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APRILE 2013 ­ N.14
[email protected]
Editoriale ­ La legalità è
una luce
Carissimi
Jangany,
Amici
di
Mi faccio di nuovo vivo
per
darvi
ancora
qualche notizia. Spero
che abbiate passato la
festa di Pasqua in
serenità e gioia.
Qui a Jangany abbiamo celebrato la festa
con semplicità, ma con grande fervore
spirituale:
solenni
e
partecipate
celebrazioni, bellissimi canti e molta gioia.
Sono venuti, per le brevi vacanze
pasquali,
quasi
tutti
gli
studenti
universitari di Antananarivo e delle altre
città: interessantissimo vederli parlare
delle loro esperienze ai parenti ed amici e
a tutta la popolazione. Anche tra questa
gente primitiva, si parla di università. Gli
anni che verranno faranno vedere il
valore di questa conquista.
E' appena terminata la stagione delle
piogge ed è per noi una pena vedere le
tante risaie rimaste senza frutto a causa
della siccità del mese di Gennaio. (segue)
Cinque per mille e
deduzione delle offerte.
Per devolvere il 5 per mille è sufficiente inserire nel
riquadro il codice fiscale 94051120031 intestato a
AINA ONLUS.
Per la dichiarazione dei redditi sono sufficienti le
ricevute delle offerte versate sul conto AINA (nel
caso di bonifico o versamento postale è sufficiente
la ricevuta; nel caso di assegno la dichiarazione
fornita da AINA Onlus). Nella gran parte dei casi
conviene la DEDUZIONE: compilare il rigo E26 con
codice 3.
Chi volesse invece effettuare la detrazione può
compilare il rigo E17 (oppure E18 o E19) con il
codice 20.
Amici di Jangany, le feste di Pasqua cadono quest’anno in
un periodo di drammatico aggravamento della crisi
economica e sociale. Lo constatiamo ogni giorno nella
carenza di risorse indispensabili per i servizi più importanti
come la sanità e l’istruzione e, quotidianamente, nei
contatti con persone che perdono il lavoro, con tutte le
conseguenze esistenziali e familiari che questo comporta.
Come avete già saputo, anche Jangany si sta preparando
ad un ennesimo periodo difficile: si tratta in questo caso di
sopravvivenza, di fame e denutrizione, di alcuni mesi da
affrontare fino al prossimo raccolto… Intanto la vita, la
scuola, i progetti di sviluppo vanno avanti, con speranza.
Certamente un nodo centrale connesso alla crisi è quello
della legalità, cui questa news letter è dedicata. L’Istituto
Comprensivo di Pino Torinese ci ha lavorato con i ragazzi
della primaria e della secondaria realizzando molte lettere
che proprio in questi giorni stanno per prendere l’aereo
alla volta di Jangany. Ne propongo qualche piccolo stralcio
che a tratti sorprende.
Da noi la legge è abbastanza rispettata
L’interesse al tema legalità è stato inizialmente suscitato dal
furto alla missione a Jangany. La prima parte del racconto
Ritornano i Briganti è disponibile nella news n. 10,
http://www.solidando.org/documenti/News%2010.pdf
.
Pubblichiamo come promesso in questo numero la
seconda parte. Si tratta questa volta di un racconto lungo e
intenso, dove padre Tonino mette in gioco tutti i suoi
sentimenti umani e spirituali; vi troverete pertanto anche
una riflessione religiosa (che non ho voluto omettere
nonostante la natura laica di questa news).
L’incontro con questa storia di illegalità ci suggerisce che ci
sono modi rozzi di trasgredire la legge e modi molto più
raffinati...in questo noi in Italia siamo più esperti di loro
anche se il risultato è lo stesso! Non vorrei lasciar trasparite
che la nostra è una società dove tutto funziona mentre a
Jangany non è così. La legalità è infatti scritta nel cuore
prima che sulla carta.
In effetti tutto il percorso di istruzione che stiamo
sostenendo – qui in Italia come a Jangany ­ è anche un
percorso di costruzione del valore della giustizia e del bene
comune.
Occhio al 5x1000 e alle indicazioni per la deduzione!
Buona lettura
La saggezza di questa gente dice che "al
gennaio senz'acqua segue l'ottobre
senza cibo".
Questa previsione ha prodotto degli
effetti anche in campo religioso. Nella
festa di Pasqua appena trascorsa, ho
avuto una richiesta di 43 Battesimi. In
genere, i Battesimi di Pasqua si
aggiravano sulla ventina. Indagando sul
perché di questo straordinario aumento,
ho avuto questa risposta: le famiglie che
pensavano di celebrare il Battesimo a
Natale l'hanno anticipato perché, in quel
periodo, non ci sarà da mangiare.
L'attività delle scuole prosegue a pieno
ritmo. Entriamo nel terzo trimestre e ci
prepariamo da vicino agli esami: avremo
una
cinquantina
di
alunni
che
affronteranno il diploma delle Elementari
e una quarantina che affronteranno
quello delle Medie.
Il Centro di Formazione Rurale sta
andando avanti molto bene con le lezioni
teoriche e pratiche sulla coltivazione dei
legumi. Abbiamo già assaggiato i primi
frutti: insalate, zucchini e peperoni.
Vi salutiamo con affetto e riconoscenza.
P. Tonino e tutta la gente di Jangany
(grossi tavoloni) delle piste di transito e il camion
riuscì a passare solo grazie ai madriers
d'emergenza che era solito portarsi appresso.
Durante il viaggio, ebbi modo di fare lunghe
riflessioni. Mi venivano in mente le parole del libro
di Giobbe: “Il Signore ha dato, il Signore ha tolto;
come piacque al Signore, così è avvenuto: sia
benedetto il nome del Signore”. Sperimentavo però
che, se è facile prendere dalle mani di Dio i
momenti di gioia, è meno facile prendere dalle
stesse mani i momenti di dolore. E' duro sopportare
la malvagità e non è semplice capire il senso della
sofferenza e delle sciagure. Quando si guarda in
faccia il problema del male, l'animo si riempie di
“amarezza amara”, come dice Isaia (cfr. 38,17).
P. Tonino e tutta la gente di Jangany
Le tracce dei briganti (prima
parte, Il Tradimento)
di padre Tonino Cogoni
Ho cercato di mettere in rilievo i problemi
morali, spirituali e culturali che il trauma del
furto ha creato nella vita della popolazione di
questa savana.
Prima Parte: "Il Tradimento"
Sabato 26 novembre 2011, presi il taxi­
brousse e andai a Betroka. La strada, come
al solito, era molto brutta. Il camion impiegò 5
ore a percorrere gli 80 Km: partì da Jangany
alle 2 del pomeriggio e arrivò alle 7 di sera, al
buio.
Su alcuni ponti, erano stati rubati i madriers
Domenica 27 novembre, animai la festa della
Medaglia Miracolosa nella cappella delle Figlie della
Carità di Betroka. Il giorno seguente, trovai un
passaggio su una macchina diretta a Ihosy e andai
in quella città per partecipare alla “fivorian'ny
Mompera” (riunione di tutti i Mompera della diocesi).
Mentre mi trovavo a Ihosy, passai dalla Bank Of
Africa (BOA) per parlare con i funzionari e metterli
al corrente del furto avvenuto alla Missione di
Jangany. Pregai il vice direttore e il suo collega
M.eur Jacques di seguire con attenzione i
movimenti delle persone che si fossero presentate
in banca a cambiare degli Euro. I due funzionari,
che sapevano quanto lavoro aveva fatto la Missione
per le scuole e per le opere sociali, furono
addolorati nel venire a conoscenza di un
avvenimento così impensabile. Mi dissero che,
come malgasci, si sentivano umiliati per un
comportamento così insensato da parte di loro
connazionali. Tennero ad assicurarmi che
avrebbero seguito il problema con molta attenzione.
Notai con piacere che si trovavano ancora
persone capaci di sentire vergogna per le azioni
disonorevoli.
Terminata la riunione di Ihosy, tornai a Jangany.
Che triste rientrare in un ambiente ferito dalla
malvagità! Mi sembrò d'intuire qualcosa della
"paura" che aveva avvelenato l'ambiente dell'Eden
dopo la trasgressione di Adamo e di Eva.
La terra era diventata maledetta: non era più un
paradiso, ma aveva cominciato ad assumere
alcuni sapori dell'inferno.
In 25 anni di lavoro in questa savana, non mi era
ancora capitato d'incontrare la cattiveria in modo
così diretto. Ora ne facevo l'amara esperienza.
Chiedevo a Dio che mi aiutasse a trovare qualche
traccia dei briganti. Avevo in cuore una grande
pena nel pensare che i soldi della chiesa erano
finiti nelle mani dei delinquenti e potevano essere
usati per le loro perversità. Sentivo il dovere di fare
il possibile per ricuperarli.
Il grande desiderio di trovare giustizia mi faceva
immaginare che, un giorno, Il Signore mi avrebbe
messo davanti agli occhi i ladri appena catturati.
Chiedevo l'intercessione di Santa Teresina di
Lisieux, patrona dei missionari, affinché si
realizzassero le parole da lei scritte: “Quando il
Signore vuol concederti una grazia, te la fa prima
desiderare nel cuore”.
Honorine, la superiora, dopo un momento di
silenzio, mi disse: «E' incredibile che, a Jangany,
dove tutti sono testimoni di quello che i missionari
hanno fatto per aiutare la gente di questa savana,
possano esserci delle persone così insensate da
osare compiere un gesto così ingrato verso la
Missione».
Spiegai alle suore e a padre Fahamaro che
avremmo dovuto mantenere il massimo riserbo
sull'accaduto, per non destare allarme nei ladri.
Era necessario vigilare e seguire in silenzio
eventuali movimenti che potessero rivelare le loro
tracce. Appena avessimo scoperto qualche indizio,
avremmo denunciato i briganti ed avremmo
introdotto la causa in tribunale.
Passammo tutto il mese di dicembre 2011 in
questa attesa vigile e silenziosa.
Prima di Natale, radunai gli operai per la paga e
spiegai loro che, dopo le feste, ci sarebbe voluto
un certo tempo prima di riaprire il cantiere della
chiesa, perché avrei dovuto controllare con
precisione i soldi che avevamo ancora a
disposizione ed avrei dovuto sentire il parere dei
benefattori. Gli operai, ben lontani dal capire la
causa di questa mia spiegazione, mi dissero che
avrebbero atteso la mia chiamata e chiusero il
cantiere fino al nuovo ordine.
Arrivato a Jangany, feci un minuzioso controllo
all'interno del container e cominciai ad accennare
al padre Fahamaro che i ladri avevano rubato dei
soldi riservati alla costruzione della chiesa.
Usai parole molto prudenti per non allarmare
questo
mio
confratello
malgascio.
Padre
Fahamaro capì e fece un gesto di dolore. Lo
incoraggiai con le parole di un salmo: i malvagi
“sprofondano nella fossa che hanno scavata, nella
rete che hanno teso si impiglia il loro piede”
(cfr.9,16).
Andai poi dalle suore e, con cautela, le misi al
corrente del furto. Le vidi molto afflitte. Suor
Proprio il 24 dicembre, vigilia di Natale, a distanza
di un mese dal furto, ci fu chi notò, a Jangany,
l'arrivo di una macchina bianca, una TOYOTA con
targa 1378 TAH, già usata, ma in buone
condizioni. Non si capiva chiaramente a chi
appartenesse. Si notava che era sempre
posteggiata nel cortile di un gendarme in servizio a
Jangany, di nome EANDRY Zafimanova Hervé,
detto “chef Vévé”.
La gente, che ancora non sapeva del furto alla
Missione, seguiva con curiosità da villaggio i
movimenti delle persone attorno a quella
macchina comparsa d' improvviso. Sembrava che
un certo RAOELIARISON Aina Bernardin, detto
AINA, nulla tenente e segnalato da alcuni come
ladro, si atteggiasse a padrone della macchina,
anche se, essendo semi­analfabeta, non aveva la
patente di guida.
All'inizio di gennaio 2012, questo Aina acquistò
d'improvviso un salotto di lusso del valore di oltre 2
milioni di Ariary. Alcuni vicini di casa cominciarono
a chiacchierare sul fatto e le dicerie aumentarono
quando, verso metà gennaio, apparve nel cortile di
questo individuo un'antenna parabolica per
televisione dal costo di un milione e mezzo di
Ariary.
Chi osservava questi fatti era sorpreso e nutriva
dei sospetti, ma teneva segreta la sua meraviglia e
cercava di capire da dove provenisse questa
ricchezza improvvisa.
Intanto, qualcuno aveva saputo che la moglie di
Aina, detta Rakala, figlia di Raymond, operaio
presso la Missione, aveva comprato di recente
una carretta nuova (200€) e un giogo di buoi
(400€).
Altri avevano notato che, ad Ampandratokana,
nuovo quartiere di Jangany, la famiglia di Aina
stava costruendo una grande casa a 2 piani, con i
muri in mattoni cotti e cemento e con il tetto in
lamiera, dal costo di oltre 15 milioni di Ariary: gran
lusso per queste parti.
Passò così il mese di gennaio e arrivò la data del
14 febbraio 2012.
Nella notte tra lunedì 13 e martedì 14 febbraio, ci
fu un secondo furto negli ambienti della Missione. I
ladri assalirono le case degli insegnanti della
scuola Sainte Marie. Forzarono il lucchetto del
cancello ed entrarono nel cortile recintato;
scassarono i lucchetti delle cucine, rubarono le
pentole e portarono via quel po’ di riso che
trovarono.
Le case degli insegnanti, insieme con il
“kilasimandry” (collegio­convitto per gli scolari dei
villaggi) e con il complesso delle 30 aule
scolastiche, formano un vero e proprio quartiere
che la gente chiama “cité des études” (cittadella
degli studi). I ladri quindi avevano osato attaccare
l'opera più importante e significativa della
Missione: la scuola.
Noi missionari, insieme con le suore e gli
insegnanti, demmo l'allarme a tutta la popolazione,
alle autorità del Comune e alla gendarmeria di
Jangany.
Il sistema di forzatura dei lucchetti sembrava
identico a quello del furto nel container dei
Mompera ed era probabile che si trattasse della
stessa banda di ladri. Decisi subito di presentare
la denuncia dei due furti in un unico documento.
La mattina di lunedì 20 febbraio, depositai l'atto di
denuncia presso la gendarmeria di Jangany. I
gendarmi diedero precedenza all' inchiesta sul
fatto più recente, riservando ad un secondo tempo
l'inchiesta sul furto nel cortile dei Mompera.
Ci fu subito l'arresto di un adolescente di 15 anni,
conosciuto come ladro da tutto il villaggio. I
gendarmi lo misero alle strette con i loro sistemi e
subito il ragazzo cantò. Ammise di essere tra gli
autori del furto nelle cucine degli insegnanti e
rivelò i nomi dei sei complici: tutti giovani tra i 15 e
i 20 anni, guidati da un vecchio lupo di 40 anni,
cognato di un noto commerciante di Jangany.
Si trattava di una banda che aveva imperversato
impunemente nel villaggio da ottobre 2011 a
febbraio 2012, rubando nelle povere capanne,
seminando il terrore tra la popolazione e creando
insicurezza in tutto l'ambiente.
La gente subiva i furti e non osava fare denunce
per paura delle vendette.
La Missione, invece, osò presentare denuncia e
subito si scoprirono i ladri e le famiglie da cui
provenivano.
Tutto il villaggio fu in subbuglio. I ladri vennero
rinchiusi nella prigione della gendarmeria, furono
subito radunati i genitori o i responsabili delle loro
famiglie e ci fu un confronto con noi missionari,
con le suore e con gli insegnanti derubati.
C'erano tre vie per cercare una soluzione: il
cosiddetto “arrangement privé” (accordo privato tra
le famiglie dei ladri e le persone derubate), il
ricorso alla Dina (tribunale popolare della tribù), la
denuncia al tribunale di Betroka (struttura statale).
Fu subito scartato il ricorso al tribunale di Betroka,
sia perché la gente non riponeva alcuna fiducia in
quell'ambiente famoso per la corruzione, sia
perché i tribunali del Madagascar erano in
sciopero da più di un anno e si sapeva in quali
condizioni si trovava l'amministrazione della
giustizia.
Venne scartata anche la via della Dina, perché
complicata e troppo esposta a influssi di parentela
e a complicità.
Si scelse quindi la via più spiccia dell'
“arrangement privé” e si cercò un accordo
immediato con le famiglie dei ladri. Gli insegnanti
presentarono ai gendarmi il resoconto dei danni
subiti e indicarono la cifra necessaria per il
risarcimento: 800 mila Ariary.
Le famiglie dei ladri si impegnarono a risarcire
entro 5 giorni. La mattina del sabato 25 febbraio,
venne fatta la convocazione in gendarmeria per il
risarcimento. Si riunirono davanti ai gendarmi e al
sindaco i familiari dei ladri, gli insegnanti, le suore
e il Mompera.
Prima della consegna dei soldi, chiesi la parola per
esprimere la mia insoddisfazione davanti al
sindaco e a tutta l' assemblea. Dissi che ritenevo
insufficiente "l'arrangement privé” per ottenere una
vera giustizia, perché la questione si risolveva
senza
nessuna
punizione
personale
dei
responsabili del furto. A sborsare i soldi erano i
familiari, anche se innocenti. I ladri riacquistavano
la libertà senza aver scontato nessuna pena e
rientravano nella società pronti a proseguire sulla
strada della delinquenza. Non temendo punizione,
essi
prendevano
come
un
divertimento
l'organizzare e perpetrare furti ai danni della
povera popolazione.
Feci notare che i ladri arrestati erano quasi tutti
minorenni e “tsy tera­tany” (non nativi di Jangany),
cioè persone avventizie comparse nel villaggio
d'improvviso e sconosciute alla gente.
Questo denotava mancanza di controllo dei
forestieri e scarsa vigilanza nel proteggere la
popolazione. Chiesi ai gendarmi di seguire con
attenzione i movimenti dei giovani responsabili del
furto e di sottoporli ad inchiesta immediata,
qualora si verificassero altri furti, in modo da
scoraggiarli dal ricominciare l'attività criminosa.
Prese la parola il sindaco e disse che le
osservazioni del Mompera erano opportune e che
era necessario impegnarsi maggiormente nel
controllo dei forestieri e nella vigilanza.
Furono consegnati agli insegnanti i soldi del
risarcimento e l'assemblea si sciolse. I ladri
sarebbero stati liberati nel pomeriggio. Tutti
sapevano che, prima del rilascio, avrebbero
pensato i gendarmi, dietro le quinte, a farsi dare
altri soldi dai familiari. La strada per introdurre una
coscienza diversa e un migliore senso della
giustizia sembra ancora molto lunga.
Prima di essere messi in libertà, i ladri furono
interrogati uno per uno dai gendarmi sul furto nel
container del Mompera.
Essi risposero che non erano stati loro a rubare
presso il Mompera.
Per quel furto quindi, era necessario impostare
una ricerca a parte.
Intanto, la denuncia presentata ai gendarmi il 20
febbraio aveva reso pubblica la notizia del furto dei
soldi della chiesa. La popolazione fu scossa
enormemente e si scatenò una reazione
immediata. La gente, dopo aver visto le opere dei
missionari per sollevare le misere condizioni di
tutta la zona, non avrebbe mai immaginato che, a
Jangany, potesse verificarsi un fatto di quel
genere. Tutti parlavano dell'avvenimento con un
senso di dolore e di vergogna e dicevano: «Niova
ny fiaraha­monina» (è cambiata la società).
In effetti, l'ambiente di Jangany non era più quello
semplice degli anni passati e si rendeva
necessario adottare adeguate misure di vigilanza.
Le espressioni usate dalla gente per qualificare
questo
furto
manifestavano
sgomento
e
raccapriccio. Alcuni dicevano: «zavatra mandoto
ny tanàna io» (è una macchia che sporca la città),
altri sottolineavano soprattutto che «mamoa fady
sy maha­ratsy ny tany» (attira la maledizione di
Dio e degli antenati sugli abitanti e rende cattiva la
terra).
C'era stata infatti una doppia profanazione: quella
delle offerte dei benefattori, cosa sacra agli occhi
di Dio, e quella della chiesa, luogo santo della
preghiera. Per uscire da una simile maledizione, la
mentalità animista prevede l'adempimento di rituali
ben precisi. E' necessario, da parte dei delinquenti
e delle loro famiglie, un atto di “fifonana”
(riconoscimento pubblico della colpa e richiesta di
perdono). I briganti e le loro famiglie devono fare il
rito pubblico e solenne dell'offerta di un bue come
sacrificio per placare l’ira di Dio e degli antenati.
Senza questi segni di riconciliazione e senza il
dovuto rispetto di questa sensibilità culturale della
popolazione, la convivenza non può ritrovare la
pace e la concordia.
Sono da prevedere tempi lunghi. Dopo la sentenza
del tribunale, bisognerà entrare in dialogo vivo con
la mentalità della gente e con il suo tipo di
saggezza per cercare vie di riconciliazione e di
pacificazione. Sarà un importante momento di
confronto tra la mentalità cristiana, che non ricorre
alla vendetta, e la mentalità non cristiana.
Occorrerà un grande impegno dal punto di vista
culturale e spirituale. I frutti dell'annuncio del
Vangelo non maturano né in modo facile né in
tempi brevi.
I cristiani che erano a conoscenza dell'arrivo della
TOYOTA bianca vennero subito a raccontarmi ciò
che avevano visto.
Vennero anche tanti non cristiani a parlarmi dello
sfoggio di ricchezza che, d'improvviso, avevano
notato nella famiglia di Aina: salotto, antenna
parabolica, carretta e buoi, grande casa in
costruzione. Tutti erano pronti a testimoniare ciò
che avevano costatato con i loro occhi.
Andai subito dai gendarmi e riferii i fatti attestati
dalla gente. Il comandante diede incarico a 2
agenti di verificare la consistenza di queste notizie.
Dopo meno di un'ora, i due incaricati fecero ritorno
in caserma e, in mia presenza, dissero al
comandante che le informazioni fornite dalla gente
corrispondevano tutte a verità.
Gli agenti dell'ordine non poterono fare a meno di
cercare il famoso Aina, portarlo in caserma e
sottoporlo a interrogatorio. L'inquisito fu pronto a
spiegare che la TOYOTA bianca non era intestata
a lui, ma a sua madre Rosette, che la carretta e i
buoi non erano intestati a lui, ma alla moglie
Rakala, che il salotto e l'antenna parabolica erano
intestate a sua sorella Lanto, residente ad
Ambositra, a 600 km. da Jangany, che la grande
casa in costruzione apparteneva a tutta la famiglia.
Questi beni costosi, acquistati nel giro di un mese
da una famiglia che prima era in difficoltà
economiche, risultavano furbescamente distribuiti.
Si intuiva l'opera di astuti consiglieri e la
connivenza della parentela di Aina e della moglie
Rakala, figlia di Raymond, operaio che lavorava
da anni presso la Missione e conosceva il tipo di
lucchetto del container del Mompera. Furono
messi sotto inchiesta anche i parenti di Aina e
della moglie.
La famiglia di Aina apparteneva al clan di SAMBO,
un anziano molto conosciuto, morto di recente. Il
quartiere di provenienza era quello di Jangany
Andrefana (Jangany Ovest), formato da una
dozzina di case abitate da famiglie Bara. Questo
agglomerato era ubicato a 20 minuti di marcia da
Jangany­centro ed aveva come unico accesso un
sentiero che portava alle risaie. Chi voleva
raggiungere quel quartiere doveva attraversare il
fango delle risaie. Questo isolamento non era
casuale, ma era frutto di una scelta ed indicava la
chiusura mentale degli abitanti, che non
accettavano mescolanze con gente di altre tribù,
come i Betsileo o i Merina.
Da quel quartiere, partivano spesso i briganti che
facevano incursioni criminose tra la popolazione di
Jangany­centro.
Gli esperti cercatori di tracce, nel seguire le
impronte dei ladri in fuga, giungevano sovente a
quel quartiere.
Non fu quindi una sorpresa, per la gente di
Jangany, che anche gli indizi del furto alla
Missione portassero a quell'ambiente.
Alcune persone imparentate con famiglie di quel
quartiere vennero a informarmi che, ai primi di
gennaio 2012, poco più di un mese dopo il furto,
erano state testimoni di un fatto strano avvenuto
nel clan di Sambo. Aina aveva dichiarato al
“lonaka” (anziano a capo di un clan o di un
villaggio) che aveva trovato una pietra preziosa,
uno zaffìro.
Chiedeva all'anziano del suo clan di presiedere al
sacrificio di un bue che egli voleva offrire per
ringraziare “Zanahary” (il Creatore) di aver trovato
quella fortuna. Siccome però era risaputo che
nessuno della famiglia di Aina aveva mai lavorato
nel luogo degli zaffìri (territorio di Ranohira, a 100
Km da Jangany), l'anziano ebbe il sospetto di
qualche losco affare e rifiutò di presiedere al rito.
Ad Aina interessava far credere di essere
diventato padrone di una fortuna in modo pulito.
Mettere in pubblico questa notizia attraverso un
atto di culto al Creatore gli sembrava la maniera
più efficace per farla sorbire alla gente.
Deluso dall'anziano del clan, Aina si rivolse a
quello di un altro clan imparentato col suo e, forse
attraverso una buona mancia, lo convinse a
presiedere al sacrificio del bue. Per dare risalto al
rito, fu fatto venire da Tulèar il fratello maggiore di
Aina, che era gendarme. Chi partecipò alla
cerimonia conservò un senso di sospetto, perché
non fu mostrato a nessuno il tesoro trovato,
mentre questo adempimento era richiesto dal rito.
Altre persone, pratiche del quartiere di Andrefana,
vennero a riferirmi che, nel recinto dei buoi di
Zaka, parente di Aina, avevano contato più di 20
buoi. Non avendo mai visto in quel recinto più di 4
o 5 capi di bestiame, domandarono a Zaka
quando avesse acquistato tutti quei buoi.
Questi rispose che non erano suoi, ma di Aina e
che erano stati comprati con i soldi dello zaffìro.
Altri ancora vennero a dirmi che Rosette, madre di
Aina, aveva comprato la casa in cui prima viveva
in affitto ed aveva installato un grosso frigorifero
che funzionava con la corrente erogata a Jangany
per 3 ore al giorno.
Ci furono anche dei parenti di Raymond che
dissero d'aver visto, a casa di questo mio operaio,
suocero di Aina, dei mobili in legno pregiato, molto
costosi, arrivati da Antananarivo a fine gennaio
2012.
Presi nota di tutti i fatti riferiti e mi feci indicare con
precisione le date degli avvenimenti.
Mentre riordinavo le numerose informazioni, mi
appariva sempre più evidente la trama del furto.
Aprivo amaramente gli occhi sul tradimento del
mio operaio Raymond, addetto ai lavori del cortile
e del piccolo orto della Missione.
Era un Betsileo proveniente da Fianarantsoa ed
aveva lavorato con me per oltre 5 anni. Gli avevo
dato lavoro perché riuscisse a sollevarsi dalla
miseria e potesse mandare a scuola i propri figli.
Era un uomo semplice e cercava d'impegnarsi nel
lavoro, ma aveva il vizio dell'alcool. Nelle feste e
nei giorni di mercato, era immancabilmente su di
giri per effetto della “toaka” (grappa di riso di oltre
40°).
Nonostante i miei avvertimenti, il suo vizio andò
aumentando e ci furono delle incresciose
conseguenze. Più d'una volta, ubriaco, era caduto
e si era ferito gravemente. Dovetti dirgli che, se
non si correggeva, mi avrebbe costretto a
licenziarlo, perché gli ubriaconi non potevano
lavorare nella casa del Mompera.
Egli non mise il minimo impegno per correggersi.
Fui costretto a dargli il primo “avvertimento scritto”
e gli spiegai che, al secondo avvertimento,
sarebbe scattato il licenziamento.
Sapevo che, spesso, gli operai licenziati si
vendicavano facendo entrare i briganti a rubare
presso il loro datore di lavoro, ma non pensai
neppur lontanamente che Raymond potesse
arrivare a tradire in questo modo chi l'aveva tanto
aiutato. Fui ingenuo. Avrei dovuto ricordare che,
proprio tra i familiari di Raymond, c'era Aina,
marito della figlia, additato come brigante.
Diventò chiaro anche il perché delle tracce di furto
scoperte nel nostro cortile da padre Fahamaro, il
26 gennaio 2012, al rientro da Ihosy dopo un
raduno. Avevamo pregato Raymond di fare la
guardia per due notti, durante la nostra assenza.
In quella circostanza, erano stati rubati una decina
di tondini di ferro tipo 08. Qualcuno era venuto a
dirmi che, una notte, durante l'assenza dei
Mompera, aveva incrociato Raymond mentre
trasportava dei tondini di ferro verso la casa in
costruzione di Aina e di sua figlia Rakala.
Nel rendermi conto di questa realtà, sentii tutto il
dolore del tradimento e capii con più profondità il
senso delle parole dette da Gesù “nella notte in cui
veniva tradito”. “L' anima mia è triste fino alla
morte” (Mt 26,38).
La passione di Gesù diventò il punto di riferimento
delle mie riflessioni.
Dopo i giorni gioiosi della predicazione tra le folle
della Galilea, vengono i giorni duri della salita a
Gerusalemme e degli annunci della passione. “C'è
un tempo per la gioia e un tempo per il dolore”,
dice la sapienza di Qoèlet (cfr. 3,4).
Nella notte del tradimento, Gesù sperimenta un
dolore profondo e intenso. E' l'anima che è triste:
sente il sapore della morte, frutto del peccato
dell'uomo. Il male dell'umanità è pesante e Gesù
suda “gocce di sangue” (Lc 22,44). La natura
desidera che quel calice passi lontano, ma Gesù è
deciso a fare la volontà del Padre fino in fondo: è il
mistero del “corpo offerto” e del “sangue versato”
per espiare i peccati del mondo. Siamo alla radice
del problema del male e del dolore. Ogni
manifestazione della malvagità umana riporta a
questa radice velenosa e riapre la ferita che fa
vibrare l'anima di inesprimibile dolore.
La prova che il Signore mi fa incontrare in questa
stagione della mia vita è una nuova chiamata ad
entrare con Gesù nel mistero del dolore: io
peccatore, accanto a lui innocente, devo portare la
mia parte di croce e capire che la sofferenza presa
dalle mani di Dio e accettata con amore, è lo
strumento capace di sciogliere il grumo del male,
di purificare la macchia del cuore e di liberare la
vita dell'uomo.
Fissare lo sguardo su questo mistero è arduo e
incute timore. Molti preferiscono volgere il
pensiero altrove. Le menti superficiali non possono
fermarsi su questo genere di riflessioni perché non
ne reggono il peso. Il coraggio per affrontare
questa lotta non viene dalle forze umane. Più di
ogni altra cosa, è necessaria la preghiera.
NdR – Trasmesso nel febbraio 2013. Seguirà la
seconda parte di questo secondo capitolo: L'inchiesta
dei gendarmi. Desidero precisare, se mai ce ne fosse
bisogno, che i soldi impegnati nella costruzione della
chiesa sono stati raccolti in numerosi anni con offerte di
precise persone che li hanno donati espressamente per
questa finalità. Tutte le donazioni raccolte per il
sostegno scolastico, la scuola agraria e lo sviluppo del
villaggio sono sempre stati ovviamente utilizzati
secondo quanto indicato.
La Legalità è una luce che ci insegna a vedere gli altri
La legalità raccontata da bambini e ragazzi dell’IC di Pino Torinese agli amici della scuola St.e Marie di Jangany.
Nell’intento di un confronto tra legalità qui in Italia e legalità a Jangany, i ragazzi della primaria Folis e Podio (classi
V) e della secondaria Costa (classi I) dell’Istituto Comprensivo di Pino Torinese hanno scritto delle lettere per la
scuola St.e Marie di Jangany.
I più grandi (classi III) hanno poi tradotto in francese i testi, frutto di questo laboratorio scolastico; proprio in questi
giorni le lettere stanno per prendere l’aereo alla volta di Jangany. Ve ne propongo qualche piccolo stralcio che
sorprende a volte con curiosi pensieri e accostamenti.
La legalità è un modo di rispettare le regole attraverso la legge. La legge in Italia è quasi
sempre rispettata e la corruzione è rara. Noi ragazzi veniamo educati dagli adulti e la
Costituzione ci tutela. In caso di furto non essendo corrotta la polizia indaga e quasi sempre
riesce a smascherare i ladri. Esistono però organizzazioni criminali come la mafia.
La legalità è una luce che ci fa vedere gli altri e ci insegna che non ci siamo solo noi stessi ma
ci sono anche gli altri.
La legalità è anche amicizia.
Le leggi sono da rispettare per non essere puniti. Giocare è un diritto.
Da noi ci sono ingiustizie sui disabili.
In caso di pericolo o malasanità abbiamo ambulanze e forze di polizia.
Da quando vi abbiamo conosciuto siete migliorati molto in tutto.
Ci avete insegnato molte cose: anche se non avete la play, il computer e tutte le altre cose vi
divertite comunque e questo ci ha fatto capire che si può vivere bene anche senza.
Lavorate sempre sodo: anche questo ci ha fatto imparare molto cose.
Da noi la legge è abbastanza rispettata. Le persone non si vendono e non si comprano.
Se vengono i ladri, in pochi minuti intervengono i poliziotti… da voi non è così, speriamo che
cambi presto e noi vi aiuteremo in tutti i modi perché questo accada.
La legalità è un insieme di regole da rispettare per vivere meglio con gli altri.
Nel nostro paese la legalità viene rispettata a grandi linee e noi cerchiamo di fare del nostro
meglio.
Un mondo giusto è un mondo bello ‐ ricordatelo sempre – se tutti fanno la loro parte ci
riusciremo insieme.
La legalità è rispettare la legge, la giustizia, le persone, concedere la libertà.
Anche da noi vengono i ladri e noi come voi non siamo affatto contenti.
Rispettare le leggi della Costituzione per imparare a stare insieme.
Le nostre leggi sono scritte e le vostre provengono da tradizioni.
Le nostre sono più sicure e moderne delle vostre.
Ci sono molte differenze tra noi e voi: voi diventate autonomi intorno ai 14 anni; la vostra
alimentazione è insufficiente e il vostro pasto è più semplice del nostro.
In Italia se qualcuno fa dei furti non viene ucciso come da voi ma finisce in prigione.
Legalità è rispettare la legge, la correttezza, l’onestà, la giustizia, la legittimità, il rispetto e
consentire a tutti di godere dei propri diritti.
Anche da noi ci sono leggi che non vengono rispettate: ad esempio quando non ti danno lo
scontrino o quando cercano di darti il resto falso.
… o quando delle persone compiono dei gesti irrispettosi nei contronti delle persone più
deboli.
I bambini devono andare a scuola e non lavorare prima dei 16 anni.
Da noi i ladri rubano le cose tecnologiche… per noi sono molto preziose come voi tenete molto
ai vostri buoi e al riso.
Andare a scuola è obbligatorio, l’igiene, vietate le armi, rispettare le leggi stradali, rispetto
verso i minori, vietato fumare in luoghi chiusi, i minori non possono bere alcolici.
Il rispetto delle regole lo abbiamo imparato a casa, in famiglia e a scuola. Rispettare le leggi ci
consente di realizzare progetti insieme agli altri.
Infrangete le regole a volte?
Le regole a scuola tra cui: alzarsi quando entra una prof. ma la più importante: non picchiare i
compagni e alzare la mano prima di parlare.
Una colomba in volo
da Pino a Jangany
Dolce colomba vieni da me,
ho un messaggio da affidare a te.
Volo, vola colomba amata
vola per il mondo leggera e aggraziata.
Angelo bianco, amica del cielo,
porta la pace al mondo intero.
Colomba bianca, colomba mite,
colora la terra con le tue matite.
Matite di pace, di bontà e purezza,
matite di candore e di mitezza.
E quando arrivata sarai a Jangany
infondi nei cuori l’affetto
di cui abbiam piene le mani.
IC Pino Torinese – I bambini della III A