STUDI E SAGGI LINGUISTICI

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STUDI E SAGGI LINGUISTICI
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Pagina III
STUDI E SAGGI
LINGUISTICI
XLIII-XLIV
FONDATA DA
TRISTANO BOLELLI
Studi in onore di
RICCARDO AMBROSINI
a cura di
Romano Lazzeroni, Giovanna Marotta e Maria Napoli
2005-2006
Edizioni ETS
PISA
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RISERVATO OGNI DIRITTO DI PROPRIETÀ
E DI TRADUZIONE
Studi e Saggi Linguistici
Supplemento alla rivista L’Italia Dialettale
Registrazione Tribunale di Pisa 1/1961 in data 31 Gennaio 1961
Direttore resposabile: Alessandra Borghini
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SOMMARIO
Prefazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
pag. VII
Bibliografia degli scritti di Riccardo Ambrosini . . . . . . . . . . . .
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IX
Roberto Ajello, Per un’analisi dell’aumento nel primo testo scritto in lingua kikongo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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1
Maria Giovanna Arcamone, Prato nella toponomastica toscana . .
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29
Pierangiolo Berrettoni, L’atto di verità nella cultura indoeuropea .
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35
Maria Patrizia Bologna, L’«enigma saussuriano» e la ricostruzione linguistica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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57
Carlo Consani, Lingue e scritture di Creta antica. Considerazioni
sulla ‘formula di Archanes’ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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67
Franco Fanciullo, Un’etimologia toscana (mózzi m. ‘moine’ e
mózze f. ‘svenevolezze’), viareggino ramaciugliori e qualche altra considerazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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79
Giacomo Ferrari, Linguistica… e oltre (?) . . . . . . . . . . . . . . . . .
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89
Francesco Giuntini, Nerone in collegio . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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129
Romano Lazzeroni, Arealità italica e riorganizzazione degli allomorfi: induzione di morfemi o induzione di regole? . . .
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141
Giulio Lepschy, To Be, or Not To Be Translated? . . . . . . . .
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151
Daniele Maggi, Annotazioni metriche a Vento a Tìndari di
Salvatore Quasimodo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Giovanna Marotta, Sulle rive del Mersey. Note sull’etimologia
di Scouse . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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VI
Filippo Motta, Tra Lucca e Lugano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
pag. 201
Florida Nicolai, Il collo della giraffa e lo zoo comunale. Linguaggio, funzioni cognitive e sistemi neurali . . . . . . . . . .
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213
Paolo Poccetti, Un contributo della toponomastica alla ricostruzione del lessico italico e dei suoi sviluppi diacronici: il
nome dell’insediamento vestino Peltuinum . . . . . . . . . . .
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245
Domenico Silvestri, Etnici di appartenenza ed etnici di provenienza nelle lingue dell’Italia antica . . . . . . . . . . . . . . . . .
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255
Alfredo Stussi, Sull’utilità delle varianti d’autore . . . . . . . . . . .
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271
Patrizia Torricelli, Della lingua e degli inganni verbali. Su Camilleri e La concessione del telefono . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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281
Cristina Vallini, Autorità e prestigio nel discorso etimologico (a
proposito della coppia latina matrimonium-patrimonium). .
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309
Edoardo Vineis, In margine al tema dell’equilibrio intertestuale:
Stefan George e la traduzione del Sonetto XXXIII di W.
Shakespeare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Indirizzario degli Autori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Sulle rive del Mersey. Note sull’etimologia di Scouse
Running against the rain
running through the rain
“Ferro Battuto”
F. Battiato e M. Sgalambro
1. I due significati di Scouse*
In Gran Bretagna, ed in particolare nel Merseyside, il termine Scouse possiede due diversi significati, apparentemente poco attinenti l’uno all’altro:
a) un significato metaforico, che fa riferimento ad uno speciale accent, tipico
dei Liverpudlians appartenenti alle classi sociali basse;1
b) un significato più concreto, riferito ad un piatto tradizionale di Liverpool,
una specie di zuppa preparata con carne e verdure stufate, consumata dai
marinai durante i loro viaggi (cfr. SPIEGL, 2000); gli ingredienti di base sono
patate, cipolle, carote e carne di agnello.
Per quanto riguarda il significato culinario, va osservato innanzitutto che
esistono molte varianti locali di questo piatto; i siti Internet che si riferiscono
alle tradizioni popolari della città di Liverpool elencano infatti diverse ricette
di Scouse, alcune delle quali particolarmente interessanti; fra queste, il cosiddetto blind Scouse, la versione light del piatto, in quanto priva di carne, oppure
la versione fatta con gli avanzi del giorno prima. Come si vede, lo Scouse è un
piatto di basso livello, che rinvia ad uno stile di cucina povera e popolare.
* L’argomento trattato in questo articolo ha costituito l’oggetto della mia comunicazione al XXII nd International Congress of Onomastic Sciences, svoltosi a Pisa nel settembre
2005. Poiché la stampa dei relativi Proceedings prevede tempi lunghi, ho ritenuto di pubblicare ora in italiano una parte dei risultati presentati in quella sede, cogliendo l’occasione per
aggiungere nuovi materiali ed argomenti ivi assenti, anche nella presunzione che il tema prescelto possa esser gradito al nostro festeggiato, considerata la sua non comune competenza
nel campo dell’anglistica.
1 Dallo Scouse accent deriva il nome Scouser, che indica il parlante di Scouse; cfr. Cambridge International Dictionary of English (1995: 1270).
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Nella sua accezione linguistica, lo Scouse è uno degli accents più conosciuti dell’inglese europeo, e in quanto tale, compare normalmente nelle rassegne delle varietà inglesi2. Le sue peculiarità interessano soprattutto il livello fonetico e prosodico3, ma anche il lessico e la morfologia non sono esenti da specifici tratti. Tra le caratteristiche fonologiche principali di questo dialetto inglese ricordiamo la lenizione delle consonanti occlusive ed alcuni fenomeni di
centralizzazione vocalica, che alterano l’inventario fonemico RP. Ricordiamo
inoltre che un tratto particolarmente rilevante per identificare un parlante come
Scouser è l’intonazione, dal momento che negli enunciati dichiarativi, il profilo intonativo Scouse tipico mostra un’ascesa melodica finale, anziché una discesa, come in RP.
Il cosiddetto Final Rising Pattern è un tratto prosodico che l’inglese di Liverpool condivide con le varietà che ricadono sotto l’etichetta di Urban Northern British English (cfr. CRUTTENDEN, 1994), vale a dire le varietà inglesi
parlate nell’Irlanda del Nord e nella Scozia occidentale, oltre che nelle città di
Birmingham e Newcastle (cfr. GRABE e POST, 2002). Si osservi che tutte queste
varietà hanno in comune due caratteristiche essenziali: il sostrato celtico ed una
forte immigrazione da parte di popolazioni di origine celtica. Ricordiamo infine che lo Scouse è spesso descritto come dotato di una qualità della voce speciale. Nel suo dettagliato studio su questa varietà, Knowles (1974) ha mostrato
come durante la fonazione di un parlante Scouse la lingua sia innalzata e retratta, con conseguente velarizzazione generalizzata; parallelalemente, il rilassamento di alcuni organi fonatori, in particolare il labbro inferiore e la lingua,
producono l’effetto di lax voice, con incompleta chiusura e parziale fuoriuscita
di aria tra le labbra durante l’articolazione delle consonanti occlusive4.
In Gran Bretagna, la voce Scouse è di solito percepita come sgradevole e
rozza; negli ultimi anni, tuttavia, il giudizio degli inglesi su questo accent sembra essersi almeno in parte attenuato, tanto da far supporre che attualmente sia
dotato di un certo prestigio coperto (cfr. MAROTTA, 2004). Nella città di Liverpool, d’altro canto, il prestigio dello Scouse è attualmente manifesto, soprattutto nelle classi sociali meno elevate, in quanto strettamente legato all’espressione dell’identità sociale.
Sull’origine e sullo sviluppo di questo accent affatto particolare ha probabilmente influito la pronuncia dell’inglese da parte degli immigrati irlandesi
2 Cfr. TRUDGILL (1984; 1986), TRUDGILL e HANNAH (1982), HUGHES e TRUDGILL (1996),
TRUDGILL e CHESHIRE (1998), WELLS (1982, 1984), BEAL (2004).
3 Per un quadro globale della fonologia Scouse, si veda KNOWLES (1974; 1978), nonché alcuni nostri precedenti studi in questo settore; cfr. MAROTTA (2004); MAROTTA e BARTH (2005).
4 Per ulteriori dettagli sulla qualità vocale dello Scouse rinviamo al recente contributo di
BARBERA e BARTH (2006).
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che giunsero a Liverpool in numero cospicuo per un lungo periodo di tempo.
L’immigrazione dall’Irlanda verso l’Inghilterra, e, in particolare, verso la città
di Liverpool, iniziò precocemente e rimase costante nel corso dei secoli: partita
già all’inizio dell’età moderna, continuò ininterrotta nei secoli seguenti e fu
particolarmente intensa nel corso del XIX secolo. Come abbiamo avuto già
modo di rilevare (MAROTTA, 2006), gli studi condotti in ambito storico e demografico hanno dimostrato che già nel 1841 un quarto degli abitanti di Liverpool
era nato in Irlanda. I dati dell’ultimo censimento (Liverpool Census 2001) indicano che circa il 60% di tutti i Liverpudlians hanno origini irlandesi, almeno in
un ramo familiare.
Il fenomeno migratorio irlandese ha avuto dimensioni tali da essere definite senza esagerare gigantesche. In passato, e per molto tempo, la comunità irlandese di Liverpool viveva separata sia dalla comunità inglese autoctona che
dalle altre comunità immigrate, in particolare, gallese e scozzese. La separazione aveva innanzitutto motivazioni socio-economiche, essendo gli immigranti irlandesi i più indigenti. Anche nell’insediamento in città si riflettevano
le differenze sopra menzionate: gli irlandesi occupavano infatti il centro di Liverpool e le aree prossime al porto, caratterizzate da alta densità demografica e
da abitazioni di basso livello, spesso prive dei servizi essenziali, il che configurava queste aree come veri e propri ghetti5. Inoltre, la mobilità degli irlandesi
all’interno della città era bassa e le loro opportunità di lavoro erano ristrette ad
occupazioni precarie e di basso rango.
Diversi elementi cospiravano dunque nel configurare la comunità di immigrati irlandesi come caratterizzata da una rete sociale relativamente chiusa e
a maglie fitte, contrassegnata da forti legami gerarchici tra gli individui che vi
appartengono e quasi del tutto priva di ‘ponti’ tra reti sociali diverse6. La segregazione degli immigrati irlandesi a Liverpool era motivata dalle loro stesse
condizioni di reddito, con conseguente residenzialità obbligatoria; al tempo
stesso, queste precarie condizioni alimentavano ed accentuavano il forte sentimento di discriminazione nutrito nei loro confronti dagli altri abitanti della
città, in primo luogo, gli inglesi.
Tuttavia, non soltanto i fattori socio-economici determinavano la condizione di segregazione degli immigrati irlandesi, ma anche gli elementi culturali cospiravano nella deriva che collocava questa comunità ai margini della so-
5 L’analisi dei quozienti ecologici svolta da POOLEY (1977) in rapporto alla distribuzione
residenziale nell’area urbana di Liverpool in età vittoriana conferma l’ipotesi di una stretta correlazione tra zona di residenza e gruppo sociale immigrato. Emerge così un quadro globale che consente di evidenziare un modello sociologico basato sulla segregazione della comunità irlandese.
6 Per l’applicazione delle reti sociali in sociolinguistica, si vedano i fondamentali lavori di
MILROY (1980; 2002).
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cietà cittadina. In primo luogo, la religione cattolica contribuiva ad aumentare
la distanza rispetto agli altri gruppi etnici, anche immigrati, nonostante tra coloro che provenivano dall’Irlanda vi fossero dei protestanti. In secondo luogo,
la lingua era un ulteriore rilevante elemento di differenziazione, dal momento
che gli irlandesi immigrati parlavano una varietà di inglese che risentiva fortemente dell’interferenza con l’irlandese, che per molti rappresentava ancora la
lingua-madre, specialmente nei secoli XVI e XVII. D’altra parte, gli stessi tratti sociofonetici che rendevano facilmente riconoscibile un parlante come immigrato irlandese finivano per costituire uno strumento essenziale per l’identità sociale della comunità di immigrati (cfr. LE PAGE e TABOURET KELLER,
1985). Sul piano strettamente culturale, la comunità degli irlandesi era del pari
omogenea e marcata verso il polo basso della società, essendo in genere costituita da persone incolte e prive di istruzione.
Poiché la comunità immigrata irlandese era relativamente chiusa e caratterizzata da legami interni forti, ha potuto conservare facilmente e a lungo i tratti
distintivi della propria pronuncia dell’inglese, riducendo al massimo la contaminazione con la popolazione autoctona. La varietà di inglese parlato dagli immigrati irlandesi, lingua non standard e non prestigiosa, coesisteva e al tempo
stesso si opponeva all’inglese locale, varietà di prestigio. Ed è proprio questa
forma speciale di inglese, intriso di tracce di Irish English, che a nostro parere
costituisce la base dello Scouse accent.
Soltanto nel corso del XX secolo le condizioni socio-economiche e, di
conseguenza, anche quelle latamente culturali della comunità irlandese a Liverpool hanno conosciuto un sensibile miglioramento. L’incremento degli
scambi commerciali marittimi e l’importante sviluppo dell’industria manifatturiera in città modificarono pesantemente il quadro sociologico della città,
rendendolo più dinamico. Soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, l’integrazione sociale tra gli immigrati irlandesi, molti dei quali ormai non più di prima o seconda generazione, e gli altri abitanti di Liverpool aumentò in misura
significativa e finì con l’alterare in modo irreversibile la struttura delle reti sociali, garantendo allo Scouse non solo la sua sopravvivenza, ma addirittura la
sua espansione.
Vari fattori hanno contribuito alla diffusione dell’accento Scouse a Liverpool come pure nel repertorio inglese. Avendo già trattato altrove e più diffusamente questo tema (cfr. MAROTTA, 2004), ci limitiamo qui a ricordare le trasmissioni radiofoniche della BBC condotte da una vasta serie di comici inglesi
che parlavano Scouse in quanto nativi di Liverpool; né possiamo evitare di fare
riferimento ancora una volta alla band musicale dei Beatles, originaria proprio
di questa città, che con il suo successo planetario ha di certo giocato un ruolo
non marginale nel favorire un mutamento di giudizio nei confronti di Liverpool
nel suo complesso, e del suo accent in particolare.
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Attualmente, a Liverpool lo Scouse è la lingua parlata non soltanto dalle
classi sociali più basse, ma sta diventando la varietà linguistica maggioritaria,
nonostante lo scarsissimo prestigio di cui ha goduto per secoli. Il mutato quadro socio-culturale sembra aver determinato una diversa percezione sociolinguistica dello Scouse, che, nonostante a tratti sia ancora percepito come hugly
accent, si è diffuso lentamente, ma costantemente e progressivamente non soltanto nella comunità cittadina, ma anche in tutto il Merseyside.
2. Aspetti etimologici
La parola inglese Scouse è normalmente considerata una semplificazione
del composto lobscouse, forma presa in prestito da una parola più antica labskaus, di origine danese o comunque appartenente ad una varietà germanica
settentrionale.
La mancanza della palatalizzazione nel nesso consonantico -sk- è infatti
con ogni probabilità dovuta all’interferenza dell’inglese con i dialetti germanici del Nord, che non palatalizzavano (cfr. LASS, 1994: 59). Allo stesso tempo, il
dittongo ou da au è una prova della forma scandinava originaria, perché au proto-germanico è diventato in inglese ea.
Nel nome composto labskaus del germanico settentrionale (= lobscouse
inglese), sono riconoscibili due elementi: LAB/LOB + SKAUS/SCOUS. Il termine non ha finora trovato una etimologia soddisfacente, in particolare, resta
ignoto l’etimo del secondo elemento del composto.
2.1. Sull’etimo di Lob
Per quanto riguarda il primo elemento, nella scarsa letteratura disponibile
finora sull’argomento, le etimologie proposte sono le seguenti:
a) da una radice germanica LAB, il cui significato sarebbe “comodità,
conforto”; attestata nel verbo dell’antico alto tedesco laba “conforto”, e
nel tedesco moderno laben “ristorare, confortare, rianimare; rinfrescarsi,
ristabilirsi”;
b) da una radice germanica LOP, col significato di “abito, pezza”; attestata nel
medio nederlandese lobbe, nell’antico inglese lob, e nel moderno inglese
lob, da cui, con epentesi nasale, lump “un grande pezzo”, termine dialettate
usato per carne o denaro (cfr. Oxford Dict.).
c) dal medio inglese LOB, col significato di “un tipo di pesce”; vedi Onions
(1966, s.v.), Hoad (1986); in questo caso, il riferimento al mondo marinaresco sarebbe diretto.
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Vorremmo tuttavia proporre un’ulteriore ipotesi, a parer nostro più plausibile di quelle precedentemente avanzate. Il primo elemento del composto potrebbe essere ricollegato ad una radice germanica LAB/LOB col significato di
“pendere in modo floscio”, attestata in norvegese lapa, islandese lapa, svedese
lafa, labba, danese lab, labbe. Questa radice è presente anche nella forma tedesca labbern “appendersi in modo morbido, pendere”. Si noti che questo verbo
si usa in particolare nel registro marinaresco, con riferimento fondamentale alla navigazione a vela. Come accade frequentemente nelle lingue i.e. antiche, la
stessa radice può mostrare una variante con l’aggiunta di un consonante sibilante iniziale; abbiamo così la forma slapa in islandese e norvegese, che ha lo
stesso significato; parallelamente, in antico alto tedesco troviamo slap, e in gotico slepan; in inglese, la forma sleep potrebbe essere connessa con quelle precedenti.
Interessante rilevare un possibile nome derivato da questa medesima radice: in islandese è attestata la forma lap, glossata come homo sui negligens in
Jóhannesson (1956: 752). In danese, laban indica un “monello”, oppure una
“persona alta e ciondolante”; in particolare, il sintagma allitterante langer Laban indica “una persona allampanata”. Questo termine può essere paragonato
ad alcune parole nordiche simili, che però mostrano, con la tipica alternanza
che abbiamo già avuto modo di menzionare, una consonante sibilante iniziale;
ad es. norvegese slubb “persona che ciondola, menefreghista”, oppure i termini
dialettali svedese slubba e olandese slubbe, che hanno praticamente lo stesso
significato. Inoltre, in olandese si trova la forma lubbe, derivata dalla stessa radice, con il significato di “labbro pendulo”, che documenta in modo esplicito lo
slittamento della parola verso un campo semantico che crucialmente si riferisce alla figura umana.
Il verbo inglese che si ricollega alla stessa radice è lop, attestato verso la fine del secolo XVI. Il senso iniziale di questo verbo dovrebbe essere “lasciar
pendere pesantemente”, ma ben presto ha assunto anche altri significati, riferiti all’essere umano; da un lato “muoversi pesantemente o in modo impacciato”
(cfr. Oxford Dict., 1933: 375), dall’altro, forse consequenzialmente, “comportarsi come uno zoticone”. Oltre al verbo, troviamo anche attestazioni del nome
lop, che esprime “qualche cosa di pesante, impacciato, o che pende in modo libero e casuale” (Oxford Dict., ibidem). Lop è infine anche un aggettivo, che significa “rozzo, villano”. La metafora funziona in riferimento ad una persona
che si muove avanti e indietro, qui e là senza meta, uno che vaga sprecando il
suo tempo.
D’altra parte, lob è anche un termine dialettale che significa “far ribollire,
far gorgogliare”, e quindi, per estensione metaforica all’ambito umano, “mangiare e bere in modo rumoroso”. Da menzionare la radice i.e. LAB dal significato di “succhiare, leccare”, e quindi anche “mangiare e bere in modo rumoroso”.
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Verbi derivati da questa radice sarebbero danese labe, svedese lapa, olandese lapen, antico alto tedesco laffan, tedesco läppen, anglosassone lapian, da cui l’inglese lap up (cfr. FALK e TORP, 1960: 615). Si ricordi a questo proposito anche la
forma italiana lappare, probabilmente parola di prestito dal germanico, come le
analoghe forme romanze (cfr. CORTELAZZO e ZOLLI, 1983, III vol., s.v.).
Pare ragionevole supporre – come i dizionari etimologici di inglese fanno
di norma – che a questa stessa radice verbale siano collegati anche il verbo loll
“pendere pesantemente”; è inoltre attestata anche la parola onomatopeica lolly
per “brodo, zuppa”.
Menzioniamo infine il derivato loblolly, che ha diversi significati, tra di
loro connessi:
1) “un grosso pezzo di cibo”,
2) “una minestra da mangiarsi con il cucchiaio”, in riferimento ad un piatto
marinaresco servito a marinai indisposti quale semplice rimedio medicinale7,
3) “villano, rustico”, in quanto, probabilmente, “persona che mangia e beve rumorosamente”.
La prima attestazione della parola loblolly risale alla fine del XVI secolo o
alla prima decade del XVII secolo. A nostro parere, tuttavia, il primo elemento
del composto loblolly potrebbe essere ricollegato alla radice LOB “pendere pesantemente”, sopra menzionata a proposito di Lobscouse. Non è altresì da
escludere che possa esserci stata un’interferenza con la radice LAB “mangiare
e bere in modo rumoroso”. In ogni caso, forse anche in quanto rinforzato da
questa interferenza, il termine loblolly poteva facilmente acquistare il significato metaforico di “bifolco, zoticone”. Con questo significato, la parola è ben
attestata in Inghilterra a partire dal XVII secolo.
2.2. Sull’etimo di Scouse
Per il secondo termine del composto labskaus, poi lobscouse, nessuna etimologia è stata finora proposta in letteratura, almeno per quanto ci risulta. Lo
spoglio dei dizionari etimologici delle lingue germaniche antiche sembra tuttavia fornire alcuni suggerimenti interessanti.
La nostra ipotesi è che la forma germanica settentrionale skaus come pure
quella inglese scouse abbiano origine dalla radice SKAUTA del germanico antico, con il significato di “bordo di un panno, angolo di un tessuto” (cfr. DE
VRIES, 1961: 487). Questa radice è attestata nel Nord Europa in norvegese
7
Cf. Oxford Dict. (1933: 377), s.v. loblolly; SHIPLEY (1957), s.v. lobscouse.
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skaut, islandese skaut, danese skiød; inoltre, si ritrova in medio nederlandese
schoot, antico alto tedesco skoza (cfr. KÖBLER, 1993: 971; SCHADE, 1969: 803),
gotico skaut, col significato non solo di “grembo”, ma anche di “bordo, orlo”.
Per l’inglese, abbiamo antico inglese sceat, medio inglese skaute “un pezzo di
stoffa”, poi anche “abito”; il termine è attestato già nei secoli XV e XVI (cf.
LEWIS, 1956: 983-984). Dalla stessa radice nasce il derivato *skauti, che costituisce la base per la forma antico inglese sceata “bordo, orlo”, ma anche “vela”;
parallelamente in medio e moderno nederlandese schote, antico alto tedesco
scozo “vela”. Interessante rilevare che nel dizionario etimologico di De Vries
(1961: 487) sono citate anche alcune forme di prestito dal germanico in lingue
celtiche con lo stesso significato di “vela” o anche “bordo, angolo della vela”;
ad es. antico irlandese lín-scóit, scozzese sgòd; a ciò si aggiunga la testimonianza di lingue non i.e., come la forma estone kaud “vela, telo per navigare”, o
quella lappone skakta, skafta “angolo di una vela”.
D’altra parte, la forma germanica *skaut- costituisce la base del termine
marinaresco “vela” anche nelle lingue romanze: francese écoute, spagnolo
escota, italiano scotta sono tutti prestiti dalla stessa radice germanica8, entrati
nel Mediterraneo dai dialetti germanici settentrionali oppure dal basso tedesco,
come indica l’assenza di palatalizzazione nel nesso consonantico iniziale. Originariamente, il termine indicava “la vela”, in seguito, più precisamente, “la fune che la manovra”, ovvero “la scotta”.
La deriva semantica di SKAUT- può quindi essere riassunta come segue:
il primo significato della parola era “angolo di un tessuto”, “parte di un panno”;
abbastanza presto, è avvenuta una sorta di specializzazione della parola, diventata il termine per indicare il “panno per la navigazione”, e quindi, più semplicemente, “la vela”.
A questo punto della deriva semantica, è possibile supporre che siano entrate in funzione due metonimie:
a) dalla vela alla nave, per cui in inglese scauti “vela” diventa scouti “nave
a fondo piatto”, termine attestato nella prima metà del XV secolo;
b) una parte speciale della vela, ovvero la “fune di manovra”, che in inglese assume la forma palatalizzata di sheet, vale a dire la “scotta”.
È altamente probabile che lo slittamento semantico in a) abbia preceduto
quello in b), perché nel significato di sail sheet, vale a dire “telo della nave, vela” la parola è sempre scritta sheet, in cui il digramma <sh> indica la palatalizzazione del nesso sk-, tipico processo fonologico della lingua inglese, come
8 Cf. BATTISTI e ALESSIO (1957, s.v.); DEVOTO (1979, s.v.); leggermente diverso il quadro
presentato in CORTELAZZO e ZOLLI (1988, s.v.).
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dimostrano molte altre coppie di parole che alternano una forma più antica, priva di palatalizzazione, ad una più moderna, palatalizzata (ad es. skirt/shirt).
Seguendo la nostra ipotesi, avremmo quindi in inglese due forme diverse,
con significato differente, derivate dallo stesso etimo *skaut- germanico:
1. scouti/scouse, senza palatalizzazione, ma con possibile spirantizazzione dell’occlusiva coronale nella seconda sillaba;
2. sheet, con palatalizzazione iniziale di sk-.
La prima forma si è trasformata ben presto in una parola arcaica, una specie di relitto. La seconda forma è invece molto produttiva, poiché nell’evoluzione della lingua la parola ha assunto molti altri significati; dal primario senso
di “panno, tessuto”, sheet viene così ad indicare “biancheria da letto, lenzuola”; oppure il pezzo di carta su cui scrivere, cioè “foglio”.
3. L’inglese Lobscouse
In inglese, la parola lobscouse è attestata dall’inizio del XVIII secolo, col significato di “piatto di carne stufata con verdure e gallette” (cf. ONIONS, 1966;
Oxford Dict., s.v.). Qualche dizionario etimologico scrive ‘di origine ignota’ (ad
es. HOAD, 1986: 269, Longman Dict., 1984: 860), mentre altri comparano la parola inglese con alcune forme di lingue germaniche del Nord: danese labskous,
lobskous, norvegese lapskaus, svedese lapskojs, e le sue varianti lappkojs e
lappskaus, nederlandese lapskous, tedesco Labskaus (ONIONS, 1966).
È utile sottolineare che oggi tutte queste parole si riferiscono ad un piatto
tradizionale, preparato nello stesso modo e con ingredienti simili allo Scouse di
Liverpool. In particolare, Labskaus è il piatto tipico di Amburgo, fatto con carne stufata (o anche aringhe), patate e cipolle.
I dizionari storici di inglese concordano nel definire lobscouse “un piatto
tipico marinaresco fatto di carne e verdure stufate” (cf. Oxford Dict., 1933,
SHIPLEY, 1957, s.v.); talvolta propongono inoltre che lobscouse derivi da lob’s
course, lap’s course; quindi, da lobscouse “piatto del marinaio” sarebbe derivato lobscouser, i.e. “marinaio”.
La prima citazione di lobscouse presente nei dizionari risale allo scrittore
inglese E. Ward che in The Wooden World Dissected (1706) scrisse «He has
sent the Fellow (…) to the Devil, that first invented lobscouse». La parola si ritrova quindi in T. Smollett (1751): «A mess of that savoury composition
known by the name of lob’s course». Vi sono varie altre citazioni per il XIX secolo; per esempio, nel 1867 lap’s course è descritto come «one of the oldest and
most savoury of the regular forecastle dishes» (cf. Oxford New English Dict.,
1933: 377-378; SHIPLEY, 1957, s.v.).
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Particolarmente interessante ci pare il brano di F.F. Moore in Journalist’s
Note del 1894: «something like a glorified Irish stew, or perhaps what yachtsmen call lobscouse» (citato da Oxford Dict., 1933: 378). Si osservi che questa è
l’unica citazione che collega la parola lobscouse agli irlandesi; tale aspetto può
essere rilevante per il quadro socio-economico specifico della città di Liverpool che abbiamo delineato in precedenza (cfr. § 1).
4. Marinai e metafore
Una volta identificate le radici dei due elementi del composto inglese lobscouse, possiamo ora articolare la nostra ipotesi etimologica .
Il termine originale labskaus potrebbe essere una forma danese arrivata in
Inghilterra ed Irlanda in tempo antico, forse già in epoca medievale. In tal caso,
la parola sarebbe stata in uso presso i Vichinghi, esperti marinai, per indicare
gli abitanti costieri delle isole britanniche, considerati inesperti, in breve, “marinai d’acqua dolce”.
Sappiamo da fonti storiche che nel IX e X secolo, popolazioni nordiche invasero l’Irlanda ed ebbero intense relazioni commerciali con l’Inghilterra; il
loro contributo allo sviluppo dei commerci e dell’urbanizzazione fu particolarmente rilevante per tutto il Nord Europa. Contatti tra scandinavi da un lato e
britannici o irlandesi dall’altro sono stati del resto frequenti e proficui anche in
epoca moderna.
Se il composto germanico labskaus derivasse dalla combinazione della radice verbale LAB “pendere pesantemente” e dall’etimo SKAUT-/SKAUS“vela”, la parola avrebbe letteralmente il significato di “vela che pende pesantemente”. Nella nostra ipotesi, la connotazione semantica della parola sarebbe
stata negativa sin dall’inizio, dal momento che la vela di un bravo marinaio non
è mai floscia, bensì sempre tesa e gonfia. Basti pensare al sintagma italiano
“andare a gonfie vele”, o all’analogo inglese to be under full sail, espressioni
connotate positivamente, in quanto fanno riferimento ad una vela ben tesa, che
sfrutta appieno la forza dei venti e che può pertanto imprimere alla nave un’andatura spedita.
La parola originale scandinava labskaus sarebbe stata presa in prestito
dall’inglese agli inizi dell’epoca moderna; l’adozione nella lingua inglese ne
avrebbe determinato il cambiamento in lobscouse: l’innalzamento vocalico
dall’originale a in o è infatti compatibile con la fonologia dell’inglese (cfr.
MIONI, 1988). Come abbiamo già avuto modo di osservare, l’assenza di palatizzazione del nesso sk e la conservazione del dittongo au costituiscono forti indizi a favore dell’origine nordica del composto (cfr. LASS, 1994: 59). Il prestito
sarebbe entrato nelle isole Britanniche quando la tipica regola di palatalizza-
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zione del gruppo sk non era attiva nella lingua inglese.
Un’ipotesi alternativa potrebbe far risalire l’origine della parola composta
labskaus ad una forma del basso tedesco, entrata nelle lingue germaniche del
Nord e nell’inglese nel corso del secolo XIV, in coincidenza con il periodo di
maggiore espansione della Lega Anseatica, che, com’è noto, diede origine ad
una koiné linguistica di matrice commerciale più che letteraria, avente come
base il dialetto di Lubecca. A questo periodo risalgono infatti molti prestiti dal
basso tedesco alle lingue scandinave, in particolare, danese e norvegese. Ricordiamo che anche nel basso tedesco (come nel germanico settentrionale), non si
verifica la palatalizzazione della sibilante preconsonantica, ma, di contro, il
dittongo au monottonga in o oppure u lunga, per cui ci attenderemmo una forma come skoos anziché skaus (cfr. MIONI, 1988: 53-54).
È importante sottolineare che l’etimologia da noi proposta (Labskaus
“marinaio inesperto”) non è in contrasto con nessuna delle due ipotesi qui
avanzate circa l’origine della parola: in entrambi i casi (popolazioni vichinghe
oppure marinai della Hansa ), si fa riferimento a contesti caratterizzati da
un’elevata competenza in ambito marinaresco.
Né pare costituire obiezione alla nostra etimologia il fatto che la parola
sheet, derivata dalla stessa radice del germanico settentrionale o anche del basso tedesco skauti-, mostri una forma palatalizzata in inglese, mentre in lobscouse, poi semplicemente scouse, non si riscontra palatalizzazione: nel composto labskaus, poi lobscouse, che si configura come un vero e proprio relitto, è
conservata la forma originale scandinava o basso tedesca, con il gruppo sk- non
ancora palatalizzato, mentre nella parola sheet il gruppo ha seguito il suo normale percorso evolutivo tipico dell’inglese.
In entrambe le forme (labskaus e lobscouse), a partire dal primo significato letterale di “vela moscia”, il composto avrebbe potuto facilmente acquisire il
significato metaforico di “marinaio che naviga con la vela floscia”, cioè “marinaio inesperto”, ovvero “marinaio d’acqua dolce”. Non sono escluse anche
connotazioni della parola in senso sessuale, che renderebbero ancora più negativo il senso globale della metafora. In ogni caso, il processo metaforico procede mediante una depauperizzazione del taxon originale (cfr. CARDONA, 1982),
sebbene si mantenga nella stessa sfera semantica (lessico marinaresco).
Se la nostra ipotesi è corretta, il significato originale di lobscouse sarebbe
quindi quello di un etnonimo, ed in particolare un etnonimo eteronimo dato
dai Vichinghi, oppure dai tedeschi del Nord (in entrambi i casi, esperti navigatori nei mari del Nord Europa) agli inglesi ed agli irlandesi. Questa classe speciale di nomi mostra di norma connotazioni di tipo negativo, in quanto basata
su un’opposizione fondamentale – mirabilmente messa in luce già da G.R.
Cardona – tra NOI, che siamo migliori, superiori e GLI ALTRI, che sono peggiori, inferiori.
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Nel nostro caso specifico, avremmo dunque il contrasto:
“NOI, marinai esperti”
versus
“LORO, che non sanno navigare”.
Riteniamo altamente probabile che la semplificazione del composto (da
labskaus a skaus, e in inglese da lobscouse a scouse) sia avvenuta soltanto dopo
che la parola aveva assunto la specifica connotazione metaforica antropologica.
Se il nome lobscouse indica il “marinaio inesperto”, il passo successivo
nella deriva semantica della parola può facilmente prevedere uno slittamento
verso due aspetti fondamentali per l’identificazione e la caratterizzazione dei
gruppi etnici, vale a dire il cibo e la lingua. In altri termini, riteniamo che la parola lobscouse come pure la sua forma semplificata scouse siano passate ad indicare da una parte quello che i “cattivi marinai” mangiano, ovvero una misera
zuppa, dall’altra il modo in cui parlano, ovvero il loro dialetto. Entrambi i passaggi sopra menzionati non sono certo strani o inattesi, dal momento che cibo e
lingua rappresentano le caratteristiche fondamentali per la caratterizzazione
antropologica di un popolo (cfr. ancora CARDONA, 1982; LE PAGE e TABOURET
KELLER, 1985).
La deriva semantica di lobscouse potrebbe quindi essere schematizzata nel
modo seguente:
vela floscia
↓
marinaio con vela floscia
↓
cattivo marinaio
zuppa mangiata dai cattivi marinai
dialetto parlato dai cattivi marinai
5. Il piatto
È ben noto che il cibo è un elemento che contribuisce in modo essenziale
all’identificazione di un gruppo etnico. Possono essere citati molti esempi in
questo senso: la forma italiana crucchi in riferimenti ai tedeschi, e l’analogo inglese Krauts; la parola polentoni usata dai parlanti meridionali d’Italia per i settentrionali; ancora, la forma maccaroni usata dai tedeschi per indicare gli italiani, oppure il termine Eskimo (lett. “mangiatori di carne cruda”) usato dagli
americani per gli Inuit.
A favore del passaggio dal “marinaio” a quello che il marinaio mangia, o,
più in generale, dal nome di un lavoratore o professionista a quello che il lavoratore/professionista mangia, cioè il suo cibo, potranno d’altro canto essere citate
espressioni del tipo “spaghetti alla marinara” oppure “penne alla boscaiola”.
Una volta chiarito che lobscouse era passato ad indicare il piatto tipico dei
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“cattivi marinai”, diventa possibile spiegare la presenza di carne in una zuppa
marinara: i “cattivi marinai” non sanno andar per mare, non sono capaci di pescare, quindi tornano a casa senza pesce, con le reti vuote; di conseguenza, sono costretti a mettere carne anziché pesce nella loro minestra.
Il significato alimentare della parola composta Labskaus/Lobscouse è per
così dire migrato in tutto il Nord Europa; si ricordi che il termine labskaus è in
uso nelle lingue scandinave ed in tedesco, in particolare ad Amburgo, dove indica un piatto tipico simile a quello di Liverpool. Nella nostra ipotesi, il termine potrebbe essere entrato in danese, norvegese, svedese e basso tedesco come
prestito dall’inglese, probabilmente nel XVI e XVII secolo. La presenza delle
patate tra gli ingredienti necessari per la preparazione di questa minestra consente di collocare almeno un termine temporale post quem, visto che la coltivazione di questo tubero in Europa è posteriore alla scoperta dell’America.
Non sarà del resto strano che proprio la lingua inglese, che aveva preso in
prestito l’antica forma scandinava in epoche precedenti, l’abbia poi esportata
nel resto del Nord Europa, dal momento che in epoca moderna la nazione inglese aveva avuto modo di aumentare considerevolmente il suo prestigio economico e culturale: gli inglesi costituivano ormai una vera e propria potenza
navale europea e mondiale.
Stiamo quindi ipotizzando un lungo percorso circolare per la nostra parola: nata nell’Europa del Nord, entrata in Inghilterra con connotazione negativa,
assunti due diversi ma correlati significati metaforici, nella sua accezione alimentare viene esportata dall’inglese nel Nord Europa. Non ci stupirà certo che
il nome di un piatto ‘viaggi’, per così dire, da un capo all’altro dell’Europa: per
citare un solo esempio, gli “spaghetti alla bolognese” vengono attualmente
preparati e consumati in tutto il mondo occidentale, talora senza consapevolezza alcuna dell’origine geografica del piatto, spesso trascritto in modo non-standard, e propinato nei ristoranti stranieri, con varianti anche fantasiose, ben poco attinenti alla tradizione emiliana.
6. Il dialetto
Oltre al passaggio metaforico da “cattivo marinaio” a “zuppa del cattivo
marinaio”, un nuovo slittamento semantico ebbe luogo, dal momento che alla
parola scouse venne assegnato anche un altro significato, vale a dire la lingua
parlata dai “cattivi marinai”, cioè dalle popolazioni che abitavano le coste occidentali dell’Inghilterra. Come il cibo, anche la lingua è caratteristica rilevante e
fondante di un gruppo etnico, e dunque anche questo elemento può diventare
elemento di scherno e di disprezzo tra etnìe diverse. Non mancano certo gli
esempi, più o meno illustri, per illustrare la connotazione negativa associata ad
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etnonimi eteronimi facenti leva sull’elemento linguistico, a partire dal termine
bárbaroi (letteralmente, “coloro che dicono ba-ba”), con cui gli antichi greci
nominavano le popolazioni confinanti, fino alla più recente denominazione didones usata dagli spagnoli per i francesi (dall’espressione dis-donc, comunemente usata da questi ultimi), come pure al nome dispregiativo dato dagli ungheresi ai tedeschi, cioè vigéc (forma storpiata della frase tedesca wie geht’s).
Mentre il passaggio metaforico da “cattivo marinaio” a “zuppa del cattivo
marinaio” non si è limitato alle isole britanniche, essendo il secondo significato attestato in varie zone dell’Europa settentrionale, la deriva semantica che da
“cattivo marinaio” conduce a “lingua parlata dai cattivi marinai” mostra una
connotazione spaziale più ristretta, dal momento che ha assunto il significato di
accent specifico dell’area di Liverpool, in cui i “cattivi marinai” parlano un inglese per così dire ‘bastardo’. Lo stesso fenomeno si applica al derivato Scouser, vale a dire, l’abitante di Liverpool che parla con il caratteristico accent della città.
A questo proposito è essenziale ricordare che per moltissimo tempo Liverpool è stato uno dei porti più attivi della costa occidentale britannica; sia per
questo motivo che per la vicinanza geografica, è stato il principale polo di immigrazione irlandese in Gran Bretagna. Come abbiamo notato in precedenza,
buona parte della popolazione cittadina ha ascendenti irlandesi (cfr. § 1), per
cui è legittimo supporre che i “cattivi marinai” che parlavano l’inglese con un
forte accento ‘straniero’ potessero essere facilmente identificati con gli immigrati irlandesi. Non è dunque un caso che proprio nella città di Liverpool e non
altrove, il significato di scouse come specific accent abbia potuto attecchire,
svilupparsi e mantenersi sino ad oggi. In questo modo, soprattutto in bocca degli inglesi autoctoni, la parola scouse acquistava una connotazione negativa
ancor più marcata, perché aveva come referente primario proprio la parte della
popolazione cittadina più disprezzata, in quanto misera, incolta, cattolica: in
una parola, gli irlandesi.
Non sarà infine fuori luogo richiamare l’attenzione del lettore su una specifica caratteristica fonetica: nel composto germanico attestato nel Nord Europa
ancora oggi, labskaus, così come nelle forme inglesi lobscouse e scouse rileviamo una sibilante al posto dell’occlusiva coronale. Il cambiamento fonetico da t a
s potrebbe essere spiegato in riferimento al tipico processo di lenizione che interessa le consonanti occlusive nell’inglese parlato a Liverpool. Ricordiamo a tale
proposito che il processo di lenizione sembra particolarmente attivo nel caso di
bersagli occlusivi coronali, per i quali la sibilante rappresenta uni degli esiti fonetici superficiali possibili (cfr. MAROTTA e BARTH, 2005). Non è pertanto da
escludere che il cambiamento t > s (cfr. lobscouti > lobscouse) sia avvenuto a
Liverpool, dal momento che proprio in quella città le occlusive intervocaliche
sono soggette a spirantizzazione, in epoca antica come ancora oggi.
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7. Conclusione
In queste pagine abbiamo avanzato una nuova proposta etimologica per la
parola inglese Scouse. La letteratura precedente sull’argomento riconosce concorde la derivazione di Scouse da un composto del germanico settentrionale
Labskaus, entrato in inglese come prestito nella forma lobscouse. Mentre per il
primo elemento del composto è già stato in passato proposto qualche etimo, per
il secondo elemento l’etimologia era finora ignota.
Nell’ipotesi etimologica qui avanzata, suffragata dai riscontri con termini
attestati in epoca sia antica che moderna in numerose lingue germaniche settentrionali, il composto nordico originario Labskaus avrebbe avuto il significato di “vela floscia”, ben presto riferito, per estensione metaforica, anche a “marinaio che naviga con la vela floscia”, cioè “marinaio inesperto”. In quanto
etnonimo eteronimo, inventato da popolazioni del Nord Europa esperte nella
navigazione dei mari – Vichinghi o tedeschi del Nord Europa – il nome esprimeva un atteggiamento dispregiativo nei confronti di irlandesi e inglesi, considerati di competenza inferiore in ambito marinaresco (e non solo).
La parola fu in seguito estesa a due elementi fondamentali della cultura di
un popolo, vale a dire il cibo e la lingua. Mediante una deriva semantica assolutamente non marcata sul piano antropologico e culturale, lobscouse, o più
semplicemente scouse, passarono ad indicare da una parte “il cibo che il cattivo
marinaio mangia”, e dall’altra “la lingua che il cattivo marinaio parla”.
Il valore originario della parola composta così come quello del semplice
derivato scouse si è perduto nel corso dei secoli. Anche le persone che oggi
usano quotidianamente la parola non sono più coscienti della sua origine etimologica. La deriva semantica nei suoi vari passaggi è ormai del tutto opaca:
marinaio → zuppa del marinaio → dialetto del marinaio → dialetto di Liverpool.
Un tratto del significato originario del termine è rimasto tuttavia costante: la
parola ha mantenuto una connotazione sociale negativa. Ancora oggi, in Inghilterra, nonostante la crescente diffusione dei tratti scouse, questo accent è percepito e giudicato almeno in parte sgradevole; in parallelo, il parlante scouser continua ad essere associato a persona incolta, poco educata e poco affidabile.
In sintesi, la storia della parola Scouse costituisce un ulteriore esempio
della forza degli atteggiamenti culturali di un popolo (attitudes) e di come tale
forza possa esprimersi in modo particolarmente energico nel linguaggio. Questi medesimi atteggiamenti possono essere più forti dei cambiamenti linguistici e perciò mantenersi inalterati, sia pure variatis variandis, anche per secoli,
mostrando una vitalità ed un radicamento insospettati ad una prima e superficiale considerazione.
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