generazione millennials - Rivista Rocca

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generazione millennials - Rivista Rocca
Rivista
della
Pro Civitate Christiana
Assisi
periodico quindicinale
Poste Italiane S.p.A. Sped. Abb. Post.
dl 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46)
art. 1, comma 1, DCB Perugia
ISSN 2498-955X
e 2.70
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15 aprile 2016
la disperazione
non si combatte
con le armi
come cambia
la democrazia
referendum
le trivelle
donne
la favoletta
di Adam Smith
i volti del disagio
bulli & company
ricerca
neuroscienze
e libero arbitrio
giovani
cristiani si
diventa
teologia
l’evoluzione
del dogma
generazione millennials
TAXE PERCUE – BUREAU DE POSTE – 06081 ASSISI – ITALIE
ISSN 0391 – 108X
Rocca
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Ci scrivono i lettori
Anna Portoghese
Primi Piani Attualità
Vignette
Il meglio della quindicina
Maurizio Salvi
Terrorismo
La disperazione non si combatte con le armi
46
49
50
Pietro Greco
Ecologia
Il referendum sulle trivelle
52
Romolo Menighetti
Oltre la cronaca
Follia burocratica
54
Ritanna Armeni
Donne
La favoletta di Adam Smith
56
Tonio Dell’Olio
Camineiro
Giulio Regeni, la commozione non basta
57
Oliviero Motta
Terre di vetro
Dopo mille curricula
58
Fiorella Farinelli
Società
Generazione millennials
58
Mariano Borgognoni
Giovani e fede/1
Cristiani si diventa
59
Rosella De Leonibus
I volti del disagio
Bulli & company
Giovanni Sabato
Ricerca
Neuroscienze e libero arbitrio
Paolo Benanti
Cyborg
Un essere sovversivo
Claudio Cagnazzo
Giuseppe Abbagnale
Un padre contro l’italica immoralità familistica
Come cambia la democrazia
Roberta Carlini
Economia: a che cosa ti serve il voto?
Giuseppe Giulietti
Informazione: l’Italia osservata speciale
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Marco Gallizioli
Che cos’è la religione
Riflettere con l’Oriente buddhista sul nostro
tempo malato
Lidia Maggi
Qohelet
In conclusione
Carlo Molari
Teologia
L’evoluzione del dogma: un cammino di
Benedetto XVI
Stefano Cazzato
Maestri del nostro tempo
Benjamin Farrington
Filosofie nella storia
Giuseppe Moscati
Nuova Antologia
Edith Steinschreiber (Bruck)
Una bellezza ferita ma assoluta
Enrico Peyretti
Fatti e segni
Vita che va, vita che viene
Paolo Vecchi
Cinema
Le Mille e Una Notte - Arabian Nights
Roberto Carusi
Teatro
Spazio, tempo, parole
Renzo Salvi
Rf&Tv
Speciale TG1
Mariano Apa
Arte
Paolo Isotta
Michele De Luca
Fotografia
Marialba Russo
Alberto Pellegrino
Mostre
Hayez e il melodramma
Giovanni Ruggeri
Siti Internet
Pubblicità on line
Libri
Carlo Timio
Rocca Schede
Organizzazioni in primo piano
Cepal (Commissione economica per l’America
Latina e i Caraibi)
Luigina Morsolin
Fraternità
Nel cuore della Bolivia
RICERCA
Giovanni
Sabato
iamo davvero capaci di libero arbitrio: la possibilità di decidere volontariamente quali azioni compiere
non è un mero abbaglio, un’illusione costruita dalla nostra mente per
regalarci una fallace sensazione di
controllo, su comportamenti che in realtà
sarebbero dettati da automatismi inconsci al di fuori della nostra volontà. Lo affermano vari studi degli ultimi anni, l’ultimo dei quali pubblicato a gennaio sui «Proceedings of the National Academy of Sciences» da un team di neuroscienziati e psicologi guidato da Matthias Schultze-Kraft
e John-Dylan Haynes, al Politecnico di
Berlino.
L’idea che il libero arbitrio possa essere una
mera illusione è scaturita da una serie di
studi neuroscientifici iniziati negli anni ’80,
e da allora è stata oggetto di una lunga diatriba. Tutto nasce da una scoperta precedente, fatta negli anni ’60 da Hans
Helmut Kornhuber e Lüder Deecke, all’Università di Friburgo in Germania: prima di ogni nostro movimento spontaneo
si verifica una particolare attività del cervello, una lenta crescita dell’attività elettrica registrata sul cranio. Il fenomeno è
stato interpretato come la manifestazione
del lavoro che fa il cervello per preparare
il movimento, «il segno elettrofisiologico
della pianificazione e dell’inizio dell’atto
volontario», in conseguenza della nostra
decisione di compiere il gesto.
una mera illusione
Questa interpretazione naturale è stata
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neuroscienze
e libero arbitrio
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RICERCA
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però scossa negli anni ’80 da Benjamin Libet, fisiologo dell’Università della California a San Francisco (vedi Rocca n. 10/2013,
pag. 40). Libet ha osservato cosa succede
nei volontari che muovono intenzionalmente le dita dichiarando ogni volta il
momento esatto in cui hanno deciso di
eseguire ciascun gesto. Ha così fatto un’osservazione sconcertante: l’attività preparatoria con cui il cervello si attiva per eseguire il gesto inizia molto prima del momento in cui la persona dichiara di averlo
deciso. Il dito in media esegue il movimento due decimi di secondo dopo averlo deciso coscientemente, ma in realtà il cervello stava preparando quel gesto già da parecchi decimi di secondo prima, a volte
anche da più di un secondo.
La conclusione di Libet è stata, appunto,
che le azioni che percepiamo come intenzionali in realtà non lo sono: la decisione
di muovere il dito viene presa ogni volta
inconsciamente, in virtù di chissà quali
processi di cui non siamo consapevoli, e
l’idea che sia una nostra scelta è una sensazione appiccicata a posteriori alla nostra
percezione dell’evento dai processi con cui
la nostra mente costruisce la sua percezione del mondo e di noi stessi.
La conclusione è dura da mandar giù e infatti è stata molto criticata, per esempio
osservando che è difficile dire il momento
preciso in cui facciamo una scelta. Ma il
risultato è stato replicato in migliaia di
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prove da Libet stesso. E poi, nei decenni
successivi, è stato confermato anche da
altri studiosi con tecniche più precise e
raffinate di analisi dell’attività cerebrale,
fino alla registrazione diretta dell’attività
dei neuroni mediante elettrodi impiantati
nel cervello (in persone che hanno ricevuto gli elettrodi per ragioni mediche, e si
prestano poi a fare da volontari per questi
esperimenti).
la riscossa della volontà
Negli ultimi anni, però, una serie di nuovi
studi ha iniziato a mostrare le cose sotto
una luce diversa, ridando fiato a una visione più libera – e decisamente più confortante – della mente umana.
Nel 2012, sempre sui «Proceedings of the
National Academy of Sciences», Aaron
Schurger e Stanislas Dehaene, dell’Institut National de la Santé et de la Recherche Médicale (Inserm) di Parigi, avevano
iniziato a cambiare le carte in tavola con
uno studio che non smentisce l’attività cerebrale inconscia che precede il movimento, ma ne dà una diversa interpretazione.
Secondo il loro modello di come viene presa la decisione a livello neurale, nella situazione degli esperimenti descritti, in cui
i partecipanti ricevono l’istruzione di muovere il dito ma possono scegliere loro i momenti in cui farlo, la presunta attività cerebrale preparatoria in realtà è solo una
il diritto di veto
Ora il nuovo studio tedesco di SchultzeKraft e Haynes apre un ulteriore spiraglio
alla volontà, su un terreno diverso. Lo studio riprende in sostanza un’idea di Libet
stesso, che intravedeva una possibile scappatoia alla ferrea dittatura dell’inconscio:
la nostra volontà potrebbe conservare un
potere di veto, bloccando intenzionalmente le azioni intraprese dai meccanismi automatici inconsapevoli. I partecipanti allo
studio, con segnali luminosi, ricevevano
l’istruzione di premere un pedale ma poi
alcune volte, prima di aver mosso il piede,
ricevevano l’ordine di annullare il movimento e tenere il piede fermo. SchultzeKraft e Haynes hanno visto così che i partecipanti riescono a bloccare il movimento anche quando l’attività cerebrale preliminare è già partita, perlomeno fino a un
certo punto.
Questo esperimento conferma quindi l’intuizione di Libet: anche ammesso che l’attività preliminare rappresenti davvero una
preparazione al movimento decisa da processi inconsci, e non una mera fluttuazione casuale come teorizzano i francesi, la
volontà conscia conserva comunque un
suo spazio autonomo di manovra, quanto
meno di interdizione. Se così non fosse, i
volontari non avrebbero potuto fermare il
piede. La decisione diventa invece irreversibile circa due decimi di secondo prima
che il movimento inizi, quando evidentemente i meccanismi del controllo motorio
sono già proceduti troppo oltre per poterli
arrestare. «Il nostro studio mostra che la
libertà è molto meno limitata di quanto si
pensasse» ha chiosato Haynes.
Così, a febbraio, lo stesso Schurger con
due colleghi ha fatto il punto su «Trends
in Cognitive Sciences». «È giunto il momento di vedere i risultati di Libet in
un’ottica nuova, rivalutando e reinterpretando una grande mole di lavori. Potremmo esserci del tutto sbagliati riguardo all’attività cerebrale che precede i movimenti, che sembra avere tutt’altro significato
rispetto a quello che le veniva attribuito.
E il nuovo quadro che ne esce è molto più
in linea con il nostro senso intuitivo della
decisione intenzionale e del libero arbitrio».
Quando iniziamo a considerare di compiere un’azione – spiega Schurger – siamo
propensi a farla ma non ancora del tutto
decisi, e questa vaga intenzione modifica
le fluttuazioni casuali dell’attività cerebrale, facendole salire più vicino alla soglia di
attivazione. Ma solo quando prendiamo la
decisione vera e propria l’attività cerebrale supera questa soglia, la vaga intenzione
diventa una scelta precisa, e il processo che
porta al movimento ha inizio. Ed è in questo momento, o magari qualche breve
istante dopo, che sentiamo di aver preso
la decisione. «Questo lascia largamente
intatta l’idea di libero arbitrio data dal nostro senso comune» conclude.
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serie di fluttuazioni casuali dell’attività dei
neuroni. Quando questa attività neuronale supera una certa soglia genera il movimento, e il superamento di questa soglia,
che è il vero momento decisivo, può essere deciso intenzionalmente.
Schurger e Dehaene hanno confermato le
previsioni di questo modello con alcuni
esperimenti. Hanno istruito i partecipanti
a muovere il dito a comando quando udivano un suono, e hanno verificato che la
risposta era più rapida (passava meno tempo da quando il volontario udiva il suono
a quando muoveva il dito) se, nel momento in cui giungeva il suono, questa attività
cerebrale preliminare fluttuante si trovava, per caso, vicina al suo culmine, e dunque l’impulso dato dalla volontà la portava più in fretta oltre la soglia di attivazione. Il modello mostra anche come la crescita dell’attività cerebrale che precede il
gesto possa dare l’impressione di una preparazione che in realtà, in questo caso,
evidentemente non può esserci, dato che
il partecipante non prendeva alcuna decisione di muovere il dito, né conscia né inconscia, finché non udiva il suono.
Le conclusioni degli studiosi francesi sono
state rafforzate da un secondo studio, pubblicato nel 2014 anch’esso su una rivista
di grande prestigio, «Nature Neuroscience», da un altro gruppo di neuroscienziati
guidati da Zachary Mainen al Champalimaud Centre for the Unknown di Lisbona, in Portogallo. Anche i portoghesi, abbinando modelli teorici dell’attività neurale ed esperimenti sui ratti, hanno concluso che «l’intenzione iniziale di agire si ha
nel momento in cui viene superata una
certa soglia di attività cerebrale, e l’attività neurale precedente a questo momento
può influenzare l’azione, ma non implica
che sia già stata presa una decisione».
Giovanni Sabato
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