Gennaio 2015

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Gennaio 2015
Anno LIV - n.1 / gennaio 2015 - Poste Italiane SPA, Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/2003 (conv.in.L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, c.1, CN/BO - Filiale di Bologna – € 2
Amici di Follereau
1
gennaio
2015
GMl 2015
Ridare dignità
alle persone
RePoRtAGe
Ritorno nel Sud Sudan
PRoGettI
Brasile: non nascondere
la malattia
per i diritti degli ultimi
VIVERE È
AIUTARE
A VIVERE
Aifo dal 1961
combatte le cause
di emarginazione e
sottosviluppo. Contro la
lebbra e tutte le lebbre
del Mondo.
Con più di 70 progetti
internazionali, Aifo
cura, riabilita e aiuta il
reinserimento sociale
degli ultimi di questa
Terra.
“La vostra felicità è nel bene
che farete, nella gioia che
diffonderete, nel sorriso che
farete fiorire, nelle lacrime che
avrete asciugato.
Senza solidarietà nulla è
possibile in questo mondo.”
(R. Follereau)
62^ GIORNATA MONDIALE
DEI MALATI DI LEBBRA
Sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica
25 gennaio 2015
AIFO è partner ufficiale dell’OMS-DAR,
ed è riconosciuta dal MIUR come ente formativo.
Programma e informazioni sul sito
www.aifo.it
Il miele della solidarietà
nelle piazze italiane
Editoriale
Una battaglia ancora in corso
“
M
i sentivo come
una che
aveva perso il diritto di
parlare… Imparavo
a vivere come una che
aveva solo un’identità:
era senza voce, senza
opinioni, senza futuro”
Non siamo certamente al tempo in cui Raoul
Follereau incontra i lebbrosi nel suo viaggio in
Africa: tantissimo lavoro si è fatto, milioni di malati
sono guariti, milioni di “lebbrosi” sono ora uomini
come gli altri.
L’Aifo vuole ricordare però che la lebbra non è
sparita e continua a celebrare la “Giornata mondiale
dei malati di lebbra” con migliaia di volontari che
affrontano il freddo di gennaio nelle piazze per amore
dell’uomo e di un po’ più di giustizia.
Care amiche, cari amici,
Perché è assurdo che tanti bambini possano rimanere
questo che leggete ce lo racconta una giovane donna disabili a vita perché non abbiamo saputo trovarli
dell’India che, al compimento degli studi, quando in tempo. Perché l’emarginazione non è dovuta
cominciava a vedere tante possibilità davanti a sé, alla malattia, ma ad una vergognosa ignoranza che
scopre di essere malata di lebbra. Una ragazza di condanna tante persone. Perché ci sono ancora tanti
oggi, una delle tante persone che incontriamo nei milioni di ex malati disabili di cui nessuno si occupa.
nostri Progetti.
Perché bisogna ricordare ai nostri governanti e anche
Malattia grave la lebbra,
al mondo sanitario che le
più correttamente chiamata
cosiddette “malattie rare” non
PERCHÉ È ASSURDO CHE
morbo di Hansen, malattia
sono rare dappertutto e non si
TANTI
BAMBINI
POSSANO
che oggi, presa in tempo,
possono e devono dimenticare.
RIMANERE DISABILI A VITA
prima che comincino le
La battaglia è ancora in
PERCHÉ NON ABBIAMO SAPUTO corso… ma che coloro che mi
lesioni neurologiche, può
TROVARLI IN TEMPO. PERCHÉ
guarire perfettamente senza
amano e coloro che mi seguiranno
lasciare quei segni terribili,
L’EMARGINAZIONE NON È
comprendano bene che non fu,
quelle invalidità che abbiamo
DOVUTA ALLA MALATTIA, MA AD questa “battaglia della lebbra”,
imparato ad associarle.
UNA VERGOGNOSA IGNORANZA che una tappa, una conquista
Malattia però che è ancora
di questa grande, fraterna
CHE CONDANNA TANTE
retaggio
di
altissima
e felice guerra che tutti noi
PERSONE.
emarginazione sociale, che
dobbiamo muovere alla miseria,
resiste alla guarigione e che può
all’ingiustizia,
all’egoismo.
continuare per tutta la vita.
(Raoul Follereau)
Puoi perdere il lavoro, la famiglia, i parenti, gli amici, Contro le “altre lebbre” certamente peggiori della
essere nessuno, proprio uno scarto, come direbbe papa lebbra malattia: che poi è sempre una lotta in difesa
Francesco, per delle macchie sulla pelle, che possono della dignità dell’uomo, a cominciare dai diritti
scomparire con una terapia semplice ed efficace, per misconosciuti e calpestati dell’ultimo di questa terra
una malattia che, dopo un breve periodo di cura, smette perché:
anche di essere contagiosa.
Vivere è aiutare a vivere
“
“
Anna Maria Pisano
5
7
Profezia
Un nuovo stigma
per nuove lebbre
Luciano Ardesi
Primo piano
Tubercolosi, è di nuovo
emergenza?
Antonello Farris
Progetti
9
11
Brasile: nascondere la
malattia, ignorare lo
stigma
Dossier
La lebbra oggi: una
questione di dignità
15
Cultura
17
Reportage
19
21
Nicola Rabbi
Lo strano caso
di Mr Hyde e P. Damiano
Ritorno nel Sud Sudan
Giovanni Gazzoli
Sergio Cavasassi
Susanna Bernoldi
Strumenti
Per una scrittura
easy to read
Esperienze
I semi dell’India
Nicola Rabbi
Pietro Pirri
Marina Sandrini
Fonte: foroterzosettorebassabs.it
Profezia
Un nuovo stigma
per nuove lebbre
I pregIudIzI, che spesso sfocIaNo Nel razzIsmo e IN attI
dI vIoleNza, torNaNo IN forme Nuove. dIetro questI
feNomeNI sI NascoNdoNo la paura e l’IgNoraNza,
come IerI per I malatI dI lebbra
di Luciano Ardesi
N
on passa giorno che persone e gruppi vengano
presi di mira da altre persone e da altri gruppi
più numerosi, in modo violento, nelle parole e
negli atti. Condanna morale, disapprovazione,
discriminazione e, al fondo di tutto questo, soprattutto la
paura e l’ignoranza guidano queste rappresentazioni sociali
e le conseguenze che ne derivano: esclusione, emarginazione,
aggressioni. Lo sanno bene gli immigrati e i rom, per restare
solo alla cronaca degli ultimi mesi in Italia.
Questa modalità viene poi elaborata e amplificata dal
sistema dei mass media e dei social network. In tal modo il
catalogo delle persone colpite dallo stigma, dalla riprovazione,
dalla scomunica e dalla segregazione sociale si allunga
sempre di più. Queste rappresentazioni collettive deformano
strati interi di società, condannandoli ad un marchio che
difficilmente potrà essere cancellato.
In questo mese che Aifo dedica alla Giornata mondiale dei
malati di lebbra (GML), il pensiero va in modo particolare a
coloro che sono colpiti dalla lebbra. Questa malattia curabile,
scarsamente contagiosa e solo in precisi contesti, continua
a fare paura ancora in molte regioni del mondo e in tanti
ambienti sociali e culturali, coinvolgendo anche coloro che
ne sono guariti. La battaglia, culturale in primo luogo, per
sconfiggere lo stigma che colpisce i malati di lebbra è il più
grande contributo che Raoul Follereau ha dato alla storia
della civiltà contemporanea. Con straordinaria modernità, ha
Amici di Follereau N. 1 / gennaio 2015 |
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Profezia
condotto questa battaglia utilizzando i simboli che potessero
sconfiggere la paura, l’impulso ad allontanare, isolare,
segregare: abbracciando “i lebbrosi”, stringendo loro le mani.
e alla minoranze di ogni sorta: nazionali, religiose, etniche. La
violenza che si scatena nei loro confronti può raggiungere il
livello del genocidio.
andare verso gli “ultimi”
liberare noi stessi
Da qui il segno distintivo positivo impresso da Follereau al
movimento di solidarietà nei confronti dei malati di lebbra:
andare verso gli “ultimi” del pianeta, non solo per curarli e
riabilitare le loro disabilità, ma anche per riammetterli nella
società da dove sono stati esclusi, e talvolta cancellati, nascosti,
reclusi. La riabilitazione sociale, all’interno dell’ambiente dove
le persone vivono - quella riabilitazione su base comunitaria,
appunto, che caratterizza i progetti Aifo all’estero - diventa
la modalità dell’inclusione che cancella progressivamente
lo stigma. È un lavoro immenso, ancora incompiuto, che è
destinato a rinnovarsi continuamente, perché nuove forme di
esclusione e di stigma si manifestano in ogni luogo e tempo.
L’ultima forma planetaria è probabilmente quella che ha
colpito i malati di Ebola. Un timore irrazionale si è propagato,
anche lontano dall’epicentro della sua diffusione, alimentato
dalla scarsa informazione, che il sistema della comunicazione
- fondato sull’amplificazione dei fatti e sull’allarmismo - ha
contribuito ad irrobustire. Il virus di Ebola, che si è manifestato
da un anno nell’Africa occidentale, è molto contagioso e ha
giustamente preoccupato - peraltro in ritardo - la comunità
scientifica e l’opinione pubblica.
Non si tratta certo di “stringere le mani”, che sono anzi
pratiche in questo caso da escludere categoricamente, ma di
circoscrivere il fenomeno alle sue reali dimensioni, di impedire
il panico nei paesi colpiti attraverso un’informazione corretta e
razionale, come sta facendo Aifo in Liberia nelle contee dove
è da anni presente. E si devono impedire comportamenti del
tutto irrazionali nei confronti di coloro che, stranieri o meno,
provengono dai paesi dove il virus si è diffuso, o semplicemente
perché africani, come è già accaduto anche in Italia e altrove.
Tra la lebbra e l’Ebola, lo stigma si manifesta in forme
variate. Se coloro che soffrono di malattie mentali continuano
ad essere considerati negativamente, e talvolta sottoposti in
alcuni paesi a modalità intollerabili di violenza, quelli colpiti
dal razzismo soffrono non solo dell’esclusione sociale, ma
anche di forme particolarmente brutali di aggressione. Il
pregiudizio, vale a dire la mancata o insufficiente informazione,
colpisce una categoria intera, al di là dei dati oggettivi. I rom e
gli immigrati: i primi “tutti ladri”, i secondi “tutti clandestini”
e “ladri” di posti di lavoro. Entrambi vivrebbero “alle nostre
spalle”: ecco gli argomenti che, non solo in tempo di crisi,
fanno presa, al di là di ogni analisi reale.
Il pregiudizio sociale, e lo stigma che ne consegue, insegue
inesorabilmente i malati di Aids, gli omosessuali - ancora oggi
considerati dai più come “malati” - i carcerati, gli abitanti delle
periferie. Razzismo e pregiudizi sociali sono diffusi ovunque,
si pensi alla sorte riservata agli albini in talune regioni africane,
Stigmatizzare qualcuno vuol dire considerarlo non
meritevole di appartenere alla comunità, privarlo dunque
della propria dignità. Non è più una persona come le altre,
direbbe Follereau. Questa concezione fa parte di quella civiltà
degli scarti che papa Francesco ha con forza denunciata. Per
questo diventa un imperativo “liberare le vite” colpite dallo
stigma.
Ma liberare le vite degli altri vuol dire cominciare a
liberare noi stessi, dalle nostre paure, dalla nostra ignoranza,
dalla pigrizia a capire. È questa la civiltà da costruire, la
“civiltà dell’amore” di cui parlava Follereau. Un programma
immenso, ma esaltante, che guarda al futuro, perché cosciente
del presente. Essere a fianco degli ultimi vuol dire esplorare
quella parte “ultima” che è dentro di noi e che non osiamo
disturbare. Vivere, è far vivere diceva Follereau. Non potremo
essere veramente felici fintanto che avremo quell’ombra nel
nostro animo che ci fa disprezzare gli altri.
“Buono”, o in senso ancor più spregiativo “buonismo”, sono
parole colpite dallo stigma di coloro che temono il disastro
del cedimento, del contagio fisico, culturale, sociale. Essere
buono, vuol dire essere sicuro della propria forza, avrebbe risposto
Follereau a tutti coloro che gridano in faccia agli altri per
nascondere la propria paura, la propria debolezza. ■
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Amici di Follereau N. 1 / gennaio 2015
Fonte: healido.com
Fonte: letteraturaalfemminile.it
Fonte: archivio fotografico di Swan&Koi
Primo piano
TUBERCOLOSI,
è di nuovo emergenza?
uNa malattIa aNtIca che oggI suscIta appreNsIoNe,
soprattutto per cIò che rIguarda glI ImmIgratI.
uN allarme del tutto INgIustIfIcato
di Antonello Farris
u
n’onda di felicità ci travolge quando
ascoltiamo la romanza della Traviata di Verdi
“libiam ne’ lieti calici….” . Una felicità che
presto lascia il passo a quel nemico sottile
e invisibile che si chiama “tisi” e che, alla protagonista,
Violetta, “non le accorda che poc’ore”.
Siamo nel XIX secolo. In questo secolo la tubercolosi
raggiunge la sua massima diffusione e causa il maggior
numero di morti. Eppure non se ne ha paura, anzi è la
“malattia degli artisti”, è segno di genialità, di particolare
sensibilità, e nell’alta borghesia e nobiltà c’è la moda di
avere il viso pallido da “tisico”.
Ma la tubercolosi è una malattia “antica”, che
accompagna l’uomo (homo sapiens) fin dal neolitico. Segni
di tubercolosi ossea sono stati trovati in ossa datate circa
9.000 anni a.C. È una malattia “normale” che non genera
paura. Ricordiamo invece, ad esempio, come i mezzi di
comunicazione abbiano amplificato la recente epidemia
influenzale da virus H1N1 che ha causato pochi morti
ma un’imponente allerta generale, sia nella popolazione
che nelle istituzioni, e una spesa sanitaria sproporzionata.
Ben diversa è la situazione relativa alla tubercolosi, che è,
tra le malattie infettive, quella che ha provocato più morti
nella popolazione umana. Si stima che nel XIX secolo i
morti per Tbc siano stati 100 milioni. Ma ancora oggi nel
mondo sono 2 milioni i morti per Tbc ogni anno.
una malattia dei poveri
La Tbc è una malattia della “povertà”, è ancora presente
in tutto il mondo anche nei paesi industrializzati. Tutti
sono minacciati: nella popolazione mondiale sono 2
miliardi le persone infettate, 20 milioni gli ammalati e 9
milioni ogni anno i nuovi casi di Tbc.
Il 95% dei casi di Tbc si verifica nei paesi in via di
sviluppo: Africa sub-sahariana, sud-est asiatico, India,
Repubblica russa dove l’incidenza è di 100-500/100.000
Amici di Follereau N. 1 / gennaio 2015 |
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Primo piano
anni si ipotizzava la sua scomparsa in tempi brevi. Invece,
a decorrere dal 1985, la diminuzione costante e progressiva
dei nuovi casi di Tbc si è interrotta e si è osservato un
loro incremento. Così che nel 1993 l’Oms ha dichiarato
la tubercolosi “emergenza globale”, un grave problema di
sanità pubblica a livello mondiale che non accenna ancora
a diminuire.
allarme immigrazione?
http://www.ilgiornale.it/
abitanti. Una malattia anticha che prospera sulla povertà.
Vale a dire che è più presente dove manca il lavoro e
quindi dove c’è un basso reddito, e quindi denutrizione
e malnutrizione, e quindi precarie condizioni igienicosanitarie, e quindi abitazioni precarie con sovraffollamento.
È ben noto che le condizioni di povertà determinano
la malattia e si innesca quel circolo vizioso che lega
povertà e malattia: la malattia riduce la capacità lavorativa
che aumenta la povertà e questa, limitando l’accesso alle
cure, aumenta la malattia. La tubercolosi è causata da un
microrganismo, il mycobacterium tuberculosis. Ma non
tutte le persone esposte al micobatterio si ammalano.
È stato stimato che circa un terzo della popolazione
mondiale ospita il micobatterio tubercolare allo stato
di latenza (infezione tubercolare latente). Nei soggetti
immuno-competenti con infezione latente il rischio di
sviluppare una malattia attiva è circa il 10% nel corso
dell’intera vita, evenienza che nella metà dei casi si verifica
nei primi 2-5 anni dall’esposizione/infezione.
Dal 1944, anno della scoperta della streptomicina, e
con l’introduzione degli altri antibiotici antitubercolari,
in molti paesi industrializzati, compresa l’Italia, la
tubercolosi è divenuta relativamente rara. Anzi in quegli
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Amici di Follereau N. 1 / gennaio 2015
In Italia in media si hanno 7 casi di malattia/100.000
abitanti, cioè poco più di 4.200 casi di malattia a fronte
di infezioni latenti pari a poco più di 7.200.000. Tuttavia,
negli ultimi anni nelle grandi città metropolitane
l’incidenza di Tbc è fino a 4 volte maggiore rispetto alla
media nazionale.
Quali le cause che determinano l’incremento della
tubercolosi? Sono diverse: si va dall’eliminazione
dei programmi di controllo del passato (dispensari
antitubercolari, sanatori, screening di massa nelle scuole),
all’aumento dell’immigrazione dai paesi ad alta endemia,
all’aumento degli emarginati, delle condizioni di povertà,
dell’epidemia da Hiv e della tossicodipendenza, all’aumento
della popolazione anziana, alla farmaco resistenza, alla
convivenza soprattutto di bambini e adolescenti con
persone a rischio.
Quindi le cause sono molteplici e non solo, come
alcuni vogliono far credere, l’immigrazione. I dati ufficiali
indicano che dal 1999 al 2008 i nuovi casi di Tbc sono
diminuiti nella popolazione italiana e aumentati in quella
straniera e allo stato attuale i circa 4200 casi di Tbc sono
ripartiti circa al 50% tra italiani e stranieri. Tra gli stranieri
viene inclusa anche la popolazione romena che fa parte
della Comunità Europea e che fa registrare circa 500 casi
ogni anno.
Se consideriamo anche l’aumento della popolazione
extracomunitaria i numero dei casi diminuisce
ulteriormente.Per cui parlare di un’epidemia di Tbc veicolata
dagli immigrati è perlomeno fantasioso. È vero invece
che a causa delle condizioni di povertà e emarginazione
il rischio di sviluppare la malattia tubercolare è di circa
5-6 volte superiore negli extracomunitari rispetto alla
popolazione italiana e in particolare tra gli extracomunitari
giovani.
In condizioni di vita “normali” la tubercolosi, come la
lebbra, ha una bassa contagiosità. E in ogni caso è una
malattia curabile e non contagiosa già dopo pochi giorni
di terapia. Il vero problema consiste nell’eliminare le
condizioni di povertà, instaurare una prevenzione primaria
e individuale, favorire l’accesso ai servizi sanitari e nei
confronti dei contatti favorire screening periodici e un
sistema di sorveglianza sanitaria efficace. E questo vale
anche per altre malattie che creano allarmismi, Ebola
compresa. ■
Fonte:
archivio
fotografico
Aifo
Fonte:
archivio
fotografico
di di
AIfo
Progetti
Nascondere la malattia,
ignorare lo stigma
IN brasIle la lebbra è coNsIderata uNa malattIa che sta
scompareNdo. eppure coNtINua a colpIre le persoNe,
soprattutto attraverso l’esclusIoNe socIale
L
di Nicola Rabbi
uis montava i mobili a Marituba nello stato
brasiliano del Parà, Edite era una casalinga a
Marituba con un marito alcolizzato e cinque figli,
Antonio invece aveva una vita semplice e normale
nella città di Goiana nello stato di Goias. Cosa hanno in
comune queste tre vite, cosa lega gli uni agli altri e che li
porterà a vivere esperienze simili? La stessa malattia, la
lebbra, che li ha colpiti a un certo punto della loro vita.
tre storie diverse, tre destini uguali
Oggi Luis ha 74 anni, gli hanno diagnosticato la
malattia nel 2007; aveva un’ulcera al piede e delle macchie
sul corpo. Dopo la diagnosi e lo spaesamento iniziale
comincia le cure dategli dal servizio sanitario locale assieme
ai servizi di fisioterapia e ortopedia. Nel suo caso infatti il
decorso della malattia ha fasi alterne e ai miglioramenti
seguono dei peggioramenti che lo porteranno alla parziale
amputazione del piede. Nel 2011 entra in un gruppo
di auto-aiuto chiamato “Overcome” e in breve tempo
comincia ad avere all’interno di questo gruppo un ruolo
sempre più importante, diventando un leader. Sotto
quest’aspetto dimostra grandi capacità, coinvolgendo
altre persone che sono nelle sue condizioni di esclusione
sociale, perché dalla lebbra si può anche guarire, ma
farsi accettare dalla società diventa paradossalmente il
problema più difficile.
Quando alcuni membri di “Overcome” propongono
un orientamento diverso del gruppo, più indirizzato ai
problemi della formazione e del lavoro, Luis si oppone
in maniera molto forte: ”Per me il gruppo di auto-aiuto è
diventato una seconda famiglia - afferma con convinzione
- perché a questo serve soprattutto ad accompagnare gli
ex malati nel corso della loro vita, dando un sostegno
psicologico e di solidarietà costante, che non finisce
mai”. Questa convinzione lo porta a essere sempre molto
attivo all’interno di “Overcome” organizzando vari
momenti sociali (feste, celebrazioni), ma anche momenti
di impegno politico e di rivendicazione dei diritti delle
persone disabili. Recentemente hanno presentato alla
Commissione Salute del consiglio comunale una richiesta
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Progetti
Dietro a molte storie c’è il sostegno Aifo
Aifo da molti anni opera in Brasile, oggi con nove progetti, otto di questi in cinque stati della Federazione
Brasiliana (tra cui anche gli stati di Goias e Parà) e un altro nel Distretto Federale di Brasilia. Le sue azioni
sono molto varie e riguardano la cura specifica della lebbra, la sanità di base e la riabilitazione.
Il sistema sanitario in Brasile è molto strutturato e anche la lebbra, attraverso il Programma Nazionale di
Controllo, viene trattata a vari livelli che vanno da quello centrale del Ministero della Sanità (federale),
passano attraverso quello statale, per arrivare fino al servizio sanitario municipale.
Aifo appoggia questo programma attraverso la supervisione dei servizi di trattamento municipali, la
riabilitazione fisica, i servizi specialistici, il monitoraggio e il finanziamento diretto ad alcune esperienze
rivolte al reinserimento degli ex-malati di lebbra. Ha cura inoltre di un altro aspetto, quello che riguarda
l’informazione e la sensibilizzazione della cittadinanza per diminuire lo stigma e il rischio di esclusione
sociale.
per migliorare i trasporti per le persone che hanno
problemi motori e per l’accessibilità in generale.
Più drammatica sotto il profilo famigliare è la storia di
Edite che oggi è un’attivista dello stesso gruppo di autoaiuto di Luis. Adesso è vedova, ma quando non lo era,
aveva dovuto subire le angherie di un marito violento
e alcolizzato che l’accusava di aver preso la malattia
dagli altri uomini, accusandola di tradimento. “Questa
idea non gli è mai passata dalla testa - dice Edite - ed
è morto con questa convinzione”. Anche nel suo caso
i servizi sanitari devono affrontare un caso abbastanza
difficile da trattare a cui si aggiungeva una situazione
famigliare di mancata accettazione e quindi di esclusione
sociale. Come per altre malattie (tipico in questo caso
è la condizione dei malati di Aids) la popolazione non
informata tende ancora a vedere la lebbra come qualcosa
di minaccioso e chi ne è affetto (anche se guarito) come
qualcuno da evitare, da emarginare. Edite ha subito
questa emarginazione all’interno della famiglia e anche
all’esterno, con i vicini.
Ed è per questo che “Overcome” ha rappresentato
per lei una grande risorsa per la propria autostima e
per risolvere i propri problemi pratici. Anche se ha seri
problemi di mobilità, oggi Edite è un’attivista instancabile
che pone al centro delle sue iniziative proprio il rispetto
dei malati e la denuncia dei pregiudizi. Porta avanti
questa sua lotta non solo all’interno del suo gruppo ma
anche all’esterno, esprimendosi in momenti pubblici e
intervenendo nel consiglio comunale di Marituba.
Goiana, la città dove vive Antonio, è a migliaia di
chilometri di distanza da Marituba, ma la sua storia è in
parte simile: la diagnosi della malattia (trent’anni fa) e la
cura attraverso i servizi sanitari di base e la riabilitazione.
10
Amici di Follereau N. 1 / gennaio 2015
Dove le storie divergono, riguarda invece l’accettazione
sociale: “La mia famiglia era molto preoccupata per il
mio stato di salute, a quel tempo poi la lebbra faceva
molto più paura di adesso - spiega Antonio - ma io,
grazie a Dio, non ho avuto problemi di questo tipo e
sono stato fortunato perché chi si ammala può perdere
il lavoro, gli amici, persino la moglie e i figli “. Come per
le altre storie anche Antonio è attivo nel suo gruppo di
auto-aiuto e nonostante i 63 anni ha deciso di iniziare
un nuovo lavoro come camionista comprando il mezzo:
”Per adesso ho superato solo la prova scritta, mi attende
ora quella pratica!”.
ma c’è ancora la lebbra in brasile?
Può sembrare una domanda inutile vista l’evidenza
della presenza della malattia, invece non lo è. Sebbene
il Brasile, con circa 31 mila casi nuovi nel 2013 di cui
il 7% con meno di 15 anni, rappresenti dopo l’India il
secondo paese al mondo per numero di casi, la tendenza
delle autorità sanitarie è quella di sottovalutarla. La
si considera tra le malattie dimenticate e addirittura
in Brasile, più che altrove, non la si chiama nemmeno
più lebbra ma con il termine di hanseniasi, come se
eliminando un termine si possa anche eliminare lo
stigma che questa comporta.
Infatti oltre al problema della sua diffusione non
ancora risolto, rimane grave il problema delle persone
guarite ma rimaste invalide, così come rimane il
problema dell’accettazione degli ex-lebbrosi nelle
proprie comunità. In Brasile esistono ancora 33 colonie,
ovvero piccole comunità di ex-lebbrosi, che vivono
assieme perché di fatto non riescono più a rientrare nella
società. ■
Fonte: Marcello Carrozzo
DOSSIER
LA LEBBRA OGGI: UNA
QUESTIONE DI DIGNITÀ
le persone colpite dalla malattia sono ancora numerose nel mondo.
la sfida oggi non è solo curarle, ma assicurare loro tutti i diritti
fondamentali
di Giovanni Gazzoli
la situazione Della lebbra nel monDo
’
L
Organizzazione mondiale della sanità (Oms)
fornisce ogni anno i dati relativi alla situazione
epidemiologica della lebbra a livello mondiale,
vale a dire la sua distribuzione e frequenza. Per
il 2013 l’Oms riporta 215.656 nuovi casi diagnosticati
(Tab. 1), con una diminuzione rispetto all’anno
precedente (17.201 in meno). Va sottolineato che
solo 103 paesi, 12 in meno rispetto al 2012, hanno
inviato le statistiche annuali all’Oms e mancano
all’appello molti paesi con nuovi casi diagnosticati. Il
dato è dunque largamente sottostimato.
Grafico 1
Distribuzione dei nuovi casi di lebbra riportati da 103
paesi dal mondo (dati Oms, aggiornati al 31 dicembre 2013)
Amici di Follereau N. 1 / gennaio 2015 |
11
DOSSIER
REGIONE
Africa
Americhe
Mediterraneo Orientale
Sud Est Asiatico
Pacifico Occidentale
Totale
2008
29.814
41.891
3.938
167.505
5.859
249.007
2009
28.935
40.474
4.029
166.115
5.243
244.796
2010
25.345
37.740
4.080
156.254
5.055
228.474
2011
20.213
36.832
4.357
160.132
5.092
226.625
2012
20.599
36.178
4.235
166.445
5.400
232.857
2013
20.911
33.084
1.680
155.385
4.596
215.656
Tabella 1
Distribuzione del numero annuale di nuovi casi di lebbra riportati nel mondo negli ultimi sei anni (Dati Oms)
I paesi con il maggior numero di nuovi casi sono
l’India (126.913), seguita dal Brasile (31.044) e
dall’Indonesia (16.856), la cui somma corrisponde
all’81% del totale mondiale. Altri paesi con un numero
significativo di nuovi casi sono: Bangladesh, Cina,
Costa d’Avorio, Repubblica Democratica del Congo,
Etiopia, Madagascar, Myanmar, Nepal, Filippine, Sri
Lanka, Sud Sudan e Tanzania.
l’evoluzione Della malattia
Come mostra il Grafico 2, il numero dei nuovi casi,
dopo un calo di circa il 60% avvenuto nei primi sei
anni di questo secolo, si mantiene più o meno stabile,
con cambiamenti collegati per lo più a fattori operativi.
L’evoluzione suggerisce che il calo improvviso non è
dovuto ad una diminuzione reale della trasmissione
della malattia, ma piuttosto ad una riduzione delle
capacità dei programmi di controllo dei paesi endemici
di diagnosticare i casi.
Anche se non attendibile, il numero annuale dei
nuovi casi è un dato importante, ma non sufficiente
per valutare il profilo epidemiologico globale della
lebbra nel modo. Conseguentemente, per definirne
l’impatto ai giorni nostri, in termini di salute pubblica,
è necessario entrare in profondità nei dati riportati
dall’Oms, utilizzando altri indicatori.
La percentuale di bambini fra i nuovi casi è alta,
indicando che la catena di trasmissione della malattia
nei paesi endemici è attiva e precoce.
Il numero di nuovi casi con disabilità gravi è elevato,
a causa della diagnosi tardiva, in ragione del numero
insufficiente e della scarsa qualità dei servizi di diagnosi
e trattamento.
Nei programmi di monitoraggio sono diminuite
le attività di controllo dei contatti, con un probabile
aumento delle possibilità di contagio e trasmissione
della malattia.
Se la diminuzione del numero di nuovi casi, avvenuta
nel periodo 2000-2006, è stata causata da fattori
operativi, il numero reale dovrebbe aggirarsi attorno
ai 600.000 casi ogni anno, come nell’ultimo decennio
del secolo scorso. Conseguentemente, se prendiamo
in esame i dati dell’Oms dell’ultimo decennio, si stima
che ogni anno circa 350.000 casi non siano identificati
e trattati nei paesi endemici. Tale situazione avrebbe
portato ad un accumulo di diversi milioni di casi
non diagnosticati nel mondo con un aumento delle
probabilità di contrarre la malattia nei paesi endemici.
Grafico 2
Numero annuale di nuovi casi di lebbra nel mondo negli
ultimi ventinove anni (1985 - 2013)
La lebbra in Italia
In Italia ogni anno si diagnosticano da 6 a 9 casi nuovi che si presentano come patologia
di importazione in italiani. Si tratta di italiani che hanno soggiornato all’estero in paesi con
lebbra endemica e/o in migranti provenienti da tali paesi. Il controllo della malattia nel
nostro paese si basa sulla Legge n. 31 del 24 gennaio 1986 e sul Dpr. del 21 settembre
1994, conosciuto come “Atto di indirizzo e Coordinamento delle Regioni e alle Provincie
autonome in materia di Morbo di Hansen”, che ha istituito quattro Centri di Riferimento
nazionale per la conferma diagnostica e il trattamento: Genova, Gioia del Colle (Bari),
Messina e Cagliari.
12
Amici di Follereau N. 1 / gennaio 2015
DOSSIER
Un paio di scarpe ha cambiato la mia vita
Avevo 18 anni quando sono iniziate ad apparire alcune
macchie sul mio corpo. Il dottore mi prescrisse alcuni rimedi
della medicina tradizionale cinese. Li ho seguiti tutti, ma non
mi sentivo meglio. Più tardi ho cominciato ad avere problemi
alla vista, allora sono andato in un ospedale di un centro
vicino, e lì mi hanno detto che avevo la lebbra. Sono stato
curato per tre anni e alla fine ero completamente guarito.
Sono tornato al mio villaggio, ma la mia famiglia non mi voleva più in
casa, dovevo arrangiarmi da solo. Allora mi sono trasferito in un altro villaggio, nascondendo il fatto che avevo avuto la lebbra. Nel frattempo mi
sono sposato. Un giorno arriva al villaggio una persona che mi conosceva
e che sapeva che ero stato malato di lebbra. La notizia è diventata presto
di dominio pubblico. Mia moglie e la sua famiglia mi consideravano ormai
una persona pericolosa e non mi accettavano più. Sono stato costretto a
lasciare il villaggio. Dopo sette anni di matrimonio tutto era finito.
Non avevo più casa, non sapevo dove andare. Allora sono tornato nella
città dove ero stato curato. Per vivere ho preso un pezzo di terra. Lavoravo scalzo, e senza accorgermene si è formata un’ulcera ai miei piedi,
a cui però non ho dato importanza. Ma la ferita peggiorava e, quando andavo nel campo a lavorare, i piedi mi facevano sempre più male.
Un giorno un’équipe di volontari è venuta al villaggio e mi ha aiutato a
fare un’automedicazione con lavaggi, asportazione della pelle malata e
bende. I volontari mi dicevano che non c’era bisogno di prendere medicine. A me sembrava strano, avevo molti dubbi che fosse la cosa migliore
da fare. Uno di loro mi ha spiegato che lavorando il campo ero stato ferito
e così sabbia e piccoli sassi erano entrati nella piaga. La sola cosa che
dovevo fare era tenerla pulita. Ma col mio lavoro di contadino povero era
impossibile. Finalmente mi hanno regalato un paio di scarpe per proteggere i piedi. Ho continuato a pulire la ferita, anche quando i volontari se
ne sono andati. Così poco a poco, con mia grande sorpresa, si è rimarginata. Adesso posso uscire dal villaggio e mi sono fatto nuovi amici. La
mia segregazione è finita.
LA STORIA DI TANG YUCHUN È STATA RACCOLTA NELLO YUNAN, UNA REGIONE DELLA CINA MERIDIONALE,
DA YUAN SHUBING,COLLABORATORE DI HANDA, L’ONG LOCALE CHE, COL SUPPORTO DI AIFO, OPERA PER
IL REINSERIMENTO DEGLI EX MALATI DI LEBBRA.
Amici di Follereau N. 1 / gennaio 2015 |
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DOSSIER
Dai farmaci alla riabilitazione sociale
Dal 1982 è disponibile un’efficace cura farmacologica
(Polichemioterapia specifica-PCT) che ha permesso di
curare nel mondo circa 15 milioni di persone colpite dalla
lebbra, con una diminuzione sostanziale del numero
dei casi registrati in trattamento. Nel 2013, nei progetti
di controllo della malattia promossi da Aifo, sono stati
curati 29.952 casi.
La diminuzione dei casi registrati nel mondo non
va di pari passo con la riduzione della sofferenza delle
persone. Mentre in campo medico, negli ultimi decenni,
si sono ottenuti risultati notevoli, altrettanto non si può
dire per gli aspetti sociali riguardanti la malattia. Secondo
le stime dell’Oms, nel mondo ci sono più di 3 milioni di
persone che, presentando disabilità permanenti dopo
la cura farmacologica, necessitano di riabilitazione
fisica e spesso sono emarginate, senza lavoro e senza
possibilità di reinserimento sociale a causa dello stigma.
Per questo motivo, oggi, le iniziative di Aifo non si
limitano a garantire la diagnosi precoce e un trattamento
farmacologico di qualità, ma facilitano l’accesso a
programmi di riabilitazione fisica e sociale. Nel 2013,
complessivamente, 56.171 persone hanno beneficiato
di tali programmi nei progetti di controllo della lebbra
promossi dall’Associazione.
la lotta contro lo stigma
A questo proposito è importante citare l’articolo
1 della Dichiarazione universale dei diritti umani,
approvata dall’Assemblea della Nazioni Unite nel
dicembre del 1948, che afferma: “Tutti gli esseri umani
nascono liberi ed eguali in dignità e diritti.” Purtroppo,
ancora oggi questo non vale per le persone colpite dalla
lebbra: lo stigma verso di loro rappresenta una delle
forme più diffuse e radicate di ingiustizia sociale e di
discriminazione legale ed economica.
Negli ultimi anni varie associazioni e organizzazioni
nel mondo, in collaborazione con i governi dei paesi
endemici, hanno intensificato le attività per combattere
il preconcetto e i processi che portano all’emarginazione
sociale. In termini politici, un risultato importante,
storico, è stato ottenuto nel settembre 2010, quando il
Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite ha adottato
all’unanimità una risoluzione per l’eliminazione di ogni
tipo di discriminazione contro le persone colpite dalla
lebbra e dei loro familiari. Tre mesi dopo, la risoluzione
è stata adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni
Unite.
Un lungo cammino ci attende, adesso si tratta di
attuare e monitorare, in maniera sostenibile, i contenuti
e i principi della risoluzione. La Riabilitazione su
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Amici di Follereau N. 1 / gennaio 2015
base comunitaria, promossa dall’Aifo da più di due
decenni nelle sue iniziative progettuali, si è dimostrata
una metodologia e un modus operandi efficace, in
quanto il suo proposito principale è quello di favorire
l’inclusione sociale delle persone con disabilità in
generale, coinvolgendole direttamente nel percorso di
promozione dei loro diritti. Nel corso del 2013, sono
state 3.376 le persone con disabilità causate dalla
lebbra beneficiate nei progetti di Rbc promossi e gestiti
dall’Associazione.
Promuovere la Dignità Delle Persone
In definitiva, le ultime esperienze di Aifo nell’ambito
della cooperazione internazionale, mostrano che, per
diminuire realmente l’impatto della lebbra, diventa
necessario operare verso una società inclusiva che
rispetti e garantisca i diritti delle persone colpite
dalla malattia. Le conseguenze sociali sulla vita delle
persone colpite devono essere considerate prioritarie
e i programmi di controllo non possono avere una
dimensione esclusivamente dettata da parametri
epidemiologici, ma devono diventare espressione di un
lavoro che intende rivitalizzare la dignità della persona.
Questa visione permette di dare una risposta concreta
alla situazione globale della lebbra: sicuramente
possiamo affermare che oggi è ancora un importante
problema di salute pubblica, se consideriamo le
necessità di riabilitazione fisica, gli aspetti sociali e di
violazione dei diritti umani che porta con sé. ■
Fonte: archivio fotografico di AIFO
Fonte: it.wikipedia.org/wiki/Damiano_de_Veuster
Cultura
Lo strano caso di Mr. Hyde
e padre Damiano
uNa storIa vera dI robert louIs steveNsoN a dIfesa
del futuro beato damIaNo de veuster,
che ha dedIcato la sua vIta aI malatI dI lebbra alle hawaII
di Sergio Cavasassi
R
obert Louis Stevenson è noto a noi giovani di
ieri per alcuni affascinanti romanzi che hanno
caratterizzato un intenso periodo di letture, in
particolare Lo strano caso del dottor Jekyll e di Mr.
Hyde e L’isola del tesoro. Sognavamo tutti, in un mondo ricco
di speranza, una nostra isola, magari nei mari del Sud, quelli
cari al nostro autore.
Stevenson trascorse parecchi anni nelle Hawaii, per
curare meglio i suoi polmoni compromessi dalla Tbc, fino a
morirne a 44 anni. Gli indigeni, che lo avevano ben capito,
lo chiamavano Tusitala: narratore di storie. Le sue “storie”
continuano ad essere raccontate, anche in tempi recenti, ed
illustrate dai più grandi disegnatori del mondo (italiani),
a iniziare da Hugo Pratt. Ma voglio parlare di una storia
ancora più ricca, ancora più affascinante, perché vera, e
conosciuta da pochi.
Leggo, circa un anno fa, una bella recensione di Gianfranco
Ravasi a presentazione di una lettera/pamphlet: In difesa di
Padre Damiano, pubblicata da un piccolo meritevole editore,
la casa editrice Medusa. Il libro riporta l’accorata difesa di
Robert L. Stevenson, proprio lui, il grande scrittore di una
religione diversa, protestante, a favore di padre Damiano
de Veuster. L’editore Sellerio di Palermo aveva pubblicato
vent’anni prima, nel 1994, dopo ricerche rocambolesche
del testo originale, la stessa lettera/pamphlet in un libro dal
titolo Lettera al dottor Hyde. Questa la curiosità che apre
la porta ai fatti che racconto brevemente, raccomandando
caldamente l’acquisto dei due testi.
stevenson alle hawaii
Siamo nelle Hawaii, nel 1889: non c’è radio, televisione,
internet e wi-fi. In questi luoghi si incrociano due destini
singolari: Stevenson e padre Damiano, il prete cattolico
fiammingo che passa 16 anni della sua vita a Molokai, una
colonia hawaiana destinata a raccogliere i lebbrosi delle isole.
La storia è nota: padre Damiano arriva per caso alle Hawaii,
per caso viene mandato per pochi mesi, nel 1873, a Molokai, di
fatto non si muove più dall’isola; trasforma un luogo invivibile
in un ambiente a dimensione d’uomo, resta con i suoi lebbrosi
fino a morire della stessa malattia nel 1889. La fama di padre
Damiano si propaga rapidamente in Europa e America, i
fondi non mancano, come non mancano nemici e detrattori.
Stevenson è curioso, vuole andare a Molokai, la vita di questo
padre amato e discusso lo interessa. Raggiunge l’isola quando
padre Damiano è morto da un mese. Resta 12 giorni, 7 nella
colonia dei lebbrosi. Ne trae un’esperienza sconvolgente: come
un detective indaga sulla vita di padre Damiano. Si rivolge
non ai cattolici, che teme partigiani, ma agli altri, ai malati e
ai protestanti; resta conquistato da quest’uomo, dall’esempio
della sua vita.
Amici di Follereau N. 1 / gennaio 2015 |
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Cultura
Pochi mesi dopo, di ritorno verso Sidney, legge
sul giornale locale, il Sydney Presbyterian, una breve
lettera indirizzata da padre Hyde (eccolo), missionario
americano di Honolulu conosciuto personalmente da
Stevenson, al reverendo Cage, pastore presbiteriano
della California.
Il vero mr. hyde
Fonte: neftali/shutterstock.com
Stevenson, l’autore de Lo strano caso del dott. Jekyll e
Mr. Hyde, si imbatte in un Mr. Hyde in carne ed ossa. Il
contenuto? Una denigrazione di padre Damiano. Alcune
frasi: “Siamo stupiti dalle stravaganti lodi apparse sui
giornali, come se fosse un santissimo filantropo. La
semplice verità è che egli fu un uomo volgare, sporco,
cocciuto e bigotto… Non fu un uomo puro nelle
sue relazioni con le donne, e la lebbra di cui morì fu
conseguenza dei suoi vizi e della sua noncuranza. Altri
hanno fatto molto per i lebbrosi, i nostri pastori, i medici
del governo, e così via, ma mai con l’idea cattolica di
guadagnarsi la vita eterna. Suo C.M.Hyde”.
Stevenson si infuria, lui di educazione protestante
ma non praticante, con il nonno reverendo. Decide di
prendere le difese di padre Damiano e di smascherare
la vergognosa menzogna. Scrive un saggio dal titolo In
difesa di padre Damiano, si rende conto che le sue parole
potrebbero portare a una causa per diffamazione e alla
perdita di tutti i suoi beni: prima della pubblicazione
(fatta a sue spese, perché nessuno vuole stamparla) fa
un consiglio di famiglia per rendere tutti consapevoli
del rischio, chiede l’autorizzazione ad andare avanti e la
famiglia risponde con un “sì” unanime.
Ogni punto della lettera del rev. Hyde viene sezionato,
analizzato: ogni parola trova risposta, ogni termine,
“volgare, sporco, cocciuto, bigotto”, viene trattato e
confutato. Per inciso Stevenson fu anche profeta perché
nella lettera parla del processo di canonizzazione che
avrebbe avuto corso dopo cento anni. Come dice la
moglie di Stevenson nella prefazione, “Padre Damiano
fu vendicato da uno straniero, un uomo di un altro
paese e di una religione diversa dalla sua”. Ma chi era
“veramente” padre Damiano?
Riprendo le parole che Stevenson ha scritto a
Sidney Colvin (amico e primo editore delle lettere)
immediatamente dopo la visita a Molokai. Stevenson
parla già di un santo, ma di una santità terrena, vicina
alla nostra vita. Sembra di sentire papa Francesco. “Del
vecchio Damiano, della cui debolezza e dei lati peggiori
ho sentito molto parlare, penso ci sia altro. Era un
contadino europeo: sporco, bigotto, infedele, scellerato,
infido, ma grande per la sua generosità, per quel poco
candore che conservava e per il suo buonumore:
convincetelo che abbia agito male (ci vorrebbero ore
di ingiurie) e potrebbe disfare tutto e onorare chi lo
corregge. Un uomo che ha in sé tutta la meschinità e la
sporcizia dell’umanità, ma allo stesso tempo un santo e
un eroe, ancora più per questo”.
Caro Tusitala chi racconta storie non muore mai, di
più, se le storie sono vere, diventa immortale: così Robert
Louis Stevenson, così padre Damiano de Veuster, così
Raoul Follereau. ■
La poesia di Stevenson
“
Nel vedere di questi luoghi la miseria infinita,
le mutilate membra, i volti devastati,
le vittime innocenti che sorridono sotto la sferza,
lo stolto sarebbe tentato di negare il suo Dio.
Egli vede e si ritrae; ma se torna a guardare,
la bellezza ecco sorge dal grembo del dolore!
Vede le suore sulle sponde dolenti,
e per quanto sia stolto tace e adora.
“
Stevenson scrive questa poesia alla reverenda suor Marianna, superiora
della “casa Bishop” di Kalaùpapa, a Molokai, perché quando le parole
non bastano, la mente lascia il posto al cuore e nasce la poesia.
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Amici di Follereau N. 1 / gennaio 2015
Fonte: Susanna Bernoldi
Reportage
RitoRno nel Sud Sudan
dIveNtato da poco INdIpeNdeNte, Il paese NoN ha aNcora
trovato la pace Né col vIcINo del Nord, Né coN sé stesso.
coNflIttI alImeNtatI da IgNoraNza e fame dI rIcchezze
di Susanna Bernoldi
i
l Sud Sudan è uno stato che ha una grave colpa, anzi,
più di una: una terra fertile in superficie e il petrolio
un po’ più sotto. Questo, non certo solo motivazioni
religiose, fa sì che il nord, il Sudan, non accetti
l’indipendenza così faticosamente conquistata dal nuovo
stato. Allora ancora scontri! E le vittime sono le donne
stuprate, uccise o rapite, i bambini, gli uomini …. Sempre
la stessa storia come in ogni parte del mondo: uomini
bianchi, neri o di altre sfumature, spinti da falsi ideali
religiosi o di conquista, disumanizzati dal razzismo che
si nutre di ignoranza e fame di ricchezza ad ogni costo e
uccidono, rapinano, distruggono.
Lo scorso agosto a Nzara, nella regione meridionale del
Western Equatoria, ho incontrato suor Hidat, comboniana
eritrea, fuggita da Malakal dove i ribelli hanno attaccato
la città e quindi la missione. Suore e padri hanno dovuto
abbandonare la scuola e ogni altra struttura dedicata
ai poveri, ai giovani, alla gente comune che vorrebbe
solo vivere nella pace! Non vedeva l’ora di tornare ben
sapendo che avrebbero dovuto ricominciare tutto da capo.
Ascoltandola, mentre raccontava che era riuscita a portare
con sé solo la sua vita, mi tornavano in mente le parole
della “mia suor Eugenia” quando mi ripeteva, nel 1991
al lebbrosario del Cairo: “Spero mi lascino tornare in Sud
Sudan, perché quella è la mia gente”.
Poche parole ripetute con un sorriso dolce, con gli occhi
che guardavano lontano, pronunciate in modo pacato, ma
caparbio. Parole che mi hanno fatto innamorare di lei e
che mi hanno spinto ad ”inseguirla” in Sud Sudan, perché
condividere con lei la quotidianità di lavoro e preghiera
era ed è qualcosa di esaltante.
Sono stata a Nzara la prima volta nel 1996 quando c’era
ancora il conflitto tra il Sudan e l’Esercito di liberazione
del popolo sudanese (Spla): un piccolo ospedale, poche
classi in muratura e le altre, le capanne, con qualche parete
di rami e i tetti in paglia. Ero a Marial Lou nel Bar El
Gazhal quando il Nord attaccò la città di Agangrial, uno
dei centri che rientravano in un territorio ceduto alla
Cina per lo sfruttamento del petrolio, e le suore avevano
l’ospedale per la tubercolosi spinale e lottavano contro il
verme di Guinea.
Ero a Nzara anche lo scorso agosto. Questa volta in
omaggio alla nascita del nuovo stato, a questa nuova
repubblica che dopo decenni di dominio e violenze del
Nord ha conquistato l’indipendenza, ho voluto atterrare
direttamente a Juba, la nuova capitale. Controllo antiebola
Amici di Follereau N. 1 / gennaio 2015 |
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Reportage
e poi, per sentirmi più accanto alla gente comune come
comune sono io, ho voluto raggiungere Nzara via terra.
Sono occorsi due giorni per percorrere 350 km! Agosto è
ancora stagione delle piogge che regalano una vegetazione
lussureggiante, ma che rendono le strade sterrate laghi,
acquitrini-trappole che solo autisti molto esperti, anzi,
eccezionali sanno guadare! Si entra in quei crateri enormi
pieni di acqua dove l’auto affonda, si inclina ai lati e
poi risale ed evita veri e propri argini di terra causati
dall’incessante traffico di enormi camion carichi di merce.
Si! Tir carichi di prodotti alimentari, attrezzi, merci
di ogni genere, perché finalmente c’è la pace! La gente
ha una volontà insopprimibile di vivere la pace: di poter
pensare a trasformare le capanne in casette di mattoni, di
organizzare commerci stabili, di coltivare (gli azande) ed
allevare (i dinka) senza il terrore dei soldati del Nord e dei
folli ribelli dell’Esercito del Signore di quel Joseph Kony
che tanto comodo ha fatto e fa ancora a chiunque voglia
depredare anche le ricche terre del Congo o le genti del
Centrafrica.
Tra una lezione di educazione fisica al mattino e di
inglese al pomeriggio, tra una corsa in bici nei sentieri
della foresta e il lavoro nella nuova biblioteca della scuola
e qualche meravigliosa passeggiata con suor Eugenia,
pregando al tramonto, andando a trovare quei poverissimi
anziani, ex malati di lebbra, donne sole affidati alle sue
cure, ritornavo a gustare il “paco”. È quella deliziosa
ed estremamente nutriente pasta di arachidi ottenuta
macinando le noccioline tra due pietre, cibo tradizionale
africano.
Nutriente fondamentale che ho ritrovato nel
Plumpy’nut che sta salvando tante piccole vite nel nostro
progetto in Guinea Bissau e in altri paesi africani. Quanti
rifugiati dal Congo e Centrafrica sono sopravvissuti
a lunghi periodi in foresta grazie a questo loro cibo
tradizionale tanto nutriente! Per questo credo nell’efficacia
della nostra campagna contro la denutrizione a favore dei
piccoli in Guinea Bissau e credo sia giusto impegnarci per
sostenerla! In breve: se Amare è Agire ….. Agiamo! ■
Fonte: Susanna Bernoldi
Il Sud Sudan, dove prevalgono le religioni tradizionali e il cristianesimo, è indipendente dal
2011, al termine di una lunga guerra civile che ha dilaniato il Sudan, a maggioranza musulmana.
La guerra inizia nel 1962, poco dopo l’indipendenza del Sudan (1956). Dopo il colpo di Stato di
Nimeiri, si giunge ad un accordo sull’autonomia per le regioni del Sud (1972); nel frattempo nel
sud viene scoperto il petrolio. Nel 1983 Nimeiri impone la legge islamica (sharia) a tutto il paese e
revoca l’autonomia del sud. Inizia così la seconda guerra civile guidata dall’Esercito di liberazione
del popolo sudanese (Spla) di John Garang. Nel 1989 Nimeri è deposto dal colpo di stato di Al
Bashir. A-ll’inizio del 2005 un accordo globale di pace prevede il cessate il fuoco, l’autonomia
delle regioni del Sud, un governo di coalizione nord-sud, un referendum nel sud per decidere
l’indipendenza o meno. Dopo il referendum del gennaio 2011, il 9 luglio viene proclamata
l’indipendenza del Sud Sudan con capitale Juba, presidente è Salva Kiir. Gli scontri tra i due paesi
continuano nelle regioni di confine, per il controllo del petrolio. Nell’estate 2013 il vicepresidente
Rieck Machar viene rimosso. Seguono tensioni nel paese, con nuove vittime e altri sfollati.
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Amici di Follereau N. 1 / gennaio 2015
Fonte: marish/shutterstock.com
Strumenti
Per una scrittura
easy to read
la scrIttura coNtrollata è uN tIpo dI scrIttura facIlmeNte
leggIbIle aNche da persoNe coN problemI cogNItIvI, perché
tuttI haNNo Il dIrItto d’INformarsI ed essere cIttadINI attIvI
di Nicola Rabbi
g
li italiani fanno fatica a capire quello che leggono
sui giornali e sui documenti della pubblica
amministrazione. Può sembrare un’affermazione
esagerata in un paese in cui i dati dicono che
l’analfabetismo riguarda solo l’1% della popolazione. Eppure
svariate ricerche confermano proprio questo disagio culturale.
La nostra società è complessa, basata sull’informazione e
le competenze di comprensione dei testi che richiede ai suoi
cittadini sono aumentate rispetto a 30, 40 anni fa, complice
anche la digitalizzazione che ci porta sempre più spesso a
pagare le nostre tasse, multe, iscrizioni scolastiche, a prenotare
controlli medici sul web.
Se per il secondo problema la soluzione è quella di un
miglioramento di cultura tecnologica degli italiani (attraverso
la scuola e la formazione degli adulti), per il primo si devono
pensare anche tecniche di scrittura particolari, che rendano i
testi accessibili al maggior numero di persone. Questa scrittura
viene chiamata in differenti modi, scrittura controllata o
semplificata, se la si guarda dal lato di chi scrive, scrittura
facile da leggere (Easy To Read - ETR) se la si guarda dal
lato del lettore.
a chi si rivolge
I motivi per cui una persona ha difficoltà di comprensione
dei testi sono diversi ma se li uniamo assieme vediamo
che l’esercito di coloro che sono in difficoltà aumenta in
maniera imbarazzante. L’esigenza di una scrittura “facile”
è sorta in Italia negli anni ’80 nell’ambito degli educatori
e dei famigliari di persone con disabilità che assieme a
figure di intellettuali come Tullio De Mauro ed Emanuela
Piemontese dell’Università La Sapienza di Roma hanno
portato alla creazione della rivista dueparole (www.dueparole.
it), un mensile che faceva un’informazione di tipo generalista
ad alta leggibilità.
Ma accanto alle persone che hanno deficit cognitivi se ne
possono aggiungere altre, come le persone che sono migrate
nel nostro paese e che conoscono poco l’italiano, oppure gli
anziani che cominciano ad avere deficit cognitivi, le persone
colpite da ictus, perfino i giovani che sono usciti precocemente
dai circuiti scolastici.
Una società democratica per funzionare bene deve riuscire
a includere il maggior numero di cittadini e dialogare con
Amici di Follereau N. 1 / gennaio 2015 |
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Strumenti
Strumenti
loro in modo incomprensibile significa perderli, non avere
più la loro opinione o peggio ancora avere un alto numero di
cittadini manipolabili dal populista di turno. Anche dal punto
di vista economico è importante: lo stato risparmierebbe
evitando la continua creazione di uffici informazione,
sportelli utenti … In generale si può affermare che una
popolazione poco istruita e formata è una delle cause del
mancato sviluppo economico di un’intera nazione.
come si scrive la scrittura controllata
Un testo per essere di facile lettura deve avere un requisito
di base: chi legge trova al suo interno tutte le informazioni
e non deve inferirle (andarle a cercare) dalle sue conoscenze
personali o da altri testi.
Gli studiosi che si sono occupati di questo tema hanno
indicato anche una serie di regole che non possono però essere
applicate in maniera rigida perché ogni progetto di scrittura
controllata può avere un suo pubblico di riferimento diverso.
Ad esempio se vogliamo scrivere una rivista di attualità per
persone con un medio deficit mentale dovremo usare una
scrittura molto semplificata; se invece il nostro lettore di
riferimento è un ragazzo italiano uscito presto dal circuito
scolastico potremmo diminuire il livello di semplificazione.
Quindi è possibile scrivere in modo controllato a livelli
diversi a seconda del nostro pubblico.
Un test importante per sapere se quello che scriviamo è
davvero comprensibile, è quello di avere un piccolo gruppo
di lettori svantaggiati che valutano il nostro lavoro: se lo
comprendono, allora vuol dire che siamo riusciti nel nostro
intento.
Ritornando ai criteri più comuni per scrivere dei testi
semplificati, li possiamo suddividere in quattro categorie:
Lessico: Occorre usare parole di uso comune, brevi,
concrete, che provengano dalla lingua italiana. Bisogna
invece evitare le espressioni idiomatiche (le frasi fatte),
le forme figurate (l’uso delle figure retoriche). Se si
devono usare parole difficili, sigle allora bisogna inserire
la spiegazione nel testo.
Organizzazione dei contenuti: Le idee, le
Grafica: Per facilitare la lettura bisogna scegliere
Sintassi: Le frasi devono essere brevi per essere
un font (carattere tipografico) leggibile di una certa
dimensione e non esagerare nell’uso del colore che crea
confusione. Le immagini che si usano devono chiarire
quello a cui si riferiscono. L’organizzazione grafica
del testo (paragrafi, sottoparagrafi...) deve essere ben
definita e non creare confusione.
Abbiamo in realtà molto semplificato il discorso delle
regole, ma anche con queste poche indicazioni viene spontanea
una domanda. Ma se si scrive così, cosa rimane di “bello” e di
avvincente nel testo? Non si rischia di diventare noiosi?
storie devono essere raccontate seguendo un ordine
unidirezionale (con un inizio e una fine). Bisogna dare
tutte le informazioni che servono e occorre usare dei
buoni titoli e sottotitoli.
comprese, massimo 20-25 parole, ma se il pubblico ha
maggiori difficoltà, le frasi devono essere ancora più
ridotte. La struttura della frase deve prevedere un soggetto,
il verbo e il complemento oggetto. Le frasi subordinate
devono essere comuni (causali, finali, temporali) e la forma
deve sempre essere attiva e non avere la doppia negazione.
I tempi verbali più comprensibili sono il presente, il
passato prossimo e il futuro.
La risposta ce la danno i lettori in questo caso; se il lettore
è una persona con degli svantaggi, un testo chiaro per lui sarà
meglio di un testo pieno di anticipazioni, di colpi di scena, di
frasi lunghe ed eleganti di cui però capisce poco o quasi nulla.■
La cultura degli italiani
Nel 1861 il 77% della popolazione italiana era analfabeta, oggi solo l’1%: ma
cosa si nasconde dietro a questa cifra? Tullio de Mauro, il più noto linguista
italiano vivente, ha affermato che il 71% della popolazione italiana si trova al
di sotto del livello minimo di comprensione di un testo di media difficoltà. Solo il
20% invece possiede le competenze minime “per orientarsi e risolvere, attraverso
l’uso appropriato della lingua italiana, situazioni complesse e problemi della vita
sociale quotidiana”.
Quindi i dati sull’analfabetismo vanno ripensati visto che non stiamo parlando
di individui che non sanno leggere e scrivere ma di persone incapaci di usare
correttamente queste abilità. Si parla in questo caso di analfabetismo funzionale.
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Amici di Follereau N. 1 / gennaio 2015
Esperienze
Fonte: Sergio Zovini
I semI dell’IndIa
ImpressIoNI dI vIaggIo alla scoperta dell’INdIa del sud,
attraverso I protagoNIstI e I beNefIcIarI deI progettI aIfo
di Pietro Pirri e Marina Sandrini
Dal 12 al 25 ottobre 2014 si è svolto il Viaggio di conoscenza nell’India del sud, organizzato da Aifo,
attraverso alcuni progetti negli stati del Karnataka e dell’Andhra Pradesh (in realtà diviso in due
stati poco prima della partenza). Due dei partecipanti al gruppo, guidato da Sergio Zovini, hanno
riportato le loro impressioni.
L
Il sorrIso dI chI accoglIe
a prima vera tappa dei progetti è Kollapur (Andhra
Pradesh): la raggiungiamo dopo un’ora di volo da
Bangalore (Karnataka) e quasi quattro di auto. Il
convento di Kollapur si trova in una zona isolata in
aperta campagna. Nel centro funziona un piccolo ospedale
per la diagnosi e la cura dei malati di lebbra, un piccolo
edificio adibito alla fisioterapia dei bambini affetti da esiti
di poliomielite, da altre malattie invalidanti e cerebrolesi.
Bravo il fisioterapista che, pur non disponendo di particolari
apparecchiature (del tutto inesistenti), riesce ad ottenere
buoni risultati istruendo nei movimenti da eseguire genitori
o parenti che accompagnano i piccoli disabili.
In un territorio vasto, ove esistono molti villaggi rurali, la
lebbra è una malattia ancora presente: bravissima suor Maria
nel diagnosticarla. Abbiamo visto il caso di un giovane per il
quale la diagnosi è stata fatta durante la prima osservazione
di macchie sulla pelle.
www.patrickstack.com/
Amici di Follereau N. 1 / gennaio 2015 |
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Esperienze
Con le suore e due operatrici visitiamo alcuni villaggi,
nei quali la gente vive poveramente, in piccole abitazioni,
spesso monolocali; si nota ovunque il decoro di una vita
di stenti e sempre il sorriso di chi accoglie con premura e
benevolenza il visitatore. Oltre alla cura della lebbra le suore
sono impegnate nella nascita di gruppi di auto-aiuto che
coinvolgono ex malati di lebbra e disabili in un’attività di
responsabile e reciproca collaborazione.
Da Kollapur a Rajamundry (Andhra Pradesh) in auto, poi
in aereo. Dopo qualche ora d’auto arriviamo al Centro di
Nidadavole, ove siamo accolti in clima festoso. Il complesso
degli edifici, situato in una zona di campagna lussureggiante
di vegetazione, è composto dal convento, da un collegio
per ragazze che frequentano corsi per infermiera, maestra
e computer, e da un complesso di abitazioni riservate agli
ex lebbrosi. Quest’ultimi sono persone sole, perché rifiutate
dalla famiglia, non auto-sufficienti. L’indomani partecipiamo
alla santa messa con gli ex lebbrosi e un gruppo di alunne
del collegio. Il rito è ricco di elementi folclorici, legati alla
popolazione locale ed è vissuto intensamente da tutti i
presenti. Ci rechiamo a visitare gli ospiti nelle loro abitazioni;
si tratta di piccole case dove le persone che possono si autogestiscono, mentre quelle che hanno difficoltà sono aiutate.
Nella mattinata successiva visitiamo due scuole della
fascia elementare-media. Rimaniamo colpiti dalla serietà
e serenità degli alunni, collocati in aule prive di arredi, ma
ricche di cartelloni cartacei per facilitare l’apprendimento
delle varie discipline. Spesso i bambini sono seduti a terra
o in panche, in una situazione completamente diversa
rispetto ai loro coetanei occidentali. Si fanno attorno a noi e,
orgogliosi, ci mostrano i loro quaderni ordinati e puliti.
Lunga e faticosa è stata la marcia in auto per arrivare a
Gudivada; interessante la sosta all’oasi lacustre, con gita
in barca, dove vivono migliaia di pellicani. L’esperienza di
Gudivada, dove ritroviamo le suore francescane, è stata tra le
più importanti del viaggio. Le suore gestiscono un ospedale,
che negli anni passati ha curato migliaia di ammalati di lebbra
ed è stato punto di riferimento per tutto il distretto. Ancora
oggi i lebbrosi sono curati, ma il loro numero è naturalmente
diminuito. Vengono curati anche gli ammalati di Aids e
si effettuano trattamenti per evitare nascite di bambini
sieropositivi da gestanti affette. Interessante il lavoro svolto
con i bambini cerebrolesi e notevoli i risultati raggiunti con
interventi chirurgici con terapia.
È difficile parlare delle sensazioni, delle emozioni trovate.
Sicuramente abbiamo rilevato la presenza e l’attività di
suore impegnate con entusiasmo, energia e profonda fede in
compiti difficili, ma il piccolo “seme “ ha continuato a dare i
suoi frutti nei due stati dell’India meridionale che abbiamo
visitato. ■
Pietro Pirri
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Amici di Follereau N. 1 / gennaio 2015
Fonte: Sergio Zovini
L
Una speranza
per Il fUtUro
’India è un paese in cui ci si mette facilmente in sintonia, scivolando dolcemente nel suo stile di vita. Si
avverte un’innata gentilezza e bontà d’animo nelle
persone, che dimostrano un sincero interesse per noi
stranieri e ospiti. C’è molta dignità e discrezione anche
nel più povero e derelitto che, nonostante le deformità,
si mostra senza falsi pudori, sfacciataggine o tentativo di
muoverti a compassione per avere denaro. In tutti i centri
che abbiamo visitato abbiamo ricevuto un’accoglienza
commovente, sia da parte delle suore sia da parte dei
pazienti. Grandi manifestazioni di benvenuto delle
studentesse, con canti, balli e doni.
A Nidadavole abbiamo visitato un centro per bambine
sieropositive gestito da suor Jamie e ci siamo resi conto di
quanto la malattia sia più sopportabile all’interno di un
gruppo, dove si possono condividere problemi e sofferenza.
Questo è vero anche per i gruppi di auto-aiuto, che
abbiamo incontrato nei villaggi visitati. I componenti,
affetti da disabilità varie, si incontrano una volta al
mese versando su un conto comune una modesta cifra
prestabilita. Ai gruppi legalmente costituiti le banche
concedono prestiti agevolati, che il gruppo gestisce per
necessità comuni o di un singolo membro. Hanno imparato che “insieme si è più forti”, si può far sentire la
propria voce, essere ascoltati e acquisire consapevolezza e
dignità, mentre da soli non si ha voce e si resta emarginati.
Normalmente si pensa agli abitanti dei paesi caldi come
indolenti e inoperosi, ma mi è sembrato che gli indiani si
diano da fare pur con le poche disponibilità che hanno.
Inoltre la famiglia mi è parsa funzionare come cellula
primaria del tessuto sociale. Quasi nessuno è solo perché
abbandonato dai familiari; marito e moglie sono insieme
accanto ai figli. Si vede solidarietà tra vicini. Questo
aspetto mi ha colpito molto perché sembra non esserci
quella disgregazione sociale evidente in altri paesi. I valori
familiari e morali resistono nonostante l’estrema povertà.
La miseria non ha abbruttito lo spirito e questo dà speranza
per il futuro. ■
Marina Sandrini
In viaggio verso lo Zavhan
Storie di persone con disabilità in Mongolia
Un lungo viaggio dalla vivace capitale Ulaan Baatar alla remota Uliastaj,
capoluogo dello Zavhan, attraverso il progetto Aifo.
Ecco le storie di Bayaraa che disegna su feltro, di Demchigsuren,
il dottore che non si limita a tagliare, della sarta Udval e di altre persone
con disabilità che rivendicano il diritto ad una vita migliore.
PER ALTRE INFORMAZIONI
Aifo 051/4393211
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Amici di Follereau
Mensile per i diritti degli ultimi, dell’Associazione
Italiana
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Hanno collaborato a questo numero
Susanna Bernoldi, Sergio Cavasassi,
Antonello Farris, Giovanni Gazzoli, Pietro Pirri,
Anna Maria Pisano, Marina Sandrini
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foroterzosettorebassabs.it; healido.com; ilgiornale.it; letteraturaalfemminile.
it; marish/shutterstock.com; neftali/shutterstock.com; patrickstack.com;
wikipedia.org; Sergio Zovini; Copertina: Marcello Carrozzo
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c’È ancora molto
da fare
La lebbra oggi è una malattia curabile,
ma nelle aree più povere continua a
colpire molte persone.
Per vincere la lebbra, Aifo sostiene
programmi per la diagnosi precoce e
il trattamento.
Promuove la riabilitazione fisica e
sociale per l’inclusione delle persone
nella propria comunità.
PER
UN AIUTO CONCRETO
Cura completa per un malato di lebbra 130€
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comunitario 40€
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sanitaria e scolastica 25€
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LEBBRA