ma sono comunemente noti come «Panie» dal nome di alcune cime

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ma sono comunemente noti come «Panie» dal nome di alcune cime
TERRITORIO
La Carrara
del marmo
di Giuseppe Benelli
Percorrendo l’autostrada che porta dalla Versilia al fiume Magra,
il paesaggio è dominato dal candore dominante dei bacini marmiferi
della catena delle Alpi Apuane. Strabone li chiama «Monti di Luni»,
ma sono comunemente noti come «Panie» dal nome di alcune cime
emergenti il cui profilo era familiare ai naviganti dell’alto Tirreno.
A
ll’inizio dell’Ottocento Emanuale Repetti descrive il fascino delle valli marmifere
di Carrara: «Qui altro non si vede, se non l’azzurro del cielo, e il biancheggiare
dei marmi, i di cui blocchi sospesi sull’erta, e sul pendio dei poggi, o giacenti in
fondo alla Valle, o rotolanti dalle Cave, o trascinati con incredibile celerità, malgrado le loro moli, da clamorose brigate di bifolchi, scuotono la fantasia del più freddo osservatore»1.
Il primo scrittore che parla in modo particolareggiato del marmo lunense è Strabone: «A
Luni vi sono cave di marmo bianco con venature azzurre in tale qualità che forniscono lastre monolitiche e colonne, cosicché di là proviene la fornitura per costruire la maggior
parte delle opere insigni a Roma e nelle altre città». Luni, colonia romana fondata nel 177
a.C., situata a sinistra della Magra, poco distante dal golfo della Spezia, è famosa per le sue
cave di marmo bianco. Se i primi a valorizzare l’aspetto artistico e commerciale del marmo sono gli Etruschi, è coi Romani che il marmo diventa «materiale folgorante» dell’architettura pubblica e privata. Plinio il Vecchio ne esalta la «grana serrata, la cristallizzazione finissima, il candore e la semitrasparenza». Varrone ci parla del marmo lunense tagliato in modo da permettere ai Romani di rivestire le loro case con quel materiale candido. Rutilio Namaziano ricorda invece «la lucentezza superba del marmo, il colore che sfida le nevi intatte». Anche autori come Ennio, Giovenale, Stazio e Tito Livio testimoniano
l’attività di escavazione e esportazione del marmo delle Alpi Apuane2.
Tagliato in lastroni con seghe idrauliche, il marmo lunense giunge via mare al Tevere, per
risalire il fiume fino Roma, dove viene utilizzato nella costruzione degli edifici imperiali. Il marmo è utilizzato nella statuaria, negli arredi e nell’artigianato artistico. Monumenti importanti sono il Pantheon di Agrippa, la Piramide Cestia, il Portico di Ottavia,
il Tempio di Apollo Palatino e quello della Concordia, il Foro e la Colonna Traiana, l’Arco di Costantino e la strada intitolata a suo nome. Il marmo diventa espressione del po33
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tere visibile e imponente. Tutto è scolpito e modellato con il marmo: colonne, capitelli,
statue e bassorilievi.
Dopo la caduta dell’Impero Romano, in Lunigiana si ha un lungo periodo di decadenza e l’attività di estrazione e lavorazione del marmo subisce un forte rallentamento. L’arte paleocristiana e medioevale riutilizza i marmi lapidei dei templi e delle case in rovina. Il commercio
di questi resti, fiorente sia a Roma che nelle altre città dell’impero, contribuisce a far conoscere il valore dei marmi apuani. Nel diploma dell’imperatore Ottone I del 963, Carrara è ricordata come «curtis» signorile coi suoi «montibus, vallibus, alpibus». Del resto la località deve il suo nome (dalla radice ligure kar = pietra) proprio al materiale che l’ha resa famosa nel
mondo e si è sviluppata all’ingresso delle valli che contengono i principali bacini marmiferi.
Dopo la caduta di Luni nasce il porto di Avenza, situato sulla «costa antica»3.
Centro amministrativo oltre che religioso del territorio è la pieve di Sant’Andrea, che nei
secoli XI-XIV si trasforma nell’elegante Duomo con la facciata romanico-gotica e il prezioso rosone in marmo. All’interno si possono ammirare due statue, le «Cassanelle», Vergine e Angelo nunziante, di raffinata esecuzione (sec. XV), il pulpito (sec. XVI) e le statue
dell’antico altare maggiore. La piazza del Duomo è sovrastata dall’imponente campanile e
sorvegliata dal «Gigante» della cinquecentesca fontana marmorea di Baccio Bandinelli4.
Su Carrara dominano prima il vescovo-conte di Luni e successivamente i Malaspina, che
si occupano delle prerogative sul commercio dei marmi. In questo periodo Dante Alighieri svolge un’importante mediazione diplomatica per conto dei marchesi. La venuta in Lunigiana è documentata nel 1306 per partecipare alla conclusione della pace fra i Malaspina e il vescovo Antonio Nuvolone da Camilla5. Franceschino Malaspina il 6 ottobre 1306
«ante missam», nella piazza Calcandola di Sarzana, per rogito del notaio Giovanni di Parente Stupio, a nome suo e dei congiunti Moroello e Corradino, nomina Dante procuratore per dirimere annose questioni di diritti vantati sui castelli lunigianesi di Sarzana,
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Carrara, Santo Stefano e Bolano. Subito dopo il poeta sale al paese di Castelnuovo e nel
palazzo vescovile «in ora tertia» stipula l’auspicata pace favorevole ai Malaspina6. Il “divino” poeta nel XX canto dell’Inferno scrive: «Aronte è quei ch’al ventre li s’atterga / che né
monti di Luni, dove ronca / lo Carrarese che di sotto alberga, / ebbe, tra’ bianchi marmi la
spelonca / per sua dimora onde a guardar le stelle / e al mar non li era la veduta tronca».
Rendendo così lode ai monti di Carrara dove immagina fosse vissuto l’indovino Aronte.
Nel periodo gotico l’utilizzo del marmo di Carrara va oltre i confini tradizionali e questo
grazie all’abilità scultorea di Nicola e Giovanni Pisano. Infatti, Nicola Pisano nel 1265 sceglie proprio a Carrara i marmi statuari per il pulpito del duomo di Siena e da allora in poi
c’è un continuo giungere di scultori e architetti che vengono per trovare la materia prima
per le loro opere7. Nel corso del Trecento la costruzione delle cattedrali di Pisa, Firenze, Siena e Orvieto determina la rinascita delle attività marmifere a Carrara. I più presenti e attivi sono i fiorentini che aprono nuovi punti d’estrazione attorno all’antica cava del Vescovo di Luni in località Zampone, all’inizio della valle di Torano8. I lavori di completamento della cattedrale di Firenze, con la cupola e le cantorie, richiedono sempre più la
collaborazione di «carratori» e «lizzatori» locali, preparando la formazione di maestranze
esperte nell’escavazione e nel lavoro di «sbozzatura» del marmo statuario9.
Dalla metà del Quattrocento il destino di Carrara è indissolubilmente legato a quello di
Massa, in un rapporto spesso improntato alla conflittualità. Carrara è infatti parte integrante del marchesato Malaspina e del ducato dei Cybo. L’attuale palazzo dell’Accademia
di Belle Arti è l’antica residenza della famiglia Cybo e il luogo più rappresentativo della
città. Piazza Alberica, porta anche nel nome, oltre che nelle architetture tardo-rinascimentali
che la circondano, il segno del dominio del più importante rappresentante dei Cybo, Alberico I, cui si deve la fondazione moderna della città10.
L’industria marmorea si sviluppa soprattutto durante il periodo dei Medici in cui i marmi
estratti dalle cave di Carrara vengono utilizzati per impreziosire le costruzioni architettoniche di Firenze. La cultura umanistica non manca di celebrare la magnificenza del bianco marmo che si cava da quei monti. Flavio Biondo, uno dei maggiori storici italiani del Quattrocento, ricomponendo il quadro architettonico-urbanistico ed istituzionale dall’antica Roma, ricorda Luni e le antiche cave, nella prima illustrazione storico-geografico della storia
L’interno
di uno studio d’arte.
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Imperia - Porto Maurizio,
Cattedrale: San Maurizio,
scultura in marmo
di Carrara del 1840.
A fronte
Il “Gigante” della
cinquecentesca fontana
marmorea di Baccio
Bandinelli in piazza
del Duomo a Carrara.
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moderna: L’Italia illustrata. L’umanista Leon Battista Alberti, nel suo De statua, dice che i marmi lunensi sono gli unici
paragonabili a quelli dell’isola di Paro. Michelangelo ritorna più volte a Carrara, soggiornandovi anche a lungo per cercare i marmi da scolpire e per seguire la lavorazione delle
opere che gli erano state commissionate dalla famiglia dei
Medici. La sua presenza contribuisce a dar fama alle cave di
marmo statuario di Polvaccio, una località nella valle di Torano, più in alto e lontana rispetto alle cave fiorentine di Sponda o a quelle signorili di Zampone11. Esiste ancora oggi ed è
attiva la «Cava di Michelangelo». Il Vasari ricorda nelle Vite
il rapporto privilegiato che Michelangelo ha con Carrara12.
Il prestigio raggiunto da Carrara e dai suoi artigiani nei primi decenni del Cinquecento è testimoniato dalla presenza
di Baccio Bandinelli e del Tribolo, che in questo luogo si procurano materiali e manodopera. Nel 1519 l’artista spagnolo Bartolomè Ordonez giunge a Carrara per conto della corte reale spagnola e di alcune famiglie importanti. La morte
di Ordonez, avvenuta nel dicembre del 1520, non interrompe
l’attività del laboratorio in cui una dozzina di scultori continuano il suo lavoro, diffondendo il gusto ornamentale tipico del suo stile. Il prestigio della bottega è rappresentato
da varie opere commissionategli, come il sepolcro dei re cattolici Felipe e Juana nella Cappella Reale di Granada e il sepolcro del cardinale Cisnoros nel Parrocchiale di Alcalà. Tra
le opere realizzate a Carrara in questo periodo troviamo il
Tempietto della SS. Annunziata di Pontremoli, attribuito a
Jacopo Sansovino, l’altare di Domenico Gareth nella Pieve di Trebbiano, l’altare di SS. Sacramento e il Sepolcro di Eleonora Malaspina, nel Duomo di Massa13.
Le «nuove» cave di Carrara alla metà del Cinquecento sono ormai famose tanto che un architetto e artista, Pietro Cattaneo, dedicando una parte di una sua opera letteraria alla descrizione dei vari tipi di marmo, esalta soprattutto quelli carraresi. Padre Agostino Superbi, autore di un discorso sulle origini e sull’antichità di Carrara, composto nel 1598, evidenzia in una lettera l’equivalenza fra Luni e Carrara nel tentativo di promuovere una nuova immagine della città, in accordo con i marchesi Cybo. In questo periodo operano a
Carrara Danese Cattaneo, artista carrarese allievo del Sansovino; Agostino Ghirlanda che
è impegnato nel completamento del cimitero di Pisa; Felice Palma e i fratelli Calamec14.
Questa situazione di prestigio viene meno nella seconda metà del secolo con la crisi della produzione e del commercio. Mentre i prezzi del marmo alla cava risultano stabili, i
noli marittimi crescono sempre più. La gran parte degli artigiani è costretta a cercare
fuori il lavoro presso nuovi maestri e botteghe. Nel Seicento arrivano a Roma, a Napoli e a Firenze molti scultori carraresi che testimoniano questa nuova tendenza ad emigrare. La migrazione degli scultori dura fino alla metà del secolo, quando, perduto il
grande potere di attrazione di Roma e di Napoli, le cose cambiano. A testimoniare questo è lo scultore Giovanni Baratta che, dopo aver lavorato per lungo tempo a Roma ed
in altre grandi città italiane, ritorna ad aprire “bottega” a Carrara. La presenza contemporanea di due botteghe, quella dei Bergamini e quella dei Lazzani, sembra riaprire anche localmente nuovi spazi e possibilità. Il lavoro di queste due botteghe si svolge a Carrara e nelle città vicine come Massa, Pisa, Lucca, Modena e Piacenza15.
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Pur operando, quindi, in zone diverse, questi artisti hanno
come punto di riferimento la loro città e la loro emigrazione
è sempre temporanea. Questo comportamento si verifica soprattutto nel Settecento. Infatti gli scultori Pietro Baratta, Giovanni Antonio Cibey, Gian Domenico Olivieri e i Vaccà, nati e formatisi a Carrara, emigrano ed ottengono fama altrove, per poi ritornare a lavorare nella loro città d’origine. I marmi greggi vengono spediti a Roma, a Napoli, a Londra e soprattutto a Parigi dove vi lavorano molti scultori. Invece a Pietroburgo vengono inviati molti lavori di scultura e se ne ottiene un rilevante profitto. In Olanda sono spedite lapidi, mortai e quadrelle. Nel 1772 l’Accademia delle Belle Arti inaugura una nuova politica economica per aumentare la lavorazione locale e formare nuovi scultori attraverso il perfezionamento di laboratori artigianali gia esistenti.
La Rivoluzione Francese distrugge l’organizzazione commerciale, isolando Carrara dai principali clienti, inglesi, russi e olandesi. Tuttavia la città si risolleva grazie al prestigio delle tradizioni, all’Accademia, ai cavatori, ai laboratori, ma soprattutto ai suoi scultori. Negli anni di Napoleone l’ex ducato dei Cybo-Malaspina viene unito al principato di Lucca e
Piombino ed affidato a Felice Baciocchi. La ripresa dell’attività è testimoniata dalla riapertura nel 1804 dell’Accademia
delle Belle Arti che nel suo nuovo nome «Scuola Speciale di
Scultura» appare subito destinata ad un ruolo più attivo. La
novità è la Banca Elisiana, dal nome della principessa Elisa
Baciocchi, che ha il compito di finanziare gli operatori del
marmo con anticipazioni in denaro. Per promuovere la diffusione dei migliori prodotti delle botteghe locali, viene creata una galleria dove sono esposte e vendute le sculture ed è
prevista la realizzazione di un catalogo annuale delle opere
prodotte. I risultati di queste iniziative sono positivi: i laboratori trovano impulso e mentre nascono nuove botteghe. Le
esportazioni riprendono bene e riguardano qualsiasi tipo di
materiale, dai blocchi abbozzati e riquadrati ai monumenti
napoleonici e ai ritratti della famiglia imperiale16.
Il dominio dei Baciocchi lascia in città un’Accademia in grado di formare validi artisti. La presenza di scultori di forte
personalità e di grande fama come Canova e Duprè, Bartolini e Chinard, Comolli e Dupaty, Tieck e Rauch, alimenta
un clima di grande prestigio che nessuno può più cancellare. Lo studio Lazzerini, che è diventato uno dei più importanti della città, nei primi decenni dell’Ottocento prepara i
marmi per l’Arco della pace di Milano, opera di Luigi e Giuseppe Franchi, il monumento a Macchiavelli in Santa Croce a Firenze e una grande statua di Washinghton per gli Stati Uniti. Anche il tedesco Cristian Daniel Rauch si serve dello studio per la realizzazione dei suoi capolavori, fra cui il
monumento equestre a Federico il Grande, ma la celebrità
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Il rosone trecentesco
del Duomo dedicato
a Sant’Andrea.
Palazzo Pisani, cariatidi
raffiguranti le Quattro
Stagioni.
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dei Lazzerini è data dai lavori svolti dal più famoso scultore
del momento, Bertel Thorwaldsen. L’artista danese, che a Roma ha lavorato con l’aiuto di Pietro Tenerani, fa eseguire la
costruzione della statua di Mercurio, del Redentore, del Putto con la lira, oltre al gruppo della Carità17.
Nei decenni successivi l’organizzazione degli studi carraresi
si adegua alle nuove tendenze nella scultura e all’uso in architettura del marmo. Si continuano a copiare le opere antiche, ma i grandi monumenti civili e religiosi che vengono
ordinati richiedono laboratori di tipo industriale. Intorno
alla metà del secolo gli studi sono sessantaquattro e viene
operata la distinzione tra le botteghe di scultura e i laboratori di architettura. Anche in Italia si diffonde la costruzione delle «città di marmo», i nuovi cimiteri urbani. La trasformazione del lavoro di scultura come quella della realizzazione dei marmi di ornamento fa un passo decisivo. Sono
realizzate le «tombe dei grandi»: il monumento di Vittorio
Alfieri del Canova e quello di Rossini, opera di Cassioli, realizzati entrambi per il Pantheon di Santa Croce18. Dopo la
metà del secolo avanza la meccanizzazione, come nel caso
del laboratorio Bonanni molto conosciuto per l’introduzione e l’uso di nuovi attrezzi. La veloce e crescente divisione del
lavoro è assecondata dai processi di meccanizzazione.
L’innovazione più importante è l’introduzione del filo elicoidale che permette di tagliare il marmo sfruttando l’azione abrasiva della sabbia silicea. Inventato e brevettato nel
1854 dall’ingegnere belga Chevalier per le miniere di carbone, sperimentato nel 1889 dal laboratorio Walton per il
taglio del marmo in segheria, il primo impianto di filo elicoidale, mosso da un motore a petrolio, è introdotto alla fine del 1895 in una cava dei Fantiscritti dall’industriale Adolfo Corsi, imitato poco dopo dai fratelli Faggioni19.
Col Novecento il processo d’industrializzazione s’indirizza
sempre di più verso grandi aziende che impiegano decine di
addetti e introducono macchinari sempre più moderni ed efficaci. Il laboratorio di architettura tende ormai a predominare su quello di scultura poiché la modernizzazione delle città richiede una grande quantità di marmo per la decorazione e l’arredo urbano. I lavori commissionati necessitano di
una organizzazione aziendale che solo le fabbriche possono
avere, come la realizzazione delle decorazioni per la cattedrale di Sofia. Grazie allo sforzo collettivo dei laboratori delle ditte di Paolo Triscornia, Vincenzo Bonani e Figli, della Walton
Goodly e Crips, è possibile far operare i modellatori, i disegnatori e centinaia di artigiani,
scalpellini e scultori in grado di completare in due anni un’opera eccezionale20.
Tuttavia all’inizio del nuovo secolo tutto il settore della lavorazione artistica del marmo
mostra evidenti segni di cedimento rispetto al settore estrattivo. La crisi del 1929, che sconvolge anche il settore della lavorazione del marmo, ridona ai laboratori artigianali una speranza di ripresa. Infatti, di fronte alla crisi finanziaria, le aziende a gestione familiare resistono meglio delle grandi industrie. Negli anni Trenta scompaiono laboratori come quel-
Note
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lo della Società Marmifera Ligure, quello della Walton e lo studio Lazzerini. La seconda
guerra mondiale e la vicenda del dopoguerra rendono vane le speranze precedenti. L’avversione contro tutto quello che il fascismo ha rappresentato s’identifica negativamente
contro il marmo bianco, un materiale che ha rappresentato più di ogni altro il regime.
Per riscoprire il valore del marmo occorre attendere tempi migliori. Quando, a ricostruzione avvenuta, si fa il punto sulla produzione di marmetti, scaglie, lastre, delle 200 ditte
esistenti negli anni Cinquanta solo 19 sono impegnate nelle tradizionali lavorazioni artistiche e la grande parte dell’attività si è ormai ridotta. Lo sviluppo del settore è legato
ormai a una organizzazione di tipo industriale. La Biennale di Scultura iniziata nel 1957 richiama su Carrara l’attenzione di artisti, critici e mercanti. Né ha grande fortuna
la Mostra Nazionale del Marmo che prova a riconquistare
uno spazio nel campo dell’architettura e delle arti. Le possibilità di ripresa delle lavorazioni artistiche più che contare sull’aiuto delle amministrazioni si devono basare sulle antiche tradizioni locali.
Le cave, come neve perpetua, continuano a imbiancare le
fiancate delle Alpi Apuane e tramandano una tradizione radicata da millenni. Anche se molti mestieri sono oggi scomparsi (mollatori, scavatori, lizzatori, legnaroli…) e le tecniche di scavo e recupero hanno reso il lavoro meno pericoloso e faticoso, l’epopea del marmo continua anche ai nostri giorni. Grandi artisti e scultori contemporanei attingono alle cave di Carrara come Francesco Messina, Mario
Sironi, Bartolomeo Ordones, Arturo Martini, Luoise Bourgeois, Henry Moore, Arturo Dazzi, Carlo Sergio. Storie di capolavori strappati alla roccia,
di lavoro ingrato ed esaltante, di passioni viscerali con una terra amata e celebrata nei secoli. Carrara e i bacini marmiferi sono l’identità di un popolo, rappresentano la testimonianza di rapporti forti e difficili tra artisti, maestri, artigiani e semplici scavatori.
Palazzo Del Medico
in piazza Alberica.
Cfr. M. Della Pina, op. cit., pp. 26-27.
Cfr. L. Migliaccio, Carrara e la Spagna nella scultura del primo
Cinquecento, in AA.VV., Le vie del marmo. Aspetti della produzione e della diffusione dei manufatti marmorei tra ‘400 e ‘500, cit.,
pp. 101-132; G. Benelli, La SS. Annunziata di Pontremoli, «I quaderni della Fondazione “Città del Libro”», n. 3, Pontremoli 1978.
14
Cfr. M. Della Pina, op. cit., pp. 28-31.
15
Cfr. M. Della Pina, Il marmo e la storia economico-sociale carrarese nei secoli XVII e XVIII: linee e momenti dello sviluppo della
produzione e del commercio, in AA.VV., Produzione e mercato del
marmo dal passato a oggi. Significato delle variazione storiche: problemi, realtà e prospettive, Carrara-Pisa 1980.
16
Cfr. P. Ceccopieri Baruffi, I marmi dei Cybo da Massa al Quirinale, Massa 1985.
17
Cfr. AA.VV., Scultura a Carrara: Ottocento, Cassa di Risparmio
di Carrara, Bergamo 1993.
18
M. Bertozzi, Fra arte e mestiere: il ritorno della scultura, in AA.VV.,
Scultura a Carrara: Ottocento, cit., pp. 63-64.
19
P. Jervis, Braccia, dinamite e macchine. Cambiamenti tecnologici e sviluppo delle cave, in AA.VV., Paesaggi del marmo. Uomini e
cave nelle Apuane, cit., pp. 97-100.
20
Cfr. C. Greppi, Una montagna anomala. I paesi del marmo fra
Otto e Novecento, in AA.VV., Paesaggi del marmo. Uomini e cave
nelle Apuane, cit., pp. 47-81.
12
13
E. Repetti, Cenni sopra l’Alpe Apuana ed i marmi di Carrara, Badia Fiesolana 1820, p. 31.
2
Cfr. Ch. Klapisch-Zuber, Carrara e i maestri del marmo (13001600), Massa 1973, pp. 65-70; M. Bertozzi, Michelangelo e gli altri. Marmorarii scultori e mercanti dalle origini alla fine del Settecento, in AA.VV., Paesaggi del marmo. Uomini e cave nelle Apuane, Venezia 1994, pp. 28-29.
3
Cfr. P. Giorgieri, Carrara, Roma-Bari 1992, pp. 13-16.
4
Cfr. A. Bernieri, Carrara, Genova 1985, pp. 101-102.
5
Cfr. L. Galanti, Il soggiorno di Dante in Lunigiana, Centro Dantesco, Mulazzo 1985, pp. 27-50.
6
I documenti sarzanesi furono pubblicati nel 1767 da Giambattista Lami sulle fiorentine «Novelle letterarie», XXVIII (1767), pp.
603.633.
7
E. Mercuri, Marmora di Carrara, Carrara-Genova 1980, p. 1980.
8
Cfr. Ch. Klapisch-Zuber, op. cit., pp. 115-151.
9
M. Della Pina, Carrara e il marmo tra Quattrocento e Cinquecento, in AA.VV., Le vie del marmo. Aspetti della produzione e della diffusione dei manufatti marmorei tra ‘400 e ‘500, Firenze 1992,
p. 25.
10
Cfr. P. Giorgieri, op. cit., pp. 45-70.
11
Cfr. Ch. Klapisch-Zuber, op. cit., p. 162-164.
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