Il cuore e la terra Recensione de I Cavalieri Erranti dell`Aspromonte

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Il cuore e la terra Recensione de I Cavalieri Erranti dell`Aspromonte
Il cuore e la terra
Recensione de I Cavalieri Erranti dell’Aspromonte (Apodiafazzi, pp. 174) di Pat
Porpiglia.
La terra di Calabria ha dato i natali a uomini di scienza e di lettere, a uomini
coraggiosi che hanno da sempre saputo sfidare quella parte della realtà calabrese,
chiusa e ripiegata su se stessa, piena di pregiudizi e paure del progresso e del nuovo.
Ma l’intelligenza e l’intraprendenza di alcuni hanno aperto una nuova via a tutti.
Pat Porpiglia, nato a San Roberto, dopo aver conseguito il diploma scientifico, negli
anni ‘60 emigra in Canada, al di là dell’oceano, dove, si dice, non ci sono limiti ai
desideri. Qui lavora alle dipendenze del Ministero di Manpower and Immigration e
consegue il Bachelor of Arts Honour presso la Winnipeg University. Molti dei suoi
sogni si realizzano in Canada, il suo lavoro, la sua famiglia e la sua arte, ma resta
ancora qualche cosa che in America non può realizzare: sente forte la nostalgia per la
sua terra, per quel paese dell’Aspromonte, San Roberto, che guarda lo Stretto di
Messina. Ed è qui che Pat vuole tornare per vivere, lavorare e scrivere, perché il suo
cuore è là dove è la sua terra. Nel 1984 ritorna in Calabria, si laurea in Lingue e
Letterature Straniere presso l’Università di Messina e viene assunto presso
l’Amministrazione Provinciale di Reggio Calabria. Nel 2010 viene pubblicato da
Apodiafazzi il suo romanzo I Cavalieri Erranti dell’Aspromonte, da lui dedicato alla
sua terra.
Il romanzo è cronologicamente ambientato tra gli anni ‘50 e ’60, in pieno boom
economico, in un’Italia uscita malconcia dal ventennio fascista e dalla Seconda
guerra mondiale. Una nazione con il prepotente desiderio di riscatto, di benessere, di
progresso, desiderosa di rifondarsi dalle macerie della guerra più distruttiva e
sanguinaria che l’umanità ricordi. Sono questi gli anni nei quali al grande desiderio di
modernizzazione si associa la necessità di creare lavoro: viene varato il Piano
decennale di sviluppo, che comprende la costruzione di scuole, ospedali, strade su
tutto il territorio, e si pensa a quanto sia indispensabile alfabetizzare e unire il paese
con l’insegnamento capillare della lingua italiana. Questo è il contesto storico che
definisce l’ambientazione del romanzo e le vicende di quattro personaggi, delle loro
speranze e dei loro sogni (Carmelo Federico, Giacomo Occhino, Santo Lampara,
Salvatore Federico).
I quattro protagonisti, spinti anche da questo impulso collettivo verso un futuro
migliore, sfrutteranno ogni loro risorsa, nel bene come nel male, per realizzare i loro
sogni, fermi nella convinzione, giusta o sbagliata che sia, che quella è l’unica vita
possibile. La storia si svolge in un paesino alle pendici dell’Aspromonte, San Rocco,
di qualche migliaio di anime, immerso in una natura selvaggia e bellissima, che
racchiude vizi e virtù dell’intera umanità. Anche se il racconto delle vite dei
protagonisti si consuma in un contesto diverso, il libro di Porpiglia ci richiama alla
mente i romanzi di Leonardo Sciascia, ambientati nella Sicilia del Secondo
dopoguerra.
Sono storie di ieri e di oggi, di una Calabria dipinta in un affresco umano che, mentre
tutto intorno sembra cambiare, rimane permanente e immutata nel tempo e nel
destino, nelle umane debolezze e nel feroce sistema di potere che le circonda,
condizionandole. Come un “Grande Fratello”, la mafia che si annida dentro ogni
meandro, controlla la vita di tutti, spesso in maniera quasi impalpabile, ma nello
stesso tempo spietata, realizzando in apparenza i bisogni della gente, sostituendosi
allo Stato e alle istituzioni, diventando indispensabile nel vivere quotidiano e
assurgendo per tutti a sistema non solo normale, ma addirittura insostituibile. Un
sistema che però non farà mai nulla per niente, ma si aspetterà sempre
“riconoscenza”, assoggettando a sé ogni individuo: ciascuno sa che chi cercherà di
uscire dalle “regole” sarà duramente punito e pagherà con la vita.
I personaggi del romanzo sono quattro uomini di belle speranze, che nascono e
crescono in questa realtà e le loro storie la rappresentano come una tragedia in scena
in un teatro. Carmelo Federico è il primo personaggio e, come dice lo stesso autore,
egli «non nasce mafioso», ma la sua ambizione e il desiderio di riscatto da un’umile
condizione lo spinge tra i tentacoli della mafia, diventandone un rappresentante di
spicco, il trait d’union tra malavita e politica, grazie anche al matrimonio con la figlia
del capobastone, che pur ama profondamente, ma soprattutto per l’arguzia che
possiede nel fiutare gli affari.
Giacomo Occhino è il secondo personaggio, che rivive nel capitolo successivo
tramite il ricordo nostalgico e amorevole di Salvatore, fratello più giovane di
Carmelo. Anch’egli è dotato di una notevole intelligenza e intraprendenza ma, al
contrario del primo, è colto e onesto e i suoi ideali di rinnovamento e
modernizzazione di tipo liberale lo inducono a cercare la sua ascesa in politica, per
mezzo della quale spera di portare tutto il paese verso condizioni di vita migliori.
Totalmente assorbito da questo frenetico impegno e dimenticando le rigide regole che
vigono in queste terre, sarà destinato a pagare questa disattenzione con la vita. Il
ricordo di Giacomo resterà indelebile nel cuore di Salvatore, al punto da assumerne
l’eredità nell’impegno politico, anche se con sfumature sociali diverse.
Il quarto capitolo de I Cavalieri Erranti dell’Aspromonte ha come titolo La
saggezza e l’amicizia, valori che sono rappresentati nel racconto dall’esistenza di
Santo Lampara. Santo è la quercia, robusta e salda nelle sue radici, che trae la sua
forza dalla linfa della terra alla quale è ancorata. Il cuore di Santo è grande e
generoso e la sua forza e saggezza nascono dalla certezza di essere un uomo libero
che ha saputo conquistare la propria libertà. Santo ha fatto la guerra, ha sempre
lavorato e con il sudore della fronte ha mantenuto degnamente una famiglia. Egli non
si assoggetta, non disdegnando mai di dire ciò che pensa senza paura o falso
moralismo. L’autore dirà di averne costruito il personaggio mettendo insieme
«atteggiamenti, pensieri e comportamenti di persone realmente vissute».
La speranza in una società giusta è il titolo dell’ultima storia del romanzo: è la
speranza di Salvatore Federico, fratello di Carmelo, l’ultimo in ordine di narrazione
dei personaggi del racconto, ma non ultimo come sentimenti e intenzioni per sé e per
la sua gente. Non a caso Santo e Salvatore sono grandi amici, i loro caratteri si
compensano e si completano, insieme sono invincibili. Salvatore saprà imparare,
crescendo, che gli uomini sono imperfetti e che, proprio riconoscendo i limiti umani,
si può migliorare, è ben rappresentato dal motto kantiano « il cielo stellato sopra di
me e la legge morale dentro di me» Egli trova la forza di rivelare la sua ribellione
pubblicamente durante un banchetto e, brindando ai Cavalieri Erranti
dell’Aspromonte che sono i latitanti, umilia gli amici di Carmelo, persone
“rispettabili”. Nello scontro che seguirà tra i due fratelli, Salvatore scopre che
Carmelo è responsabile, inoltre, della morte dell’amico Giacomo e questo gli darà la
conferma che la sua scelta è giusta ed è per sempre.
La lettura del racconto scorre piacevolmente, intensa e avvincente, la descrizione dei
luoghi è pittorica, la storia dei personaggi è costellata da aneddoti e usanze tipiche
delle terre calabresi e che ne evidenziano il carattere, insieme drammatico e ironico.
Senza dubbio, risalta tutto l’amore che l’autore prova per la propria terra. L’ultima
annotazione riguarda l’intreccio tra mafia e politica, che l’autore denuncia lungo tutto
il romanzo: un sistema di affari tra malavita e politica che indica quanto sia difficile
mantenersi onesti in una società che non lascia spiragli a chi è retto ed ha rispetto per
l’altrui vita. La speranza, tuttavia, è più forte della disperazione e, come disse il
giudice Borsellino, riferendosi a tutto il Sud infestato dalla mafia, «un giorno questa
terra sarà bellissima».
I personaggi del romanzo di Porpiglia rappresentano tutta la fatica che ogni calabrese
deve sopportare nel percorrere il cammino di una vita dura, che non fa sconti, ma che,
quando lascia spazio ai sentimenti e alla condivisione con gli altri, vale comunque la
pena di essere vissuta, diventando un’affascinante avventura.
Mariella Arcudi