- Passiochristi

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- Passiochristi
Rivista trimestrale di cultura e spiritualità della Passione a cura
dei Passionisti italiani e della Cattedra Gloria Crucis della
Pontificia Università Lateranense
LA
SAPIENZA
della
CROCE
ANNO XXIV - N. 4
OTTOBRE-DICEMBRE 2009
SACRA SCRITTURA e TEOLOGIA
Direttore responsabile
Adolfo Lippi c. p.
Tematiche teologiche
in relazione all’Eucaristia
di MAURIZIO BUIONI C.P.
3-25
La teologia contenuta nel testo
delle costituzioni dei passionisti
di ADOLFO LIPPI C.P.
27-52
Cattedra Gloria Crucis
Comitato scientifico
Fernando Taccone c. p. - Piero Coda
Antonio Livi - Denis Biju-Duval
Adolfo Lippi c. p. - Gianni Sgreva c. p.
A. Maria Lupo c. p.
Segretari di redazione
Carlo Baldini c. p. - Gianni Sgreva c. p.
A. Maria Lupo c. p. - Franco Nicolò
Lucia Ulivi
PASTORALE e SPIRITUALITÀ
«Nelle carceri naziste con San Paolo»
La testimonianza di Max Josef Metzger
di LUBOMIR ZAK
Direttore amministrativo
Vincenzo Fabri c. p.
53-83
Collaboratori
Tito Amodei - Max Anselmi - Carlo Baldini
Vincenzo Battaglia - Luigi Borriello
Maurizio Buioni - Giuseppe Comparelli
Massimo Pasqualato - G. Marco Salvati
Salvatore Spera - Flavio Toniolo
Gianni Trumello - Tito Zecca
Il fascismo e la stampa cattolica
durante la seconda Guerra Mondiale
La soppressione de
L’Eco di S. Gabriele dell’Addolorata
di GIOVANNI DI GIANNATALE
85-104
Redazione:
La Sapienza della Croce
Piazza SS. Giovanni e Paolo, 13
00184 Roma
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Fax 700.80.12
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Un sacerdote artista per ogni Diocesi
di TITO AMODEI C.P.
105-112
Dell’arte e dell’artista
di ELISABETTA VALGIUSTI
113-117
Abbonamento annuale
Italia € 20,00, Estero $ 30
Fuori Europa (via aerea) $ 38
Singolo numero € 5,00
SALVEZZA E CULTURE
RECENSIONI
119
SCHEDE BIBLIOGRAFICHE
133
C.C.P. CIPI n. 50192004 - Roma
Finito di stampare dicembre 2009
Stampa:
Editoriale Eco srl - San Gabriele (Te)
Progetto grafico: Filomena Di Camillo
Impaginazione: Florideo D’Ignazio
ISSN 1120-7825
Autorizzazione del tribunale di Roma n. 512/85, del 13 novembre 1985 - Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento
Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 2 e 3, Teramo Aut. N. 123/2009
sacra
scrittura
e
teologia
di MAURIZIO BUIONI C.P.
Questo articolo si inserisce con una ricerca positiva (non speculativa o critica) all’interno di una progressiva riscoperta delle
radici della fede cristiana nell’Antico Testamento in atto nella
Chiesa. Non è un argomento di secondaria importanza, o che
interessi soltanto gli specialisti. Il giusto radicamento del messaggio cristiano nella cultura nella
quale è nato e si è espresso ne
permette la giusta comprensione.
Questa, a sua volta, è condizione
dell’efficacia spirituale del dono,
nel mistero stesso di Dio.
Q
TEMATICHE
TEOLOGICHE
IN RELAZIONE
ALL’EUCARISTIA
ueste pagine vogliono
essere un invito ad approfondire
la
Pasqua
d’Israele come Pasqua di Gesù e Pasqua della
Chiesa, e per questo presenteremo alcuni temi teologico-liturgici in relazione all’Eucaristia.
La rinnovazione liturgica dell’Eucaristia non
può prescindere da un ritorno alle fonti, e il ritorno alle fonti cristiane non può prescindere dal ritorno alle fonti ebraiche.
Oggi, per esempio, si sta scoprendo che non si possono capire i
vangeli, soprattutto San Giovanni, senza capire le feste ebraiche e,
nel nostro caso, non si può capire l’Eucaristia senza capire Pesah,
senza approfondire che cosa è Berakhà, Zikkaròn, esultanza, ecc...
Invitiamo, dunque, il lettore a compiere un viaggio ideale per
scoprire di nuovo l’Eucaristia: arrivare fino a Gerusalemme, salire
alla stanza superiore del Cenacolo, sederci a tavola con Gesù e gli
Apostoli nell’Ultima Cena. L’Ultima Cena di Gesù è dove si celebra
la prima Eucaristia cristiana.
“Fate questo in memoria di me”. Che cosa è “questo”? Questo
“questo” era capito molto bene dai primi cristiani, che erano ebrei,
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teologia
sacra Gesù, gli Apostoli, la Vergine Maria, gli evangelisti, le prime comucristiane, soprattutto la prima comunità di Gerusalemme, la
scrittura nità
Chiesa madre (“i santi”).
e
teologia
A
distanza di 40
anni dalla proIl «patrimonio comune»
mulgazione
liturgico
della
Dichiarazione
Nostra Aetate del
Concilio Vaticano II, sulle relazioni della Chiesa con le religioni
non-cristiane, il paragrafo 4 del documento conciliare esordiva con
le seguenti parole: «Scrutando attentamente il mistero della Chiesa,
questo sacro Sinodo non ha dimenticato il vincolo con cui il popolo
del Nuovo Testamento è spiritualmente legato con la stirpe di
Abramo». Più avanti si rimarcava il grande «patrimonio spirituale
comune» tra cristiani ed ebrei.
Giovanni Paolo II ha fatto grandi passi nella direzione del rinnovamento conciliare. In un discorso del 6 marzo 1982, egli ha ribadito l’importanza di quel considerevole patrimonio, aggiungendo che
«farne l’inventario in se stesso, tenendo però anche conto della fede
e della vita religiosa del popolo ebraico, così come esse sono professate e vissute ancora adesso, può aiutare a comprendere meglio
alcuni aspetti della vita della Chiesa»1. Subito dopo il Papa ha
aggiunto: «È il caso della liturgia...». Tale affermazione rappresenta
un importante passo in avanti: se la ricerca storica circa l’Ebraismo
all’epoca del Secondo Tempio è di fondamentale importanza per la
comprensione del NT, della vita e della liturgia della Chiesa
Primitiva, non va trascurata la conoscenza della fede ebraica così
come essa è vissuta al presente2.
Il 13 aprile 1986 Giovanni Paolo II ha detto nella Sinagoga di
Roma che la realtà ebraica «non ci è estrinseca, ma in un certo qual
Cf. anche i Sussidi per una corretta presentazione degli Ebrei e
dell’Ebraismo nella predicazione e nella catechesi della Chiesa Cattolica (24
Giugno 1986), I,2; CCC 1096.
2
Cf. A. RODRÍGUEZ CARMONA, “Jesucristo en y ante el judaísmo”, en Cristo.
Camino, Verdad y Vida. Actas del Congreso Internacional de Cristología
(Murcia 2003).
1
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modo è intrinseca alla nostra religione»3. Nello stesso anno, la
Commissione per le relazioni religiose con l’Ebraismo ha pubblicato un documento intitolato Sussidi per una corretta presentazione
degli Ebrei e dell’Ebraismo nella predicazione e nella catechesi
della Chiesa Cattolica. Il quinto capitolo è dedicato alla liturgia e in
particolare il paragrafo 24 al nostro tema della Pasqua:
sacra
scrittura
e
teologia
I cristiani e gli ebrei celebrano la Pasqua: Pasqua della storia, protesa
verso l’avvenire, per gli ebrei; Pasqua realizzata nella morte e resurrezione di Cristo, per i cristiani, anche se ancora in attesa della consumazione definitiva. È ancora il «memoriale» che ci viene dalla tradizione
ebraica con un contenuto specifico, diverso in ciascun caso. Esiste
dunque, dall’una e dall’altra parte, un dinamismo parallelo: per i cristiani, esso dà un senso alla celebrazione eucaristica (cf. Antifona O
sacrum convivium), celebrazione pasquale e, in quanto tale, attualizzazione del passato, vissuto nell’attesa «della sua venuta» (1Cor 11,26)4.
Non è nostro intento nel presente articolo affrontare la questione
se e in quale forma Gesù abbia celebrato il Seder Pasquale durante
la sua Ultima Cena. In ogni caso, non si può dubitare almeno del
fatto che Gesù abbia celebrato la sua Ultima Cena nel contesto della
Pasqua Ebraica e che abbia dato all’istituzione dell’Eucaristia un
netto significato pasquale. Pertanto, non è solo legittimo, ma anche
doveroso collocare l’Eucaristia nella cornice della Cena Pasquale
ebraica5. Così, ad esempio, si afferma in un recente articolo sul
tema:
Quanto quest’affermazione sia tenuta in conto dalla Chiesa è visibile
anche concretamente, perché la Commissione per le relazioni religiose con
l’ebraismo è un organismo che si trova all’interno del Segretariato per l’Unità
dei Cristiani.
4
Cf. anche CCC 1096.
5
Così, ad es., in Lc 22,14: «Quando fu l’ora, prese posto a tavola e gli
apostoli con lui, e disse: “Ho desiderato ardentemente di mangiare questa
Pasqua con voi, prima della mia passione»; cf. anche Mt 26,18-19. Afferma
giustamente J.K. HOWARD, «Passover and Eucharist in the Fourth Gospel», SJT
20/3 (1967) 329-330: «It is clearly outside our province to argue whether the
Last Supper was a genuine Passover meal or not, but whichever view of the matter is taken, we cannot escape that obvious Paschal signification which Jesus
gave to the bread and the wine» (cors. nostro).
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Indipendentemente dalla questione storica, per la comprensione dell’eucaristia non si può prescindere dalla cornice storico-salvifica della
Pasqua ebraica. E su questo si vedono d’accordo tutti gli evangelisti; il
sacrificio della croce costituisce il compimento di quello che prefigurava l’immolazione dell’agnello, mentre l’ultima cena di Gesù si configura come il pasto della nuova Pasqua6.
Ogni rinnovamento non può prescindere da un ritorno alle fonti.
Anche il rinnovamento liturgico dell’Eucaristia, Pasqua di Gesù e
Pasqua della Chiesa, non può prescindere da un ritorno alle fonti.
Ora, il ritorno alle fonti cristiane non può prescindere da un ritorno
alle fonti ebraiche. Il rinnovamento dell’Eucaristia passa quindi
anche attraverso il ritorno alle fonti ebraiche, un cammino che, per
quanto possa sembrare strano, è ancora lungo7.
Il NT e la liturgia della Chiesa primitiva rimangono un enigma
per chi ignori non solo l’AT, ma anche il culto e la liturgia ebraica,
essendo la liturgia Parola celebrata, fatta carne, resa attuale e viva
nell’oggi del credente8. E nel contesto della conoscenza dell’AT, è di
grande importanza anche quella della sua interpretazione orale
ebraica, perché la Scrittura ai tempi di Gesù non era un testo
«nudo», ma era già rivestita di tutti gli «ornamenti» delle interpretazioni della Torah orale9. Per illuminare la liturgia cristiana, in particolare quella della Chiesa primitiva, è necessaria la conoscenza
della liturgia ebraica10.
L.D. CHRUPCA∏A, «Fate questo in memoria di me», Studium Biblicum
Franciscanum Liber Annuus 53 (2003) 141.
7
Così nota A. DI BERARDINO, «Tendenze attuali negli studi patristici», in
Complementi interdisciplinari di Patrologia, (ed. A. Quacquarelli) (Roma 1989)
38-39: «Lo schema del fecondo programma del “ritorno alle fonti”, che in larga
misura ha condizionato e stimolato gli studi sul protocristianesimo, ha provocato un’uscita dagli steccati degli studi svolti prevalentemente in ambito latino e
greco, indirizzandosi anche verso il cristianesimo delle aree orientali di altro
retroterra linguistico: siriaco, copto, armeno, ecc. Tuttavia, tra le fonti, questo
programma non ha incluso il giudaismo; si tratta perciò di un ritorno alle fonti
incompiuto e imperfetto».
8
Cf. S. LYONNET, Il Nuovo Testamento alla luce dell’Antico. VII Settimana
Biblica del Clero Napoli, Luglio 1968 (Studi biblici pastorali 3; Brescia 1972) 16.
9
R. LE DÉAUT, «Targum», Dictionnaire de la Bible - Supplément XIII (Paris
2002) 271. Ora, ogni volta rende più importante la “oralità”.
10
Come giustamente ha affermato L. BOUYER, Eucaristia. Teologia e
Spiritualità della Preghiera Eucaristica (Torino 1969), 23: «Immaginare che la
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Fatte queste premesse, nel presente articolo intendiamo approfondire alcuni elementi antichi della liturgia della Pasqua Ebraica in
relazione alla Pasqua cristiana, per vedere come essi possano illuminare il Sacramento dell’Eucaristia.
sacra
scrittura
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teologia
L
a Scrittura dà
un’etimologia
del
termine
Pasqua: durante Pesah
il Signore «è passato»
(pasah) sopra le case degli Israeliti, è passato oltre e non li ha colpiti come ha fatto con i loro nemici, ma il suo passaggio ha costituito
per essi la liberazione (Es 12,27; cf. 12,13.23)11. Filone Alessandrino
ha accentuato il fatto che la Pasqua non è solo il passaggio di Dio,
ma anche quello del popolo attraverso il Mar Rosso. Egli ha interpretato la Pasqua come un esodo spirituale dalle passioni, dal proprio io e dalla prigione del proprio corpo: si tratta di un «passaggio»
tutto spirituale, un’entrata nella luce e nella vita nuova12.
Nella tradizione ebraica, la Pasqua è la festa primaverile, di
nascita del mondo, la festa della prima creazione, ma nello stesso
tempo quella della nuova creazione: l’uomo è chiamato a un esodo
spirituale, a divenire nuova creatura. Pesah significa pertanto passaggio dalla schiavitù alla libertà, dalle tenebre alla luce, dall’angoscia del peccato (in ebraico Mizrayim, «Egitto», contiene in sé la
parola zarà, «angoscia») alla gioia della nuova creazione. Pasqua
è anzitutto il passaggio di Dio, passaggio che ha il potere di far
passare il popolo, di metterlo in cammino, di collocarlo in un nuovo
Pasqua: passaggio di Dio
e «passaggio» dell’uomo
liturgia cristiana sia nata come da una specie di generazione spontanea, senza
né padre né madre come Melchisedech, o attribuirle gratuitamente qualche
paternità putativa che dimenticasse definitivamente la percezione della sua
autentica genealogia, equivarrebbe a ridurre, fin dall’inizio, tutte le ricostruzioni a una impalcatura di controsensi più o meno intelligente, più o meno ingegnosa». Cf. anche R. LE DÉAUT, Liturgie Juive et Nouveau Testament (Roma
1965) 12-16.
11
Quest’interpretazione era diffusa all’epoca del Secondo Tempio e in
seguito, come testimonia la traduzione di Aquila (hyperbasis) e m.Pes 10,5: cf.
R. CANTALAMESSA, La Pasqua della nostra salvezza (Torino 1971) 30.
12
Cf. FILONE, Spec. leg. II,145-147; De Migr. 25,14 ; Quaest. in Ex. I,4.
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sacra dinamismo, di aprirgli la possibilità di un ex-odòs, di un «cammino
insieme alla speranza di nuovi orizzonti inattesi e imprevediscrittura fuori»,
bili. La Pasqua ha in sé un dinamismo infinito, perché è il memoriae le del passaggio di Dio, la cui potenza dinamica è, per l’appunto,
teologia infinita. Pasqua è quindi passaggio di Dio e passaggio del popolo e
dell’uomo: vero «ebreo» è colui che «passa oltre» con Dio (‘ivri
«ebreo», evoca la radice ‘br «passare oltre»), che compie l’esodo
dal proprio Egitto, lasciandosi trascinare dalla forza divina liberatrice, che è pura forza motrice e iniziativa gratuita. Ciò è ben espresso
da un passo della Mishnà, ripreso nell’Haggadah di Pasqua:
Per questo noi abbiamo il dovere di ringraziare, di cantare, di lodare, di
glorificare, di esaltare, di celebrare e di benedire colui che ha fatto, per
i nostri Padri e per noi, tutti questi miracoli. Ci ha condotti dalla schiavitù alla libertà, dall’angoscia alla gioia, dal lutto alla festa, dalle tenebre alla luce, dalla schiavitù alla libertà. Cantiamo in suo onore,
Alleluia13.
Questo brano ha un forte carattere liturgico, come testimonia
l’uso della prima persona plurale e l’invito alla lode. La redazione
della Mishnà risale al II° sec. d.C. Sappiamo però che la liturgia è
conservatrice per natura, per cui è probabile che tale passo sia una
reliquia liturgica assai più antica.
Melitone da Sardi riprende questo canto liturgico nella sua
Omelia Pasquale e ne mostra il mirabile compimento in Gesù
Cristo14:
Egli è colui che ci ha fatto passare dalla schiavitù alla libertà, dalle
tenebre alla luce, dalla morte alla vita, dalla tirannide al regno eterno15.
La Pasqua cristiana è il passaggio di Gesù da questo mondo al
Padre (Gv 13,1). In questo passaggio, l’uomo è coinvolto, anzi trasformato. La sua situazione esistenziale cambia radicalmente e le
porte del cielo sono aperte per lui.
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m.Pes 10,5.
Per un confronto tra l’Haggadà di Pasqua e l’Omelia Pasquale di
Melitone, cf. F. MANNS, La prière d’Israel à l’heure de Jésus (Jerusalem 1986)
200-206.
15
Cf. Perì Páscha 68. Cf. anche 1Pt 2,9-10.
13
14
L
’immolazione
dell’Agnello era
L’immolazione dell’Agnello
di eccezionale
e l’Aqedà d’Isacco
importanza
nella
Pasqua ai tempi di
Gesù. Nella tradizione orale ebraica, e in particolare in quella targumica, l’agnello è paragonato a Isacco. Il Targum Neofiti mette in
bocca di Abramo queste parole: «Dio provvederà l’agnello per l’olocausto, altrimenti sarai tu l’agnello dell’olocausto»16. E subito
dopo, Isacco chiede al padre: «Abbà! Legami bene, non sia che io
non recalcitri e sia reso vano il tuo sacrificio»17. Secondo la tradizione ebraica, Abramo offre Isacco nel monte del futuro Tempio di
Gerusalemme, il giorno 14 di Nisan. Questa tradizione risale almeno a un secolo prima di Cristo, perché si trova nel Libro dei Giubilei
secondo cui il sacrificio d’Isacco è avvenuto durante la Pasqua, in
Sion18: «La legatura d’Isacco è il primo sacrificio pasquale»19.
Isacco è così un simbolo dell’agnello pasquale che si doveva scegliere bene20, portare nel Tempio perché fosse legato e immolato.
L’agnello pasquale, pertanto, era già personificato all’epoca di
Gesù.
L’agnello doveva essere tamim, «integro» e senza macchia (Es
12,5). Ora, questo termine è usato nell’AT sia per le vittime sacrificali, che devono essere perfette e immacolate21, come anche per
l’uomo giusto e innocente22. La particolare perfezione dell’agnello
era dovuta al fatto che è un animale mite e non recalcitra né si ribella dinanzi all’uccisore. Secondo la tradizione ebraica, Isacco aveva
trentasette anni nel momento del suo sacrificio. La perfezione
16
17
18
19
sacra
scrittura
e
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TgNGn 22,8.
TgNGn 22,10; cf. anche la versione di TgJ.
Cf Jub 49,15.
F. MANNS, L’Évangile de Jean à la lumière du judaïsme (Jerusalem 1991)
425.
Per rendersi conto della minuziosa scelta di un oggetto della festa, basti
notare come gli ebrei ortodossi scelgano l’ethrog (cedro) all’inizio della festa di
Sukkot. Con quanta maggior cura si sarà esaminato l’agnello, che doveva essere senza alcuna macchia (Es 12,5)!
21
Cf. ad es. Lv 1,3.10; 3,1.6; 4,3.23; 5,15.18.25; 22,19.21; 23,12; Nm
6,14.
22
Cf. ad es. Gn 6,9; 17,1; Dt 18,13; 2Sam 22,24.26.
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sacra d’Isacco è dovuta all’intenzione del suo cuore (kawwanà) e alla sua
totalmente libera, alla passione. Abramo e Isacco si avviavascrittura offerta,
no al monte del Tempio con «cuore perfetto» . La tradizione dele l’offerta libera d’Isacco era diffusa all’epoca del Secondo Tempio,
teologia come testimonia anche Giuseppe Flavio . Questa tradizione è pas23
24
sata ai primi cristiani. Clemente scrive nella sua Lettera ai Corinzi:
«Isacco, conoscendo il futuro, con fiducia si fece volentieri condurre al sacrificio»25.
L’immolazione dell’agnello avveniva nel Tempio, «tra le due
sere» (come prescrive letteralmente Es 12,6) e il sangue dell’agnello era asperso sull’altare. Nell’immolazione dell’agnello ogni israelita era chiamato a sentirsi come Abramo e come Isacco (perché ciò
che avveniva nei Padri era un segno per i figli). Ma non solo. Filone
sottolinea che ogni ebreo è al tempo stesso Abramo e sacerdote26:
egli doveva immolare la vittima di propria mano27. Si tratta di un
popolo sacerdotale, che partecipa attivamente alla liturgia.
Secondo Giovanni, Gesù è il Nuovo Isacco e il Nuovo Agnello
Pasquale. Egli è l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo (Gv
1,29.36). Abramo ha visto il suo giorno e se ne rallegrò (Gv 9,56),
il che vuol dire che è il Nuovo Isacco. Egli è legato nel giardino (Gv
18,12) e portato al processo, esaminato come un agnello. Gesù è
portato al sacrificio, nell’ora in cui si cominciava ad immolare
l’agnello nel Tempio (Gv 19,14). Quando, sulla croce, ebbe sete gli
porsero un ramo di issopo28 con una spugna imbevuta d’aceto (Gv
19,28-29) poiché l’issopo non si addiceva ad un tale uso, si deve
pensare che l’evangelista faccia un’altra allusione all’agnello
pasquale, perché l’aspersione degli stipiti e dell’architrave delle
porte con il sangue dell’agnello, secondo Es 12,22, si faceva trami-
TgNGn 22,6.8; cf. TgJGn 22,8.
GIUSEPPE FLAVIO, Ant. Jud. I,232.
25
CLEMENTE ALESSANDRINO, Ad Cor. 31,3. Sul legame tra Pasqua e Isacco e
la tipologia del suo nella letteratura antica ebraica e nella prima letteratura cristiana, cf. la sintesi di J. DANIÉLOU, Sacramentum futuri. Études sur les origines
de la typologie biblique (Paris 1950) 97-111.
26
Cf. FILONE, De Spec. Leg. II,146. È interessante che nel mosaico della
sinagoga di Beth-Alpha, Abramo è rivestito come sacerdote.
27
Cf. FILONE, De Vita Mosis II,224; cf. anche m.Pes 5,6.
28
Purtroppo, la traduzione CEI non riporta questo termine così importante
ed evocativo.
23
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te l’issopo. Infine, come quell’agnello, a Gesù crocifisso non fu
spezzato alcun osso (Gv 19,33.36). Per alcuni, questo è anche un
chiaro riferimento al giusto sofferente descritto in Sal 34,2129. Qui,
l’agnello è accostato al giusto sofferente: anche in Is 53,7 il servo di
YHWH è paragonato a un «agnello condotto al macello», perché
dinanzi alle umiliazioni «non aprì la sua bocca». Isacco, agnello,
giusto-Servo sofferente: queste figure potevano essere legate già
all’epoca del Secondo Tempio30. Così ha scritto A. Díez Macho: «i
circoli teologici giudaici del I secolo dell’era cristiana hanno associato Aqedà, Servo di Jahvè e il sacrificio dell’agnello pasquale»31.
La Chiesa Primitiva ha sottolineato che le figure sopra menzionate si sono compiute in Gesù Cristo. L’Omelia Pasquale di
Melitone da Sardi dichiara che Gesù «è stato immolato come un
agnello ed è risuscitato come Dio»32. Egli ha compiuto ciò che simboleggiava l’immolazione, la morte e il sangue dell’agnello33. Egli
ricorda inoltre che «Gesù fu legato in Isacco», testimoniando in tal
modo che la tradizione dell’Aqedà d’Isacco era importante anche
per i cristiani34.
sacra
scrittura
e
teologia
I
l sangue dell’agnello pasquale aveva
una funzione fondamentale. Era un ’ot, un
«segno» (Es 12,13), e
uno zikkaròn, «un
memoriale» (Es 12,14). Il sangue dell’agnello negli stipiti (mezuzot)
delle porte aveva salvato Israele (Es 12,7.22). Il Libro
Il Sangue dell’Agnello,
il Sangue della Nuova
Alleanza e il Memoriale
Cf. M.L. RIGATO, «Gesù “l’Agnello di Dio”, Colui che toglie il peccato del
mondo” (Gv 1,29), nell’immaginario cultuale giovanneo. Secondo Giovanni
Gesù muore il 13 Nisan (Gv 18,28/19,14.31-37)», Atti del VII Simposio di
Efeso su S. Giovanni Apostolo (ed. L. PADOVESE) (Roma 1999) 110.
30
Cf. A. DEL AGUA PÉREZ, El método midrásico y la exégesis del Nuevo
Testamento (Valencia 1985) 142-143.
31
A. DÍEZ MACHO, “Targum y Nuevo Testamento”, Mélanges Eugènes
Tisserant, I, Ecriture sainte - Ancient orient (Città del Vaticano 1964) 162.
32
Perì Páscha 1.
33
Cf. Perì Páscha 44.60.
34
Cf. Perì Páscha 59.
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sacra dell’Apocalisse rimarca l’importanza del sangue dell’Agnello che è
che lava gli eletti, e li salva (Ap 7,14; 12,11).
scrittura Cristo,
Si celebrava la Pasqua di generazione in generazione, con una
e notte di veglia in onore del Signore (Es 12,42) in cui il memoriale
teologia del sangue dell’Agnello e il memoriale della liberazione erano centrali. Il termine zikkaròn è spiegato da R. Gamaliel, un rabbino del
I° sec. d.C.:
In ogni generazione, ognuno deve considerarsi come se egli stesso
fosse uscito dall’Egitto, perché il Santo, benedetto Egli sia, non liberò
solo i nostri padri, ma con loro liberò anche noi35.
Zikkaròn non significa però primariamente che l’uomo ricorda,
ma che Dio stesso si ricorda della sua alleanza, a favore del suo
popolo36. La festa di Pasqua, in quanto memoriale, è «una rappresentazione sacramentale» che rende attuale il passato ed è tesa
all’avvenire e al compimento futuro37.
Abbiamo già parlato dell’identificazione tra agnello pasquale e
Isacco. Ora, nella tradizione ebraica c’è un legame tra il sangue dell’agnello pasquale e l’offerta che Isacco ha fatto del suo sangue:
secondo la Mekhilta de R. Ishmael, per citare solo un esempio, il
sangue che Dio vede negli stipiti delle porte non è altro che il sangue dell’Aqedà d’Isacco38. Anche il sangue d’Isacco è un memoriale39. Per la tradizione targumica poi, il sangue negli stipiti delle porte
non è solo quello dell’agnello, ma anche quello della circoncisione
e si rimarca che questo sangue gode di uno speciale merito, che Dio
tiene in considerazione per la salvezza d’Israele40. Ora, nella tradizione, vi è un ulteriore legame tra il sacrificio di Isacco e la circon-
m.Pes 10,4.
Cf. R. LE DÉAUT, «Pâque juive et Pâque chrétienne», Bible et vie chrétienne 62 (1965) 16; egli cita in proposito b.Ber 49a: «Benedetto sei tu, Signore
nostro Dio...che hai donato al tuo popolo Israele questi giorni di festa per la
gioia e in memoriale».
37
Cf. R. LE DÉAUT, «Pâque juive et Pâque chrétienne», 20; E. TESTA, «Influssi
giudeo-cristiani nella liturgia eucaristica della chiesa primitiva», Studia
Hierosolymitana, II, Studi esegetici (Jerusalem 1976) 202-204.
38
MekhEs 12,13.
39
Cf. Tg1Cr 21,15.
40
Cf. TgJEs 12,13.
35
36
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teologia
cisione: il sangue d’Isacco ha un grande merito e valore, perché la
sua è un’offerta volontaria a Dio41.
La tradizione ebraica lega il sangue dell’agnello al sangue
d’Isacco. Nel Targum, Abramo chiede a Dio: «Quando i suoi figli
saranno nell’ora dell’angoscia, ricordati dell’Aqedà d’Isacco loro
padre e ascolta la voce delle loro suppliche, ascoltali e liberali da
ogni tribolazione»42. L’Aqedà d’Isacco è un memoriale: grazie al
merito d’Isacco e al suo sangue, e al fatto che Dio si ricorderà di tale
merito, la salvezza si farà attuale per Israele43. La Pasqua è quindi un
memoriale della liberazione dall’Egitto, dell’Aqedà d’Isacco e della
sua liberazione, del sangue dell’agnello e del sangue d’Isacco, che
hanno un grande potere espiatorio44.
A questo punto, si deve rimarcare che tutte le realtà sopra menzionate, Aqedà d’Isacco, circoncisione, sangue della vittima hanno
una stretta relazione con l’alleanza45. Nella Pasqua, il ricordo dell’alleanza di Dio con il suo popolo è fondamentale. Durante la Cena,
Gesù ha dato un nuovo significato al calice pasquale del vino, dicendo che in realtà quel vino era il «suo sangue dell’Alleanza versato
per molti, in remissione dei peccati» (Mt 26,28; cf. Mc 14,24), «la
Nuova Alleanza, nel suo sangue» (Lc 22,20; cf. 1Cor 11,25). Egli si
riferiva al sangue dell’agnello, così importante nel rituale descritto
in Es 24,8. Qui, Mosè asperge il popolo con il sangue dei sacrifici di
comunione, dicendo: «Ecco il sangue dell’Alleanza»46.
Sul legame tra sangue dell’agnello, sangue d’Isacco, sangue della circoncisione e morte di Cristo, cf. l’ottima sintesi in M. REMAUD, Vangelo e tradizione rabbinica, (Bologna 2005), 119-135.
42
TgNGn 22,14. Cf. anche la versione di TgJ e del TgFramm (ms. 110).
43
La tradizione ebraica è piena di riferimenti al merito d’Isacco e della sua
Aqedà: cf. ad es. TgCt 1,13; 2,17; TgMi 7,20; TgEst 5,1. Cf. M. REMAUD, À
cause des pères. Le “Mérite des Pères” dans la tradition juive (Paris-Louvain
1997) 149-171.
44
Cf. R. LE DÉAUT, «Pâque juive et Pâque chrétienne», 23.
45
Secondo TgNLv 26,42, Dio ha fatto un’alleanza con Isacco sul Monte
Moria.
46
È interessante notare che per Eb 9,19 anche quest’aspersione, proprio
come quella di Es 12,22, veniva fatta con l’issòpo.
sacra
scrittura
e
teologia
41
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in relazione all’Eucaristia
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teologia
sacra
della Pasqua
scrittura La preparazione
e il pane azzimo
e
teologia
L
a preparazione
del banchetto
pasquale
era
molto importante. La
casa e il luogo del banchetto dovevano essere ben preparati e avere la bellezza e la dignità
del Tempio47. Anche nel NT si rimarca l’importanza di questa preparazione: si parla di una sala grande e addobbata, con i tappeti, all’interno della città (Mc 14,12-16; Lc 22,7-13; cf. Mt 26,17-19), perché
l’agnello pasquale andava mangiato all’interno di Gerusalemme48.
Una parte importante della preparazione era l’immersione nella
mikwà: si doveva mangiare la pasqua in stato di purità, come emerge anche da Gv 13,10.
La ricerca e l’eliminazione del lievito, del hamez, era un momento fondamentale di tale preparazione, già in Es 12,1549. Che tale
ricerca era importante nel I° sec. d.C. lo testimonia S. Paolo:
«Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete
azzimi. E infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato!
Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità»
(1Cor 5,6-7). Togliere il lievito significava entrare nella festa, nella
novità della Pasqua. La Pasqua è una vita nuova: non si può celebrare con il lievito vecchio quello che è legato alla disposizione interiore e all’intenzione del cuore. La ricerca del lievito non è nell’ebraismo un precetto legalistico e stupido. Se si è disposti a ricercare il
lievito vecchio e ad eliminarlo, si manifesta la serietà della kawwanà, vale a dire dell’intenzione decisa del proprio cuore di celebrare
la festa in verità. Il culto nella verità è un motivo importante nell’ebraismo del I° sec d.C.
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teologia
Cf. FILONE, De Spec. Leg., II, 148.
Cf. m.Pes 7,9; BerR 5,2; 7,8; SifNm 6,9.
49
Quanto tale prescrizione fosse importante nel III° sec. a.C. è testimoniato
dal Papiro di Elefantina.
47
48
L
a Pasqua, come
e più di ogni
Il Banchetto Paquale
festa ebraica, è
legata alla trasmissione
della fede ai figli. Il rito stimola le domande dei figli: «Che cos’è per
voi questo rito?» (Es 12,26). Nell’Haggadah di Pasqua attuale, questa domanda è espressa così: «Che cosa c’è di diverso questa notte,
da tutte le altre notti?». I padri devono rispondere a partire dalla
Scrittura, facendo memoriale, ovvero attualizzando la storia di salvezza: «È il sacrificio della Pasqua del Signore, che passò oltre le
case dei figli d’Israele in Egitto, quando colpì l’Egitto e salvò le
nostre case» (Es 12,27). Da qui partiva il racconto dei memoriali di
salvezza operati dal Signore, in cui ciascuno si sentiva coinvolto in
modo attivo, come protagonista. Questo racconto porta ancora oggi
alla gratitudine e al canto del Dayyènu. In questa cornice, si può collocare il dialogo riportato da Giovanni tra Gesù e i suoi discepoli
(13,36-16), che, come i figli, hanno difficoltà a capire e vanno istruiti con dolcezza e pazienza50.
Nel banchetto pasquale tre cibi erano fondamentali, già secondo
Es 12,8: l’agnello (pesah), gli azzimi (mazzà) e le erbe amare
(maror). Una tradizione contenuta nella Mishnà, che risale a Rabbi
Gamalièle (I° sec. d.C.) ci fornisce la spiegazione di questi tre cibi.
Non c’è ragione di non ritenere che questa spiegazione non fosse
quella comune ai tempi di Gesù, perché è l’interpretazione più spontanea e legata alla Scrittura. Perché l’agnello? Perché Dio ha risparmiato le case dei Padri in Egitto. Perché il pane azzimo? Perché i
Padri sono stati liberati dall’Egitto. Perché le erbe amare? Perché gli
Egiziani hanno resa amara la vita dei Padri in Egitto51.
Dopo il primo calice di vino, e la sua benedizione, cominciava
l’intinzione di alcuni cibi, prima che fossero portati i pani azzimi52.
Simon Pietro domanda a Gesù: «Signore, dove vai?» (Gv 13,36);
Tommaso gli domanda: «Come possiamo conoscere la via?» (Gv 14,6); Filippo
gli dice: «Signore, mostraci il Padre e ci basta» (Gv 14,8) e ciò introduce un
dialogo con il Maestro; Giuda domanda: «Signore, com’è accaduto che devi
manifestarti a noi e non al mondo?» (Gv 14,22).
51
Cf. m.Pes 10,5. La tradizione delle erbe amare è ripresa da Melitone da
Sardi, Perì Páscha, 93, ma qui l’amarezza è riferita alla passione di Cristo.
52
Ciò è testimoniato da m.Pes 10,2.
sacra
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e
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50
Tematiche Teologiche
in relazione all’Eucaristia
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teologia
sacra Per chi conosce gli usi semitici, l’intinzione è un gesto di condiviconcreta del cibo e di comunione conviviale. Nella Pasqua di
scrittura sione
Gesù, quest’aspetto conviviale non ha niente di ambiguo: Gesù ha
e sperimentato che tra coloro a cui aveva offerto totale comunione vi
teologia poteva essere uno che lo tradisse. La Pasqua di Gesù è così amore
totale al nemico.
In seguito, venivano portati i pani azzimi. Secondo l’Haggadah
di Pasqua, il pane azzimo simboleggia «il pane dell’afflizione», che
i Padri hanno mangiato in Egitto. L’espressione aramaica si può tradurre però «Pane afflitto». Qui il pane è personificato: il pane è paragonato alla persona anche in 1Cor 5,753.
Durante il banchetto era obbligatorio bere vino. La tradizione di
quest’obbligo è precedente alla nascita di Cristo, com’è testimoniato dal Libro dei Giubilei54. Secondo la Mishnà, anche il povero ha
diritto alle quattro coppe di vino55. Doveva essere vino rosso: le prescrizioni che abbiamo in proposito sono posteriori a Gesù, ma si può
intuire (anche dalla relazione tra vino e sangue) che era così anche
al suo tempo56. L’obbligo di bere vino è un simbolo chiaro: chi celebra la Pasqua non può essere nella tristezza, ma deve partecipare alla
gioia della libertà. Uno schiavo non beve vino. Il vino simboleggia
la festa e la libertà, che ciascuno deve sperimentare nel banchetto
pasquale.
Un altro simbolo importante di libertà era il fatto di mangiare
distesi e appoggiati sul gomito, testimoniato dalla Mishnà: anche
Gesù e i suoi discepoli hanno celebrato la Pasqua distesi (Mc 14,18;
Mt 26,20; Lc 22,14; Gv 13,12.28), il discepolo che Gesù amava era
«disteso» (anakeímenos) nel seno di Gesù (Gv 13,23) e così si spiega meglio il suo gesto di reclinarsi sul petto di Gesù, descritto in
Gv13,2557.
Cf. D.B. CARMICHAEL, «David Daube on the Eucharist and the Passover
Seder», Journal for the Study of the New Testament 42 (1991), 49. D. Daube
ha collocato però l’istituzione dell’Eucaristia nel contesto del misterioso afikoman del Seder Pasquale: cf. pp.45-67.
54
Cf. Jub 46,6.9.
55
Cf. m.Pes 10,1.
56
Cf. le fonti citate in J. JEREMIAS, Le parole dell’ultima cena (Brescia 1973)
58.
57
Cf. m.Pes 10,1.
53
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teologia
Il Targum Neofiti contiene il famoso Poema delle Quattro notti,
le cui tradizioni erano conosciute all’epoca del Secondo Tempio. In
esso si trova una densa interpretazione teologica della Pasqua58. La
prima notte è quella della creazione: si tratta di una notte in cui la
Parola di Dio fu la luce. La Pasqua è una notte piena di luce. Sul
legame tra Pasqua e luce, occorre notare che la festa coincide con la
luna piena dell’equinozio di primavera, che la schiavitù è interpretata già nella Bibbia come tenebra e la liberazione come luce59. La
seconda notte è quella della rivelazione di Dio ad Abramo: si ricorda l’Aqedà d’Isacco. La terza notte è quella dell’Esodo: Dio appare
mostrando che il suo figlio primogenito è Israele. Circa la quarta
notte si dice:
sacra
scrittura
e
teologia
La quarta notte il mondo arriverà alla sua fine per essere dissolto; i gioghi di ferro saranno spezzati e le generazioni perverse saranno annientate. Mosè salirà dal mezzo del deserto e il Re Messia verrà dall’alto.
Uno camminerà alla testa del gregge e l’altro camminerà alla testa del
gregge e la sua Parola camminerà fra i due. Io e loro cammineremo
insieme. E’ la notte di Pasqua per la liberazione di tutte le generazioni
d’Israele60.
Nel Talmud si trova il medesimo legame tra creazione, esodo e
nuova creazione: il trattato Rosh ha-Shanà afferma che in Nisan
avvenne la creazione del mondo e la liberazione dall’Egitto e che in
Nisan sarebbe avvenuta la liberazione futura; così conclude questo
testo: «È in Nisan che essi furono liberati, è in Nisan che lo saranno
ancora»61.
Lo studio approfondito del Poema delle Quattro notti e delle sue tradizioni si trova nella nota opera di R. LE DÉAUT, La Nuit Pascale. Essai sur la signification de la Pâque juive à partir du Targum d’Exode XII,42 (Roma 1963) .
59
Così TgIs 9,1 interpreta il versetto in chiave pasquale: «Il popolo, la casa
d’Israele, che camminava in Egitto come nelle tenebre, è uscito per contemplare una grande luce».
60
TgNEs 12,42. Sull’interpretazione messianica di questo versetto, cf. l’ottimo studio di M. PÉREZ FERNÁNDEZ, Tradiciones mesiánicas en el Targum
Palestinense. Éstudios exegéticos (Valencia-Jerusalén, 1981) 173-209.
61
b.RHsh 11a. Notiamo che R. Yehoshua, a cui il detto qui contenuto è attribuito, è della fine del I° sec. d.C. Quest’idea doveva essere diffusa tra gli zeloti e questo spiega la paura di ribellioni durante la festa di Pasqua.
58
Tematiche Teologiche
in relazione all’Eucaristia
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teologia
sacra La notte pasquale era la notte dell’attesa del Messia, una notte
di significato escatologico : in questa notte si sono concentrascrittura tepiena
tutte le speranze di salvezza e di liberazione . I salmi di Hallel,
e sono salmi densi di riferimenti messianici.
teologia La tradizione ebraica della venuta del Cristo nella notte di
62
63
Pasqua è conosciuta da S. Girolamo:
Una tradizione ebraica dice che Cristo verrà a mezzanotte, come al
tempo dell’Egitto, quando si celebrò la Pasqua e venne l’angelo sterminatore e il Signore passò sopra le case e gli stipiti delle nostre fronti
furono consacrati con il sangue dell’Agnello64.
Brevi cenni di sintesi teologica: Pasqua ed Eucaristia
Tentiamo ora di trarre alcune conclusioni in relazione
all’Eucaristia. Anzitutto, si deve riconoscere che è impossibile
comprendere numerosi elementi dei Vangeli, del NT e della liturgia
cristiana, senza conoscere la liturgia e le feste ebraiche65. Afferma
R. Le Déaut:
Così recita TgLam 2,22: «Tu chiamerai il tuo popolo alla libertà, la casa
d’Israele, per mezzo del Messia, allo stesso modo in cui hai fatto per mezzo di
Mosè e Aronne, nel giorno di Pasqua». Che la notte di Pasqua avesse un forte
significato escatologico già al tempo di Gesù, è testimoniato anche da Ger
38,8 (LXX): qui si aggiunge al TM che la salvezza e il raduno del popolo dall’esilio avverrà en eortï fasek («nella festa di Pasqua»).
63
Anche nel libro di Ester, la liberazione avviene la notte di Pasqua: in TgEst
5,14 e 6,1 si sottolinea l’importanza della notte. Nel NT, Pietro è liberato dal
carcere durante la notte di Pasqua (At 12,1-18).
64
Girolamo, In Matth. IV,25,6. Per questa ragione, continua S. Girolamo,
non è lecito che la Veglia Pasquale finisca prima di mezzanotte. Che tale tradizione fosse forte tra i primi cristiani, specialmente quelli proveniente dall’ebraismo, è testimoniato da un manoscritto dell’IX° secolo che riporta una tradizione che risalirebbe addirittura al Vangelo degli Ebrei, uno dei più antichi vangeli apocrifi (II° sec. d.C.); è stato merito di R. CANTALAMESSA, La Pasqua della
nostra salvezza, 209-210, aver destato per la prima volta l’attenzione sull’interesse di questo testo. La tradizione era già presente in Lattanzio, Div. instit.
VII,19,3.
65
«Lo studio delle tradizioni orali contenute nei Midrashim e nella Mishnà
diventeranno tanto importanti quanto i testi di Qumran o i testi apocalittici. La
liturgia giudaica non potrà più essere ignorata, anche se va studiata con criteri
scientifici. Bisognerà abbandonare alcune categorie ellenistiche per aprirsi al
62
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teologia
sacra
scrittura
e
teologia
Occorre però sottolineare qui non solo la continuità, ma anche il
Sarebbe impoverire in modo particolare il significato delle feste cristiane il non rimetterle nella così ricca cornice della tradizione ebraica,
dove esse sono nate. La liturgia del tempio e quella della sinagoga possono essere considerate come la culla della nuova religione66.
compimento avvenuto nella liturgia cristiana, compimento che
implica anche una discontinuità, o meglio un certo «superamento»67
e ciò vale anche per la festa di Pasqua:
Celebrando l’Ultima Cena con i suoi Apostoli durante un banchetto
pasquale, Gesù ha dato alla Pasqua ebraica il suo significato definitivo.
Infatti, la nuova Pasqua, il passaggio di Gesù al Padre attraverso la sua
Morte e la sua Risurrezione, è anticipata nella Cena e celebrata
nell’Eucaristia, che porta a compimento la Pasqua ebraica e anticipa la
pasqua finale della chiesa nella gloria del Regno68.
Recentemente, Benedetto XVI ha affermato esplicitamente che
Gesù ha celebrato la cena pasquale e ha seguito i riti d’Israele. Egli
ha voluto tuttavia sottolineare nel contempo la novità della Nuova
Alleanza nel sangue di Cristo:
Insieme con i discepoli Egli celebrò la cena pasquale d’Israele, il
memoriale dell’azione liberatrice di Dio che aveva guidato Israele dalla
mondo ebraico quale autentico ambiente vitale del NT. Questo significa in termini molto poveri uno studio approfondito della lingua ebraica. (…) anche nel
campo della patristica i Padri della Chiesa dovranno essere studiati in parallelo
con i rabbini della stessa zona geografica e dello stesso periodo. I liturgisti
dovranno rivedere alcune posizioni. Perché aver soppresso la festa della circoncisione di Gesù quando si parla tanto di Gesù ebreo? Perché aver eliminato
tutte le tracce della festa di Sukkot nella liturgia cristiana mentre la liturgia delle
quattro tempora le aveva conservate? È arrivato il tempo di studiare seriamente
la liturgia di Gerusalemme madre di tutte le altre liturgie», F. MANNS, “Il dialogo
ebraico-cristiano” en V. BROSCO, La luce di Israele (Napoli 1999) 295-296.
66
Cf. R. LE DÉAUT, Liturgie juive et Nouveau Testament: le témoignage des
versions araméennes (Rome 1965) 18 (trad. nostra).
67
Come ha sottolineato la Pontificia Commissione Biblica nel suo documento Il popolo ebraico e le sue sacre scritture nella Bibbia cristiana (Città del
Vaticano 2001) II,21, non si dovrebbe mai dimenticare questo elemento del
superamento, per un’equilibrata teologia del compimento, secondo il principio
di Ambrogio Autpert: non solum impletur, verum etiam transcenditur (cf n. 39).
68
CCC 1340.
Tematiche Teologiche
in relazione all’Eucaristia
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teologia
sacra
scrittura
e
teologia
schiavitù alla libertà. Gesù segue i riti d’Israele. Recita sul pane la preghiera di lode e di benedizione. Poi però avviene una cosa nuova. Egli
ringrazia Dio non soltanto per le grandi opere del passato; lo ringrazia
per la propria esaltazione che si realizzerà mediante la Croce e la
Risurrezione, parlando ai discepoli anche con parole che contengono la
somma della Legge e dei Profeti: “Questo è il mio Corpo dato in sacrificio per voi. Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio Sangue”69.
Ogni domenica, il cristiano celebra la Pasqua. Questo era chiaro
per i primi cristiani. Eusebio di Cesarea afferma:
I seguaci di Mosè immolavano l’agnello pasquale una sola volta l’anno, il 14 del primo mese, a sera. Noi, invece, uomini del Nuovo
Testamento, celebrando la nostra Pasqua tutte le domeniche, ci saziamo in continuazione del Corpo del Salvatore e comunichiamo in continuazione al Sangue dell’agnello (...). Perciò ogni settimana noi celebriamo la nostra Pasqua70.
Ma anche ogni celebrazione dell’Eucaristia è celebrazione della
Pasqua, come asserisce decisamente (e polemicamente) S. Giovanni
Crisostomo:
La Pasqua si celebra tre volte la settimana, talvolta anche quattro, o piuttosto ogni volta che lo vogliamo. La Pasqua infatti non consiste nel digiuno, ma nell’oblazione e nel sacrificio che si realizza in ogni sinassi71.
Se è vero che la celebrazione dell’Eucaristia è celebrazione della
Pasqua, gli elementi teologici antichi e fondamentali della Pasqua
ebraica, sopra delineati, possono illuminare alcuni aspetti della teologia dell’Eucaristia. Ciò che si predica della Pasqua si può predicare dell’Eucaristia.
L’Eucaristia, in quanto Pasqua, è un passaggio di Dio, che fa passare l’uomo dalla schiavitù alla libertà, dalla morte alla vita, da questo mondo al Regno. Questo implica l’importanza di sottolineare
l’aspetto dinamico dell’Eucaristia, come i Vescovi hanno fatto
recentemente:
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teologia
Omelia durante la S.Messa a Colonia, in occasione della XX Giornata
Mondiale della Gioventù, 21/08/2005.
70
EUSEBIO DI CESAREA, De solemn. paschali, 7.
71
GIOVANNI CRISOSTOMO, Adv. Iudaeos, III, 4.
69
Nella celebrazione dell’Eucaristia Gesù, sostanzialmente presente, ci
introduce tramite il Suo Spirito nella pasqua: passiamo dalla morte alla
vita, dalla schiavitù alla libertà, dalla tristezza alla gioia. La celebrazione dell’Eucaristia rafforza in noi questo dinamismo pasquale e consolida la nostra identità»72.
sacra
scrittura
e
teologia
L’Eucaristia, in quanto Pasqua, implica in sé il concetto di sacrificio. La categoria del sacrificio va vista però nel contesto del compimento da parte di Gesù Cristo delle realtà anticotestamentarie:
Gesù è il Vero Agnello Pasquale, il Nuovo Isacco, il giusto-Servo
sofferente. Egli ha il potere di liberare l’uomo dal peccato, grazie
alla sua libera offerta di sé e al suo sangue, che è un memoriale di
salvezza. L’offerta libera e volontaria di Cristo sulla Croce, la sua
non resistenza al male, il suo compiere il Servo di YHWH di Is 53
indicano che egli è l’Uomo Nuovo del Sermone della Montagna,
l’Uomo della Pasqua che ha travalicato l’impossibilità di amare: la
sua donazione, il suo sacrificio è già Resurrezione e ci rende partecipi di questa. È così possibile per il cristiano, grazie alla potenza
dinamica dell’Eucaristia, il cambiamento di vita. Così hanno affermato recentemente i Vescovi nel Sinodo sull’Eucaristia:
Nel contesto della cena rituale ebraica, che concentra nel memoriale
l’evento passato della liberazione dall’Egitto, la sua rilevanza presente
e la promessa futura, Gesù inserisce il dono totale di Sé. Il vero Agnello
immolato si è sacrificato una volta per tutte nel mistero pasquale ed è
in grado di liberare per sempre l’uomo dal peccato e dalle tenebre della
morte73.
Il concetto di sacrificio non va inteso pertanto come un concetto
statico, ma come parte del Mistero Pasquale: l’Eucaristia rende presente e attuale il Sacrificio che Cristo ha offerto al Padre sulla Croce,
la sua totale auto-donazione, e in questo senso è un memoriale e non
solo una memoria. Dio «si ricorda» del Nuovo Isacco e del Vero
Agnello, possiamo essere totalmente liberi e rinnovati, entrare nella
festa. Abbiamo visto come nell’immolazione dell’agnello, durante
la Pasqua, ogni israelita era sacerdote. La Chiesa è veramente un
Propositio n°3, XI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi,
23/10/05 (corsivo dell’autore).
73
Propositio n°3, XI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi,
23/10/05.
72
Tematiche Teologiche
in relazione all’Eucaristia
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teologia
sacra popolo sacerdotale (cf. 1Pt 2,5.9; Ap 1,6; 5,10; 20,6), chiamato alla
attiva, pur nel rispetto del ruolo insostituibile del
scrittura partecipazione
sacerdozio ministeriale.
e L’Eucaristia, in quanto Pasqua, è un memoriale di salvezza, un
teologia canto di esultanza per gli interventi di salvezza che Dio ha operato
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teologia
nella storia, in primo luogo dell’Esodo di Cristo, che è il suo Mistero
Pasquale: la Pasqua è un canto alla Resurrezione di Cristo. La
Liturgia della Parola è questa proclamazione della salvezza operata,
che è resa attuale. Per il cristiano, l’Esodo si è compiuto nel Mistero
Pasquale di Cristo. Fare memoriale significa che in Cristo si fa
attuale per lui la libertà dalla schiavitù, significa passare da questo
mondo al Regno dei Cieli.
Nell’Eucaristia, come nella Pasqua, si fa memoriale degli eventi
di salvezza, facendo risuonare la Parola ascoltata. La Parola dovrebbe trovare la sua eco nella vita concreta del Popolo di Dio, di modo
che ciascun membro si possa sentire parte attiva della storia di salvezza che Dio continua ad operare. Nell’Eucaristia, come nella
Pasqua, è fondamentale la trasmissione di fede ai figli, che si
domandano: «Perché questo rito?». Ciò deve dare l’occasione ai
genitori di testimoniare che la Parola ascoltata si è fatta carne nella
loro vita e si farà carne, se accolta, di generazione in generazione.
Nell’Eucaristia, in quanto Pasqua, la preparazione spirituale e
materiale è molto importante. Ogni celebrazione è pasquale: ciò si
deve riflettere nella bellezza degli spazi liturgici e nella preparazione materiale e spirituale. L’Eucaristia è un banchetto pasquale. Ogni
Eucaristia è una festa. Il vino è un simbolo della festa: è un peccato
che dopo aver ascoltato il comando di Cristo: «Prendetene e bevetene tutti», l’assemblea non possa comunicare al Sangue di Cristo e
si perda così il segno visibile della festa nella celebrazione. Non
dare di bere il calice con il vino è un vero abuso verso i fedeli e può
anche riflettere un certo clericalismo che ancora oggi sussiste. Per di
più, il fatto che si usi spesso e volentieri il vino bianco sminuisce
(non nella sostanza ovviamente, ma di sicuro nella visibilità del
segno!) la forza delle parole d’istituzione: «Questo è il mio sangue».
Ogni Eucaristia, in quanto Pasqua, è entrare nel riposo messianico,
unirsi alla Liturgia Celeste, pregustare il Cielo. Nell’Eucaristia si sperimenta la vera libertà dalla schiavitù del peccato, si è come «distesi»
con Cristo, che passa a servirci, e al cui seno, come il discepolo che
Gesù amava, possiamo accostarci. Nel banchetto Pasquale sperimentiamo l’intimità conviviale con il Messia: «Ecco, sto alla porta e
busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da
lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3,20). Tale unione con Cristo
nel banchetto pasquale è un’anticipazione della vita eterna.
Ogni Eucaristia, in quanto Pasqua, è densa di attesa escatologica
e messianica. Si annuncia la morte del Signore finché egli venga
(1Cor 11,26), gridando: «Maranathà! Vieni Signore Gesù» (1Cor
16,22; Ap 22,20).
È chiaro che senza kerygma (perché l’Eucaristia realizza il kerygma) e senza fede (perché l’Eucaristia è una risposta di esaltazione
agli interventi di Dio in Gesù Cristo e nella nostra storia) in un processo d’iniziazione cristiana, non si entra veramente nel dinamismo
dell’Eucaristia come Pasqua.
I cristiani sono gli uomini della Pasqua, fanno Pasqua e hanno la
missione di far “passar” questa generazione dalla sponda della
morte all’altra riva, la sponda della vita eterna, della risurrezione.
L’Eucaristia dei primi cristiani era un canto alla risurrezione, e oggi
possiamo chiederci: dove si vede nella Messa la risurrezione?
La sfida è come restituire la partecipazione nell’Eucaristia come
Pasqua (la sua unità e dinamismo pasquale) al Popolo di Dio oggi.
La risposta non può essere diversa: attraverso una Nuova
Evangelizzazione con catechesi che possano arrivare al cuore dell’uomo d’oggi e che porti a un’iniziazione cristiana (catecumenato)
con una adeguazione fra fede, liturgia e vita cristiana, scoprendo
nuovamente le nostre redici nella Scrittura, nel grande patrimonio
spirituale comune con gli ebrei, avendo in conto la fede e la vita religiosa del popolo ebraico, così come queste sono professate e vissute ancora oggi.
L’Eucaristia, com’era celebrata nella Chiesa primitiva, ha affascinato un rabbino capo di Roma, che in un giorno di Yom Kippur riconobbe in Gesù il Messia. Egli, grazie al suo contatto vivo con
l’ebraismo, poteva comprendere bene tutta la forza pasquale insita
nell’Eucaristia:
sacra
scrittura
e
teologia
Rimasi, per così dire, incatenato alla Dottrina Apostolica sull’Eucaristia per anni. Rubacchio ancora oggi ogni tanto un pò di tempo
a me stesso, anche se talvolta mi piego sotto il peso dei lavori, pur di
Tematiche Teologiche
ritornare alla Didachè, al capitolo sull’Eucaristia74.
in relazione all’Eucaristia
3-25
74
E. ZOLLI Prima dell’alba (Cinisello Balsamo 20042) 189.
23
teologia
sacra THEOLOGICAL THEMES RELATED TO THE ENG
scrittura EUCHARIST
e By Maurizio Buioni, C.P.
teologia We include this article with a positive (as against speculative)
research into the interior of a progressive rediscovery regarding the
roots of our Christian faith in the Old Testament which is going on
in the Church. This is a matter of no minor importance or which
merely interests specialists. The proper rooting of the Christian message within the culture in which it was born and is expressed allows
for a better understanding of it. This in turn is a condition for the
spiritual efficacy of the gift in the very mystery of God.
THÉMATIQUE THÉOLOGIQUE EN RELATION À FRA
L’EUCHARISTIE
De Maurizio Buioni c.p.
Cet article va de pair avec une recherche positive (non spéculative
ou critique) à l’intérieur d’une redécouverte progressive des racines
de la foi chrétienne dans l’Ancien Testament en acte dans l’Eglise.
Ce n’est pas là un argument de seconde importance, ou qui n’intéresse que les spécialistes. Le juste enracinement du message chrétien dans la culture dans laquelle il est né et s’est exprimé en permet la juste compréhension. Celle-ci, à son tour, est une condition
de l’efficacité spirituelle du don, dans le mystère même de Dieu.
TEMAS TEOLÓGICOS EN RELACIÓN CON LA ESP
EUCARISTÍA
De Maurizio Buioni c.p.
MAURIZIO BUIONI
SapCr XXIV
OTTOBRE-DICEMBRE 2009
24
teologia
Este artículo se inserta en una investigación positiva (no especulativa o crítica) dentro de un descubrimiento progresivo de las raíces
de la fe cristiana en el Antiguo Testamento de hecho en la Iglesia.
No es un argumento de importancia secundaria, o que interese solamente a los especialistas. La precisa radicación del mensaje cristia-
no en la cultura en la que ha nacido y se ha expresado nos permite
una comprensión cabal. Ésta, a su vez, es condición de la eficacia
espiritual del don, en el misterio mismo de Dios.
GER
sacra
scrittura
e
teologia
THEOLOGISCHE FRAGEN IN BEZUG AUF DIE
EUCHARISTIE
von Maurizio Buioni c. p.
Dieser Artikel lässt sich als positivistische Untersuchung (sie ist
also weder kritisch noch spekulativ) einer in der Kirche größer werdenden Tendenz zuordnen, welche die Wurzeln des christlichen
Glaubens im Alten Testament wiederentdeckt. Die Fragestellung ist
an sich von Bedeutung und sollte nicht nur Spezialisten interessieren. Denn eine korrekte Verankerung der christlichen Botschaft in
jener Kultur, in der sie geboren und ausgedrückt wurde, bildet die
Grundlage für deren rechtes Verständnis. Ein solches ist wiederum
Voraussetzung für die geistige Wirksamkeit der Gabe im Geheimnis
Gottes.
POL
PROBLEMY TEOLOGICZNE
EUCHARYSTIĄ
Maurizio Buioni c. p.
ZWIĄZANE
Z
Artykuł ten poprzez badania pozytywne (w odróżnieniu od
spekulatywnych i krytycznych) wpisuje się w stopniowe odkrywanie
korzeni wiary chrześcijańskiej w Starym Testamencie, które ma
miejsce w Kościele. Nie jest to zagadnienie drugoplanowej wagi,
czy te˝ takie, które interesowałoby tylko specjalistów. Właściwe
zakorzenienie przesłania chrześcijańskiego w kulturze, w której się
ono narodziło i znalazło swój wyraz, pozwala na jego właściwe
zrozumienie. To zaś jest z kolei warunkiem skuteczności duchowej
daru w samym misterium Boga.
Tematiche Teologiche
in relazione all’Eucaristia
3-25
25
teologia
sacra
scrittura
e
teologia
di ADOLFO LIPPI C.P.
A venticinque anni dall’approvazione delle nuove Costituzioni
dei Passionisti, si offre qui una riflessione sulla teologia che le
ha ispirate, che può valere anche per altri Istituti e Movimenti
spirituali. Essa pone all’esame, inoltre, il problema della ricezione del concilio Vaticano II a livello di Istituti, Movimenti spirituali e chiese locali, una ricezione che, come è evidente, non si
verifica automaticamente, ma è
soggetta a resistenze e, a volte,
opposizioni.
1. Premessa: L’origine
delle nuove costituzioni
dal Concilio Vaticano II e i
principi del Rinnovamento
della Vita religiosa
LA TEOLOGIA
CONTENUTA
NEL TESTO
DELLE
COSTITUZIONI
DEI PASSIONISTI1
R
icorre quest’anno il venticinquesimo anniversario dall’approvazione delle Costituzioni della Congregazione della
Passione da parte della Congregazione dei Religiosi ed
Bibliografia essenziale: J. L. Quintero Sanchez, “Progetto teologale di esistenza”, La dimensione teologica e teologale come chiavi di lettura e accoglienza vitale, in BIP, n. 20, pp. 3-9; M. Bialas, A. P. Hennessy, C. Brovetto, T. M.
Newbold, L. Novoa, G. Cingolani, Commenti sulle Costituzioni generali C. P,
cap. I e II., Roma, 1987 (Collana Ricerche di storia e spiritualità passionista,
35);.F. Sucher, O. Mondragòn, A. Lippi, H. Gielen, A. De Battista, Commenti
sulle Costituzioni…, cap. III e IV, Roma, 1986 (Ricerche…, 36); F. Giorgini, N.
Gonzalez, B. Lowe, Commentisulle Costituzioni… cap V, Roma, 1987
(Ricerche… 40); B. Ahern, A. M. Artola, S. Breton, E. Delaney, La memoria
Passionis nelle Costituzioni, Roma, 1986, (Ricerche…39); A. De Battista, A.
Smith, A. Lippi, F. Daugherty, G. Siaunneau, Aspetti pastorali della Memoria
Passionis, Roma, 1986, (Ricerche…38).
1
La teologia
contenuta nel testo
delle costituzioni
dei Passionisti
27-52
27
teologia
sacra Istituti secolari, firmata dall’allora Prefetto Cardinal Pironio. Le
Costituzioni della Congregazione della Passione, come quelscrittura nuove
le di tutti gli altri Istituti di Vita consacrata, sono state volute dal
e Concilio Vaticano II. Il Decreto conciliare Perfectae caritatis, de
teologia accomodata renovatione vitae religiosae, ai nn. 3 e 4 prescriveva di
ADOLFO LIPPI
SapCr XXIV
OTTOBRE-DICEMBRE 2009
28
teologia
rivedere le Costituzioni e altri libri giuridici, coinvolgendo in questo
rinnovamento tutti i membri dell’Istituto. Si stabilivano anche alcuni principi teologici e spirituali validi per tutti gli Istituti di Vita consacrata, principi che terrò presenti nell’analizzare la teologia contenuta nel testo delle Costituzioni dei Passionisti.
In seguito il motu proprio Ecclesiae sanctae, di Paolo VI, nella
sezione seconda, determinava le norme per l’applicazione del decreto Perfectae caritatis, soprattutto indicendo un Capitolo generale
speciale (Parte I, I, nn. 1 ss). L’ Ecclesiae sanctae è del 1966. Il
Capitolo generale ordinario o straordinario doveva essere celebrato
nello spazio di due o tre anni. La Congregazione passionista celebrò
il Capitolo generale straordinario in due sessioni, negli anni 1968 e
1970. Tale Capitolo doveva essere preceduto da un’ampia consultazione della Congregazione (n. 4), cosa che fu attuata con un’indagine raccolta in tre volumi.
Il decreto Ecclesiae sanctae indicava anche alcuni elementi che
non dovevano mancare nella revisione dei testi legislativi di ciascun
Istituto di Vita consacrata: non doveva mancare un elemento spirituale, fondato su principi evangelici, teologici ed ecclesiologici e
non doveva mancare un elemento giuridico per definire chiaramente il carattere, il fine e i mezzi propri dell’Istituto (nn. 12 e 13). Si
indicavano altresì alcuni criteri di adeguato rinnovamento: tenere
presente la Perfectae caritatis, ma anche gli altri documenti del
Concilio, dare importanza alla Parola di Dio, allo studio della vita
religiosa in genere e del proprio “spirito di origine”, scartando gli
elementi non più in uso che non fanno parte dell’essenza
dell’Istituto, stabilire una forma di governo che coinvolga tutti i
membri della Comunità, continuare anche in seguito il rinnovamento (nn. 15-19).
Seguivano alcune esortazioni riguardanti punti particolari: la partecipazione alla recita dell’Ufficio divino sia preferita a quella di
uffici particolari, si dedichi tempo all’orazione mentale togliendo
magari altre pratiche devote, si favoriscano forme di mortificazione
e di povertà adeguate ai tempi, non escludendo la rinuncia ai beni
patrimoniali per chi lo desidera, la vita comune sia adattata all’apo-
stolato attuale, variando, se necessario, gli orari. Particolare spazio
era dato alle norme sulla formazione dei religiosi. Vi si parlava
anche delle conferenze di superiori maggiori, della possibile unione
o soppressione di Istituti (nn. 20-44).
sacra
scrittura
e
teologia
L
a prima considerazione da fare
2. L’incipit narrativo
sulla teologia
contenuta
nelle
Costituzioni
della
Congregazione della Passione, credo che debba riguardare proprio i
primi numeri del Capitolo I, che ha per titolo I fondamenti della
nostra vita. E’ nota a tutti ormai l’espressione teologia narrativa,
alla quale a volte fa riferimento anche papa Ratzinger, espressione
che si oppone, almeno implicitamente, a quella di teologia speculativa, che fa riferimento ad uno stile teologico certamente prevalente
fino al Concilio Vaticano II. La teologia narrativa si vuole allacciare alla teologia della Storia della salvezza. La salvezza si attua nella
storia, anzi essa stessa ha una storia ed è storia. Si può collegare questa scelta della narrazione al posto delle definizioni astratte con
l’uso del presente indicativo al posto dell’imperativo che caratterizza molte nuove Costituzioni: siamo radunati in comunità apostoliche… vogliamo rimanere fedeli allo spirito evangelico e all’eredità
del nostro Fondatore (n. 2), ecc.
Le Costituzioni dei Passionisti cominciano con riferimenti storici e personali, riferimenti a fatti precisi e ad una precisa persona, che
è il Fondatore San Paolo della Croce. Prima dell’adesione ad una
teoria teologica o ad una proposta spirituale, c’è la collocazione
della propria chiamata all’interno e al seguito di un’altra chiamata
accaduta nella storia e riconosciuta dalla Chiesa. Il numero 1 descrive la chiamata di Paolo e dei compagni che lui radunò, il n. 2 il riconoscimento dell’Autorità ecclesiastica. Vi si descrive un carisma che
però non è tanto personale quanto comunitario ed ecclesiale.
“1. San Paolo della Croce radunò compagni perché vivessero
insieme per annunciare agli uomini il Vangelo di Cristo… Dispose
che essi conducessero vita ‘conforme a quella degli apostoli’ e
coltivassero un profondo spirito di preghiera, di penitenza e di solitudine per conseguire una più intima unione con Dio ed essere testimoni del suo amore. Discernendo acutamente i mali del suo tempo,
La teologia
contenuta nel testo
delle costituzioni
dei Passionisti
27-52
29
teologia
sacra proclamò con insistenza che la Passione di Gesù, ‘la più grande e
opera del divino amore, ne è il rimedio più efficace.
scrittura stupenda
2. La Chiesa, avendo riconosciuto in San Paolo della Croce
e l’azione dello Spirito Santo, approvò con suprema autorità la nostra
teologia Congregazione e le sue Regole…”
A quest’impostazione il Capitolo generale non giunse immediatamente. La primitiva stesura di questi numeri cominciava in modo
astratto, come era in uso fino ad allora. Ancora nel Documento di
Madrid, redatto dalla Commissione intersessionale come documento base della seconda sessione del Capitolo, si diceva: “La
Congregazione della Passione è una comunità di cristiani che si
sforzano di vivere, con tutti i loro fratelli in Cristo, il mistero della
Morte e della Risurrezione del Signore”. Fu durante l’ultima sessione che si pervenne all’attuale formulazione storica.
Quest’impostazione anticipa, per così dire, la teologia dei carismi
degli Istituti religiosi che si è andata sviluppando in seguito nella
teologia della vita religiosa, a cominciare dall’uso di questa stessa
parola, che non si trova nei documenti conciliari e postconciliari
riguardanti la vita religiosa. Si parlava allora di spirito dell’Istituto.
Si trova invece nei documenti più ecclesiologici, come la Lumen
Gentium (nn. 4, 7, 12), Ad gentes divinitus, (4), Apostolicam
actuositatem, ecc.)2.
Alla luce della teologia narrativa l’intera storia della Chiesa
dovrebbe essere riscritta dando la priorità a quanto lo Spirito opera
nella Chiesa e nel mondo attraverso la Chiesa, luce e strumento di
salvezza per il mondo insieme al suo Capo, Cristo. Non che questo
manchi del tutto nella storiografia ecclesiastica, ma viene collocato
piuttosto come corollario di una storia scritta secondo le categorie
della cultura umana, che, in questo campo come in quello della filosofia, bisogna chiamare propriamente cultura ellenica, greca.
Giuseppe Flavio faceva sapere ai pagani che, tra gli ebrei, scrivere
la storia apparteneva ai profeti3. Anche oggi, infatti, nella bibbia
Sull’azione carismatica di Dio per la fondazione degli Istituti religiosi e, in
particolare, su come San Paolo della Croce ha vissuto questa esperienza, cf F.
Ciardi, I Fondatori uomini dello Spirito. Per una teologia del carisma di fondatore, Città Nuova, Roma, 1982. Su San Paolo della Croce, pp. 54-57; 128129; 251-253; 280-283.
3
Contro Apione, 1, 37.
2
ADOLFO LIPPI
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30
teologia
ebraica, il Tanach, i libri storici sono collocati nella stessa categoria dei libri profetici.
Chi più di tutti si è cimentato nello scrivere una storia dal punto
di vista di ciò che opera lo Spirito per la salvezza e la trasformazione o, per dirla con Teilhard, per la consacrazione e divinizzazione
del mondo, è stato Sant’Agostino nel De civitate Dei: “Fecerunt itaque civitates duas amores duo, terrenam scilicet amor sui usque ad
contemptum Dei, caelestem vero amor Dei usque ad contemptum
sui…illa in principibus ejus, vel in eis quas subiugat nationibus
dominandi libido dominatur; in hac serviunt invicem in
caritate et praepositi consulendo et subditi obtemperando”4. La
Congregazione della Passione trova la sua collocazione nella seconda di queste due città, come un prodotto dello Spirito Santo attraverso l’ amor Dei usque ad contemptum sui.
3. La Passione
pietra fondante
di tutta la costruzione
sacra
scrittura
e
teologia
3.1. Non è più il quarto, ma è il primo dei
voti dei passionisti
Fra tutti gli elementi
che costituiscono la
spiritualità dei passionisti, quello maggiormente condiviso è la
Passione di Gesù. Tutti riconoscono in essa la fonte della propria
ispirazione religiosa. Ed è nella Passione di Gesù che le nuove
Costituzioni riconoscono il fulcro di “unità della vita e dell’apostolato” dei passionisti (n. 5). Perciò la Passione da quarto voto diventa il primo (n. 6), non soltanto per fornire un fondamento, ma anche
per assorbire in sé, in qualche modo, gli altri tre voti. La Passione
che il passionista abbraccia lo porta ad obbedire con la stessa obbedienza di Gesù al Padre, fino alla morte di croce; la Passione lo fa
povero fino a morire nudo su una croce, come diceva il Fondatore;
De civitate Dei, XIV, 28 (Due amori hanno dunque fondato due città:
l’amore di sé portato fino al disprezzo di Dio ha generato la città terrena;
l’amore di Dio portato fino al disprezzo di sé ha generato la città celeste… in
quella i principi e le nazioni che sottomette sono soggiogati dalla passione per
il dominio; in questa si presentano reciprocamente uniti nella carità i capi nel
comandare e i sudditi nell’obbedire).
4
La teologia
contenuta nel testo
delle costituzioni
dei Passionisti
27-52
31
teologia
sacra e la Passione lo fa casto come Cristo, che non soltanto non strumenniente e nessuno per la propria soddisfazione, ma donò
scrittura talizzava
tutto se stesso agli altri nell’autentico amore oblativo. Per quanto
e ricorda il sottoscritto, fu P. Costante Brovetto che, almeno fra noi
teologia passionisti italiani, promosse molto questo trasferimento del quarto
voto al primo posto fra i voti. Nelle stesure delle Costituzioni che
precedettero quella finale non si trova un quarto voto, ma neanche
propriamente un voto fondante come nelle Costituzione attuali. C’è
soltanto un discorso fondamentale sulla Passione antecedente al
discorso esplicito su ciascuno dei tre voti religiosi.
La formulazione contenuta nella Regola primitiva di San Paolo
della Croce partiva dal promuovere la devozione e la grata memoria
della Passione. Il capo XVI della Regola, nel testo approvato nel
1775, riportato come testo ispirazionale nelle Costituzioni, aveva
come titolo Del voto di promuovere presso i cristiani la devozione e
grata memoria alla Passione e morte di Nostro Signore Gesù
Cristo5. Si indicavano poi dei mezzi pratici molto concreti per osservare questo voto: insegnare a meditare la Passione, parlarne nei
catechismi e nelle prediche, in altre attività apostoliche o, per i fratelli laici, recitare alcuni Pater ed Ave. Indubbiamente la spiritualità
della Passione pervadeva tutto il pensiero, la vita, l’apostolato del
Fondatore e dei passionisti. I mezzi per osservare il voto e così
attuare il carisma apparivano come un complemento della spiritualità generale, soprattutto dei consigli evangelici.
Il titolo delle nuove Costituzioni è molto più teologico: La nostra
consacrazione alla Passione di Gesù. L’oggetto del voto viene
espresso con le parole “Con tale voto ci obblighiamo a promuovere
la memoria della Passione di Cristo con la parola e con le opere, per
approfondire la consapevolezza del suo significato e del suo valore
per ogni uomo e per la vita del mondo” (n. 6). E’ un’espressione
altamente significativa ed anche estremamente sintetica. Posto
all’inizio delle Costituzioni, questo voto qualifica ed illumina tutto
quello che segue, come metterò brevemente in evidenza.
ADOLFO LIPPI
SapCr XXIV
OTTOBRE-DICEMBRE 2009
5
32
teologia
Testo delle Costituzioni in italiano, p. 34.
sacra
scrittura
Ci possiamo domandare se ci sono e quali sono gli elementi principali della teologia della Passione e della Croce contenuti nelle e
Costituzioni dei Passionisti. Credo che si possa rispondere che que- teologia
3.2. La Memoria Passionis
sta teologia e spiritualità sono presenti nelle Costituzioni e vi sono
anche bene espresse, tenendo presente tuttavia la natura di questo
documento e la sua relativa brevità. Il primo tema da evidenziare
può essere quello del fare memoria della Passione. Questa espressione, che precedentemente si era portati ad intendere come un
richiamare alla mente i vari momenti della Passione, con la meditazione o con pratiche quali la Via Crucis, è stato inserito dentro una
teologia del fare memoria, che pervade tutta la Bibbia, tanto
l’Antico quanto il Nuovo Testamento ed è attestata nel momento
culminante della vita di Gesù, l’ultima Cena e l’istituzione
dell’Eucaristia. All’interno della Congregazione della Passione,
furono promossi incontri di studio e commenti su questi temi fondamentali delle Costituzioni. Per comprendere il senso teologico del
fare memoria, i contributi più importanti furono offerti da due noti
biblisti passionisti, l’americano Barnabas Ahern e lo spagnolo
Antonio Artola6. Essi sintetizzano quanto di meglio si trova nella
teologia su questo argomento. L’articolo di Ahern contiene un paragrafo dal titolo Insegnamento biblico sulla contemporaneità della
Morte-Risurrezione di Cristo. Ahern lo tratta sia in rapporto alla
Bibbia che in rapporto alla spiritualità del Fondatore. Va tenuto presente questo insegnamento per comprendere poi quanto le
Costituzioni dicono sul rapporto fra Gesù Crocifisso e i crocifissi di
oggi (n. 65), terminologia che fece un’impressione negativa su alcuni passionisti. Si possono collegare questi insegnamenti alle profonde riflessioni che fa Kierkegaard sulla contemporaneità di ogni cristiano a Cristo che si attua con la fede7.
6
7
Cf AA. VV., La Memoria Passionis nelle Costituzioni…cit., 1-31.
Cf Scuola di cristianesimo, Comunità, Milano, 1960, 13.
La teologia
contenuta nel testo
delle costituzioni
dei Passionisti
27-52
33
teologia
sacra 3.3. La croce come automanifestazione di Dio in San Paolo della
scrittura Croce e nelle Costituzioni
e C’è una teologia della Croce che vede nel mistero pasquale
teologia soprattutto l’espiazione dell’offesa fatta a Dio e c’è una teologia
della Croce che vede in esso piuttosto la manifestazione del mistero
profondo di un Dio che si qualifica come Agàpe, amore, dono di sé.
La prima si esprimeva nella ben nota concezione anselmiana della
riconciliazione che si otteneva con una riparazione adeguata alla
dignità dell’Offeso, che essendo Dio Padre, non poteva essere offerta altro che da un Figlio che fosse Egli stesso Dio. La seconda ritiene invece che la riconciliazione parta dalla gratuità costitutiva dello
stesso Dio Padre (`O qeÕj ¶g£ph ™st…n/, 1 Gv 4, 16), che offre il
proprio Figlio al mondo con un inesprimibile sacrificio quasi strappandoselo dal seno: sic Deus (Pater) dilexit mundum ut Filium suum
unigenitum daret. (Gv 3, 16). Questo atto di donazione costituisce
anche quella che il Concilio chiamerà l’autorivelazione di Dio8.
Gesù è l’icona vivente dell’invisibile Iddio (Col 1, 15), Colui che
manifesta l’inconoscibile Dio (Gv 1, 18). Se Dio è, per sua essenza,
amore e non c’è amore più grande di quello che è dimostrato dal
dono di sé nella Croce (Gv 15, 13), Dio si conosce nella croce.
Balthasar esprimerà questa nuova theologia crucis con una teoria
che va assai oltre tutto ciò che lo stesso Lutero e i teologi evangelici di oggi, ad esempio Barth o Moltmann, avevano potuto formulare: la teoria della Ur-Kenose, cioè della originaria kenosi del Padre,
anteriore alla stessa kenosi del Figlio9. Oggi la cattedra Gloria
Crucis, organizzata dai Passionisti in collaborazione con
l’Università Lateranense, sta portando avanti una ricerca a vari livelli sulla nuova immagine di Dio postulata da un approfondimento
della theologia crucis e da un’emancipazione della teologia - in
quanto conoscenza del mistero del Dio inconoscibile - dalla tutela
della speculazione filosofica greca10.
Cf Dei Verbum, 2.
Rimando, per una presentazione di questa teologia, al mio articolo La
croce nella Trinità. La teologia Crucis di H. U. v Balthasar, in Sap Cr, X (1995),
225-254.
10
Cf AA. VV., Quale volto di Dio rivela il Crocifisso?, OCD, Roma, 2006; F.
Taccone (ed.), La visione del Dio invisibile nel volto del Crocifisso, OCD, Roma,
2008; F. Taccone (ed.), Stima di sé e kenosi, OCD, Roma, 2008; F. Taccone
(ed.), Croce e identità cristiana di Dio nei primi secoli, OCD, Roma, 2009.
8
9
ADOLFO LIPPI
SapCr XXIV
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34
teologia
San Paolo della Croce, come altri santi, aveva scoperto per
proprio conto ed anticipato le odierne acquisizioni della theologia
crucis con le espressioni mistiche che ripete varie volte: la Passione
è “la più grande e stupenda opera del Divino Amore”11, o “il miracolo dei miracoli del Divino Amore”12. Dal mare della Divina Carità
procede, per lui, il mare della Passione Santissima di Gesù che sono
due mari in uno13. Le Costituzioni richiamano fin dal n. 1 la prima
di queste citazioni.
sacra
scrittura
e
teologia
3.4. La croce come potenza di Dio, kenosi e paradigma della
consacrazione battesimale
Al n. 5 delle Costituzioni la Passione è presentata come rivelazione della potenza di Dio che pervade il mondo per distruggere il
potere del male e instaurare il Regno di Dio. E’ una presentazione
importante: quella che secondo la mentalità del mondo è la più grande debolezza e sconfitta, costituisce la manifestazione della potenza
e la gloria stessa di Dio che così instaura il suo Regno.
Immediatamente dopo, nello stesso numero, c’è un richiamo alla
kenosi, cosa che fa evitare ogni pericolo di interpretazione mondana della potenza di Dio. C’è una kenosi del Cristo e una kenosi del
cristiano, derivante dalla configurazione a Lui e dalla condivisione
della sua vita e missione. Il discorso sulla consacrazione a Dio per
mezzo dei consigli evangelici è introdotto giustamente, in un modo
veramente passiologico, rimandando alla consacrazione fondamentale che è quella battesimale. Del battesimo si ricorda la caratteristica lumeggiata da Paolo nella lettera ai Romani, (6, 1-11), quella di
essere immersione nella morte e sepoltura di Gesù per riemergere
diversi ad una vita nuova. Potenza della croce, kenosi e battesimo
nella morte e risurrezione di Gesù sono i tre temi fondamentali di
una spiritualità passionista, ricondotta chiaramente, alla luce del
Concilio Vaticano II, alla Parola di Dio.
Lettere di San Paolo della Croce, Roma, 1924, II, 499, a Sr. Colomba
Gandolfi, 21 – 08 – 1756.
12
Lettere, cit., II, 726, a Lucia Burlini, 17 – 08 – 1751.
13
Lettere, cit., II, 717, a Lucia Burlini, 04 – 07 – 1748.
11
La teologia
contenuta nel testo
delle costituzioni
dei Passionisti
27-52
35
teologia
sacra 3.5. La Passione e i tre voti della Vita consacrata
scrittura La configurazione a Cristo Crocifisso è richiamata esplicitamene te anche nei numeri riguardanti i singoli voti: parlando della poverteologia tà si ricorda che Cristo per noi ha offerto tutto, anche la vita (n. 14).
Si richiama qui l’insegnamento del Fondatore secondo cui la povertà è il vessillo sotto il quale milita tutta la Congregazione. Forse si
poteva ancor meglio richiamare il rimando contenuto nelle Regole
primitive, altrettanto noto fra i passionisti, all’esempio di Cristo “il
quale per amor nostro si degnò di nascer povero, vivere bisognoso e
morir nudo su una croce”14. Parlando della castità, la Passione è giustamente ricordata nell’ambito del servizio totale del Cristo alla
causa del Regno e alla salvezza degli uomini (n. 18).
Sull’obbedienza non ci poteva essere, ovviamente, un richiamo
più adatto del notissimo testo di Fil 2, 8: “factus oboediens usque ad
mortem, mortem autem crucis” (n. 20). Per quell’obbedienza siamo
stati salvati (cf Eb 10, 10). Il disegno salvifico nel quale le
Costituzioni ci invitano ad entrare è il mistero dell’obbedienza della
Croce. Il fondamento dell’obbedienza religiosa è qui chiaramente
spirituale e cristologico: è la continuazione dell’obbedienza di
Cristo al Padre. Si ha l’impressione che questo fondamento sia normalmente lasciato in sottordine, in molti ambiti della formazione
iniziale e permanente, come qualcosa di devozionale, per preferirgli
un fondamento etico: l’obbedienza per il bene comune. Non è che
l’etica non sia importante o che si possa trasgredire, ma essa non
può costituire la base per una autentica e totale consegna della propria vita a Dio. Alla stessa etica è dato, nella vita religiosa, un altro
fondamento. Dall’obbedienza di Gesù al Padre dovrebbe cominciare ogni discorso sulla consacrazione religiosa. Credo che tante difficoltà che si incontrano anche oggi nella convivenza comunitaria
derivino dal fatto che ci si ferma ad un’obbedienza etica. Il recente
documento della Congregazione per i religiosi sull’obbedienza
presenta assai bene questa tematica15.
ADOLFO LIPPI
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14
15
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teologia
Testo italiano delle Costituzioni, p. 32-33; cap. XIV.
Il servizio dell’autorità e l’obbedienza. Istruzione, 11- 05 -2008.
sacra
scrittura
Parlando di teologia contenuta nelle Costituzioni della e
Congregazione della Passione, è importante mettere in evidenza teologia
3.6. La Passione nei capitoli sulla comunità di vita, sulla comunità di preghiera e di apostolato, sulla formazione
che, non soltanto i voti religiosi, ma anche tutti i discorsi riguardanti la comunità di vita, di preghiera e di apostolato, partono dalla consacrazione alla Passione e su di essa si fondano. Il fondamento della
vita comunitaria viene giustamente trovato nella croce di Gesù, che
abbatte i muri di separazione (n. 26). Anche qui possiamo lamentare lo scarso collegamento che si fa nella spiritualità e nella pedagogia religiosa fra croce e carità, fra croce e unità delle comunità. Si è
portati a collegare la Passione con la mortificazione personale più
che con il rispetto, la carità, la premura e la cura della pace e dell’unità. Ma se si pensa a quali sono gli effetti più importanti della
Passione e Morte di Gesù secondo la Rivelazione, vediamo che il
primo è la nostra riconciliazione con Dio Padre, il secondo è la
riconciliazione con i fratelli e le sorelle del mondo.
La Passione torna ancora nel capitolo sulla preghiera come comprensione della Passione nella Trinità. Anche questa è una teologia
fortemente presente nella mistica del Fondatore, sulla quale ho
personalmente scritto16, ma della quale forse non si ha una coscienza sviluppata nella comunità congregazionale. Un articolo della rivista Città Nuova titolava una presentazione della mistica del
Fondatore dei Passionisti con le parole Paolo della Croce e della
Trinità17. Il numero 39 delle Costituzioni esprime bene questa teologia spirituale.
I tre numeri 50-52 sono dedicati specificamente alla meditazione
della Passione. Tornerò su questi numeri parlando della preghiera.
La Passione è poi ricordata opportunamente parlando della penitenza, la quale è collegata strettamente al pentimento dei peccati e alla
conversione, nonché alla sopportazione dei disagi inerenti alla vita
di comunità e di apostolato (nn. 56-57). Nel capitolo sull’apostolato, la Passione è posta chiaramente a fondamento dell’apostolato
Cf A. Lippi, Amore doloroso, dolore amoroso e gioia. La mistica di San
Paolo della Croce: mistica trinitaria della croce, in Sap Cr, XIX (2004), 43-58.
17
Cf G. Casoli, Paolo della Croce e della Trinità, in Città Nuova 12 (1994),
44-45.
16
La teologia
contenuta nel testo
delle costituzioni
dei Passionisti
27-52
37
teologia
sacra della Congregazione (n. 62). Tre numeri specifici trattano della predella Passione di Gesù (64-66), che è anche passione degli
scrittura dicazione
uomini. Mi pare che manchi invece un autentico riferimento alla
e Passione di Gesù nel capitolo sulla formazione. Se ne parla solo al
teologia n. 86 nell’ambito degli studi più che della formazione stessa.
Torneremo su tutti questi argomenti.
ADOLFO LIPPI
SapCr XXIV
OTTOBRE-DICEMBRE 2009
38
teologia
A
nche il capitolo
sulla preghiera
comincia
in
modo narrativo, ricordando che il Santo
Fondatore “uomo di
grande orazione, inculcava insistentemente l’importanza della medesima con la parola e
con l’esempio” e desiderava che le nostre comunità “diventassero
autentiche scuole di preghiera” (n. 37, cf anche n. 4). Poche cose
sono così evidenti nella storia della Congregazione passionista come
il fatto che essa è stata una scuola di orazione, cioè di unione con
Dio, quindi di mistica, una scuola di preghiera, come oggi si preferisce dire, e che molti passionisti sono stati grandi maestri di preghiera. Tuttavia quando si parla dell’apostolato tradizionale della
Congregazione della Passione, si è portati a sopravvalutare alcune
forme più esteriormente strutturate e conosciute come le missioni
popolari. Le decine di migliaia di lettere di direzione spirituale scritte da San Paolo della Croce, il tempo da lui consumato nel colloquio
con anime privilegiate, i grandi direttori di spirito che la
Congregazione ha generato e i grandissimi discepoli tendono ad
essere messi in sotto ordine. Ricordiamo soltanto, fra i primi, lo stesso santo Fondatore, poi san Vincenzo Strambi, P. Germano
Ruoppolo, san Carlo Houben, P. Generoso Fontanarosa. Tra i secondi basterebbe citare Gemma Galgani, Lucia Mangano e Edvige
Carboni, oltre le numerose anime sante dirette dal Fondatore. Le
Costituzioni invitano i religiosi della Congregazione a mantenere
queste tradizioni, approfondendole e corredando questa attività con
studi ed esperienze. Ritengo che in questi ultimi decenni diversi religiosi abbiano operato in questo campo, ma sarebbe certamente utile
una presa di coscienza del progetto e un maggiore coordinamento.
4. Le Comunità
scuole di preghiere
e i religiosi
maestri di preghiera
I
numeri 50, 51 e 52
5. Dimensione
delle Costituzioni
sono dedicati alcontemplativa e mistica:
l’importante
tema
importanza della meditazione
della
dimensione
cone dell’insegnare al popolo
templativa e dell’oraa fare meditazione
zione. Da ricordi del
Capitolo generale speciale risulterebbe che su questi numeri riguardanti contemplazione
e meditazione, come su quelli riguardanti l’Eucaristia, sia intervenuto con decisione l’allora generale P. Teodoro Foley, il quale
interveniva raramente nella discussioni, allo scopo di lasciar liberi i capitolari e non fare pressioni indebite. Probabilmente si deve
alla forza di tali interventi il fatto che le Costituzioni della
Congregazione riflettano ancora perfettamente il carisma e la tradizione passionista.
Del P. Teodoro Foley sono state scritte varie biografie ed è in
corso la causa per la beatificazione. Sia nei Capitoli generali e
provinciali, come nella direzione della Congregazione manifestò uno straordinario spirito di fede e di preghiera, insieme
con una profonda comprensione dei limiti di ogni uomo anche
religioso.
Credo che non sia sufficiente, per descrivere teologicamente il
carisma passionista, dire che la Congregazione della Passione è una
congregazione di vita mista, cioè contemplativa e attiva allo stesso
tempo e, meno ancora, puntare a definirla come una congregazione
apostolica nella quale gli elementi di natura contemplativa siano del
tutto finalizzati all’apostolato, come si fece nell’inchiesta realizzata
in preparazione al Capitolo straordinario, la quale, debitamente
indirizzata, portò a questo risultato. Se i passionisti si vogliono
interrogare, con libertà interiore, cioè con libertà dagli schemi, sulla
natura del proprio carisma, devono tener presente anzitutto l’importanza dell’elemento solitudine, che, per secoli, è stato valutato
soprattutto come solitudine geografica, dando luogo ad un’infinità
di problemi pratici, soprattutto nella storia delle fondazioni. Ricordo
in particolare le grandi sofferenze che patì per questo il beato
Bernardo Silvestrelli, ma si potrebbero citare molti altri casi anche
di divergenze fra generali, ad esempio, per il mantenimento
del convento di San Bernardo in Arezzo dopo la soppressione napo-
sacra
scrittura
e
teologia
La teologia
contenuta nel testo
delle costituzioni
dei Passionisti
27-52
39
teologia
sacra leonica . La Congregazione della Passione è oggi in grado di valudiversamente la solitudine, ma questo non vuol dire che la possa
scrittura tare
considerare un aspetto superato del carisma. L’elemento solitudine
e deve realmente significare qualcosa nella vita di un passionista.
teologia Una descrizione del carisma passionista ante litteram, è quella
18
che fece brillantemente Gerardo Sciarretta, dicendo che la
Congregazione passionista “ha caro di raccogliere in sé tutte le
esperienze spirituali del passato: la vocazione eremitica di chi fugge
dal mondo per ritirarsi in profonda solitudine e vivere solo a Dio;
quella monastica di chi attende all’Opus Dei e alla lettura sacra; la
vita canonicale di una liturgia autenticamente genuina, che se rifugge dalle dignità abbaziali, ha tutta l’aria di non voler cedere un punto
alla severa solennità del culto delle cattedrali; il regime cenobitico di
una vita comune in cui la disciplina di un’osservanza quadrata e
matematica e l’uso ‘standard’ dei mezzi di sussistenza, quali il vitto
e il vestiario, tende a spogliare la persona di quanto ha di proprio per
livellarla sulla piattaforma della comunità. Inoltre, a tutto questo
aggiunge – può sembrare un controsenso – una rigorosa ascesi individualistica, che ha il suo fulcro nella meditazione, in cui il religioso
viene abbandonato alla sua propria introspezione, affinché per lunghe
ore metta a nudo le radici del suo essere, nella tenebra del coro, ma
alla luce di Dio; e finalmente la vocazione missionaria di questo
straniero del mondo, che ritorna nel mondo non suo, a far caccia di
anime, a far bottino di spiriti immortali detenuti nell’abiezione e nella
colpa”19. Questa specie di eclettismo è oggettivo: c’è nel passionista
qualcosa di monastico, per cui si sente a casa sua, a suo agio, nel convento, che non è solo luogo di passaggio a scopo di organizzazione
dell’apostolato e proprio per questo è chiamato ritiro. Ricordo qui
le riflessioni di Breton sull’abitare ed essere abitati da una Presenza.
Ci sono poi le altre dimensioni che Sciarretta ricorda, certamente
riprese, magari in forme diverse, nelle nuove Costituzioni.
Per il Beato Bernardo, cf F. Giorgini, Bernardo Maria Silvestrelli. Uomo
di pace proteso al futuro, Cipi, Roma, 1988; per il convento di San Bernardo
di Arezzo, cf F. Giorgini, Storia della Congregazione della Passione di Gesù
Cristo, II/2, Cipi, Roma, 2000, 107-113.
19
Spiritualità della croce, a cura di C. Naselli, San Gabriele (Te), 1980,
V, 187; testo ripreso da una conferenza del 1958, intitolata La meditazione e
il suo oggetto, in AA. VV., La vita contemplativa nella Congregazione della
Passione, Eco, San Gabriele, 1958, 307-309.
18
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teologia
Se vogliamo paragonare l’insegnare al popolo a fare orazione su
cui insisteva il Santo Fondatore con qualcosa del nostro tempo, possiamo dire che Paolo della Croce voleva portare tutti i cristiani che
erano in grado di recepirlo, a vivere una vita cristiana diversa da
quella esteriore e superficiale della maggioranza della gente, in
maniera analoga a quanto fanno oggi i movimenti ecclesiali o a
quanto si fa se si attuano con profondità gli insegnamenti del
Concilio Vaticano II, nei quali confluirono le migliori ricerche del
Movimento biblico, liturgico, ecumenico. Questo significa che i
passionisti sono veramente fedeli alla loro tradizione non se ripetono qualche formula o metodo del passato, ma se offrono a chi è in
grado di recepirla una lectio divina ben fatta (n. 47), o una guida alla
meditazione, o anche un accompagnamento in un cammino di
approfondimento della fede quale si attua nei movimenti ecclesiali
che anche il papa continua a raccomandare. Quello che contava per
Paolo della Croce e deve contare per i suoi figli è il servizio al
Regno di Dio. Il religioso in genere e il passionista in particolare è
chiamato ad offrire un servizio al Regno che non è facile offrire in
mezzo agli impegni molteplici della pastorale diocesana. Allora egli
prenderà il suo posto nella Chiesa, non confondibile con nessun
altro.
Un numero delle Costiuzioni molto illuminante per quanto
riguarda la preghiera è il n. 39. Esso dice: “La vita di preghiera,
comunitaria e individuale, ci porta a vivere in comunione con la
Trinità. Pregando rispondiamo all’invito amoroso del Padre. Mossi
dallo Spirito Santo ci uniamo alla persona di Cristo, specialmente
nel suo mistero pasquale. Contempliamo questo mistero nella meditazione personale che ci conduce ad un amore sempre più grande.
Partecipiamo ad esso attraverso gli eventi del mondo, nei quali
siamo coinvolti a causa della nostra vita e del nostro lavoro e lo riviviamo nella celebrazione liturgica. Così con l’orazione, la nostra
vita si unisce a Cristo nel suo cammino verso il Padre”.
Prima del Concilio Vaticano II si pensava alla Trinità immanente
indipendentemente dalla Trinità economica, cioè indipendentemente dall’economia della salvezza. Oggi non si pensa più la Trinità al
di fuori del mistero pasquale, che è richiamato in questo stesso
numero. Sinteticamente, al mistero pasquale vengono collegati tutti
gli eventi della storia, in virtù dell’orazione. Si trova qui bene
espresso quanto Bruno Forte scrive a proposito del pregare all’interno della Trinità, cioè del pregare in Dio, lamentando che molti
sacra
scrittura
e
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La teologia
contenuta nel testo
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sacra cristiani pregano Dio, ma non sanno pregare in Dio . Si resta estera Dio, perché non ci si sente figli che, nel Figlio, pregano il Padre
scrittura niattraverso
lo Spirito. Questo numero ci dice che, attraverso lo
e Spirito, ci viene
comunicata la preghiera del Figlio che si rivolge al
teologia Padre. Lo stesso si dica dell’inerenza dell’Eucaristia nella croce,
20
espressa nel n. 42: anche qui fin dall’inizio, al sacrificio redentore
vengono collegati i sacrifici di tutti gli uomini. Rinnovando
questo sacrificio, annunciamo la sua morte e proclamiamo la sua
risurrezione.
Un numero delle Costituzioni - il n. 53 - è dedicato alla Vergine
Maria, la cui devozione è stata sempre forte nel Santo Fondatore e
nella spiritualità della Congregazione – basterebbe ricordare per
questo San Gabriele dlel’Addolorata -. Esso propone Maria come
modello di ascolto della Parola, contemplazione, partecipazione alla
Passione, intercessione.
L
a carità che
fonda
l’unità
della Comunità
è chiaramente collegata
alla carità manifestata
da Cristo sulla croce, la
quale abbatte ogni muro di separazione (nn. 25-26). Per edificare la
Comunità di vita, le Costituzioni puntano su convinzioni fondamentali più che su norme vincolanti. Coltivare il dialogo (27), stima e
premura per gli altri (26, 28), cura degli infermi e degli anziani e
ricordo dei defunti (29-31), aperture varie. Queste ultime rimandano alla ecclesiologia di comunione con la quale il Concilio Vaticano
II intende sostituire l’ecclesiologia degli steccati e delle condanne.
Il più importante, forse, fra i segni dei tempi che caratterizzano la
nostra epoca è l’esigenza imprescindibile di operare per la pace. Le
guerre, infatti, ci sono sempre state, ma non c’è mai stata un’epoca
in cui la minaccia delle guerre sia diventata come oggi, minaccia per
la sopravvivenza dell’umanità e della distruzione della stessa mera-
6. Croce e Comunità:
l’attenzione ai crocifissi
di oggi (n. 65)
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Cf B. Forte, Trinità come storia. Saggio sul Dio cristiano, Ed. Paoline,
Cinisello B., 1985, 13. Cf A. Lippi, Abbà Padre. Teologia del Padre e teologia
della croce, EDB, Bologna, 1999, 119 ss.
20
vigliosa casa nella quale Dio ci ha collocato per abitarla. I papi,
dopo il documento conciliare Gaudium et spes21 richiamano spesso
questa minaccia mai esistita precedentemente. Ma questa premura
della pace si deve manifestare a tutti i livelli, cominciando da quella della famiglia e della comunità cristiana di appartenenza. Come si
può pregare e operare sinceramente per la pace nel mondo se si scatenano a cuor leggero conflitti nel proprio ambiente di vita?
Nelle Costituzioni dei Passionisti risulta evidente che l’appartenenza alla propria comunità si apre spontaneamente verso comunità
più ampie. Come io esco dalla mia chiusura mentale aprendomi alla
comunità, così fa la comunità più piccola rispetto a quelle più ampie.
Il n. 34 parla dell’accoglienza in comunità. Non si tratta di uscire da
una riservatezza custodita per secoli, ma di domandarci se in questa
tradizione non si sia inserita qualche forma di preservazione egoista
di certe prerogative che non è conforme allo spirito del vangelo. Chi
preserva la propria vita si mette fuori del flusso della vita che viene
dalla Ruach di Dio: è una delle espressioni fondamentali della teologia della Croce che ricorre in tutti e quattro i vangeli.
L’attenzione ai più deboli della comunità diviene così attenzione
ai più deboli nel mondo. La parabola contenuta in Mt 25, 25- 40,
sintetizzata nella frase. Quello che avete fatto ai più piccoli fra i
vostri fratelli, lo avete fatto a me, esprime la teologia della kenosi
che non è più soltanto kenosi del Figlio di Dio, ma si applica a tutti
i discepoli in quanto, col battesimo, vengono introdotti in un cammino di progressiva conformazione a Cristo. Qui si evince che o la
croce produce giustizia e pace oppure non è croce, è una croce vanificata: questo era per Paolo apostolo che aveva un vero terrore che
la stessa croce di Cristo venisse vanificata: ut non evacuetur crux
Christi (1Cor 1, 17). I passionisti sono chiamati ad essere, nella
Chiesa, i custodi del dono della croce e lo sono in quanto ne verificano l’autenticità dagli effetti di giustizia, di unità e di pace che essa
produce, ovunque, nelle famiglia, nelle comunità, nella società, nel
mondo intero. L’ultima enciclica di Benedetto XVI, Caritas in veritate, esprime questi insegnamenti con una logica stringente.
L’intero testo delle Costituzioni è attraversato dal legame fra il
Crocifisso del Calvario e i crocifissi di oggi. Questa espressione
si trova al n 65, ma il suo contenuto è già espresso al n.3, al n. 13
21
Vedi specialmente n. 80.
sacra
scrittura
e
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La teologia
contenuta nel testo
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sacra e altrove, per culminare nel n. 72, dove si parla dello stile di
della Congregazione passionista come “denuncia profetica delscrittura vita
l’ingiustizia che vediamo intorno a noi e continua testimonianza
e contro la società dei consumi”. Mt 20 prospetta con estrema chiarezteologia za il contrasto fra una sociologia di ispirazione pagana e una
sociologia di ispirazione cristiana. Quella è basata sul privilegio e il
dominio del più forte sul più debole, questa sul servizio kenotico del
forte verso il debole, ispirato al dono che di sé fa Gesù con la sua
morte esplicitamente ricordata in Mt 20, 28. Una spiritualità che
volesse ignorare questo coinvolgimento con i crocifissi del nostro
tempo sarebbe una falsificazione e uno svuotamento della croce,
assolutamente estranea al pensiero e alla vita del Fondatore,
sarebbe un clericalismo analogo al fariseismo del tempo di Gesù,
dove essere preti o consacrati significa tenere per sé dei privilegi,
evitando accuratamente la kenosi. La dottrina sociale della Chiesa,
sintetizzata magistralmente nell’ultima enciclica del papa, si può
considerare un’esplicitazione di questa teologia e di questa spiritualità. Per un approfondimento di queste tematiche nelle Costituzioni
dei Passionisti, sarà utile rileggere i commenti che ne fecero a
suo tempo, su invito del Generale, Padre Stanislas Breton22 e il
sottoscritto23.
La Congregazione della Passione ha un Ufficio generalizio che si
occupa dei temi della Giustizia, della Pace e dell’integrità del creato (JPIC). Questo ufficio ha sperimentato una certa difficoltà a far
comprendere lo stretto legame che esiste fra la rivelazione del Dio
Crocifisso e questi temi, tanto da arrivare a domandarsi: da che cosa
nasce la difficoltà a comprendere che queste tematiche sono profondamente cristiane e passioniste? e ad analizzare queste resistenze24,
peraltro diffuse fra il clero in genere e fra molti cristiani laici praticanti. Si rilevava la necessità di mettere in chiaro il fondamento
biblico e carismatico di queste urgenze, l’inadeguatezza della formazione ascetica ricevuta da molti rispetto alla gravissima situazio-
Cf S. Breton, La continua memoria della Passione, in Ricerche di storia e
spiritualità passionista, n. 39, 33-46.
23
Cf A. Lippi, La Memoria Passionis come forza di liberazione, in Ricerche
di storia…n. 38, …
24
Cf A. Lippi, Prologo, in JPIC Passionista, Ricerche di storia e spiritualità
passionista, N. 60.
22
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teologia
ne in cui si trova oggi il mondo col pericolo dell’autodistruzione dell’umanità e della distruzione dello stesso cosmo, la carenza della
conoscenza dei meccanismi di oppressione e di inquinamento legati all’avidità del guadagno economico che rifiuta ogni controllo. Le
Costituzioni manifestano a questo proposito una meravigliosa
coscienza e responsabilità, come la manifestano gli ultimi Pontefici,
specialmente l’attuale Pontefice Benedetto XVI25.
sacra
scrittura
e
teologia
L
’inizio del capitolo sulla forma7. La Formazione
zione afferma
che questa è opera dello
Spirito Santo e l’attività dei formatori consiste, perciò, principalmente, nel collaborare a
questa opera (n. 77). Con questa affermazione esso riallaccia automaticamente la teologia della formazione a tutto quanto detto, in
diverse parti delle Costituzioni, sulle comunità passioniste come
scuole di preghiera e sui religiosi come maestri di preghiera, tesi
ripetuta esplicitamente, nell’ambito di questo capitolo, al n. 80. Il
resto del capitolo si attesta maggiormente sopra una descrizione
antropologica della formazione. Si tratta certamente di un’antropologia cristiana e passionista, che, in quanto tale, contiene i principi
formativi fondamentali. Manca, però, in questo capitolo, una teologia fondamentale della formazione cristiana, che si possa dire specificamente passionista. Antonio Artola dichiara che questo capitolo è
un luogo privilegiato per i riferimenti alla Memoria Passionis, ma
poi cita solo un numero dei Regolamenti e dice che “la cosa più
importante di questo capitolo è la formula della Professione”26.
Gonzalez si appella ad un comma contenuto nel n. 82, dove si esortano i formatori e le comunità “a scoprire nel mistero salvifico del
Cristo le esigenze della vocazione passionista”, in mezzo a diverse
L’esortazione apostolica Sacramentum caritatis, dedica un’intera sezione
alle conseguenze sociali ed ecologiche della fede e della pratica dell’Eucaristia
(Eucaristia mistero da offrire al mondo, nn. 88-92). Tutta l’enciclica Caritas in
veritate tratta il tema della giustizia. Un settore relativamente ampio è destinato alla responsabilità ecologica, nn. 48-52.
26
La Memoria Passionis nelle Costituzioni, cit., (13).
25
La teologia
contenuta nel testo
delle costituzioni
dei Passionisti
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sacra altre esortazioni a sviluppare l’equilibrio personale e la sensibilità
sociale . Per il resto fa appello ad altre parti delle Costituzioni cerscrittura tamente
Convengo anch’io che l’essenziale della formazione
e passionistavalide.
si trova in questo capitolo, in quanto vengono richiamateologia ti altri capitoli fondamentali.
27
Formazione, dal latino forma, che risponde al greco morphè, non
è un termine ignoto nel Nuovo Testamento. In Rom 12 1-3 si parla
esplicitamente della necessità di smettere di conformarci (syschematìzein) alla mentalità del secolo (tò aioni touto)) nella quale si
nasce per il peccato originale, per trasformarci (metamorphein), fino
a pervenire ad una diversa conformazione, la conformazione a
Cristo, (Symmorphous tes eicònos tou you autou, Rom 8, 29) della
quale Paolo parla in diversi passi delle sue lettere28. Questa operazione di non-conformazione e di trasformazione è richiamata dal
Santo Fondatore con le esortazioni all’alto distaccamento ed astrazione da tutto il creato, che ritornano infinite volte nei suoi insegnamenti. Questa distacco è la condizione per avere autentici uomini di
Dio. Scriveva ad esempio ad un suo religioso:
“Procuri, con la divina grazia, di vivere una vita moriente, astratta da tutto il creato, buttata nell’orribile nulla proprio, con vera annegazione di tutto ciò che non è Dio, in vera povertà di spirito”29.
La Passione come kenosi e come esperienza battesimale di conformazione alla morte e risurrezione di Cristo per arrivare alla
Passione come agàpe, dono, non è richiamata in questo capitolo.
Eppure c’è tutta la dottrina della morte mistica e divina natività che,
secondo Brovetto, costituisce il fulcro della spiritualità del
Fondatore30, la quale si riallaccia, anche secondo il Dictionnaire de
L’esortazione apostolica Sacramentum caritatis, dedica un’intera sezione
alle conseguenze sociali ed ecologiche della fede e della pratica dell’Eucaristia
(Eucaristia mistero da offrire al mondo, nn. 88-92). Tutta l’enciclica Caritas in
veritate tratta il tema della giustizia. Un settore relativamente ampio è destinato alla responsabilità ecologica, nn. 48-52.
26
La Memoria Passionis nelle Costituzioni, cit., (13).
27
Commenti sulle Costituzioni generali C. P. capitolo V, 25.
28
Pur riferendosi direttamente al corpo (sòma), Paolo pensa certamente a
una trasformazione totale della persona in Fil 3, 21 e 1Cor 15, 49.
29
San Paolo della Croce, Lettere ai Passionisti, a cura di F. Giorgini, Cipi,
Roma, 1998, 66.
30
Cf C. Brovetto, Introduzione ala spiritualità di San Paolo della Croce.
Morte mistica e divina natività, Eco, San Gabriele, 1955.
25
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Spiritualité, a questa dottrina della consacrazione battesimale, che
costituisce la consacrazione fondamentale, sviluppata da quella più
propriamente religiosa31. Il criterio fondamentale di discernimento
delle vocazioni che San Paolo della Croce pone proprio all’inizio
delle sue Regole, deve certamente essere coniugato con l’attuale
visione della personalità cristiana sviluppata, ma non può essere
semplicemente ignorato. Il Fondatore dice: “Chiunque sarà per essere ammesso in questa Congregazione… considererà se, per la gloria
di Dio e per la salute sua e dei prossimi sia veramente disposto a
patir molto, a essere burlato, disprezzato e a patir travagli e tribolazioni”32. Il pericolo è che si faccia una formazione di tipo antropologico corrispondente alla saggezza che si cercava prima e al di fuori
del cristianesimo: arricchimento della propria personalità a costo di
un’ascesi anche forte, ma dove manca il vero passaggio attraverso la
morte dell’uomo vecchio per arrivare ad una vita nuova, ad essere
nuova creatura di Dio (cf Gal 6, 15).
Il pericolo che fu visto in una formazione di tipo battesimale,
dove si arrivi veramente ad abbandonare la personalità umana per
accogliere una nuova personalità da parte di Dio, era che dei formatori prepotenti approfittassero di questi principi per schiacciare a
proprio piacimento i giovani. Ma ogni peccato va combattuto per
quello che è e in chi lo compie. Bergson faceva osservare che il dire
beati i poveri non autorizza i ricchi ad approfittarne per impoverire
ancor di più i poveri. Questa dialettica è essenziale al cristianesimo
e va capita, altrimenti la religione diventa veramente l’oppio del
popolo. Il compito di dare una formazione battesimale è il più
delicato che esista e bisogna veramente che il formatore sia già
totalmente morto lui ad ogni progetto umano di promozione della
propria vita per poterlo svolgere.
Cf la voce Mort mystique, in DS, X, 1790.
Regola del 1775,capo IV, riportata nel testi italiano delle Costituzioni,
p. 12.
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L
a teologia che
soggiace
alle
8. Conclusione
Costituzioni dei
Passionisti è, fondamentalmente, la teologia del Concilio Vaticano II. Non sarebbe difficile collegare gli elementi principali della teologia delle Costituzioni con gli elementi
principali della teologia del Vaticano II.
I Concili sono la più grande profezia che risuona nella Chiesa. Il
Concilio Tridentino ha indicato la via da percorrere alla Chiesa per
i prossimi secoli. Questo non significa che esso sia stato attuato perfettamente fin dall’inizio. Le resistenze furono grandi. Oggi siamo
in grado di vedere i condizionamenti delle resistenze e di riconoscere che la direzione in cui andava la storia della Chiesa, la direzione
promossa dallo Spirito, non era in esse, ma nelle indicazioni del
Concilio che intendeva purificare e liberare la Chiesa dalle incrostazioni dei secoli. Oggi si vede bene che le resistenze derivanti da
vescovi e cardinali che pensavano se stessi alla stregua di principi
del Rinascimento, nepotisti, mondani, erano resistenze allo Spirito
non giustificabili con la scusa della difesa della Chiesa e dei suoi
beni. Chi guardava la realtà con superficialità non era capace di
discernere i segni dei tempi, chi guardava nel profondo vedeva che
quella Chiesa, se non si fosse trasformata, sarebbe arretrata di fronte al mondo. Erano secoli che si parlava di riforme e si tentavano le
riforme. Quella di Lutero era stata la più drammatica: si piange
anche oggi sulla tunica inconsutile della Chiesa che è stata allora
lacerata.
Queste riflessioni, però non valgono solo per il passato. Ci possiamo domandare che cosa esse ci insegnino a proposito delle resistenze al Vaticano II, delle nostalgie e dei ritorni. Ciò che è di Dio è
dello Spirito, è della Verità e della Vita. Il segno dei tempi più
importante di oggi è l’urgenza del dialogo, dell’unità e della pace,
tutti temi ben presenti nella Parola di Dio. Abitiamo sopra una polveriera che può esplodere in ogni momento, ma la gente preferisce
non pensarci, per non porsi il problema. Lasciateci tranquilli, lasciateci perdere, lasciateci morire in pace. Gesù è venuto a portare vita
in abbondanza (Gv 10, 10) e non accetta il ricatto della morte
Insegnamenti del Concilio Vaticano II e Costituzioni non sono
realtà del passato, ma del futuro. Oggi siamo in una condizione
migliore per valutare questi doni dello Spirito di quanto lo fossimo
venticinque o quarantacinque anni fa. Una delle grosse resistenze
derivava dall’impressione che volerci incamminare per una via
nuova significasse svalutare il passato. Ma i santi che si posero con
estrema responsabilità ad attuare il Concilio Tridentino non giudicavano il passato, pensando che le ricchezze delle diocesi e abbazie
fossero frutto di avidità. Sapevano che esse erano frutto di fede e di
carità e che tuttavia intorno ad esse si erano create incrostazioni ed
anche avidità di regnanti, di nobili e di altri che nuocevano, ad una
pastorale veramente evangelica. Sapevano che sbloccare queste
incrostazioni significava liberare la forza dello Spirito che avrebbe
fatto sprigionare una nuova forza di Vita, come è avvenuto nel cattolicesimo dei secoli seguenti. Questa stessa cosa è vera oggi rispetto al Concilio Vaticano II e alle nuove Costituzioni delle
Congregazioni. Se esse saranno tradotte in pratica con impegno, svilupperanno certamente una nuova vita. Non si tratta però di qualcosa di magico o puramente giuridico, che si possa attuare con qualche legge, decreto o intervento autoritario. Si esige anzitutto una
presa di coscienza tanto più profonda, quanto più il Concilio
Vaticano II (e le nuove Costituzioni con esso) non si è espresso con
giudizi e condanne, ma piuttosto con proposte e indirizzi pastorali e
spirituali. E’ quanto si è voluto fare anche con questo incontro di
riflessione a venticinque anni dall’approvazione delle nuove
Costituzioni.
Il Concilio Vaticano II è autenticità – guardatevi dal fermento dei
farisei (cf Mt 16, 6) – contro ipocrisie e compromessi. Ci troviamo
di fronte ad un mondo che è stato molto impressionato dai cosiddetti maestri del sospetto – Marx, Freud, Nietzsche. Il sospetto su tutto
porta a preferire il relativismo all’adesione ad una fede o ad una filosofia di vita. Dovremmo ricordare che i primi maestri del sospetto,
coloro che misero un punto interrogativo sulle pratiche della religione e del perbenismo sociale, furono i profeti di Israele e Gesù. Le
scienze umane, non ancora adeguatamente studiate nel tirocinio
degli studi teologici, insegnano ad analizzare le motivazioni dei
comportamenti umani, particolarmente di quelli scorretti. Non si
possono rifiutare, rifugiandosi in qualche specie di sottile fondamentalismo e approfittando delle delusioni di chi le segue. Non è
questa la linea profetica indicata dal Vaticano II e dalle Costituzioni.
Sarebbe preferibile mostrare che il meglio delle scienze umane proviene dalla Bibbia e trova un fondamento valido per la loro attuazione solamente nel Vangelo. Gli insegnamenti del magistero sono
sacra
scrittura
e
teologia
La teologia
contenuta nel testo
delle costituzioni
dei Passionisti
27-52
49
teologia
sacra chiarissimi su questo. L’ultima enciclica di Benedetto XVI – la
in veritate – è un capolavoro di integrazione fra fede cristiascrittura Caritas
na e cultura attuale. Di fronte ad essa non c’è uomo di cultura che
e non debba fare tanto di cappello. Questa è anche l’autentica linea
teologia scelta dai più grandi Padri e Dottori della Chiesa, specialmente da
San Tommaso.
Le Costituzioni propongono ai passionisti, con molta chiarezza e
sinteticità, la loro propria identità nella Chiesa. Questa esisteva già
fin dall’inizio e si era espressa in tante forme e modi. Le
Costituzioni riprendono e sintetizzano quelle forme e quei modi,
adattandoli alle esigenze del tempo, dei luoghi e delle culture in cui
viviamo. Se esse verranno attuate, i passionisti prenderanno certamente il proprio posto nella Chiesa con efficacia e fecondità, offrendo ad essa il prezioso contributo del loro carisma.
THEOLOGY CONTAINED IN THE TEXT OF THE
PASSIONIST CONSTITUTIONS
By Adolfo Lippi, C.P.
ENG
Twenty-five years after the approval of the new Constitutions of the
Passionist Congregation we are offered a reflection on the theology
which inspired the work and which may well be valid for other
Congregations and spiritual movements. This has required a study
of the problem posed by a critical examination of Vatican II, something which, obviously, can’t be done automatically, as it is subject
to resistance and even, at times, to opposition.
ADOLFO LIPPI
SapCr XXIV
OTTOBRE-DICEMBRE 2009
50
teologia
sacra
scrittura
e
A l’occasion des vingt-cinq ans de l’approbation des nouvelles teologia
FRA
LA THÉOLOGIE CONTENUE DANS LE TEXTE DES
CONSTITUTION DES PASSIONISTES
de Adolfo Lippi c.p.
Constitutions des Passionistes, voici une réflexion sur la théologie
qui les a inspirées, valable aussi pour d’autres Instituts ou
Mouvements. En outre, est examiné ici le problème de la réception
du Concile Vatican II au niveau des Instituts, des Mouvements
spirituels et des églises locales ; une réception qui, à l’évidence,
ne se vérifie pas automatiquement, mais est sujette à des résistances
et parfois des oppositions.
ESP
LA TEOLOGÍA QUE SE CONTIENE EN EL TEXTO
DE LAS CONSTITUCIONES DE LOS PASIONISTAS
De Adolfo Lippi c.p.
A los veinticinco años de la aprobación de las nuevas
Constituciones de los Pasionistas, se ofrece aquí una reflexión sobre
la teología que las ha inspirado, que puede valer también para otros
Institutos y Movimientos espirituales. Eso comporta además un examen sobre el problema de la aceptación del Concilio Vaticano II a
nivel de los Institutos, Movimientos espirituales e iglesias locales,
una aceptación que, como es evidente, no se realizó automáticamente, sino que estuvo sujeta a resistencias, y a veces, a oposiciones.
GER
DIE THEOLOGIE IN DEN KONSTITUTIONEN DER
PASSIONISTEN
von Adolfo Lippi c. p.
Fünfundzwanzig Jahre nach der Approbation der neuen
Konstitutionen der Passionisten bietet sich hier eine Reflexion über
jene Theologie an, welche inspirierend für die Konstitutionen war.
Die Abhandlung kann durchaus auch für andere Institute und geistliche Bewegungen nützlich sein. Sie untersucht unter anderem die
La teologia
contenuta nel testo
delle costituzioni
dei Passionisti
27-52
51
teologia
sacra Problematik der Rezeption des Zweiten Vatikanischen Konzils auf
der Institute, geistlichen Bewegungen und lokalen Kirchen.
scrittura Ebene
Es ist offensichtlich, dass eine solche nicht automatisch vollzogen
e wird, sondern auch auf Widerstände und verschiedentlich auf
teologia Opposition trifft.
TEOLOGIA ZAWARTA W TEKŚCIE KONSTYTUCJI POL
PASJONISTÓW
Adolfo Lippi c. p.
W dwadzieścia pięć lat od zaaprobowania nowych Konstytucji
Pasjonistów prezentujemy refleksję nad teologią, która je
zainspirowała, mogącą mieć znaczenie także dla innych Instytutów
i Ruchów duchowych. Artykuł poddaje też ocenie problem recepcji
Soboru Watykańskiego II na poziomie Instytutów, Ruchów
duchowych i kościołów lokalnych. Recepcja ta nie dokonuje się,
oczywiście, automatycznie, ale napotyka opory a czasem sprzeciwy.
ADOLFO LIPPI
SapCr XXIV
OTTOBRE-DICEMBRE 2009
52
teologia
pastorale
e
spiritualità
di LUBOMIR ZAK
Nella testimonianza del sacerdote Max Joseph Metzger, che
qui il professor Zak ci presenta, colpiscono la sua sensibilità
spirituale, l’amore e il gusto per la Parola di Dio, l’apertura
ecumenica, la gioia imperturbabile dello Spirito. Si leggono
con vero stupore le parole delle sue lettere, delle sue poesie
e delle sue riflessioni teologiche.
C’è in Metzger una fortissima interiorità, teorizzata teologicamente
e vissuta esistenzialmente. C’è in
lui una notevole erudizione, ma
soprattutto una profondissima
sapienza.
1. Introduzione:
“theologia in vinculis”
«NELLE CARCERI
NAZISTE
CON SAN PAOLO»
LA TESTIMONIANZA
DI MAX JOSEF METZGER
a persona di Max Josef Metzger1, sacerdote cattolico, giornalista e teologo, è sempre più conosciuta oltre i confini
della Germania: la fama della sua coraggiosa e pionieristi-
L
Metzger nacque il 3 febbraio 1887 a Schopfheim (Baden), primo di quattro figli. Dopo la conclusione degli studi liceali, entrò nel seminario diocesano
a Freiburg im Breisgau. Negli anni 1908-1910, prima di essere ordinato sacerdote, si trasferì a Fribourg, in Svizzera, dove consegue il dottorato in teologia.
A seguito degli studi compiuti nell’università svizzera, durante i quali strinse
amicizia con studenti di diverse nazionalità, iniziò a liberarsi dai pregiudizi culturali e religiosi trasmessigli in famiglia tramite un’educazione che mirava a sviluppare in lui i sentimenti del nazionalismo tedesco e del confessionalismo cattolico. Dal 1915, dopo una breve e dolorosa esperienza di guerra sul fronte
tedesco-francese, si trasferì a Graz (Austria), dove, come redattore di alcuni
giornali cattolici e direttore di un centro di astinenza dagli alcolici, iniziò un’ampia campagna di educazione alla pace e alla riconciliazione dei popoli coin1
«Nelle carceri naziste
con San Paolo»
la testimonianza
di Max Josef Metzger
53-83
53
spiritualità
pastorale ca attività pacifista ed ecumenica inizia a propagarsi ormai da alcuni anni anche in Italia , soprattutto dopo la decisione di R. Zollitsch,
e arcivescovo
della diocesi di Freiburg i. Br., di aprire nel 2006 il prospiritualità cesso della sua
beatificazione. Il sacerdote tedesco è conosciuto da
2
molti come il fondatore della fraternità interconfessionale Una
Sancta e, prima ancora, come un martire, condannato a morte dal
regime di Hitler a causa della sua visione cristiana del mondo
LUBOMIR ZAK
SapCr XXIV
OTTOBRE-DICEMBRE 2009
54
spiritualità
volti nel primo conflitto mondiale. Alla fine della guerra, Metzger cominciò a
tessere una fitta rete di contatti con i pacifisti all’estero, impegnandosi nella diffusione dell’esperanto, da lui immaginato come lingua del futuro mondo unito.
Sempre di più, però, comprese che la costruzione della pace doveva essere
un’opera comune di tutti i cristiani. Per questo motivo si avvicinò al movimento
ecumenico, stabilendo profondi rapporti di amicizia e di collaborazione con i
non cattolici. Allo stesso tempo decise di fondare una comunità (Societas Christi
Regis, oggi Christkönigs-Institut ), pensata come movimento animato dagli ideali del cristianesimo delle origini. Dopo il ritorno in Germania (a Meitingen),
Metzger poté osservare più da vicino, e con preoccupazione, l’ascesa al potere di Hitler e del partito nazionalsocialista. Volendo contrastare l’ideologia ariana, egli, dal 1938, intensificò la sua attività ecumenica e fondò la fraternità
interconfessionale Una Sancta. Il rapido diffondersi della fraternità e i contatti
di Metzger con l’estero non potevano essere visti di buon occhio dalla Gestapo.
Il motivo che condusse all’arresto e alla condanna a morte fu il ritrovamento di
un manifesto in cui il sacerdote, prevedendo la sconfitta tedesca, prospettava il
futuro della Germania post-nazionalsocialista nell’unione degli Stati d’Europa.
Il 14 ottobre fu condannato a morte dal Tribunale di giustizia del popolo per
alto tradimento; la condanna fu eseguita il 17 aprile 1944.
2
Tra i saggi più recenti pubblicati in italiano si vedano: L. ZAK, Max Josef
Metzger, pioniere dell’ecumenismo cattolico e la sua lettera a Pio XII dal carcere nazista, in Lateranum LXXII/3 (2006) 611-615; ID. L’alternativa dell’azione
cristiana di M.J. Metzger al messianismo del Terzo Reich. Aspetto sociale, pacifista ed ecumenico, in Studia Moralia 46/1 (2008) 165-201; ID., Max Josef
Metzger: breve profilo di un pioniere sconosciuto dell’ecumenismo cattolico, in
M. MARCATELLI (a cura di), Parola e Tempo. Percorsi di vita ecclesiale tra memoria e profezia. Annale n. 7 (anno VII) dell’ISSR ‘Alberto Marvelli’ (Rimini),
Pazzini editore, Verucchio 2008, 75-99; ID., «Scomodo profeta di un mondo
migliore». M.J. Metzger e una nuova visione della Chiesa e dell’Europa, in M.J.
METZGER, La mia vita per la pace. Lettere dalle prigioni naziste scritte con le
mani legate, tr. it., San Paolo, Cinisello Balsamo 2008, 9-80; S. ZUCAL,
L’incontro di due testimoni credibili della nuova Europa: Metzger e Guardini, in
M. MARCATELLI (a cura di), Parola e Tempo, 100-108 (con una lettera di Metzger
a R. Guardini, 109-113); L. ZAK – N. DE MICO, «Philadelphia» (M.J. Metzger):
una riflessione sulla Chiesa scritta con le mani legate, Lateranum LXXV/2
(2009) 371-410.
accompagnata dalla volontà di diffondere, nella Chiesa e nella
società tedesca, gli ideali evangelici della riconciliazione e dell’unità. È meno conosciuto, invece, lo spessore teologico del suo pensiero. Certo, il sacerdote non insegnò mai teologia e dopo la pubblicazione, nel 1914, di un’ottima tesi di dottorato3, non diede alla stampa nessun’opera sistematica su temi teologici, avendo preannunciato l’arresto della sua carriera teologica già nel 1910, quando – guidato dal crescente desiderio di lavorare ad una rinascita spirituale e
morale del popolo tedesco – scrisse agli amici: «Il mio obiettivo non
è quello di diventare uno studioso (…), ma quello di essere un pio
sacerdote e un bravo pastore di anime»4. Eppure egli si occupò di
teologia intensamente per tutta la vita, coltivando rapporti di amicizia e di collaborazione con alcuni importanti teologi della sua epoca.
L’interesse di Metzger per la “scienza sacra” fu legato strettamente al suo impegno ecumenico che lo portò a studiare e ad approfondire l’ecclesiologia e il pensiero di Lutero. Tuttavia egli non
smise mai, sin dai tempi della frequentazione della Facoltà teologica di Freiburg i. Br., di dedicarsi con passione allo studio della liturgia e della Sacra Scrittura. Tra le amicizie e le conoscenze teologiche di Metzger vanno ricordate, ad esempio, quelle con i cattolici J.
Lortz, M. Laros, P. Parsch, O. Casel e R. Guardini, e con gli evangelici J. Ungnad, H. Asmussen e F. Heiler. In ogni caso la più esplicita e più commovente dimostrazione della sua passione per la teologia sono i suoi stessi scritti dal braccio della morte di
Brandenburg, in particolare il saggio Theologische Abhandlung
über das Königtum Christi5 (Trattato teologico sul Regno di Cristo),
Metzger scrisse il suo dottorato all’Università cattolica di Fribourg, sotto la
guida del prof. G. Pfeilschifter, discutendolo con successo nel 1910. Il lavoro
ricevette il premio per la migliore tesi da parte della Facoltà teologica di
Freiburg i. Br. e fu pubblicato con il titolo Zwei Karolingische Pontifikalien vom
Oberrhein. Herausgegeben und auf ihre Stellung in der liturgischen Literatur
untersucht mit geschichtlichen Studien über die Entstehung der Pontifikalien,
über die Riten der Ordinationen, der Dedicatio Ecclesiae und des Ordo
Baptismi, Herdersche Verlagshandlung, Freiburg i.Br. 1914.
4
Citato in M. MÖHRING, Täter des Wortes. Max Josef Metzger - Leben und
Wirken, Kyrios-Verlag, Meitingen-Freising 1966, 9.
5
Esso fu pubblicato per la prima volta in M. MÖHRING, Täter des Wortes,
231-302. La seconda edizione, curata dalla comunità di Metzger, si trova in
Maran atha. Zum 25. Todestag von Dr. Max Josef Metzger, Kyrios-Verlag,
Meitingen-Freising 1969, 33-115. Per un suo approfondimento rimando alla
pastorale
e
spiritualità
3
«Nelle carceri naziste
con San Paolo»
la testimonianza
di Max Josef Metzger
53-83
55
spiritualità
pastorale scritto con una minuscola calligrafia su 135 fogli sottili (formato
5) e accompagnato da 394 note contenenti riferimenti biblici, citae Azioni
memoria di alcune opere teologiche e brevi approfondimenspiritualità ti dei atemi
trattati. Basterebbe questo saggio – al quale, comunque,
ne vanno aggiunti altri del periodo antecedente alla detenzione – per
immortalare il nome di Metzger, iscrivendolo nel grande libro della
storia della teologia.
Ciò che caratterizza la persona e il pensiero teologico di Metzger
è il loro profilo decisamente “filopaolino”6. Quanto fosse determinante per lui la figura di Paolo emerge subito, non appena ci si accosta alla sua biografia e ai suoi scritti. Appena ordinato, Metzger
compose un canto – che continuò a cantare volentieri fino alla morte
– in cui confessava di voler diventare un discepolo di Gesù Cristo
secondo l’esempio di Paolo. «Anch’io come te» – scriveva ammirando lo spirito di universalismo dell’Apostolo – «vorrei avere un
cuore / tanto grande da comprendere il mondo (…). / Così, pellegrino, vorrei andare attraverso i paesi, / essere araldo del sommo Re, /
per annunciare a tutti la buona Novella / e liberare per Lui tutti i
popoli»7. «Così dovrebbe ardere in me un fuoco / pieno di passione
santa e divina» – continuava, riferendosi al coraggio di Paolo, pronto a lasciarsi ferire e, persino, uccidere, per il Maestro – «che io,
anche se minacciato dalla morte e dal Maligno, / offra con gioia i
beni e la vita! / Portare su di me le ferite del Redentore / come te, a
questo dovrei aspirare»8. «Solo un pensiero dovrebbe essere in me /
un gran pensiero fatidico» – annotava ancora, alludendo alla totale
e incondizionata adesione di Paolo alla volontà divina –: «che noi,
sgorgati dal grembo di Dio Onnipotente, / rendiamo visibile il Suo
LUBOMIR ZAK
SapCr XXIV
OTTOBRE-DICEMBRE 2009
56
spiritualità
tesi di U. MÜLLER, Auf dem Weg zu einer «neuen» Kirche. Das Kirchenbild Dr.
Max Josef Metzgers in seiner «Theologischen Abhandlung über das Königtum
Christi», discussa nel 1986 alla Facoltà teologica dell’Università di Augsburg e
premiata nel 1988 dalla Facoltà teologica dell’Università di Regensburg (non
pubblicata, ma reperibile in AM).
6
Cf. H. BÄCKER, Herold-Apostel-Blutzeuge, in M.J. METZGER (BRUDER PAULUS),
Gefangenschaftsbriefe, seconda edizione, Kyrios-Verlag, Meitingen b.
Augsburg 1948, 17-131.
7
M.J. METZGER, Pauluslied, in ID., Für Frieden und Einheit. Briefe aus der
Gefangenschaft, a cura del Christkonigs-Institut, Kyrios-Verlag, MeitingenFreising 1964 (la 3a ed.), XII.
8
Ibid., XIII.
amore. / Una volontà sola, un unico anelito possente, / dovrebbe
penetrare la mente e il cuore: / che regni ovunque Lui, / al quale
appartiene tutto il potere nel Cielo!»9.
San Paolo fu per Metzger il simbolo di una cristianità dinamica,
desiderosa di comunicare instancabilmente la verità evangelica. Per
questo motivo decise di chiamare la sua casa editrice, fondata nel
1920 a Graz, Paulusverlag, considerandola uno strumento indispensabile della “diaconia paolina” (la missione mediante la parola stampata) della sua comunità10. L’Apostolo ispirò la sua visione del
sacerdozio, al punto che egli pianificò la fondazione di un’associazione di sacerdoti diocesani, Apostolische Priestervereinigung St.
Paulus. I sacerdoti che avrebbero voluto farne parte, avrebbero
dovuto vivere – scrisse Metzger nel braccio della morte – in una
«vera fratellanza (philadelphia), nella quale uno si prende cura dell’altro secondo l’esempio del SIGNORE (Rm 15,7), nella quale
ognuno serve il fratello con il proprio dono (Gal 5,13; 1Pt 4,10) e
portando i pesi dell’altro cerca di compiere la “legge” del Signore
(Gal 6,2). Una fratellanza, la quale si attua praticamente, verso
l’esterno, in un pianificato e comune servizio spirituale alla kyriaké,
al suo costruire nuovo in amore (Ef 4,16)!»11.
Certamente il segno più eloquente della vicinanza di Metzger alla
persona e al pensiero dell’Apostolo fu la sua decisione di portare
all’interno della sua comunità il nome di Bruder Paulus e di voler
festeggiare l’onomastico nel giorno della Festa liturgica della conversione di san Paolo (25 gennaio). Tuttavia, i momenti più intensi
del suo “discepolato paolino” furono quelli legati al triplice arresto
da parte della Gestapo, momenti che culminarono con la condanna
a morte e, successivamente, con la permanenza, durata sei mesi, nel
braccio della morte di Brandenburg, nei pressi di Berlino. Come si
evince dagli scritti carcerari del sacerdote e dalle testimonianze di
coloro che continuarono a stargli vicino, egli visse tale esperienza
identificandosi completamente con san Paolo. Metzger, da una
Ibid., XIII.
Cf. M.J. METZGER, Was ist eigentlich das Weiße Kreuz? (in AM), dattiloscritto, 3. Il nome della casa editrice dovette essere più tardi cambiato in
Christkönigsverlag e, successivamente, in Kyrios-Verlag.
11
M.J. METZGER, Philadelphia, in L. ZAK – N. DE MICO, «Philadelphia» (M.J.
Metzger), 407.
pastorale
e
spiritualità
9
10
«Nelle carceri naziste
con San Paolo»
la testimonianza
di Max Josef Metzger
53-83
57
spiritualità
pastorale parte, sperimentò che la sua drammatica sorte di prigioniero gli perdi entrare in una profonda conoscenza esistenziale del pene metteva
siero dell’Apostolo; dall’altra, scoprì che proprio le lettere paoline –
spiritualità che egli poteva leggere anche nel carcere e nel braccio della morte
– gli suggerivano le parole più adatte, per poter comunicare (nelle
sue lettere) alla comunità, agli amici e ai famigliari il suo stato
d’animo, aiutando tutti loro a vivere tale dolorosa esperienza nella
speranza che ciò che accadeva facesse parte di un disegno di Dio.
A
Metzger apparve come un
vero e proprio
segno il fatto di essere
stato arrestato per la
prima volta nel giorno
della Festa liturgica della conversione di san Paolo e che il terzo
arresto avvenisse nel giorno della Festa degli Apostoli Pietro e
Paolo, il 29 giugno 1943. Annunciando il suo arresto nella lettera del
23 gennaio 1934 ai genitori e ai fratelli della comunità, egli scrisse:
2. L’esperienza “paolina”
della seconda prigionia
(1939)
«A Monaco hanno comunque deciso di mettermi temporaneamente in
stato di arresto. (…) E proprio in questo giorno! Ma ciò risveglia anche
una certa gioia in me, perché così posso assomigliare di più
all’Apostolo anche nella sofferenza. Accetto tutto volentieri, purché
questo in qualche modo e in qualche luogo porti una benedizione!»12.
Mentre la prima prigionia durò soltanto alcuni giorni, la seconda
fu un periodo molto più lungo, che permise a Metzger di interiorizzare l’esperienza di chi, come Paolo, visse da «prigioniero di
Cristo» (Ef 3,1). Va subito detto, però, che ciò gli fu possibile anche
grazie al contatto quotidiano con le lettere paoline. Infatti, diversamente dai detenuti dei gulag sovietici, i prigionieri delle carceri
naziste potevano avere con sé, se richiesto, il libro della Sacra
Scrittura. Quanto un simile privilegio fosse gradito al Nostro, lo si
può immaginare facilmente, visto che uno degli obiettivi primari del
LUBOMIR ZAK
SapCr XXIV
OTTOBRE-DICEMBRE 2009
58
spiritualità
M.J. METZGER, Christuszeuge in einer zerrissenen Welt. Briefe und
Dokumente aus der Gefangenschaft 1934-1944, a cura e con introduzione di
K. Kienzler, Herder, Freiburg-Basel-Wien 1991 (la 4a ed.), 45.
12
suo apostolato fu la diffusione della Bibbia e, soprattutto, della pratica di una sua quotidiana lettura. «La Sacra Scrittura» – affermò
Metzger nel 1937 – «è, per noi, una lettera di Dio all’umanità. La
spontanea gratitudine chiede che ci lasciamo toccare, nella nostra
profondità, dalla Buona Novella e che riflettiamo, possibilmente con
costanza, su di essa»13. Non sorprende, perciò, che egli proprio nel
periodo della seconda prigionia – quando cioè fu impegnato a dirigere la collana Lebensschule der Heiligen Schrift (Scuola di vita
della Sacra Scrittura)14 – invitasse, con una lettera circolare, anche
gli altri prigionieri del carcere di Augsburg a vivere la loro difficile
sorte con la Bibbia in mano. Egli scrisse:
pastorale
e
spiritualità
«Se ti posso dare ancora un consiglio, ebbene, in questi giorni di riflessione su te stesso stendi la mano al “Libro dei libri”. Se sei seriamente
deciso a diventare un vero “cristiano”, che cosa ti può giovare di più
che andare alla scuola della “Buona Novella” di Cristo e leggere i
magnifici libri del “Nuovo Testamento”? (Forse non hai mai avuto tra
le mani questo prezioso testo, e perciò voglio subito dirti di non spaventarti: non si tratta di libri nel senso corrente della parola, ma di un
unico sottile libro composto di alcune parti, cioè di alcuni singoli
“libri”. Tuttavia, ciascuna di queste parti nasconde in sé ben più contenuto di un grande volume. Per mezzo del cappellano cattolico delle carceri potrai ricevere facilmente un “Nuovo Testamento” o almeno un
“Vangelo”). Se, come ti ho detto, sono tanto lieto persino nella cella
della prigione, ciò è dovuto in gran parte al fatto che sempre di nuovo
mi occupo dei preziosi tesori che vi sono nascosti»15.
La seconda prigionia fu, per Metzger, un periodo di grande intimità con il libro sacro. «Sì, posso dire» – confidò l’11 novembre
1939 alla sorella Judith Maria – «che già da lungo tempo non avevo
più avuto in me un senso di felicità così grande come in questi giorni, in cui vivo solo della Parola di Dio dal mattino presto fino alla
M.J. METZGER, Fragen und Antworten, dattiloscritto, 7 (in AM).
Il progetto della collana nacque non «per fornire agli studiosi uno strumento scientifico di lavoro, ma per offrire al popolo un immediato aiuto di vita»
(Lebensschule der Hl. Schrift, in Christkönigsbote 10 [1934] 3). La collana prevedeva la pubblicazione di piccoli libri brochés ideati o come approfondimento di un tema scritturistico (oppure riguardante il contesto in cui vennero composti i testi dell’Antico e del Nuovo Testamento) o come commento a uno dei
libri sacri.
15
M.J. METZGER, Christuszeuge, 101-102.
13
14
«Nelle carceri naziste
con San Paolo»
la testimonianza
di Max Josef Metzger
53-83
59
spiritualità
pastorale sera» . Tale intimo contatto con la Sacra Scrittura fu favorito, da
una parte, dalla particolarità del momento: «Il Libro dei libri» –
e scrisse
il sacerdote ai fratelli della comunità – «è l’unica cosa che
spiritualità posso avere
nella mia cella. Che tesoro è per me in queste ore!» .
16
17
Dall’altra, però, fu orientato non solo verso la ricerca della propria
consolazione, ma anche verso un approfondimento conoscitivo del
testo sacro. Per questo motivo Metzger chiese ai fratelli della comunità di spedirgli nel carcere alcuni strumenti di lavoro, necessari per
la sua ricerca biblica: «il Novum Testamentum graece, il dizionario
greco, la Sinossi in tedesco e in greco, la Bibbia di Lutero con il
vocabolario» e, infine, «il Commentario neotestamentario di
Regensburg»18.
Ovviamente, l’interesse di Metzger riguardò in modo privilegiato le lettere di Paolo, a contatto con le quali sperimentò la presenza
di una parola forte «che, come una spada, divide la verità dall’errore e, nello stesso tempo, lenisce e risana come olio soave»19. Ma
prima ancora, egli volle guardare alla situazione in cui si era trovato20 con gli occhi dell’Apostolo. Il fatto di essere stato arrestato
LUBOMIR ZAK
SapCr XXIV
OTTOBRE-DICEMBRE 2009
60
spiritualità
16
E aggiunse: «Sarei, credo, molto contento se dovessi dedicare a un così
nobile impegno un tempo più lungo. Certo desidererei possedere, a questo
scopo, capacità umane assieme ad alcuni libri (Armonie dei Vangeli, Nuovo
testamento in greco con vocabolario, la mia Bibbia di Lutero), carta e inchiostro!» (M.J. METZGER, La mia vita, 92).
17
E continua ancora: «Nei Vangeli leggo ogni giorno le Beatitudini del
Signore e sempre di nuovo me ne allieto. Negli Atti degli Apostoli leggo come
i Dodici in ogni situazione erano testimoni della morte e della risurrezione del
Signore e come si rallegravano di patire perfino umiliazioni subite per il Suo
nome. (…) E poi la misteriosa Apocalisse: “Alleluia. Ha preso possesso del suo
regno il Signore, il nostro Dio, l’Onnipotente. Rallegriamoci ed esultiamo, rendiamo a lui gloria, perché son giunte le nozze dell’Agnello; la Sua Sposa è
pronta…” (Ap 19,6)» (M.J. METZGER, Christuszeuge, 63). In un’altra lettera del
22 novembre 1939 Metzger annotò: «Leggo soprattutto la sacra Scrittura, ricavando da questa lettura una benedizione» (ID., La mia vita, 98); cf. ibid., 101.
18
Ibid., 99.
19
M.J. METZGER, Christuszeuge, 63.
20
Il sacerdote fu incarcerato in concomitanza con numerosi arresti a seguito dell’attentato a Hitler in una birreria di Monaco (8 novembre 1939). Il fatto
di essere rimasto trattenuto in carcere anche dopo la cattura dell’attentatore e
il modo con il quale veniva trattato facevano capire che la Gestapo gli voleva
impartire una lezione intimidatoria, considerandolo – a causa della sua attività
attorno alla fraternità Una Sancta (attività che lo spinse a non rispettare il divie-
proprio mentre operava un intenso e spossante lavoro per la
diffusione degli ideali teologici e spirituali dell’Una Sancta e per la
fondazione, in tutta la Germania, di numerose sezioni locali della
fraternità ecumenica, fu da lui interpretato come invito, da parte di
Dio, a una sosta spirituale, a un raccoglimento interiore simile a
quello che Paolo visse nel “deserto” delle prigioni. Per questo, in
una delle prime lettere scrisse:
pastorale
e
spiritualità
«Tu sai già che mi è stato inflitto un tempo di silenzio. Quanto durerà,
non lo so. Vorrei tanto che finisse presto. Ad ogni modo – ti parrà forse
strano, però dico sul serio –, non mi sentirò per niente sfortunato se
dovesse durare di più. L’importante è che diventi fecondo per me. E
penso che sarà così. Già da lungo tempo sentivo il bisogno di un periodo di silenzioso raccoglimento, per essere lontano da tutte le “faccende”. Non trovavo mai il tempo né la forza di lasciare tutto e di andare
nel ‘deserto’ che, invece, per Paolo fu un luogo di benedizione. Ora
Dio mi ha semplicemente imposto questi esercizi spirituali. Accetto
volentieri»21.
Sul piano teologico e spirituale, due sono i “temi paolini” che
Metzger – riferendosi alla sua esperienza di carcerato – richiama in
primo piano durante questo periodo: il tema dell’“essere (vivere) in
Cristo” (cf. 2Cor 12,2; Rm 6,11; 8,1) e quello dell’essere insieme (in
quanto credenti in Cristo) “un unico Corpo” (cf. 1Cor 12,12-27),
entrambi centrali per la mistica di san Paolo22. Quanto al primo
tema, il prigioniero lo sviluppa alla luce del passo di Gal 2,20,
to dei raduni pubblici, a collaborare con l’intellighenzia tedesca avversa alla
politica del governo ecc.) – un nemico del nazionalsocialismo. Infatti, dopo il
rilascio Metzger iniziò a essere permanentemente sorvegliato e spiato. Cf. L.
ZAK, «Scomodo profeta di un mondo migliore», 62-63.
21
M.J. METZGER, La mia vita, 92. E continua ancora: «Sì, mi allieto perfino
della reale povertà e della costrizione all’ubbidienza, nelle quali mi trovo qui,
onde poter fare sul serio, almeno una volta, quanto vado predicando agli altri
e forse io stesso non sembro adempiere tanto perfettamente. Qui lo posso fare.
Non voglio avere di fatto nessun vantaggio di fronte agli altri, se non quello (se
ciò non è troppo) di potermi occupare in modo proficuo delle cose spirituali.
Non avere preoccupazioni per me» (ibid., 93). Cf. anche M.J. METZGER,
Christuszeuge, 62.
22
Cf. R. PENNA, L‘apostolo Paolo. Studi di esegesi e teologia, ed. Paoline,
Cinisello Balsamo 1991, 654-663.
«Nelle carceri naziste
con San Paolo»
la testimonianza
di Max Josef Metzger
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spiritualità
pastorale citato subito nella sua prima lettera dal carcere , passo che compledell’“io in Cristo” con quella del “Cristo in me”.
e taEgli,la prospettiva
allo stesso tempo, introduce un significativo – ma teologicaspiritualità mente del tutto corretto e, anzi, necessario – ampliamento di tale
23
completamento: passa dall’orizzonte cristologico a quello trinitario,
essendo convinto che se «in me c’è la vita di Cristo», ciò significa
che «nell’anima mia vi è la vita di tutta la Santissima Trinità»24.
Metzger – che prima dell’arresto dedicò proprio a tale tema la riflessione Der Himmel in uns (Il Cielo in noi)25 – approfondisce questa
sua concezione dell’inabitazione di Dio nell’uomo in una lettera
scritta in occasione dell’Avvento26. In essa afferma:
«Dio in me! In Lui io vivo, mi muovo ed esisto! In Lui, Dio, Creatore
e Conservatore, il quale ogni giorno, anzi ogni ora mi dona la vita e
paternamente la custodisce27. Egli non è lontano, al di sopra delle nubi,
Nella lettera del 1 novembre 1939 scrive: «Mi rincresce che siate tanto
preoccupati per causa mia – non ce n’è motivo! –, mentre invece, grazie a Dio,
io sono profondamente radicato nella convinzione che: “…anche se dovessi
camminare nelle tenebre e nell’ombra della morte, non temerei alcun male: Tu
sei con me!”. Anzi, in una convinzione più intima e più reale di quella del cantore dell’Antica Alleanza, in quanto posso dire: “Io vivo, però non io: Cristo
vive in me”» (M.J. METZGER, La mia vita, 89).
24
M.J. METZGER, Christuszeuge, 63.
25
Cf. ibid., 50-57; tr. it. parziale in M.J. METZGER, La mia vita, 90-91.
26
Intitolata Licht leuchtet ins Dunkel (La luce brilla nelle tenebre), la lettera viene
scritta con un tono solenne tipico di alcune lettere di Paolo; cf. ibid., 62, 66.
27
Approfondendo, ne Il Cielo in noi, lo stesso tema dell’inabitazione tra Dio
e l’uomo, vissuta come esperienza della figliolanza, il sacerdote scrisse: «Il
“nostro Padre”, a cui ci rivolgiamo nella preghiera, in verità “non è lontano da
ciascuno di noi” (At 17,27). Egli ci chiama costantemente per nome: “Tu mi
appartieni!” (Is 43,1). E ad ogni ora attende la risposta del figlio: “Abba!
Padre!” (Rm 8,15). Come figli a pieno diritto e tanto amati, noi ci sentiamo tranquilli al riparo della Sua mano potente. Pieni di filiale fiducia, ci rivolgiamo a
Lui in ogni nostra necessità e tribolazione. Ma di fronte a Lui non abbiamo bisogno di dire molte parole: “Il Padre sa già ciò di cui avete bisogno” (Mt 6,8).
Affidiamoci dunque a Lui ciecamente: “Anche se dovessi camminare nelle tenebre e nell’ombra di morte, non temerei alcun male, perché Tu sei con me” (Sal
23,4). In ogni tempo, noi non pensiamo né diciamo altro che quello che già
disse Cristo come preghiera della sua vita: “Ecco, io vengo, o Dio, per fare la
tua volontà” (Eb 10,7); “come in Cielo, così in terra”, affinché “venga il Tuo
Regno” (Mt 6,10) in mezzo a noi e in tutto il mondo. A null’altro vogliamo tendere se non a questo Tuo Regno e al suo compimento, ben sapendo che dalla
Tua grazia tutte le cose ci saranno date in aggiunta (Mt 6,33)» (ibid., 53-54).
23
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spiritualità
non debbo temere che sia irraggiungibile. Egli mi è più vicino di quanto non lo sia io a me stesso. L’eterno e unigenito Figlio dell’eterno
Padre, colui che assunse forma umana per condividere con me, da fratello, il mio umano destino, Lui mi concesse, per mezzo del lavacro
della rigenerazione, di partecipare misteriosamente alla Sua stessa divina natura e alla Sua stessa vita. Perciò in verità posso affermare con
l’Apostolo: “Non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me”. Come
è consolante questo pensiero, quando si è privati della possibilità di
partecipare ogni giorno alla santa messa e di accostarsi alla “comunione”. Infatti, la sacra comunione mi è già stata donata per mezzo dell’intima comunione di vita che Cristo aveva instaurato con me e che quotidianamente rinnovava e approfondiva sin da quando mi dava la Sua
carne e il Suo sangue come cibo e bevanda. Anche se ora il sacramento esterno mi è stato negato, Egli nella Sua forza operante non è legato
ai segni esterni. Anzi, Egli stesso è il Sacramento di vita che, come radice, nutre con le sue forze e la sua linfa tutta quanta la vite. Egli è il
Santo per il Suo Santo Spirito. Ed io so per fede che per mezzo della
grazia sono di fatto tempio dello Spirito Santo e che lo Spirito di Dio
vive realmente in me. Che cosa mi occorre di più, per avere il Cielo in
me? Esso non è forse là, dove c’è Dio Triuno? Certamente questo Cielo
oggi è in me ancora nascosto, così come il fiore e il frutto sono nascosti nel seme. Esso finora rappresenta più una speranza che un beato
possesso… Ma lo Spirito Santo è già in me come “pegno e caparra”; lo
Spirito che è l’amore personale di Dio Triuno, nel cui pieno possesso si
avrà il Cielo»28.
pastorale
e
spiritualità
Il prigioniero non dimentica di sottolineare, nelle sue lettere, che
la realtà appena descritta fu ciò che, per grazia, caratterizzava la sua
esperienza di fede vissuta nel carcere, infondendogli forze nuove e
speranza29. Ma la stessa dimensione esperienziale caratterizza anche
l’approfondimento del secondo tema della mistica paolina. Infatti,
grazie alla nitida percezione della presenza di Dio nelle profondità
del proprio cuore30, Metzger sentì, in sé, di essere unito a tutti i
Ibid., 63-64.
In una lettera del 1 dicembre 1939 scrisse: «Ogni giorno, da quando
l’Avvento non è ancora iniziato, mi ripeto le parole dell’Apostolo: “Gaudete,
iterum dico: gaudete!”. E le prendo anche sul serio. Ringraziando il Signore
posso dire che il sole non è tramontato in me nemmeno per un attimo. Sono
pieno di gioia, il che non dipende solo dalla mia coscienza pulita (1Pt 3,17),
ma soprattutto dalla fede nella presenza di Dio in me» (ibid., 100-101).
30
«Dio in me! Di che cosa potrei esser privo, se in Lui possiedo il tutto? Che
cosa mi dovrebbe mancare, se Egli interamente si è donato a me? (…) Così
28
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«Nelle carceri naziste
con San Paolo»
la testimonianza
di Max Josef Metzger
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spiritualità
pastorale fratelli della sua comunità, sperimentando vivamente che la cella
non poteva spezzare la loro mistica unità con e in Cristo.
e carceraria
Che significa una separazione fisica «in confronto alla nostra
spiritualità vicinanza in Cristo?», esclamò perciò scrivendo ai suoi, dopo aver
ricordato loro che quella che stavano vivendo era un’esperienza del
«grande mistero del Cristo che continua a vivere nel tempo»: il
mistero del Corpo di Cristo, inteso come “spazio” senza confini in
grado di accogliere, e unire in un unico organismo vivente, tutti
coloro che sono stati rigenerati dall’acqua e dallo Spirito Santo.
Nonostante in questo organismo ogni membro abbia uno specifico
compito, tutti sono «l’un l’altro vivamente vicini nella vita del
Capo»31, che, poi, è la stessa vita trinitaria di Dio: l’amore.
Seriamente preoccupato per lo scoppio della seconda guerra
mondiale e, al contempo, consapevole della non poca responsabilità
dei cristiani – incapaci di offrire al mondo una testimonianza di
riconciliazione nell’amore – per un simile stato di cose, Metzger
ebbe la consapevolezza che la realtà dell’unità dei credenti, descritta da Paolo come “Corpo di Cristo”, non poteva venire concepita se
non in riferimento al comandamento nuovo di Gesù Cristo. Ed è per
questo che egli, desiderando che la sua comunità fosse una comunità cristiana esemplare, invitò i suoi a percorrere insieme la via della
carità, affermando:
«Fratelli e sorelle! I tempi si sono aggravati! (…) La disponibilità ad
amare è il grande comandamento dell’ora presente! “Viviamo e moriamo per una cosa sola: che l’amore riunisca tutti gli uomini” – ecco
quanto ci aveva felicemente insegnato fratel Franz32. Ma ogni cantare è
soltanto un suono vuoto, se non si fonda sulla realtà della vita. Nella
nostra comunità deve rendersi di nuovo manifesto che per mezzo del
nostro essere apostoli dell’amore dobbiamo divenire messaggeri dell’amore fraterno, che trae la sua forza dalle profondità della conoscenza per fede del mistero che tutti sono membra unite nell’unico Corpo
del Signore. Se volete rendermi voi un servizio, se per consolarmi nel
tormento di questi giorni volete procurarmi una gioia, allora aspirate
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spiritualità
rimango in “adorazione” continua, con tutti i pensieri e i desideri, che sempre
di nuovo gravitano intorno a questo grande mistero: la vita di Dio nella mia
anima, il Suo vivere nel mio essere» (M.J. METZGER, Christuszeuge, 64).
31
Ibid., 65.
32
Uno dei primi compagni di Metzger, da lui ricordato più ampiamente
nella lettera del 7 settembre 1943 (cf. M.J. METZGER, La mia vita, 161-162).
all’amore! Aspirate senza sosta all’amore! Un amore disinteressato
che, unico, merita questo nome divino! Un amore pronto al sacrificio,
che porta il sigillo della santa croce. Un amore autentico di benevolenza, che si attua specialmente nella misericordia e nell’indulgenza dei
giudizi, nella premura che previene, nella bontà senza gelosia! Un
amore operante, che si mantiene fedele in ogni ora! Aspirate all’amore! Se ogni giorno, con santa prudenza, vi immedesimate nel santo
sacrificio d’amore del Signore, se lasciate che si sviluppi in voi la Sua
vita divina, allora i frutti dello Spirito Santo si manifesteranno a tutti.
Dio è Amore. Coloro che veramente vivono in Lui non possono portare altri frutti che quelli dell’amore»33.
pastorale
e
spiritualità
G
li stessi “temi
paolini”, appena menzionati,
continuano a essere
presenti anche negli
scritti di Metzger della
terza e ultima prigionia, dai quali si capisce che la riflessione del
detenuto poggia sul suolo di un’esperienza di fede fatta in condizioni di vita estremamente difficili, determinate, tra le altre cose, dal
trattamento che egli ricevette nei tre penitenziari34 in cui si trovò rinchiuso dal 29 giugno 1943, giorno dell’arresto, al 17 aprile 1944,
giorno della decapitazione. Consapevole della gravità della sua
situazione e sperimentando una crescente e dolorosa solitudine, il
sacerdote fu attratto da un approfondimento prima di tutto esistenziale del tema dell’unione con Dio, descrivendo, nelle lettere e nelle
3. Verso il processo
e il patibolo
con san Paolo (1943-44
M.J. METZGER, Christuszeuge, 65-66.
Appena arrestato, il sacerdote fu trattenuto nel penitenziario della
Gestapo sulla Prinz-Albrecht-Straße di Berlino, dove si trovava per essere interrogato. L’11 settembre 1943 fu trasferito, per l’istruttoria, al temuto carcere di
Plötzensee – dove dal 4 fino al 12 settembre vennero giustiziate 300 persone
–, tuttavia, il suo fascicolo fu completato senza che egli avesse potuto parlare
con un giudice istruttore. Fu qui che a Metzger venne consegnato, il 9 ottobre
1943, l’atto di accusa dal quale apprese che sarebbe stato giudicato per alto
tradimento (cf. M.J. METZGER, La mia vita, 179). Dopo il processo, svoltosi a
Berlino il 14 ottobre, concluso con la condanna a morte, il sacerdote rimase
una settimana nel penitenziario di Plötzensee. Il 22 ottobre fu trasferito, assieme
ad altri condannati, nel braccio della morte di Brandenburg-Görden, nella
periferia di Berlino.
33
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«Nelle carceri naziste
con San Paolo»
la testimonianza
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pastorale poesie, tale unione come l’esperienza, tipicamente paolina, della
figliolanza divina . «La realtà» – confidò alla sorella Gertrudis
e nella
lettera del 10 ottobre 1943 – «che in questi giorni mi rende
spiritualità interiormente
gioioso, malgrado tutte le tribolazioni del cuore, è
35
quella espressa con una sola parola: “Abba” - Padre buono!»36, parola che egli invocava, assieme alla formula Maranatha, ogni giorno
come sua preghiera37, imitando così il modo di pregare
dell’Apostolo (cf. Gal 4,6; Rm 8,15; 2Cor 1,20)38. Tuttavia, Metzger
comprendeva e viveva tale esperienza non come una sorta di isolamento mistico, ma, al contrario, come un presupposto necessario per
sperimentare l’esistenza di un legame di unità, nell’amore di Dio
Padre – manifestatosi mediante lo Spirito nella persona di Gesù
Cristo –, sia con coloro che erano assieme a lui nella cella39, sia con
Cf. L. ZAK – N. DE MICO, «Philadelphia» (M.J. Metzger), 388-390.
M.J. METZGER, La mia vita, 180.
37
«“Abba” – è questa la mia preghiera di ogni giorno; Abba, Padre buono
e “Maranatha”» (ibid., 187).
38
Cf. A. PITTA, La preghiera nelle lettere di Paolo e nelle prime comunità cristiane, in C. ROSSINI – P. SCIADINI (edd.), Enciclopedia della preghiera, LEV, Città
del Vaticano 2007, 149-151.
39
In una lettera dell’8 luglio 1943 scrisse: «Come vi avevo già detto, ora
sono in una cella comune. (…) In questi giorni ho riflettuto molto sullo Spirito
Santo (cf. ánemos in greco, anima in latino). La Scrittura lo chiama pneuma,
che significa soffio, alito o vento. Esso è il caldo alito di vita che promana dall’interiorità di Dio, e perciò si può identificare anche con un amore che scorre.
Secondo il salmista, questo alito vitale di Dio riempie tutto. In Lui, nel Suo
amore, viviamo e ci muoviamo! Per mezzo di Lui siamo uniti tra di noi. Sì,
anche il nostro respiro di vita proviene da Lui. In Lui noi ci incontriamo.
Dapprima fu per me difficile respirare l’aria di una comunità così eterogenea
(il fumo!), ma poi mi sono reso conto che anche una simile situazione ha tuttavia qualcosa a che fare con la realtà di una comunità nell’amore alla quale noi,
sull’esempio di Cristo, aspiriamo in modo particolare. Tutti noi che respiriamo
la stessa aria ci uniamo, lo vogliamo o no, per mezzo di ciò che respiriamo,
esternando con il respiro qualcosa della nostra interiorità. (Il bacio non è forse
un anelito a partecipare reciprocamente in modo più profondo al “pneuma”, al
soffio di vita dell’altro?). È, dunque, volontà di Dio che, mediante il reciproco
in-/es-pirare la stessa aria, noi ci trasferiamo contemporaneamente l’uno
nell’altro… prendendoci cura della comunità. Da quando mi sono reso conto di
ciò, partecipo con gioia – nonostante le ovvie difficoltà – a questa unione
comunitaria…» (M.J. METZGER, La mia vita, 120-121). Va ricordato che dopo il
suo trasferimento nel braccio della morte di Brandenburg, Metzger visse nella
cella da solo, dovendosi confrontare con una dolorosa solitudine.
35
36
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spiritualità
i fratelli in libertà40. Non solo: egli pose proprio questo tipo di esperienza al centro – quale tema e, insieme, prospettiva teologica di
fondo – delle sue riflessioni sulla Chiesa, presenti in Die Frage nach
der SICHTBARKEIT oder UNSICHTBARKEIT der KIRCHE (La
questione della Visibilità e Invisibilità della Chiesa)41 e, soprattutto,
nel citato saggio Theologische Abhandlung über das Königtum
Christi, in cui mise a fuoco l’assoluta centralità della rivelazione di
Dio come Amore trinitario per un’ecclesiologia biblica ed ecumenica e, prima ancora, per una rinnovata esperienza di fede nella
Chiesa.
Va ricordato, però, che tale nitida percezione esistenziale e teologica della centralità della carità, dell’amore, per la fede e per la
Chiesa si nutriva, anche durante la terza prigionia, del contatto quotidiano del prigioniero con la Sacra Scrittura. «Poi studio san
Giovanni leggendolo in greco e tedesco» – scrisse nella lettera
dell’8 luglio 1943 e aggiunse: «Che soddisfazione profonda, quando lo si può fare con calma!»42. Eppure la terza prigionia fu un periodo di lotta per la Scrittura, in quanto lo spostamento del sacerdote
nel penitenziario di Plötzensee, il processo davanti al Tribunale di
giustizia del Popolo e il trasferimento nel braccio della morte di
Brandenburg-Görden comportarono la confisca, da parte della direzione del carcere, di tutte le cose personali, libri inclusi, cose che
potevano essere nuovamente richieste e riavute solo dopo una lunga
attesa dovuta alla lentezza della burocrazia carceraria. «Purtroppo»
– annotò il 14 settembre 1943 nel penitenziario di Plötzensee – «non
ho ancora né il breviario né il messale, tanto meno il libro del Nuovo
Testamento». Ma aggiunse fiducioso: «Comunque li riavrò in ogni
caso»43. Infatti, descrivendo nella lettera successiva del 30 settembre
le difficoltà dei primi giorni a Plötzensee e ricordando il suo dolore
per essere stato privato del testo sacro, egli scrisse con sollievo:
Si veda a questo proposito la sua interpretazione del termine circumstantes (preso dal canone della messa), inteso come specificazione liturgica dell’essere-uno-in-Cristo, nella lettera del 26 agosto 1943 (in M.J. METZGER, La mia
vita, 152-153); cf. inoltre ibid., 90 e 98; ID., Christuszeuge, 64.
41
Cf. M.J. METZGER, La mia vita, 203-207.
42
Ibid., 122.
43
M.J. METZGER, Christuszeuge, 132.
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pastorale
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«Potete immaginare quanto mi manchi la santa messa quotidiana.
Eppure devo di nuovo ribadire che nella silenziosa celebrazione quotidiana della memoria passionis Jesu Christi trovo per la mia anima, così
come avevo insegnato a voi, ciò di cui ha bisogno. Molto di più, invece, sentivo la mancanza, davvero dolorosa, della divina parola della
Sacra Scrittura. È vero che ogni giorno, durante la celebrazione della
memoria, recitavo a memoria una parola dell’Apostolo e una del
Signore, per poterle meditare. Ad ogni modo sentivo anche che è dalla
lettura [della Scrittura] che devo trarre una sempre nuova ricchezza in
grado di nutrirmi durante i lunghi giorni e le ancora più lunghe notti.
Come ero felice, dunque, quando stamattina presto mi sono stati ridati
i miei libri: il breviario (in latino e tedesco) e il Nuovo Testamento (in
greco e tedesco)»44.
Ancora più dolorosi, però, furono i giorni trascorsi senza il libro
della Sacra Scrittura dopo il trasferimento del prigioniero nel braccio della morte. È vero che, salvo casi particolari, la prassi giudiziaria del Terzo Reich non prevedeva che dopo il processo avvenisse
un’esecuzione immediata della pena capitale, in quanto i condannati potevano ancora chiedere la grazia al Ministro di Giustizia.
Tuttavia, soprattutto i primi giorni vissuti nella prigione di
Brandenburg – dove i colpi della ghigliottina, situata in un garage,
rimbombavano in tutte le celle – furono per tutti i condannati un
tempo di estrema, quasi insopportabile prova psicologica. Il dispiacere di dover affrontare tale prova senza il conforto del testo sacro
fu espresso dal sacerdote subito nella sua prima lettera, inviata da
quel luogo di orrore alla sorella Gertrudis il 24 ottobre 1943. Egli
scrisse:
«Ormai da venerdì sono a Brandenburg-Görden. Questa è forse l’ultima
stazione, ancora un po’ più dura; però Dio mi dà la forza e la grazia di dire
con gioia il sì a tutto. Ciò che più mi manca è la Parola di Dio. Come siete
fortunati voi, che avete sempre a disposizione il Libro Sacro! Il giovedì
scorso [a Plötzensee – L.Z.], dopo molti sforzi, sono finalmente riuscito
a ottenere una copia del Nuovo Testamento, ma il venerdì mi hanno
trasferito. E così ora devo di nuovo lottare [per riaverlo – L.Z.], iniziando
qui da capo»45.
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spiritualità
M.J. METZGER, La mia vita, 173-174.
Ibid., 186.
Già in un’altra occasione ho avuto modo di parlare della fecondità letteraria e teologica di Metzger durante la sua permanenza nel
braccio della morte46. Ciò che ora mi preme di sottolineare è che tale
fecondità è legata alla possibilità, concessagli, di avere con sé, nella
cella, il libro della Scrittura che egli utilizzava sia come un testo di
lettura e di meditazione spirituale, sia come uno strumento di lavoro, indispensabile per la sua ricerca teologica. Per vedere quanto
quest’ultima fosse fondata sulle basi bibliche è sufficiente leggere i
succitati saggi Die Frage nach der SICHTBARKEIT oder UNSICHTBARKEIT der KIRCHE e Theologische Abhandlung über das
Königtum Christi, oppure gli scritti Philadelphia47 e Besinnung
(Riflessione)48. Il fatto che essi abbondino di citazioni bibliche e di
numerosissimi riferimenti ai passi scritturistici è una inconfondibile
conferma della dedizione del condannato alla lettura e allo studio
della Bibbia. Egli la consultava con assiduità, nonostante le sue
mani fossero parzialmente immobilizzate dalla fastidiosa e dolorosa
stretta delle catene49 che ogni condannato a morte doveva portare
giorno e notte, e nonostante fuori della sua “stanza di studio” soffiassero gelidi venti di morte. Riferendosi, di sfuggita, alle condizioni in cui nascevano e venivano sviluppate le sue riflessioni teologiche, Metzger annotò:
pastorale
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«È sempre un nuovo colpo al cuore quando si vedono portare alla ghigliottina i compagni venuti qui insieme a noi, senza sapere per quanto
Cf. L. ZAK – N. DE MICO, «Philadelphia» (M.J. Metzger), 384-387.
L’originale (senza data) non fu finora mai pubblicato; la sua traduzione
italiana è reperibile in ibid., 403-410.
48
Pubblicato in M.J. METZGER, La mia vita, 235-246.
49
Riferendosi ai primi momenti di convivenza con le catene, iniziata dopo
il processo, Metzger annotò: «Quando alla sera entrai nella mia cella, mi inginocchiai, ringraziando Dio di avermi inserito in questo modo nella sequela di
Cristo, e Lo pregai affinché conservasse il mio coraggio fino alla fine. Ebbi
anche sufficiente tranquillità per potermi mettere a letto. Ma le catene molto
strette, che dovevo portare anche di notte, in seguito all’eccessivo affaticamento psichico della giornata mi provocarono alla fine tali disturbi di cuore che fui
costretto a suonare. Era necessario che per un po’ di tempo mi venissero tolte
le catene, in modo che, distendendomi, riacquistassi nuovamente la forza del
cuore» (ibid., 198-199). Più tardi, in un’altra lettera (30 dicembre 1943)
confessò: «Sono contento di poter tenere la mia mente occupata, anche se è
difficile scrivere con le catene; e questo di sicuro non fa piacere neppure a chi
legge» (ibid., 220).
46
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«Nelle carceri naziste
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tempo ancora si potrà sfuggire alla loro sorte. Tuttavia, nella preghiera
insistente ho trovato la calma e la sicurezza, la santa imperturbabilità,
tanto che quasi non mi sento più scosso dal pensiero che per forza di
cose si ha, quando si sta di fronte ad un evento così drammatico come
quello che mi attende»50.
Che in queste condizioni di vita e di lavoro Metzger avesse sentito la particolare vicinanza di san Paolo, lo si può dare per scontato. Ciò emerge, ad esempio, dal nome con il quale il sacerdote firma
la sua poesia Una Sancta: “Paulus in vinculis”51. Lo si nota anche
dalle frequenti citazioni, nelle lettere, delle parole dell’Apostolo,
come se egli, duramente provato dalla vita nel braccio della morte,
avesse voluto comunicare con i fratelli e con i cari tramite colui che,
pur essendo rinchiuso nel carcere, riuscì a sentirsi interiormente
libero, continuando a esercitare la missione di annunciatore del
Vangelo. «Leggevo in questi giorni la magnifica Lettera di Paolo ai
Filippesi. Leggetela, vi prego (specialmente 1,3ss; 2,5s; 3,1ss; 4,2ss;
16 [sic!])» – scrisse alla comunità il 26 agosto 1943, invitandola a
rimanere nella gioia e a custodire gli stessi sentimenti di umiltà e di
rinnegamento di sé che furono di Gesù Cristo –, «e così saprete
quello che vorrei scrivervi»52. Un breve rimando alle lettere di Paolo
(Fil 4,11; 1Cor 15) si trova nella lettera del 29 agosto 194353, mentre alla sorella Judith Maria scrisse le tenere parole dell’Apostolo
rivolte a Timoteo: «(…) mi tornano alla mente le tue lacrime e sento
la nostalgia di rivederti per essere pieno di gioia» (2Tm 1,4)54.
Ibid., 200.
Ibid., 224-225.
52
E continuò: «La gioia santa dell’“essere-in-Cristo”, che sempre di nuovo
faceva esultare Paolo in mezzo alle sue tribolazioni, sia proprio essa quel dono
di grazia che, pregando, vogliamo ottenere l’uno per l’altro. La pace di Cristo
sia con voi! Che essa possa essere donata anche al “mondo”!» (ibid., 153-154).
53
Essa recita: «Fratelli miei! Se l’Apostolo si può vantare della grazia, che
gli è stata concessa, di sapersi adattare in ogni situazione (Fil 4,2), allora devo
ringraziare anch’io di questo dono. Oggi sono due mesi che sono stato privato della libertà. Ed ecco, devo rendere grazie – “semper et ubisque” – che
durante tutte queste settimane ho potuto essere sempre lieto nel Signore. Lo
devo certo anche alle vostre intercessioni, che spero mi vorrete donare anche
per il futuro. Nell’epistola di questa domenica (1Cor 15) l’Apostolo esorta a
rimanere saldi nella fede. Si tratta senz’altro di una grazia che tutti noi in modo
particolare dobbiamo chiedere; noi tutti che viviamo in un mondo ostile alla
fede» (ibid., 154).
54
Cf. ibid., 159.
50
51
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70
spiritualità
E certamente di Judith Maria volle parlare, ma ora a tutta la comunità, quando, con le parole di Paolo indirizzate ai Tessalonicesi55, la
indicò come tramite tra lui e i fratelli, visto che lei era riuscita già
due volte a visitare il sacerdote nel carcere56.
Dalle notizie di Metzger dal braccio della morte si evince che egli
faceva una lettura continuativa delle lettere di san Paolo. «La prima
cosa che ho fatto» – scrisse, infatti, a Judith Maria dal penitenziario
di Plötzensee, dopo aver potuto riavere gli oggetti personali e, quindi, anche il libro della Bibbia – «è stata di riprendere la lettura laddove l’avevo interrotta tre settimane fa, e cioè sulla lettera
dell’Apostolo ai suoi Tessalonicesi, il secondo e il terzo capitolo»57.
E aggiunse:
pastorale
e
spiritualità
«Sento poi che basterebbe solo ricopiare le parole che Paolo scriveva a
questa sua comunità: i suoi sono gli stessi pensieri che pervadono
completamente anche me. Il che ovviamente vale in modo particolare
per le lettere di Paolo dal carcere. Visto che porto il suo stesso nome,
un tale privilegio me lo posso ora guadagnare qui, ancora una volta.
Anch’io, come allora lui, so di essere sostenuto dalla preghiera dei
miei, cosa di cui vi ringrazio di cuore. Dio, certamente per vostra
intercessione, ha conservato in me un cuore pieno di gioia»58.
Un giorno dopo aver ricevuto l’atto di accusa, il 10 ottobre 1943,
avendo appreso che sarebbe stato giudicato per un crimine – altro
tradimento – che veniva punito con la pena di morte, Metzger scrisse alla sua comunità una commovente lettera, in cui parla della filiale fiducia in Dio Padre, “Abba”. Come conclusione, sapendo che
mentre i fratelli avrebbero letto queste parole il suo destino già
sarebbe stato deciso, egli aggiunge:
Metzger annotò: «Leggete La prima lettera ai Tessalonicesi, da 2,17 a
3,13!» (ibid., 162).
56
Judith Maria fu arrestata assieme a Metzger e alla sorella Bernharda.
Appena rilasciata, il 30 luglio 1943, riuscì già il 1 agosto a incontrare fratel
Paulus nel carcere di Berlino, potendolo visitare nuovamente il 4 agosto
(cf. Aufzeichnungen von Sr. Judith Maria Hauser, in AM). Le parole di Paolo in
1Ts 2,6 («Ma ora che è tornato Timòteo, e ci ha portato il lieto annunzio della
vostra fede…»), incluse nel testo da lui indicato, si richiamano alla liberazione
dell’amica e alle sue due visite.
57
M.J. METZGER, La mia vita, 133.
58
Ibid., 133.
55
«Nelle carceri naziste
con San Paolo»
la testimonianza
di Max Josef Metzger
53-83
71
spiritualità
pastorale
e
spiritualità
«Cosa debbo dirvi ancora? Non saprei dire niente di più bello di ciò che
l’Apostolo delle genti (nell’epistola letta durante la messa d’oggi) scrive dalla prigionia ai suoi (com’è tutto attuale nella Scrittura!): “Fratelli!
Io, prigioniero nel Signore, vi esorto: comportatevi in maniera degna
della vocazione che avete ricevuto, con tutta umiltà e mansuetudine!
Siate pazienti e sopportatevi a vicenda con amore; siate assidui nel
desiderio di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della
pace: un solo corpo, un solo spirito, come una sola è la speranza alla
quale siete stati chiamati: un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, un solo Dio, Padre di tutti, che è presente qui al di sopra di tutti,
per mezzo di tutto ed in tutti noi, Egli, che è benedetto per tutti i secoli dei secoli. Amen” (Ef 4,1-6)»59.
Nella lettera del 13 gennaio 1944 c’è un altro richiamo a Paolo.
Il prigioniero cita di nuovo la Lettera ai Filippesi60 – in particolare
il 1° capitolo, versetti 20, 26 e 27 –, per descrivere con le parole
dell’Apostolo il proprio stato d’animo e per incoraggiare i fratelli. E
fa sue soprattutto le parole: «(…) perché il vostro vanto nei miei
riguardi cresca sempre più in Cristo, con la mia nuova venuta tra di
voi» (v. 26). Egli sa che anche se durante il resto della propria vita
terrena, vivendo “nel corpo”, non potrà mai più visitare i suoi, unito
intimamente a Cristo potrà comunque avvicinarli nello spirito.
«Ogni giorno» – scrive nella stessa lettera – «nello spirito vengo a
trovare tutti voi nelle diverse case. Vorrei regalare a ognuno di voi
le stesse parole di lode che Paolo manda ai Filippesi!»61.
Occorre rammentare che Metzger formulò queste parole in una
situazione estrema, dovendo, cioè, sopportare il freddo della cella e
patendo la fame, per non parlare poi delle dure prove interiori che
periodicamente lo affliggevano e delle quali, però, non rivelò nulla
nemmeno agli amici più intimi. In queste condizioni di schiacciante
solitudine ed estrema indigenza62, il sacerdote dimostrò di possedere una straordinaria capacità di reagire, dedicandosi senza sosta allo
Citato secondo il testo originale di Metzger.
Egli annotò: «Oggi sto leggendo la Lettera ai Filippesi, che vorrei trascrivere per tutti voi, specialmente 1,20-26!-27» (ibid., 222).
61
Ibid., 222.
62
Nella lettera del 23 marzo 1944 confessò: «Anche se nella fede dico il
mio sì, non è facile rimanere per quasi sei mesi in una cella angusta, sempre
incatenato e senza il contatto con una parola “umana”» (ibid., 234).
59
60
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72
spiritualità
studio della Bibbia e dell’inglese, alle letture63, alla scrittura e alla
composizione di poesie e di musica. Non solo: egli proprio in
questa drammatica situazione di vita decise di lavorare alla traduzione, in tedesco, della Lettera ai Romani di san Paolo. Volendo dare
una prima notizia di questa sua impresa nella lettera del 23 marzo
1944, il sacerdote confidò alla sorella Benedicta:
pastorale
e
spiritualità
«Ho anche un altro progetto: sto traducendo in tedesco la Lettera ai
Romani in modo che possa essere veramente leggibile. Purtroppo, però,
finora non ho ancora potuto avere il testo originale, ossia il Nuovo
Testamento in greco, ma spero di ottenerlo. Credo che allora farò un
lavoro fondamentale»64.
P
rima di tutto va
detto
che
4. La traduzione della
Metzger
riuscì
a
“Lettera ai Romani”
preparare la traduzione
di tutta la Lettera ai
Romani, omettendo, però, l’ultimo capitolo. Non è sicuro se tale
accorciamento fosse stato voluto da lui – visto che l’ultimo è “soltanto” un capitolo di saluti –, o se sia invece dovuto all’esecuzione
della pena capitale. La traduzione fu consegnata dopo la morte di
Metzger alla sua comunità, la quale la custodisce come una preziosa reliquia del fondatore. Aggiungo che il testo65 è scritto con una
minuscola calligrafia su 37 fogli di carta fine (di formato A5) e che
finora non è stato mai pubblicato.
Le succitate parole del sacerdote potrebbero far credere che più
che di una vera e propria traduzione dovremmo parlare di un rimaneggiamento di quella versione – o di quelle versioni66 – del testo
Servendosi dei libri dalla biblioteca carceraria, Metzger poté leggere
negli ultimi mesi di vita Bekehrung des hl. Augustinus di R. Guardini e Die
Dämonen di F. Dostoevskij.
64
Ibid., 235.
65
M.J. METZGER, Paulus an die Römer – und die Deutschen, in AM (M
12.3.2).
66
Dall’elenco delle cose personali del defunto sacerdote, stilato il 4 maggio
1944 dal cappellano del carcere e inviato a Judith Maria (reperibile in AM), si
evince che egli – assieme a un messale, a tre volumi del breviario, a un libro
di preghiere e di canti, e al “libretto delle ore” per i laici – ebbe con sé nella
cella: una bibbia, due libri del Nuovo Testamento e un Novum Testamentum.
63
«Nelle carceri naziste
con San Paolo»
la testimonianza
di Max Josef Metzger
53-83
73
spiritualità
pastorale tedesco della Lettera ai Romani, che egli ebbe a disposizione nel
della morte. Ciò, ovviamente, sminuirebbe, almeno dal
e braccio
punto di vista scientifico, l’importanza della sua opera. Pur essendo
spiritualità convinto che quest’ultima avrebbe un senso e un incontestabile
valore teologico anche se il sacerdote non avesse potuto elaborare la
sua traduzione dal greco, sono tuttavia del parere che egli, alla fine,
avesse potuto lavorare con l’originale. Questo per due motivi: sia
perché l’elenco dei suoi oggetti personali, stilato dopo la sua morte,
annovera un Novum Testamentum che – visti i libri del Nuovo
Testamento custoditi nella sua biblioteca personale e in quella della
comunità di Meitingen – non poté essere che il Novum Testamentum
graece (curato da Nestle)67; sia perché in un biglietto scritto dopo la
stesura della lettera del 23 marzo egli chiede che gli venga inviato
non più un Nuovo Testamento in lingua greca, ma piccoli quadernidizionari di filologia greco-biblica68, in particolare il quaderno
riguardante la Lettera ai Romani e la Lettera agli Efesini.
È interessante notare che Metzger decise di tradurre la Lettera ai
Romani per renderla «veramente leggibile»69; come se le numerosissime traduzioni tedesche del Nuovo Testamento, comparse tra le due
guerre mondiali, non lo avessero soddisfatto, inclusa la traduzione
che nel 1937 pubblicò la sua stessa casa editrice70. Ma la cosa anco-
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spiritualità
67
Si tratta del libro Novum Testamentum graece (cum apparatu critico curavit D. Eberhard Nestle, novis curis elaboravit D. Erwin Nestle, ed. XVI,
Privilegierte Württembergische Bibelanstalt, Stuttgart 1936) in cui, soprattutto
sulle pagine della Lettera ai Romani, si trovano numerose annotazioni stenografiche del sacerdote, assieme a molte sottolineature delle parole del testo sacro
(il libro è consultabile in AM). Nella biblioteca della comunità di Meitingen si
trova, inoltre, il Novum Testamentum graece, a cura di H.J. Vogels, Verlag L.
Schwann, Düsseldorf 1922.
68
Egli annotò: «Ho [si capisce: non con sé nella cella, ma nella biblioteca
a casa – L.Z.] dei piccoli dizionari biblici (quaderni) di N.T. Avrei tanto bisogno del quaderno per la Lettera ai Romani e di quello per la Lettera agli Efesini.
Il grande dizionario biblico consegnalo forse al parroco [cappellano del carcere – L.Z.]» (in AM). Con molta probabilità si tratta dei quaderni «Urtextstudium».
Sprachlicher Schlüssel zum Griechischen Neuen Testament, ed. da Eberhard
Nestle e a cura di Fritz Rienecker, che iniziarono a essere pubblicati (presso la
Vereinsbuchhandlung G. Ihloff & Co., Neumünster [Holst.]) dal 1936
(Evangelium des Matthäus, vol. I). Quello richiesto da Metzger, Der Brief des
Paulus an die Römer, fu il quaderno n. VI (1937).
69
M.J. METZGER, La mia vita, 235.
70
Si tratta di Das Neue Testament. Stuttgarter Kepplerbibel, nuova e ampliata edizione a cura di P. Ketter, Christkönigsverlag, Meitingen b. Augsburg
1937. Il libro fu ristampato presso la Kepplerhaus Verlag (Stuttgart 1940)
ra più curiosa è la scelta della lettera: perché volle occuparsi proprio
di quella ai Romani? Il prigioniero non lo comunicò a nessuno. Uno
dei possibili motivi potrebbe essere la presenza, in essa, di alcuni
temi che da sempre gli stavano a cuore o che avevano per lui un’importanza esistenziale, come ad esempio il tema della coscienza71,
oppure quello dell’unità con Cristo, tema che il sacerdote interpreta
accentuando la dimensione interiore dell’esperienza di fede. Lo si
evince del tutto chiaramente dalla sua libera traduzione del cap. 3,
vv. 28-29:
pastorale
e
spiritualità
«Ciò che fa di uno un membro del popolo dell’Alleanza di Dio, cioè
“Giudeo”, non è l’esteriorità; l’inserimento esterno nel popolo eletto,
compiuto sul corpo, cioè la “circoncisione”, non conta. No! “Giudeo”,
cioè partecipante all’Alleanza di Dio, lo si è nel cuore, quando si è
“circoncisi” in spirito e in cuore, e non secondo le lettere della Legge.
Solo chi è così riceve la lode – non però dagli uomini, ma da Dio»72.
e proprio questa seconda edizione (consultabile in AM) fu utilizzata da
Metzger, per i suoi studi, nel braccio della morte (= Kepllerbibel).
71
Si veda, ad esempio, la sua lettera del 19 agosto 1943 alla comunità
(M.J. METZGER, La mia vita, 149), la lettera del 28 settembre del 1943 al
Procuratore capo (ibid., 166-167), ma anche la lettera della seconda prigionia
scritta a Pio XII (ibid., 105, 115). Interessante, inoltre, la riflessione di Metzger
presente nella sua lettera del 29 agosto 1943. Egli scrisse: «Quando parlo della
mia compagnia, penso prima di tutto al presidente della “Lega tedesca dei liberi pensatori”, che fino a un paio di giorni fa era mio vicino di letto. Nonostante
l’abisso ideologico che ci divideva, nel reciproco rispetto ci eravamo molto più
vicini degli altri. Aveva il carattere di uno che sa giudicare in modo nobile e
giusto e che sa essere un buon camerata. Mi sembra che in lui, inconsapevolmente, continui a operare qualche cosa dell’educazione cristiana di molti secoli di storia tedesca. Sì, mi piacerebbe, in qualche modo, poter annoverare nella
comunità di Cristo piuttosto un simile uomo, che molti altri battezzati, l’anima
dei quali non è stata toccata dal santo pneuma di Cristo. Non ho diritto di giudicare sulla sorte di un uomo nell’aldilà. In ogni caso è mia ferma convinzione
che “dannato” nel vero senso della parola, cioè destinato all’“inferno”, è soltanto colui che ha vissuto contro le convinzioni della propria coscienza. Quanti
“cristiani”, allora, si troveranno peggio dei “pagani”!» (ibid., 155).
72
«Nicht das Äußere macht zum Glied des Bundesvolkes Gottes, d.i. dem
„Juden“, nicht die am Leibe vollzogene äußere Eingliederung in das auserwählte Volk, d.i. „Beschneidung“, taugt etwas: Nein! Der ist „Jude“, d.i. Teilhaber
des Bundes Gottes, der es im Herzen ist, der also nicht nach dem
Gesetzbuchstaben, sondern in Geist und Herz „beschnitten“ ist; nur solcher
erntet Lob – wohl nicht von Menschen, aber von Gott» (M.J. METZGER, Paulus, 5;
nel testo originale le parole qui in corsivo sono sottolineate). Tr. it. della CEI:
«Infatti, Giudeo non è chi tale appare all’esterno, e la circoncisione non è quella visibile nella carne; ma Giudeo è colui che lo è interiormente e la circoncisione è quella del cuore, nello spirito e non nella lettera; la sua gloria non viene
dagli uomini ma da Dio».
«Nelle carceri naziste
con San Paolo»
la testimonianza
di Max Josef Metzger
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spiritualità
pastorale L’insistenza di Metzger su questo stesso concetto forza la sua
mano anche laddove traduce la parola “sfragís” (4,11) con “äußere
e Zeichen“
(“segno esterno”) e la parola “peritomé” (4,12) con “äußespiritualità re Beschneidung”
(“circoncisione esterna”) . Il che non sorprende;
73
infatti, egli mise il tema della dipendenza della dimensione “esteriore” del credere e della Chiesa dall’“interiorità” non solo al centro
delle sue riflessioni ecclesiologiche, ma lo adottò quale tema teologico di carattere prospettico74. «Non ciò che è l’esteriore, ma la vita
interiore» – scrisse a questo proposito in Theologische Abhandlung
über das Königtum Christi – costituisce «il criterio decisivo dell’appartenenza alla Chiesa in quanto Corpo di Cristo»75. Nella stessa
opera viene spiegato con molta premura in che senso andrebbe compresa l’interiorità alla quale si fa riferimento. Tuttavia, ciò si capisce
benissimo anche dal testo della traduzione, dove Metzger sottolinea
quelle frasi di Paolo che invitano a comprendere lo Spirito come
compimento definitivo della Legge (traducendo «ho nómos pneumatikós estin» [7,14] con «das Gesetz steht im Geiste» [la legge sta
nello Spirito])76. La sua premura di esprimere proprio questo aspetto della teologia paolina è grande, ed essa si nota soprattutto nella
traduzione del cap. 8, dove ai “Fleischesmenschen” contrappone i
“Geistesmenschen” (v. 5)77, al “fleischer Sinn” il “GEISTESsinn“
(v. 6)78. Ma egli recepisce e rende con attenzione anche quelle
espressioni della Lettera ai Romani che parlano del tema – come già
spiegato sopra – a lui molto caro: la presenza dello Spirito di Cristo
Cf. M.J. METZGER, Paulus, 8-9.
Si vedano i saggi Die Frage nach der SICHTBARKEIT oder UNSICHTBARKEIT der KIRCHE (in M.J. METZGER, La mia vita, 203-207) e Theologische
Abhandlung über das Königtum Christi (in Maranatha. Zum 25. Todestag,
40-48, 55). Per un approfondimento rimando a L. ZAK – N. DE MICO,
«Philadelphia» (M.J. Metzger), 395-398.
75
M.J. METZGER, Theologische Abhandlung, 47.
76
Cf. M.J. METZGER, Paulus, 16. In Kepplerbibel: «(…) das Gesetz geistig
ist»; tr. it della CEI: «(…) la legge è spirituale».
77
Cf. M.J. METZGER, Paulus, 17. In Kepplerbibel: «die nach dem Fleische
leben», «die nach dem Geiste leben»; tr. it. della CEI: «quelli che vivono secondo la carne», «quelli che vivono secondo lo spirito».
78
Cf. M.J. METZGER, Paulus, 17. in Kepplerbibel: «das Sinnen des
Fleisches», «das Sinnen des Geistes»; tr. it. della CEI: «i desideri della carne»,
«i desideri dello Spirito».
73
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76
spiritualità
nel cuore dei credenti (8,9.11), sperimentata come un reale inserimento nel mistero di Dio Padre, “Abba”. Il fatto che Paolo non si
fosse fermato qui, ma che avesse proseguito (nei cap. 12 e 13) invitando i credenti a praticare assiduamente, nello Spirito di figliolanza divina, la philadelphia (12,10), un tale fatto non poté che soddisfare Metzger. Così, nel braccio della morte, egli sviluppò l’idea
della centralità della carità fraterna per l’esperienza di fede e per la
Chiesa nel saggio Philadelphia e in Theologische Abhandlung über
das Königtum Christi. Per evidenziare tale centralità egli indicò nell’amore verso il prossimo il compimento «des ganzen Gesetzes»
(«di tutta la legge»)79, sottolineando nel manoscritto l’intera frase di
Rm 13,10.
Ma fu davvero il comparire di questi temi nella Lettera ai
Romani ad influire sulla scelta di Metzger di tradurre proprio questo
scritto di Paolo? Non vi sono forse altre lettere dell’Apostolo dove
essi vengono trattati all’interno di una riflessione teologica ancora
più estesa ed articolata? Sono persuaso che tutti questi temi nella
Lettera ai Romani fossero, sì, determinanti, ma in quanto inseriti in
un discorso più ampio, di importanza capitale: quello sulla giustificazione per fede. Non a caso nella traduzione di Metzger i capitoli
dedicati alla giustificazione sono quelli contrassegnati maggiormente da interventi creativi volti ad attribuire alle espressioni paoline un
significato teologico preciso. Dicendo ciò non mi riferisco tanto al
fatto che il prigioniero inserì nel testo della traduzione brevi frasi per
introdurre meglio le singole parti della riflessione di Paolo, quanto
piuttosto alla sostituzione di alcuni termini chiave del testo greco
con parole dal significato etimologico più ampio o, persino, differente. Tale sostituzione era compiuta con l’intenzione di proporre
un’interpretazione teologica del pensiero dell’Apostolo sulla giustificazione. In questa sede non è possibile fare un’analisi dettagliata
della traduzione elaborata dal Nostro, né una sua valutazione scientifica. Preferisco invece, seppur con brevità, presentare le linee
generali della proposta interpretativa mediante la quale egli volle
contribuire all’approfondimento di un tema centrale non solo per il
«So ist die Erfüllung des ganzen Gesetzes die Liebe» (13,10); l’utilizzo
dell’aggettivo «ganze» («das ganze Gesetz»), che intende enfatizzare il tema
dell’amore, si trova anche nella traduzione di Rm 13,8. Esso, invece, manca in
Kepplerbibel.
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pastorale dialogo ecumenico (di cui fu uno dei protagonisti), ma prima di tutto
vita di fede dei cristiani della sua epoca.
e perIllaquadro
teologico generale che emerge dal testo del sacerdote è
spiritualità quello del confronto
tra la vecchia e la nuova “legge”, con l’intenzione di mettere in luce la loro differenza e, tramite ciò, l’essenza di
quella che si può chiamare la nuova era cristiana. Per mantenere
questa prospettiva in primo piano, Metzger adopera dei termini che
evidenziano la polarità tra il “vecchio” e il “nuovo” nella storia della
salvezza, termini che ruotano attorno ai significati antitetici delle
parole (da lui adoperate): la “legge dell’Antica Alleanza” e la “legge
dello Spirito”. Mentre per la seconda parola il sacerdote segue fedelmente il testo greco (cf. 8,2), per la prima («“Gesetz” des Alten
Bundes») si tratta di una sua creazione. Essa rappresenta una specie
di ampio contenitore in cui confluiscono i vari significati del sostantivo “nómos”, influendo anche sull’interpretazione del termine paolino particolarmente complesso: «dikaiôma toû nomou» (8,4)80.
Infatti, il vero significato di quest’ultimo può emergere soltanto
sullo sfondo della prospettiva disegnata dall’espressione «“Gesetz”
des Alten Bundes». Ecco perché Metzger propone la seguente traduzione di Rm 8,1-4:
«No, per quelli che vivono in Cristo Gesù, e non secondo la loro carne,
non c’è più nessuna condanna. Poiché la legge dello Spirito che suscita
la vita in Cristo Gesù mi ha liberato dalla legge del peccato e, quindi,
della morte. La “legge” dell’Antica Alleanza non lo poteva fare, in
quanto a causa della peccaminosa “carne” dell’uomo perse forza. Per
questo Dio mandò nel mondo Suo figlio. Egli era simile a noi, poiché in
vista del peccato aveva preso su di sé la peccaminosa carne, ma in questa Sua carne giudicò il peccato. E così (allo stesso modo) si deve compiere in noi anche la prescrizione81 (il senso) della legge; anche noi dobbiamo camminare non secondo la “carne”, ma secondo lo Spirito»82.
Cf. J.-N, ALETTI, La giustificazione nell’epistola ai Romani, in V. SCIPPA
(ed.), La lettera ai Romani. Esegesi e teologia, Pont. Facoltà Teologica dell’Italia
Meridionale – Campania Notizia, Napoli 2003, 33-50; e soprattutto il saggio
di R. PENNA, «Il dikaiôma della legge» in Rm 8,4. Semantica e retorica di una
discussa espressione paolina, in V. SCIPPA (ed.), La lettera ai Romani, 51-82.
81
La parola tedesca “die Satzung“ significa anche: “ordinamento”, “regolamento”, “statuto”.
82
«Nein, für alle, die in Christus Jesus und nicht nach ihrem Fleische leben,
gibt es keine Verdammnis mehr. Denn das Gesetz des in Christus Jesus leben80
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spiritualità
Grazie a una simile prospettiva cristologica e pneumatologica,
che evidenzia i limiti della “legge” mosaica, Metzger intende far
risaltare quella novità che si è manifestata in Gesù Cristo e sulla
quale l’Apostolo orientò la sua vita e la sua predicazione: la possibilità di partecipare, per mezzo di un rinnovamento interiore, alla
natura del Figlio, e di entrare in e con Lui in un rapporto di inaudita intimità con Dio, sperimentandolo, cioè, come Padre, “Abba”. Ed
è in questa stessa prospettiva che il sacerdote sceglie di interpretare
la riflessione paolina sulla giustificazione, cogliendo in essa non
solo la contrapposizione tra la giustizia della legge dell’Antica
Alleanza e quella nuova dello Spirito, ma soprattutto un invito a
vedere nella giustificazione un evento “interiore” di santificazione
(la trasformazione del cuore), da intendere come un essere introdotti nella “grazia”, ossia nella santità stessa di Dio. Ciò si nota dalla
scelta di Metzger di tradurre il termine “gerechfertig” (“reso giusto”,
“giustificato”) con le espressioni: «in Gottes Huld aufgenommen
werden (essere accolti nella benevolenza di Dio)» (Rm 3,24), «der
Gnade Gottes teilhaft (essere partecipi della grazia di Dio)» (3,28),
«begnadet sein (essere nella grazia)» (5,1) o «geheiligt (essere santificati)» (5,9). In corrispondenza con tale scelta egli traduce liberamente l’espressione paolina “giustizia di Dio” con “Heiligkeit
Gottes”.
wirkenden GEISTES hat mich frei gemacht vom Gesetz der Sünde und damit des
Todes. Das “Gesetz” des Alten Bundes war dazu außerstande, war es doch
durch das sündige “Fleisch” des Menschen in seiner Kraft gelähmt. Darum sandte Gott seinen Sohn in die Welt. Er ward uns gleich, indem Er um der Sünde
willen das sündhafte Fleisch annahm, aber Er hielt in diesem Seinem Fleisch
Gericht über die Sünde. So (Ebenso) soll die Satzung (der Sinn) des Gesetzes
[dikaiôma toû nomou – L.Z.] auch zur Erfüllung kommen in uns; auch wir sollen
nicht dem “gemäß wandeln, sondern nach dem GEISTE» (M.J. METZGER, Paulus,
16-17).
pastorale
e
spiritualità
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con San Paolo»
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pastorale
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spiritualità
T
ra i motivi che
potevano spin5. Conclusione:
gere Metzger a
“Paolo ai Romani occuparsi
proprio
e ai Tedeschi”
della
Lettera
ai
Romani ne dobbiamo
analizzare ancora uno, quello più decisivo ed evidente, indicato dal
titolo che egli diede alla sua opera e dall’introduzione. Egli la intitolò: Paulus an die Römer – und die Deutschen (Paolo ai Romani –
e ai Tedeschi), iniziandola con le parole: «Paolo, servo di Gesù
Cristo e da Lui chiamato ad essere apostolo, ai “santi” fratelli in
Roma e in Germania, chiamati alla santità»83. Va detto che il sacerdote annotò spesso, nelle sue lettere, di essersi sentito legato alla vita
e al destino del popolo tedesco e di essere dolorosamente preoccupato per il suo presente e, soprattutto, per il suo futuro. È significativo che egli ne volle parlare anche a pochi mesi dalla morte, scrivendo il 9 gennaio 1944 la poesia Mutter Deutschland! (Madre
Germania!). «Popolo mio, è a te, a te che ho giurato / il servizio del
cuore e la generosa offerta di sé»84, confessa in essa. Eppure
Metzger non fu un patriota cieco. Egli stesso fu profondamente ferito dalle scelte che fecero i capi del popolo tedesco e dall’incapacità
di quest’ultimo di riflettere sui drammatici eventi della propria
recente storia. Condannato come «infame traditore del popolo» dal
Tribunale di giustizia del popolo, il sacerdote desiderò rivolgersi ai
propri compatrioti, persuaso che tutti dovessero finalmente aprire gli
occhi di fronte a ciò che accadeva attorno a loro e per causa loro. A
tal fine, per scuoterne le coscienze, compose nel braccio della morte
alcuni scritti, tra cui la poesia Kraftmeier (Padrone di casa) e quella Wie lange noch (Per quanto tempo ancora?). In quest’ultima
afferma senza mezzi termini:
«Su dunque, richiamate il popolo! Chiamatelo al mutamento di vita!
Che possa incontrare ancora una volta la grazia di Dio.
Chiamatelo alla verità, alla libertà, all’amore, alla giustizia!
Educate una generazione nuova nel più profondo rispetto di Dio!
LUBOMIR ZAK
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Che la menzogna si chiami di nuovo menzogna! Pronunciate il vostro amen
alla verità e al Nome santo di Dio!
83
84
80
spiritualità
Ibid., 1.
M.J. METZGER, Christuszeuge, 171.
Fate che il potere serva la giustizia, non la giustizia il potere!
Non chiamate “diritto” quello che è solo un vile interesse!
Non considerate cosa da poco i sacri diritti umani!
Non rendete schiavi degli idoli coloro che nacquero liberi!
Ascoltate la coscienza! Date libertà di parola!
Educate alla fierezza, non alla “raffinata” ipocrisia! (…)
pastorale
e
spiritualità
Non coltivate la comunità nazionale con vuote parole!
Siano tutti disposti a servire fino al sacrificio,
nell’amore, forza profonda del senso comunitario.
È questo che forma il popolo, che crea un grande futuro.
Se volete issare la vostra bandiera orgogliosi,
fate che il vostro onore sia fondato sulla coscienza!
Il rispetto che voi esigete, dipende
dal rispetto tributato al diritto degli altri»85.
Le parole della poesia sono un’ottima guida alla ricerca di quell’eredità che il sacerdote intese consegnare con la sua traduzione al
popolo tedesco. Traduzione che volle essere l’invito ad un comune
e necessario rinnovamento tramite il compimento del passaggio dal
“vecchio” al “nuovo”: dal peccato di Adamo e della sua discendenza alla santità di Dio resasi vicina in Gesù Cristo; dal modo di pensare e agire dell’uomo-carne a quello dell’uomo-spirito; da una vita
di fede puramente “esteriore” e formale a quella “interiore” e profonda; dalla schiavitù delle leggi fatte da uomini perversi e violenti
alla libertà dei figli di Dio; dall’odio dell’inimicizia all’amore della
fratellanza; dall’orgogliosa chiusura di un popolo che vive solo per
sé alla generosa apertura verso gli altri popoli, compresi quelli
“pagani”, molto distanti per cultura e sentire.
In questo modo, però, Metzger, rinchiuso nel braccio della morte
nella periferia di Berlino, nuova “Roma” dell’Impero nazionalsocialista di Hitler, riuscì a fare un dono di immenso valore morale e spirituale non solo alla nazione e alla Chiesa tedesca, ma anche a tutti
noi, aiutandoci a scoprire la Lettera ai Romani di san Paolo come
uno scritto di perenne attualità. La sapienza che esso ci trasmette è
la stessa Sapienza che, in ogni epoca storica, può e deve guidare il
“popolo di Dio”, e tramite esso tutti i popoli della terra, verso la vera
libertà.
85
Ibid., 182-183.
«Nelle carceri naziste
con San Paolo»
la testimonianza
di Max Josef Metzger
53-83
81
spiritualità
pastorale TOGETHER WITH SAINT PAUL
THE WITNESS OF
e PRISONS:
METZGER
spiritualità By Lubomir Zak
IN THE NAZI ENG
MAX JOSEF
In the witness borne by the priest Max Josef Metzger related here by
professor Zak, we’re struck by his spiritual sensitivity and his of the
Word of God, his ecumenical bent and his imperturbable spiritual
joy. One cannot but me amazed when reading through his letters, his
poetry and his theological reflections. We see in Father Metzger an
incredibly strong interior life, theologically expressed and lived out
existentially. He shows a notable degree of erudition and, above all,
a profound wisdom.
«DANS LES PRISONS NAZIES AVEC SAINT PAUL».
LE TEMOIGNAGE DE MAX JOSEF METZGER
de Lubomir Zak
FRA
Dans le témoignage du prêtre Max Josef Metzger, que le professeur
Zak nous présente ici, sa sensibilité spirituelle nous frappe, de
même son amour et son goût pour la parole de Dieu, son ouverture œcuménique, la joie imperturbable de l’Esprit Saint. On lit avec
émerveillement ce qu’il exprime dans ses lettres, ses poésies et ses
réflexions théologiques. On rencontre ici un Metzger qui possède
une très forte intériorité, théorisée théologiquement et vécue existentiellement. Il y a chez lui une véritable érudition, mais par dessus tout, une très profonde sagesse.
EN LAS CÁRCELES NAZIS CON SAN PABLO
EL TESTIMONIO DE MAX JOSEF METZGER
De Lubomir Zak
LUBOMIR ZAK
SapCr XXIV
OTTOBRE-DICEMBRE 2009
82
spiritualità
ESP
En el testimonio del sacerdote Max Joseph Metzger, que nos presenta aquí el profesor Zak, nos impresiona su sensibilidad espiritual, el
amor y el gusto por la Palabra de Dios, la apertura ecuménica, la
alegría imperturbable del Espíritu. Se leen con verdadero estupor
las palabras de sus cartas, de sus poesías y de sus reflexiones teológicas. Hay en Metzger una muy fuerte interiorización, expresada
teológicamente y vivida existencialmente. Existe en él una notable
erudición, pero sobre todo, una muy profunda sabiduría.
pastorale
e
spiritualità
MIT DEM HEILIGEN PAULUS IN DEN
GEFÄNGNISSEN DER NAZIS
EIN ZEUGNIS VON MAX JOSEPH METZGER
von Lubomir Zak
GER
Was im Zeugnis des Priesters Max Joseph Metzger, das hier von
Professor Zak vorgestellt wird, betroffen macht, ist seine geistliche
Sensibilität, seine Liebe und Freude am Wort Gottes, die ökumenische Offenheit und die unerschütterliche Freude des Geistes. Man
liest mit echtem Erstaunen die Worte seiner Briefe, der Gedichte und
theologischen Überlegungen. In Metzger ist stärkste Innerlichkeit
theologisch durchdacht und existenziell gelebt. Man begegnet in
ihm beachtenswerter Gelehrsamkeit, vor allem aber tiefer Weisheit.
POL
«W NAZISTOWSKICH WIĘZIENIACH ZE ŚW.
PAWŁEM».
ŚWIADECTWO
MAKSA JÓZEF
METZGERA
Lubomir Zak
W świadectwie kapłana Maksa Józefa Metzgera, które profesor Zak
nam prezentuje, uderzają jego duchowa wrażliwość, miłość i
rozsmakowanie się w Słowie Bożym, otwartość ekumeniczna,
niezmącona niczym radość ducha. Z prawdziwym zdziwieniem
przeczytać można słowa jego listów, wierszy i refleksji
teologicznych. Metzger jest przykładem mocnego wnętrza, które
zostało ujęte teoretycznie w teologii i uwidocznione egzystencjalnie.
Wyróżnia go zauważalna erudycja, ale przede wszystkim głęboka
mądrość.
«Nelle carceri naziste
con San Paolo»
la testimonianza
di Max Josef Metzger
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spiritualità
di GIOVANNI DI GIANNATALE
salvezza
e
culture
La vicenda della soppressione del periodico L’Eco di San
Gabriele dell’Addolorata, durante quasi tutto il decorso della
seconda guerra mondiale è certamente istruttiva. L’articolo
incriminato non aveva alcuna finalità disfattista e neanche
vagamente pacifista. Non era propriamente un articolo con
finalità politica. Esso si collocava
chiaramente su di un piano religioso. Tuttavia, sulla base di quel solo
articolo, si procedette alla soppressione di un periodico anche
moralmente costruttivo, che avrebbe presto raggiunto decine di
migliaia di abbonati. La vicenda è
tipica di tendenze totalitarie presenti anche nel nostro tempo, che
vorrebbero lasciare alla religione
uno spazio ben delimitato sulla
base di principi stabiliti dalla cultura dominante.
IL FASCISMO E LA
STAMPA CATTOLICA
DURANTE
LA SECONDA
GUERRA MONDIALE
La soppressione de L’Eco di
S. Gabriele dell’Addolorata (1941)
I
l 22 giugno 1941,
un anno dopo la
1. Il controllo operato
dichiarazione
di
nelle province
guerra di Mussolini,
dal Ministero
l’Eco di S. Gabriele fu
della Cultura Popolare
soppresso dal Prefetto
attraverso i prefetti
di Teramo per un articolo,
dal
titolo
Attualità, pubblicato sul
n. 6 di giugno dello stesso anno, alle pp. 86-89, e recante la firma
del «Missionario» pseudonimo del P. Giacinto Maria di Gesù
Il fascismo e la
stampa cattolica
durante la seconda
guerra mondiale
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85
culture
salvezza (Nicola Ercoli: 1911-1966) . Prima di ripercorrere la vicenda, occorinquadrare il provvedimento prefettizio nel contesto politico che
e resi delineò
mesi successivi all’entrata in guerra dell’Italia, allorculture ché il regimeneiintese
ottenere il massimo della coesione e del consen1
so nazionale, per prevenire ed eliminare qualsiasi azione di contrasto o di dissenso, che avesse potuto contestare la scelta compiuta,
generando nel popolo un clima di sfiducia.
Per raggiungere questo obiettivo il governo avviò una vasta azione di capillare e occhiuta vigilanza, affidata ai Prefetti, che eseguivano le puntuali direttive del Ministero della Cultura popolare (detto
anche, per abbreviazione, Minculpop). I Prefetti, in merito, godevano di poteri pressoché illimitati, loro conferiti da disposizioni legislative «liberticide», che erano state emanate nel 1925, sulla scorta
di alcune norme elaborate tra il 1923 e il 1924, che ne costituivano
il prologo. Si tratta della legge organica n. 2307 del 31/12/1925,
recante «disposizioni sulla stampa periodica»2, che sintetizza il R. d.
legge n. 3288 del 15/07/19233, che dettava norme sulla «gerenza e
vigilanza dei giornali e delle pubblicazioni periodiche», e il R. d.
legge n. 1081 del 10/07/1924, che ne era il regolamento attuativo4.
Veniva creata la figura del “Direttore o redattore responsabile”,
iscritto in apposito albo professionale, che doveva coincidere con il
“gerente” del giornale, in modo che, accorpando le due funzioni, era
più facile per il governo colpire la stampa dissenziente (cosa che
sarebbe stata più complicata, sotto il profilo legale, se la responsabilità fosse stata del solo direttore e non anche dell’editore)5.
GIOVANNI DI GIANNATALE
SapCr XXIV
OTTOBRE-DICEMBRE 2009
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culture
1
L’identificazione del Missionario con il P. Giacinto è documentata dalla
Platea o Cronaca del Ritiro della Concezione presso Isola del Gran Sasso dal
1844 al 1968, vol. II, (cfr. Archivio del Convento di S. Gabriele
dell’Addolorata), che così annotò:«L’Eco di S. Gabriele è stato sospeso. La
causa: un articolo del P. Giacinto Ercoli qualificato come sovversivo» (p. 266).
Si vd. anche P.F. D’Amando C.P., P. Giacinto Ercoli, sacerdote passionista
(1911-1966), tip. Maceratese, Macerata, s.d., pp. 36-37 e P. F. D’Anastasio
C.P., S. Gabriele dell’Addolorata in 100 anni di ricerche (1892-1992),
Ed. Eco, S. Gabriele dell’Addolorata, 1993, p. 209.
2
Si cfr. Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia, 5/01/1926, vol. II, p. 31.
3
Fu convertito in legge dalla L. n. 2309 del 31/12/1925 (si cfr. Gazzetta
Ufficiale del Regno d’Italia, vol. II, 5/01/1926, p. 35).
4
Fu convertito in legge dalla L. n. 2308 del 31/12/1925 (si cfr. Gazzetta
Ufficiale del Regno d’Italia, vol. II, 5/01/1926, p. 34).
5
Si vd. l’art. 1 del R.d.l. n.3288 /1923.
Venivano stabiliti gli ambiti censori dei prefetti e le connesse procedure da seguire, che andavano dal semplice provvedimento di diffida, o decadenza del direttore/gerente, alla soppressione del giornale
(quest’ultimo atto era posto in essere nei casi più gravi o di recidiva, conseguente alla diffida e alla decadenza stessa del direttore.).
Tra gli atti che erano soggetti alle predette sanzioni, a seconda della
loro gravità, c’erano la lesione del «credito nazionale all’interno o
all’estero», e l’«ingiustificato allarme nella popolazione», che
potesse danneggiare o turbare l’ordine pubblico6. Come scrisse
Luigi Albertini sul «Corriere della sera»7, che prese posizione contro questi provvedimenti, le leggi sulla stampa promulgate dal
governo fascista, erano più dure e liberticide del R.d. n. 227 del
22/06/1899 del Pelloux8.
Il controllo capillare della stampa quotidiana e periodica delle
province di Teramo e di Ascoli Piceno iniziò nel gennaio del 1941.
Nell’ottica della prevenzione del dissenso dei cattolici, che erano
per tradizione e per convinzioni morali contrari ai conflitti (posizione espressa in occasione del I conflitto mondiale)9, il Ministero della
Cultura popolare con telex n. 3931 del 27/01/1941 trasmise al
6
Si vd. l’art. 2, lett. a, del citato R. d. legge. Per un’analisi dei provvedimenti censori del governo fascista sulla stampa, si vd. P. Murialdi, Storia del
giornalismo italiano, Il Mulino, Bologna, 2000, p. 125 e ss., ed anche N.
Tranfoglia, La stampa quotidiana e l’avvento del regime ne La stampa italiana
nell’età del fascismo, Bari, Laterza, 1980, pp. 9-12.
7
Si vd. Le nuove disposizioni sulla stampa, in «Corriere della Sera», e
anche Per la difesa d’una professione, ibidem, 30/06/1923. L’Albertini
(1871-1941) fu Direttore del «Corriere della sera» dal 1900 al 1925.
8
Si ricorda che il decreto legge del Pelloux fu annullato per illegittimità
dalla sent. del 20/02/1900 della I sez. della Corte di Cassazione di Roma
(cfr. Foro italiano, XXV, 1900, parte II, vol. 100). Notò significativamente
l’Albertini:«I provvedimenti del Pelloux erano meno gravi».
9
Si cfr. la posizione contro la guerra espressa fermamente da Benedetto XV
con l’enciclica Ad Beatissimi Apostolorum principis del 1°/XI/1914 e la nota
del 1°/08/1917 Ai principi reggitori, in cui condanna la I guerra mondiale
come un’«inutile strage». Pio XII intervenne più volte contro la guerra con i
seguenti documenti: a) radiomessaggio del 3/03/1939, indirizzato al mondo
intero, in cui levava supplichevole voce a Dio per la pace, b) radiomessaggio
del 29/08/1939, che aveva come incipit “Un’ora grave e in cui compaiono le
famose espressioni: «Nulla è perduto con la pace, tutto può essere perduto con
la guerra»; c) l’enciclica Summi Pontificatus del 20/X/1939, in cui il Papa
esprimeva la propria angoscia per la situazione presente, rinnovando le preghiere per la pace. Si aggiungono gli accorati appelli alla pace, esternati con
i radiomessaggi natalizi del 1941, del 1942 e del 1943.
salvezza
e
culture
Il fascismo e la
stampa cattolica
durante la seconda
guerra mondiale
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salvezza Prefetto di Teramo la circolare del 17/01/1941, che annunciava
provvedimenti di soppressione, di sequestro e di ammoe «numerosi
nizione» dei giornali e dei periodici religiosi che contenevano articulture coli in contrasto con l’«attuale clima di guerra», confermando le
direttive già diramate con la circolare n. 85305 del 19/12/194010.
Così dichiarava il Ministro Pavolini:«La stampa periodica religiosa
– e particolarmente i Bollettini parrocchiali e taluni settimanali di
Azione cattolica – ha assunto in questi ultimi tempi un atteggiamento in contrasto coll’attuale clima di guerra, abbandonandosi con
eccessiva frequenza a condanne generiche della guerra che colpiscono anche i motivi della nostra guerra, esaltando in ogni occasione
uno spirito pacifista assolutamente fuori luogo, deprimendo la
necessaria volontà di vittoria che il nostro popolo deve avere saldissima, e tentando di suscitare un inopportuno pietismo verso tutte le
necessarie durezze della situazione militare e guerriera».
Il Ministro, per evitare l’attuazione di tali provvedimenti, invitò
il Prefetto a contattare il Vescovo della Diocesi di Teramo, mons.
Antonio Micozzi11, per invitarlo “amichevolmente, e a titolo di
semplice suggerimento, a spiegare la propria influenza, perché la
stampa cattolica di codesta Provincia si dimostri maggiormente
consapevole dei doveri dell’ora, e assuma atteggiamenti intonati
alle direttive del regime».
Il Ministro nel telex del 27/1/1941 invitava i Prefetti a contattare i
Vescovi delle Diocesi delle province di loro competenza, per prevenire con la
loro mediazione e collaborazione eventuali attacchi contro la guerra:«Circa
azione persuasiva da svolgersi presso autorità diocesana nei riguardi della
stampa periodica religiosa, pregasi riferire tempo opportuno questo Ministero
sui risultati conseguiti da tale azione, avvertendo che frattanto restano ferme
disposizioni impartite in materia et particolarmente quella circolare 19 dicembre 83305 Culti disposizioni che debbono essere rigorosamente osservate.
Assicurate P. il Ministro – Buffarini» (Archivio di Stato di Teramo, Prefettura, II/6,
Gabinetto, 3° versamento, B. 18, f. 1). Tutti i documenti citati nel presente saggio sono stati desunti da questo fondo, al quale, pertanto, si rinvia.
11
Il Mons. Micozzi, nato a Roma il 15/08/1881, fu Vescovo di Teramo
dopo la morte di Settimio Quadraroli (avvenuta il 2/08/1927), dal 1928 al
1944. Morì a Teramo il 4 settembre 1944 (si vd. AA.VV., A. Nuzzi e i Vescovi
aprutini, camplesi e atriani, Teramo, Edigrafital, 2000, pp. 70-71).
10
GIOVANNI DI GIANNATALE
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I
I Prefetto con la
2. Le direttive
tempestività propria del solerte fundel Prefetto di Teramo
zionario provvide ad
ai Vescovi di Teramo, Penne,
inviare una lettera ai
Atri, Ascoli Piceno
Vescovi di Teramo,
e Montalto Marche
Penne ed Atri, Ascoli
Piceno e Montalto
Marche in data 6/02/1941, per informarli delle disposizioni governative, e invitarli a vigilare sulla stampa diocesana, pur constatando
che fino a quel momento non si erano verificate manifestazioni ostili alla guerra:«Il Ministro della Cultura popolare ha dovuto rilevare
in questi ultimi tempi che certa stampa periodica religiosa si è
abbandonata a manifestazioni che non sono apparse opportune: in
particolare sono state rilevate condanne generiche della guerra – che
colpiscono anche la nostra guerra – esaltazioni di spirito pacifista e
tentativi di risuscitare pietismi verso tutte le durezze della situazione militare e guerriera.
E’ stato altresì superiormente rilevato che con eccessiva frequenza da Parroci e da Rettori di santuari vengono indirizzate ai militari
delle forze armate le lettere contenenti richieste di oblazioni a favore di chiese, Santuari o altrimenti: anche l’invio di tali lettere viene
considerato inopportuno. Quanto precede reco a conoscenza di
codesta Ecc.ma Curia, pur considerando che circostanze del genere
non si sono in questa Provincia verificate per opportuna notizia e per
quanto altro possa occorrere». L’atteggiamento di intransigenza del
Ministro era diretto all’Azione cattolica, sempre osteggiata dal regime, alla quale era vietato tra l’altro di svolgere qualsiasi attività
politica in virtù del Concordato del 192912. Il Prefetto sempre il
Il regime fascista si era mostrato sempre avverso a quei cattolici che,come
don L. Sturzo, svolgevano attività politica nel «partito popolare» e nelle cosiddette “leghe bianche”. L’art. 43 del Concordato del 1929, nel tentativo di normalizzare l’Azione Cattolica, riconoscendone l’attività, stabilì che la Santa
Sede avrebbe dovuto garantire che Associazioni e movimenti di A.C. svolgessero la loro attività al di fuori di ogni partito politico, e sotto l’immediata dipendenza della gerarchia della Chiesa per l’attuazione e per la diffusione dei principi cattolici. Ma il governo fascista continuò a diffidare dell’Azione Cattolica,
con cui entrò in forte contrasto nel maggio del 1931, allorché Mussolini emanò
un provvedimento di immediata chiusura di tutti i circoli della Gioventù cattoli-
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Il fascismo e la
stampa cattolica
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salvezza 6/02/1941 trasmise la lettera del Ministro al Questore di Teramo, al
Generale del Partito Nazionale Fascista e al Comandante
e Segretario
del Gruppo Carabinieri di Teramo. Da questo momento iniziò l’atticulture vità di controllo della Questura e dei Carabinieri, come si evince da
alcuni documenti.
I
l 28/03/1941 il
3. La verifica
Questore trasmise
al Prefetto una
delle “lettere pastorali”
copia
dell’Araldo
dei vescovi da parte
Abruzzese
del
della questura di Teramo
12/03/1941, contenente
la
pastorale
del
Vescovo Micozzi, dal titolo «Siate misericordiosi», in occasione
della Pasqua. Il 17/03/1941 il Maggiore dei Carabinieri di Teramo
Legnone (di Ancona), dopo aver esaminato le pastorali dei parroci
della Diocesi di Teramo dichiarò che, «da accertamenti eseguiti in
via riservata, non è emerso che siano emerse pastorali con riferimenti all’attuale situazione politica militare», e riferendosi in particolare a quella del Vescovo Micozzi, scrisse che trattava «argomenti
prettamente religiosi e spirituali, destinati a ravvivare nel popolo la
fede cristiana e il culto della divinità».
Il Questore Innocenzo Aloisi il 31/3/1941 trasmise al Prefetto di
Teramo la pastorale di Carlo Pensa, Vescovo della Diocesi di Penne
e di Atri13, che, a suo dire, era di esclusivo tenore religioso, senza
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ca, tra cui primeggiavano la Fuci e l’Azione Cattolica. Il dissidio fu composto
con l’Accordo del 3/09/1931, secondo il quale l’Azione Cattolica poteva continuare la propria attività nelle rispettive Diocesi, purchè perseguissero finalità
essenzialmente religiose, allontanando dalle proprie file quanti, in violazione
dell’accordo, svolgessero attività politica. Negli anni seguenti, tra il 1932 e il
1938, l’A.C. collaborò in linea di massima con il regime. Questa fase terminò
nel momento in cui il governo fascista promulgò le leggi razziali, sfociando in
una “rottura” nel periodo che va dal 1938 al 1943, per l’ostilità manifestata
verso la politica bellicista attuata dal regime. Si vd., per un attento profilo
dell’A.C. durante il fascismo, G. Candeloro, Storia dell’Italia moderna – la
seconda guerra mondiale – il crollo del fascismo - la resistenza, vol. X, Milano,
Feltrinelli, 2002 (VI ed.), pp. 153 e ss.
13
C. Pensa fu Vescovo della Diocesi di Penne e di Atri dal 1912 al 1948.
Curò l’istruzione ecclesiastica nei Seminari delle due città (egli stesso in quello
nessuna considerazione di ordine politico. Eppure la lettera, a ben
vedere, presenta alcuni passaggi che, se fossero stati letti con attenzione, avrebbero evidenziato uno spirito di indubbia avversione alla
guerra, quando il Vescovo asseriva senza mezzi termini:« Il non aver
fatto calcolo della divina parola, ha gettato le nazioni in una lotta
spaventevole per il possesso delle cose terrene. Solo il ritorno alle
massime del Vangelo restituirà la pace e la tranquillità. Procuriamo
dunque di essere instancabili nel nostro ufficio di banditori della
parola di Dio».
La stessa conclusione, in cui il Vescovo invitava i suoi fedeli ad
armarsi «con lo spirito di sacrificio, che è la vera base della fedeli
cristiana», a sopportare le presenti calamità, cioè la «croce»della
guerra, perché «senza la croce non possiamo essere seguaci di Gesù
Cristo», costituiva un’ulteriore manifestazione di irenismo cristiano,
pur diplomaticamente stemperato dall’invito ad affrontare «tutte le
privazioni per Dio e per la Patria», passaggio che al poco accorto
Aloisi sembrò segno di conformità del Pensa alla linea del regime.
Le lettere degli altri Vescovi furono giudicate parimenti innocue, da
collocare secondo le autorità in una dimensione di ordinario spirito
teologico-spirituale. Quello della Diocesi di Montalto Marche e di
Ripatransone, Carlo Ferri, e di Ascoli Piceno, Ambrogio Squintani,
scrissero al Prefetto di Teramo, per rassicurarlo sull’osservanza
delle disposizioni del Ministero della Cultura popolare. Il primo
inviò al Prefetto di Teramo un biglietto datato il 17/02/1941, nel
quale dichiarava quanto segue: «In possesso della vostra riservata
Gab. 330/352447, 8 corr., assicuro che sono e sarò a posto, per quanto possibile». L’altro, rispondendo alla nota prefettizia
dell’8/03/1941, asseriva che nelle sue parrocchie «nulla si sia verificato di quanto il Ministero della cultura popolare ha rivelato».
Non tutti i Vescovi, tuttavia, si erano uniformati al regime, come
attesta un telex del Minculpop al Prefetto del 12/03/1941, girato da
questi al Questore, con cui si ordinava che fosse impedita la diffusione a mezzo stampa nelle Diocesi di Teramo, Penne e Atri, della
pastorale scritta dal Vescovo di Cremona, «contenente ampia esposizione ideologica ed eccessiva deplorazione attuale guerra». Altro
di Penne, per qualche periodo, assolse il compito di docente di materie letterarie). Morì a Penne il 16/12/1948. Si vd. G. Di Giannatale, Il Seminario di Atri,
Associazione culturale “L. Illuminati”, Atri, 2008, pp. 73-74.
salvezza
e
culture
Il fascismo e la
stampa cattolica
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guerra mondiale
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salvezza telex del 1°/04/1941 del Ministero dell’Interno (Direzione Culti)
al Questore di Teramo che doveva essere impedita la dife ordinava
fusione della pastorale del Vescovo delle Diocesi di Altamura e di
culture Acquaviva delle Fonti, dal titolo «Nell’ora della prova»: «N. 18997
Culti-riservatissimo-alt–per suo contenuto essenzialmente politico
et depressivo spirito pubblico provvedete impedire diffusione et
eventuale riproduzione mezzo stampa pastorale per Quaresima del
Prelato di Altamura et Acquaviva delle Fonti, Nell’ora della prova
alt-assicurate – alt P. Ministro Buffarini».
Nel periodo compreso tra marzo e settembre del 1941 si intensificò l’azione di controllo, che talora determinò l’immediata soppressione di alcuni periodici, come il Bollettino diocesano di Cristo Re
di Santa Viola di Bologna, sequestrato il 13/08/1941, perché
stampato e diffuso senza l’autorizzazione della R. Prefettura.
Nella Provincia di
Teramo erano costantemente vigilati L’Araldo
abruzzese, settimanale
diocesano, fondato nel
1904, e L’Eco di S.
Gabriele, fondato nel
1913 dai PP. Passionisti e originariamente intitolato L’Eco del Beato
Gabriele (l’eponimo “Santo” fu premesso dopo la canonizzazione
avvenuta nel 1920)14. Si riportano di seguito i documenti nei quali
4. I due casi de
L’Araldo abruzzese
e L’Eco di S. Gabriele
dell’Addolorata
L’Araldo abruzzese fu fondato il 19/03/1904 ad opera del Vescovo
Alessandro Beniamino Zanecchia-Ginnetti (1902-1920), con la cooperazione
di mons. Urbani, Arciprete aprutino, e di un gruppo di giovani sacerdoti, come
don Pasquale del Paggio, don Gaetano Cicioni, don Pietro Jobbi e don Davide
D’Angelo. La direzione fu affidata a don Giovanni De Caesaris (1877-1948),
dotto scrittore della Diocesi di Penne, che durò nella carica per un anno. Dal
1923 e fino al 1943, allorchè cessò la pubblicazione, ripresa nel 1945 (in un
primo tempo come supplemento del “Nuovo Piceno), fu diretto da
Domenicantonio Valerii (1895-1979), docente di greco e latino, e Rettore nel
Seminario aprutino, poi Vescovo dei Marsi dal 1945 al 1973. Fu ostile al regime nel 1938, quando furono promulgate le leggi razziali, contro le quali prese
posizione coraggiosa, illustrando i principi della morale cristiana, don
Fioravante D’Ascanio (1908-1985), che rischiò la galera, evitata grazie
14
GIOVANNI DI GIANNATALE
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figurano gli inoltri dei due periodici al Ministero dell’Interno da
parte del Prefetto di Teramo: 1) il 17/01/1941 sono inviati il n. 14
dell’Araldo del dicembre 1940 e il n. 1 dell’Eco del gennaio 1941;
2) il 21/03/1941 sono inviati i nn. 2 e 3 dell’Eco dei mesi di febbraio e marzo 1941, compreso il Supplemento al n. 1 del gennaio 1941;
3) il 16/06/1941 sono inviati nn. 4 e 5 dell’Eco dei mesi di aprile e
maggio e il n. 3 dell’Araldo; 4) il 6/08/1941 è inviato il n. 4
dell’Araldo.
all’intervento del Questore di Teramo. Don Valerii in questo periodo fu osteggiato dalle autorità governative, tanto da essere segnalato come pericoloso e
sovversivo, insieme con don Oderico Paolini, e minacciato spesso di essere
incarcerato e confinato, perché sosteneva l’Azione Cattolica, «che l’intrepido
Pio XI raccomandava come insostituibile forma di apostolato in alternativa alla
pedagogia del regime» (si vd. don F. Scipioni, Discorso pronunciato nella sala
Consiliare di Teramo il 23/12/1995 in occasione del centenario della nascita
[vd. Mons. A. Valerii, Nel centenario della sua nascita, Teramo, Edigrafital,
1995, pp. 21-22]). Nel corso del II conflitto mondiale non subì censure né
repressioni da parte delle autorità governative, avendo assunto una linea morbida, che si estrinsecò con «commenti sfumati e asettici» apparsi nella prima
pagina del giornale (Cfr.www.wikipedia.it sub voce L’Araldo abruzzese). Sulle
origini del giornale si vd. la testimonianza di don G. Cicioni nel Diario, in L.
Delli Compagni, Don G. Cicioni, vita pastorale e cattolicesimo sociale a
Teramo, ed. Eco, S. Gabriele dell’Addolorata, 2008, pp. 155-156. L’Eco del
Beato Gabriele fu fondato dopo la beatificazione dell’”angelico giovane”,
avvenuta a Roma il 31/05/1908, con l’avanzo delle offerte raccolte l’ultima
domenica di agosto del 1913, in cui si festeggiò il Beato, dal P. Fausto Pozzi
un religioso dotato di grande cultura, sostenuto dal P. Stanislao dello Spirito
Santo (Amilcare Battistelli [1885-1981]),e da altri confratelli, dopo aver ottenuto il permesso del Preposito Provinciale, P. Salvatore di Maria Vergine (Luigi
Pinto: 1866-1944). Era Rettore il P. Anacleto dell’Addolorata (Antonio Bianchi:
1869-1938). Il 1° numero del fortunato periodico vide al luce il 27/09/1913.
Si vd., per tali dati, P. Luigi Alunno C.P., Servo di Dio Stanislao Amilcare
Battistelli Vescovo, ed. Eco, S. Gabriele dell’Addolorata, 1998, p. 45. L’Eco fu
stampato fino al 1949 dalla tipografia del cav. D’Ignazio, ubicata in Via Stazio
n. 6 a Teramo. Dal 1950 (n. 13 – gennaio) fu stampato dalla Cooperativa tipografica «Ars et labor», ubicata sempre in Via Stazio, n. 6, che fu la prosecuzione della tipografia D’Ignazio da parte degli eredi con una nuova ragione sociale e giuridica. Dal n. 1 (gennaio/febbraio) del 1952, fu stampato dalla Casa
editrice Tipografia “Eco” di S. Gabriele dell’Addolorata, appena costituita con
l’autorizzazione del Preposito Provinciale, P. Remigio della Medaglia
Miracolosa (Seguino Bacolini: 1912-1975).
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GIOVANNI DI GIANNATALE
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D
ei due periodici fu censurato
5. La vicenda de L’Eco:
l’Eco, come si
censurato l’articolo
è detto, per l’ articolo
del P. Giacinto Ercoli
apparso sul n. 6 del
giugno 1941. Esaminiamone il contenuto. Lo scrittore riferisce, con toni pacati ma con
serrata argomentazione, di una discussione avuta nel compartimento
di terza classe di un treno con un tale Ingegnere, che imprecava
contro Dio e la Religione, per non aver impedito la disgrazia della
guerra che gli aveva sottratto un figlio, inviato al fronte, e aveva
coinvolto anche lui, richiamato alle armi, e costretto ad abbandonare
la famiglia e la piccola azienda domestica. Rivolgendosi al frate
passionista, che, sentendo proferire delle bestemmie, aveva deciso di
intervenire, così dichiarò: “Se mi avete sentito dire degli spropositi
poco fa è perché tanto io che questi miei amici ci troviamo proprio in
condizioni insopportabili, e non potendomi sfogare con altri mi sfogo
con Dio che certo è la causa di tutti questi malanni».
Il Religioso rispose all’Ingegnere sviluppando due concetti teologici: 1°) Dio, pur vedendo i mali causati dagli uomini, non ha nessun obbligo di impedirli, essendo essi il frutto del loro libero arbitrio; 2°) in quanto causati dall’uomo, che, spinto dall’egoismo e dall’odio, ne disconosce la legge morale, la guerra si configura come
un «castigo più che meritato». Le due conclusioni, in buona sostanza, fanno capo al principio teologico secondo cui la guerra, come
ogni altro atto umano negativo (male), è permessa da Dio, ma non
da lui originata, essendo fonte assoluta del Bene. Alla censura non
piacque l’articolo dell’Eco, nel quale notò la disapprovazione
morale della guerra italiana, che invece avrebbe dovuto sostenere,
respingendo le tesi disfattiste del polemico interlocutore15.
15
Per di più il “Missionario” asserì di non parlare «a nome di partiti o di
cricche, ma soltanto come sacerdote per difendere l’amore di Dio». Questo passaggio, secondo il P. D’Anastasio C.P., S. Gabriele dell’Addolorata in 100 anni
di ricerche, op. cit., p. 209, costituì un autentico vulnus per il regime, il quale
non ammetteva altro “pensiero” che quello espresso per tutti dal partito fascista, che coincideva con l’autorità del duce. L’Eco, scrive il P. D’Anastasio, «era
libera voce che diceva a ciascuno il suo. Riportava le parole del papa e animava i giovani dell’Azione cattolica. Ma queste cose in quel periodo davano
al naso ai gerarchi fascisti». Questa libertà manifestata dal P. Giacinto Ercoli
suscitò la reazione delle autorità governative, che non ammettevano alcune
forme di dissenso sulla guerra in atto.
La reazione da Roma fu immediata. Il Ministro della Cultura
popolare, Pavolini, inviò il seguente telex in data 21/06/1941 al
Prefetto e alla Direzione Generale di Pubblica Sicurezza:
«Minculpop 5 I 15897 II. Pregasi disporre sequestro Bollettino
Cattolico “L’Eco di S. Gabriele”, n. 6 del giugno corrente, diretto
da P. Giacinto Ercoli et edito dalla Casa editrice tipografia teramana del cav. Luigi D’Ignazio di codesta città. Pregasi altresì provvedere immediata revoca della gerenza perché il suddetto periodico
deve considerarsi soppresso. Gradirò assicurazione Ministro
Pavolini».
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I
l
Prefetto
di
Teramo, con perfet6. La soppressione
ta tempestività, il
de L’Eco, accusato di aperto
22/6/1941, sulla base
disfattismo, da parte
del R.d. legge n. 3288
del prefetto di Teramo
del 31/12/1925, emise
il decreto di soppressione e revocò la gerenza al P. Giacinto Ercoli, per l’«intonazione ad
aperto disfattismo»ravvisata nell’articolo:«Rilevata l’intonazione
ad aperto disfattismo di un articolo apparso nel numero del 6 giugno corrente del periodico cattolico “L’Eco di S. Gabriele”… si
dispone tra l’altro, che sia provveduto alla immediata revoca alla
gerenza del periodico perché lo stesso deve considerarsi soppresso
[…] Con effetto immediato è revocata la gerenza, conferita al P.
Giacinto Ercoli, Passionista, del periodico cattolico L’Eco di S.
Gabriele, edito dalla Casa editrice Tipografia teramana del cav.
Luigi D’Ignazio».
La soppressione del periodico vulnerò moralmente la comunità
passionista, che fu privata di un mezzo di informazione fondamentale per gli innumerevoli devoti di S. Gabriele. Lo stesso P. Giacinto,
che avvertì il grave peso della responsabilità (disse di aver ricevuto
«un terribile schiaffo morale)», in preda all’ansia e alla preoccupazione, si adoperò incessantemente per ottenere la revoca del provvedimento presso le autorità governative tra il 26 giugno e il 20 luglio
del 1941.
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Si vd. P. F. D’Amando C.P., P. Giacinto Ercoli sacerdote passionista
(1911-1966), tip. Maceratese, Macerata s.d., p. 36.
17
Si vd. P.F. D’Amando C.P., P. Giacinto Ercoli sacerdote passionista
(1911-1966), op. cit., p. 37. Per le vicende “romane” del P. Giacinto, si vd. le
pp. 35-37 dello stesso opuscolo.
16
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culture
P
er oltre venti
giorni si alternò
«con speranze e
dissuasioni
tra
il
Ministero e la Nunziatura, in cerca di appoggi e di commendatizie,
con approcci alle gerarchie del partito e a quelle della chiesa con una instancabilità
sbalorditiva»16. Riuscì ad arrivare alle alte sfere del governo.
Incontrò il Ministro Ciano, che, pur mostrandosi in primo tempo
aperto a soluzioni positive, cambiò radicalmente umore, assumendo
toni aspri e risentiti, quando, rilegendo l’articolo, vi ravvisò un
aperto atteggiamento di ostilità al regime.
Incontrò anche il Segretario particolare di Mussolini, che, pur
esprimendo dispiacere per il provvedimento adottato dal Ministro
della cultura popolare, ribadì fermamente la «gravità de’ rilievi»
mossi all’autore e direttore dell’Eco. Fu un terribile fallimento per il
P. Giacinto, che non si diede pace per il danno procurato al Santuario
con un atto che, in fondo era in perfetta buona fede e per il quale non
prevedeva minimamente di suscitare reazioni politiche. Così il P. F.
D’Amando C.P. dipinse lo stato psicologico del P. Giacinto nel corso
dei suoitentativo romani:«Il P. Giacinto, siliceo, continuò ancora,
finchè, richiamato urgentemente, non se ne tornò a Recanati con le
pive nel sacco e tuttavia con tante speranze nel cuore»17.
7. L’incontro
del Direttore de L’Eco
col Ministro Galeazzo Ciano
e col segretario particolare
di Mussolini
A
nche il Rettore
P. Romualdo di
8. L’accorato intervento
S.
Gabriele
del Rettore del Santuario
(Antonio Dorati: 18801955), cercò di ottenere
la revoca del provvedimento, inviando un esposto al Prefetto di
Teramo il 17/09/1941, nel quale, con evidente dissimulazione,
mostrava di condividerlo e dichiarava perfino che l’autore dell’articolo era stato “esemplarmente” punito dai Superiori, che lo avevano
rimosso dal suo ufficio di direttore. Così scriveva il P.
Romualdo:«Dobbiamo sinceramente e lealmente riconoscere che il
provvedimento è stato giustissimo, ed i Superiori dell’Istituto non
hanno mancato di punire esemplarmente l’autore dell’articolo e il
Censore rimuovendoli subito dal loro ufficio».
Per raggiungere l’obiettivo doveva “riconoscere” l’errore commesso dal confratello, e nel contempo “inventare” la punizione del
Preposito Provinciale e solleticare l’orgoglio patriottico del Prefetto,
evidenziando tra gli abbonati i «valorosi soldati combattenti». Così
argomentava il Rettore:«Eccellenza, voi conoscere assai bene i
Passionisti e la loro condotta moralmente e civilmente irreprensibile, tutta protesa al bene spirituale della società, con l’esempio delle
sante missioni ed altre opere di Apostolato. Il giusto provvedimento, specie per la motivazione di “disfattismo” ci ha profondamente
addolorati, come ci addolora il danno arrecato al prestigio del
Santuario di S. Gabriele ed al popolo, essendo uno dei primi
Santuari dell’Abruzzo ed in particolare della provincia di Teramo.
[…] Centro di intensa vita religiosa, il Santuario di S. Gabriele, onorando l’Abruzzo e l’Italia da trent’anni, per mezzo del periodico
L’Eco di S. Gabriele, ne diffondeva veramente in mezzo al popolo
l’eco fedele ed in questi ultimi tempi di gloriosa ascensione della
nostra patria, confortava migliaia dei nostri valorosi combattenti,
abbonati al periodico.
Ora Eccellenza, sebbene la soppressione del periodico sia giustamente inflitta e meritata, non possiamo nascondere la penosissima
situazione in cui ci troviamo e per il nostro prestigio morale, e per
le sorti gloriose del Santuario, per la vita religiosa che in essa verrebbe a spegnersi, mancando attraverso la stampa quella intima
comunicazione fra i devoti e il Santuario stesso. […] Per tutto questo tempo, Eccellenza, ci raccomandiamo e confidiamo pienamente
che vorrete interporvi per liberarci da questa penosa situazione.
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salvezza Sicuri del favore anticipiamo un cordiale ringraziamento per aver
una delle più pure glorie del religiosissimo Abruzzo.
e salvato
Salutando romanamente, dev.mo P. Romualdo Dorati». L’esposto,
culture trasmesso dal Prefetto Tincani con nota del 17/09/1941 al Ministro
della Cultura popolare, non fu accolto. Le argomentazioni e il “saluto romano”, che sulla bocca di un passionista ha sinceramente del
grottesco, non valsero a ingraziarsi il Ministro, che in queste e in
analoghe situazioni era stato irremovibile.
’Eco restò sospeso dal giugno del
9. La “resurrezione”
1941 al febbraio
de L’Eco nel marzo del 1945
del 1945, per quattro
anni circa. Riprese le
pubblicazioni con il n. 1 del marzo del 1945, in felice coincidenza
con il XXV anniversario della canonizzazione di S. Gabriele.
Annunciava il nuovo corso il P. Ilario dell’Immacolata (Adolfo
Anitori: 1908-1967), che dal Preposito Provinciale, P. Norberto di S.
Maria (Donato Pantanella: 1900 – 1983), ne fu designato direttore,
con un editoriale dal titolo Dopo quarantacinque mesi di silenzio, in
cui, dopo aver espresso il più profondo rammarico, per i “quarantacinque mesi di silenzio per il periodico” e i “quarantacinque mesi di
mestizia per i devoti di S. Gabriele, annunciava il proposito di proseguire il cammino interrotto nel solco delle già note e consolidate
finalità del periodico, con maggiore slancio e “lena giovanile”:
«L’Eco torna a portare la gioia nei cuori. Torna a portare la benedizione di S. Gabriele. Torna agli infermi, agli afflitti, a tutti i provati
della sventura; torna a tanti orfani, a tante vedove, a tanti mariti che
piangono per i lutti della guerra. Ma la dura prova del silenzio non
ha menomato la sua vitalità. Vuol essere quello di prima. Uscirà con
lena giovanile, con propositi di arrecare un conforto più largo, una
benedizione tanto più copiosa quanto più attesa».
Non mancano le considerazioni sulle tragiche conseguenze provocate dal conflitto nella seconda parte dell’editoriale, in cui il P.
Ilario così scrive, libero ormai da condizionamenti autoritari e censori:«L’Eco piange su tante rovine, su tanti lutti pubblici e privati, e
fa voti che l’Angelo del conforto scenda dal cielo per tergere tante
lacrime […] Fa voti che per l’umanità, uscita da un lungo battesimo
di sangue, spuntino giorni migliori destinati a non scomparire mai
L
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più; e che tutti, dirigendo i loro sforzi ad un’unica meta, li affrettino
un largo benessere nel campo morale, intellettuale ed economico».
All’articolo del P. Ilario seguì quello del P. Fausto del Cuore di
Maria, dal titolo La rinascita dell’Eco di S. Gabriele che rifletteva
sulle disgrazie della guerra, generata dall’ideologia nazi-fascista,
che «invece di rendere omaggio al Creatore, voleva fare a meno di
Dio e andava difilato verso un paganesimo anche più turpe e sozzo
dell’antico, sfruttando la vita in un perpetuo carnevale profano e animalesco», e stigmatizzava l’iniquo provvedimento governativo, che
soppresse l’Eco solo perché esprimeva la verità:«mentre tanti giornali e periodici mondani, scandalosi, pornografici avevano tutta la
libertà di predicare e propagare la scostumatezza e il vizio, a L’Eco
di S. Gabriele fu messa la museruola e chiusa la bocca».
Nell’epilogo, dopo aver dichiarato che il periodico avrebbe recato,
come nel passato, «la testimonianza della inesauribile potenza e carità di Gabriele», espresse «sentita soddisfazione», nel riprendere «la
penna per L’Eco di S. Gabriele:«Son trentadue anni che la sventolammo la prima volta. Riprendiamo lieti la parola, che i nostri lettori
conoscono, e non è cambiata; e speriamo non debba loro dispiacere.
Come ci lusinghiamo che non debba dispiacere neppure a S. Gabriele,
perché attraverso mille peripezie, che sembravano doverla interrompere per sempre, più volte morta e sepolta, egli l’ha fatta sempre risuscitare; e speriamo di potergliela consacrare fino all’ultimo respiro».
Seguiamo le fasi che precedettero la ripresa delle pubblicazioni.
Il Questore di Teramo, dott. Francesco Belvisi, il 12/X/1944 rimetteva un rapporto al Prefetto di Teramo, nel quale dichiarava che,
espletate le indagini di rito, non sussisteva nessun impedimento alla
ripresa delle pubblicazioni dell’Eco. Precedentemente il
28/09/1944, il P. Ilario aveva chiesto al Prefetto di autorizzare la
stampa dell’Eco, a tiratura mensile, e lui stesso ad essere il direttore responsabile:«Il sottoscritto Anitori Adolfo (in religione P. Ilario
Passionista) di Lorenzo e della fu Mochi Rosa, nato il 16 novembre
1908 in S. Angelo in Pontano (Macerata), chiede alla S.V. l’autorizzazione ad assumere l’Ufficio di direttore responsabile del periodico L’Eco di S. Gabriele, a carattere esclusivamente religioso.
Chiede inoltre a V. E. che detto periodico, sospeso dall’autorità
fascista e poi rimesso dal Governo Badoglio, possa riprendere la sua
pubblicazione mensile, come faceva prima della sospensione».
Per la riattivazione dei fogli soppressi dal regime, si richiedeva
l’autorizzazione dei Prefetti, previa relazione dei Questori.
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I
l
Prefetto
di
Teramo,
dott.
10. La rapida espansione
Giuseppe
Zacchei,
del periodico del Santuario
sulla scorta del richiamato
rapporto,
il
22/X/1944 autorizzò il P. Ilario ad essere il direttore dell’Eco e a
riprendere le pubblicazioni, dopo aver acquisito i seguenti dati previsti dal R.d.l. n. 14 del 14/01/1944 (G.U. – Serie speciale- n. 3 del
19/1/1944)18: stato finanziario, “eventuale affiliazione politica, prezzo di vendita, nome e indirizzo del proprietario, nome e indirizzo
della tipografia, zona e mezzo di diffusione, quantitativo di carta e
luogo in cui si trova, numero delle copie da stampare, formato e
numero delle pagine.
La tipografia in cui si stampava il periodico era la “Casa editrice
Tipografia teramana” del cav. Luigi D’Ignazio, della quale era
direttore tecnico il maestro Pietro Palucci (fu stampato in proprio
dalla tip. Eco, quando questa si costituì nel 1952). Poiché le copie
prodotte (16.000) erano ritenute insufficienti a fronte della sensazionale crescita delle richieste di abbonamento provenienti dall’Italia e
dell’estero, il P. Ilario si rivolse alla Presidenza del Consiglio dei
Ministri, che aveva la competenza per la stampa e l’editoria, chiedendo di essere autorizzato ad aumentare la tiratura di altre 4000
copie, arrivando così alle 20.000 mensili. Per ottenere l’autorizzazione il P. Ilario si recò personalmente a Roma per essere ricevuto
dall’onorevole Giuseppe Spataro19, che in questo periodo era
Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri nel III
Governo Bonomi20.
Il regio decreto-legge era stato promulgato dal I Governo Badoglio
(27/07/1943 – 17/04/1944) [si vd. Raccolta delle leggi e dei decreti del
Regno d’Italia, vol. I, 1944, pp. 32-34].
19
Un tal Fonzi, funzionario nella Presidenza del Consiglio dei Ministri,
inviava al Segretario particolare dell’onorevole Spataro un biglietto, in cui raccomandava il P. Ilario che doveva essere ricevuto da quest’ultimo « (…) Il P.
Passionista [Anitori], latore della presente, è venuto da S.E. Spataro e dovrebbe essere ricevuto da te, come già ti ho detto per telefono senza aspettare
le 11. Grazie, Fonzi» (Archivio di Stato di Teramo, Prefettura, II/ 6, Gabinetto,
3° versamento, B. 12, f. 2).
20
Giuseppe Spataro (1897-1979), insigne uomo politico e statista abruzzese, che militò dapprima nel Partito popolare e poi nella Democrazia cristiana,
18
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Dall’incontro, documentato da una nota riservata apposta su un
biglietto dall’onorevole Francesco Libonati, secondo Sottosegretario alla stessa Presidenza (che aveva la delega per la Stampa, il
Turismo e lo Spettacolo), il P. Ilario riuscì a conseguire il fine
sperato. Spataro raccomandò la richiesta del religioso al Libonati,
che così scrisse al primo in una lettera del 9/05/1945:«Ho il piacere
di comunicarti che ho approvato il mensile L’Eco di S. Gabriele,
diretto dal Sac. Adolfo Anitori, per il quale sei vivamente interessato». Con le 20.000 copie del 1945, passate a 30.000 nel 1949,
si avviò una seconda stagione editoriale, segno di un crescendo
straordinario di copie, che sono arrivate nel 2008 al vertiginoso
numero di 130.000 circa al mese21.
della quale fu uno dei fondatori, fu Sottosegretario alla Presidenza dei Ministri
sia nel governo Bonomi 2 (18-06-1944/12-12-1944) che nel governo Bonomi
3 (12-12-1944/21-06-1945). Fu più volte Ministro nei governi degli anni che
vanno dal 1953 al 1960. Si vd. per un profilo di Spataro, E. Tiberii, G.
Spataro e il suo impegno per l’Abruzzo, Pescara, Ediars, 2004 e ora E.
Firmani, G. Spataro, in Gente d’Abruzzo – Dizionario biografico, vol. 9,
Andromeda editrice, Recanati, pp. 309-318.
21
Si vd. Santuario di S. Gabriele dell’Addolorata, editrice Velar, Torino,
2008, p. 36: «L’Eco di S. Gabriele, diffuso mensilmente in Italia e all’estero in
circa 130.000 copie».
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e
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salvezza ENG FASCISM AND THE CATHOLIC PRESS DURING
THE SECOND WORLD WAR.
e SUPPRESSION
OF THE PASSIONIST MAGAZINE “L’ECO
culture DI SAN GABRIELE
DELL’ADDOLORATA (1941)
By Giovanni Di Giannatale
The suppression of the magazine “San Gabriele dell’Addolorata
during almost the whole course of World War 2 is certainly food for
thought. The article that was objected to was in no way whatever
defeatist nor did it support pacifism, in fact it had no political finality at all. It was entirely of a religious nature. And yet, based on that
one article, the authorities proceeded to suppress a magazine which
was morally constructive and was meant to reach thousands of subscribers. This was and is a very typical procedure of totalitarian tendencies which still show-up in our days and which try to allow religion a very constricted space in the media, within parameters established by the dominant culture.
LE FASCISME ET LA PRESSE CATHOLIQUE
DURANT LA SECONDE GUERRE MONDIALE
LA SUPPRESSION DE L’ECO DI S. GABRIELE DELL’ADDOLORATA (1941)
de Giovanni Di Giannatale
FRA
GIOVANNI DI GIANNATALE
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culture
Le fait de la suppression du périodique L’Eco di San Gabriele
dell’Addolorata, durant quasi tout le cours de la seconde guerre
mondiale, est certainement instructif. L’article incriminé n’avait
aucun but défaitiste, ni vaguement pacifiste. Ce n’était pas à proprement parler un article à finalité politique. Il se situait clairement sur
le plan religieux. Toutefois, sur la base de ce seul article, on a
procédé à la surpression d’un périodique qui était constructif également sur le plan moral, qui aurait vite rejoint des dizaines milliers
d’abonnés. Ce fait est typique des tendances totalitaires présentes
aussi en notre temps, qui voudraient laisser à la religion un espace
bien délimité sur la base des principes établis par la culture dominante.
EL FASCISMO Y LA IMPRENTA CATÓLICA DURANTE LA SEGUNDA GUERRA MUNDIAL: LA SUPRESIÓN DE “L'ECO DI S. GABRIELE DELL'ADDOROLATA (1941)”.
De Giovanni Di Giannatale.
ESP
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e
culture
El suceso de la supresión de la revista “L'Eco di San Gabriele
dell'Addolorata” durante casi todo el decurso de la segunda guerra mundial es ciertamente aleccionadora. El artículo que se había
condenado no tenía ninguna finalidad política. Dicho artículo se
situaba claramente en un plano religioso. Sin embargo, sobre la
base de aquel solo artículo, se procedió a la supresión de una publicación periódica también moralmente constructiva, que pronto conseguiría decenas de miles de abonados. Dicho suceso es típico de
tendencias totalitarias presentes también en nuestro tiempo, que
pretenden relegar a la religión a un espacio bien delimitado sobre
la base de principios establecidos por la cultura dominante.
DER FASCHISMUS UND DIE KATHOLISCHE
PRESSE WÄHREND DES ZWEITEN WELTKRIEGS
DIE AUFHEBUNG DES ‚L’ECO DI S. GABRIELE
DELL‘ADDOLORATA‘ (1941)
von Giovanni Di Giannatale
GER
Die Unterdrückung der Zeitschrift: ‚L’Eco di San Gabriel
dell’Addolorata‘, die sich über fast den ganzen zweiten Weltkrieg
erstreckte, birgt zweifelsohne Lehrreiches. Der damals beanstandete Artikel hatte in keiner Weise defätistischen Charakter und war
auch nicht im Entferntesten pazifistisch. Er war nicht politisch motiviert und eindeutig auf religiöser Ebene anzusiedeln. Trotzdem ging
man auf Grund dieses einen Artikels dazu über, eine moralisch konstruktive Zeitschrift aufzulösen, die kurze Zeit später zehntausende
von Abonnenten erreicht hätte. Diese Vorgehensweise ist für totalitäre Tendenzen, wie sie sich auch in unserer Zeit ausmachen lassen,
typisch. Die dominante Kultur weist auf Grundlage der von ihr
selbst aufgestellten Prinzipien der Religion einen genau eingegrenzten Bereich zu.
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culture
salvezza FASZYZM I PRASA KATOLICKA PODCZAS
WOJNY ŚWIATOWEJ. ZAMKNIĘCIE
e DRUGIEJ
L’ECO DI S. GABRIELE DELL’ADDOLORATA (1941)
culture Giovanni Di Giannatale
POL
Wydarzenia związane z zamknięciem czasopisma L’Eco di San
Gabriele dell’Addolorata, w czasie prawie całej drugiej wojny
światowej są z całą pewnością pouczające. Artykuł, co do którego
postawiono czasopismu zarzuty, nie miał żadnego celu
defetystycznego czy pacyfistycznego w sensie szerokim. Nie był to
artykuł stawiający sobie cele ściśle polityczne. Miał on charakter
religijny. Jednak na podstawie tego artyku u rozpoczęto
postępowanie mające na celu zamknięcie czasopisma. Okazało się
ono jednak moralnym zwycięstwem, bo czasopismo szybko zyskało
po nim dziesiątki tysięcy prenumeratorów. Jest to historia typowa
dla tendencji totalitarnych, które obecne są także w naszych
czasach. Chciałyby one pozostawić religii przestrzeń bardzo
ograniczoną w oparciu o zasady ustalone przez dominującą kulturę.
GIOVANNI DI GIANNATALE
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culture
salvezza
e
culture
di TITO AMODEI C.P.
E’ assodato che l’arte nella Chiesa è indispensabile. Secondo
una accreditata valutazione sociologica, la fede è trasmessa e
conservata più per l’iconografia sacra che per la dottrina. Un
sacerdote artista, che metta al servizio della diocesi, o della
comunità religiosa, la sua competenza per delle scelte idonee
e pertinenti sarebbe davvero
auspicabile. L’articolista, per la
sua diretta competenza nel
campo, sa di poterlo sostenere
autorevolmente.
U
UN SACERDOTE
ARTISTA
PER OGNI
DIOCESI
n sacerdote se non
proprio artista, almeno un appassionato ed
intenditore d’arte, per
ogni diocesi. Sembra una richiesta superflua o
velleitaria. E non è così, considerato la vastità
di interessi culturali ed artistici che una diocesi,
qualunque diocesi, accoglie nel suo territorio.
Il sacerdote artista o cultore d’arte, ancora continua ad essere
considerato, nel proprio ambiente, una anomalia. Un soggetto che
esce dalla lista degli impegni codificati e perseguiti dai confratelli.
La sua attività verrà considerata un hobby piuttosto che un contributo che può essere molto utile al suo ministero. Sì, proprio al suo
ministero. Basta voler leggere quanto la Sacrosanctum Concilium1
impone di riflettere sull’arte che interagisce con la liturgia.
Nella storia dell’arte molti sono stati gli artisti del clero diocesano o regolari che hanno onorato, come si diceva una volta, la
Costituzione conciliare sulla Sacra Liturgia. Sacrosanctum Concilium.
Passim.
1
Un sacerdote
artista
per ogni Diocesi
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culture
salvezza nobile arte della pittura e della scultura, nonché dell’architettura.
sono ricordati solo pochi protagonisti e ci si basa prevalene Tuttavia
temente sulle classificazioni e parametri della storiografia tradizioculture nale. Quella soprattutto che valuta l’espressione artistica sotto il pro-
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culture
filo del linguaggio, prescindendo da altre componenti di cui l’arte è
sempre portatrice.
Nella formazione al sacerdozio si è privilegiato lo studio della
musica sulle altre espressioni artistiche. E questo è apparso giustificabile dal reale ruolo che il suono e il canto sono quasi organici alla
liturgia e al coinvolgimento dei fedeli. La lista dei cultori di questo
ramo dell’arte e delle loro opere è quanto mai vasta. E vasta è la lista
delle diverse forme musicali che hanno, nel tempo, supportato la
liturgia e formato i fedeli. E la Chiesa ha saputo accettare anche le
innovazioni che la cultura del momento imponeva.
Ci sono stati e ci sono anche architetti, tra il clero, e la loro professione gode di notevole e giusto credito nella rispettiva diocesi.
Soprattutto riguardo all’edilizia sacra, sia come patrimonio da custodire e da valorizzare sia come incremento da dare a nuove strutture
per il culto. Senza considerare il contributo che egli può dare anche
all’amministratore diocesano per la concretezza dei suoi pareri.
Il sacerdote pittore è considerato più come un dilettante, alla stessa stregua del sacerdote che compone poesie. Se poi il sacerdote si
cimenta con la scultura il suo caso davvero stupisce. (Il clero, in
genere, non ha molta dimestichezza con questa forma d’arte). La
scultura che tanto spazio occupa nell’arredo della chiesa e nella iconografia sacra, nella formazione seminaristica non viene a fare parte
degli interessi o curiosità didattiche.
Un sacerdote artista in diocesi può e deve coprire molti ruoli istituzionali, come si desume dal dettato della Sacrosanctum Concilium
e per cominciare la sua presenza non starebbe male tra i membri
della CEI dove si decidono le sorti della conservazione e promozione del patrimonio artistico-culturale e sacro della Chiesa e dove si
esaminano i nuovi progetti dell’edilizia per il culto. Senza, per questo, bandire da quel vertice la doverosa consulenza dei laici professionisti e preparati. Ma è nella propria diocesi l’ambito in cui il
sacerdote artista deve trovare l’area per i suoi capaci ed autorevoli
contributi.
La diocesi ha l’obbligo di istituire la Commissione per l’arte
Sacra. La diocesi ha l’obbligo di istituire il museo delle opere d’arte dismesse dal culto o comunque di proprietà della medesima e che
vanno adeguatamente tutelate e fruite come testimonianza culturale
della Chiesa.
Per sentirsi male bisogna affacciarsi nelle soffitte di antiche chiese o nel retro delle loro sacrestie, colpiti da tanti cimiteri di eccezionali e preziosi arredi dimessi irresponsabilmente dopo l’ultima riforma liturgica. Sempre che non siano arrivati in tempo i rapaci antiquari che costringeranno tali arredi a convivere spaesati con l’eterogenea altra loro merce. O quando non sono costretti ad uso decisamente profano.
La diocesi si deve relazionare con il Ministero dei beni culturali
per contiguità di impegni.
La diocesi ha il dovere di formare i candidati al sacerdozio alla
comprensione dell’arte del proprio tempo.
La diocesi ha il dovere di vigilanza, perché negli spazi destinati
al culto non entri una indiscriminata paccottiglia offensiva dei
misteri che vi si celebrano.
La diocesi ha il dovere di servirsi degli esperti che devono aiutare la Commissione di arte sacra nell’espletamento delle proprie
mansioni.
La diocesi ha l’obbligo di prendersi cura degli artisti allo scopo
di formarli allo spirito dell’arte sacra e della sacra liturgia.
Addirittura dovrebbe, per quanto è possibile, creare delle scuole
d’arte sacra.
Personalmente sulla creazione di scuole per l’arte sacra ho molte
riserve. L’arte sacra non si inventa da una cattedra per quanto prestigiosa sia. L’arte sacra va inseguita e scoperta nei fermenti della
ricerca del proprio tempo. Essa è prodotta dalle istanze spirituali
contemporanee a chi opera, le quali sono lo specchio del vissuto che
ci relaziona col trascendente. Non esistono canoni preconfezionati
che ci costringano a creare sacro. E per essere davvero radicale
dovrebbe bandirsi dall’arte qualunque aggettivo, compreso quello
sacro già troppo screditato e che crea condizionamenti psicologici2.
La scuola d’arte sacra dovrebbe crearsi uno stile supportato
da una filosofia estetica di cui non è difficile immaginarsi la provenienza. Si imporrà una strada da percorrere. Si imporrà dei canoni,
Cfr i cataloghi della fondazione Stauros per capire gli sforzi che gli organizzatori di quelle benemerite Biennali fanno per individuare tracce del sacro
nella ricerca dei nuovi linguaggi dell’arte di oggi.
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salvezza
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Un sacerdote
artista
per ogni Diocesi
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culture
salvezza quindi, raggelerà i risultati. Un’arte senza tempo e disincarnata, ma
attesterà mai la perenne attualità e vita della fede.
e cheCinonprovarono
nei primi dell’800 e ci provò la scuola di
culture Beuron sempre neli Nazareni
medesimo secolo, ma non hanno fatto storia.
Per farmi capire: non giovano alla cultura del sacro neppure i revivals stilistici. Come per esempio quelle scuole che si industriano a
fare risorgere le gloriose antiche icone. Le cosiddette nuove icone.
Quella della Icone era una cultura ben definita. Una simbiosi tra
sentire sacro e linguaggio postbizantino. E in quelle espressioni
sacre si capiva molto dei misteri che celebravano.
Oggi si fanno dei puri ed autentici falsi: non rappresentano la
nostra cultura figurativa e sono lontano dal nostro sentire religioso.
Chi le produce o le pone alla venerazione non concorre certo alla
causa della fede che vorrebbe servire.
La mole delle indicazioni e degli obblighi è davvero rilevante e
sarebbe fisiologico che l’eventuale sacerdote artista3 o formato alla
conoscenza dell’arte e dei suoi non facili problemi, ne assumesse
con competenza e responsabilità l’incarico. E gli si accordasse il
dovuto credito.
E per non restare solo nell’istituzionale si deve avvertire subito,
nella pratica, in che cosa consista il suo ruolo operativo il quale, a
nostro parere, ha due aspetti fondamentali.
Per ordine li leggiamo nella Costituzione Conciliare che ci fa da
guida. Nel secondo comma dell’articolo 124 della Sacrosanctum
Concilium è fatto obbligo ai vescovi di allontanare dai luoghi di
culto tutto quanto ne offende la sacralità. Tra le prime cose che
offendono questa sacralità è la congerie di immagini che con l’arte
non hanno nulla da spartire. Tutti quei prodotti di serie, di plastica
o di gesso dipinto; ma sempre artisticamente falsi. Serie muta e
affastellata che dovrebbe illustrare i grandi misteri della fede o
raccontare le gesta dei suoi testimoni. O che dovrebbe promuovere
la devozione mentre ne svuota i contenuti. Immagini in allucinante
compagnia di antichi capolavori del passato. Vero bazar del sacro
e del kitsch.
Questo sacerdote non dovrebbe essere il comune artista dilettante. Si è
dilettante non tanto perché limitato nel talento, piuttosto per mancanza di cultura completa che attiene all’arte. Se si dà credito a tale dilettante il danno che
ne proviene è incalcolabile perché egli può facilmente, per mancanza di autenticità, confondere i valori e non essere una buona guida della diocesi.
3
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culture
Ovviamente dell’immagine si ha sempre bisogno; ora più che
mai, in questo particolare momento storico che dell’immagine ha
fatto una fonte di conoscenza di cui non si può fare a meno.
E la Chiesa non si può sottrarre a questa legge e l’immagine che
le serve oggi è quella di oggi, come in passato si è servita di quella
del passato.
La chiesa fin dagli inizi ha catechizzato con la parola e con le
immagini. Ma non è stato quantificato quali delle due forme (dei due
linguaggi) sia servito di più alla trasmissione della fede. Tuttavia fin
dagli inizi si è ritenuto che per gli ignoranti delle cose della fede
(indotti), che sono la grande maggioranza, l’arte sopravanza la dottrina.
Non per nulla l’arte è ritenuta un vero linguaggio. Prima di rappresentare o significare essa deve interessarci come linguaggio:
mezzo di trasmissione. Linguaggio specifico che richiede anche un
codice di lettura. È una considerazione particolarmente necessaria
per l’arte di oggi la quale prescinde quasi sempre dal racconto e
dalla rappresentazione ma che si vuole imporre nello specifico di un
proprio lessico. È un linguaggio di cui si struttura la comunicazione
stessa. Ma che facilmente provoca crisi in quanti affidano all’arte
una riconoscibile mimesi.
Ora chi dovrebbe irrompere nella fortezza blindata della tradizionale iconografia religiosa se non uno esperto della materia?
Il mediatore fisiologico e capace può e deve essere quel sacerdote artista del quale stiamo parlando. E questo sarebbe il secondo
aspetto del suo ruolo.
Quel sacerdote artista, oltre ad essere il tecnico di una condizione specifica, dovrebbe avere anche il compito di inquietare la diocesi, allertarla perché si renda conto dell’insidia che minaccia la buona
comunicazione, insidia aggressiva data dall’immagine vorace ed
onnipresente. E il danno sottile o palese alla conservazione della
fede si valuterà solo quando sarà troppo tardi.
Bisogna tener presente che l’arte di oggi non rappresenta, non
narra, non spiega ma comunica, come già detto e comunica spesso
in maniera subliminale per cui è difficile governarne gli effetti.
Dal discorso generale e culturale si può facilmente scendere ai
comportamenti pratici. Dove è facile registrare una desolante e
costante conferma che queste note di principio non sono astrazioni
o riflessioni amare avulse dalla storia che quotidianamente va facendosi. La facilità di avere sul mercato del devozionale la possibilità
salvezza
e
culture
Un sacerdote
artista
per ogni Diocesi
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salvezza per qualunque fedele, di comprarsi il proprio santo e di donarlo alla
chiesa ha reso lo spazio sacro, anche quello tutelato dalle
e propria
Belle Arti, un bazar di deprimente kitsch.
culture È una buona scusa ed un comodo alibi per il clero scaricare sul
fedele la colpa del degrado. Ma se vai nella casa del rettore di quella
chiesa trovi la stessa batteria di oggetti sacri industriali. Questo è un
caso frequente. Non di rado per decorare gli spazi di una nuova chiesa si impegnano artisti di qualità e si sanno sostenere anche spese
rilevanti. Ma la buona decorazione del bravo artista può facilmente
essere oscurata dalle superfetazioni devozionali di altarini posticci
con tanto di maxi portacandele, e lumini sparsi qua e là e squalificare lo spazio organicamente progettato e screditare fede e cultura.
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culture
Tabernacolo nella chiesa di Fuksas a Foligno
salvezza
e
It is an established truth that art is indispensable in the Church. It culture
ENG
AN ARTIST PRIEST FOR EVERY DIOCESE
By Fr. Tito Amodei, C.P.
is a well-known sociological fact that faith is transmitted and conserved to a greater degree through sacred iconography than through
doctrine. An artist priest who places at the service of a diocese, or
religious communities, his various skills would be a wonderful
thing. The author is highly competent in this field and speaks with
some authority.
FRA
UN PRÊTRE ARTISTE POUR CHAQUE DIOCÈSE
de Tito Amodei
Il est vérifié que l’art dans l’Eglise est indispensable. Selon une
évaluation sociologique accréditée, la foi est transmise et conservée
plus par l’iconographie que par la doctrine. Un prêtre artiste, qui
met au service de son diocèse, ou de sa communauté religieuse, sa
compétence pour des choix idoines et pertinents serait vraiment
souhaitable. L’auteur de l’article, par sa compétence directe en ce
domaine, soutien cet affirmation avec autorité.
ESP
UN SACERDOTE ARTISTA PARA CADA DIÓCESIS
De Tito Amodei.
Es bien sabido que el arte en la Iglesia resulta indispensable.
Según una acreditada evaluación sociológica, la fe está transmitida
y conservada más por la iconografía sagrada que por la doctrina.
Es deseable que haya un sacerdote artista, que ponga al servicio de
la diócesis, o de la comunidad religiosa, su competencia en ideas
selectas y y que hacen al caso. El autor del artículo, que tiene
competencia directa en el campo, sabe que puede afirmarlo con
autoridad.
Un sacerdote
artista
per ogni Diocesi
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culture
salvezza EIN ‚KÜNSTLER-PRIESTER‘ FÜR JEDE DIÖZESE GER
e von Tito Amodei
culture Es steht fest, dass die Kunst in der Kirche unentbehrlich ist.
Entsprechend einer glaubwürdigen soziologischen Untersuchung
wird Glaube mehr durch heilige Ikonographie überliefert und
bewahrt als durch Lehre. Insofern wäre es in der Tat wünschenswert, wenn ein Künstler-Priester mit entsprechender Befähigung
der jeweiligen Diözese bzw. religiösen Gemeinschaft hilft, sachlich
fundierte und geeignete Entscheidungen zu treffen. Der Verfasser
des vorliegenden Artikels kann durch seine eigene Qualifikation in
diesem Bereich einen solchen Priester fachkompetent beraten.
KAPŁAN ARTYSTA W KAŻDEJ DIECEZJI
Tito Amodei
POL
Jest oczywiste, że w sztuka w Kościele jest konieczna. Według
potwierdzonej opinii socjologicznej wiara jest przekazywana i
zachowywana bardziej przez ikonografię sakralną niż przez
doktrynę. Należałoby sobie życzyć, by w każdej diecezji lub
wspólnocie zakonnej był kapłan artysta, który posłużyłby swoimi
zdolnościami, umożliwiając właściwe i kompetentne decyzje. Autor
artykułu, ze względu na swe doświadczenie na tym polu, może tę
opinię wygłaszać w sposób autorytatywny.
TITO AMODEI
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culture
salvezza
e
culture
di ELISABETTA VALGIUSTI
El Artista è il titolo originale di un bel film realizzato dai registi
argentini Mariano Cohn e Gaston Duprat. E’ una metafora sul
mondo dell’arte contemporanea, sulle logiche e le mode che vi
prevalgono. E’ una storia drammatica e comica allo stesso
tempo, coerente e assurda insieme.
R
DELL’ARTE
E
DELL’ARTISTA
omano è un anziano che
vive in una casa di riposo dove il giovane
Jorge presta servizio
come infermiere. Jorge
è un ragazzino timido e
riservato, senza istruzione ma molto scrupoloso e
paziente nel suo lavoro, e man mano si appassiona agli straordinari disegni che Romano tratteggia con furia e eleganza. Romano
non sa parlare o non vuole più parlare ma sente e capisce tutto.
Jorge comincia a collezionare i suoi disegni e decide di provare a
venderli.
Comincia la sua avventura da neofita in un mondo dell’arte ambiguo e elitario, dove incontra personaggi di ogni genere accomunati
da espressioni rarefatte e abituati a complicati modi culturali. Jorge
si presenta come l’autore dei disegni a un gallerista che, intravedendo un buon affare, accetta di organizzare una mostra. In breve,
la mostra è un grande successo e Jorge si ritrova lanciato come protagonista nel mondo dell’arte.
Jorge riesce a trasferire a casa sua il vero artista, Romano, in
modo da tenere sotto controllo la produzione dei disegni. Jorge tratta Romano molto bene e i due conducono insieme una vita tranquilla. Jorge comincia a leggere libri d’arte, cerca di capire qualcosa. E’
diventato un artista noto e deve fronteggiare situazioni pubbliche,
interviste, conferenze. Riesce a superare le difficoltà presentandosi
Dell’arte
e dell’artista
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culture
salvezza come un giovane schivo, di poche parole. Dall’altra parte, non rieproprio ad orientarsi fra gente e situazioni tanto diverse dalla sua
e sce
realtà. Si trova in gravi difficoltà quando deve fornire delle nuove
culture opere per un’importante mostra che il suo gallerista sta organizzando. Romano non disegna più e Jorge non sa come fare. Infine,
Romano comincia a imbrattare muri e carta. Jorge pensa sia un disastro, non capisce che Romano ha cambiato modo di esprimersi.
Provvidenzialmente, il critico che assiste Jorge vede i nuovi lavori e
si entusiasma. Jorge può affrontare la nuova mostra che diventa un
ulteriore successo. Ma il giovane è stanco di fingere, accetta la proposta di una galleria internazionale di trasferirsi a Roma. Prepara il
viaggio per se stesso e per Romano ma l’anziano improvvisamente
muore. Jorge si ritrova da solo a Roma.
La storia è molto ben congegnata e scorre pacatamente. Il suo
tratto fondamentale è la relazione fra finzione e arte, fra realtà e irrealtà. Jorge finge di essere un’artista, ma i quadri sono veri. La sua
fidanzata non gli crede quando le confessa la verità, pensa sia ubriaco. Romano è un grande artista ma non sa cosa questo significhi,
avvolto com’è nel suo autismo cronico. La relazione fra il giovane
e il vecchio è sincera, produce una realtà mistificata ma veritiera.
Jorge non può essere accusato di nulla.
I dialoghi sono ottimi, semplici, credibili. La riuscita del film sta
nel suo diventare l’oggetto stesso dell’arte, cioè il disegno, il quadro. Questo avviene grazie a delle inquadrature e a delle scene create in modo tale che traspongono continuamente la realtà filmica in
ELISABETTA VALGIUSTI
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culture
quadro. Il film è il quadro nel quadro. I disegni di Romano non si
vedono mai. Il pubblico che li osserva in galleria diventa protagonista del quadro che noi spettatori del cinema osserviamo al di là di
una cornice vuota. Cornici vuote che delimitano la sostanza del
film e partecipano a formarne il linguaggio. L’utilizzo di primi piani
strettissimi, di scene metà in luce e metà in ombra, di totali fissi su
muri e stanze, tutto partecipa a creare un linguaggio che bene esprime il formarsi dell’opera d’arte e il suo farsi realtà. E’ il film.
La fotografia di Ricardo Monteoliva varia da toni sottilmente
freddi a contrasti nettissimi, tendendo al bianco e nero con sfumature insinuanti e sinuose. Sono particolarmente avvincenti il taglio
e la luce delle inquadrature in primissimo piano, in dettaglio, di
occhi, mani, nasi, che si fanno materia totale .
Dentro a tutto questo stanno i due protagonisti, straordinari nel
loro essere ordinari. Sembrano nonno e nipote, ma sono proprio due
estranei. Jorge è interpretato dal noto musicista e cantante Sergio
Pangaro e Romano dal famoso scrittore Alberto Lanseca. Sono artisti argentini di rilievo. Non è un caso che un film sull’arte abbia
come protagonisti due veri artisti che non sono solo e necessariamente degli attori. Si intuisce che i due riescono ad arricchire i loro
personaggi con un apporto di esperienza personale, interpretando
con naturalezza e libertà riescono a dare un ulteriore contributo alla
metafora dell’arte nell’arte, al quadro nel quadro, al film nel film.
Anche gli altri personaggi sono stati interpretati da protagonisti dell’arte e della cultura argentini.
Il montaggio di Santiago Ricco è estremamente cadenzato, sfrutta con maestria tempi e ritmi, si impegna nel gioco di sovrapposizioni e dissolvenze di quadri e cornici vuote. Le scenografie di
Lorena Llaneza sono sobrissime, lineari, come sfondi dell’opera. Le
musiche di Diego Biffeld si adattano con cura a scene, montaggio e
recitazione.
I registi e sceneggiatori del film sono Mariano Cohn e Gaston
Duprat che hanno già realizzato insieme altri film. La loro è una
collaborazione artistica di notevole livello. Alla sceneggiatura del
film ha collaborato Andrés Duprat, direttore di Arti Visive al
Ministero della Cultura argentino. Andrés, fratello di uno dei due
registi e co-sceneggiatori del film, è l’ispiratore del soggetto e ha
dichiarato in un’intervista sul web : « Conosco bene il mondo dell’arte contemporanea. La mia idea non era quella di fare una critica
ma di scrivere una storia sul problema della paternità di un’opera
salvezza
e
culture
Dell’arte
e dell’artista
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culture
salvezza d’arte, una tematica molto contemporanea... Gastone e Mariano
migliorato molto la storia. Per esempio, è stata loro la decie hanno
sione di non mostrare le opere d’arte. Ho trovato molto interessante
culture la loro proposta di dislocare l’oggetto desiderato e di mostrare solamente gli effetti di quell’oggetto sulla società. E’ un dispositivo che
mi interessa perché la soggettiva del quadro permette di far confrontare il pubblico della mostra e il pubblico del film. E’ una complementarietà di visioni soggettive... L’artista nel film è due personaggi. Questa è la tesi del film. Vorrei che questo fosse chiaro al
pubblico. I due personaggi fanno l’artista... Il film è una sorta di
manifesto. Io continuo a lavorare nell’ambiente artistico e non penso
che il film ridicolizzi i curatori dei musei. Io adoro il mondo dell’arte. Il film non è nichilista nei confronti del mondo dell’arte. Amo
questo mondo anche se è arbitrario o ridicolo. A mio avviso, malgrado tutti gli aspetti ridicoli e snob, malgrado tutti i suoi difetti, il
mondo dell’arte mi sembra molto più interessante di quello dei dentisti e degli avvocati. Lo trovo affascinante. E’ un universo dove le
gerarchie cambiano rapidamente, dove un ragazzo analfabeta di 18
anni può diventare una celebrità”.
Il film è una produzione argentina con una partecipazione italiana dell’Istituto Luce ed è stato presentato al Festival di Roma del
2008. Ha dovuto attendere un anno per uscire nelle sale italiane.
El Artista è un ottimo esempio della vitalità culturale e della originalità artistica che caratterizzano la grande tradizione del cinema
latino-americano.
ON ART AND THE ARTIST
By Elisabetta Valgiusti
ELISABETTA VALGIUSTI
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culture
ENG
“The Artist” is the original title of a beautiful film directed by the
Argentine directors Mariano Cohn and Gastón Duprat. It’s a
metaphor for the world of contemporary art, based on the prevailing logic and fashion, at one and the same time a dramatic and comical story, coherent and yet absurd.
salvezza
e
El Artista, c’est le titre original d’un beau film réalisé par les met- culture
FRA
DE L’ART ET DE L’ARTISTE
De Elisabetta Valgiusti
teurs en scène argentins Mariano Cohn et Gaston Duprat. C’est une
allégorie sur le monde de l’art contemporain, sur les logiques et les
modes qui y prévalent. C’est une histoire dramatique et comique en
même temps, cohérente et absurde tout à la fois.
ESP
SOBRE EL ARTE Y SOBRE EL ARTISTA
De Isabel Valgiusti.
“El Artista” es el título original de una bella película, realizada por
los directores argentinos Mariano Cohn y Gastón Duprat. Se trata
de una metáfora sobre el mundo del arte contemporáneo, sobre las
lógicas y los modos que en él dominan. Esta una historia dramática y cómica al mismo tiempo, a la vez que coherente y absurda.
GER
DELL’ARTE E DELL’ARTISTA
von Elisabetta Valgiusti
‚Der Künstler‘ ist der Originaltitel eines schönen Filmes der argentinischen Regisseure Mariano Cohn und Gaston Duprat. Es ist eine
Metapher für die Welt der zeitgenössischen Kunst, der in ihr vorherrschenden Logik und Moden. Die Geschichte ist sowohl dramatisch als auch komisch, logisch wie absurd.
POL
O SZTUCE I O ARTYŚCIE
Elisabetta Valgiusti
El Artista to tytuł oryginalny pięknego filmu zrealizowanego przez
argentyńskich reżyserów Mariano Cohna i Gastona Duprata. Jest to
metafora opisująca świat sztuki współczesnej, logikę i mody, które
nim rządzą. Jest to historia zarazem dramatyczna i komiczna,
spójna i absurdalna jednocześnie.
Dell’arte
e dell’artista
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culture
recensioni
K
arl Rahner ebbe
a dire, nel lonLUIGI BORRIELLO OCD,
tano 1966, che
Esperienza mistica
il cristiano del futuro o
e teologia mistica,
sarà un mistico o non
LEV, Città del Vaticano,
esisterà affatto. Il teolopp. 283,
go gesuita non prevedeva l’arrivo di un gran
€ 22,00.
numero di mistici,
quanto piuttosto una
vita cristiana nella quale la fede intensamente vissuta diventa trasparenza mediante l’amore.
Nella pur sterminata produzione letteraria che recentemente si è
occupata di mistica, mancava uno studio sistematico della teologia
mistica e se ne sentiva l’urgenza; per questo, il ‘manuale’ di Luigi
Borriello era davvero necessario. Ma il termine freddo di ‘manuale’
non rende giustizia al prezioso lavoro del teologo carmelitano, perché nel leggere il testo si scopre – ed è una vera sorpresa – che nutre
meravigliosamente l’anima di luce e d’amore, per cui diventa un
testo adatto persino per la meditazione e la preghiera. Ciò è merito
della teologia mistica in sé, chiamata a dare definizione e contenuto
all’irruzione del Mistero divino nell’uomo; ma è anche merito
dell’Autore, che ha accreditato la sua competenza in materia in lunghi anni di insegnamento e con pubblicazioni specialistiche sul settore.
“L’intelligenza umana non può catturare il Mistero, mentre gli
deve lasciare spazi liberi di irruzione così da poterne essere illuminata. È l’epifania misteriosa di Dio all’anima ciò che si deve invocare, attendere e sperare. Una volta che Egli si para innanzi all’uomo…e questi non si sottrae al confronto, allora inizia la grande
avventura della conoscenza”. È una delle numerose gemme che
impreziosiscono il testo e lasciano al lettore il gusto di una saporosa scienza d’amore.
Poiché il Carmelo possiede una grande scuola in fatto di mistica
– e i suoi tre “dottori” sono tali soprattutto per l’analisi originale che
hanno offerto del cammino interiore e degli stati ‘alti’ dell’esperien-
119
recensioni
recensioni za di Dio -, l’Autore, da buon carmelitano scalzo, attinge abbondan-
temente alla dottrina teresiana e sanjuanista sulla comunione con
Dio, e si trova d’accordo con P Gabriele di S. Maria Maddalena
quando scrisse che “il Carmelo esclude sempre dalle sue prospettive mistiche le visioni e le rivelazioni particolari”.
Esperienza mistica riservata a pochi? No, risponde l’Autore: la
mistica cristiana “è la consapevolezza di un dono della Presenza
attuale di Dio accolto e vissuto, offerto a tutti, ma non goduto da
tutti, o perché le persone vivono nel peccato, o per ignoranza o per
timore dell’imprevedibile”.
Il lettore si troverà davanti pagine di Spirito e di fuoco, di soda e
raffinata teologia, e sentirà il fascino segreto del pati divina, “nel
senso di subire liberamente l’azione gratuita di Dio. È l’esperienza
di un rapporto interpersonale tra il Tu di Dio e l’io dell’uomo, relazione d’amore che avviene senza alcuna confusione tra i due partner”. Per questo, il libro di P. Luigi Borriello è rivolto non solo agli
“addetti ai lavori”, ai teologi e agli specialisti, ma a tutte le persone
attratte da Dio ad un’intima unione con Lui, e a queste ultime il testo
sarà solo di guida e conforto nelle vie che conducono alla pienezza
dell’Amore.
sr Maria Grazia Israele, o.carm
120
recensioni
recensioni
GHAZALI AHMAD,
Delle occasioni amorose
(Savaneh ol-Oshshaq),
a cura di Carlo Saccone, Carocci
(Biblioteca Medievale/116),
Roma 2007, pp 201, cm 11x18,
€ 19,00.
KRISTEVA JULIA,
Teresa, mon amour.
L’estasi come un romanzo
(Thérese mon amour. Récit,
Fayard, Paris 2008),
tr. di Alessia Piovanello, Donzelli
(Saggi. Storia e scienze naturali),
Roma 2009, pp VII+628,
cm 15x21, rilegato,
con sopracoperta, inserto b/n,
€ 35.00.
CINQUE MEGHILLOT. Rut,
Cantico dei cantici, Qohelet,
Lamentazioni, Ester,
a cura di Piergiorgio Beretta,
ebraico, greco, latino, italiano,
San Paolo (Bibbia Ebraica
Interlineare 17-21),
Cinisello Balsamo 2008,
pp 15*+231, cm 17,5x24,5,
rilegato, con sopracoperta,
€ 35,00.
AMATO ANGELO,
Gesù, identità del cristianesimo.
Conoscenza ed esperienza,
LEV (Pontificia Accademia
Teologica. Itineraria. 2),
Città del Vaticano 2008,
pp 472, cm 17,5x24,5, rilegato,
€ 28,00.
L
a mistica, nelle
varie e molteplici espressioni
linguistiche, culturali,
religiose,
canta
l’Amore, l’amante e
l’amato, una modulazione infinita di figure,
parabole,
allegorie
dove il divino e l’umano si mescolano, si confondono, giocano, si
seducono. Prosa e poesia, i generi di scrittura
con i quali, normalmente, cerchiamo di
dare una prima, immediata, generica classificazione di linguaggio e
scrittura, come si può
capire, sono l’ultima
cosa che importa. Il
fuoco della passione, la
vivacità delle immagini, la tensione estrema
del linguaggio fino
all’ineffabilità
sono
ben al di là di tale
classificazione.
Analogamente, e qui il
discorso è più intrigante, le differenze dottrinali religiose sullo stesso concetto di Dio e
Spirito,
diventano
molto meno importanti
121
recensioni
recensioni del sospetto che, invariabilmente, tutte le forme di ortodossia nutro-
122
recensioni
no nei confronti di espressioni al limite, e non di rado, francamente,
oltre i limiti di una “ragionevole” espressione della dottrina. Santi ed
eretici, venerati e perseguitati, maestri di spirito e banditi dalla
comunità di fede, i mistici, fondamentalmente, attirano e inquietano:
comunque, non consentono una religiosità abitudinaria, apatica , e,
quando l’espressione letteraria, spesso e volentieri, frequenta il
sublime, sono di per sé un godimento ineguagliabile che definire
estetico sarebbe riduttivo.
Ahmed Ghazali, mistico islamico medievale, si spinge fino a
cantare la santità di Iblis (Satana), campione dell’amore mistico, che
per la gloria di Allah accetta il suo anatema per non aver voluto rendere omaggio all’uomo: “Io amo questo onore che da Te mi viene,
giacché nessuno ti è necessario e nessuno è a Te confacente”. Una
erotologia ascendente, dalla psicologia alla metafisica alla teologia,
una via brevis, naturalmente non concessa a chiunque, ché anche in
questo caso imperscrutabile e assoluta è la volontà di Dio. Amato e
amante fanno riferimento all’Amore e allo Spirito. L’unione di
amante e amato, il grado più alto a cui spinge la contemplazione, la
seduzione della bellezza, si esalta nella fusione dell’uomo con Dio,
una riflessione del volto di Dio nell’anima, una visione tutta interiorizzata, il volto dell’amato diventa l’immagine dell’anima dell’amante. Tra le citazioni, spesso allusioni più o meno esplicite alla
ricca tradizione mistica, quella “blasfema” di Hallaj, il cui “Io sono
Dio” gli costò un atroce martirio: “Io sono Colui che amo e Colui
che amo è me/ Noi siamo due spiriti che inabitano un solo corpo/ E
se guardi me tu guardi Lui/ E se guardi Lui, tu guardi Noi”. Tra le
immagini, passate anche nel linguaggio mistico successivo, e non
solo islamico, “La falena /_che_/ per brama della luce, cade nella
fiamma”. Commentando “Ha detto Iddio l’Altissimo: Egli li amerà
ed essi ameranno Lui” (Corano V,54), Ghazali cita: “Io, in tutto il
mondo, fui lo scopo vero di Amore”, uno dei luoghi in cui si stempera l’idea islamica di un Dio sovrano assoluto nei cui confronti il
credente si pone esclusivamente come sottomesso e ubbidiente e,
in qualche modo, si apre all’idea ebraico-cristiana di un rapporto
amoroso tra il Creatore e la creatura. Dispiace che in un lavoro
puntuale e accurato per quanto riguarda l’Islam, chiamando a paragone il cristianesimo, riferimenti precisi si confondono con
espressioni fuorvianti: “Non v’è comunque nell’amore di Dio nessuna ontologica necessità, tanto meno “passionalità”, ma solo pura
regale gratuita munificenza: siamo evidentemente lontanissimi dalle
concezioni teologiche cristiane che fanno dell’amore l’essenza stessa di un Dio che, in un certo senso, non può non amare, che invia
persino il proprio figlio sulla terra a sacrificarsi per amore dell’umanità, che talora –ci suggeriscono i nostri teologi- “soffre” o “patisce”
con l’uomo e per l’uomo”(p.34).
Non è, certo, meno ardita e inquietante Teresa d’Avila (15151582, dottore della Chiesa): “Possiamo paragonare l’unione a due
candele di cera unite insieme così strettamente che emettono una
luce sola, o al lucignolo, alla fiamma e alla cera divenuti una cosa
sola”. Ma Teresa si premura di aggiungere immediatamente:
“Nondimeno, si può ben separare una candela dall’altra, in modo
che sussistano distintamente, o il lucignolo dalla cera”. Si può capire come in anni che davano da pensare e da fare all’Inquisizione,
non potesse suscitare apprensioni e sospetti una Vita che raccontava,
con tanta “naturalezza” estasi di amoroso deliquio di gioia inenarrabile e sofferenza indicibile, come quella, illustrata in modo sublime
ne La trasverberazione di santa Teresa, di Bernini, riprodotta in
sovraccoperta e all’interno del volume della Kristeva: “Vedevo vicino a me, dal lato sinistro, un angelo in forma corporea… nelle mani
un lungo dardo d’oro. Pareva che me lo configgesse a più riprese nel
cuore…lasciandomi tutta infiammata di grande amore di Dio. Il
dolore della ferita era così vivo… ma era così grande la dolcezza che
mi infondeva questo enorme dolore, che non c’era da desiderarne la
fine…”. Detto altrimenti: “Vivo, eppur non vivo in me,/ aspettando
sì alta vita,/ ché mi è morte il non morire”. Eppure, Teresa è donna
pratica, affronta battaglie per la riforma del Carmelo, aiutata da quel
piccoletto di Giovanni della Croce (dice con umorismo: siamo già
uno e mezzo!) grande santo ma sempre asustado, o, almeno, così
sembra. Diciassette fondazioni in venti anni, percorrendo in lungo e
largo la Spagna di allora, con i mezzi di allora, tra difficoltà interne
ed esterne e, vuole la leggenda, il giudizio sprezzante, di chi la definiva “femmina inquieta e vagabonda”. Teresa ha a disposizione
pochi libri popolari, dopo le esaltazioni “eroiche” di gioventù, di
edificazione e di autori spirituali, ma “Il Signore mi disse: ‘Non
darti pena, perché io ti darò un libro vivente’… Sua Maestà è stato
il solo libro dove ho letto le supreme verità… Chi, vedendo il
Signore coperto di piaghe e afflitto da persecuzioni, non abbraccia
le sue pene, non le ama e non le desidera?”. Per questo, Teresa, ossequiosa alla Chiesa (Kristeva non esita a parlare di astuzia), si affida
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recensioni ai letrados, teologi ufficiali (ma che, osserva Teresa, mancano di
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esperienza… “mi pare che la chiamino teologia mistica”), maestri di
spirito, anche santi, come Francesco d’Alcantara e Juan de Avila,
oltre che il detto Giovanni della Croce e diversi direttori spirituali,
come Girolamo Graziano “L’uomo della sua vita”, il suo desaguadero. Fulminata da Teresa, la scrittrice e psicanalista di origini bulgare, atea, dopo la trilogia del genio femminile (Colette, Hannah
Arendt, Melanie Klein), dedica alla grande mistica un récit, tra narrativa e autobiografia, documentato particolarmente sulla Vita, le
Mansiones, Fondazioni, Lettere. In dialogo vivacissimo, sul filo
continuo della vita e dell’esperienza di Teresa intrecciate alle proprie, con la storia della cultura, del femminismo, delle ideologie del
Novecento, Julia Kristeva dedica un post scriptum: “Lettera a Denis
Diderot sulla sovversione infinitesimale di una religiosa”: la sua
Monaca, con l’accusa virulenta di una religione falsa e ipocrita, alla
luce dell’avventura dei Lumi finita nel Terrore, è la regione della
mistificazione con la quale bisogna misurarsi, necessariamente,
prima di riprendere il discorso su Dio.
Storie d’amore nella storia d’amore di Jahwè per il suo popolo, sono quelle di Rut:”…Salmon generò Booz,; Booz generò Obed;
Obed generò Iesse e Iesse generò Davide” e di Esther: “…Questi
giorni vengono ricordati e festeggiati in ogni generazione, in ogni
famiglia, in ogni provincia e città; i giorni di purim non dovranno
sparire in mezzo ai Giudei e il loro ricordo non dovrà mai cancellarsi fra i loro discendenti”. Ma soprattutto il Cantico, come attestato
da una ininterrotta, ricchissima tradizione, dai Padri ai teologi, dai
maestri di spirito ai mistici, compresa anche la tradizione iconografica, è la sublime rappresentazione dell’amore tra Dio e il suo popolo e, poi, Cristo e la Chiesa, Cristo e il credente: “Mi baci coi baci
della sua bocca!”. Ma anche il migliore augurio che a tutti e ciascuno si possa fare: che trovi chi lo baci coi baci della sua bocca!.
Nella raccolta di contributi, per lo più editi, del Prefetto della
Congregazione delle Cause dei Santi, insieme a saggi impegnativi
sulla cristologia di alcuni teologi da Edward Schillebeecks a Karl
Rahner e sul dibattito odierno (Gesù di Nazaret di Benedetto XVI,
l’assolutezza salvifica del cristianesimo, la Dominus Iesus e le religioni…), una cospicua sezione è dedicata a “La vita in Cristo” come
realizzazione dell’auspicio di Nicola Cabasilas, che all’intellectus
Christi si accompagni l’amor Christi. Capitoli sono dedicati a Paolo
di Tarso e Agostino d’Ippona, a Nicola Cabasilas e Angela da
Foligno, Caterina da Siena, Ignazio di Loyola, Giovanni della
Croce, Luigi M. Grignion de Monfort, Edith Stein. Non poteva mancare la nostra Teresa, proclamata, con Caterina da Siena, dottore
della Chiesa nel 1970. La sua conversione, da una vita frivola e tiepida, avvenne in seguito a un incontro di Grazia con Gesù Cristo
coperto di piaghe: “Mi sentii tutta commuovere, perché rappresentava al vivo quanto Egli aveva sofferto per noi: ebbi tal dolore al
pensiero dell’ingratitudine con cui rispondevo a quelle piaghe che
parve mi si spezzasse il cuore. Mi gettai ai suoi piedi in un profluvio di lacrime, supplicandolo di darmi forza per non offenderlo più”.
Una “vita nuova” per questa donna riformatrice, fondatrice, maestra
di spiritualità e santità, scrittrice e, appunto, mistica che, se ha scritto libri importanti, soprattutto si è attenuta alla promessa: “Non
affliggerti perché io ti darò un libro vivente” che, ormai, è Cristo.
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n
fenomeno
tragico diffuso
BARBAGLI MARZIO,
nel tempo e
Congedarsi dal mondo. Il
nello spazio che non si
suicidio in Occidente e in
lascia inquadrare facilOriente, il Mulino
mente, come pure lode(“Biblioteca storica”),
volmente tentò Emile
Bologna 2009, pp 526, cm 15x21,
Durkheim nel 1897, in
rilegato con sopracoperta,
categorie. Ricorrono,
55 illustrazioni a colori
certo, i motivi dell’onoe numerose tabelle statistiche,
re (per lo stupro subito
o temuto, per la sconfit€ 32,00.
ta militare, per la vergogna di aver tradito…), dell’ira, dell’odio, della fedeltà, della protesta…, ma le varie
teorie si incalzano continuamente, con spiegazioni regolarmente,
almeno in parte, smentite. Lo stesso si dica dell’aumento e della
diminuzione del fenomeno in riferimento alla situazione
socio/ambientale: persecuzioni religiose e politiche, razziali, espansione o depressione economica. E così pure quando si confrontano i
dati nei vari paesi o presso gruppi etnici o religiosi. Barbagli parte
dall’analisi sociologica di Durkheim (integrazione e regolamentazione sociale come cause che spiegano le variazioni nella frequenza
delle morti volontarie) per denunciarne l’insufficienza (per la prima
causa: suicidio egoistico o altruistico; per la seconda: anomico o
fatalista), sia riguardo alle statistiche utilizzate (la sociologia moderna balbettava) che per le previsioni rivelatesi molto imprecise. Nella
pluralità delle cause a base della morte volontaria (psicosociali, politiche, biologiche…), vengono privilegiate quelle culturali: “il patrimonio di schemi cognitivi e di sistemi di classificazione, di credenze e di norme, di significati e di simboli dei quali dispongono gli
uomini e le donne”, i cui aspetti più rilevanti sono le intenzioni, il
modo, il significato, i riti concernenti il suicidio. Diviso in due parti
(il suicidio in Occidente e in Oriente), con due distinti inserti iconografici, il volume sviluppa un discorso documentato in modo ampio
e approfondito che può frastornare chi cercasse facili sintesi, ma che
rende bene la permanenza, l’ampiezza, la diffusione, la varietà del
fenomeno.
Presente nel mondo pagano e giustificato a determinate condizioni (commesso, anzitutto, da un uomo libero e non da uno schiavo e
per motivi di onore) quando non imposto, la sua liceità fu oggetto di
discussione in ambito cristiano (per sottrarsi ai tormenti del martirio
o al disonore dello stupro) fino a quando Agostino la negò decisamente e autorevolmente. Cessate le persecuzioni, la questione del
martirio era praticamente risolta. Quanto allo stupro, era un’immondezza commessa sulla donna, non con lei: “Strano a dirsi, erano due
e solo uno commise adulterio”. Si fissava così la dottrina ufficiale
della Chiesa fino al Codice del 1917, a quello del 1983 e al
Catechismo. La condanna unanime e le punizioni ostentatamente
esemplari, insieme al deterrente principale della dannazione eterna
non bastarono comunque a eliminare un fenomeno qui ampiamente
documentato, anche con episodi strabilianti. La crisi della società
feudale e la secolarizzazione che si manifesta a partire dal primo
Rinascimento determinano quei mutamenti culturali che rimettono
in discussione (Montaigne, More, Montesquieu, Beccaria,
Voltaire…) la liceità di disporre della propria vita, fino alle recenti
discussioni su testamento biologico, suicidio assistito, eutanasia.
Particolare attenzione viene rivolta al secolo appena trascorso
con i tornanti drammatici delle guerre mondiali, nazismo e fascismo, lager e gulag, shoah: anche in questo caso (se così si può dire),
elementi diversi e contrastanti fanno sì che le statistiche si sottraggono a schematismi nella loro variabilità e imprevedibilità, sia
all’interno di uno stesso paese, che tra paesi diversi. Quanto
all’Oriente, si analizzano in particolare i casi dell’India, con il sati,
il suicidio volontario della vedova che si immolava più o meno
volontariamente sulla pira del defunto marito, e della Cina con i
matrimoni combinati. Anche per questi paesi (ma non vengono trascurati l’URSS e il Giappone) la tradizione deve confrontarsi con i
rivolgimenti culturali e la nuova legislazione. L’ultimo capitolo (“Il
corpo come bomba”) è dedicato agli attacchi suicidi e al terrorismo,
nel quadro dei risorgenti nazionalismi e conflitti religiosi.
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Salvatore Spera
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n examen rigorosum,
una
AMERIO ROMANO,
appassionata
Iota unum.
disamina verbale e conStudio delle variazioni
cettuale, grammaticale
della Chiesa cattolica
e sintattica, filologica,
nel secolo XX,
filosofica e teologica di
storia della chiesa,
a cura di Enrico Maria Radaelli,
attraverso documenti e
prefazione del card.
pronunciamenti più o
Dario Castrillon Hoyos,
meno ufficiali e autoreLindau (“Biblioteca”), Torino 2009,
voli. E non soltanto
pp 751, cm 14x21,
“nel secolo XX”, con
€ 29,00.
particolare attenzione
al Vaticano II e al
AMERIO ROMANO,
postconcilio, ma risaStat Veritas.
lendo attraverso citaSeguito a “Iota unum”,
zioni, analisi e compaa cura di Enrico Maria Radaelli,
razioni, alla chiesa priLindau (“Biblioteca”), Torino 2009,
mitiva, agli apostoli,
pp 263, cm 14x21,
agli ipsissima verba di
€ 19,50.
Cristo. Una fortuna editoriale, connessa a convegni e interventi sulla stampa, “Osservatore Romano” compreso,
che sdogana da una lunga damnatio memoriae il pensatore luganese (1905-1997), fastidioso e inviso a tanti, e non solo novatores, per
la sua analisi puntuta e minuziosa, la polemica acre e comprensibilmente fastidiosa per una cultura vastissima e solida, una erudizione
difficilmente sostenibile dai tanti meno provveduti di lui e che rovescia, nei fatti, la vulgata invalsa per cui i “progressisti” erano sempre gli intelligenti e i “conservatori” ottusi. Va detto che la discussione oggi, e soprattutto per il deciso contributo di Benedetto XVI,
è più equilibrata, nel segno di una ermeneutica della continuità e non
della rottura, di una innovazione nella tradizione, della Veritas in
charitate, mentre, inevitabilmente, i volumi sono “datati”, rispettivamente al 1985 e 1997.
E’ una purificazione della memoria, una messa a punto vivace,
anche se inevitabilmente ripetitiva, delle “variazioni” che rasentano
l’eresia con imprecisioni, desistenze, parole in libertà, contraddizioni: circiterismo, mobilismo, neoterismo, pirronismo, ipocorismo,
confusionismo, trasposizione semantica, aporia, costrutto di parole,
antropotropismo, relativismo, eclettismo, “loquimini nobis placenta”, cristianesimo secondario, spirito largioristico e pelagiano,
bustofredicamente… Linguaggio colto, espressioni erudite per schizzi storici, soprattutto del concilio e postconcilio, documenti conciliari, allocuzioni papali e vescovili, formule teologiche, esperimenti
liturgici, pastorali e catechetici, crisi del sacerdozio e della vita religiosa, le donne nella chiesa (con l’espressione regolarmente ricorrente di “sacerdozio delle femmine”), la “destaurazione” dell’autorità…
Il termine di paragone, il criterio di verità assoluta è quello cattolico
di una societas christiana che non c’è più, se mai c’è stata, per cui
espressioni e concetti come libertà (e, peggio, libertà religiosa),
mondo (figuriamoci “simpatia” per un mondo corrotto e perduto)
dialogo, ecumenismo, progresso, adattamento sapiunt inevitabilmente di soggettivismo, relativismo, “sreligionamento”, desistenza…
In una parola, per un Autore che fa della logica e della conseguenza
logica un’arma micidiale, “peiorem sempre sequitur conclusio
partem”, che sarà, appunto una forma sillogistica, ma non sempre e
non necessariamente la più giusta e felice. Si aggiungano altri elementi discutibili , come l’uso del latino (contro lo “slatinamento”) o
l’abito clericale, il tentativo regolare di tirare tutto dalla propria parte,
con l’inevitabile cadere nella tanto aborrita contraddizione, i sofismi
per cui si definiscono contraddittorie o esagerate (rispetto alla
denuncia di errori ed abusi) espressioni di fiducia, di speranza, di
ottimismo. L’ultimo capitolo sull’escatologia, dove ancora una volta,
meritoriamente, si denunciano colpevoli omissioni nella teologia e
nella predicazione, è, riguardo all’inferno, di un giustizialismo che fa
raggricciare. E’ evidente che per l’Amerio, valoroso e per tanti aspetti meritevole vox clamantis (olim) in deserto, non ha senso il “surtout
pas trop de zèle”. Prova ne siano le desolatamente cervellotiche (“che
nessuno faccia di voi sua preda con la filosofia e con vuoti raggiri”,
Col 2,8) “chiose” alla “Tertio Millennio Adveniente” di Stat Veritas,
dove, alla luce del magistero di Benedetto XVI, si salva solo la 39,
sull’eccessivo numero di beatificazioni e canonizzazioni.
Salvatore Spera
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ostanzioso omaggio di affetto,
SEMERARO COSIMO (ed.),
testimonianza
credibile
di stima, racWalter Brandmueller
cogliere alcuni dei
Scripta manean.
numerosi scritti disseRaccolta di studi
minati nella lunga,
in occasione
feconda attività del
del suo 80° genetliaco,
docente ordinario emeLev (Pontificio Comitato
rito di “Storia della
di Scienze Storiche
Chiesa Medievale e
“Atti e Documenti“ 30),
Moderna” presso l’Università di Augsburg, già
Città del Vaticano 2009,
Presidente della “Compp X+ 454, cm 17x24,
mission Internazionale
rilegato con sopracoperta,
d’Histoire Ecclésiastidue foto a colori,
que Comparée, cofon€ 40,00.
datore e direttore dell’
“Annuarium Historiae
Conciliorum”, dal 1998
presidente del “Pontificio Comitato di Scienze storiche” della Santa
Sede. E non sono titoli “colorati”, come si evince dalla vastità e profondità della selezione degli interventi che confermano la solida
fama acquisita con il fondamentale Papst und Konzil im Grossen
Schisma (1378-1431. Studien und Quellen, del 1999. La ricca
“Bibliografia” abbraccia un arco di tempo di cinquant’anni di prodigiosa, benemerita attività. Nella “Presentazione”, Werner Maleczek
precisa che i contributi, scelti dallo stesso festeggiato e raccolti per
l’occasione, vanno dal 1983 al 2006, quasi una “eredità spirituale”
di sollecitudine di amore alla Chiesa, di accuratezza scientifica che
muovono al rispetto e all’ammirazione. Fondamentalmente medievista, il suo orizzonte cronologico e tematico si allarga alla tarda
antichità e alla storia contemporanea, dal Decretum Gratiani al
Vaticano I e II, da Silvestro II alla formazione del clero nel
Medioevo, dall’ecclesiologia di Bernardino da Siena a Niccolò V e
la caduta di Costantinopoli, dall’antipapa Giovanni XXIII al
Concilio di Siena del 1423-24, dal caso Galilei alla disputa su Pio
XII. Una ricerca storica che analizza i fenomeni storici con le loro
cause ed effetti, libera da polemiche anacronistiche ed apologetica
postuma: “L’adrenalina di pur nobili emozioni non dovrebbe infiltrarsi nell’inchiostro dello scrittore di cose storiche”. Quanto a chiarezza di giudizio, non manca, ad es., di documentare il disastro della
Commissione storica ebraico-cattolica per appurare la validità
scientifica dei 16 volumi di Atti e Documenti della Santa Sede relativi alla Seconda Guerra mondiale: superficialità, disprezzo degli
strumenti della ricerca storica, rifiuto del metodo peculiare di indagine erano destinati a non portare ad alcun risultato. L’ultimo e più
recente saggio sulla Storia della Chiesa in Germania consente, continua Maleczek, di individuare lo sguardo critico ed accorato sullo
sviluppo della disciplina storica nelle facoltà telogiche cattoliche
nelle università tedesche: lamenta una riduzione dello spettro tematico, meno universale, prova ne è il trascurare il periodo medioevale. Contro una concezione della Storia della Chiesa quasi materia
profana che rappresenta la Chiesa come una sorta di istituzione
sociale di carattere mondano, riprende decisamente l’orientamento
di Hubert Jedin di una disciplina teologica che opera con gli strumenti della ricerca storica, sulla base della fede nella Chiesa come
strumento dell’azione salvifica di Dio. “Per Scienza della Storia
della Chiesa noi intendiamo l’indagine scientifica e l’interpretazione dell’opera che la Chiesa compie in se stessa quale organo della
trasmissione della eredità di Gesù Cristo intesa in senso ampio”.
Solo qualche spiga. Nella “Ecclesiologia di San Bernardino da
Siena”, dove l’Autore, analizzando l’Opera Omnia, vede che la predicazione del Santo su Cristo e la Chiesa, nel periodo fra il 1380 e il
1444, coincidente con la perdurante crisi ecclesiologica dello
Scisma d’Occidente, non si occupa delle dispute di teologi e canonisti, lontane dalla vita reale del popolo di Dio: “Non omnia, quae
sunt in actis, fuerunt in mundo” (una sapida parafrasi del “quod non
est in Codice, non est in mundo”). Invece, quanto alla formazione
dei chierici, “An saecularibus litteris oporteat eos esse eruditos”,
sulla scorta dei Padri della Chiesa, sottolinea, in sintonia con
Benedetto XVI, l’importanza dello studio del greco e del latino. Un
fondamentale presupposto storico al Vaticano II è “L’insegnamento
dei Concili sulla corretta interpretazione delle Sacre Scritture fino al
Concilio Vaticano I” e prezioso è “Il Concilio di Siena del 142324”, tramite importante tra Costanza (1414-18) e Basilea-FerraraFirenze (1431-45) per il superamento definitivo della delicatissima
crisi del conciliarismo, acuita da interessi politici nazionalistici e
maneggi diplomatici.
Salvatore Spera
recensioni
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schede
bibliografiche
PASTORALE (34)
M. CHIODI,
L’enigma della sofferenza
e la testimonianza della cura.
Teologia e filosofia
dinanzi alla sfida del dolore,
Glossa, Milano 2003,
pp. 9-58.
INTRODUZIONE GENERALE
I
l saggio che esponiamo è il frutto di un corso di lezioni tenute
nell’anno accademico 2000-2001. L’autore del libro è Maurizio
Chiodi, docente di teologia morale presso la Facoltà Teologica
dell’Italia Settentrionale. Lo scopo dell’opera è di sviluppare una
riflessione sul senso della sofferenza, partendo da una prospettiva
pratica. Il pensiero occidentale ha sempre prediletto un approccio
teorico alla realtà ed ha messo ai margini il vissuto concreto dei soggetti. É necessario, invece, recuperare la dimensione esistenziale del
dolore, perché il problema del male si manifesta nella sua drammaticità solo nella coscienza personale. L’uomo, infatti, si chiede il
significato del male nel momento in cui è toccato dall’esperienza del
“suo” dolore. La prima parte del libro espone e commenta il pensiero di alcuni studiosi di bioetica riguardo all’esperienza della sofferenza. Il nostro autore sceglie deliberatamente di concentrare il proprio interesse sugli autori d’orientamento fenomenologico.
L’approccio esistenziale, infatti, supera il pregiudizio positivista che
riduce il dolore ad una realtà misurabile. La sofferenza, invece, non
appare al soggetto come un “oggetto esterno”, ma come una condizione che tocca la sua stessa identità. Nella seconda parte del libro
Chiodi cerca di comprendere la relazione che sussiste tra colpa
133
schede
schede (male compiuto) e la sofferenza (male subito). A questo proposito
in dialogo con la filosofia di Max Scheler e Paul Ricoeur, per
bibliografiche entra
poi concentrarsi sull’analisi del salmo 22. Chiodi ritiene che questo
passo della Scrittura sia utile per esaminare l’esperienza del dolore
dell’innocente.
SOFFERENZA, SOLITUDINE E CURA (S. HAUERWAS)
1. PENSARE TEOLOGICAMENTE IN BIOETICA IN UNA SOCIETÀ PLURALISTICA
l primo autore affrontato da Chiodi è Stanley Hauerwas1, teologo morale americano ed esponente di spicco della cosiddetta teoria delle virtù. Il problema principale di Hauerwas è quello di
comprendere come sviluppare una bioetica cristiana in una situazione multiculturale. La sua riflessione nasce, infatti, come una risposta alla bioetica liberale di Engelhardt. Questo autore ritiene che le
diverse visioni del mondo devono rinunciare ad imporsi nello spazio pubblico per permettere la pacifica convivenza nella comunità
pluralistica. L’unico principio morale universale è, dunque, il rispetto delle diverse etiche private. Hauerwas afferma che le teorie di
Engelhardt portano, di fatto, ad una schizofrenia morale. Il pensiero
liberale sviluppa una morale debole ed indeterminata che finisce per
acuire i conflitti piuttosto che pacificarli. Il pensiero di Engelhardt,
inoltre, si mostra incapace di riconoscere che la medicina non è una
scienza a-valutativa, ma si presenta come una pratica morale.
I medici, infatti, non predispongono solo una terapia (to cure)
al malato, ma cercano, innanzi tutto, di prendersi cura (to care) del
corpo del malato. La medicina rappresenta l’impegno della comunità umana per la vita del malato. Si può quindi pensare di creare una
società pacifica solo se si unisce al principio di libertà l’impegno per
la cura dei malati.
I
Chiodi analizza in particolare alcuni discorsi contenuti in S. HAUERWAS,
Suffering presence. Theological reflections on Medicine, the Mentally
Handicapped and the Church, University of Notre Dame Press, Indiana (USA)
1986.
1
134
schede
schede
bibliografiche
auerwas tenta di spiegare meglio il significato della medici-
2. SOFFERENZA, MORTE E MEDICINA
H
na come pratica morale analizzando la relazione tra azione
terapeutica e dolore. La società moderna rifiuta ogni forma
di dolore tanto che, spesso, si preferisce sopprimere il malato piuttosto che lasciarlo soffrire. Hauerwas ritiene che sia assurdo eliminare una persona per evitare la sofferenza, perché il dolore è una
realtà che fa parte della vita stessa. Il compito del medico non è
quello di eliminare ogni tipo di dolore ma di “alleviare la sofferenza”. Hauerwas inizia un’analisi dell’esperienza della malattia per
spiegare meglio il suo pensiero. La sofferenza è sempre una realtà
soggettiva legata ad un’esperienza esistenziale. Il malato si sperimenta come alienato da se stesso, perché avverte che un’altra entità, la malattia, lo pone in una situazione di passività. Il soggetto può
superare questo stallo se accetta di far propria la malattia. La medicina deve, dunque, favorire questo processo di integrazione rendendo la malattia sopportabile. La fede cristiana può aiutare in questo
difficile cammino, in cui il soggetto è chiamato a dare valore all’assurdità del male. A questo proposito, Hauerwas ricorda che la sofferenza per il cristiano è accettabile non perché abbia un senso in se
stessa, ma perché Gesù stesso l’ha affrontata e l’ha resa strumento
di salvezza.
3. MEDICINA
ED AUTORITÀ NELLA SOCIETÀ LIBERALE: OLTRE
PATERNALISMO ED AUTONOMIA
H
auerwas riflette, in seguito, sulla relazione tra medico e
paziente e riconosce che il problema più grande nella nostra
società è legittimare l’autorità del medico senza cadere nel
paternalismo. La società liberale ha ridotto la relazione tra malato e
medico ad un contratto, nel quale i due contraenti si pensano come
soggetti liberi ed autonomi. Tutto ciò non corrisponde al vero, poiché il malato si trova in una situazione di bisogno che lo rende, di
fatto, soggetto all’azione del medico. In realtà, il pensiero liberale
non comprende che l’autorità del medico non pregiudica l’autonomia del paziente, ma lo aiuta a discernere meglio la sua situazione.
É chiaro, infatti, che l’autorità del medico non si fonda su una sua
posizione di forza rispetto al malato, ma sulla capacità del dottore
135
schede
schede di cooperare con il paziente al fine di raggiungere il benessere
corpo malato. Tale obiettivo non si raggiunge solo con le
bibliografiche nel
conoscenze teoriche, ma soprattutto mediante l’esperienza pratica,
avvalorata da una tradizione comune. Il medico può dunque comandare qualcosa al paziente perché entrambi condividono la stessa
visione del mondo. Il medico non pretende di eliminare i limiti del
corpo, ma aiuta il soggetto a vivere bene nella sua umanità fragile.
Il problema della società moderna è che ha rotto l’unità presente tra
medici e pazienti. Per questo i medici sono divenuti una comunità
autoreferenziale che ha come unico scopo il raggiungimento del
massimo grado d’efficienza. La medicina moderna pretende di
eliminare ogni limite del corpo e si propone come una forma di
salvezza immanente. Lo sviluppo del paradigma efficientista
ha ridotto la relazione tra paziente e medico a mero contratto di
prestazione.
4. GUARIGIONE E SALVEZZA
S
136
schede
econdo Hauerwas possiamo ristabilire una relazione umana
tra medico e paziente solo se ricreiamo una comunità curante
che condivide le medesime credenze. A tale scopo, è necessario approfondire la relazione tra religione e medicina per stabilire
come riportare l’armonia tra una visione trascendente del mondo e
l’azione pratica di guarigione. Il conflitto tra la fede e la scienza
medica è sempre in agguato, perché la salute fisica non può essere
scissa da uno stato di benessere di tutta la persona. Dobbiamo, dunque, superare il dualismo tra guarigione e salvezza per elaborare
un’etica teologica capace di dialogare con il mondo moderno, nel
quale opera la medicina. Hauerwas è cosciente che, se poniamo il
problema in termini astratti, rischiamo di cadere in un vicolo cieco.
La morale cristiana si fonda su un’esperienza che non tutti condividono e che dunque non può pretendere di diventare assoluta. Il
nostro autore riconosce, invece, che sarebbe più fruttuoso partire
dall’esperienza pratica. Le credenze cristiane hanno una forma
intrinsecamente pragmatica, perché permettono la fondazione della
comunità di fede. La Chiesa, infatti, nasce e si sviluppa sul comandamento dell’amore reciproco. La comunità medica può riconoscere nella Chiesa un modello a cui ispirarsi per prendersi cura nella
maniera migliore dei malati.
Chiodi riconosce che gli studi di Hauerwas danno dei contributi
interessanti per l’interpretazione dell’esperienza della malattia.
Innanzi tutto, Hauerwas sottolinea la qualità pratica dell’azione
terapeutica e l’importanza di una tradizione e di un’autorità.
Il teologo americano ha anche il merito di armonizzare l’abilità del
terapeuta (to cure) con la capacità di sviluppare un atteggiamento di
cura verso il malato (to care). Per Chiodi il pensiero di Hauerwas è,
però, carente dal punto di vista metodologico e trascura la
dimensione trascendente della fede. La pratica medica sperimenta,
spesso, anche l’impotenza di fronte alla malattia e ci obbliga ad
aprirci al mistero della vita mediante la preghiera. É necessario,
inoltre, rifondare la riflessione riguardo alla testimonianza cristiana
sull’evento cristologico. L’amore cristiano, che giustifica la cura
verso il malato, si comprende solo come segno più grande
dell’amore di Dio per l’uomo.
schede
bibliografiche
Alessandro Cancelli c. p.
137
schede
schede
bibliografiche
PASTORALE (35)
M. CHIODI,
L’enigma della sofferenza
e la testimonianza della cura.
Teologia e filosofia
dinanzi alla sfida del dolore,
Glossa, Milano 2003,
pp. 58-82.
1. PAZIENTE E PRATICA MEDICA NELLA
POST-MODERNA (A. MACINTYRE)
FRAMMENTAZIONE ETICA
C
hiodi si sofferma ad analizzare l’opera del filosofo morale
Alaisdair MacIntyre2. Il noto pensatore americano inizia la
sua riflessione partendo dalla constatazione della frammentarietà della nostra epoca. La società post-moderna si caratterizza
per la compresenza di diverse visioni del mondo, che non collimano
tra loro. In questa situazione è impossibile risolvere le questioni etiche, perché manca un punto di partenza riconosciuto dai diversi
membri della società. É chiaro, infatti, che la compresenza di diverse visioni del mondo impedisce, di fatto, lo sviluppo di un consenso
ampio attorno ai valori fondamentali della vita. La conseguenza
diretta della frammentarietà sociale è la crisi delle autorità e l’eclissi della tradizione. Ogni società umana riconosce a taluni soggetti
un’autorità, ossia la capacità di giudicare meglio degli altri intorno
Il nostro autore sintetizza i contenuti di un discorso di MacIntyre, intitolato
«Patients as agents», che è stato pronunciato durante il Symposium
Philosophical medical Ethics: its nature and significance, Connecticut (USA)
1975.
2
138
schede
ai casi particolari. Questa qualità non dipende solamente dal grado
di conoscenze teoriche del soggetto, ma è fondata sulla sua capacità di riconoscere la presenza del bene nei singoli eventi. La legittimità dell’autorità è fondata sulla tradizione, che consiste in quella
visione comune del bene tramandata in una comunità. Secondo
MacIntyre l’autorità e la tradizione non negano la responsabilità
della coscienza, ma la aiutano a camminare verso il bene. La società ha sempre riconosciuto ai medici una particolare autorità morale,
perché svolgevano una funzione essenziale per la collettività. La
crisi della tradizione e lo sviluppo della specializzazione del sapere
hanno fatto sì che l’autorità del medico fosse messa in crisi. Tutto
ciò ha portato alla nascita di un nuovo tipo di relazione tra il medico ed il paziente: il modello contrattuale. Il medico è considerato un
erogatore di servizi, che è tenuto a rispondere ai bisogni dei malati.
Questo modello si rivela fallimentare, poiché la prassi medica deve
prendere delle decisioni che non si riducono alla mera applicazione
di procedure tecniche, ma che hanno una dimensione morale. Si
deve, inoltre, riconoscere che il modello contrattuale non tiene conto
dell’errore umano. La crisi dell’autorità tradizionale pare irreversibile e, per questo, MacIntyre ritiene che l’unica soluzione alle questioni di bioetica sia l’autonomia del paziente. Nella mancanza di un
consenso sui valori fondamentali i singoli malati non potranno più
affidarsi alle opinioni dei medici curanti, ma saranno costretti a scegliere tra le diverse proposte di cura, fondate su visioni del mondo
differenti.
Chiodi critica le conclusioni di MacIntyre, perché producono un
evidente circolo vizioso. Il filosofo americano, infatti, afferma che
la radice della crisi dell’autorità medica è da imputare all’eccessiva
frammentazione della società, ma, allo stesso tempo propone come
unico rimedio a tale situazione l’incremento dell’autonomia del
paziente. La proposta rischia di peggiorare ulteriormente la relazione tra medico e paziente. Chiodi ricorda, inoltre, che la nostra autonomia non è mai assoluta, poiché è sempre connessa con la dipendenza dei singoli nei confronti della comunità. Dobbiamo, dunque,
riconoscere che la morale è sempre eteronoma, poiché la coscienza
è sempre in relazione con l’alterità.
schede
bibliografiche
139
schede
schede 2. F
bibliografiche P
ILOSOFIA DELLA MEDICINA ED ONTOLOGIA DEL CORPO
ELLEGRINO E
(E.
D. THOMASMA)
ricercatori Edmund Pellegrino e David Thomasma3 riflettono
sulla relazione tra medicina e filosofia, per mostrare che la pratica medica richiede una visione ontologica del corpo umano. I
medici hanno un gran numero di possibilità, ma non sanno a quale
fine indirizzare la loro azione terapeutica. Tutto ciò può portare
alcuni scienziati a confondere il piano della scienza, che studia i
fatti, con l’ambito della filosofia, che ricerca il senso della realtà. I
problemi morali dei medici possono essere risolti solo riflettendo sul
senso ultimo dell’azione medica. I due teologi, dunque, iniziano una
riflessione sul corpo vivente partendo dalla prospettiva pratica. Essi
indicano quattro campi di ricerca: una riflessione sulla pratica medica che mostri come il corpo sia la rivelazione dell’intera persona
umana; l’analisi della relazione tra mente, corpo e libera volontà al
fine di superare il dualismo anima-corpo; una riflessione generale
sull’essere che aiuti il giudizio clinico ad applicare le conoscenze
generali alla realtà pratica ed, infine, una riflessione sul concetto
generale di salute e malattia per elaborare un’adeguata “sapienza del
corpo”.
La riflessione filosofica di Pellegrino e Thomasma parte dall’esperienza umana per non cadere nel pregiudizio naturalista, che
non considera la dimensione esistenziale, ma riduce il corpo ad un
puro “oggetto” d’indagine. Essi individuano tre livelli d’esperienza
umana: il sé vissuto, che consiste nel catalogo obiettivo delle caratteristiche degli esseri umani e che è oggetto d’indagine dell’ambito
scientifico; il livello del corpo vissuto, che consiste nell’esperienza
esistenziale dell’essere corpo e che non può essere oggettivato ed,
infine, il livello dell’organismo fisico, che pone la questione della
sopravvivenza. La distinzione di questi tre livelli porta a elaborare
un nuovo concetto di legge naturale. Il soggetto non è un semplice
caso di una natura generale, ma possiede una sua unicità che
va rispettata. Il corpo è, infatti, l’espressione immanente dell’identità della persona, che non è risolvibile in nessuna classificazione
astratta.
I
Chiodi si rifà in particolare al libro E. D. PELLEGRINO-D. C. THOMASMA, A
philosofical basis of medical practice, Oxford University Press, New York 1981.
3
140
schede
Per Chiodi il pregio maggiore di Pellegrino e Thomasma è di aver
introdotto nella filosofia del corpo alcuni concetti fondamentali
della fenomenologia di Merlau-Ponty. In particolare, la distinzione
tra il corpo vissuto e il corpo oggetto è uno dei guadagni più notevoli ricavati dal pensiero del filosofo francese. L’esperienza primaria della coscienza, infatti, non separa l’oggetto dal soggetto, ma li
coglie entrambi nell’unica Lebenswelt (mondo vitale). Chiodi avanza una critica sul metodo scelto da Pellegrino e Thomasma: non c’è,
infatti, sufficiente chiarezza sulla relazione tra ontologia e metodo
fenomenologico. Tutto ciò può portare a ricadere in una metafisica
astratta, che si allontana dall’esperienza esistenziale.
schede
bibliografiche
Alessando Cancelli c. p.
141
schede
INDICE GENERALE
EDITORIALI
Continuità e rottura, radicamento e sradicamento,
riscoperta e riappropriazioni delle radici.
(Adolfo Lippi)
I-II,....................................................................................
L’ Enciclica Caritas in Veritate,
una lezione magistrale offerta all’intera umanità.
(Adolfo Lippi)
III, .....................................................................................
pag.
3-7
»
3-9
»
9-39
»
41-68
»
11-43
»
45-70
»
3-25
»
27-52
SACRA SCRITTURA E TEOLOGIA
Il movimento patripassiano: istanze positive
per l’elaborazione del concetto cristiano di Dio
(prima parte)
(Gianni Sgreva)
I-II,....................................................................................
La Passione di Cristo in Kierkegaard.
Note di ricerca (seconda parte)
(Mario Cempanari)
I-II,....................................................................................
Il movimento patripassiano: istanze positive
per l’elaborazione del concetto cristiano di Dio
(seconda parte)
(Gianni Sgreva)
III, .....................................................................................
La circoncisione del cuore
alla luce della teologia del «terzo utero»
(Roberto A. Maria Bertacchini)
III, .....................................................................................
Tematiche teologiche in relazione all’Eucaristia
(Maurizio Buoni)
IV, ………………………………………………………
La teologia contenuta nel testo delle Costituzioni
dei passionisti
(Adolfo Lippi)
IV, ………………………………………………………
PASTORALE E SPIRITUALITÀ
Il Cammino neocatecumenale
alla luce del Concilio Vaticano II.
(Maurizio Buioni)
I-II,....................................................................................
Evangelizzare il mondo a partire dalla “kenosi”.
(Fernando Guillen Preckler Sch.)
I-II,....................................................................................
L’esperienza mistica di San Gabriele a Spoleto
(Antonio Artola)
I-II,....................................................................................
Maria Maddalena Frescobaldi Capponi
una eccezionale figura di donna forte
(Adolfo Lippi)
III, .....................................................................................
«Nelle carceri naziste con San Paolo».
La testimonianza di Max Josef Metzger
Lubomir Zak
IV, ………………………………………………………
pag.
69-122
»
123-131
»
133-154
»
71-92
»
53-83
»
155-161
»
163-168
»
93-98
»
85-104
»
105-112
»
113-117
SALVEZZA E CULTURE
Il valore di una profezia
(Tito Amodei)
I-II,....................................................................................
La carrozza d’oro di Anna Magnani
(Elisabetta Valgiusti)
I-II,....................................................................................
Miliardari in India
(Elisabetta Valgiusti)
III, .....................................................................................
Il fascismo e la stampa cattolica
durante la seconda guerra mondiale.
La soppressione de L’Eco di San Gabriele dell’Addolorata
(Giovanni di Giannatale)
IV, ………………………………………………………
Un sacerdote artista per ogni Diocesi
(Tito Amodei)
IV, ………………………………………………………
Dell’arte e dell’artista
(Elisabetta Valgiusti)
IV, ………………………………………………………
RECENSIONI
Max Joseph Metzger, La mia vita per la pace. Lettere dalle prigioni naziste scritte con le mani legate, I-II, 177. Mc Ginn Bernard, Storia della
mistica cristiana in occidente, I-II, 181. Bracciolini Poggio, Contra
Hypocritas, I-II, 185. Erasmi Maurizio, Chiara D’assisi. La fecondità storica di un carisma, I-II, 187. Ratzinger Joseph Benedetto XVI, Fede,
ragione, verità e amore. La teologia di Joseph Ratzinger; Ratzinger
Joseph, San Bonaventura. La teologia della storia; Inizio del ministero
petrino del vescovo di Roma Benedetto XVI, a cura dell’ufficio delle celebrazioni liturgiche del Sommo pontefice, III, 99. Forte Bruno, la luce della
fede.Scritti e discorsi 2006-2007; Lenoir Fréderic,Le radici del pensiero
dell’occidente; Zurra Gianluca, “I nostri sensi illumina”. Coscienza, affetti e intelligenza spirituale, III, 103. Ratzinger Joseph, Cantate al Signore
un canto nuovo, Saggi di cristologia e liturgia, III, 106. Castle Alison
(ed.), The Stanley Kubrik Archive; Duncan Paul-Wanselius Bengt (edd.),
The Ingman Bergman Archives; Faaroe Su Bergmam. Bergman IngmarVon Rosen Maria,Tre Diari;. Bergman Ingmar, Il giorno finisce presto,
III, 110. Luigi Borriello, Esperienza mistica e teologia mistica, IV, 119.
Ghazali Ahmad, Delle occasioni amorose. Kristeva Julia, Teresa mon
amour. L’estasi come un romanzo. Piergiorgio Beretta, Cinque meghillot.
Amato Angelo, Gesù identità del cristianesimo. Conoscenza ed esperienza, IV, 121. Barbagli Marzio, Congedarsi dal mondo. Il suicidio in
Occidente e in Oriente, IV, 126. Amerio Romano, Iota unum. Studio delle
variazioni della Chiesa cattolica nel secolo XX. Amerio Romano, Stat
veritas, 128.
SCHEDE BIBLIOGRAFICHE
Coda P. – Crociata M., Il crocifisso e le religioni
(scheda 13)
I-II,....................................................................................
Coda P. – Crociata M., Il crocifisso e le religioni
(scheda 14)
I-II,....................................................................................
Coda P. – Crociata M., Il crocifisso e le religioni
(scheda 15)
III, .....................................................................................
Coda P. – Crociata M., Il crocifisso e le religioni
(scheda 16)
III, .....................................................................................
pag.
189
»
194
»
115
»
121
Coda P. – Crociata M., Il crocifisso e le religioni
(scheda 17)
III, .....................................................................................
Chiodi M. - L’enigma della sofferenza e
la testimonianza della cura
(scheda 1)
IV,…………………………………………………….....
Chiodi M., L’enigma della sofferenza
e la testimonianza della cura
(scheda 2)
IV, .....................................................................................
pag.
127
»
133
»
138
PONTIFICIA UNIVERSITÀ LATERANENSE
CATTEDRA GLORIA CRUCIS
PRODUZIONE SCIENTIFICA
DELLA CATTEDRA GLORIA CRUCIS
AA.VV.
Memoria Passionis in Stanislas Breton, Edizioni
Staurós, S. Gabriele Teramo, 2004.
PIERO CODA
Le sette Parole di Cristo in Croce, Edizioni
Staurós, S. Gabriele Teramo, ottobre 2004.
LUIS DIEZ MERINO, CP
Il Figlio dell’Uomo nel Vangelo della Passione,
Edizioni Staurós, S. Gabriele Teramo, ottobre
2004.
MARIO COLLU, CP
Il Logos della Croce centro e fonte del Vangelo,
Edizioni Staurós, S. Gabriele Teramo, novembre
2004.
TITO DI STEFANO, CP
Croce e libertà, Edizioni Staurós, S. Gabriele
Teramo, dicembre 2004.
CARLO CHENIS, SDB
Croce e arte, Edizioni Staurós, S. Gabriele
Teramo, gennaio 2004.
ANGELA MARIA LUPO, CP
La Croce di Cristo segno definitivo
dell’Alleanza tra Dio e l’Uomo, Edizioni
Staurós, S. Gabriele Teramo, febbraio 2004.
FERNANDO TACCONE, CP (ed.)
Quale volto di Dio rivela il Crocifisso?, Edizioni
OCD, Roma Morena, 2006.
FERNANDO TACCONE, CP (ed.)
La visione del Dio invisibile nel volto del
Crocifisso, Edizioni OCD, Roma Morena, 2008.
FERNANDO TACCONE, CP (ed.)
Stima di sé e kenosi, Edizioni OCD, Roma
Morena, 2008.
FERNANDO TACCONE, CP (ed.)
Croce e identità cristiana di Dio nei primi secoli, Edizioni OCD, Roma Morena, 2009.
L’attività scientifica della Cattedra Gloria Crucis è fruibile nel sito www.passiochristi.org alla voce Cattedra Gloria Crucis.
La rivista La Sapienza della Croce è anch’essa fruibile nello stesso sito alla voce
Sapienza della Croce.