Gennaio 2015
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Anno LIV - n.1 / gennaio 2015 - Poste Italiane SPA, Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/2003 (conv.in.L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, c.1, CN/BO - Filiale di Bologna – € 2 Amici di Follereau 1 gennaio 2015 GMl 2015 Ridare dignità alle persone RePoRtAGe Ritorno nel Sud Sudan PRoGettI Brasile: non nascondere la malattia per i diritti degli ultimi VIVERE È AIUTARE A VIVERE Aifo dal 1961 combatte le cause di emarginazione e sottosviluppo. Contro la lebbra e tutte le lebbre del Mondo. Con più di 70 progetti internazionali, Aifo cura, riabilita e aiuta il reinserimento sociale degli ultimi di questa Terra. “La vostra felicità è nel bene che farete, nella gioia che diffonderete, nel sorriso che farete fiorire, nelle lacrime che avrete asciugato. Senza solidarietà nulla è possibile in questo mondo.” (R. Follereau) 62^ GIORNATA MONDIALE DEI MALATI DI LEBBRA Sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica 25 gennaio 2015 AIFO è partner ufficiale dell’OMS-DAR, ed è riconosciuta dal MIUR come ente formativo. Programma e informazioni sul sito www.aifo.it Il miele della solidarietà nelle piazze italiane Editoriale Una battaglia ancora in corso “ M i sentivo come una che aveva perso il diritto di parlare… Imparavo a vivere come una che aveva solo un’identità: era senza voce, senza opinioni, senza futuro” Non siamo certamente al tempo in cui Raoul Follereau incontra i lebbrosi nel suo viaggio in Africa: tantissimo lavoro si è fatto, milioni di malati sono guariti, milioni di “lebbrosi” sono ora uomini come gli altri. L’Aifo vuole ricordare però che la lebbra non è sparita e continua a celebrare la “Giornata mondiale dei malati di lebbra” con migliaia di volontari che affrontano il freddo di gennaio nelle piazze per amore dell’uomo e di un po’ più di giustizia. Care amiche, cari amici, Perché è assurdo che tanti bambini possano rimanere questo che leggete ce lo racconta una giovane donna disabili a vita perché non abbiamo saputo trovarli dell’India che, al compimento degli studi, quando in tempo. Perché l’emarginazione non è dovuta cominciava a vedere tante possibilità davanti a sé, alla malattia, ma ad una vergognosa ignoranza che scopre di essere malata di lebbra. Una ragazza di condanna tante persone. Perché ci sono ancora tanti oggi, una delle tante persone che incontriamo nei milioni di ex malati disabili di cui nessuno si occupa. nostri Progetti. Perché bisogna ricordare ai nostri governanti e anche Malattia grave la lebbra, al mondo sanitario che le più correttamente chiamata cosiddette “malattie rare” non PERCHÉ È ASSURDO CHE morbo di Hansen, malattia sono rare dappertutto e non si TANTI BAMBINI POSSANO che oggi, presa in tempo, possono e devono dimenticare. RIMANERE DISABILI A VITA prima che comincino le La battaglia è ancora in PERCHÉ NON ABBIAMO SAPUTO corso… ma che coloro che mi lesioni neurologiche, può TROVARLI IN TEMPO. PERCHÉ guarire perfettamente senza amano e coloro che mi seguiranno lasciare quei segni terribili, L’EMARGINAZIONE NON È comprendano bene che non fu, quelle invalidità che abbiamo DOVUTA ALLA MALATTIA, MA AD questa “battaglia della lebbra”, imparato ad associarle. UNA VERGOGNOSA IGNORANZA che una tappa, una conquista Malattia però che è ancora di questa grande, fraterna CHE CONDANNA TANTE retaggio di altissima e felice guerra che tutti noi PERSONE. emarginazione sociale, che dobbiamo muovere alla miseria, resiste alla guarigione e che può all’ingiustizia, all’egoismo. continuare per tutta la vita. (Raoul Follereau) Puoi perdere il lavoro, la famiglia, i parenti, gli amici, Contro le “altre lebbre” certamente peggiori della essere nessuno, proprio uno scarto, come direbbe papa lebbra malattia: che poi è sempre una lotta in difesa Francesco, per delle macchie sulla pelle, che possono della dignità dell’uomo, a cominciare dai diritti scomparire con una terapia semplice ed efficace, per misconosciuti e calpestati dell’ultimo di questa terra una malattia che, dopo un breve periodo di cura, smette perché: anche di essere contagiosa. Vivere è aiutare a vivere “ “ Anna Maria Pisano 5 7 Profezia Un nuovo stigma per nuove lebbre Luciano Ardesi Primo piano Tubercolosi, è di nuovo emergenza? Antonello Farris Progetti 9 11 Brasile: nascondere la malattia, ignorare lo stigma Dossier La lebbra oggi: una questione di dignità 15 Cultura 17 Reportage 19 21 Nicola Rabbi Lo strano caso di Mr Hyde e P. Damiano Ritorno nel Sud Sudan Giovanni Gazzoli Sergio Cavasassi Susanna Bernoldi Strumenti Per una scrittura easy to read Esperienze I semi dell’India Nicola Rabbi Pietro Pirri Marina Sandrini Fonte: foroterzosettorebassabs.it Profezia Un nuovo stigma per nuove lebbre I pregIudIzI, che spesso sfocIaNo Nel razzIsmo e IN attI dI vIoleNza, torNaNo IN forme Nuove. dIetro questI feNomeNI sI NascoNdoNo la paura e l’IgNoraNza, come IerI per I malatI dI lebbra di Luciano Ardesi N on passa giorno che persone e gruppi vengano presi di mira da altre persone e da altri gruppi più numerosi, in modo violento, nelle parole e negli atti. Condanna morale, disapprovazione, discriminazione e, al fondo di tutto questo, soprattutto la paura e l’ignoranza guidano queste rappresentazioni sociali e le conseguenze che ne derivano: esclusione, emarginazione, aggressioni. Lo sanno bene gli immigrati e i rom, per restare solo alla cronaca degli ultimi mesi in Italia. Questa modalità viene poi elaborata e amplificata dal sistema dei mass media e dei social network. In tal modo il catalogo delle persone colpite dallo stigma, dalla riprovazione, dalla scomunica e dalla segregazione sociale si allunga sempre di più. Queste rappresentazioni collettive deformano strati interi di società, condannandoli ad un marchio che difficilmente potrà essere cancellato. In questo mese che Aifo dedica alla Giornata mondiale dei malati di lebbra (GML), il pensiero va in modo particolare a coloro che sono colpiti dalla lebbra. Questa malattia curabile, scarsamente contagiosa e solo in precisi contesti, continua a fare paura ancora in molte regioni del mondo e in tanti ambienti sociali e culturali, coinvolgendo anche coloro che ne sono guariti. La battaglia, culturale in primo luogo, per sconfiggere lo stigma che colpisce i malati di lebbra è il più grande contributo che Raoul Follereau ha dato alla storia della civiltà contemporanea. Con straordinaria modernità, ha Amici di Follereau N. 1 / gennaio 2015 | 5 Profezia condotto questa battaglia utilizzando i simboli che potessero sconfiggere la paura, l’impulso ad allontanare, isolare, segregare: abbracciando “i lebbrosi”, stringendo loro le mani. e alla minoranze di ogni sorta: nazionali, religiose, etniche. La violenza che si scatena nei loro confronti può raggiungere il livello del genocidio. andare verso gli “ultimi” liberare noi stessi Da qui il segno distintivo positivo impresso da Follereau al movimento di solidarietà nei confronti dei malati di lebbra: andare verso gli “ultimi” del pianeta, non solo per curarli e riabilitare le loro disabilità, ma anche per riammetterli nella società da dove sono stati esclusi, e talvolta cancellati, nascosti, reclusi. La riabilitazione sociale, all’interno dell’ambiente dove le persone vivono - quella riabilitazione su base comunitaria, appunto, che caratterizza i progetti Aifo all’estero - diventa la modalità dell’inclusione che cancella progressivamente lo stigma. È un lavoro immenso, ancora incompiuto, che è destinato a rinnovarsi continuamente, perché nuove forme di esclusione e di stigma si manifestano in ogni luogo e tempo. L’ultima forma planetaria è probabilmente quella che ha colpito i malati di Ebola. Un timore irrazionale si è propagato, anche lontano dall’epicentro della sua diffusione, alimentato dalla scarsa informazione, che il sistema della comunicazione - fondato sull’amplificazione dei fatti e sull’allarmismo - ha contribuito ad irrobustire. Il virus di Ebola, che si è manifestato da un anno nell’Africa occidentale, è molto contagioso e ha giustamente preoccupato - peraltro in ritardo - la comunità scientifica e l’opinione pubblica. Non si tratta certo di “stringere le mani”, che sono anzi pratiche in questo caso da escludere categoricamente, ma di circoscrivere il fenomeno alle sue reali dimensioni, di impedire il panico nei paesi colpiti attraverso un’informazione corretta e razionale, come sta facendo Aifo in Liberia nelle contee dove è da anni presente. E si devono impedire comportamenti del tutto irrazionali nei confronti di coloro che, stranieri o meno, provengono dai paesi dove il virus si è diffuso, o semplicemente perché africani, come è già accaduto anche in Italia e altrove. Tra la lebbra e l’Ebola, lo stigma si manifesta in forme variate. Se coloro che soffrono di malattie mentali continuano ad essere considerati negativamente, e talvolta sottoposti in alcuni paesi a modalità intollerabili di violenza, quelli colpiti dal razzismo soffrono non solo dell’esclusione sociale, ma anche di forme particolarmente brutali di aggressione. Il pregiudizio, vale a dire la mancata o insufficiente informazione, colpisce una categoria intera, al di là dei dati oggettivi. I rom e gli immigrati: i primi “tutti ladri”, i secondi “tutti clandestini” e “ladri” di posti di lavoro. Entrambi vivrebbero “alle nostre spalle”: ecco gli argomenti che, non solo in tempo di crisi, fanno presa, al di là di ogni analisi reale. Il pregiudizio sociale, e lo stigma che ne consegue, insegue inesorabilmente i malati di Aids, gli omosessuali - ancora oggi considerati dai più come “malati” - i carcerati, gli abitanti delle periferie. Razzismo e pregiudizi sociali sono diffusi ovunque, si pensi alla sorte riservata agli albini in talune regioni africane, Stigmatizzare qualcuno vuol dire considerarlo non meritevole di appartenere alla comunità, privarlo dunque della propria dignità. Non è più una persona come le altre, direbbe Follereau. Questa concezione fa parte di quella civiltà degli scarti che papa Francesco ha con forza denunciata. Per questo diventa un imperativo “liberare le vite” colpite dallo stigma. Ma liberare le vite degli altri vuol dire cominciare a liberare noi stessi, dalle nostre paure, dalla nostra ignoranza, dalla pigrizia a capire. È questa la civiltà da costruire, la “civiltà dell’amore” di cui parlava Follereau. Un programma immenso, ma esaltante, che guarda al futuro, perché cosciente del presente. Essere a fianco degli ultimi vuol dire esplorare quella parte “ultima” che è dentro di noi e che non osiamo disturbare. Vivere, è far vivere diceva Follereau. Non potremo essere veramente felici fintanto che avremo quell’ombra nel nostro animo che ci fa disprezzare gli altri. “Buono”, o in senso ancor più spregiativo “buonismo”, sono parole colpite dallo stigma di coloro che temono il disastro del cedimento, del contagio fisico, culturale, sociale. Essere buono, vuol dire essere sicuro della propria forza, avrebbe risposto Follereau a tutti coloro che gridano in faccia agli altri per nascondere la propria paura, la propria debolezza. ■ 6 Amici di Follereau N. 1 / gennaio 2015 Fonte: healido.com Fonte: letteraturaalfemminile.it Fonte: archivio fotografico di Swan&Koi Primo piano TUBERCOLOSI, è di nuovo emergenza? uNa malattIa aNtIca che oggI suscIta appreNsIoNe, soprattutto per cIò che rIguarda glI ImmIgratI. uN allarme del tutto INgIustIfIcato di Antonello Farris u n’onda di felicità ci travolge quando ascoltiamo la romanza della Traviata di Verdi “libiam ne’ lieti calici….” . Una felicità che presto lascia il passo a quel nemico sottile e invisibile che si chiama “tisi” e che, alla protagonista, Violetta, “non le accorda che poc’ore”. Siamo nel XIX secolo. In questo secolo la tubercolosi raggiunge la sua massima diffusione e causa il maggior numero di morti. Eppure non se ne ha paura, anzi è la “malattia degli artisti”, è segno di genialità, di particolare sensibilità, e nell’alta borghesia e nobiltà c’è la moda di avere il viso pallido da “tisico”. Ma la tubercolosi è una malattia “antica”, che accompagna l’uomo (homo sapiens) fin dal neolitico. Segni di tubercolosi ossea sono stati trovati in ossa datate circa 9.000 anni a.C. È una malattia “normale” che non genera paura. Ricordiamo invece, ad esempio, come i mezzi di comunicazione abbiano amplificato la recente epidemia influenzale da virus H1N1 che ha causato pochi morti ma un’imponente allerta generale, sia nella popolazione che nelle istituzioni, e una spesa sanitaria sproporzionata. Ben diversa è la situazione relativa alla tubercolosi, che è, tra le malattie infettive, quella che ha provocato più morti nella popolazione umana. Si stima che nel XIX secolo i morti per Tbc siano stati 100 milioni. Ma ancora oggi nel mondo sono 2 milioni i morti per Tbc ogni anno. una malattia dei poveri La Tbc è una malattia della “povertà”, è ancora presente in tutto il mondo anche nei paesi industrializzati. Tutti sono minacciati: nella popolazione mondiale sono 2 miliardi le persone infettate, 20 milioni gli ammalati e 9 milioni ogni anno i nuovi casi di Tbc. Il 95% dei casi di Tbc si verifica nei paesi in via di sviluppo: Africa sub-sahariana, sud-est asiatico, India, Repubblica russa dove l’incidenza è di 100-500/100.000 Amici di Follereau N. 1 / gennaio 2015 | 7 Primo piano anni si ipotizzava la sua scomparsa in tempi brevi. Invece, a decorrere dal 1985, la diminuzione costante e progressiva dei nuovi casi di Tbc si è interrotta e si è osservato un loro incremento. Così che nel 1993 l’Oms ha dichiarato la tubercolosi “emergenza globale”, un grave problema di sanità pubblica a livello mondiale che non accenna ancora a diminuire. allarme immigrazione? http://www.ilgiornale.it/ abitanti. Una malattia anticha che prospera sulla povertà. Vale a dire che è più presente dove manca il lavoro e quindi dove c’è un basso reddito, e quindi denutrizione e malnutrizione, e quindi precarie condizioni igienicosanitarie, e quindi abitazioni precarie con sovraffollamento. È ben noto che le condizioni di povertà determinano la malattia e si innesca quel circolo vizioso che lega povertà e malattia: la malattia riduce la capacità lavorativa che aumenta la povertà e questa, limitando l’accesso alle cure, aumenta la malattia. La tubercolosi è causata da un microrganismo, il mycobacterium tuberculosis. Ma non tutte le persone esposte al micobatterio si ammalano. È stato stimato che circa un terzo della popolazione mondiale ospita il micobatterio tubercolare allo stato di latenza (infezione tubercolare latente). Nei soggetti immuno-competenti con infezione latente il rischio di sviluppare una malattia attiva è circa il 10% nel corso dell’intera vita, evenienza che nella metà dei casi si verifica nei primi 2-5 anni dall’esposizione/infezione. Dal 1944, anno della scoperta della streptomicina, e con l’introduzione degli altri antibiotici antitubercolari, in molti paesi industrializzati, compresa l’Italia, la tubercolosi è divenuta relativamente rara. Anzi in quegli 8 Amici di Follereau N. 1 / gennaio 2015 In Italia in media si hanno 7 casi di malattia/100.000 abitanti, cioè poco più di 4.200 casi di malattia a fronte di infezioni latenti pari a poco più di 7.200.000. Tuttavia, negli ultimi anni nelle grandi città metropolitane l’incidenza di Tbc è fino a 4 volte maggiore rispetto alla media nazionale. Quali le cause che determinano l’incremento della tubercolosi? Sono diverse: si va dall’eliminazione dei programmi di controllo del passato (dispensari antitubercolari, sanatori, screening di massa nelle scuole), all’aumento dell’immigrazione dai paesi ad alta endemia, all’aumento degli emarginati, delle condizioni di povertà, dell’epidemia da Hiv e della tossicodipendenza, all’aumento della popolazione anziana, alla farmaco resistenza, alla convivenza soprattutto di bambini e adolescenti con persone a rischio. Quindi le cause sono molteplici e non solo, come alcuni vogliono far credere, l’immigrazione. I dati ufficiali indicano che dal 1999 al 2008 i nuovi casi di Tbc sono diminuiti nella popolazione italiana e aumentati in quella straniera e allo stato attuale i circa 4200 casi di Tbc sono ripartiti circa al 50% tra italiani e stranieri. Tra gli stranieri viene inclusa anche la popolazione romena che fa parte della Comunità Europea e che fa registrare circa 500 casi ogni anno. Se consideriamo anche l’aumento della popolazione extracomunitaria i numero dei casi diminuisce ulteriormente.Per cui parlare di un’epidemia di Tbc veicolata dagli immigrati è perlomeno fantasioso. È vero invece che a causa delle condizioni di povertà e emarginazione il rischio di sviluppare la malattia tubercolare è di circa 5-6 volte superiore negli extracomunitari rispetto alla popolazione italiana e in particolare tra gli extracomunitari giovani. In condizioni di vita “normali” la tubercolosi, come la lebbra, ha una bassa contagiosità. E in ogni caso è una malattia curabile e non contagiosa già dopo pochi giorni di terapia. Il vero problema consiste nell’eliminare le condizioni di povertà, instaurare una prevenzione primaria e individuale, favorire l’accesso ai servizi sanitari e nei confronti dei contatti favorire screening periodici e un sistema di sorveglianza sanitaria efficace. E questo vale anche per altre malattie che creano allarmismi, Ebola compresa. ■ Fonte: archivio fotografico Aifo Fonte: archivio fotografico di di AIfo Progetti Nascondere la malattia, ignorare lo stigma IN brasIle la lebbra è coNsIderata uNa malattIa che sta scompareNdo. eppure coNtINua a colpIre le persoNe, soprattutto attraverso l’esclusIoNe socIale L di Nicola Rabbi uis montava i mobili a Marituba nello stato brasiliano del Parà, Edite era una casalinga a Marituba con un marito alcolizzato e cinque figli, Antonio invece aveva una vita semplice e normale nella città di Goiana nello stato di Goias. Cosa hanno in comune queste tre vite, cosa lega gli uni agli altri e che li porterà a vivere esperienze simili? La stessa malattia, la lebbra, che li ha colpiti a un certo punto della loro vita. tre storie diverse, tre destini uguali Oggi Luis ha 74 anni, gli hanno diagnosticato la malattia nel 2007; aveva un’ulcera al piede e delle macchie sul corpo. Dopo la diagnosi e lo spaesamento iniziale comincia le cure dategli dal servizio sanitario locale assieme ai servizi di fisioterapia e ortopedia. Nel suo caso infatti il decorso della malattia ha fasi alterne e ai miglioramenti seguono dei peggioramenti che lo porteranno alla parziale amputazione del piede. Nel 2011 entra in un gruppo di auto-aiuto chiamato “Overcome” e in breve tempo comincia ad avere all’interno di questo gruppo un ruolo sempre più importante, diventando un leader. Sotto quest’aspetto dimostra grandi capacità, coinvolgendo altre persone che sono nelle sue condizioni di esclusione sociale, perché dalla lebbra si può anche guarire, ma farsi accettare dalla società diventa paradossalmente il problema più difficile. Quando alcuni membri di “Overcome” propongono un orientamento diverso del gruppo, più indirizzato ai problemi della formazione e del lavoro, Luis si oppone in maniera molto forte: ”Per me il gruppo di auto-aiuto è diventato una seconda famiglia - afferma con convinzione - perché a questo serve soprattutto ad accompagnare gli ex malati nel corso della loro vita, dando un sostegno psicologico e di solidarietà costante, che non finisce mai”. Questa convinzione lo porta a essere sempre molto attivo all’interno di “Overcome” organizzando vari momenti sociali (feste, celebrazioni), ma anche momenti di impegno politico e di rivendicazione dei diritti delle persone disabili. Recentemente hanno presentato alla Commissione Salute del consiglio comunale una richiesta Amici di Follereau N. 1 / gennaio 2015 | 9 Progetti Dietro a molte storie c’è il sostegno Aifo Aifo da molti anni opera in Brasile, oggi con nove progetti, otto di questi in cinque stati della Federazione Brasiliana (tra cui anche gli stati di Goias e Parà) e un altro nel Distretto Federale di Brasilia. Le sue azioni sono molto varie e riguardano la cura specifica della lebbra, la sanità di base e la riabilitazione. Il sistema sanitario in Brasile è molto strutturato e anche la lebbra, attraverso il Programma Nazionale di Controllo, viene trattata a vari livelli che vanno da quello centrale del Ministero della Sanità (federale), passano attraverso quello statale, per arrivare fino al servizio sanitario municipale. Aifo appoggia questo programma attraverso la supervisione dei servizi di trattamento municipali, la riabilitazione fisica, i servizi specialistici, il monitoraggio e il finanziamento diretto ad alcune esperienze rivolte al reinserimento degli ex-malati di lebbra. Ha cura inoltre di un altro aspetto, quello che riguarda l’informazione e la sensibilizzazione della cittadinanza per diminuire lo stigma e il rischio di esclusione sociale. per migliorare i trasporti per le persone che hanno problemi motori e per l’accessibilità in generale. Più drammatica sotto il profilo famigliare è la storia di Edite che oggi è un’attivista dello stesso gruppo di autoaiuto di Luis. Adesso è vedova, ma quando non lo era, aveva dovuto subire le angherie di un marito violento e alcolizzato che l’accusava di aver preso la malattia dagli altri uomini, accusandola di tradimento. “Questa idea non gli è mai passata dalla testa - dice Edite - ed è morto con questa convinzione”. Anche nel suo caso i servizi sanitari devono affrontare un caso abbastanza difficile da trattare a cui si aggiungeva una situazione famigliare di mancata accettazione e quindi di esclusione sociale. Come per altre malattie (tipico in questo caso è la condizione dei malati di Aids) la popolazione non informata tende ancora a vedere la lebbra come qualcosa di minaccioso e chi ne è affetto (anche se guarito) come qualcuno da evitare, da emarginare. Edite ha subito questa emarginazione all’interno della famiglia e anche all’esterno, con i vicini. Ed è per questo che “Overcome” ha rappresentato per lei una grande risorsa per la propria autostima e per risolvere i propri problemi pratici. Anche se ha seri problemi di mobilità, oggi Edite è un’attivista instancabile che pone al centro delle sue iniziative proprio il rispetto dei malati e la denuncia dei pregiudizi. Porta avanti questa sua lotta non solo all’interno del suo gruppo ma anche all’esterno, esprimendosi in momenti pubblici e intervenendo nel consiglio comunale di Marituba. Goiana, la città dove vive Antonio, è a migliaia di chilometri di distanza da Marituba, ma la sua storia è in parte simile: la diagnosi della malattia (trent’anni fa) e la cura attraverso i servizi sanitari di base e la riabilitazione. 10 Amici di Follereau N. 1 / gennaio 2015 Dove le storie divergono, riguarda invece l’accettazione sociale: “La mia famiglia era molto preoccupata per il mio stato di salute, a quel tempo poi la lebbra faceva molto più paura di adesso - spiega Antonio - ma io, grazie a Dio, non ho avuto problemi di questo tipo e sono stato fortunato perché chi si ammala può perdere il lavoro, gli amici, persino la moglie e i figli “. Come per le altre storie anche Antonio è attivo nel suo gruppo di auto-aiuto e nonostante i 63 anni ha deciso di iniziare un nuovo lavoro come camionista comprando il mezzo: ”Per adesso ho superato solo la prova scritta, mi attende ora quella pratica!”. ma c’è ancora la lebbra in brasile? Può sembrare una domanda inutile vista l’evidenza della presenza della malattia, invece non lo è. Sebbene il Brasile, con circa 31 mila casi nuovi nel 2013 di cui il 7% con meno di 15 anni, rappresenti dopo l’India il secondo paese al mondo per numero di casi, la tendenza delle autorità sanitarie è quella di sottovalutarla. La si considera tra le malattie dimenticate e addirittura in Brasile, più che altrove, non la si chiama nemmeno più lebbra ma con il termine di hanseniasi, come se eliminando un termine si possa anche eliminare lo stigma che questa comporta. Infatti oltre al problema della sua diffusione non ancora risolto, rimane grave il problema delle persone guarite ma rimaste invalide, così come rimane il problema dell’accettazione degli ex-lebbrosi nelle proprie comunità. In Brasile esistono ancora 33 colonie, ovvero piccole comunità di ex-lebbrosi, che vivono assieme perché di fatto non riescono più a rientrare nella società. ■ Fonte: Marcello Carrozzo DOSSIER LA LEBBRA OGGI: UNA QUESTIONE DI DIGNITÀ le persone colpite dalla malattia sono ancora numerose nel mondo. la sfida oggi non è solo curarle, ma assicurare loro tutti i diritti fondamentali di Giovanni Gazzoli la situazione Della lebbra nel monDo ’ L Organizzazione mondiale della sanità (Oms) fornisce ogni anno i dati relativi alla situazione epidemiologica della lebbra a livello mondiale, vale a dire la sua distribuzione e frequenza. Per il 2013 l’Oms riporta 215.656 nuovi casi diagnosticati (Tab. 1), con una diminuzione rispetto all’anno precedente (17.201 in meno). Va sottolineato che solo 103 paesi, 12 in meno rispetto al 2012, hanno inviato le statistiche annuali all’Oms e mancano all’appello molti paesi con nuovi casi diagnosticati. Il dato è dunque largamente sottostimato. Grafico 1 Distribuzione dei nuovi casi di lebbra riportati da 103 paesi dal mondo (dati Oms, aggiornati al 31 dicembre 2013) Amici di Follereau N. 1 / gennaio 2015 | 11 DOSSIER REGIONE Africa Americhe Mediterraneo Orientale Sud Est Asiatico Pacifico Occidentale Totale 2008 29.814 41.891 3.938 167.505 5.859 249.007 2009 28.935 40.474 4.029 166.115 5.243 244.796 2010 25.345 37.740 4.080 156.254 5.055 228.474 2011 20.213 36.832 4.357 160.132 5.092 226.625 2012 20.599 36.178 4.235 166.445 5.400 232.857 2013 20.911 33.084 1.680 155.385 4.596 215.656 Tabella 1 Distribuzione del numero annuale di nuovi casi di lebbra riportati nel mondo negli ultimi sei anni (Dati Oms) I paesi con il maggior numero di nuovi casi sono l’India (126.913), seguita dal Brasile (31.044) e dall’Indonesia (16.856), la cui somma corrisponde all’81% del totale mondiale. Altri paesi con un numero significativo di nuovi casi sono: Bangladesh, Cina, Costa d’Avorio, Repubblica Democratica del Congo, Etiopia, Madagascar, Myanmar, Nepal, Filippine, Sri Lanka, Sud Sudan e Tanzania. l’evoluzione Della malattia Come mostra il Grafico 2, il numero dei nuovi casi, dopo un calo di circa il 60% avvenuto nei primi sei anni di questo secolo, si mantiene più o meno stabile, con cambiamenti collegati per lo più a fattori operativi. L’evoluzione suggerisce che il calo improvviso non è dovuto ad una diminuzione reale della trasmissione della malattia, ma piuttosto ad una riduzione delle capacità dei programmi di controllo dei paesi endemici di diagnosticare i casi. Anche se non attendibile, il numero annuale dei nuovi casi è un dato importante, ma non sufficiente per valutare il profilo epidemiologico globale della lebbra nel modo. Conseguentemente, per definirne l’impatto ai giorni nostri, in termini di salute pubblica, è necessario entrare in profondità nei dati riportati dall’Oms, utilizzando altri indicatori. La percentuale di bambini fra i nuovi casi è alta, indicando che la catena di trasmissione della malattia nei paesi endemici è attiva e precoce. Il numero di nuovi casi con disabilità gravi è elevato, a causa della diagnosi tardiva, in ragione del numero insufficiente e della scarsa qualità dei servizi di diagnosi e trattamento. Nei programmi di monitoraggio sono diminuite le attività di controllo dei contatti, con un probabile aumento delle possibilità di contagio e trasmissione della malattia. Se la diminuzione del numero di nuovi casi, avvenuta nel periodo 2000-2006, è stata causata da fattori operativi, il numero reale dovrebbe aggirarsi attorno ai 600.000 casi ogni anno, come nell’ultimo decennio del secolo scorso. Conseguentemente, se prendiamo in esame i dati dell’Oms dell’ultimo decennio, si stima che ogni anno circa 350.000 casi non siano identificati e trattati nei paesi endemici. Tale situazione avrebbe portato ad un accumulo di diversi milioni di casi non diagnosticati nel mondo con un aumento delle probabilità di contrarre la malattia nei paesi endemici. Grafico 2 Numero annuale di nuovi casi di lebbra nel mondo negli ultimi ventinove anni (1985 - 2013) La lebbra in Italia In Italia ogni anno si diagnosticano da 6 a 9 casi nuovi che si presentano come patologia di importazione in italiani. Si tratta di italiani che hanno soggiornato all’estero in paesi con lebbra endemica e/o in migranti provenienti da tali paesi. Il controllo della malattia nel nostro paese si basa sulla Legge n. 31 del 24 gennaio 1986 e sul Dpr. del 21 settembre 1994, conosciuto come “Atto di indirizzo e Coordinamento delle Regioni e alle Provincie autonome in materia di Morbo di Hansen”, che ha istituito quattro Centri di Riferimento nazionale per la conferma diagnostica e il trattamento: Genova, Gioia del Colle (Bari), Messina e Cagliari. 12 Amici di Follereau N. 1 / gennaio 2015 DOSSIER Un paio di scarpe ha cambiato la mia vita Avevo 18 anni quando sono iniziate ad apparire alcune macchie sul mio corpo. Il dottore mi prescrisse alcuni rimedi della medicina tradizionale cinese. Li ho seguiti tutti, ma non mi sentivo meglio. Più tardi ho cominciato ad avere problemi alla vista, allora sono andato in un ospedale di un centro vicino, e lì mi hanno detto che avevo la lebbra. Sono stato curato per tre anni e alla fine ero completamente guarito. Sono tornato al mio villaggio, ma la mia famiglia non mi voleva più in casa, dovevo arrangiarmi da solo. Allora mi sono trasferito in un altro villaggio, nascondendo il fatto che avevo avuto la lebbra. Nel frattempo mi sono sposato. Un giorno arriva al villaggio una persona che mi conosceva e che sapeva che ero stato malato di lebbra. La notizia è diventata presto di dominio pubblico. Mia moglie e la sua famiglia mi consideravano ormai una persona pericolosa e non mi accettavano più. Sono stato costretto a lasciare il villaggio. Dopo sette anni di matrimonio tutto era finito. Non avevo più casa, non sapevo dove andare. Allora sono tornato nella città dove ero stato curato. Per vivere ho preso un pezzo di terra. Lavoravo scalzo, e senza accorgermene si è formata un’ulcera ai miei piedi, a cui però non ho dato importanza. Ma la ferita peggiorava e, quando andavo nel campo a lavorare, i piedi mi facevano sempre più male. Un giorno un’équipe di volontari è venuta al villaggio e mi ha aiutato a fare un’automedicazione con lavaggi, asportazione della pelle malata e bende. I volontari mi dicevano che non c’era bisogno di prendere medicine. A me sembrava strano, avevo molti dubbi che fosse la cosa migliore da fare. Uno di loro mi ha spiegato che lavorando il campo ero stato ferito e così sabbia e piccoli sassi erano entrati nella piaga. La sola cosa che dovevo fare era tenerla pulita. Ma col mio lavoro di contadino povero era impossibile. Finalmente mi hanno regalato un paio di scarpe per proteggere i piedi. Ho continuato a pulire la ferita, anche quando i volontari se ne sono andati. Così poco a poco, con mia grande sorpresa, si è rimarginata. Adesso posso uscire dal villaggio e mi sono fatto nuovi amici. La mia segregazione è finita. LA STORIA DI TANG YUCHUN È STATA RACCOLTA NELLO YUNAN, UNA REGIONE DELLA CINA MERIDIONALE, DA YUAN SHUBING,COLLABORATORE DI HANDA, L’ONG LOCALE CHE, COL SUPPORTO DI AIFO, OPERA PER IL REINSERIMENTO DEGLI EX MALATI DI LEBBRA. Amici di Follereau N. 1 / gennaio 2015 | 13 DOSSIER Dai farmaci alla riabilitazione sociale Dal 1982 è disponibile un’efficace cura farmacologica (Polichemioterapia specifica-PCT) che ha permesso di curare nel mondo circa 15 milioni di persone colpite dalla lebbra, con una diminuzione sostanziale del numero dei casi registrati in trattamento. Nel 2013, nei progetti di controllo della malattia promossi da Aifo, sono stati curati 29.952 casi. La diminuzione dei casi registrati nel mondo non va di pari passo con la riduzione della sofferenza delle persone. Mentre in campo medico, negli ultimi decenni, si sono ottenuti risultati notevoli, altrettanto non si può dire per gli aspetti sociali riguardanti la malattia. Secondo le stime dell’Oms, nel mondo ci sono più di 3 milioni di persone che, presentando disabilità permanenti dopo la cura farmacologica, necessitano di riabilitazione fisica e spesso sono emarginate, senza lavoro e senza possibilità di reinserimento sociale a causa dello stigma. Per questo motivo, oggi, le iniziative di Aifo non si limitano a garantire la diagnosi precoce e un trattamento farmacologico di qualità, ma facilitano l’accesso a programmi di riabilitazione fisica e sociale. Nel 2013, complessivamente, 56.171 persone hanno beneficiato di tali programmi nei progetti di controllo della lebbra promossi dall’Associazione. la lotta contro lo stigma A questo proposito è importante citare l’articolo 1 della Dichiarazione universale dei diritti umani, approvata dall’Assemblea della Nazioni Unite nel dicembre del 1948, che afferma: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti.” Purtroppo, ancora oggi questo non vale per le persone colpite dalla lebbra: lo stigma verso di loro rappresenta una delle forme più diffuse e radicate di ingiustizia sociale e di discriminazione legale ed economica. Negli ultimi anni varie associazioni e organizzazioni nel mondo, in collaborazione con i governi dei paesi endemici, hanno intensificato le attività per combattere il preconcetto e i processi che portano all’emarginazione sociale. In termini politici, un risultato importante, storico, è stato ottenuto nel settembre 2010, quando il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite ha adottato all’unanimità una risoluzione per l’eliminazione di ogni tipo di discriminazione contro le persone colpite dalla lebbra e dei loro familiari. Tre mesi dopo, la risoluzione è stata adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Un lungo cammino ci attende, adesso si tratta di attuare e monitorare, in maniera sostenibile, i contenuti e i principi della risoluzione. La Riabilitazione su 14 Amici di Follereau N. 1 / gennaio 2015 base comunitaria, promossa dall’Aifo da più di due decenni nelle sue iniziative progettuali, si è dimostrata una metodologia e un modus operandi efficace, in quanto il suo proposito principale è quello di favorire l’inclusione sociale delle persone con disabilità in generale, coinvolgendole direttamente nel percorso di promozione dei loro diritti. Nel corso del 2013, sono state 3.376 le persone con disabilità causate dalla lebbra beneficiate nei progetti di Rbc promossi e gestiti dall’Associazione. Promuovere la Dignità Delle Persone In definitiva, le ultime esperienze di Aifo nell’ambito della cooperazione internazionale, mostrano che, per diminuire realmente l’impatto della lebbra, diventa necessario operare verso una società inclusiva che rispetti e garantisca i diritti delle persone colpite dalla malattia. Le conseguenze sociali sulla vita delle persone colpite devono essere considerate prioritarie e i programmi di controllo non possono avere una dimensione esclusivamente dettata da parametri epidemiologici, ma devono diventare espressione di un lavoro che intende rivitalizzare la dignità della persona. Questa visione permette di dare una risposta concreta alla situazione globale della lebbra: sicuramente possiamo affermare che oggi è ancora un importante problema di salute pubblica, se consideriamo le necessità di riabilitazione fisica, gli aspetti sociali e di violazione dei diritti umani che porta con sé. ■ Fonte: archivio fotografico di AIFO Fonte: it.wikipedia.org/wiki/Damiano_de_Veuster Cultura Lo strano caso di Mr. Hyde e padre Damiano uNa storIa vera dI robert louIs steveNsoN a dIfesa del futuro beato damIaNo de veuster, che ha dedIcato la sua vIta aI malatI dI lebbra alle hawaII di Sergio Cavasassi R obert Louis Stevenson è noto a noi giovani di ieri per alcuni affascinanti romanzi che hanno caratterizzato un intenso periodo di letture, in particolare Lo strano caso del dottor Jekyll e di Mr. Hyde e L’isola del tesoro. Sognavamo tutti, in un mondo ricco di speranza, una nostra isola, magari nei mari del Sud, quelli cari al nostro autore. Stevenson trascorse parecchi anni nelle Hawaii, per curare meglio i suoi polmoni compromessi dalla Tbc, fino a morirne a 44 anni. Gli indigeni, che lo avevano ben capito, lo chiamavano Tusitala: narratore di storie. Le sue “storie” continuano ad essere raccontate, anche in tempi recenti, ed illustrate dai più grandi disegnatori del mondo (italiani), a iniziare da Hugo Pratt. Ma voglio parlare di una storia ancora più ricca, ancora più affascinante, perché vera, e conosciuta da pochi. Leggo, circa un anno fa, una bella recensione di Gianfranco Ravasi a presentazione di una lettera/pamphlet: In difesa di Padre Damiano, pubblicata da un piccolo meritevole editore, la casa editrice Medusa. Il libro riporta l’accorata difesa di Robert L. Stevenson, proprio lui, il grande scrittore di una religione diversa, protestante, a favore di padre Damiano de Veuster. L’editore Sellerio di Palermo aveva pubblicato vent’anni prima, nel 1994, dopo ricerche rocambolesche del testo originale, la stessa lettera/pamphlet in un libro dal titolo Lettera al dottor Hyde. Questa la curiosità che apre la porta ai fatti che racconto brevemente, raccomandando caldamente l’acquisto dei due testi. stevenson alle hawaii Siamo nelle Hawaii, nel 1889: non c’è radio, televisione, internet e wi-fi. In questi luoghi si incrociano due destini singolari: Stevenson e padre Damiano, il prete cattolico fiammingo che passa 16 anni della sua vita a Molokai, una colonia hawaiana destinata a raccogliere i lebbrosi delle isole. La storia è nota: padre Damiano arriva per caso alle Hawaii, per caso viene mandato per pochi mesi, nel 1873, a Molokai, di fatto non si muove più dall’isola; trasforma un luogo invivibile in un ambiente a dimensione d’uomo, resta con i suoi lebbrosi fino a morire della stessa malattia nel 1889. La fama di padre Damiano si propaga rapidamente in Europa e America, i fondi non mancano, come non mancano nemici e detrattori. Stevenson è curioso, vuole andare a Molokai, la vita di questo padre amato e discusso lo interessa. Raggiunge l’isola quando padre Damiano è morto da un mese. Resta 12 giorni, 7 nella colonia dei lebbrosi. Ne trae un’esperienza sconvolgente: come un detective indaga sulla vita di padre Damiano. Si rivolge non ai cattolici, che teme partigiani, ma agli altri, ai malati e ai protestanti; resta conquistato da quest’uomo, dall’esempio della sua vita. Amici di Follereau N. 1 / gennaio 2015 | 15 Cultura Pochi mesi dopo, di ritorno verso Sidney, legge sul giornale locale, il Sydney Presbyterian, una breve lettera indirizzata da padre Hyde (eccolo), missionario americano di Honolulu conosciuto personalmente da Stevenson, al reverendo Cage, pastore presbiteriano della California. Il vero mr. hyde Fonte: neftali/shutterstock.com Stevenson, l’autore de Lo strano caso del dott. Jekyll e Mr. Hyde, si imbatte in un Mr. Hyde in carne ed ossa. Il contenuto? Una denigrazione di padre Damiano. Alcune frasi: “Siamo stupiti dalle stravaganti lodi apparse sui giornali, come se fosse un santissimo filantropo. La semplice verità è che egli fu un uomo volgare, sporco, cocciuto e bigotto… Non fu un uomo puro nelle sue relazioni con le donne, e la lebbra di cui morì fu conseguenza dei suoi vizi e della sua noncuranza. Altri hanno fatto molto per i lebbrosi, i nostri pastori, i medici del governo, e così via, ma mai con l’idea cattolica di guadagnarsi la vita eterna. Suo C.M.Hyde”. Stevenson si infuria, lui di educazione protestante ma non praticante, con il nonno reverendo. Decide di prendere le difese di padre Damiano e di smascherare la vergognosa menzogna. Scrive un saggio dal titolo In difesa di padre Damiano, si rende conto che le sue parole potrebbero portare a una causa per diffamazione e alla perdita di tutti i suoi beni: prima della pubblicazione (fatta a sue spese, perché nessuno vuole stamparla) fa un consiglio di famiglia per rendere tutti consapevoli del rischio, chiede l’autorizzazione ad andare avanti e la famiglia risponde con un “sì” unanime. Ogni punto della lettera del rev. Hyde viene sezionato, analizzato: ogni parola trova risposta, ogni termine, “volgare, sporco, cocciuto, bigotto”, viene trattato e confutato. Per inciso Stevenson fu anche profeta perché nella lettera parla del processo di canonizzazione che avrebbe avuto corso dopo cento anni. Come dice la moglie di Stevenson nella prefazione, “Padre Damiano fu vendicato da uno straniero, un uomo di un altro paese e di una religione diversa dalla sua”. Ma chi era “veramente” padre Damiano? Riprendo le parole che Stevenson ha scritto a Sidney Colvin (amico e primo editore delle lettere) immediatamente dopo la visita a Molokai. Stevenson parla già di un santo, ma di una santità terrena, vicina alla nostra vita. Sembra di sentire papa Francesco. “Del vecchio Damiano, della cui debolezza e dei lati peggiori ho sentito molto parlare, penso ci sia altro. Era un contadino europeo: sporco, bigotto, infedele, scellerato, infido, ma grande per la sua generosità, per quel poco candore che conservava e per il suo buonumore: convincetelo che abbia agito male (ci vorrebbero ore di ingiurie) e potrebbe disfare tutto e onorare chi lo corregge. Un uomo che ha in sé tutta la meschinità e la sporcizia dell’umanità, ma allo stesso tempo un santo e un eroe, ancora più per questo”. Caro Tusitala chi racconta storie non muore mai, di più, se le storie sono vere, diventa immortale: così Robert Louis Stevenson, così padre Damiano de Veuster, così Raoul Follereau. ■ La poesia di Stevenson “ Nel vedere di questi luoghi la miseria infinita, le mutilate membra, i volti devastati, le vittime innocenti che sorridono sotto la sferza, lo stolto sarebbe tentato di negare il suo Dio. Egli vede e si ritrae; ma se torna a guardare, la bellezza ecco sorge dal grembo del dolore! Vede le suore sulle sponde dolenti, e per quanto sia stolto tace e adora. “ Stevenson scrive questa poesia alla reverenda suor Marianna, superiora della “casa Bishop” di Kalaùpapa, a Molokai, perché quando le parole non bastano, la mente lascia il posto al cuore e nasce la poesia. 16 Amici di Follereau N. 1 / gennaio 2015 Fonte: Susanna Bernoldi Reportage RitoRno nel Sud Sudan dIveNtato da poco INdIpeNdeNte, Il paese NoN ha aNcora trovato la pace Né col vIcINo del Nord, Né coN sé stesso. coNflIttI alImeNtatI da IgNoraNza e fame dI rIcchezze di Susanna Bernoldi i l Sud Sudan è uno stato che ha una grave colpa, anzi, più di una: una terra fertile in superficie e il petrolio un po’ più sotto. Questo, non certo solo motivazioni religiose, fa sì che il nord, il Sudan, non accetti l’indipendenza così faticosamente conquistata dal nuovo stato. Allora ancora scontri! E le vittime sono le donne stuprate, uccise o rapite, i bambini, gli uomini …. Sempre la stessa storia come in ogni parte del mondo: uomini bianchi, neri o di altre sfumature, spinti da falsi ideali religiosi o di conquista, disumanizzati dal razzismo che si nutre di ignoranza e fame di ricchezza ad ogni costo e uccidono, rapinano, distruggono. Lo scorso agosto a Nzara, nella regione meridionale del Western Equatoria, ho incontrato suor Hidat, comboniana eritrea, fuggita da Malakal dove i ribelli hanno attaccato la città e quindi la missione. Suore e padri hanno dovuto abbandonare la scuola e ogni altra struttura dedicata ai poveri, ai giovani, alla gente comune che vorrebbe solo vivere nella pace! Non vedeva l’ora di tornare ben sapendo che avrebbero dovuto ricominciare tutto da capo. Ascoltandola, mentre raccontava che era riuscita a portare con sé solo la sua vita, mi tornavano in mente le parole della “mia suor Eugenia” quando mi ripeteva, nel 1991 al lebbrosario del Cairo: “Spero mi lascino tornare in Sud Sudan, perché quella è la mia gente”. Poche parole ripetute con un sorriso dolce, con gli occhi che guardavano lontano, pronunciate in modo pacato, ma caparbio. Parole che mi hanno fatto innamorare di lei e che mi hanno spinto ad ”inseguirla” in Sud Sudan, perché condividere con lei la quotidianità di lavoro e preghiera era ed è qualcosa di esaltante. Sono stata a Nzara la prima volta nel 1996 quando c’era ancora il conflitto tra il Sudan e l’Esercito di liberazione del popolo sudanese (Spla): un piccolo ospedale, poche classi in muratura e le altre, le capanne, con qualche parete di rami e i tetti in paglia. Ero a Marial Lou nel Bar El Gazhal quando il Nord attaccò la città di Agangrial, uno dei centri che rientravano in un territorio ceduto alla Cina per lo sfruttamento del petrolio, e le suore avevano l’ospedale per la tubercolosi spinale e lottavano contro il verme di Guinea. Ero a Nzara anche lo scorso agosto. Questa volta in omaggio alla nascita del nuovo stato, a questa nuova repubblica che dopo decenni di dominio e violenze del Nord ha conquistato l’indipendenza, ho voluto atterrare direttamente a Juba, la nuova capitale. Controllo antiebola Amici di Follereau N. 1 / gennaio 2015 | 17 Reportage e poi, per sentirmi più accanto alla gente comune come comune sono io, ho voluto raggiungere Nzara via terra. Sono occorsi due giorni per percorrere 350 km! Agosto è ancora stagione delle piogge che regalano una vegetazione lussureggiante, ma che rendono le strade sterrate laghi, acquitrini-trappole che solo autisti molto esperti, anzi, eccezionali sanno guadare! Si entra in quei crateri enormi pieni di acqua dove l’auto affonda, si inclina ai lati e poi risale ed evita veri e propri argini di terra causati dall’incessante traffico di enormi camion carichi di merce. Si! Tir carichi di prodotti alimentari, attrezzi, merci di ogni genere, perché finalmente c’è la pace! La gente ha una volontà insopprimibile di vivere la pace: di poter pensare a trasformare le capanne in casette di mattoni, di organizzare commerci stabili, di coltivare (gli azande) ed allevare (i dinka) senza il terrore dei soldati del Nord e dei folli ribelli dell’Esercito del Signore di quel Joseph Kony che tanto comodo ha fatto e fa ancora a chiunque voglia depredare anche le ricche terre del Congo o le genti del Centrafrica. Tra una lezione di educazione fisica al mattino e di inglese al pomeriggio, tra una corsa in bici nei sentieri della foresta e il lavoro nella nuova biblioteca della scuola e qualche meravigliosa passeggiata con suor Eugenia, pregando al tramonto, andando a trovare quei poverissimi anziani, ex malati di lebbra, donne sole affidati alle sue cure, ritornavo a gustare il “paco”. È quella deliziosa ed estremamente nutriente pasta di arachidi ottenuta macinando le noccioline tra due pietre, cibo tradizionale africano. Nutriente fondamentale che ho ritrovato nel Plumpy’nut che sta salvando tante piccole vite nel nostro progetto in Guinea Bissau e in altri paesi africani. Quanti rifugiati dal Congo e Centrafrica sono sopravvissuti a lunghi periodi in foresta grazie a questo loro cibo tradizionale tanto nutriente! Per questo credo nell’efficacia della nostra campagna contro la denutrizione a favore dei piccoli in Guinea Bissau e credo sia giusto impegnarci per sostenerla! In breve: se Amare è Agire ….. Agiamo! ■ Fonte: Susanna Bernoldi Il Sud Sudan, dove prevalgono le religioni tradizionali e il cristianesimo, è indipendente dal 2011, al termine di una lunga guerra civile che ha dilaniato il Sudan, a maggioranza musulmana. La guerra inizia nel 1962, poco dopo l’indipendenza del Sudan (1956). Dopo il colpo di Stato di Nimeiri, si giunge ad un accordo sull’autonomia per le regioni del Sud (1972); nel frattempo nel sud viene scoperto il petrolio. Nel 1983 Nimeiri impone la legge islamica (sharia) a tutto il paese e revoca l’autonomia del sud. Inizia così la seconda guerra civile guidata dall’Esercito di liberazione del popolo sudanese (Spla) di John Garang. Nel 1989 Nimeri è deposto dal colpo di stato di Al Bashir. A-ll’inizio del 2005 un accordo globale di pace prevede il cessate il fuoco, l’autonomia delle regioni del Sud, un governo di coalizione nord-sud, un referendum nel sud per decidere l’indipendenza o meno. Dopo il referendum del gennaio 2011, il 9 luglio viene proclamata l’indipendenza del Sud Sudan con capitale Juba, presidente è Salva Kiir. Gli scontri tra i due paesi continuano nelle regioni di confine, per il controllo del petrolio. Nell’estate 2013 il vicepresidente Rieck Machar viene rimosso. Seguono tensioni nel paese, con nuove vittime e altri sfollati. 18 Amici di Follereau N. 1 / gennaio 2015 Fonte: marish/shutterstock.com Strumenti Per una scrittura easy to read la scrIttura coNtrollata è uN tIpo dI scrIttura facIlmeNte leggIbIle aNche da persoNe coN problemI cogNItIvI, perché tuttI haNNo Il dIrItto d’INformarsI ed essere cIttadINI attIvI di Nicola Rabbi g li italiani fanno fatica a capire quello che leggono sui giornali e sui documenti della pubblica amministrazione. Può sembrare un’affermazione esagerata in un paese in cui i dati dicono che l’analfabetismo riguarda solo l’1% della popolazione. Eppure svariate ricerche confermano proprio questo disagio culturale. La nostra società è complessa, basata sull’informazione e le competenze di comprensione dei testi che richiede ai suoi cittadini sono aumentate rispetto a 30, 40 anni fa, complice anche la digitalizzazione che ci porta sempre più spesso a pagare le nostre tasse, multe, iscrizioni scolastiche, a prenotare controlli medici sul web. Se per il secondo problema la soluzione è quella di un miglioramento di cultura tecnologica degli italiani (attraverso la scuola e la formazione degli adulti), per il primo si devono pensare anche tecniche di scrittura particolari, che rendano i testi accessibili al maggior numero di persone. Questa scrittura viene chiamata in differenti modi, scrittura controllata o semplificata, se la si guarda dal lato di chi scrive, scrittura facile da leggere (Easy To Read - ETR) se la si guarda dal lato del lettore. a chi si rivolge I motivi per cui una persona ha difficoltà di comprensione dei testi sono diversi ma se li uniamo assieme vediamo che l’esercito di coloro che sono in difficoltà aumenta in maniera imbarazzante. L’esigenza di una scrittura “facile” è sorta in Italia negli anni ’80 nell’ambito degli educatori e dei famigliari di persone con disabilità che assieme a figure di intellettuali come Tullio De Mauro ed Emanuela Piemontese dell’Università La Sapienza di Roma hanno portato alla creazione della rivista dueparole (www.dueparole. it), un mensile che faceva un’informazione di tipo generalista ad alta leggibilità. Ma accanto alle persone che hanno deficit cognitivi se ne possono aggiungere altre, come le persone che sono migrate nel nostro paese e che conoscono poco l’italiano, oppure gli anziani che cominciano ad avere deficit cognitivi, le persone colpite da ictus, perfino i giovani che sono usciti precocemente dai circuiti scolastici. Una società democratica per funzionare bene deve riuscire a includere il maggior numero di cittadini e dialogare con Amici di Follereau N. 1 / gennaio 2015 | 19 Strumenti Strumenti loro in modo incomprensibile significa perderli, non avere più la loro opinione o peggio ancora avere un alto numero di cittadini manipolabili dal populista di turno. Anche dal punto di vista economico è importante: lo stato risparmierebbe evitando la continua creazione di uffici informazione, sportelli utenti … In generale si può affermare che una popolazione poco istruita e formata è una delle cause del mancato sviluppo economico di un’intera nazione. come si scrive la scrittura controllata Un testo per essere di facile lettura deve avere un requisito di base: chi legge trova al suo interno tutte le informazioni e non deve inferirle (andarle a cercare) dalle sue conoscenze personali o da altri testi. Gli studiosi che si sono occupati di questo tema hanno indicato anche una serie di regole che non possono però essere applicate in maniera rigida perché ogni progetto di scrittura controllata può avere un suo pubblico di riferimento diverso. Ad esempio se vogliamo scrivere una rivista di attualità per persone con un medio deficit mentale dovremo usare una scrittura molto semplificata; se invece il nostro lettore di riferimento è un ragazzo italiano uscito presto dal circuito scolastico potremmo diminuire il livello di semplificazione. Quindi è possibile scrivere in modo controllato a livelli diversi a seconda del nostro pubblico. Un test importante per sapere se quello che scriviamo è davvero comprensibile, è quello di avere un piccolo gruppo di lettori svantaggiati che valutano il nostro lavoro: se lo comprendono, allora vuol dire che siamo riusciti nel nostro intento. Ritornando ai criteri più comuni per scrivere dei testi semplificati, li possiamo suddividere in quattro categorie: Lessico: Occorre usare parole di uso comune, brevi, concrete, che provengano dalla lingua italiana. Bisogna invece evitare le espressioni idiomatiche (le frasi fatte), le forme figurate (l’uso delle figure retoriche). Se si devono usare parole difficili, sigle allora bisogna inserire la spiegazione nel testo. Organizzazione dei contenuti: Le idee, le Grafica: Per facilitare la lettura bisogna scegliere Sintassi: Le frasi devono essere brevi per essere un font (carattere tipografico) leggibile di una certa dimensione e non esagerare nell’uso del colore che crea confusione. Le immagini che si usano devono chiarire quello a cui si riferiscono. L’organizzazione grafica del testo (paragrafi, sottoparagrafi...) deve essere ben definita e non creare confusione. Abbiamo in realtà molto semplificato il discorso delle regole, ma anche con queste poche indicazioni viene spontanea una domanda. Ma se si scrive così, cosa rimane di “bello” e di avvincente nel testo? Non si rischia di diventare noiosi? storie devono essere raccontate seguendo un ordine unidirezionale (con un inizio e una fine). Bisogna dare tutte le informazioni che servono e occorre usare dei buoni titoli e sottotitoli. comprese, massimo 20-25 parole, ma se il pubblico ha maggiori difficoltà, le frasi devono essere ancora più ridotte. La struttura della frase deve prevedere un soggetto, il verbo e il complemento oggetto. Le frasi subordinate devono essere comuni (causali, finali, temporali) e la forma deve sempre essere attiva e non avere la doppia negazione. I tempi verbali più comprensibili sono il presente, il passato prossimo e il futuro. La risposta ce la danno i lettori in questo caso; se il lettore è una persona con degli svantaggi, un testo chiaro per lui sarà meglio di un testo pieno di anticipazioni, di colpi di scena, di frasi lunghe ed eleganti di cui però capisce poco o quasi nulla.■ La cultura degli italiani Nel 1861 il 77% della popolazione italiana era analfabeta, oggi solo l’1%: ma cosa si nasconde dietro a questa cifra? Tullio de Mauro, il più noto linguista italiano vivente, ha affermato che il 71% della popolazione italiana si trova al di sotto del livello minimo di comprensione di un testo di media difficoltà. Solo il 20% invece possiede le competenze minime “per orientarsi e risolvere, attraverso l’uso appropriato della lingua italiana, situazioni complesse e problemi della vita sociale quotidiana”. Quindi i dati sull’analfabetismo vanno ripensati visto che non stiamo parlando di individui che non sanno leggere e scrivere ma di persone incapaci di usare correttamente queste abilità. Si parla in questo caso di analfabetismo funzionale. 20 Amici di Follereau N. 1 / gennaio 2015 Esperienze Fonte: Sergio Zovini I semI dell’IndIa ImpressIoNI dI vIaggIo alla scoperta dell’INdIa del sud, attraverso I protagoNIstI e I beNefIcIarI deI progettI aIfo di Pietro Pirri e Marina Sandrini Dal 12 al 25 ottobre 2014 si è svolto il Viaggio di conoscenza nell’India del sud, organizzato da Aifo, attraverso alcuni progetti negli stati del Karnataka e dell’Andhra Pradesh (in realtà diviso in due stati poco prima della partenza). Due dei partecipanti al gruppo, guidato da Sergio Zovini, hanno riportato le loro impressioni. L Il sorrIso dI chI accoglIe a prima vera tappa dei progetti è Kollapur (Andhra Pradesh): la raggiungiamo dopo un’ora di volo da Bangalore (Karnataka) e quasi quattro di auto. Il convento di Kollapur si trova in una zona isolata in aperta campagna. Nel centro funziona un piccolo ospedale per la diagnosi e la cura dei malati di lebbra, un piccolo edificio adibito alla fisioterapia dei bambini affetti da esiti di poliomielite, da altre malattie invalidanti e cerebrolesi. Bravo il fisioterapista che, pur non disponendo di particolari apparecchiature (del tutto inesistenti), riesce ad ottenere buoni risultati istruendo nei movimenti da eseguire genitori o parenti che accompagnano i piccoli disabili. In un territorio vasto, ove esistono molti villaggi rurali, la lebbra è una malattia ancora presente: bravissima suor Maria nel diagnosticarla. Abbiamo visto il caso di un giovane per il quale la diagnosi è stata fatta durante la prima osservazione di macchie sulla pelle. www.patrickstack.com/ Amici di Follereau N. 1 / gennaio 2015 | 21 Esperienze Con le suore e due operatrici visitiamo alcuni villaggi, nei quali la gente vive poveramente, in piccole abitazioni, spesso monolocali; si nota ovunque il decoro di una vita di stenti e sempre il sorriso di chi accoglie con premura e benevolenza il visitatore. Oltre alla cura della lebbra le suore sono impegnate nella nascita di gruppi di auto-aiuto che coinvolgono ex malati di lebbra e disabili in un’attività di responsabile e reciproca collaborazione. Da Kollapur a Rajamundry (Andhra Pradesh) in auto, poi in aereo. Dopo qualche ora d’auto arriviamo al Centro di Nidadavole, ove siamo accolti in clima festoso. Il complesso degli edifici, situato in una zona di campagna lussureggiante di vegetazione, è composto dal convento, da un collegio per ragazze che frequentano corsi per infermiera, maestra e computer, e da un complesso di abitazioni riservate agli ex lebbrosi. Quest’ultimi sono persone sole, perché rifiutate dalla famiglia, non auto-sufficienti. L’indomani partecipiamo alla santa messa con gli ex lebbrosi e un gruppo di alunne del collegio. Il rito è ricco di elementi folclorici, legati alla popolazione locale ed è vissuto intensamente da tutti i presenti. Ci rechiamo a visitare gli ospiti nelle loro abitazioni; si tratta di piccole case dove le persone che possono si autogestiscono, mentre quelle che hanno difficoltà sono aiutate. Nella mattinata successiva visitiamo due scuole della fascia elementare-media. Rimaniamo colpiti dalla serietà e serenità degli alunni, collocati in aule prive di arredi, ma ricche di cartelloni cartacei per facilitare l’apprendimento delle varie discipline. Spesso i bambini sono seduti a terra o in panche, in una situazione completamente diversa rispetto ai loro coetanei occidentali. Si fanno attorno a noi e, orgogliosi, ci mostrano i loro quaderni ordinati e puliti. Lunga e faticosa è stata la marcia in auto per arrivare a Gudivada; interessante la sosta all’oasi lacustre, con gita in barca, dove vivono migliaia di pellicani. L’esperienza di Gudivada, dove ritroviamo le suore francescane, è stata tra le più importanti del viaggio. Le suore gestiscono un ospedale, che negli anni passati ha curato migliaia di ammalati di lebbra ed è stato punto di riferimento per tutto il distretto. Ancora oggi i lebbrosi sono curati, ma il loro numero è naturalmente diminuito. Vengono curati anche gli ammalati di Aids e si effettuano trattamenti per evitare nascite di bambini sieropositivi da gestanti affette. Interessante il lavoro svolto con i bambini cerebrolesi e notevoli i risultati raggiunti con interventi chirurgici con terapia. È difficile parlare delle sensazioni, delle emozioni trovate. Sicuramente abbiamo rilevato la presenza e l’attività di suore impegnate con entusiasmo, energia e profonda fede in compiti difficili, ma il piccolo “seme “ ha continuato a dare i suoi frutti nei due stati dell’India meridionale che abbiamo visitato. ■ Pietro Pirri 22 Amici di Follereau N. 1 / gennaio 2015 Fonte: Sergio Zovini L Una speranza per Il fUtUro ’India è un paese in cui ci si mette facilmente in sintonia, scivolando dolcemente nel suo stile di vita. Si avverte un’innata gentilezza e bontà d’animo nelle persone, che dimostrano un sincero interesse per noi stranieri e ospiti. C’è molta dignità e discrezione anche nel più povero e derelitto che, nonostante le deformità, si mostra senza falsi pudori, sfacciataggine o tentativo di muoverti a compassione per avere denaro. In tutti i centri che abbiamo visitato abbiamo ricevuto un’accoglienza commovente, sia da parte delle suore sia da parte dei pazienti. Grandi manifestazioni di benvenuto delle studentesse, con canti, balli e doni. A Nidadavole abbiamo visitato un centro per bambine sieropositive gestito da suor Jamie e ci siamo resi conto di quanto la malattia sia più sopportabile all’interno di un gruppo, dove si possono condividere problemi e sofferenza. Questo è vero anche per i gruppi di auto-aiuto, che abbiamo incontrato nei villaggi visitati. I componenti, affetti da disabilità varie, si incontrano una volta al mese versando su un conto comune una modesta cifra prestabilita. Ai gruppi legalmente costituiti le banche concedono prestiti agevolati, che il gruppo gestisce per necessità comuni o di un singolo membro. Hanno imparato che “insieme si è più forti”, si può far sentire la propria voce, essere ascoltati e acquisire consapevolezza e dignità, mentre da soli non si ha voce e si resta emarginati. Normalmente si pensa agli abitanti dei paesi caldi come indolenti e inoperosi, ma mi è sembrato che gli indiani si diano da fare pur con le poche disponibilità che hanno. Inoltre la famiglia mi è parsa funzionare come cellula primaria del tessuto sociale. Quasi nessuno è solo perché abbandonato dai familiari; marito e moglie sono insieme accanto ai figli. Si vede solidarietà tra vicini. Questo aspetto mi ha colpito molto perché sembra non esserci quella disgregazione sociale evidente in altri paesi. I valori familiari e morali resistono nonostante l’estrema povertà. La miseria non ha abbruttito lo spirito e questo dà speranza per il futuro. ■ Marina Sandrini In viaggio verso lo Zavhan Storie di persone con disabilità in Mongolia Un lungo viaggio dalla vivace capitale Ulaan Baatar alla remota Uliastaj, capoluogo dello Zavhan, attraverso il progetto Aifo. Ecco le storie di Bayaraa che disegna su feltro, di Demchigsuren, il dottore che non si limita a tagliare, della sarta Udval e di altre persone con disabilità che rivendicano il diritto ad una vita migliore. PER ALTRE INFORMAZIONI Aifo 051/4393211 [email protected] Amici di Follereau Mensile per i diritti degli ultimi, dell’Associazione Italiana Amici di Raoul Follereau (Aifo) Via Borselli 4-6 – 40135 Bologna Tel. 051 4393211 – Fax 051 434046 [email protected] Lettere alla Redazione: [email protected] www.aifo.it Direttore Responsabile Mons. Antonio Riboldi Direttore Anna Maria Pisano Redazione Luciano Ardesi (Caporedattore), Nicola Rabbi Progetto Grafico e Impaginazione Swan&Koi srl Hanno collaborato a questo numero Susanna Bernoldi, Sergio Cavasassi, Antonello Farris, Giovanni Gazzoli, Pietro Pirri, Anna Maria Pisano, Marina Sandrini Fotografie Archivio fotografico di AIFO; Susanna Bernoldi; Marcello Carrozzo; foroterzosettorebassabs.it; healido.com; ilgiornale.it; letteraturaalfemminile. it; marish/shutterstock.com; neftali/shutterstock.com; patrickstack.com; wikipedia.org; Sergio Zovini; Copertina: Marcello Carrozzo Abbonamenti - Amici di Follereau Le attività dell’Associazione sono il frutto della solidarietà e della condivisione di coloro che la sostengono. Puoi contribuire anche tu, sottoscrivendo l’abbonamento ad Amici di Follereau Ordinario 13 € / Simpatizzante 18 € / Sostenitore 30 € Tiratura 35.500 copie Tiratura xxxx copie Chiusoinintipografia tipografia il il10/12/2014 Chiuso xx/xx/xxxx Il numero di Novembre è stato spedito il 23/11/2014 Il numero di Febbraio è stato spedito il xx/xx/xxxx Stampa: SAB – Trebbo di Budrio (BO) PoStAlIzzAzIone DATA MEC srl, via Speranza, 31 – 40068 San Lazzaro (BO) Associato all’Unione Stampa Periodica Italiana (USPI) Autorizzazione del Tribunale di Bologna N. 2993, del 19 aprile 1962 a Fra nc es c M re oo aM sc ce oo re c’È ancora molto da fare La lebbra oggi è una malattia curabile, ma nelle aree più povere continua a colpire molte persone. Per vincere la lebbra, Aifo sostiene programmi per la diagnosi precoce e il trattamento. Promuove la riabilitazione fisica e sociale per l’inclusione delle persone nella propria comunità. PER UN AIUTO CONCRETO Cura completa per un malato di lebbra 130€ Formazione di agenti per lo sviluppo comunitario 40€ Sostegno alle attività di educazione sanitaria e scolastica 25€ COME FARE LA TUA DONAZIONE • Bollettino postale n. 7484 intestato a: AIFO - Onlus, Bologna • Conto Banca Popolare Etica, IBAN: IT 89 B 05018 02400000000 505050 • Carta di credito: telefona al n. verde Aifo oppure su www.aifo.it, clicca: Dona Online • Pagamento periodico bancario SEPA SDD (ex RID) richiedi il modulo al n. verde Aifo Le donazioni con queste modalità (non in contanti) sono fiscalmente deducibili Numero verde Aifo 800550303 Fr an LEBBRA