entrare nel cilindro mano a mano che la
velocità di rotazione aumenta. Infatti nei motori che raggiungono regimi di rotazione molto
elevati, ottenere rendimenti volumetrici assai alti è decisamente difficile. Quando sotto
questo aspetto si conseguono buoni risultati, il prezzo da pagare è costituito da un cattivo
riempimento ai regimi medio-bassi e da un sensibile restringimento del campo di
utilizzazione pratica. Se si vogliono ottenere potenze elevate è indispensabile non solo
che il motore raggiunga velocità di rotazione molto alte ma che al tempo stesso abbia una
buona "respirazione". Fondamentali risultano l'adozione di valvole di grande diametro, che
consentono di disporre di elevate sezioni di passaggio, e di condotti di aspirazione
dall'andamento più rettilineo possibile. Come già detto la lunghezza dei condotti di
aspirazione (distanza tra fungo della valvola e presa d'aria) è "critica" e va scelta tenendo
conto dei regimi di rotazione ai quali si vogliono avere la coppia e la potenza massima,
"accordandola" opportunamente anche con la fasatura della distribuzione. Naturalmente la
presa d'aria, ovverosia l'estremità del condotto, deve essere perfettamente libera da
ostruzioni. Nei motori da competizione, nei quali la durata del motore non è certo una voce
importante, si adottano prese d'aria a trombetta, di norma con margini debitamente
arrotondati, che respirano in un "polmone" (detto air-box), senza alcun filtraggio dell'aria
stessa. In quelli di serie, anche se molto sportivi, si impiegano invece efficaci filtri. Questi
ultimi devono avere una elevata efficienza, cioè devono essere in grado di trattenere
particelle anche di dimensioni molto piccole e devono presentare un grande potere di
accumulo, ma al tempo stesso devono offrire la minore resistenza possibile al passaggio
dell'aria. In molti motori moderni si impiegano filtri di grandi dimensioni (sovente del tipo a
pannello piano e non a "cartuccia") che vengono collocati in una zona del polmone di
aspirazione posta a una certa distanza dalle prese d'aria dei condotti. Nelle moderne moto
sportive il polmone viene alimentato tramite apposite tubazioni di rilevante diametro da
prese d'aria dinamiche poste nella parte anteriore della carenatura. Questa soluzione
permette di fare arrivare ai condotti aria fresca (e quindi più densa), con notevoli vantaggi
ai fini prestazionali (a parità di volume aspirato entra nei cilindri un maggior numero di
molecole di ossigeno). È interessante ricordare che in alcuni motori, sfruttando al meglio
l'inerzia dei pi e le onde di pressione, in una certa zona del campo di utilizzazione si
riescono ad ottenere rendimenti volumetrici anche superiori all'unità!
10.
PARAMETRI MOTORISTICI
A parità di regime di rotazione la velocità media del pistone (indice affidabile delle
sollecitazioni meccaniche alle quali sono sottoposti gli organi del manovellismo)
diminuisce al decrescere della corsa. Ciò vuol dire che, ferma restando la cilindrata,
adottando misure più "superquadre" (ossia un rapporto corsa/alesaggio minore), a parità
di sollecitazioni meccaniche è possibile raggiungere regimi di rotazione più elevati. E
questo logicamente è favorevole per quanto riguarda la potenza, legata direttamente al
prodotto tra la pressione media effettiva e la velocità di rotazione. Nei motori a quattro
tempi le valvole sono alloggiate nella testa ed è chiaro che aumentando l'alesaggio (per
mantenere inalterata la cilindrata occorrerà diminuire contemporaneamente la corsa) sarà
possibile installare valvole più grandi, a tutto vantaggio della "respirazione" del motore ai
regimi molto elevati. Infine l'albero a gomiti con una corsa minore può presentare un
maggior "ricoprimento" tra i perni di banco e quelli di biella, cosa positiva per la sua
rigidità. Si potrebbe pensare a questo punto che convenga sempre adottare alesaggi
molto superiori rispetto alla corsa. Le cose però non stanno esattamente in questi termini.
Come accade praticamente sempre, esiste infatti un rovescio della medaglia. In questo
caso è costituito dalle maggiori difficoltà che si incontrano per raggiungere rapporti di
compressione elevati, mantenendo una geometria vantaggiosa della camera di
combustione, man mano che si aumenta l'alesaggio a discapito della corsa; inoltre
progressivamente la camera diventa meno raccolta e questo porta a maggiori perdite di
calore. Diventa più difficile ottenere consumi contenuti e emissioni di idrocarburi molto
limitate. Questo (unitamente alla maggiore compattezza del propulsore) spiega perché tra
le autovetture di serie i motori a corsa lunga non solo sono molto diffusi ma dì recente
addirittura hanno riguadagnato terreno nei confronti di quelli molto "superquadri". Altri
svantaggi che si hanno con rapporti corsa/alesaggio molto ridotti sono un maggiore
ingombro trasversale del motore, un albero motore più lungo (i problemi legati alle
vibrazioni torsionali possono aumentare) e una maggiore distanza tra i supporti di banco.
Per concludere, sempre parlando di quattro tempi, se il motore è destinato ad avere una
potenza specifica molto elevata è vantaggioso comunque impiegare alesaggi nettamente
superiori alla corsa, anche se non si deve esagerare in tale direzione. Ben diversa è la
situazione per quanto riguarda i due tempi, nei quali non ci sono valvole in testa ma luci
nelle pareti del cilindro. Perché non ci si allontani mai in misura sensibile dalla soluzione
"quadra" è presto spiegato. Il carter-pompa così facendo non lavora più a' meglio e di
conseguenza la respirazione del motore ne soffre; inoltre anche per quanto riguarda le luci
del cilindro, i motori a corsa molto corta (rispetto all'alesaggio) risultano svantaggiati. Un
altro parametro motoristico importante è il rapporto tra lunghezza della biella (interasse
tra i due occhi) e la corsa. In alcuni propulsori motociclistici (tipico è il caso dei "mono" di
grossa cilindrata), per contenere l'ingombro in altezza di recente i costruttori hanno
adottato bielle molto corte rispetto alla corsa, al contrario di quanto sta avvenendo da
diversi anni nel campo dei motori di Formula Uno, ove le bielle sono sempre ben più
lunghe di due volte la corsa (quest'ultimo può essere considerato il valore di riferimento).
Una biella corta, a parità di corsa, si inclina maggiormente e quindi dà luogo a maggiori
spinte del pistone contro la parete del cilindro. Questo porta a perdite di attrito superiori.
Inoltre il pistone subisce accelerazioni maggiori, a parità di regime di rotazione, e di
conseguenza le sollecitazioni meccaniche risultano più elevate. Una biella corta può
essere meno pesante e più rigida ma una biella lunga si inclina di meno e consente
l'impiego di un pistone più leggero (le necessità di "guida" da parte del mantello sono
minori e quindi quest'ultimo può essere più basso). Inoltre, permanendo il pistone più a
lungo in prossimità del PMS, la combustione avviene più a volume costante, e questo è
vantaggioso ai fini del rendimento termico. Nei motori a due tempi c'è anche da tenere
presente che una biella corta, indicandosi in misura considerevole, tende a spingere il
pistone contro una parete nella quale sono praticate una o più luci (tipicamente il problema
sì ha con quella di scarico, ovviamente) con il risultato che i segmenti tendono se non
proprio ad incastrarsi, a penetrare comunque in una certa misura nella luce in questione e
a usurarsi con rapidità maggiore. Attualmente nei motori veloci si adottano bielle che
hanno una lunghezza pari a 2,0í 2,1 volte la corsa. Nei quattro tempi estremamente spinti,
ove non vi siano particolari problemi di ingombro, si va anche al di sopra di questi valori.
Nei motori a L e nei boxer per contenere gli ingombri si impiegano generalmente bielle con
una lunghezza dell'ordine di 1,8í 1,9 volte la corsa. Nei grossi mono addirittura qualche
costruttore è arrivato a scendere al di sotto di 1,7.
11.
ARCHITETTURE COSTRUTTIVE
Il panorama motociclistico attuale offre una gamma di architetture costruttive, per quanto
riguarda i motori, ampia come mai in precedenza. Anche se mancano esempi di propulsori
con i cilindri disposti in maniera non convenzionale (a stella, in tandem, a pistoni opposti),
tutte le altre possibilità che si presentano al progettista sono ben rappresentate. I
monocilindrici hanno, tanto per cominciare, il grande pregio della semplicità, che si
traduce in peso e ingombro contenuti, in facilità di intervento, per quanto riguarda la
manutenzione e le eventuali riparazioni., e naturalmente in costi ridotti. Proprio
quest'ultima voce ha una importanza preponderante nei veicoli di tipo più utilitario come gli
scooters e i ciclomotori. I punti deboli di questi motori sono costituiti dalle vibrazioni, che
possono essere attenuate, o anche eliminate pressoché completamente, solo ricorrendo
ad appositi equilibratori dinamici. Va anche detto che la potenza specifica ottenibile da un
motore cresce all'aumentare del numero dei cilindri. Questo si spiega con il fatto che, a
parità di cilindrata e di rapporto alesaggio/corsa, un motore più "frazionato" ha organi
mobili più leggeri (e a parità di regime di rotazione, velocità medie dei pistoni più basse).
Esso potrà quindi raggiungere regimi più alti (e la potenza è funzione del prodotto tra
coppia e velocità di rotazione!) pur mantenendo su valori analoghi le sollecitazioni
meccaniche. All'atto pratico i monocilindrici risultano senz'altro i propulsori più indicati per
le 125 e per le enduro (moto "essenziali" che devono avere pesi e ingombri contenuti e per
le quali le caratteristiche di erogazione del mono appaiono molto vantaggiose) con
cilindrata fino a 650 í 700 cm3 circa. I bicilindrici paralleli sono sensibilmente più larghi,
più costosi di fabbricazione e più pesanti dei mono ma consentono di ottenere potenze
specifiche più elevate. Vibrano però anch'essi a causa della loro architettura e questo
rende obbligatorio, da una certa cilindrata in su, l'impiego di equilibratori dinamici.
Interessanti vantaggi sotto l'aspetto dell'ingombro frontale offrono i bicilindrici a V, che
possono anche essere equilibrati in maniera assai efficace senza dovere ricorrere ad
alcun albero ausiliario. Sono motori relativamente leggeri e come i precedenti sì prestano
molto bene all'impiego in moto da enduro, nelle custom, in stradali di impostazione
granturistica e anche, come dimostrato dalla Ducati nelle ultrasportive. I bicilindrici boxer
sono dotati di una eccellente equilibratura "intrinseca" e consentono di disporre assai in
basso il baricentro del veicolo ma presentano dei limiti a causa di un ingombro non
favorevole per tutti i tipi di applicazione. Ottimi per le granturismo e per le enduro, non
sembrano esserlo altrettanto (la loro larghezza pone dei problemi per le ultrasportive.
Un'architettura molto interessante è quella che prevede l'impiego di tre cilindri in linea.
Questa soluzione costruttiva può essere considerata intermedia tra quella bicilindrica e
quella quadricilindrica in termini di prestazioni, ingombri e costi di produzione. Questa
architettura, oggi impiegata dalla BMW nella K 75 (che ha i cilindri in linea ma disposti
longitudinalmente e coricati orizzontalmente, cioè "a sogliola") e dalla Triumph (in linea
praticamente), risulta sicuramente adatta a macchine sia da granturismo che sportive. Per
le enduro, però, peso e dimensioni cominciano a diventare davvero eccessivi. I
quadricilindrici sono motori destinati in pratica esclusivamente alle moto stradali sia di
impostazione granturistica che sportiva (e non manca neppure qualche esempio di
custom). Consentono di ottenere potenze molto elevate e di avere una equilibratura più
che buona. Il rovescio della medaglia è costituito da un peso e un ingombro considerevoli
e da costi di produzione elevati. Quando i cilindri sono in linea trasversale e la cilindrata è
cospicua, per ridurre la larghezza del motore si dispongono vari organi "accessori" (come
il generatore di corrente, etc.) sul dorso del basamento comandandoli talvolta mediante
alberi ausiliari. Una interessante alternativa, che però porta inevitabilmente ad un
interasse piuttosto elevato, anche se può assicurare qualche vantaggio in termini di
distanza dal suolo del baricentro, è quella che prevede i cilindri orizzontali e in linea
longitudinale (architettura "a sogliola", impiegata sulle BMW serie K). Disponendo i cilindri
a V è possibile contenere notevolmente la larghezza del motore ma l'equilibratura può
risultare leggermente peggiore rispetto alla soluzione in linea. Quando invece i cilindri
sono contrapposti l'equilibratura è eccellente; questa architettura però sembra prestarsi
bene solo a moto di impostazione granturistica. Scomparsi dalla scena i sei cilindri in linea
a suo tempo prodotti dalla Kawasaki, dalla Honda e dalla Benelli, l'unico motore ad avere
oggi questo frazionamento, decisamente favorevole sotto il profilo delle prestazioni di
punta e della equilibratura ma non altrettanto per quanto riguarda ingombro, peso e costi,
è il GL 1500 Honda a cilindri contrapposti. Anche in questo caso la soluzione sembra
sposarsi davvero bene solo con una granturismo di rilevanti dimensioni complessive come
è appunto questa ammiraglia giapponese. Davvero molto interessante appare infine
l'architettura a Otto cilindri a V di 900 (utilizzata nella recentissima Morbidelli stradale) che
consente di ottenere un motore perfettamente equilibrato e in grado di erogare potenze
specifiche eccezionalmente alte, anche se con complessità e costi di produzione
decisamente elevati.
12.
L'EQUILIBRATURA DEI MOTORI
Fino a non molti anni fa le moto più o meno afflitte seriamente da vibrazioni non erano
poche. Il problema in particolare riguardava quelle azionate da propulsori di architettura
più semplice, ovverosia i monocilindrici e i bicilindrici paralleli, specialmente se di rilevante
cilindrata e di impostazione sportiva (e quindi destinati a girare piuttosto in alto. Per
spiegare in maniera semplice e schematica perché in certi motori si generano
inevitabilmente vibrazioni di entità anche assai considerevole conviene prendere ad
esempio, tanto per cominciare, l'architettura più essenziale ovverosia quella che prevede
un solo cilindro. È chiaro che durante la sua rotazione l'albero a gomiti deve risultare
equilibrato; in caso contrario infatti è inevitabile la creazione di vibrazioni (come può
constatare chiunque abbia a che fare con una ruota non bilanciata). Ad un lato dell'albero
sono però vincolati dei componenti animati da moto alterno (il pistone e lo spinotto) più un
altro organo il cui moto è "intermedio" tra quello rettilineo alternato e quello di rotazione
ovverosia la biella. Si potrebbe pensare che per ottenere una buona equilibratura sia sul
sufficiente dotare l'albero, dalla parte opposta a quella del perno di manovella, di un paio
di contrappesi di massa adeguata. A questo punto occorre individuare qual è questa
massa "adeguata". Tanto per cominciare, infatti, i contrappesi dovranno equilibrare le
masse rotanti presenti dalla parte opposta dell'albero, ovverosia il perno di manovella e
parte della biella. Per bilanciare le forze create da una massa rotante basta infatti disporre
in posizione diametralmente opposta un'altra massa identica (alla medesima distanza
dall'asse di rotazione). Il guaio è che oltre alle forze create dalle masse in rotazione è
necessario equilibrare quelle dì inerzia, dovute alle parti in moto alterno. Queste forze,
purtroppo. al contrario delle altre (centrifughe), non sono costanti durante la rotazione
dell'albero ma cambiano continuamente e sono sempre dirette lungo l'asse del cilindro. La
contrappesatura, invece, è costante e agisce sempre in direzione opposta alla manovella.
Per questo motivo, mentre come già detto è possibile equilibrare le forze create dalle
masse in rotazione, non è possibile bilanciare quelle dovute alle forze d'inerzia. L'adozione
di contrappesi determina infatti la creazione di forze esuberanti per certe posizioni del
perno di biella e insufficienti per altre. Se la controppesatura equilibrasse al 100% le forze
che sì hanno allorché il pistone è al Punto Morto Superiore, in tutte le altre posizioni,
durante la rotazione dell'albero, essa darebbe luogo a forze di entità decisamente
superiori rispetto a quelle che dovrebbe bilanciare creando perciò delle vibrazioni di entità
rilevante. Per tale ragione si ricorre sempre a una soluzione di compromesso per quanto
riguarda la controppesatura dell'albero. Se questo, però, poteva risultare soddisfacente
fino a qualche anno fa. oggi non è più accettabile e per eliminare le vibrazioni moleste si è
standardizzata, nelle moto stradali, l'adozione di alberi ausiliari di equilibratura. In genere
si ricorre ad un singolo albero, dotato di una massa eccentrica, che ruota in senso opposto
rispetto all'albero a gomito, con identica velocità (e opportunamente "fasato", come logico).
Per comandarlo si fa di norma ricorso a una coppia di ingranaggi dei quali almeno uno di
tipo elastico e quindi in grado di agire come un efficace parastrappi che riduce gli urti tra i
denti e elimina la rumorosità. Alcuni costruttori addirittura impiegano due alberi ed in tal
caso il comando è in genere del tipo a catena. Molto interessante è la soluzione adottata
nella Ducati Supermono, con equilibratore dinamico costituito da una biella ausiliaria
(disposta a 90° rispetto a quella principale e guidata al piede da un biscottino oscillante).
Nei bicilindrici paralleli l'albero può avere le manovelle perfettamente allineate (ovverosia a
360°) oppure disposte a 180°. In questo secondo caso quando un pistone va al PMS l'altro
va al PMI e viceversa. Si potrebbe perciò pensare ad un'equilibratura eccellente ma le
cose non stanno proprio così perché gli assi dei due cilindri sono relativamente lontani
l'uno dall'altro e di conseguenza si crea una coppia di entità tutt'altro che trascurabile, che
tende a fare oscillare trasversalmente il motore. Inoltre occorre anche considerare le forze
del secondo ordine, derivanti dal fatto che la biella non ha una lunghezza infinita e che si
inclina durante la rotazione dell'albero. Questo determina accelerazioni differenti allorché il
pistone parte dal PMS e allorché parte dal PMI (la velocità massima infatti tale
componente non la raggiunge quando la manovella è a 90° rispetto ai due punti morti ma
in posizione sensibilmente più vicina al PMS. Queste forze ovviamente in un bicilindrico
parallelo (come del resto in molti altri motori, a cominciare pure in questo caso dal
monocilindrico non sono affatto equilibrate e, anche se di entità decisamente inferiore
rispetto a quelle del primo ordine (delle quali si è parlato prima) contribuiscono in buona
misura alla creazione di vibrazioni più che avvertibili. Nei moderni bicilindrici paralleli con
manovelle sia a 360° (nei quali la situazione è analoga a quella dei monocilindrici) che a
180° si ricorre di norma ad alberi ausiliari di equilibratura. Assai buona è la situazione,
sotto il profilo della bilanciatura, per quanto riguarda invece i bicilindrici a V di 90° e ancora
migliore nei bicilindrici contrapposti. In alcuni motori a due tempi bicilindrici a V di 900 la
considerevole distanza tra i due perni di manovella ha reso opportuno l'impiego di un
piccolo albero ausiliario per equilibrare la coppia perturbatrice. Mano a mano che la V si
restringe, se le due bielle lavorano affiancate su di un unico perno di manovella lo
squilibrio del motore tende ad aumentare (e con esso le vibrazioni). Questo ha portato alla
realizzazione di alberi con i perni di manovella sfalsati che consentono di ottenere un
funzionamento esente da vibrazioni fastidiose. La formula da impiegare è X = 180° - 2α ,
ove X è lo sfasamento da impiegare (in gradi) ed α l'angolo tra gli assi dei due cilindri. Di
norma i due perni di manovella sfalsati (la soluzione si presta ad essere impiegata
ovviamente solo con gli alberi monolitici) sono separati da uno stretto volantino non
supportato. Non mancano esempi di bicilindrici a V stretto dotati di un albero ausiliario di
equilibratura; in essi le due bielle lavorano affiancate sull'unico perno di manovella. I
tricilindrici in linea sono motori discretamente equilibrati; per gli standard moderni il loro
livello di bilanciatura può non risultare però soddisfacente. Sulla BMW K 75 e sulle
Triumph viene impiegato infatti un albero ausiliario di equilibratura. Ancora migliore è la
situazione per i quadricilindrici; alcuni "quattro" in linea dì grossa cilindrata sono comunque
stati dotati dal costruttore di un albero ausiliario che ha la sola funzione di equilibrare le
forze del secondo ordine (si tratta quindi di un'autentica raffinatezza) . Ricordiamo che in
un motore a quattro cilindri in linea le forze del primo ordine sono perfettamente equilibrate
perché mentre due pistoni salgono gli altri due scendono. Il movimento di questi organi e
delle relative bielle però non è perfettamente eguale9 perché i due pistoni che scendono,
quando i perni di manovella hanno percorso 90° dalla posizione di PMS, hanno compiuto
più di metà della corsa, a differenza dei due pistoni che salgono. Ecco perché in alcuni
quattro cilindri in linea di grossa cilindrata particolarmente sofisticati, i costruttori
impiegano un piccolo albero ausiliario di equilibratura; sconfinando in campo
automobilistico, addirittura Case come la Lancia e la Porsche per alcune loro realizzazioni
di grande prestigio fanno ricorso a due alberi ausiliari. Una importanza fondamentale nella
lotta alle vibrazioni l'hanno non solo la rigidità del basamento del motore ma anche la
disposizione degli attacchi del telaio e la loro conformazione. Nei monocilindrici di rilevante
cilindrata ad esempio, in genere si cerca di fissare al telaio (in maniera non
particolarmente rigida, però!) anche la testata, benché il basamento sia vincolato più che
saldamente, per evitare che essa possa "oscillare" tendendo così ad amplificare le
vibrazioni. In vari casi in uno o due degli attacchi al telaio sì impiegano delle bussole di
gomma (silent-block) in grado di assicurare al tempo stesso un ancoraggio saldo ma non
rigido. Le dimensioni e la disposizione di questi silent-block possono essere critiche e
vengono determinate sperimentalmente con grande accuratezza così come può essere
critica anche la coppia di serraggio degli organi di unione filettati. Nei motori Honda CBR
600 e 900 gli attacchi anteriori al telaio sono ricavati nella parte superiore del blocco
cilindri e quest'ultimo è ricavato nella stessa fusione del semicarter superiore. Sarebbero
potuti essere disposti in eguale posizione anche con un blocco cilindri amovibile ma sì
sarebbe trattato di una soluzione meno apprezzabile sotto l'aspetto meccanico, con gran
parte delle sollecitazioni che si sarebbero andate a scaricare sui prigionieri (e per la
presenza di una superficie di unione munita di guarnizione).
13.
LA TESTATA
A chiudere l'estremità del cilindro opposta alla camera di manovella (ossia all'albero a
gomito) provvede la testa, detta anche testata. Quest'organo nei motori a due tempi è
semplicissimo poiché si riduce in pratica a una sorta di vero e proprio coperchio del
cilindro mentre in quelli a quattro risulta di geometria molto più complessa dato che deve
ospitare i condotti attraverso i quali passano la miscela aria-benzina che viene aspirata nel
cilindro stesso e i gas combusti (condotti di aspirazione e di scarico), oltre a vari organi
della distribuzione, a cominciare dalle valvole e dalle relative molle di richiamo. Nella parte
della testata opposta al cilindro vengono installati i bilancieri di comando delle valvole, ove
presenti; in vari casi questi componenti vengono vincolati al coperchio della testa stessa.
Quando la distribuzione è monoalbero o bialbero, nella parte della testata opposta al
cilindro trovano posto rispettivamente uno o due alberi a camme. In alcuni casi si ricorre a
un "sopratesta" (che viene imbullonato superiormente alla testata) nel quale vengono
ricavati gli alloggiamenti per le punterie a bicchiere e i supporti per gli alberi a camme. Le
testate per motori raffreddati ad aria vengono dotate esternamente di numerose alette
aventi la funzione di aumentare la superficie che viene lambita dal vento della corsa
(attraverso la quale viene smaltito il calore). Inoltre vengono in genere praticati passaggi
aria in corrispondenza delle zone più sollecitate o comunque critiche (come ad esempio in
prossimità dei condotti di scarico. delle candele. etc...). Nei motori raffreddati ad acqua
invece la testata è realizzata in modo da presentare varie intercapedini per il passaggio
del liquido refrigerante. Le testate vengono ottenute per fusione in lega di alluminio.
materiale leggero, dotato di discrete caratteristiche meccaniche e. cosa di grande
importanza, di una elevata conduttività termica. Nella parte della testata rivolta verso il
cilindro viene ricavata la camera di combustione (solo in qualche rarissimo caso essa è
ricavata nel cielo del pistone.'). Gli steli delle valvole vengono guidati nel loro movimento
rettilineo alternato da bussole in ghisa o in bronzo, inserite nella testata con un certo
forzamento (accoppiamento con interferenza). Anche le sedi delle valvole sono ricavate in
appositi inserti anulari (di ghisa, acciaio o bronzo), che vengono riportati nella testata con
interferenza. La progettazione di una testata per motore a quattro tempi, specialmente se
policilindrico, è tutt'altro che agevole anche perché occorre valutare con grande
accuratezza la distribuzione delle temperature una volta a regime e durante i transitori
(fase di riscaldamento). al fine di evitare ogni rischio di distorsioni. L'ermeticità tra testata e
cilindro viene di norma assicurata da una apposita guarnizione. Solo in alcuni
monocilindrici o bicilindrici a V ci si affida al contatto diretto tra materiale della testa o
materiale del cilindro. in genere con l'ausilio ulteriore di un anello di tenuta tipo o-ring in
gomma sintetica. Mentre nei policilindrici a quattro tempi dì norma una sola testa serve
l'intera "bancata" di cilindri, nei due tempi si fa spesso ricorso a teste singole. Come già
detto. nei 2T la testata è invariabilmente assai semplice come geometria. al punto che in
alcuni casi (motori da corsa), è possibile ricavarla dal pieno senza particolari difficoltà.
Certi motori utilizzano una testata in due parti costituite da una calotta che chiude
l'estremità della canna cilindro e da un coperchio sommitale; tra questi due componenti
viene ricavato un vano nel quale circola il liquido di raffreddamento.
14.
LA DISTRIBUZIONE
Nel campo dei sistemi di comando delle valvole, accanto a schemi-base ormai saldamente
consolidati, come quello che prevede l'impiego di due alberi a camme in testa per i motori
che raggiungono regimi di rotazione particolarmente elevati e che sono chiamati ad
erogare potenze specifiche molto alte, troviamo interessanti soluzioni "alternative" a livello
di dettagli (sempre assai significativi però!) e talvolta anche a livello di tecnologia
costruttiva. Fino al termine degli anni Sessanta, quasi tutti i propulsori di serie erano dotati
di distribuzione ad aste e bilancieri, con un unico albero a camme (assai più raramente
due) nel basamento, che veniva azionato dall'albero a gomiti tramite una coppia di
ingranaggi o, meno frequentemente, una corta catena a rulli. Gli eccentrici muovevano le
aste della distribuzione (quasi sempre in lega di alluminio con puntalini di estremità
riportati in ghisa o in acciaio) agendo su punterie a piattello, a pattino arcuato o a
bicchiere; in non pochi casi però al posto di queste ultime venivano impiegati bilancieri a
dito. I limiti di questo sistema di distribuzione, come noto, sono costituiti dalla difficoltà di
raggiungere velocità di rotazione molto elevate a causa della considerevole inerzia dei
componenti in moto alterno (puntene, aste e bilancieri, oltre alle valvole) e dalla
impossibilità di ottenere una elevata rigidità del complessivo di comando (ossia di tutti gli
organi in questione. In particolare la presenza di aste piuttosto lunghe (e quindi piuttosto
flessibili, oltre che pesanti) può creare seri problemi in quanto rende difficoltoso
l'ottenimento della "legge" del moto delle valvole previsto in fase di progetto (gli
scostamenti possono essere di entità non trascurabile!). Attualmente la distribuzione ad
aste e bilancieri viene impiegata in pratica solo in alcuni motori dotati di una architettura
tale da rendere questa soluzione favorevole sotto il profilo della semplicità dì costruzione e
del contenimento dei costi, come ad esempio in alcuni bicilindrici a V (con albero a camme
posto praticamente al centro della V stessa e con aste piuttosto corte), e in alcuni
bicilindrici contrapposti. Dì una ampia diffusione godono oggi le distribuzioni monoalbero,
adottate in quasi tutti i monocilindrici da enduro e in vari bicilindrici a V stretto. Rispetto ai
più complessi (e costosi bialbero, i motori monoalbero presentano una testata di
dimensioni più contenute ("voce" che può essere importante nel caso ad esempio di alcuni
bicilindrici a V). Naturalmente l'inerzia degli organi in moto alterno è leggermente maggiore
e quindi questi propulsori risultano meno adatti al raggiungimento di velocità di rotazione
particolarmente elevate (è per questo motivo che non vengono praticamente più impiegati
per i policilindrici supersportivi). Gli eccentrici azionano le valvole agendo su bilancieri a
due bracci (che diventano tre quando ogni bilanciere deve azionare una coppia di valvole).
Nei motori con distribuzione bialbero invece le soluzioni impiegate sono essenzialmente
due, che possono però venire realizzate secondo schemi leggermente diversi: gli
eccentrici infatti possono azionare le valvole agendo su punterie a bicchiere oppure su
bilancieri a dito. Nel primo caso per regolare il gioco delle valvole si utilizzano pastiglie
calibrate che possono essere collocate superioramente alle punterie oppure inferiormente
ad esse (quest'ultima soluzione consente di ridurre al minimo la massa degli organi in
moto alterno, ma rende necessaria la rimozione degli alberi a camme per sostituire le
pastiglie stesse). Quando invece si utilizzano bilancieri a dito, si può ricorrere a registri
filettati. fissati alle estremità (dei bilancieri stessi) che contattano lo stelo delle valvole; una
lieve riduzione della massa in moto alterno è ottenibile ricorrendo a fulcri sferici
incorporanti il registro filettato per la regolazione del gioco, come sui motori delle Honda
CBR 1000. Molto interessante infine è l'adozione di pastiglie calibrate poste superiormente
agli steli delle valvole, agevolmente sostituibili dopo aver sposato lateralmente i bilancieri a
dito. Contrariamente a quanto avvenuto in campo automobilistico negli ultimi anni, nei
motori motociclistici di elevate prestazioni prodotti in serie le punterie idrauliche non si
sono affermate. Le utilizzano invece i bicilindrici Harlev-Davidson. Hanno trovato un certo
impiego in propulsori "turistici" (tipo il sei cilindri boxer Honda) alcuni dispositivi idraulici
telescopici che, agendo sugli assi dei bilancieri (ma talvolta essi stessi sono dotati di fulcri
a testa sferica), consentono di riprendere in maniera completamente automatica il gioco
delle valvole. Si tratta in questi casi dì organi fissi e non animati da moto alterno come le
punterie. La ricerca della maggiore compattezza possibile ha portato i progettisti della
BMW a scegliere una soluzione davvero inconsueta per i loro recentissimi boxer a quattro
valvole per cilindro, ovverosia quella dell'albero a camme singolo per ogni testata,
collocato lateralmente (o meglio al dì sotto) rispetto alla camera di combustione. In questo
caso gli eccentrici azionano le valvole agendo su punterie a bicchiere, aste ridotte a
semplici puntalini e bilancieri a tre bracci (uno per ogni coppia di valvole). Il risultato è un
sistema di comando delle valvole con parti mobili di peso ridotto e di elevata rigidità. Non
siamo ai livelli delle distribuzioni bialbero, sotto questo aspetto, ma in un motore a cilindri
orizzontali contrapposti è vitale che l'ingombro delle testate sia ridotto al minimo per
evitare il rischio di contatti con l'asfalto in piega. Una strada analoga è stata seguita anche
dalla Guzzi per la Daytona 1000. Distribuzioni Desmodromiche - Dopo essere stata la
prima, nel settore motociclistico, ad impiegare con successo una distribuzione
desmodromica in campo agonistico (nella seconda metà degli anni Cinquanta), la Ducati
ha successivamente fatto ricorso (unica casa al mondo) anche per i suoi motori di serie a
questa soluzione, che sì è rivelata talmente valida da venire impiegata da oltre un
ventennio su tutta la sua produzione. Va subito detto che il sistema adottato nei motori dì
serie fino alla presentazione della 851 prevedeva l'impiego di un solo albero a camme in
testa (mentre nelle Ducati da competizione di una volta ne venivano impiegati ben tre, con
una complessità meccanica sensibilmente maggiore). Sui motori a due valvole per cilindro
l'unico albero a camme di ogni testata è dotato di quattro eccentrici; due di essi hanno una
conformazione convenzionale e provvedono quindi a fare aprire le valvole stesse agendo
su bilancieri a due bracci praticamente uguali a quelli di qualunque altro motore. I due
eccentrici di chiusura hanno una forma "complementare" rispetto a quelli di apertura;
ciascuno di essi aziona un bilanciere a due bracci, uno dei quali è dotato di una estremità
a forchetta, che va ad agire su di un collarino solidale con lo stelo della valvola e provvede
a riportare quest'ultima dalla posizione di massima apertura fino a una ridottissima
distanza (qualche centesimo di millimetro) dalla sede. La chiusura definitiva viene ottenuta
ai bassi regimi grazie all'azione di una molla ausiliaria avente carico assai ridotto e, agli
alti, sfruttando anche l'inerzia della valvola stessa e la pressione dei gas. Grazie alla
distribuzione desmodromica vengono eliminate le tradizionali molle; le valvole, infatti, non
vengono richiamate elasticamente ma meccanicamente, cosa alla quale appunto
provvedono nei propulsori Ducati i bilancieri di chiusura, collocati in basso e "rovesciati"
rispetto a quelli di apertura. Il fatto che essi non riportino le valvole esattamente a contatto
con le sedi si spiega con la necessità di evitare il rischio che, a causa delle differenti
dilatazioni che i vari componenti subiscono durante il funzionamento, si possa arrivare in
qualche caso ad avere il fungo valvola già appoggiato contro la sede mentre il bilanciere
ancora lo sta "tirando" indietro! In tal caso si verificherebbero sollecitazioni meccaniche
elevatissime e sì andrebbe incontro a rapida usura e probabilmente al cedimento dei
bilancieri o addirittura delle stesse valvole. Nei motori Ducati raffreddati ad acqua con
distribuzione bialbero gli eccentrici di apertura agiscono su bilancieri a dito. La
realizzazione di una efficiente ed affidabile distribuzione desmodromica richiede una
grande abilità nella progettazione e al tempo stesso lavorazioni estremamente accurate.
Anche il montaggio delle teste e del complesso della distribuzione e gli eventuali interventi
riparativi necessitano di una considerevole abilità da parte del meccanico. Grazie al
sistema desmodromico di richiamo delle valvole queste ultime possono essere guidate
con estrema precisione ed il loro movimento non si scosta da quello previsto in sede di
progetto nemmeno ai regimi più elevati. Inoltre viene ovviamente eliminata la possibilità
che, in seguito, ad esempio, a una sfollata o a una staccata al limite si possa verificare lo
sfarfallamento delle valvole (che non di rado può avere conseguenze catastrofiche per
l'integrità del motore). Infine le valvole possono essere aperte e richiuse con una maggiore
rapidità, il che vuole dire che si può disporre dì sezioni di passaggio per i gas decisamente
cospicue anche solo pochi gradì dopo l'inizio dell'apertura delle valvole stesse, a tutto
vantaggio della respirazione del motore. Contrariamente a quanto si potrebbe forse
pensare. la distribuzione desmodromica non determina avvertibili miglioramenti del
rendimento meccanico in quanto la potenza assorbita per il suo azionamento agli alti
regimi non si discosta in misura sensibile da quella assorbita da una distribuzione di tipo
tradizionale. Albero a camme e sistemi di comando - Senza alcun dubbio l'albero a
camme è uno dei componenti meno "appariscenti" del motore. Al contrario di organi come
i pistoni e le bielle,, che hanno una conformazione che "parla" di potenza e di sollecitazioni
e che colpisce la fantasia in misura tale che c'è persino chi ne fa collezione. gli alberi a
camme sembrano tutti uguali e in fondo non hanno proprio nulla di particolarmente
attraente. Eppure il "carattere" di qualunque motore a quattro tempi dipende in misura
fondamentale proprio dal profilo degli eccentrici dei quali questo albero è dotato.
Sostituendo un albero a camme con un altro dotato di eccentrici di differente profilo si
modifica la curva di erogazione (e quindi la vera e propria personalità di un motore), assai
più che cambiando le caratteristiche dei sistemi di aspirazione e di scarico (pure essi ad
ogni modo importantissimi). La geometria delle camme, che va sempre presa in
considerazione unitamente a quella degli organi sui quali esse agiscono. determina non
solo i punti di inizio apertura e di fine chiusura delle valvole di aspirazione e di scarico
(cioè la fasatura di distribuzione) ma anche la "legge" del moto delle valvole stesse (e
quindi la velocità di sollevamento della sede e l'alzata massima). La "respirazione" del
motore ai differenti regimi di rotazione dipende perciò fondamentalmente proprio dal profilo
delle camme. Queste ultime possono agire su punterie (organi animati da moto rettilineo
alternato che scorrono entro apposite sedi cilindriche aventi la funzione di guide) oppure
su bilancieri, sia del tipo a due bracci che a dito. La parte della punteria sulla quale va a
lavorare l'eccentrico è generalmente piana (in qualche caso può però essere bombata).
Quando sì impiegano invece dei bilancieri, la zona di contatto con l'eccentrico assume di
norma una conformazione a pattino arcuato. Non mancano comunque importanti esempi
di bilancieri che al posto del pattino sono dotati di un rullo (KTM, Husquarna. Husaberg).
Quest'ultima soluzione viene usualmente preferita quando si vuole evitare ogni rischio di
usura precoce in motori nei quali viene inviata alla testata una quantità relativamente
contenuta di olio. Vengono impiegate punterie dotate di un rullo solo in alcuni motori dì
fabbricazione Harley-Davidson con distribuzione ad aste e bilancieri. I sistemi utilizzati per
azionare gli alberi a camme, indipendentemente dal fatto che essi siano alloggiati nel
basamento o nella testata, sono fondamentalmente tre. Abbandonato infatti lo schema ad
alberello ausiliario e coppie di ingranaggi conici, che pure tanta diffusione ha avuto in
passato e che la nostra Ducati è stata l'ultima ad utilizzare (fino alla prima metà degli anni
Ottanta), oggi si impiegano invariabilmente catene (è questa la soluzione di gran lunga più
comune). cinghie dentata oppure, in qualche raro caso, cascate di ingranaggi. Il sistema
meno costoso e sul quale è più facile intervenire è sicuramente quello a cinghia dentata,
caratterizzato anche da una eccellente silenziosità di funzionamento. Il rovescio della
medaglia è costituito da un ingombro in larghezza notevolmente superiore rispetto alle
catene e agli ingranaggi, dalla necessità di sostituzioni periodiche relativamente frequenti
e dalla impossibilità di scendere oltre un certo raggio minimo di curvatura per quanto
riguarda le pulegge dentate sulle quali la cinghia si avvolge. I sistemi di tensionamento
sono semplicissimì. Va anche detto che le cinghie dentate non solo non necessitano di
alcuna lubrificazione ma anzi non devono entrare in contatto con olio, grasso o altri
derivati del petrolio. Le catene sono assai più strette delle cinghie e richiedono una
adeguata lubrificazione (oltre all'impiego di tenditori più complessi e costosi e di guide
antisbattimento). Per questo possono essere installate tra due cilindri adiacenti (per le
cinghie è praticamente obbligatoria invece una disposizione laterale. Le catene a rulli, in
seguito alla inevitabile usura che con il passare dei chilometri si verifica internamente alle
articolazioni, tendono ad allungarsi, ad avere un funzionamento rumoroso e a lavorare in
maniera non corretta sulle ruote dentate. Le catene Morse, anche se hanno subito un
certo allungamento in seguito all'usura, lavorano sempre correttamente su pignone e
corona e rimangono silenziose durante il funzionamento. Rispetto alle catene a rulli però,
a parità di coppia da trasmettere, sono leggermente più pesanti e quindi risentono in
misura un poco maggiore degli effetti della forza centrifuga. Il sistema indubbiamente più
indicato per motori che lavorano a regimi di rotazione eccezionalmente elevati sembra
essere quello a ingranaggi. Oltre a una affidabilità totale e alla assenza di qualunque
esigenza in fatto di manutenzione, questi organi, che non risentono in alcun modo della
forza centrifuga, hanno una durata uguale a quella del motore, al contrario delle catene
che devono comunque essere sostituite di quando in quando (seppure con frequenza
molto minore rispetto alle cinghie. Gli ingranaggi sono però costosi e difficili da silenziare.
Un'altra particolarità di questi organi è costituita dalla maggiore precisione con la quale
consentono di rispettare la fasatura di distribuzione prevista in fase di progetto. A causa
della irregolarità che caratterizza la rotazione degli alberi a camme infatti, sia con le
catene, che in misura ancora più sensibile con le cinghie, tendono a verificarsi delle
"oscillazioni" durante il funzionamento del motore che determinano una sia pur lieve
"erraticità" nella fasatura con punti di inizio apertura e fine chiusura che si possono
scostare in una certa misura rispetto a quelli previsti, almeno a certi regimi.
15.
LE TESTATE PLURIVALVOLE
in merito al fatto che oramai in qualunque motore motociclistico a quattro tempi di elevate
prestazioni sia assolutamente d'obbligo impiegare quattro valvole per cilindro (o addirittura
cinque), nessuno può avere alcun dubbio. Questa soluzione viene impiegata
universalmente anche in campo auto per i modelli più spinti ed è standard da oltre venti
anni a questa parte per le vetture di Formula Uno. Adottando quattro valvole per cilindro è
possibile disporre di sezioni di passaggio maggiori (il che vuole dire che il motore può
"respirare" meglio agli alti regimi); inoltre diventano minori le masse in moto alterno e di
conseguenza il motore può raggiungere velocità più alte di quelle alle quali potrebbe
ruotare se impiegasse solo due valvole (ben più pesanti!). Anche questo si traduce
ovviamente in una potenza più elevata. Non solo, ma occorre anche tenere presente che
valvole di scarico più piccole smaltiscono più agevolmente il calore (e quindi lavorano a
temperature più basse e mostrano una minore tendenza a deformarsi). Infine, cosa di
grande importanza, adottando quattro valvole per ogni cilindro è possibile realizzare
camere di combustione di forma molto razionale, con basso rapporto superficie-volume,
candela disposta centralmente e controllo ottimale della turbolenza mediante ben disposte
aree di squish. Agli appassionati più esperti non sarà sfuggita la progressiva diminuzione
dell'angolo tra le valvole (o meglio, tra i due piani sui quali giacciono le due coppie di
valvole di ogni cilindro) che si è verificata negli ultimi anni. Essa si spiega con il desiderio
da parte dei tecnici dì ottenere camere sempre più compatte e dalla geometria molto
"pulita" e di realizzare condotti di aspirazione dall'andamento sempre più favorevole (ossia
quanto più rettilinei possibile). In linea di massima quanto minore è l'angolo tra l'asse del
condotto e l'asse della valvola. tanto minore è la curvatura della parte terminale del
condotto stesso e quindi tanto più agevole risulta la "respirazione" del motore ai regimi
estremamente elevati. Per quanto riguarda la geometria della camera si deve tenere
presente che, se l'angolo tra le valvole è cospicuo, per ottenere un elevato rapporto di
compressione diventa necessario adottare un pistone con cielo sensibilmente bombato
nella parte centrale e di conseguenza la geometria della camera si "deteriora"
allontanandosi dalla "pulizia" indispensabile per ottenere il miglior rendimento. L'adozione
di quattro valvole per cilindro si sposa ottimamente con il raffreddamento ad acqua;
quest'ultimo infatti permette dì refrigerare convenientemente anche zone poco accessibili
ma sicuramente "critiche" come quella tra le due sedi di scarico. Nei motori boxer BMW a
quattro valvole per cilindro è stato necessario fare ricorso a una intercapedine con
circolazione di olio in tale zona, perché il solo raffreddamento ad aria non dava adeguati
risultati in termini di asportazione del calore. Come logico, per ottenere le migliori
prestazioni si impiegano valvole di diametro rilevante, sfruttando in pratica tutto lo spazio a
disposizione. Questo ha portato addirittura in qualche caso (come nei più recenti motori
Suzuki quadricilindrici ad acqua), alla necessità di praticare delle fresature nella parte
superiore delle canne dei cilindri. Va comunque detto che la messa a punto fluidodinamica
di una testata è complessa e laboriosa in quanto nell'effettuarla occorre tenere conto dì
molti fattori, come la vicinanza tra i funghi delle valvole di aspirazione (se eccessiva, i due
flussi gassosi possono "disturbarsi" a vicenda). quella tra i funghi stessi e le pareti della
camera, ecc... Oltre ai fattori fin qui visti (dimensioni e disposizione delle valvole,
geometria dei condotti e della camera di combustione), ve ne è un altro di fondamentale
importanza, ossia la "legge" del moto della valvola. Non è soltanto importante infatti che le
valvole comincino ad aprirsi e finiscano di chiudersi nei momenti opportuni del ciclo (ossia
con gli adeguati anticipi e ritardi rispetto ai Punti Morti) al fine di sfruttare al meglio, ai
regimi previsti, i fenomeni pulsatori e l'inerzia delle colonne gassose nei condotti, ma è
anche indispensabile che esse si muovano secondo una "legge" accuratamente studiata.
Idealmente le valvole dovrebbero aprirsi con la massima velocità possibile (e lo stesso
dovrebbe avvenire in fase di chiusura). In effetti esistono però ben precisi limiti meccanici
per quanto riguarda le massime accelerazioni che si possono impartire alle valvole. Per
consentire il raggiungimento di regimi di rotazione eccezionalmente elevati, con leggi del
moto delle valvole molto "radicali", in alcuni motori automobilistici di Formula Uno si
impiegano molle pneumatiche. Non sempre l'obiettivo del progettista è quello di ottenere le
massime prestazioni in assoluto; in numerosi casi infatti può essere più importante
disporre di un ampio campo di utilizzazione, ossia di un ottimo "tiro" per un esteso arco di
regimi. Talvolta inoltre, in fase di progettazione si deve tenere conto di vincoli ben precisi.
E tipico il caso di motori, come i recenti BMW bicilindrici a quattro valvole, nel quale non è
possibile impiegare una distribuzione del classico tipo bialbero perché essa porterebbe a
un inaccettabile ingombro delle testate. E interessante osservare come le valvole di
aspirazione del bicilindrico BMW di 1100 cm3 siano più grandi di quelle del Ducati 888
"standard" (tanto per fare un esempio) e che, data l'alzata leggermente maggiore, la
sezione massima di passaggio risulti superiore di circa il 20%. Nonostante questo, la
"respirazione" agli alti regimi del motore italiano (studiato specificamente in questa ottica,
non lo si dimentichi!) risulta migliore grazie alla adozione di condotti pressoché rettilinei
(quelli del BMW presentano una notevole curvatura, resa necessaria dalla architettura
stessa del motore e dalla presenza delle gambe del pilota) e alla maggiore "permanenza"
delle valvole di aspirazione ad alzate considerevoli. In altre parole se la sezione di
passaggio massima è minore, quella media è maggiore!
16.
LE VALVOLE A FUNGO
Nei motori a quattro tempi. come noto. il passaggio dei gas che entrano nel cilindro e che.
dopo aver preso parte alla combustione. fuoriescono da esso. viene controllato dalle
valvole. In effetti questo termine è piuttosto generico e viene impiegato per indicare in
pratica tutti i dispositivi impiegati per regolare il passaggio di fluidi all'interno di
canalizzazioni. etc... Quando si parla però di "valvole" nei motori a quattro tempi sì
intendono sempre quelle a fungo. Benché apparentemente le valvole a fungo possano
sembrare organi estremamente semplici. sono stati necessari enormi progressi in campo
metallurgico e molti anni di studio e di sperimentazioni per poter ottenere la formidabile
affidabilità e l'eccezionale durata che caratterizzano quelle prodotte attualmente. In effetti il
compito che le valvole devono svolgere è veramente arduo a causa del continuo
succedersi di rapidissime aperture e chiusure in un ambiente estremamente "ostile". In
particolare le valvole di scarico, lambite direttamente dai gas combusti. sono costrette a
lavorare in presenza di stress termici rilevantissimi (possono superare temperature
dell'ordine di 850 0C!) e sono sottoposte a un vigoroso attacco chimico da parte dei
prodotti corrosivi originati dalla combustione. La maggior parte del calore assorbito dalle
valvole di scarico (oltre il 70%) viene smaltito tramite il contatto con la sede mentre solo il
rimanente 30% circa viene ceduto alla guida. E quindi essenziale ai finì non solo della
durata ma anche della integrità stessa della valvola che essa abbia un buon contatto con
la sede (la superficie di tenuta deve essere in perfette condizioni e deve avere la
larghezza prescritta dal costruttore; il contatto deve essere uniforme su tutta la superficie),
e che quest'ultima a sua volta sia in grado di smaltire nel migliore dei modi il calore
ricevuto. Questo vuol dire che la parete esterna degli anelli-sede e quella dei relativi
alloggiamenti devono essere dotate di una ridotta rugosità superficiale e che l'unione tra
questi due componenti deve essere la più "intima" possibile. Al crescere della Pressione
Media Effettiva (PME) e del regime di rotazione aumenta anche la quantità di calore che
nell'unità di tempo viene assorbita dalle valvole di scarico; dal canto loro le sollecitazioni
meccaniche risultano assai più elevate al crescere della velocità di rotazione. È quindi
chiaro che nei motori di alte prestazioni la vita delle valvole è veramente dura! Tra i
principali requisiti che le valvole devono presentare vi sono una affidabilità assoluta, un
ridotto costo di produzione e una grande durata. Una buona valvola quindi deve essere
dotata di adeguate caratteristiche meccaniche alle elevate temperature, non deve tendere
a grippare nella guida, non deve tendere all'infragilimento in seguito al susseguirsi dì
raffreddamenti e riscaldamenti e non deve tendere a deformarsi in seguito al continuo
ripetersi di stress termici e meccanici. E a questo punto bene evidente che le "umili",
economiche ed apparentemente semplici valvole a fungo costituiscono, con le loro
eccezionali affidabilità e durata in condizioni di lavoro così difficili, una autentica meraviglia
della tecnologia. Le valvole vengono ottenute per fucinatura; molto impiegati sono i
processi di estrusione e di ricalcatura. Una particolare attenzione durante la costruzione
delle valvole è dedicata alla temperatura di fucinatura (estremamente critica per numerosi
degli acciai impiegati) e all'ottenimento della più favorevole disposizione delle fibre,
specialmente nel raccordo tra fungo e stelo (la fibratura, che può essere molto favorevole
dal punto di vista meccanico,è tipica dei materiali forgiati). Dopo la fucinatura le valvole
grezze vengono sottoposte ai necessari trattamenti termici (come solubilizzazione,
invecchiamento, etc...). Seguono quindi le varie lavorazioni alle macchine utensili. Lo stelo
viene lavorato di rettifica e di norma viene poi sottoposto a una "superfinitura". Al termine
delle lavorazioni l'asse dello stelo deve risultare perfettamente perpendicolare al piano del
fungo: inoltre la superficie troncoconica di tenuta del fungo deve essere coassiale allo
stelo. In numerosi motori l'estremità dello stelo è sottoposta a una rilevante pressione
localizzata. unita a una azione di strisciamento da parte dell'estremità del bilanciere che
aziona la valvola. In tali casi è necessario conferirle una elevata durezza. Se lo stelo è in
acciaio martensitico in genere si ricorre ad indurimento mediante tempra; se invece esso è
in acciaio austenitico o in altro materiale non temperabile si fa ricorso ad un riporto (alla
fiamma ossiacetilenica) di "Stellite", oppure si fissa alla sua estremità, mediante saldatura
elettrica, una placchetta in materiale duro. Per conferire allo stelo della valvola la
necessaria resistenza all'usura da strisciamento (e per allontanare il pericolo di
ingranamento anche in presenza di lubrificazione ridotta) si ricorre spesso alla cromatura.
In genere lo strato di cromo, deposto elettroliticamente, ha uno spessore molto limitato (37 micron), ma non mancano esempi di valvole con riporti sensibilmente più spessi. Molto
spesso si sottopone l'intera valvola a nitrurazione morbida, trattamento termo-chimico che
consente di ottenere oltre ad una elevata resistenza all'usura, anche una grande
resistenza alla fatica. Per lungo tempo è stato un grosso problema per i tecnici quello di
ottenere una adeguata protezione del fungo valvola. specialmente in corrispondenza della
superficie di tenuta. nei confronti degli stress termici e dell'attacco chimico che. unitamente
alle elevate sollecitazioni meccaniche, possono determinare cedimenti precoci
("bruciatura". vaiolatura, corrosione, etc...). In campo automobilistico, specialmente negli
USA, viene adottata diffusamente la "alluminizzatura" del fungo della valvola, grazie alla
quale ha luogo la formazione di composti di alluminio e di ferro che creano sulla superficie
dell'acciaio una sorta di autentica "barriera" protettiva. Nei motori più sollecitati si impiega
molto spesso la "corazzatura", ovvero si fa ricorso a un riporto di Stellite sulla periferia del
fungo valvola (in corrispondenza della superficie di tenuta). La Stellite (lega di eccezionale
durezza) viene depositata alla fiamma e la superficie di tenuta tronco-conica viene quindi
lavorata mediante rettifica. Le valvole di aspirazione sono assai meno sollecitate dì quelle
di scarico; per esse si possono quindi impiegare anche dei buoni acciai martensitici. Per le
valvole di scarico invece è necessario utilizzare materiali con elevata resistenza alla
corrosione da attacco chimico e che mantengano buone caratteristiche meccaniche alle
alte temperature. Si impiegano così in genere degli acciai austenitici. Una diffusione
sempre maggiore stanno conoscendo da svariati anni a questa parte le valvole di scarico
bimetalliche. costituite da uno stelo (generalmente in acciaio martensitico) unito mediante
saldatura per attrito a un fungo in acciaio austenitico. In questo modo è possibile avere
uno stelo che può essere temprato e resiste bene allo strisciamento e un fungo che alle
alte temperature presenta delle buone caratteristiche meccaniche. una grande resistenza
alla corrosione e un ridottissimo "scorrimento viscoso" (con quest'ultimo termine si indica
la deformabilità permanente e caldo del materiale). In non pochi motori molto sollecitati si
impiega per le valvole di scarico un materiale dotato di eccezionali caratteristiche
meccaniche e di una elevatissima resistenza alla corrosione alle alte temperature, il
Nimonic 80. Questa "superlega" a base di nichel, cobalto e cromo venne in origine
realizzata per essere impiegata nella fabbricazione delle palette delle turbine dei motori a
reazione. Benché non trovino impiego in campo motociclistico, non si può in questa sede
non accennare alle valvole al sodio. Per ridurre la temperatura di funzionamento delle
valvole di scarico e migliorarne quindi l'affidabilità e la durata si pensò, già molti anni fa, di
ricorrere a valvole cave nel cui interno un fluido fosse in grado di trasportare rapidamente.
grazie alla agitazione ad esso impartita dal movimento, una rilevante quantità di calore
dalle zone a temperatura più elevata a quelle a temperatura più bassa (ovvero alla parte
dello stelo più distante del fungo). Si raggiunsero degli eccellenti risultati introducendo
nella cavità interna dello stelo valvola del sodio (metallo che diventa liquido a 98 0C).
Verso la metà degli anni Trenta tutti i motori aeronautici erano dotati di valvole di questo
tipo; inizialmente solo lo stelo era cavo (e veniva riempito per il 40-60% di sodio) ma in
seguito vi furono svariati esempi di valvole nelle quali anche il fungo lo era. In seguito le
valvole al sodio hanno conosciuto una considerevole diffusione anche nei motori
automobilistici di elevate prestazioni. Adottando valvole di questo tipo si può ottenere una
diminuzione della temperatura del fungo anche di oltre 100 0C.
17.
LE VALVOLE A LAMELLE
Le valvole a lamelle (che attualmente godono di una enorme diffusione sui motori a due
tempi sia di serie che da competizione) sono dispositivi, semplicissimi concettualmente,
che consentono di fare avvenire il flusso gassoso in un solo senso. Si tratta cioè di valvole
unidirezionali a funzionamento completamente automatico, che si aprono quando la
pressione a valle è inferiore rispetto a quella a monte, e si chiudono (grazie alla elasticità
delle lamelle stesse) non appena tale differenza di pressione si annulla. Immaginiamo ora
di installare una di queste valvole (o un gruppo di esse) nel condotto di ammissione di un
motore a due tempi. collegato direttamente con l'interno del basamento. Quando il pistone
sale verso il PMS, a un certo punto la pressione all'interno del carter-pompa diventa
minore della pressione atmosferica e quindi le lamelle si aprono consentendo il passaggio
di miscela fresca (che, richiamata appunto dalla depressione, si riversa all'interno della
camera di manovella). Non appena questa aspirazione da parte del carter-pompa cessa,
ovvero quando la pressione all'interno di quest'ultimo (a causa dello spostamento del
pistone verso il PMI) diventa dapprima eguale e quindi addirittura superiore a quella
atmosferica, le valvole a lamelle si chiudono "intrappolando" la miscela fresca che
precedentemente era passata attraverso di esse. E a questo punto ben chiaro che un
dispositivo di questo genere, se realizzato in modo da offrire una ridotta resistenza al
flusso gassoso e da funzionare correttamente anche alle alte velocità dì rotazione, è una
specie di autentico "uovo di Colombo" dato che consente di ottenere un buon riempimento
del carter-pompa a tutti i regimi (esso infatti "fornisce" una fasatura di ammissione
variabile, in maniera del tutto automatica, in funzione delle reali esigenze di respirazione
del motore!) con conseguenti vantaggi anche per quanto riguarda l'erogazione di potenza
alle medie e basse velocità. Un gruppo lamellare ben realizzato inoltre consente al
progettista una grande libertà di schemi per quanto riguarda il sistema di aspirazione del
motore. Infine, dato che le valvole a lamelle consentono il flusso gassoso in un solo senso,
chiudendosi non appena questo sì arresta, è evidente che i famigerati "rifiuti" alla
aspirazione, che per lunghi anni sono stati tipici dei motori a due tempi dotati di una
fasatura dì ammissione spinta, vengono in pratica del tutto eliminati. Vediamo ora in
dettaglio come è fatta una moderna valvola a lamelle. Il supporto di norma ha una tipica
forma a "cuspide", ovvero a piramide con base rettangolare (angolo al vertice = 50 - 60°)
ed è fuso in lega di alluminio. Esso è dotato di una flangiatura di fissaggio con fori per le
viti. Per ogni "petalo" vi è una finestratura di forma in genere rettangolare, attraverso la
quale a valvola aperta avviene il passaggio dei gas. Per evitare urti diretti tra la lamella ed
il metallo del supporto (che possono causare rimbalzi e, cosa ben più grave, perfino la
rottura della lamella stessa) quest'ultimo è rivestito di gomma sintetica. Nelle prime
esecuzioni sì impiegava il Neoprene ma in quelle più recenti si adotta in genere il Viton (un
tecnopolimero fluorurato), che richiede però tecniche applicative particolari. Questo
materiale, sviluppato dalla Du Pont, è insensibile alla benzina che non è in grado di
attaccarlo chimicamente, né di farlo gonfiare (come invece accade con svariate altre
gomme sintetiche). Oltre a proteggere le lamelle. "smorzando" adeguatamente il loro
ritorno in sede, il riporto in Viton sulle superficie di appoggio assicura anche l'ottenimento
dì una eccellente tenuta. Le lamelle possono essere in acciaio, fibra di vetro o fibra dì
carbonio. Quest'ultimo materiale è molto costoso e viene utilizzato meno frequentemente
(e quasi esclusivamente nei motori da competizione) ma sostanzialmente non sembra
offrire vantaggi realmente cospicui rispetto agli altri (salvo forse un comportamento
lievemente migliore ai regimi molto elevati). La durata delle lamelle in fibra dì carbonio è
sensibilmente minore rispetto a quella delle lamelle in acciaio o in fibra dì vetro. Le lamelle
in acciaio sono state le prime ad essere impiegate ed anche attualmente godono dì una
vastissima diffusione. Per ottenere una elevata affidabilità e una grande durata è
indispensabile impiegare acciai speciali e realizzare le lamelle con un procedimento che
consenta di smussare (ovvero di "sbavare") accuratamente i margini. In caso contrario
infatti nelle zone di tranciatura (cioè negli spigoli) inevitabilmente dopo un certo periodo di
funzionamento si formano delle microcricche che danno poi origine a rotture. Le lamelle di
acciaio non consentono di ottenere campi dì utilizzazione molto ampi (se vanno bene ai
bassi regimi non forniscono buoni risultati agli alti e viceversa). La loro durata è elevata. Le
lamelle in materiale composito a base di fibra di vetro, che nei motori moderni hanno uno
spessore mediamente compreso tra 0,40 e 0,55 mm, sono apparse successivamente a
quelle in acciaio, rispetto alle quali presentano il vantaggio di non dare origine a seri
danneggiamenti del motore qualora si rompano (è proprio questo uno dei motivi che
inizialmente ha favorito il loro sviluppo). Grazie al minor modulo di elasticità queste lamelle
si prestano assai bene all'impiego in motori dai quali si richiede un considerevole tiro ai
bassi regimi. Le loro caratteristiche complessive sono eccellenti. Le piastrine di arresto
("stopper") sono dì norma in lamiera di acciaio. La loro conformazione costituisce il frutto
di accurati studi; esse hanno infatti il compito, di importanza fondamentale, non solo dì
limitare l'alzata massima delle lamelle ma anche dì far sì che aprendosi queste assumano
la corretta curvatura. Se esse non ci fossero, la curvatura delle lamelle sarebbe brusca
(ovvero si concentrerebbe tutta in una zona di ridotta estensione posta in prossimità del
punto di fissaggio e sarebbe inevitabile una drastica diminuzione della durata e
dell'affidabilità. Le piastrine di arresto hanno gli spigoli arrotondati e spesso sono dotate di
fori di alleggerimento; la protezione contro la corrosione si ottiene mediante trattamento
galvanico (in genere zincatura). Per quanto riguarda la durata delle lamelle,
indicativamente in una moto stradale di elevate prestazioni si può parlare di qualcosa
come 10.000 km (dopo percorrenze di quest'ordine la lamelle stesse continuano a
funzionare ma possono non assicurare più prestazioni analoghe a quelle che offrivano da
nuove) che diventano circa 4000 se i "petali" stessi sono in fibra di carbonio. Quando il
motore comincia ad accusare un calo prestazionale, uno dei primi punti da controllare è
quindi il pacco lamellare. Variando gli spessori delle lamelle si cambia la loro rigidità ed è
quindi possibile spostare la curva di coppia (che può mantenere un andamento tutto
sommato analogo ma aver il "picco" a un regime di rotazione diverso). Adottando petali più
spessi la coppia massima si ha a una velocità di rotazione più elevata. Il rovescio della
medaglia è costituito da un funzionamento irregolare e da una erogazione di potenza
insoddisfacente ai bassi regimi (e si possono avere anche difficoltà di avviamento). Al
contrario con lamelle più sottili si ha la coppia massima a un regime dì rotazione più
basso, a scapito però della erogazione ai regimi più elevati. Idealmente una lamella
dovrebbe avere caratteristiche elastiche tali da risultare estremamente flessibile (e quindi
da consentire la migliore alimentazione del motore) ai regimi più bassi e al tempo stesso
molto rigida ai regimi più elevati. Proprio per questo motivo negli ultimi anni i tecnici si
sono dedicati in larga misura alla ricerca di soluzioni in grado di consentire l'ottenimento di
una flessibilità variabile dei "petali". Questo ha portato alla comparsa di lamelle realizzate
con il sistema a "balestrino" che prevede l'applicazione, sul dorso di ogni petalo principale,
di un petalo ausiliario di minori dimensioni (proprio come accade con le foglie di acciaio
sovrapposte che costituiscono le balestre semiellittiche). Variando la lunghezza e la
geometria di questa lamella aggiuntiva è possibile modificare a seconda delle esigenze più
disparate la caratteristiche elastiche della valvola. Tra l'altro è anche possibile "giocare"
sullo spessore dei due petali (ad esempio impiegando una lamella principale sottile e una
lamella ausiliaria spessa si migliora il comportamento della valvola ai bassi regimi).
18.
LE VALVOLE A DISCO ROTANTE
Quella di regolare l'aspirazione della miscela aria-benzina nel carter pompa dei motori a
due tempi facendo impiego di una valvola rotante è tutt'altro che un'idea nuova. Dei vari
dispositivi rotanti che nel corso degli anni sono stati impiegati, quello che ha avuto di gran
lunga più successo (e che da molto tempo è l'unico ad essere utilizzato nei motori di
elevate prestazioni) è costituito da un disco. Il primo brevetto di una valvola di questo tipo,
vincolata direttamente all'estremità dell'albero a gomito, risale addirittura al 1906. quando
venne rilasciato al francese Gerard per rimanere però nel dimenticatoio. Nel corso degli
anni Venti - Trenta, svariati costruttori hanno iniziato a fare impiego. sia pure di rado e a
titolo sperimentale, oppure soltanto per poco tempo. di otturatori rotanti di varie fogge per
regolare l'ammissione e per poterla rendere del tutto indipendente dal movimento del
pistone. Sono state così studiate soluzioni molto interessanti e talvolta anche piuttosto
inconsuete. A fianco di dispositivi a semplice manicotto cilindrico rotante (spesso ricavato
direttamente nella estremità dell'albero a gomito. ne sono apparse), altre con otturatore
rotante troncoconico. Va anche ricordato che i suoi maggiori successi agonistici la DKW li
ha ottenuti con una 250 dotata di compressore volumetrico a pistone che aspirava la
miscela carburata proprio attraverso un otturatore a manicotto cilindrico. Gli schemi dei
progettisti sono diventati ancora più fantasiosi nel dopoguerra quando sono apparsi
manicotti cilindrici disposti posteriormente alla camera di manovella e non più "integrali"
con l'albero motore (come nella tedesca TWN> o che alternativamente consentivano ad
un unico collettore di aspirazione il collegamento con due camere di manovella (British
Anzani). Addirittura l'ing. Benelli impiegò in alcuni suoi motori un distributore nel quale,
dalla cavità assiale ricavata nel perno di banco dell'albero motore i gas aspirati passavano
in una serie di canali praticati radialmente nel volantino discoidale dell'albero stesso (l'idea
era quella di sfruttare la forza centrifuga per migliorare il riempimento del carter-pompa).
Avevano un semplicissimo distributore a manicotto rotante i robusti ed affidabili motori
delle Guzzi Cardellino e Zigolo. Una interessante variazione sul tema è quella che prevede
l'utilizzazione degli stessi volantini dell'albero in funzione di otturatori. Questi vengono
dotati di una conformazione tale da consentire il passaggio della miscela carburata nei
momenti opportuni e da ostruire in tutte le altre fasi del ciclo le luci di ammissione. Queste
ultime possono essere una o due, di larghezza logicamente non superiore a quella dei
volantini stessi. Questa soluzione ha trovato largo impiego sui motori della Piaggio. Nel
1952 gli uomini della IFA-MZ lavoravano su un motore da competizione di 125 cm3
derivato da un modello utilitario di serie (praticamente identico al DKW 125) quando si
impose alla loro attenzione, per gli eccellenti risultati che stava ottenendo, una 125
preparata privatamente da Daniel Zimmermann, un tecnico berlinese che l~aveva dotata
di una valvola di ammissione a disco rotante di schema semplice e razionale. La validità di
questa soluzione apparve subito evidente e a partire dal 1953 tutte le MZ da competizione
sono state dotate di una ammissione di questo tipo. I successi ottenuti dalle moto
tedesche a partire dalla fine degli anni Cinquanta in campo internazionale hanno portato
successivamente gli altri costruttori di motori a due tempi da corsa a realizzare (o quanto
meno a provare) motori dotati di aspirazione a disco rotante. Questa soluzione è stata
impiegata su tutte le Suzuki e le Yamaha ufficiali degli anni Sessanta e successivamente
dalle Morbidelli, Minarelli, Garelli e Derbi. dalle Kawasaki e Rotax bicilindriche in tandem,
dalle Suzuki RG 500 con quattro cilindri disposti in quadrato. Attualmente costituisce
l'unica valida alternativa alla ammissione lamellare (rispetto alla quale può risultare
lievemente superiore in termini di potenza pura). Una valvola rotante è costituita da un
disco in acciaio opportunamente sagomato (ma si può impiegare anche la fibra di
carbonio) che viene calettato ad una estremità dell'albero a gomiti e che alternativamente
scopre o ostruisce il condotto di aspirazione, consentendo il passaggio dei gas verso la
camera di manovella o impedendolo. Al contrario di quanto avviene quando l'aspirazione è
regolata dal pistone, il condotto risulta completamente libero da "ostacoli" per un grande
angolo di rotazione dell'albero. L'apertura o la chiusura del "passaggio" infatti avvengono
con notevole rapidità. Il grande vantaggio che le valvole di questo tipo presentano è
comunque quello di offrire la massima libertà di scelta in fatto di fasatura di ammissione.
Quest'ultima non è obbligata ad essere simmetrica, il che vuol dire che si possono
impiegare anticipi di apertura molto considerevoli, uniti a ritardi di chiusura decisamente
contenuti. Ciò consente di ottenere una buona utilizzazione dell'inerzia dei gas e al tempo
stesso di evitare particolari problemi legati al "back flow" (ovverosia al rifiuto di
aspirazione) per buona parte del campo di utilizzazione. È interessante osservare che,
oltre a disporre di una fase di aspirazione di eccezionale durata, in questo modo è
possibile addirittura evitare che la depressione che si crea nel basamento verso la fine
della fase di travaso "richiami indietro" parte della miscela già inviata nel cilindro, poiché la
valvola rotante ha già aperto la luce di ammissione (anzi se lo scarico è ben studiato parte
della miscela fresca può entrare direttamente nel cilindro senza "sostare" nel carter
pompa). Attualmente le valvole a disco vengono impiegate sui motori delle Aprilia da GP di
125 e 250 cm3. La preferenza data negli altri casi alle lamelle è legata a motivi di costo, di
ingombro e di trattabilità del motore in presenza di potenze specifiche rilevantissime.
19.
IL CILINDRO
Al contrario di quanto avviene per la testata il cilindro è un componente dal disegno
decisamente semplice e lineare nei motori a quattro tempi ma dalla geometria
estremamente complessa nei 2T. In questi ultimi infatti i condotti di travaso e di scarico (e
sovente anche quello di aspirazione) sono ricavati appunto in tale organo. La parte interna
del cilindro, ossia quella nella quale scorre, con lievissimo gioco diametrale, il pistone
viene detta canna (o meno frequentemente camicia). Essa può essere ricavata
direttamente nel materiale del cilindro (e allora si dice che quest'ultimo ha la canna
"integrale") oppure essere riportata. In questo secondo caso la canna è costituita da un
componente a se stante, il più delle volte in ghisa, che viene installato "a secco" oppure "in
umido", a seconda che sia a contatto solo con il materiale del cilindro oppure anche con il
liquido refrigerante. Una canna riportata a secco presenta esternamente una elevata
finitura superficiale e viene installata nell'alloggiamento ricavato nel cilindro con una certa
interferenza (questo vuoi dire che a freddo il diametro esterno della canna risulta
leggermente superiore a quello dell'alloggiamento). L'installazione si effettua con l'ausilio
di una pressa oppure ricorrendo al "metodo termico" (si raffredda la canna e/o si riscalda il
cilindro in modo da fare dilatare quest'ultimo e/o da fare contrarre la canna stessa,
rendendo possibile un suo agevole inserimento). Molto spesso le canne sono munite di un
bordino di appoggio superiore. Quelle riportate in umido, impiegate non molto
frequentemente in campo motociclistico, possono essere appoggiate in basso oppure in
alto. In questo secondo caso vengono installate in cilindri "closed-deck" e non corrono il
rischio di subire distorsioni indotte dal serraggio delle viti che fissano la testata. Le canne
appoggiate in basso invece vengono installate in cilindri del tipo "open-deck" e sono
sottoposte a sforzi di compressione allorché si serrano le viti della testa. Le loro parti
devono quindi avere uno spessore rilevante. Nella maggior parte dei casi i cilindri sono
fusi in lega di alluminio, materiale che conduce ottimamente il calore ed è caratterizzato da
una grande leggerezza. Se i cilindri in lega di alluminio sono muniti di canne integrali, è
necessario che queste ultime siano dotate di un sottile riporto avente adeguate
caratteristiche (grande durezza. elevata resistenza all'usura da sfregamento, ottime doti di
ritenzione olio. notevoli proprietà antigrippaggio). Il più delle volte tale riporto è costituito
da una matrice di nichel (applicata galvanicamente) nella quale è dispersa una miriade di
durissime particelle di carburo di silicio. Sempre meno diffusi sono i riporti di cromo duro,
che in passato avevano una considerevole popolarità. La Kawasaki utilizza per alcuni suoi
motori un riporto in materiale ferroso e tungsteno, applicato per elettrofusione. I cilindri
interamente in ghisa sono oggi impiegati solo in motori di limitata potenza specifica
(scooter, ciclomotori) e hanno la canna integrale senza alcun riporto. Per consentire al
pistone di svolgere il suo compito e ai segmenti di fare una buona tenuta, la canna del
cilindro deve essere lavorata con una grande accuratezza. La sua geometria deve essere
il più possibile vicina a quella ideale (ossia a quella perfettamente cilindrica). Inoltre è
fondamentale che la finitura superficiale sia quella prevista dal costruttore. Essa non deve
essere speculare (in tal caso infatti i segmenti non si potrebbero assestare
convenientemente e sarebbe praticamente impossibile la formazione di un uniforme e
continuo velo d'olio) ma deve presentare, enormemente ingrandita, una serie di "valli" o,
se si preferisce, di solchi intersecantisi con un determinato angolo. Questa finitura
"incrociata", che subisce un lieve assestamento durante la fase di rodaggio, viene ottenuta
in genere mediante levigatura con una apposita macchina utensile munita di pietre
abrasive rotanti di opportuna granulometria. Le canne inserite con interferenza di norma
vengono finite dopo la loro installazione (quest'ultima infatti può dar luogo a lievi
distorsioni). Nei motori raffreddati ad acqua tra la canna (o il suo alloggiamento) e le pareti
esterne del cilindro sono ricavate delle intercapedini per il passaggio del liquido
refrigerante. Nei motori raffreddati ad aria invece le pareti esterne dei cilindri sono munite
di una serie di alette. Nei motori muniti di più di due cilindri in linea spesso le canne
vengono installate (o sono ricavate) in un'unica fusione (che costituisce appunto il "blocco
cilindri"). E interessante osservare che in alcuni motori le canne in ghisa non sono
installate con interferenza ma vengono incorporate nel blocco cilindri (in lega leggera)
direttamente all'atto della fusione.
20.
IL PISTONE
Il pistone è l'organo meccanico dalla tipica conformazione che ricorda un bicchiere
rovesciato, alloggiato all'interno del cilindro. Esso si muove alternativamente nei due sensi
svolgendo una serie di funzioni di importanza essenziale. Tanto per cominciare, infatti, il
pistone deve provvedere ad aspirare la miscela aria-benzina per successivamente
comprimerla e quindi trasmettere all'albero a gomito, tramite lo spinotto e la biella, la
"spinta" dei gas in espansione. Nei quattro tempi esso deve anche "pompare" fuori dal
cilindro i gas combusti. Inoltre nei motori a due tempi esso deve provvedere anche a
scoprire o ostruire nei momenti opportuni del ciclo le luci di travaso e di scarico. Il pistone
deve pure "guidare" opportunamente il piede della biella all'interno della canna del cilindro.
In un pistone tipicamente si distinguono il cielo (è la parte sommitale, a diretto contatto con
i gas e il mantello (è la parte inferiore, che provvede a guidarlo nel suo movimento
rettilineo alternato). Nella zona tra il cielo e il mantello sono ricavate le cave in cui vengono
alloggiati i segmenti (o fasce elastiche). Questi ultimi hanno l'importantissima funzione di
assicurare l'ermeticità tra il pistone e la canna del cilindro, impedendo il passaggio dei gas
(in un senso) e dell'olio (nell'altro). Il pistone viene collegato alla biella da un perno
tubolare detto spinotto. Il cielo del pistone costituisce l'autentica parete mobile della
camera di combustione. Nei motori a quattro tempi può avere varie conformazioni (ad
esempio può risultare più o meno bombato) in funzione della inclinazione tra le valvole, del
rapporto di compressione adottato, della geometria della camera di combustione, etc... Per
evitare che durante la fase di "incrocio" nei motori con alberi a camme molto spinti e in
presenza di elevati rapporti di compressione i funghi delle valvole vengano a trovarsi a una
distanza troppo ridotta dal cielo del pistone (o addirittura arrivino a toccarlo!), in
quest'ultimo vengono praticati appositi incavi. Benché la forma del pistone possa
sembrare molto semplice, in effetti essa risulta decisamente complessa. Sì deve tenere
conto del fatto che il materiale non è distribuito in maniera uniforme (ce n'è di più nella
parte sommitale e nelle due zone delle portate per lo spinotto) e che anche la distribuzione
delle temperature non è affatto omogenea. Il cielo (come logico, dato che è a diretto
contatto con i gas caldissimi durante le fasi di combustione, espansione e scarico) lavora a
temperatura assai elevata mentre il mantello raggiunge temperature molto inferiori e per di
più decrescenti mano a mano che si procede verso la base. Per far si che, quando il
motore ha raggiunto la temperatura di regime, il pistone assuma una conformazione il più
possibile vicina a quella cilindrica, è pertanto necessario che a freddo esso abbia una
geometria sensibilmente diversa. E infatti a temperatura ambiente il pistone ha tipicamente
una sezione ellittica. in pianta. e un diametro che diminuisce via via che dalla base del
mantello si procede verso il cielo. Il pistone viene installato nella canna del cilindro con un
piccolo gioco diametrale. Quest'ultimo è indispensabile per consentire il libero movimento
del pistone stesso e la formazione del velo di olio lubrificante che deve sempre tenere
separate le superfici metalliche in movimento relativo. Dopo le lavorazioni meccaniche che
lo portano alle misure definitive e gli impartiscono la corretta finitura superficiale (spesso il
mantello viene "diamantato") e la prevista geometria, non di rado il pistone viene
sottoposto a un bagno galvanico che deposita su di esso un sottilissimo velo metallico
(spesso sì utilizza lo stagno). In qualche caso sul mantello viene applicato a "spray" un
velo di resina impregnata di grafite (in genere per allontanare il pericolo di ingranamenti
durante la fase di rodaggio). I pistoni vengono realizzati in lega di alluminio ad elevato
tenore di silicio; la presenza di questo elemento legante determina una diminuzione del
coefficiente di dilatazione termica. col risultato che la variazione del gioco di
accoppiamento con la canna, passando dalla temperatura ambiente a quella di regime,
risulta molto contenuta. Il procedimento costruttivo di gran lunga più impiegato per
realizzare i pistoni è la fusione in conchiglia. I pistoni ottenuti mediante stampaggio a caldo
sono i più adatti ad essere impiegati in motori molto sollecitati ma purtroppo sono anche
molto più costosi! Lo stampaggio a caldo è una operazione di fucinatura: lo spezzone di
lega di alluminio, portato ad elevata temperatura (poco più di 5000° C) viene deformato
sotto una pressa idraulica e costretto ad assumere la forma voluta (la nuova
conformazione si ottiene grazie allo scorrimento plastico del materiale nello stampo). In
seguito allo stampaggio, la struttura viene affinata ed il materiale risulta più denso. Si
ottiene in questo modo un netto miglioramento delle caratteristiche meccaniche
(resistenza a trazione, resilienza, etc...) tra la temperatura ambiente e i 2500 C circa. È
quindi possibile realizzare, a parità di peso, un pistone notevolmente più robusto e
viceversa a parità di robustezza si può ottenere un pistone sensibilmente più leggero.
Anche la resistenza all'usura risulta in molti casi migliorata. Naturalmente con lo
stampaggio non è possibile ottenere conformazioni interne complesse; d'altro canto
queste, contrariamente a quanto si credeva una volta, non sono desiderabili nei pistoni per
motori di alte prestazioni dato che generalmente danno origine a zone di concentrazione
degli stress. In molti casi comunque i pistoni stampati vengono dotati dì due fresature di
alleggerimento praticate internamente. subito sopra le portate per lo spinotto.
21.
I CUSCINETTI A RULLI E A SFERE
I cuscinetti a rotolamento o volventi vengono largamente impiegati nella fabbricazione dei
motocicli. Essi sono ad esempio utilizzati nei mozzi delle ruote, nel cannotto di sterzo, per
supportare gli alberi del cambio, etc.,. Nei motori a due tempi e in molti 4T monocilindrici
(più alcuni bicilindrici decisamente "ragguardevoli", come i Ducati e gli Harley-Davidson) i
cuscinetti di banco sono a rotolamento. Un tipico cuscinetto di questo tipo è costituito da
un anello esterno e da un anello interno (entrambi in acciaio) separati da una serie di corpi
volventi (rulli o sfere. A loro volta questi ultimi possono essere separati tra loro e guidati da
una gabbia oppure (assai meno frequentemente e solo in particolari applicazioni) essere
"sciolti". Le piste di rotolamento per i rulli e le sfere sono ricavate direttamente negli anelli.
Mentre i cuscinetti a rulli cilindrici non sono in grado di sopportare carichi assiali (ma
hanno grandi capacità di carico9 in relazione alle dimensioni, in senso radiale). quelli a
sfere molto spesso possono sopportare cospicue sollecitazioni in tal senso. Ancora
superiori sono le capacità di carico in senso assiale possedute dai cuscinetti a rulli conici
(che vanno sempre impiegati in coppia!). Esistono anche cuscinetti in grado di sopportare
esclusivamente carichi assiali ma non carichi radiali; si tratta dei cosiddetti reggi-spinta. I
cuscinetti sono organi meccanici apparentemente molto semplici ma in effetti
estremamente sofisticati; quelli moderni sono il frutto di decenni di studi e di
sperimentazioni e vengono prodotti con macchinari e sistemi eccezionalmente evoluti. I
cuscinetti volventi vengono realizzati in una vasta gamma di tipi (a singola o doppia serie
di sfere. a contatto obliquo, a rulli conici, a rulli a botte, etc...). Anche le gabbie possono
essere molto differenti a seconda delle esigenze. Spesso esse sono realizzate in acciaio
(due parti unite per chiodatura, nel caso dei classici cuscinetti a sfere) ma in alternativa
possono essere in resina fenolica o in altro materiale sintetico (spesso rinforzato con
fibre), in bronzo, ete... I cuscinetti a rulli cilindrici spesso sono di tipo scomponibile e in tal
caso la gabbia è monolitica. I cuscinetti di banco e degli alberi del cambio vengono
installati. in alloggiamenti praticati nel basamento9 con una leggera interferenza ossia con
un lieve forzamento. Molto frequentemente anche il montaggio dell'anello interno
sull'albero è forzato. Una importante caratteristica dei cuscinetti a rotolamento è costituita
dalle loro limitate esigenze in fatto di lubriflcazione (i sistemi a nebbia o a sbattimento in
genere sono più che adeguati). A seconda della loro geometria e delle loro dimensioni. i
cuscinetti vengono contraddistinti da sigle (eguali per tutti i costruttori. quando si tratta di
misure "unificate"). Anche per quanto riguarda il gioco diametrale dei cuscinetti vi sono
varie sigle che indicano le diverse "classi". Molto impiegati in campo motociclistico sono i
cuscinetti della classe C 3, a gioco maggiorato (in seguito alla installazione del cuscinetto
nell'alloggiamento intatti l'anello esterno viene "serrato" e questo può determinare una
lieve diminuzione del gioco effettivo).
22.
I CUSCINETTI A GUSCIO SOTTILE
Dall'inizio degli anni Settanta si è andato affermando in misura via via crescente l'uso dei
cuscinetti a guscio sottile nei motori motociclistici a più cilindri. Mentre nei motori
monocilindrici si impiegano quasi sempre cuscinetti, sia di banco che di biella. di tipo
volvente, nel caso dei pluricilindrici in genere risulta conveniente l'impiego di un albero
monolitico lavorante su cuscinetti a guscio sottile. Questi ultimi sono costituiti da un
"guscio" di acciaio sul quale è riportato uno strato di materiale ("antifrizione") avente adatte
caratteristiche. Per lunghissimo tempo il materiale antifrizione più impiegato è stato il
cosiddetto "materiale bianco". In effetti con questo nome si indica un gruppo di leghe a
base di stagno o, meno frequentemente, a base di piombo. Nella letteratura anglosassone
questi materiali sono noti come "leghe Babbitt"; le prime di esse infatti vennero realizzate e
brevettate da Isacco Babbitt nel lontano 1839. Benché dotati di caratteristiche molto
interessanti (come una elevata conformabilità ed una ottima incorporabilità) questi
materiali antifrizione sono progressivamente caduti in disuso dato che la loro capacità di
carico non è molto elevata; via via che aumentavano le prestazioni dei motori. infatti. la
vita dei cuscinetti diventava sempre più dura e a un certo punto il metallo bianco non si è
rivelato più all'altezza. Per molti anni il "guscio" dei cuscinetti è stato realizzato in bronzo
(di qui il termine "bronzi ne", ancor oggi molto impiegato) ed ha avuto uno spessore
cospicuo. E interessante osservare che in alcuni casi il metallo bianco veniva colato
direttamente all'interno dell'occhio di biella (la superficie veniva quindi lavorata in modo da
ottenere il diametro corretto ed una adeguata finitura superficiale). Naturalmente. nei
motori in cui si faceva ricorso a questa soluzione, allorché era necessario effettuare una
revisione (o un intervento riparativo a livello dì manovellismo), invece di procedere alla
sostituzione dei cuscinetti di biella si eliminava il metallo bianco mediante fusione e si
eseguiva quindi una nuova colata (seguita dalle operazioni di finitura). Quando ci si rese
conto che la durata dei cuscinetti diventava molto più elevata al diminuire dello spessore
del metallo antifrizione, i vari costruttori non tardarono a realizzare i cuscinetti a "guscio
sottile", caratterizzati appunto da uno spessore totale assai ridotto (nei motori motociclistici
è in genere inferiore a 2 mm). Lo spessore del materiale antifrizione, dell'ordine di
0,2~0,35 mm, può scendere a valori anche inferiori a 0,15 mm in alcune delle più recenti
esecuzioni. Nel corso degli anni sono stati fatti enormi passi avanti anche nel campo dei
materiali antifrizione con la realizzazione dapprima dei cosiddetti "metalli rosa" e quindi di
leghe alluminio-stagno. Attualmente è in produzione una vasta gamma di cuscinetti a
guscio sottile, alcuni dei quali sofisticatissimi; sovente sì impiegano due strati sottilissimi di
differenti materiali, talvolta separati tra dì loro da una "barriera" avente uno spessore di
pochi micron. Ampia diffusione hanno anche i "veli" (o flashes) superficiali (in genere
ottenuti galvanicamente). Da molti anni a questa parte i cuscinetti a guscio sottile vengono
forniti pronti per la installazione. Questo vuoi dire che non è necessaria alcuna operazione
di aggiustaggio. Tutti i costruttori si raccomandano, anzi, di non toccare per alcun motivo,
né con utensili (come ad esempio raschietti) né con tela abrasiva o altro, le bronzine da
loro fornite. Rispetto ai cuscinetti volventi le bronzine (così vengono comunemente
chiamati anche i moderni cuscinetti a guscio sottile) presentano alcuni vantaggi come la
maggiore silenziosità di funzionamento, il costo molto inferiore e la grande facilità di
installazione. Il loro impiego appare assai conveniente nei motori a quattro tempi con più di
due cilindri, nei quali la soluzione che si è affermata universalmente prevede appunto
l'impiego di un albero a gomiti in un sol pezzo (e di bielle con testa scomponibile). che
lavora interamente su bronzine. In alcuni bicilindrici (Ducati) si adotta la soluzione "mista",
con cuscinetti di banco volventi, albero monolitico e cuscinetti dì biella a guscio sottile;
l'olio in pressione entra nell'albero a gomiti da una canalizzazione assiale (ovvero da una
estremità). Naturalmente stiamo parlando solo dì motori a quattro tempi. In quelli a due
tempi l'impiego dì bronzine è impossibile (e questo costringe a fare ricorso sempre ad
alberi compositi e a cuscinetti volventi) a causa della lubrificazione a "nebbia" che, se
risulta adeguata alle esigenze dei cuscinetti a sfere o a rulli, è assolutamente insufficiente
ad assicurare il corretto funzionamento dei cuscinetti a guscio sottile. Questi ultimi infatti
abbisognano dì un continuo e copioso flusso dì olio in pressione che ha le fondamentali
funzioni di tenere separate tra di loro le due superfici metalliche (del perno e del
cuscinetto), impedendone il contatto diretto, e dì asportare il calore che si crea all'interno
dell'olio stesso a causa dell'attrito fluido. Durante il funzionamento un velo di olio di
spessore cospicuo separa il cuscinetto dal perno (che in pratica "galleggia" su di uno
strato dì lubrificante). Il gioco diametrale dei cuscinetti di banco e di biella è dell'ordine di
pochi centesimi di millimetro. Durante il funzionamento del motore, a causa della presenza
di carichi orientati e del senso di rotazione dell'albero, gli assi dei perni non vengono più a
trovarsi perfettamente al centro dei relativi cuscinetti; in altre parole ciascun perno viene a
disporsi in maniera leggermente eccentrica nel proprio cuscinetto. La distanza minima tra
le due superfici metalliche sì riduce. in tali condizioni a qualche micron. La capacità dì
carico di un cuscinetto diminuisce considerevolmente all'aumentare della temperatura; nei
casi più gravi si può perfino arrivare a rottura del velo d'olio (questo avviene quando il
lubrificante, la cui viscosità diminuisce a caldo, non è più in grado di sopportare il carico)
con conseguente rapida messa fuori uso del cuscinetto (spesso accompagnata da
danneggiamento del perno). Viene detta "conformabilità" una importante caratteristica dei
cuscinetti a guscio sottile, ovvero quella di essere in grado di "compensare" eventuali
piccoli errori geometrici e di posizione dei perni e degli alloggiamenti. Il materiale
antifrizione. in altre parole, deve essere in grado di deformarsi oltre che elasticamente
anche plasticamente (in lieve misura, si intende!) in modo da far sì che la superficie di
lavoro del cuscinetto si adatti a quella del perno. Quest'ultimo può presentare lievi
scostamenti rispetto alla forma che teoricamente dovrebbe avere. Tali scostamenti,
inevitabili, sono dovuti alle tolleranze dì lavorazione. Rammentiamo a questo proposito
che oltre alle tolleranze dimensionali esistono anche quelle geometriche (che a loro volta
si dividono in tolleranza dì forma e di posizione). In altre parole un componente che in
teoria dovrebbe essere perfettamente cilindrico (come è appunto il caso di un qualunque
perno di un albero a gomiti) inevitabilmente presenta delle sia pur piccolissime irregolarità
di forma. Esso può essere ad esempio leggermente "a botte" oppure "a clessidra", o
lievemente conico, o anche, in sezione trasversale. leggermente ovale (parliamo
naturalmente di scostamenti dalla forma teorica ridottissimi, misurabili talvolta in qualche
millesimo di millimetro!). Inoltre la superficie dei perni presenta spesso un certo numero di
ondulazioni. o "lobature" (apprezzabili solo con l'uso dì strumenti di misura e di controllo
estremamente sofisticati) causate in genere da vibrazioni della mola della macchina
rettificatrice durante la lavorazione finale dell'albero. I perni di banco degli alberi a gomito
possono non essere perfettamente allineati, e quelli di biella possono non avere gli assi
perfettamente paralleli; a questo si deve aggiungere il fatto che durante il funzionamento
del motore in maggiore o minore misura l'albero è soggetto a flessioni. Anche il basamento
quando il motore è in funzione si muove deformandosi elasticamente e vibrando. Gli
alloggiamenti delle bronzine di banco che possono non essere a loro volta perfettamente
cilindrici, possono anche non risultare allineati in maniera perfetta (parliamo anche in
questo caso di imperfezioni sovente dell'ordine di qualche micron) e, durante il
funzionamento del motore, possono subire lievi deformazioni e spostamenti. Anche per
quanto riguarda gli "occhi" delle teste di biella la situazione non è migliore, date le
severissime sollecitazioni alle quali questi componenti sono sottoposti allorché l'albero
ruota a velocità elevata. Nonostante il generoso dimensionamento e l'esteso impiego di
nervature di irrigidimento. molto sovente non si può evitare che l'alloggiamento della
bronzina di biella (ovvero l'"occhio" della testa dì biella) subisca deformazioni elastiche di
entità non trascurabile. Queste deviazioni dalla forma geometrica perfetta e questi lievi
errori di posizionamento non devono in alcun modo impedire il corretto funzionamento e la
lunga durata del motore. Per fortuna, come già detto, siamo nel campo dell'enormemente
piccolo ed inoltre le varie superfici in movimento sono separate da uno strato di
lubrificante; anche tenendo conto di questo, una considerevole "conformabilità" delle
bronzine è sempre una qualità importante. Proprio grazie a questa dote è possibile evitare
che si verifichino pressioni localizzate eccessivamente alte, che possono portare a rottura
del velo di olio. Di norma la conformabilità del cuscinetto diminuisce all'aumentare della
durezza del materiale antifrizione. Per questo motivo nei moderni motori di alte
prestazioni, nei quali i cuscinetti sono sottoposti a carichi molto elevati (che rendono
necessario il ricorso a materiali antifrizione più duri!), si studiano i vari componenti in modo
da ottenere la maggiore rigidità possibile e si effettuano le lavorazioni osservando
tolleranze dimensionalì e geometriche estremamente ridotte. Inoltre si adottano sovente
cuscinetti dotati di un sottilissimo "velo" superficiale del materiale antifrizione più tenero
(che ricopre uno strato più spesso di antifrizione dotato di maggiore durezza). Un'altra
proprietà che le bronzine devono presentare è la "incorporabilità", costituita dalla capacità
dello strato di materiale antifrizione dì consentire l'ingresso di eventuali piccolissime
particelle estranee e di "incorporane" in modo da evitare che esse possano danneggiare la
superficie del perno (e quella del cuscinetto stesso esercitando su di essa una azione
abrasiva e causando rigature, graffi o piccoli solchi. I materiali antifrizione che presentano
la maggiore incorporabilità in genere sono anche i più teneri e quindi purtroppo sono quelli
che hanno una minore capacità di carico ed una limitata resistenza a fatica. Dato che lo
strato di materiale antifrizione dei moderni cuscinetti a guscio sottile è di spessore assai
ridotto, esso può incorporare solo particelle di dimensione molto piccole. Gli efficienti filtri
dell'olio di cui sono dotati gli attuali motori sono fortunatamente in grado di trattenere
anche impurità di pochi micron di diametro. Se comunque per un motivo qualsiasi delle
particelle estranee di ridotte dimensioni vanno a finire tra il perno dell'albero ed il
cuscinetto, grazie alla incorporabilità dì quest'ultimo esse vengono "assorbite"
dall'antifrizione e messe in grado di non causare danni. Naturalmente il numero di
particelle che possono essere incorporate da un cuscinetto non è molto elevato:
all'aumentare della quantità di particelle che vengono trattenute dall'antifrizione infatti
diminuisce la capacità di carico del cuscinetto stesso. Anche se nei motori moderni quello
delle particelle abrasive, grazie alla accuratezza delle lavorazioni e dell'assemblaggio (che
viene eseguito rispettando elevatissimi standard di pulizia) ed all'efficientissimo sistema di
flitraggio dell'olio e dell'aria non è più un problema, occorre osservare che ancora oggi la
causa di gran lunga più comune di cedimento prematuro delle bronzine (evento
fortunatamente molto raro) è costituita proprio dalla presenza di particelle estranee. I vari
materiali antifrizione presentano differenti resistenze alla corrosione; in certi cuscinetti,
quando si impiegano materiali aventi ridotta resistenza nei confronti degli attacchi chimici,
si fa ricorso a sottili riporti superficiali che svolgono una efficacissima azione protettiva.
Grazie alle eccezionali caratteristiche degli oli moderni, i composti acidi che si formano in
seguito alla combustione e che durante la fase di riscaldamento del motore tendono a
condensarsi sulle pareti metalliche ancora fredde e a passare quindi nella coppia dell'olio
(assieme ad acqua e a idrocarburi). vengono agevolmente neutralizzati. Occorre però
osservare che le risorse degli oli non sono eterne e che di conseguenza occorre attenersi
scrupolosamente alle prescrizioni della Casa per quanto riguarda gli intervalli di
sostituzione dell'olio (e naturalmente anche per tutti gli altri interventi di manutenzione). In
caso di accidentali contatti metallo/metallo, come quelli che si possono avere
all'avviamento, come pure nel funzionamento in condizioni-limite (ad esempio con
lubrificazione "marginale"), è di grandissima importanza la resistenza all'ingranamento del
cuscinetto. Questa proprietà è di norma strettamente legata al coefficiente di attrito e
dipende in larghissima misura dalla struttura del materiale antifrizione. Molto sovente per
migliorare la resistenza all'ingranamento di alcuni materiali antifrizione che hanno una
elevata capacità dì carico si adottano sottilissimi "veli" superficiali di altro tipo (ad esempio
della classica lega Babbitt).
23.
LA BIELLA
La biella è uno dei componenti più sollecitati dell'intero motore. La sua funzione è quella di
collegare il pistone (al quale è vincolata per mezzo dello spinotto) al perno di manovella
dell'albero a gomiti. In una biella si possono distinguere la testa (è la parte che lavora sul
perno di manovella). il fusto e il piede (è l'estremità nella quale si inserisce lo spinotto). Di
norma le bielle sono in acciaio e vengono ottenute per stampaggio a caldo (fucinatura).
Solo in qualche motore da competizione (o in qualche prototipo) si utilizzano bielle ricavate
dal pieno ossia ottenute, per lavorazione alle macchine utensili, da una barra dì acciaio.
Una importante eccezione è costituita dai recenti bicilindrici BMW a quattro valvole che
utilizzano bielle ottenute per sinterizzazione. In certi motori da corsa (come ad esempio i
Ducati ed altri che prendono parte al mondiale Superbike) le bielle sono in titanio.
materiale più leggero dell'acciaio e che possiede egualmente elevate caratteristiche
meccaniche ma che ha un costo altissimo. Nei motori motociclistici lo spinotto è di tipo
"flottante" ossia risulta libero di ruotare sia nel pistone che nel piede della biella (le
eccezioni si contano sulle dita di una mano). Lo spinotto può lavorare direttamente
sull'acciaio (è questa la soluzione preferita dai costruttori giapponesi), ma in molti casi si
preferisce impiegare una bussola in bronzo che viene inserita a pressione (ossia con
interferenza) nel piede della biella. In qualche motore si fa ricorso alla ramatura galvanica
del piede della biella. Nei motori a due tempi di norma il piede della biella è munito di una
gabbia a rullini sulla quale lavora lo spinotto; nei 4T questa soluzione non viene invece
impiegata (anche in passato ha trovato ben poche applicazioni). Le bielle possono avere
la testa in un sol pezzo, che lavora su rullini (è la soluzione impiegata su tutti i due tempi e
nella maggior parte dei monocilindrici a 4T), oppure di tipo scomponibile. In questo
secondo caso la parte amovibile (fissata per mezzo di due viti mordenti oppure passanti e
munite di dado) viene detta cappello e la testa della biella lavora su due semicuscinetti a
guscio sottile (bronzine). Il preciso posizionamento del cappello è di estrema importanza e
può essere ottenuto in più modi. Molto spesso si ricorre alle stesse viti di fissaggio che
sono all'uopo munite di un gambo calibrato. In altri casi si utilizzano bussole o spine di
centraggio. Talvolta si impiegano dentature triangolari ricavate di lavorazione meccanica
sulle superfici di unione biella-cappello. Molto evoluta è la soluzione utilizzata nei recenti
bicilindrici boxer BMW a quattro valvole che prevede il ricorso a superfici di frattura
coniugate. Le bielle con testa scomponibile sono le uniche che si possono impiegare sugli
alberi a gomiti monolitici. Le bielle con la testa in un sol pezzo, lavorante su rullini sono
impiegate negli alberi compositi. Questi componenti altamente sollecitati, nei moderni
motori motociclistici sono sempre in acciaio fucinato. Dato che la parete interna alla testa
di biella deve fungere da pista di rotolamento per i rullini e deve quindi essere dotata di
una elevata durezza, si impiegano acciai da cementazione. Dopo la fucinatura e le
successive lavorazioni meccaniche la parte interna e le superfici laterali della testa della
biella vengono cementate e temprate (in genere la durezza è dell'ordine di 62 HRc, con
una profondità dì cementazione di 0.8-1.0 mm). E importante che le altre parti della biella
(superficie esterna della testa. fusto...) non vengano cementate dato che in tal caso esse
diverrebbero eccessivamente fragili in relazione alle sollecitazioni che devono sopportare.
Dopo il trattamento termico la superficie interna della testa (ovvero la pista di lavoro dei
rullini) viene sottoposta a rettifica ultraprecisa e/o a lappatura al fine di portarla al diametro
prescritto e di impartirle la corretta finitura. Allorché si effettuano le lavorazioni è di
importanza fondamentale curare il perfetto parallelismo e la perfetta complanarità degli
assi dei due occhi (quello della testa e quello del piede). ovvero la "quadratura" della
biella. Durante il funzionamento del motore le forze che agiscono sulla testa di biella
tendono causare una ovalizzazione della pista esterna di rotolamento dei rullini. E quindi
della massima importanza che la testa di biella sia dotata di una elevata rigidità, in modo
tale di consentire alla pista di rimanere perfettamente cilindrica anche in presenza di
elevate sollecitazioni. Oltre all'impiego di materiali aventi adeguate caratteristiche
meccaniche è essenziale, a questo proposito, un adeguato dimensionamento. Secondo la
casa tedesca INA, lo spessore radiale della parete della testa di biella, con un asse di
accoppiamento di 18-22 mm. non deve essere inferiore a 6 mm. Nei motori a quattro tempi
di elevate prestazioni. molto sovente la testa della biella è dotata di una o due nervature al
fine di ottenere una elevata rigidità unitamente a un peso contenuto. Quando lo spinotto
lavora su rullini, le pareti interne del piede di biella (che fungono da pista di rotolamento)
devono venire cementate; in questo caso generalmente è sufficiente una profondità di
cementazione dì 0,4-0,6 mm. Come già detto, perché la biella non manifesti durante il
funzionamento del motore alcuna tendenza all'avvitamento (ovvero a spostarsi
lateralmente), è necessario che l'asse d'accoppiamento sia perfettamente cilindrico, che vi
sia un perfetto parallelismo tra gli assi dei due occhi della biella, che le sedi per i rullini
nella gabbia siano parallele all'asse della gabbia stessa e che la pista di rotolamento
esterna sia parallela a quella interna. E chiaro però che, per quanto accurate possano
essere le lavorazioni, piccolissimi errori geometrici sono praticamente inevitabili e che (i
loro effetti possono sommarsi) il verificarsi di una certa spinta laterale della biella risulta
pressoché inevitabile. È quindi necessario guidare assialmente la biella; per moltissimi
anni i compiti di guida sono stati affidati agli spallamenti posti ai due lati dell'asse di
accoppiamento (ovvero alle superfici dei volantini rivolte verso l'interno, in corrispondenza
del perno di biella). È questa la soluzione "classica" (biella guidata "in basso") che anche
oggi viene adottata molto diffusamente nei motori a due tempi e quasi universalmente in
quelli a quattro tempi. Quando si adotta questa soluzione, il gioco assiale della testa di
biella è in genere superiore a 0,2 mm; le superfici laterali della testa di biella (e quindi gli
spallamenti dell'albero) devono essere adeguatamente lubrificate, cosa non sempre facile
da ottenere, nei motori a due tempi. Spesso si impiegano delle rondelle (una per ciascun
lato della testa di biella) in acciaio ramato o in bronzo per ridurre gli effetti dello
strisciamento. Nonostante questo nei 2T molto veloci si possono egualmente avere
problemi di lubrificazione dovuti principalmente alla alta velocità di strisciamento tra
rondelle e spallamenti, in presenza di ridottissime quantità di olio. E per questo motivo che
in svariati casi si preferisce guidare la biella "in alto" (in tal caso è il piede di biella ad
essere vincolato assialmente tra le portate deI pistone). Adottando questo altro tipo di
guida si ha un attrito minore, con condizioni di lavoro migliori. Il piede di biella ruota solo
per un limitato arco di cerchio e con una velocità non molto elevata, mentre il cuscinetto
della testa di biella gode di una lubrificazione migliore dato che il gioco assiale è maggiore
e che non si verificano spinte laterali in basso. Quando la biella è guidata superiormente
vengono talvolta impiegate due rondelle, di norma in acciaio cementato, ai due lati del
piede di biella. Nei due tempi è opportuno prendere in considerazione unitamente la
lubrificazione ed il raffreddamento del cuscinetto di biella dato che entrambi
fondamentalmente dipendono dalla quantità di miscela aria/benzina/olio che raggiunge il
cuscinetto stesso ad ogni ciclo di funzionamento del motore. Secondo la Torrington la
quantità di olio che serve a lubrificare il cuscinetto risulta addirittura inferiore a quella
necessaria per raffreddarlo. Inoltre i cedimenti ed i grippaggi in cui possono incappare tali
cuscinetti dipendono più da surriscaldamento che da scarsa lubrificazione. Per consentire
un adeguato passaggio di olio nel cuscinetto, di norma nella testa della biella vengono
praticate due aperture (ottenute mediante fresatura), ciascuna delle quali ha in genere una
lunghezza superiore a 5 mm (e una larghezza pari a 0,2 volte quella della testa di biella).
Inoltre, quando la biella è guidata in basso, si praticano alcune tacche sulle superfici
laterali della testa della biella stessa; tipica è la soluzione che prevede due tacche
profonde al massimo 1,5 mm e larghe 0,5-0,8 volte il diametro del perno (prescrizioni INA).
24.
I CUSCINETTI DI BIELLA A ROTOLAMENTO
Le condizioni di lavoro dei cuscinetti di biella sono assai gravose. Rispetto a quelli di
banco essi hanno una vita molto più dura dato che al movimento di rotazione della testa di
biella sul perno di manovella si aggiunge quello del perno di manovella stesso attorno
all'asse dell'albero a gomiti; inoltre l'anello esterno del cuscinetto (ovvero la testa di biella)
ha un moto pendolare, oscillando tra due posizioni estreme, cosa questa che comporta
sensibili variazioni della velocità di rotazione del cuscinetto medesimo. La biella può infatti,
in un certo senso, essere considerata come una sorta di "pendolo" fulcrato nello spinotto.
A queste sfavorevoli condizioni di movimento si aggiungono gravose condizioni di carico e,
nei motori a due tempi, una lubrificazione non sempre ottimale. Il cuscinetto di biella è
sottoposto a forze centrifughe e a forze di inerzia che nei motori veloci risultano assai
elevate. A queste si devono aggiungere le forze determinate dalla pressione dei gas nel
cilindro, che agisce sul cielo del pistone. Durante la rotazione dell'albero il valore di queste
forze varia continuamente. Un buon cuscinetto di biella deve presentare una
considerevole stabilità, ovvero deve essere in grado di guidare adeguatamente la biella,
deve essere realizzato con una grande precisione di forma (le variazioni geometriche
devono essere minime) anche durante il funzionamento agli alti regimi (ovvero quando le
forze agenti sulla testa di biella tendono a deformare l'occhio), essere dotato di un peso
ridotto e godere di una adeguata lubrificazione. Come già detto, in passato hanno avuto
una notevole diffusione i cuscinetti di biella con rullini privi di gabbia, di costruzione
semplice ed economica. Con il progressivo migliorare delle prestazioni però i cuscinetti di
questo tipo hanno mostrato chiaramente i loro limiti rivelandosi non adatti ai propulsori
veloci, ne(quali essi tendono a usurarsi rapidamente o, peggio ancora, a grippare. E per
questo motivo che già da molti anni essi sono stati completamente sostituiti dai cuscinetti
a rullini ingabbiati. La forza centrifuga, assai elevata agli alti regimi di rotazione, "preme" i
rullini verso l'esterno; se non vi è una gabbia si ha una sorta di "addensamento" dei rullini
stessi verso la parte dell'occhio di biella più lontana dall'asse di rotazione dell'albero. In tali
condizioni di funzionamento i rullini sfregano con forza tra di loro (la velocità di
strisciamento è doppia rispetto alla velocità di rotazione dei rullini); la pressione che agisce
sui rullini spingendoli uno contro l'altro aumenta con il quadrato della velocità di rotazione
(la pressione massima si ha tra i due rullini più esterni). Questa porta a un rilevante
produzione di calore che quando diviene eccessiva può determinare in brevissimo tempo
la completa messa fuori uso del cuscinetto. I cuscinetti a rullini ingabbiati sono più costosi
ma possono funzionare a velocità di rotazione molto più elevate. La gabbia infatti tiene i
rullini separati uno dall'altro e la velocità di strisciamento si riduce grandemente: la forza
centrifuga agente su ogni rullino viene divisa in una componente radiale, che si scarica
sull'occhio di biella. ed una componente tangenziale (che preme il rullino cono il traversino
della gabbia). Nei motori veloci le gabbie sono molto sollecitate meccanicamente; esse
devono essere al tempo stesso robuste e leggere. Le forze centrifughe e quelle di inerzia
sono infatti di valore tanto più rilevante quanto maggiore è il peso della gabbia. Utilizzando
una gabbia a rullini (16 x 21 >< 10) per un motore da competizione di 50 cm3 dotata di un
peso di 5,2 g (gabbia più metà dei rullini), a 17.000 giri al minuto la forza centrifuga è pari
a ben 34 kg! Durante il funzionamento le gabbie tendono a deformarsi, a causa delle
rilevanti sollecitazioni alle quali sono sottoposte. In qualunque condizione di lavoro è di
importanza fondamentale per la vita del cuscinetto che la gabbia non vada a strisciare
contro le piste dì rotolamento dei rullini. Nei cuscinetti moderni le gabbie vengono di norma
guidate sul diametro esterno (le superfici di appoggio, costituite da due risalti laterali,
devono essere sufficientemente ampie). Le forze centrifughe vengono così sopportate
dall'occhio di biella. Il moto oscillatorio della biella, al quale si è già accennato, causa delle
accelerazioni e delle decelerazioni del cuscinetto. Il massimo spostamento angolare della
biella si ha in prossimità dei punti morti. Essa oscilla in senso opposto a quello di rotazione
del PMS ed in senso eguale al PMI. Così (riprendiamo qui un classico esempio dell'ing. P.
Irving), considerando una biella dotata di lunghezza pari al doppio della corsa, la velocità
istantanea di rotazione del cuscinetto. con l'albero a gomiti rotante a 8000 giri al minuto
diviene (a causa appunto della oscillazione della biella) 10000 giri/min al PMS e 6000
giri/min al PNII. La velocità della gabbia relativamente al perno è pari a metà di quella
dell'anello esterno; nell'esempio in questione il gruppo gabbia-rullini deve quindi variare la
sua velocità da 5000 a 3000 giri/min e viceversa ben 133 volte al secondo!!! Se l'inerzia
della gabbia è elevata si può avere uno strisciamento dei rullini (che dovrebbero invece
solo ruotare!) sulle loro piste: ciò causa una grande produzione di calore e può
determinare un rapido cedimento del cuscinetto. Ecco perché nei motori veloci si adottano
rulli di piccolo diametro e gabbie leggere! Occorre a questo punto osservare che se da un
lato è vero che riducendo il diametro dei rullini si ha una minore inerzia. è altrettanto vero
che adottando rulli di piccolo diametro si diminuisce la capacità dì carico del cuscinetto e si
ha una maggiore produzione di calore agli alti regimi di rotazione; è quindi chiaro che
occorre tenere bene in considerazione i vari parametri e le varie esigenze e che la
progettazione di un cuscinetto per la testa di biella di un moderno motore veloce è cosa
tutt'altro che semplice! Le gabbie hanno la funzione non solo di separare i rullini tra di loro
ma anche di guidarli mantenendo sempre i loro assi di rotazione perfettamente paralleli
all'asse del perno di manovella. Le lavorazioni devono essere molto accurate; ad esempio
il parallelismo tra l'asse della gabbia e le sedi per i rullini deve essere perfetto (in caso
contrario il cuscinetto mostrerà durante il funzionamento una spiccata tendenza
all'avvitamento!). Tra i rullini impiegati in uno stesso cuscinetto la massima differenza di
diametro ammessa è di 2 micron (cioè due millesimi di millimetro!). Nei motori prodotti in
serie in genere si adottano gabbie in duralluminio o, più frequentemente. in acciaio. Per i
motori molto veloci sono largamente impiegate gabbie speciali in acciaio argentato
(l'argento è un eccellente materiale antifrizione). Indicativamente. nei motori di serie il
gioco diametrale, espresso in micron, corrisponde come valore numerico al diametro in
millimetri del perno di manovella. Nei motori molto veloci è necessario tenere conto delle
inevitabili deformazioni che l'occhio di biella subisce agli alti regimi a causa delle elevate
sollecitazioni; di conseguenza si adottano giochi diametrali sensibilmente superiori (anche
del 50%) rispetto a quelli normali. Le perdite per attrito nei cuscinetti a rullini sono
ridottissime; esse sono costituite da quelle dovute al rotolamento puro, più quelle dovute
allo strisciamento (tra i rullini e gabbia, tra gabbia e occhio di biella e tra superfici laterali
della gabbia e spallamenti), più quelle derivanti dallo "spostamento" del lubrificante.
L'attrito di avviamento. a differenza di quanto accade nei cuscinetti piani, è solo di poco
superiore a quello di funzionamento normale.
25.
ALBERI A GOMITI COMPOSITI
Se la distribuzione può essere considerata il vero e proprio "biglietto da visita" dei 41, in
tutti i motori a pistoni l'autentico "cuore" deve essere ritenuto l'albero a gomiti; esso infatti
che è il componente che "raccoglie" l'energia meccanica che si sviluppa nei cilindri per
inviarla alla trasmissione. Si tratta di un organo estremamente sollecitato dal punto di vista
meccanico, che viene alloggiato nella parte più interna del motore ovverosia dentro il
basamento. Come tutti gli altri componenti del propulsore pure l'albero motore (detto
anche albero a gomiti) ha subito con l'evolversi della tecnica una progressiva
trasformazione, sia per quanto riguarda il suo dimensionamento e, in minor misura, il suo
disegno, che per quanto concerne le soluzioni costruttive impiegate. Al contrario di quanto
avviene nei propulsori automobilistici, tutti invariabilmente dotati dì albero a gomiti
monolitico che lavora su cuscinetti di banco e dì biella a guscio sottile, in quelli
motociclistici vengono molto spesso impiegati (la soluzione è addirittura obbligatoria nel
caso dei due tempi) alberi compositi con cuscinetti a rotolamento. Proprio l'adozione di
cuscinetti di quest'ultimo tipo, assai meno esigenti per quanto riguarda la lubrificazione e
avvantaggiati da minori perdite per attrito, ha comportato la necessità di impiegare alberi
costruiti da più parti unite per forzamento a formare un'unica struttura estremamente
rigida. Al fine di ottenere la massima durata dei cuscinetti nei motori che raggiungono
elevati regimi di rotazione, è indispensabile che le piste di rotolamento dei corpi volventi
siano perfettamente levigate e non presentino la minima irregolarità superficiale. La pista
esterna è quindi preferibile che sia in un sol pezzo, ovverosia ricavata in un anello di
acciaio (o nella testa di biella, priva di cappello) e non risulti divisa in due parti. In
corrispondenza della superficie di unione di queste ultime infatti è pressoché inevitabile
che si venga a formare una piccola discontinuità. Gli alberi compositi hanno una struttura
molto semplice nei motori monocilindrici e bicilindrici a V (con le bielle che lavorano
affiancate sull'unico perno di manovella) ma la loro complessità (e quindi anche il costo)
cresce sensibilmente all'aumentare del numero dei cilindri. Per lungo tempo in campo
motociclistico sono stati molto comuni gli alberi compositi con l'asse di accoppiamento
(ovverosia il perno di biella) unito ai due bracci di manovella per mezzo di accoppiamenti
conici e di dadi. In qualche raro caso l'asse, del tipo a doppio diametro, veniva inserito nei
"volantini" (con questo nome si indicano i gruppi braccio di manovella + contrappeso,
specialmente se assumono una forma discoidale) con un lieve forzamento e quindi
assicurato con dadi. Altre volte ancora, come ad esempio nei motori Guzzi 350 bialbero da
gran premio degli anni Cinquanta, l'asse era tubolare. poggiava contro i volantini e veniva
attraversato assialmente da una vite: una volta stretta. quest'ultima lo faceva "serrare"
fortemente fra i due volantini. Un altro sistema. impiegato però di rado, prevedeva
l'impiego dì un sistema di fissaggio a morsetto. Una soluzione eccellente dal punto di vista
costruttivo. ma estremamente costosa e quindi riservata solo ad alcuni motori da
competizione, era quella messa a punto dalla tedesca Hirth che prevedeva l'impiego di un
asse di accoppiamento cilindrico cavo e dotato di dentature frontali che si impegnavano
con denti. a profilo triangolare. praticati nei volantini. L'assieme veniva saldamente
bloccato a formare un albero di grande rigidità da una vite con doppia filettatura. Oggi tutti
questi schemi costruttivi, con la sola eccezionale di quello Hirth, sono stati completamente
soppiantati dalla soluzione più semplice, che si è rivelata, alla fine, anche la più affidabile
(oltre che la più economica). Ci riferiamo a quella che prevede un asse di accoppiamento
perfettamente cilindrico che viene inserito nei volantini con forzamento, utilizzando una
pressa. Dopo l'assemblaggio l'albero viene "centrato" con la massima accuratezza, al fine
di ottenere la perfetta coassialità dei perni dì banco. Come già detto la situazione si fa più
complicata, sia per quanto riguarda l'assemblaggio che per quanto riguarda il centraggio.
mano a meno che aumenta il numero dei cilindri. Quando l'albero è molto lungo, per
evitare che in condizioni limite possa "torcersi", sì ricorre talvolta a grani filettati che
aumentano la solidità dell'accoppiamento tra perni e volantini. Nei motori dei bicilindrici
paralleli con supporto centrale (che nei due tempi prevede spesso due cuscinetti, oltre ad
un paraolio). per semplificare al massimo sia il procedimento costruttivo che gli interventi
riparativi. talvolta si ricorre all'impiego di due alberi "singoli" collegati tra di loro mediante
un manicotto dotato di una serie di scanalature interne. In altri casi si è fatto ricorso ad
accoppiamenti conici, tipo Hirth o anche a morsetto. Un albero a gomiti composito per
motore monocilindrico è quindi tipicamente costituito da tre parti rigidamente unite tra di
loro, ovvero da due semialberi e da un asse di accoppiamento (il perno di manovella).
Ciascun volantino di norma è in un sol pezzo con il relativo perno di banco, assieme al
quale costituisce un "semialbero". Nei moderni motori di elevate prestazioni in genere i
volantini hanno una forma discoidale. I semialberi sono in acciaio fucinato; i grezzi di forgia
vengono sottoposti a lavorazioni meccaniche estremamente accurate. In particolare si
deve curare il parallelismo tra l'asse del foro per il perno di manovella e l'asse del perno di
banco. Anche il massimo scostamento della distanza tra tali due assi rispetto al valore
teorico deve essere ridottissimo (in genere il massimo ammesso è 0,005 mm, ovvero
mezzo centesimo di centimetro!). I perni dì banco dell'albero vengono finiti di rettifica; il
raggio di accordo tra il perno di banco e il relativo volantino è di estrema importanza e
deve essere accuratamente eseguito durante la lavorazione. Assai spesso (motori dì alta
potenza specifica) i semialberi sono in acciaio da cementazione. Dopo le lavorazioni
meccaniche in essi vengono sottoposti a trattamento termico in modo da ottenere una
profondità di cementazione dell'ordine di 1 mm e una durezza di 56-58 HRc (alcune parti
dell'albero, come ad esempio le filettature, non vengono però cementate). In genere
poiché in seguito a questi trattamenti, che si svolgono a temperature molto elevate, il
pezzo può subire deformazioni (sia pure di entità molto ridotta), dopo di essi si procede ad
una rettifica finale, che asporta solo una quantità estremamente limitata di materiale (è
chiaro che di questo si deve tenere debito conto quando si effettuano le lavorazione che
procedono il trattamento, avendo cura dì lasciare un certo "soprametallo"). Nei motori a
due tempi di prestazioni non elevatissime e in alcuni motori a quattro tempi vengono
impiegati alberi con volantini in acciaio da bonifica. I volantini in acciaio cementato
consentono di ottenere a parità di ogni altro fattore, un accoppiamento più stabile con il
perno dì biella e in genere rendono possibile un maggior numero di "piantaggi". Per
quanto riguarda il dimensionamento, idealmente la distanza (misurata in senso radiale) tra
il margine esterno del foro per l'asse di accoppiamento e la periferia del volantino non
dovrebbe essere inferiore a 0,5-0,6 volte il diametro dell'asse stesso (solo in casi
eccezionali, in motori poco sollecitati, è ammesso scendere a 0,4). I fori per l'asse di
accoppiamento devono essere lavorati con la massima accuratezza in modo da ottenere
una cilindricità perfetta; anche la finitura superficiale delle pareti ditali fori, assai importanti
ai finì della stabilità dell'accoppiamento, deve essere molto elevata. Il diametro dell'asse
d'accoppiamento (che nei motori moderni indicativamente può essere dell'ordine di 0,300,55 volte la corsa) va scelto in seguito ad accurati calcoli delle sollecitazioni e ad
adeguate sperimentazioni. E opportuno adottare un diametro non molto elevato,
compatibilmente con le esigenze di robustezza e di rigidità dell'albero. Si deve infatti
rammentare che aumentando il diametro dell'asse di accoppiamento, a parità dì diametro
dei rullini e di velocità di rotazione dell'albero, aumenta la velocità di rotolamento dei rullini
stessi e questo causa una certamente non trascurabile diminuzione della capacità di
carico del cuscinetto. La rigidità dell'albero a gomiti dipende essenzialmente da
interferenza profondità di piantaggio e diametro del perno. L'interferenza, il cui valore può
essere indicato in 0,04-0,06 mm ogni 10 mm dì diametro del perno (per volantini in acciaio
cementato). deve essere accuratamente calcolata onde ottenere un collegamento stabile
senza sottoporre i pezzi a sollecitazioni eccessive. Una interferenza insufficiente causa
una ridotta instabilità dell'accoppiamento (in altre parole l'albero risulta debole e tende a
"avvitarsi" o a storcersi in seguito a sollecitazioni elevate). Al contrario se l'interferenza è
eccessiva si può avere come conseguenza la rottura dei volantini (o si possono verificare
ingranamenti di fase di piantaggio). La profondità di piantaggio può variare anche in
maniera considerevole a seconda di vari fattori (materiali impiegati, diametro del perno.
interferenza). In linea di massima si può indicare per essa un valore di circa 0.8-1.0 volte il
diametro del perno (oppure circa 1/3 della lunghezza totale dell'asse di accoppiamento).
Rispetto ai valori qui indicati vi possono essere variazioni qualora il perno di biella sia
forato assialmente (la cosa ha influenza in particolare sulla interferenza di piantaggio); il
diametro del foro non deve essere troppo grande (al massimo 5 mm, per perni da 16-20
mm). Gli assi di accoppiamento vengono cementati e temprati' la profondità di
cementazione deve essere 0,8-1,2 mm. Come durezza vengono comunemente indicati
60-62 punti Rockwell. Se la durezza è troppo bassa la durata del cuscinetto risulta molto
ridotta; se invece essa è eccessiva si ha una considerevole facilità di rottura. E
interessante osservare che la nitrurazione e l'impiego di riporti di materiale duro (cromo)
sull'asse di accoppiamento non hanno mai dato buoni risultati e quindi non provano alcuna
applicazione. Il perno deve essere perfettamente cilindrico; assolutamente da evitare sono
l'ovalizzazione e più ancora gli errori di forma come lobature, ondulazioni, etc... che, se
presenti anche in misura limitata, sono causa dì cedimenti prematuri del cuscinetto. Assai
nociva è la conicità dato che essa causa. anche se ridottissima, una spinta laterale (che
può essere causa di surriscaldamento e di conseguente messa fuori uso del cuscinetto in
un tempo molto breve). La superficie dell'asse di accoppiamento deve essere finita dì
rettifica (o, meglio ancora, di lappatura). Il piantaggio dell'asse di accoppiamento nei fori
dei volantini deve essere effettuato con una pressa idraulica (è sconsigliabile salvo
naturalmente casi di emergenza, l'impiego di una pressa a bilanciere). In genere i
costruttori consigliano di effettuare il piantaggio a secco, dopo aver accuratamente
sgrassato le superfici da accoppiare (non mancano tuttavia casi nei quali si consiglia
l'impiego dì olio fluido per facilitare l'operazione). Vi sono anche alcuni tecnici che per
l'assemblaggio dell'albero consigliano di fare ricorso al "metodo termico" (ovvero dì
scaldare i volantini e di raffreddare energicamente l'asse dì accoppiamento), nel caso dì
alberi per motori da competizione. Il centraggio (ovvero la raddrizzatura) va effettuato
subito dopo il piantaggio. Per questa operazione si utilizza di norma un martello con testa
di rame o di piombo. Di norma il massimo errore di rettilineità dell'albero (ovvero di
coassialità tra i perni dì banco) per i motori di serie viene indicato in 0,01 mm e per quelli
da competizione in 0,005 mm. Quando si impiegano acciai di bonifica in genere le pareti
dei fori dei volantini accusano in seguito al piantaggio un cedimento maggiore di quello
che si ha nei volantini in acciaio cementato. Questo costringe talvolta a fare ricorso ad
interferenze dì accoppiamento rilevanti. Per i propulsori da competizione alcuni tecnici
consigliano, per motivi di sicurezza, di non effettuare in alcun caso più di due
scomposizioni e ricomposizioni dell'albero.
26.
ALBERI A GOMITI MONOLITICI
Gli alberi a gomiti in un sol pezzo equipaggiano moltissimi motori policilindrici,
particolarmente di media e grossa cilindrata, tutti a quattro tempi naturalmente. Gli alberi di
questo tipo infatti lavorano su cuscinetti a guscio sottile ("bronzine") la cui lubrificazione
richiede un abbondante e continuo flusso di olio in pressione: questo preclude ogni loro
possibilità di impiego nei "due tempi" a elevate prestazioni. Gli alberi in un sol pezzo
impiegati nei motori motociclistici sono sempre in acciaio fucinato; infatti l'impiego di alberi
a gomiti fusi in ghisa (che offrono considerevoli vantaggi dal punto di vista economico) è
riservato a motori automobilistici di prestazioni non molto elevate (potenze specifiche
dell'ordine di 45-60 CV/litro e regimi di rotazione di norma non superiori a 6500 giri/min),
date le caratteristiche meccaniche di questo materiale, sensibilmente inferiori a quelle
dell'acciaio. La fabbricazione di un albero fucinato ha inizio da un pezzo di barra grezza.
che viene portato ad elevata temperatura (900-1100° C) e che viene quindi introdotto in
uno stampo in due pezzi. Lo stampo si chiude con una pressione elevatissima (si
impiegano delle enormi presse o dei magli) e l'acciaio, che a quella temperatura è plastico,
assume così la conformazione voluta (cioè quella corrispondente allo stampo). In genere
sono necessari più stampi (uno di essi impartisce ad esempio a grandi linee la forma
desiderata, un altro asporta le "bave", un altro ancora conferisce la conformazione "finale"
con una elevata accuratezza anche nei dettagli). E di grande importanza che il pezzo
passi da uno stampo all'altro con la massima rapidità possibile, dato che la temperatura
non deve abbassarsi al disotto di quella minima indicata per lo stampaggio a caldo di quel
materiale (nel caso dell'acciaio all'incirca 9000 C). La fucinatura è seguita da varie fasi
nelle quali vengono effettuate pulizia, sabbiatura e trattamenti termici (normalizzazione,
bonifica, etc...) preliminari; si passa poi alle lavorazioni alle macchine utensili, durante le
quali viene asportato del materiale al tornio e sì ottengono i perni di banco e di biella pronti
per la rettifica. In questo stadio di norma vengono anche effettuate le eventuali fresature
delle "maschette" (viene detto "maschetta" il braccio di manovella, completo o meno di
contrappeso) e i fori di alleggerimento. Seguono la foratura delle canalizzazioni per il
passaggio olio (generalmente si ostruiscono le estremità ditali passaggi per il lubrificante
mediante tappi a vite o tappi inseriti a pressione e quindi "bloccati" mediante cianfrinatura).
I fori nei perni di banco e in quelli di biella devono avere i margini accuratamente svasati.
E molto importante, ai finì della resistenza dell'albero, che i perni siano dotati di raccordi
laterali aventi un raggio di curvatura sufficientemente ampio. In questo stadio della
lubrificazione si realizzano in genere anche eventuali filettature sulle estremità dell'albero,
dentature sulla periferia di uno o più volantini (di forma discoidale, ovviamente), fori per il
fissaggio di volani, etc... Dopo la rettifica iniziale dei perni (al termine di questa operazione
deve rimanere un certo "soprametallo", che verrà asportato successivamente), in genere
si passa al trattamento termico finale. Un trattamento che ha una considerevole diffusione
è la tempra ad induzione. Dopo di essa i perni vengono sottoposti a rettifica finale e quindi
a lucidatura. Un albero con perni temprati ad induzione può essere rettificato più volte (la
profondità dello strato indurito è infatti sempre superiore al millimetro); la casa provvede a
fornire al ricambio varie serie di bronzine per le diverse minorazioni. Attualmente in campo
motociclistico molto spesso si ricorre alla nitrurazione morbida, trattamento che conferisce
al pezzo una grande resistenza all'usura da strisciamento e alla fatica. Quando l'albero ha
subito questo trattamento termochimico, in genere i perni non possono subire minorazioni
successive; in casi di danneggiamenti e/o di usura dei perni stessi, è necessario quindi
procedere alla sostituzione dell'albero a gomiti. Quando sì fa ricorso alla nitrurazione
morbida ("tenifer") è necessario che prima del trattamento i perni siano già stati sottoposti
a rettifica finale. Dopo il trattamento infatti si procede solo alla lucidatura dei perni,
operazione con la quale sì asporta in pratica solo una quantità trascurabile dì materiale
(dell'ordine di qualche micron). Secondo le prescrizioni di alcuni costruttori, durante la
rettifica iniziale l'albero deve ruotare in direzione opposta a quella in cui gira quando e
installato nel motore, mentre durante la rettifica finale l'albero deve ruotare nello stesso
verso nella quale gira quando è nel motore. Gli alberi vengono poi sottoposti a una serie di
accuratissimi controlli dimensionali e geometrici e all'equilibratura. Quest'ultima
operazione viene effettuata con l'ausilio di macchine elettroniche estremamente
sofisticate; il materiale viene asportato ove è necessario, in genere mediante foratura. Tra i
controlli finali vi sono quelli relativi all'allineamento dei perni di banco (ovvero alla
rettilineità dell'albero). E anche estremamente importante che i perni di biella siano
perfettamente paralleli ai perni di banco e risultino correttamente posizionati (ad esempio
nei motori a quattro cilindri in linea essi devono essere a due a due coassiali e disposti
esattamente a 1800 tra dì loro). Sofisticati controlli consentono di accertarsi che l'albero
sia perfettamente integro, ovvero non presenti discontinuità nella struttura (crepe, cricche
etc...). Sì impiegano comunemente sia l'analisi al metalloscopio (Magnaflux, etc...) che il
controllo mediante ultrasuoni. Per quanto riguarda la progettazione, da svariati anni si
sono affermate nuove tecniche che consentono di tenere conto di tutte le sollecitazioni che
il pezzo incontrerà durante il funzionamento e delle loro conseguenze (deformazioni,
etc...), come il sistema degli elementi finiti che, assieme al CAD (Computer Aided Design)
viene largamente impiegato da tutti i costruttori. Per ottenere una elevata rigidità si ricorre
a generosi "ricoprimentì" tra i perni di biella e quelli dì banco ad essi adiacenti. Accurati
studi vengono effettuati per ridurre al minimo i problemi derivanti dalle sollecitazioni
torsionali e flessionali alle quali gli alberi sono sottoposti. Progettare un albero a gomiti per
un motore di elevate prestazioni specialmente se pluricilindrico, è insomma una cosa
tutt'altro che semplice. In molti motori motociclistici moderni le maschette (bracci di
manovella più contrappesi) non vengono praticamente lavorate che nelle zone degli
spallamenti dei perni. In altri casi invece esse sono interamente lavorate alle macchine
utensili; questo avviene ad esempio negli alberi per motori da competizione. In genere, al
contrario di quanto avviene comunemente nel caso degli alberi compositi, le maschette
hanno una forma "a mannaia" o vagamente trapezoidale o anche ellittica (la forma a disco
è relativamente rara).
27.
IL BASAMENTO
La struttura portante del motore è costituita dal basamento che oltre a supportare gli alberi
(a gomiti. del cambio. etc...) e gli organi su di essi installati, serve anche come appoggio
per i cilindri e svolge l'importantissima funzione di ospitare al suo interno i vari componenti.
proteggendoli (unitamente ai coperchi laterali) dall'ingresso di sporcizia e di acqua e al
tempo stesso evitando la fuoriuscita di olio. Fin dagli albori del motorismo questo
componente viene realizzato in lega di alluminio. materiale dotato di una elevata
leggerezza, in grado di condurre ottimamente il calore e facilmente lavorabile. Di norma i
basamenti vengono ottenuti per fusione (più successive lavorazioni meccaniche, come
ovvio). Per i motori prodotti in gran serie si fa ricorso alla pressofusione ma quando i
numeri sono minori si ricorre talvolta alla fusione in conchiglia. Per piccole serie e per i
motori da competizione pressoché invariabilmente si utilizza la fusione in terra, che
richiede minori investimenti e consente di apportare agevolmente modifiche. Solo in casi
rarissimi (prototipi, motori prodotti in uno o due esemplari) il basamento può essere
ricavato dal pieno, ovverosia essere ottenuto interamente di lavorazione meccanica
partendo da un massello di lega di alluminio. A seconda dell'architettura del motore e in
funzione anche di altre considerazioni (costi di produzione, facilità di intervento, rigidità
strutturale. disposizione degli organi interni...), il basamento può essere realizzato con
schemi differenti. Un primo tipo di basamento è quello monolitico, con conformazione a
tunnel. Tipici esempi dì questa architettura sono i basamenti delle Guzzi bicilindriche della
serie "grande" e quelli della BMW boxer con distribuzione ad aste e bilancieri. La
soluzione è stata comunque impiegata abbastanza diffusamente in passato anche in
motori monocilindrici (come quelli di numerose Mondial). In questo caso uno dei supporti
di banco è ricavato in un coperchio flangiato di ragguardevoli dimensioni che chiude una
estremità del basamento (attraverso la quale l'albero a gomiti può essere collocato nella
sua posizione di lavoro). Per i motori monocilindricì e per molti bicilindricì la soluzione
usuale prevede un basamento formato da due semicarter simmetrici che si uniscono
secondo un piano verticale mediano. Talvolta, nei propulsori che hanno più di un cilindro,
si può ricorrere a uno schema che prevede una "porzione" centrale alla quale vengono
fissati due semicarter laterali. Nella maggior parte dei motori pluricilindrici moderni si
utilizzano basamenti formati da due semicarter che si uniscono secondo un piano
orizzontale che taglia esattamente a metà i supporti di banco (e spesso anche gli
alloggiamenti per i cuscinetti che supportano i due alberi del cambio). Questa soluzione
consente di effettuare tutti gli interventi meccanici con considerevole facilità e permette dì
ottenere una struttura molto rigida. A una categoria differente appartengono i basamenti
dei motori BMW della serie K, nei quali si utilizza un'unica fusione (incorporante anche il
blocco cilindri), e i supporti di banco sono dotati di cappelli amovibili. secondo uno schema
caro alla tecnica automobilistica. Nella stragrande maggioranza dei motori motociclistici
moderni il cambio è in blocco: questo vuol dire che nella parte posteriore del basamento è
ricavato l'alloggiamento per tale dispositivo. Anteriormente ad esso vi è la camera di
manovella nella quale è ospitato l'albero a gomiti. Nei motori a due tempi, che aspirano la
miscela aria-benzina proprio nella camera di manovella (prima di inviarla al cilindro
attraverso i travasi), quest'ultima è completamente separata dall'alloggiamento del cambio
in quanto deve risultare perfettamente a tenuta. In molte moto moderne il motore funge da
elemento stressato del telaio. Nei casi più semplici il basamento chiude la culla
inferiormente ma in altri la sua funzione portante è di ben maggiore entità. Non di rado il
forcellone (o il braccio) oscillante della sospensione posteriore è fulcrato direttamente nella
parte posteriore del basamento (ciò avviene per esempio nel caso dei bicilindrici Ducati)
oppure nella scatola del cambio (BMW. Guzzi della serie piccola). Nei casi più eclatanti
addirittura il telaio si riduce a due strutture ausiliarie che collegano il basamento (il quale
diviene così l'autentica spina dorsale della moto e risulta fortemente sollecitato)
rispettivamente al cannotto di sterzo e alla sella. Tipici esempi di questa soluzione
costruttiva. molto "radicale" ma senz'altro razionale, sono le recenti bicilindriche BMW a
quattro valvole di 1100 e 850 cm3. In questi casi ovviamente il basamento deve essere
studiato fin dall'origine proprio in funzione di questo ruolo portante. Per unire una elevata
leggerezza a una grande obustezza si utilizzano nervature di irrigidimento la cui
disposizione e il cui dimensionamento vengono accuratamente calcolati in fase di
progetto. Queste nervature se ben studiate consentono anche di limitare al minimo le
emissioni sonore da parte del motore. In alcuni casi per rendere più rigida la struttura del
motore i cilindri sono ricavati nella stessa fusione del basamento. A questa soluzione ad
esempio si fa ricorso nei motori Honda VF 750 e CBR 900 RR Fireblade (quest'ultimo è
attaccato al telaio proprio a livello di blocco cilindri, oltre che di parte posteriore del
basamento). La fusione è seguita dal ciclo di trattamento termico, indispensabile per
conferire la necessaria stabilità, oltre che per alleviare le tensioni interne e, cosa di
importanza assolutamente fondamentale, per impartire al materiale le corrette
caratteristiche meccaniche (durezza, resistenza a trazione. ecc...). Il basamento viene
quindi sottoposto alle lavorazioni meccaniche. Quando esso è costituito da due semicarter
questi ultimi vengono in genere lavorati assieme (una parte delle operazioni viene
effettuata dopo averli uniti) e non devono più essere separati per tutta la vita del motore.
Tra i requisiti fondamentali da tenere presenti in questa fase vi sono la perfetta
perpendicolarità tra l'asse dei supporti di banco (che ovviamente devono essere
accuratamente allineati) e il piano di appoggio del blocco cilindri nonché la perfetta
circolarità delle sedi per i cuscinetti. Per assicurare il corretto posizionamento reciproco dei
due semicarter si utilizzano spine o bussole calibrate. Gli alloggiamenti per i cuscinetti di
banco, se questi ultimi sono a rotolamento, possono in vari casi essere ricavati in anelli dì
ghisa o di acciaio incorporati di fusione (o, meno frequentemente, fissati con interferenza o
mediante flange e viti) nelle pareti del basamento.
28.
LA LUBRIFICAZIONE
L'olio svolge una funzione di importanza essenziale all'interno di qualunque motore. Ad
esso è infatti affidato il compito di impedire che tra i vari organi meccanici in movimento
relativo possa avvenire un contatto metallico diretto che, inevitabilmente, darebbe luogo a
una rapidissima usura e/o, nei casi più seri, addirittura al grippaggio. Grazie ad esso,
invece. le superfici di lavoro dei diversi componenti vengono separate da un sottilissimo
strato dì lubrificante. Questa funzione non è però l'unica che l'olio viene chiamato a
svolgere. In tutti i moderni propulsori motociclistici a quattro tempi infatti esso ha anche
una funzione refrigerante "interna" di grandissima importanza contribuendo in
considerevole misura ad asportare calore dalle zone che non possono essere lambite
direttamente dal fluido del sistema di raffreddamento. Inoltre esso assicura anche un
notevole "smorzamento" degli urti tra i vari organi. contribuisce a mantenere pulito l'interno
del propulsore e aiuta i segmenti a fare una buona tenuta. Sulle lattine di qualunque olio
per motori a quattro tempi vi sono delle sigle che ne indicano la viscosità ed il livello
qualitativo. Molto importante, come per ogni fluido che debba scorrere, è la viscosità
dell'olio (ovverosia il suo "attrito interno"), caratteristica che non deve in alcun caso essere
confusa con la densità. L'olio, tanto per fare un esempio, è più viscoso dell'acqua perché
scorre meno facilmente (come si può constatare versandolo da una lattina) ma rispetto ad
essa è meno denso (e infatti, come noto, "galleggia" sull'acqua). La viscosità è fortemente
legata alla temperatura e questo può costituire un problema. Per averla adeguata alle alte
temperature infatti c'è il rischio dì dover impiegare un olio che poi risulta eccessivamente
viscoso quando è molto freddo. Viceversa un olio che scorre bene anche a temperature
assai basse tende ad essere troppo fluido quando è molto caldo. Questo problema, una
volta assai sentito (al punto che venivano in genere prescritti oli diversi per l'impiego
invernale ed estivo del mezzo ) è stato completamente superato con la comparsa degli oli
multigradi, che presentano l'importante proprietà di essere adeguatamente fluidi a freddo e
di mantenere una buona viscosità anche alle temperature molto elevate. La viscosità
dell'olio è indicata sulla lattina da un numero di due cifre (20, 30, 40...) preceduto o seguito
dalla scritta SAE. Più il numero è elevato, maggiore è la viscosità. Per i multigradi
ovviamente vi sono due numeri, il primo dei quali (in genere seguito dalla lettera W) si
riferisce alla viscosità a freddo e l'altro a quella a caldo. Così un SAE 15W - 40 è un olio
che alle basse temperature si comporta come un unigrado SAE 15 e a caldo come un
SAE 40. L'olio è costituito da una base che può essere minerale, sintetica o mista e da un
"pacchetto" di additivi accuratamente calibrato. Prima di essere immesso sul mercato un
nuovo olio deve dimostrare la sua validità superando durissimi test programmati sia dai
produttori di lubrificanti che dalle aziende motoristiche. Con il passare degli anni il livello
qualitativo degli oli, che viene indicato da una sigla di due lettere preceduta dalla scritta
API (American Petroleum Institute), è andato via via migliorando. Gli oli dell'ultima
generazione hanno raggiunto il livello qualitativo SG (il più alto in precedenza era l'SF) e
sono in grado di superare prove che i lubrificanti di una ventina di anni fa non si
sognavano nemmeno. Il livello SH è analogo all'SG, ma offre "garanzie" ancora superiori.
Sulle lattine ci sono altre sigle oltre a quelle delle quali si è già detto. Quelle che iniziano
con MIL si riferiscono a specifiche militari americane che l'olio è in grado di soddisfare
mentre quelle che cominciano con CCMC si riferiscono a norme messe a punto dai
costruttori europei e indicanti il livello qualitativo. La sigla CCMC G2 corrisponde al livello
SG. Nei motori a quattro tempi l'olio viene inviato sotto pressione ai vari organi da
lubrificare da una pompa che lo preleva dalla coppa (o dal serbatoio. nel caso dei motori a
"carter secco"). Oramai scomparse dalla scena le pompe a pistoncino. nella quasi totalità
dei casi si impiegano pompe a ingranaggi o pompe a lobi (Eaton o trocoidali). azionate
dall'albero motore per mezzo dì ingranaggi o tramite una catena (o un alberino ausiliario).
Talvolta la pompa addirittura prende il moto della corona di trasmissione o, come nei boxer
BMW a due valvole. è calettata a una estremità dell'albero a camme. Unici in questo
campo sono i monocilidrici Gilera bialbero che impiegano una pompa a (ingranaggio
interno" di tipo automobilistico e i mono Husqvarna e Husaberg da enduro che addirittura
fanno completamente a meno della pompa (in essi si sfruttano le pulsioni di pressione nel
carter per lubrificare il manovellismo e si porta alla testa una certa quantità di lubrificante
grazie alla catena di distribuzione). Il cambio, in blocco, che nei 4 tempi non è
completamente separato dalla camera di manovella, viene in genere lubrificato dall'olio,
che lo raggiunge per sbattimento; non mancano comunque esempi di cambi lubrificati da
olio ad essi inviato sotto pressione. Nei motori dotati di albero a gomiti monolitico che
lavora su cuscinetti a guscio sottile, la pressione nel circuito di lubrificazione è
mediamente dell'ordine di 4-6 bar, mentre quando i cuscinetti di banco e di biella sono a
rotolamento (motori con albero a gomiti di tipo composito) la pressione è sempre inferiore
ad un bar. Un'importante funzione dell'olio è quella di asportare calore dai cuscinetti e
questo rende necessario un flusso decisamente considerevole di lubrificante attraverso tali
componenti. In un moderno quadricilindrico di elevate prestazioni di 1000 cm3, la pompa
può avere una portata di ben oltre 2000 litri/ora. Ai cuscinetti di biella l'olio arriva attraverso
canalizzazioni praticate nell'albero motore, in cui fa il suo ingresso dai cuscinetti di banco
oppure. se il motore è monocilindrico (o bicilindrico a V) da una estremità dell'albero
stesso, tramite un apposito foro assiale. in svariati motori con albero composito, l'olio che
sfugge lateralmente ai cuscinetti di banco viene raccolto da appositi convogliatori
centrifughi (in genere sono in lamiera e vengono opportunamente fissati ai volantini
dell'albero, ma in qualche caso sono integrali con i volantini stessi), che provvedono a
farlo pervenire alla canalizzazione interna dell'asse di accoppiamento e quindi al
cuscinetto di biella. In quasi tutti i moderni motori a quattro tempi di alte prestazioni, per
abbassare la temperatura di lavoro dei pistoni si ricorre a getti di olio indirizzati contro la
parte inferiore del cielo dei pistoni stessi da appositi ugelli collegati in corrispondenza della
base delle canne dei cilindri o da fori ricavati nella parte superiore della testa delle bielle.
In questo modo la temperatura al centro del cielo può subire un abbassamento dell'ordine
di una trentina di gradi.
29.
IL RAFFREDDAMENTO
Per decine e decine di anni i motori motociclistici sono stati pressoché sempre
contraddistinti dalla presenza di un abbondante alettatura sulla testata e sui cilindri, resa
indispensabile dalla adozione del raffreddamento ad aria. In genere essa contribuiva in
maniera determinante all'estetica del motore, fattore di importanza rilevante in veicoli nei
quali tutti gli organi meccanici facevano invariabilmente bella mostra di sé. Il
raffreddamento ad aria, nella sua versione più semplice, ovverosia priva di convogliatori e
di ventole, si "sposa" decisamente bene con i motori motociclistici che di norma possono
essere agevolmente lambiti dal "vento della corsa" (ovverosia dalla corrente d'aria
determinata dall'avanzamento del veicolo). La funzione delle alette, ricavate direttamente
di fusione nelle pareti esterne della testata e del cilindro, è quella di aumentare la
superficie metallica che viene lambita dall'aria, consentendo così l'asportazione dì una
considerevole quantità di calore. Va comunque ricordato che l'adozione del
raffreddamento ad aria estremamente semplice (non vi sono infatti, pompe, termostati o
radiatori). poco costoso e dotato di una affidabilità a prova di bomba, presenta alcune
limitazioni. Alcune sono legate all'estetica della moto. Non è infatti possibile ottenere
un'adeguata refrigerazione del propulsore se il veicolo è dotato di una carenatura
avvolgente e procede a velocità molto ridotta (ad esempio in salita oppure in mezzo al
traffico). Altre riguardano la struttura stessa del motore che non può essere raffreddata
convenientemente (a meno che la potenza specifica sia piuttosto ridotta) se i cilindri sono
disposti in modo tale che quelli posteriori risultano "schermati" da quelli anteriori. Ciò
impedisce di impiegare questo sistema di raffreddamento in propulsori con quattro (o più)
cilindri a V, in linea longitudinale, contrapposti, etc... (anche se non sono mancati in
passato esempi di motori aventi queste architetture e refrigerati ad aria, non si deve
dimenticare che invariabilmente essi avevano prestazioni modeste e ruotavano a regimi
assai contenuti). Con il passare degli anni e con l'aumento progressivo delle potenze
specifiche, per ottenere un maggior scambio termico con l'aria sono state adottate
alettature sempre più estese e si è passati, dapprima per la testa e quindi anche per i
cilindri, dalla ghisa all'alluminio, materiale caratterizzato oltre che da un peso assai
inferiore, anche da una conduttività termica notevolmente più elevata. In non pochi casi,
nel tentativo di minimizzare le distorsioni della canna del cilindro (serio problema in tutti i 2
T di alte prestazioni raffreddati ad aria), si è fatto ricorso ad alettature "interrotte" che
lasciavano libero il cilindro nelle sue dilatazioni senza "serrarlo" come in una serie dì anelli
(le alette, essendo a temperatura più bassa, si dilatano dì meno delle pareti del cilindro). Al
fine di ottenere la migliore uniformità possibile nella distribuzione delle temperature (e
quindi dì limitare il pericolo delle distorsioni) sono state adottate pareti di rilevante
spessore (che conducono più liberamente il calore) in varie zone della testa e tutt'intorno
al cilindro. Gli incrementi prestazionali ultimamente subiti dai motori più spinti e gli altri
motivi dei quali si è detto. oltre alla ricerca di una sempre maggiore compattezza hanno
negli ultimi anni fatto sì che il raffreddamento ad acqua subisse un formidabile "rilancio".
diffondendosi in misura crescente dapprima sui motori da competizione e
successivamente su quelli dì serie. Va subito detto. comunque. che il raffreddamento ad
aria va ancora più che bene in un gran numero di casi. come ad esempio nelle moto da
granturismo o in molte enduro, custom... Quando però si è alla ricerca di prestazioni
elevatissime. come quelle raggiunte da molti dei più recenti quadricilindrici a quattro tempi,
che superano agevolmente i 130 CV/L o quelli dei due tempi sia stradali che enduro. che
hanno da tempo superato abbondantemente la soglia dei 220 CV/L nelle moto di serie e
dei 350 CV/L in quelle da competizione l'adozione del raffreddamento ad acqua è
praticamente d'obbligo. In particolare proprio i due tempi hanno beneficiato in misura
cospicua della adozione di questo tipo di raffreddamento che consente non solo di
asportare quantità di calore assai rilevanti anche procedendo a velocità relativamente
ridotte e di rimuovere il calore stesso direttamente da zone molto "critiche" (che sarebbero
ben difficilmente raggiungibili dal fluido refrigerante se si facesse ricorso al raffreddamento
ad aria) ma anche di ottenere una grande uniformità nella distribuzione delle temperature
nella testata e attorno alla canna del cilindro. Quest'ultima, nei due tempi, presenta
svariate aperture (le luci) e quindi una distribuzione disomogenea del materiale e tende ad
avere un lato "caldo" (quello ove si trova il condotto di scarico) ed un lato "freddo". Tutto
ciò fa sì che la canna possa facilmente essere soggetta a distorsioni (cioè ad
allontanamenti dalla forma perfettamente cilindrica) anche di entità tutt'altro che
trascurabile, allorché si adotta il raffreddamento ad aria. Il problema può essere invece
minimizzato con il raffreddamento ad acqua dato che il fluido refrigerante può essere
inviato in maggiore quantità proprio alle zone più sollecitate dal punto di vista termico. In
tutti i sistemi di raffreddamento ad acqua attualmente impiegati sulle moto sia di serie che
da gran premio, la circolazione del liquido (miscela di acqua demineralizzata, antigelo e
additivi anticorrosione) viene attivata da una pompa centrifuga azionata meccanicamente
(solo in qualche raro caso si utilizza una pompa comandata elettricamente). Il radiatore.
che può essere sia a flusso orizzontale che a flusso verticale è in lega di alluminio e nei
modelli di serie è di norma dotato di una elettroventola che entra in funzione allorché la
temperatura dell'acqua supera un determinato valore (ciò consente di ottenere un efficace
raffreddamento anche in salita e nella marcia nel traffico). Per consentire al motore di
raggiungere rapidamente la temperatura di regime sì utilizza un termostato9 che nelle
esecuzioni più moderne è quasi sempre del tipo a tre vie: quest'ultimo. regolando la
miscelazione dell'acqua proveniente dal radiatore con quella che arriva dal gruppo
testacilindro9 è in grado di contribuire in misura determinante all'accurato controllo della
temperatura di funzionamento del motore, che può così funzionare sempre in condizioni
termiche ottimali. Negli scooter il motore non è esposto al vento della corsa ma, trattandosi
di veicoli di potenza e prestazioni ridotte. si ricorre molto spesso al raffreddamento ad aria
forzata (gruppo cilindro-testata racchiuso da un convogliatore con flusso di aria attivato da
una ventola), soluzione vantaggiosa anche sotto il profilo economico (e della semplicità
costruttiva).
30.
I SISTEMI DI SCARICO DEI MOTORI A QUATTRO TEMPI
Nei motori motociclistici a quattro tempi le caratteristiche del sistema di scarico sono dì
grande importanza dal punto di vista delle prestazioni, anche se la loro influenza è
sicuramente minore rispetto a quella che hanno nei due tempi. In effetti la funzione di un
moderno complessivo di scarico non è solo quella di consentire un'agevole espulsione dei
gas combusti, ma anche quella di aiutare validamente la "respirazione" del motore. Per
spiegare come nei quattro tempi accade questo, è necessario ricordare brevemente che
cosa si verifica all'interno del cilindro. Verso il termine della fase di espansione allorché il
pistone sta avvicinandosi al punto morto inferiore, ad un certo punto si apre la valvola di
scarico e i gas, che hanno una pressione considerevole (dell'ordine anche di oltre 5 - 6
bar, nei motori moderni), si riversano nel condotto, cominciando ad uscire velocemente dal
cilindro. La loro espulsione continua successivamente per l'azione di "pompaggio"
esercitata dal pistone nel risalire verso il punto morto superiore (corsa dì scarico). Verso il
termine di questa fase, prima ancora che il pistone abbia raggiunto il punto morto
superiore (PMS) ed abbia invertito il suo moto, inizia ad aprirsi la valvola di aspirazione.
Poiché la valvola di scarico si chiude un bel po' dopo il PMS, vi è un certo periodo durante
il quale entrambe le valvole sono sollevate dalle loro sedi e lo scarico è "collegato" alla
aspirazione tramite il cilindro (fase di "incrocio"). Il sistema di scarico deve non solo
presentare la minima resistenza al passaggio dei gas. ma anche consentire lo
sfruttamento dell'inerzia dei gas stessi e delle pulsazioni di pressione all'interno della
massa gassosa. Quando si apre la valvola di aspirazione si sfrutta proprio l'azione
"estrattrice" dei gas combusti per mettere in moto la colonna di gas freschi nel condotto
"proveniente" dal carburatore. La carica fresca entra nel cilindro completando l'espulsione
dei gas combusti (che però per forza di cose non è mai completa). Quando si apre la
valvola di scarico. internamente al condotto si crea una vigorosa onda di pressione
positiva che rapidamente percorre tutto il sistema di scarico per essere quindi riflessa.
dopo averne raggiunto l'estremità, sotto forma di onda di pressione negativa. Se
quest'onda riflessa arriva nella zona della valvola all'inizio della fase di incrocio. è evidente
che agevolerà l'ingresso dei gas freschi nel cilindro facendo migliorare il rendimento
volumetrico del motore. Le onde di pressione viaggiano lungo il sistema di scarico in
entrambi i sensi perdendo energia ad ogni riflessione. Se un'onda positiva arriva al
momento giusto ovverosia proprio quando la valvola sta per terminare la sua chiusura,
può rivelarsi vantaggiosa come effetti. "ricacciando" nel cilindro una parte dei gas freschi
che, seguendo quelli combusti. era entrata nel condotto di scarico (questo avviene
prevalentemente nei motori dotati di camme con fasatura assai spinta9 ovverosia con
"incroci" molto prolungati). Purtroppo solo in un campo di regimi molto ristretto l'effetto
delle pulsazioni dì pressione che si hanno con un determinato sistema di scarico si rivela
vantaggioso per la respirazione del motore. Ad alte velocità di rotazione le onde arrivano
nei momenti sbagliati e quindi hanno un effetto negativo (così si spiegano le curve di
erogazione che presentano, oltre a quello principale, anche altri "picchi" secondari). Nei
motori monocilindrici, che una volta venivano impiegati diffusamente sulle moto da
velocità, la parte terminale del tubo di scarico (non c'erano limiti fonometrici allora!) era
quasi sempre conformata a megafono. Dotandola di una conicità divergente infatti è
possibile aumentare la durata della pulsazione di pressione (che però diventa meno
vigorosa) e quindi si può allargare il campo di regimi nel quale il sistema di scarico risulta
"accordato". Da molti anni a questa parte per i motori policilindrici si sono affermati sistemi
di scarico che invece di tubi individuali sono costituiti da tubi iniziali singoli che vanno ad
unirsi in modo da confluire in un tubo unico (o in un tubo per ogni lato della moto) di
sezione decisamente maggiore. I più noti sono i sistemi quattro-in-uno e quattro-in-due-inuno impiegati nei motori quadricilindrici in linea. Essi oltre a ovvi vantaggi in termini di
ingombro e di peso, consentono di ottenere eccellenti prestazioni "accordando"
opportunamente i vari parametri (diametro e lunghezza, sia dei tubi singoli che del tubo
terminale, etc...). In questi sistemi gli scarichi dei vari cilindri interagiscono positivamente
tra di loro. Questo è ditale importanza che talvolta i tecnici realizzano il motore proprio in
modo da consentire l'ottenimento della migliore accordatura degli scarichi provenienti dai
vari cilindri (è questo il caso, tanto per fare un esempio, degli otto cilindri a V impiegati
sulle autovetture da competizione, nei quali si ricorre ad un albero a gomiti con manovelle
disposte diversamente da quelle dei motori di eguale architettura prodotti in serie!). Lo
studio e la realizzazione dei sistemi di scarico per motori di elevate prestazioni non è cosa
semplice; molto importante, nonostante il fatto che oggi si ricorra ampiamente all'uso del
computer, rimane la messa a punto finale al banco prova. I parametri da tenere in
considerazione in fase di progetto sono svariati; tanto per fare un esempio il diametro del
tubo è critico in quanto se troppo ridotto determina una sensibile resistenza al passaggio
dei gas, mentre se è troppo grande causa una eccessiva diminuzione delle velocità dei
gas stessi. Per ottenere curve di erogazione "piene" per ampi campi di regimi senza
sacrificare praticamente nulla in termini di potenza massima sono dì recente stati messi a
punto sistemi di scarico con risuonatori incorporati (come alcuni quattro-in-uno della
Yoshimura) oppure con geometrie variabili, come la Yamaha "Ex-Up".
31.
LE MARMITTE A ESPANSIONE
Il merito delle eccezionali potenze specifiche che i due tempi moderni sono in grado di
raggiungere va in larghissima misura attribuito allo scarico a camera di espansione. che
sotto un certo aspetto può essere ritenuto un autentico "sovralimentatore" a onde di
pressione. Un tipico scarico di espansione è costituito schematicamente da un tubo
iniziale, un "diffusore" (parte conica divergente). una sezione centrale di forma
praticamente cilindrica. una parte conica convergente e infine uno "spillo" (tubetto
cilindrico terminale). Nelle applicazioni di serie la struttura può essere complicata da una o
più paratie interne ma il principio di funzionamento rimane fondamentalmente lo stesso.
Un'onda dì pressione che viaggia in seno a una massa gassosa all'interno di un tubo
cilindrico viene riflessa con segno opposto (la pressione positiva diventa negativa) se il
tubo stesso ha l'estremità aperta e con segno invariato se esso è chiuso. Naturalmente
l'onda riflessa che percorre il tubo in direzione opposta, sarà meno vigorosa di quella
originale dato che la riflessione, come pure la propagazione attraverso il fluido, avviene
con una certa perdita di energia. La velocità con la quale le onde di pressione viaggiano
all'interno del sistema di scarico è quella del suono e non dipende dal regime di rotazione,
come si potrebbe pensare. ma è fondamentalmente legata alla temperatura dei gas.
Poiché quest'ultima varia lungo il sistema stesso. quando sì calcola uno scarico occorrerà
assumere un valore medio di riferimento in genere valutabile in 510-530 metri al secondo.
Allorché si apre la luce di scarico e i gas si riversano nel condotto. si crea una vigorosa
onda di pressione positiva che il diffusore (parte a conicità divergente) provvede a riflettere
con segno cambiato (ovverosia come onda negativa). Se questa onda negativa arriva al
cilindro allorché si stanno aprendo le luci di travaso, contribuisce grandemente non solo
allo svuotamento del cilindro stesso ma anche al suo riempimento con miscela fresca. In
linea di massima si può dire che all'aumentare della conicità del diffusore l'onda di
pressione negativa diventa più vigorosa ma di minore durata. il che tende a determinare
migliori prestazioni di punta ma al tempo stesso un restringimento del campo di
utilizzazione, con perdita di tiro ai regimi medio-bassi. Le conicità oggi impiegate sono
dell9ordine di 60-120, e spesso il diffusore è costituito da due parti a conicità diversa. La
sezione a conicità convergente si comporta in un certo senso come un tubo con estremità
chiusa in quanto riflette l'onda di pressione positiva quando essa la raggiunge. Per fornire i
migliori risultati l'onda di ritorno deve arrivare al cilindro proprio quando la luce di scarico si
sta chiudendo; essa si comporta in un certo senso come un autentico "pistone fluido" non
solo sbarrando la strada ai gas freschi (impedendone la fuoriuscita attraverso la luce
stessa) ma addirittura "ricacciando" indietro una certa parte che già era uscita, in modo da
migliorare sensibilmente il riempimento del cilindro stesso, dando luogo ad una vera e
propria sovralimentazione. Le onde possono essere molto vigorose, con variazioni di
pressione che possono raggiungere anche valori attorno a 0,5 bar. L'onda di pressione
negativa attraverso i travasi può raggiungere la camera di manovella agevolandone lo
svuotamento e può addirittura dare luogo ad aperture "secondarie" delle valvole a lamelle
(è anche per questo che il vano a valle del pacco lamellare è in genere direttamente
collegato con il cilindro tramite uno o due travasi ausiliari). La realizzazione di un efficiente
sistema di scarico (che deve sempre essere accuratamente "accordato" con la fasatura di
distribuzione e con la forma e le dimensioni delle luci) è materia da autentici specialisti.
Oltre al fatto che gli effetti dei fenomeni pulsatori interagiscono con quelli dovuti al
movimento del gas, il problema principale è quello di riuscire a fare arrivare le onde alla
luce di scarico nei momenti giusti, al regime di rotazione previsto. In genere all'aumentare
della potenza specifica i sistemi dì scarico tendono a funzionare al meglio entro campi di
regimi sempre più ristretti, fino ad arrivare a casi nei quali il regime di coppia massima (al
quale si ha il migliore riempimento della cilindrata) praticamente si identifica con quello di
potenza massima! Per migliorare la situazione i costruttori hanno realizzato valvole
parzializzatrici della luce di scarico e risuonatori, che consentono di "riempire" la curva ai
regimi intermedi senza perdere nulla in termini di potenza di punta. Nei motori da corsa in
genere gli scarichi sono realizzati in lamiera di acciaio dello spessore di 0,8 mm mentre in
quelli da strada usualmente si ricorre a quella da 1,2 mm. Lo spillo, che ha la funzione di
evitare un troppo rapido svuotamento dello scarico da parte dei gas, è collegato ad un
silenziatore terminale, che in genere è del tipo ad assorbimento.
32.
RISUONATORI E VALVOLE ALLO SCARICO
Da diversi anni a questa parte i più importanti costruttori di auto e di moto stanno
dedicando attenzioni sempre maggiori allo studio di sistemi che consentano di ottenere
campi di utilizzazione piuttosto ampi anche in presenza di potenze specifiche elevatissime.
In effetti queste ultime sono cresciute in misura sensibile raggiungendo, in particolare nel
settore motociclistico. valori che fino a non molto tempo fa erano semplicemente
inimmaginabili per dei propulsori di serie. Questi risultati sono stati conseguiti grazie ad
incrementi dei regimi di rotazione (a loro volta resi possibili da miglioramenti di disegno e
di dimensionamento dei vari organi interni) ai quali si sono accompagnati grandi passi
avanti nei settori preposti alla "respirazione" del motore. Oltre all'adozione di quattro
valvole per cilindro nei quattro tempi e di "travaserie" sempre più ampie nei due tempi, di
grande importanza sono stati i miglioramenti dei sistemi di alimentazione e di scarico.
frutto di approfonditi studi della fluidodinamica. E il bello è che questi incrementi
prestazionali sono stati ottenuti senza perdere praticamente nulla per quanto riguarda
l'affidabilità e senza rinunciare a molto in termini di longevità. L'erogazione dei motori.
nonostante le altissime potenze specifiche raggiunte, è rimasta fluida e la trattabilità si è
mantenuta su ottimi livelli. Nei motori a due tempi, come già visto, si sono da anni
affermate le valvole lamellari per il controllo dell'aspirazione; pur determinando un lieve
incremento delle perdite di pompaggio, questi dispositivi oltre ad eliminare i fenomeni di
"rifiuto", consentono di ottenere effettivamente una fasatura di ammissione variabile.
Estremamente diffuse sono anche le valvole parzializzatrici della luce di scarico che
possono essere controllate da meccanismi centrifughi oppure da servomotori gestiti da
centraline elettroniche. Grazie a queste valvole è possibile variare l'altezza "utile" della
luce e quindi modificare la fasatura di scarico, che risulterà ottimizzata per gli alti regimi a
valvola totalmente aperta e adeguata ai regimi intermedi a valvola chiusa. Il sistema,
all'atto pratico, consente di ottenere buoni risultati. Il suo contributo va a sommarsi a quello
offerto dalle lamelle e dai sistemi di scarico "variabili". Questi ultimi sono in certi casi
costituiti semplicemente da un normale complesso a espansione al quale viene aggiunto,
nel tratto iniziale, un risuonatore (collegato al condotto da un otturatore che, come le
valvole parzializzatrici, può essere controllato da una centralina elettronica oppure da un
semplice dispositivo centrifugo). In questo modo è possibile disporre di un sistema di
scarico dalle caratteristiche differenti a seconda che il condotto sia o meno in
comunicazione con il risuonatore. In linea di massima le Case dotano i loro motori di
valvola parzializzatrice o, meno frequentemente, di risuonatori di scarico e solo di rado di
entrambi questi dispositivi contemporaneamente. Per rendere "variabili" i sistemi di scarico
a camera di espansione, nei motori da competizione sono universalmente impiegate (ed
hanno ormai larga applicazione anche nei motori di serie) le accensioni elettroniche che al
disopra di un dato regime di rotazione fanno diminuire progressivamente l'anticipo. Lo
scopo è quello di fare innalzare la temperatura dei gas combusti e quindi di far variare la
velocità del suono (e perciò anche quella con la quale viaggiano le onde di pressione)
all'interno del complesso di scarico. In tal modo quest'ultimo è in grado di adeguarsi,
almeno in una certa misura, all'accresciuta velocità di rotazione (in pratica è come se la
marmitta a espansione diventasse più corta agli alti regimi). Insomma, semplicemente
ricorrendo ad una ben studiata fasatura variabile di accensione è possibile ottenere un
miglioramento delle prestazioni di punta, unito a un sensibile aumento dell'allungo. nei
motori di altissime prestazioni. Ulteriori miglioramenti si possono ottenere ricorrendo ad un
artificio che, al contrario, fa abbassare la temperatura dei gas combusti ai regimi medi (e
quindi riduce la velocità delle onde di pressione): l'iniezione di acqua nel sistema di
scarico. In pratica, poiché l'onda impiega più tempo per tornare al cilindro il sistema di
scarico si comporta come se la sua lunghezza fosse aumentata (col risultato di
"accordarla" al meglio per i medi regimi!). Questa soluzione è stata impiegata non solo al
banco prova (da varie Case) ma anche in gara (Honda 500). L opportuno anche ricordare
che effettivamente sono stati in passato realizzati scarichi a volume e lunghezza variabile
rimasti però in pratica allo stadio sperimentale. Avevano la parte di maggior diametro della
camera di espansione costituita da due sezioni cilindriche che potevano scorrere l'una
all'interno dell'altro (si impiegava cioè un sistema telescopico) allorchè si azionava un
apposito comando. lì sistema era semplice e l'idea buona ma purtroppo noi si poteva agire
su altri importanti parametri del complesso (coni divergente e convergente, tratto iniziale,
spillo terminale...) e quindi i risultati per forza di cose erano limitati. Inoltre vi erano dei non
trascurabili problemi di installazione... Scarichi di questo tipo vengono tuttora impiegati in
campo motonautico (fuoribordo da competizione).