Retrospettiva: “CINEMA ARABO, STRUMENTO DI

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Retrospettiva: “CINEMA ARABO, STRUMENTO DI
Retrospettiva: “CINEMA ARABO, STRUMENTO DI DIALOGO E DI PACE”
2° edizione delle Giornate del cinema universitario del Piemonte
dal 26 al 31 Maggio 2008 nelle aule 1T e 2T presso Politecnico di Torino.
In questa seconda edizione della rassegna “Giornate del cinema universitario del Piemonte”,
abbiamo scelto di rendere un omaggio ai valori culturali e sociali della cinematografia
contemporanea del mondo arabo. Organizzando una retrospettiva sul tema seguente
“CINEMA ARABO, STRUMENTO DI DIALOGO E DI PACE” con la proiezione di otto
capolavori in lingua originale prodotti nel corso degli ultimi 5 anni in sei paesi del mondo
arabo. Alla scoperta della Tunisia, il Marocco, l’Algeria, l’Egitto, il Libano e la Palestina.
- Omaret Yacoubian di Marwan Hamed (Egitto, 2006, 175', 35 mm, col.)
Opera prima del giovane regista egiziano Marwan Hamed, Omaret Yacubian (Yacoubian
Building) è stato presentato in prima italiana nella sezione Extra della Festa
Internazionale di Roma, dopo la prima mondiale al Festival di Berlino, la presentazione al
mercato di Cannes e la selezione in concorso alla Biennale “des Cinémas Arabes di
Parigi”, dove ha raccolto numerosi premi: il Grand Prix IMA per il Miglior film, il premio
IMA per il sostegno alla distribuzione e il Premio per il miglior attore, attribuito
collettivamente a tre degli attori del film (Adel Imam, Nour El-Sherif et Khaled ElSawy). La consacrazione finale è arrivata con il premio per la migliore opera al Tribeca
Film Festival.
Il film è l’adattamento per il grande schermo del romanzo omonimo di Alaa El Aswany,
un best-seller in tutto il mondo arabo che è stato già tradotto in molte lingue (in Italia è
edito da Feltrinelli). Anche la versione cinematografica del libro ha tutti i numeri per
diventare un “best-seller” ed infatti il film ha già fatto parlare molto di sé, grazie al più grosso
budget della storia del cinema egiziano (circa 18 milioni di lire egiziane, ovvero 2,5 milioni
di euro) e a un cast che raccoglie le più grandi star del cinema egiziano ed arabo.
Malgrado la maestosità dell’impresa mediatica, però, possiamo ben dire che il film è stato
realizzato in famiglia: il regista Marwan Hamed ha lavorato fianco a fianco con lo
sceneggiatore Wahid Hamed, che non è altri che suo padre. Un passaggio di testimone di
padre in figlio, dalla sceneggiatura alla messa in scena, per dare un ritratto a tutto tondo
della storia dell’Egitto nei suoi ultimi cinquant’anni.
Il cuore del film è costituito da Palazzo Yacoubian, un edificio moderno e accogliente
costruito al centro del Cairo negli anni Trenta da un ricco armeno ed ora ridotto a semplice
reperto di uno splendore ormai tramontato. Oggi, attraverso le storie intrecciate degli abitanti
del palazzo, il film traccia un ritratto senza veli dell’Egitto moderno: una società complessa,
in cui si mescolano corruzione politica, integralismo islamico, spaccature sociali, mancanza di
libertà sessuale e oppressione della donna. Le vicende movimentate dei diversi personaggi
riassumono le differenti classi sociali e i diversi aspetti della società egiziana: il regista sceglie
il racconto corale, genere assai raro nel cinema egiziano, ma assai in voga nella letteratura
(basti pensare a Naguib Mahfouz, per citare uno dei più grandi romanzieri egiziani, di recente
scomparso).
Il trailer ufficiale del film, uscito da poco in Francia e distribuito per Bac Films, presenta i
diversi personaggi a seconda della loro ubicazione nel palazzo: un’idea molto pratica per
riassumerne la storia, che vale la pena riprendere. Al primo piano, ecco Haj Azzam (Nour El
Sherif): ex lustrascarpe arricchitosi grazie a degli affari illeciti, è un parvenu senza alcuna
morale e dalle grandi ambizioni politiche, che ha il rosario sempre tra le mani, ma non esita a
costringere ad abortire la seconda moglie, sposata di nascosto. Al secondo piano, Hatem
Rachid (Khaled El Sawy): giornalista omosessuale, di madre francese, si lega a un giovane
militare arrivato al Cairo da un villaggio del Sud con la moglie, e riesce a sedurlo in cambio
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del sostegno economico. Al terzo piano, Zaki El Dessouki detto Zaki Pacha (Adel Imam):
figlio di un antico pacha, la storia del palazzo è anche la storia della sua famiglia. Viveur
rinchiuso nel suo passato aristocratico, Zaki frequenta i locali malfamati, diviso tra le critiche
della sorella e il sostegno affettuoso della sua amica Catherine (Yousra). Infine, all’ultimo
piano, le famiglie povere dei due giovani fidanzati Bothayna e Taha. Taha (Mohamed Imam,
figlio di Adel) studia e sogna di diventare poliziotto, ma viene rifiutato a causa della sua
povertà. Bothayna (Hend Sabry) è una giovane donna ribelle e pura che, per mantenere la
famiglia, deve sopportare le avances sessuali dei datori di lavoro. Quando Taha si avvicina
agli integralisti, lei lo lascia e si lega di un’amicizia amorosa al vecchio Zaki.
Risulta chiaro, già da questo breve résumé, il motivo per cui prima il romanzo e poi il film
hanno suscitato tanto scalpore: il regista, come lo scrittore, affronta senza alcun velo il tema
dell’omosessualità, argomento tabù nella società egiziana e nel resto del mondo arabo, ma
anche molti altri argomenti di scottante attualità, come la corruzione dei più alti livelli dello
Stato, la violenza della polizia e la montata integralista. Come nel film Les Enfants du
paradis, o in una moderna versione della Divina commedia, sono i personaggi che si trovano
più in alto – i giovani che abitano in piccionaia (al teatro come nella vita) – ad avere il cuore
più puro e la mente piena di belle speranze, ma finiscono per essere spezzati o trasformati
dalla corruzione che li circonda. Il film è molto importante, soprattutto perché ci offre il
ritratto di una società in putrefazione, in cui le differenze di classe e le frontiere culturali
tracciano delle barriere pressoché insormontabili. Marwan Hamed dà prova di maestria nella
direzione degli attori e nel saper dominare una sceneggiatura complessa grazie a uno stile
classico e a un ritmo sostenuto, che cattura l’attenzione dello spettatore per tutte le tre ore del
film.
Nonostante questo, però, c’è qualcosa che non funziona sul piano della definizione dei
personaggi e del loro destino all’interno dell’universo del film. Proprio per la tensione
costante a denunciare un tema sociale o a simbolizzare una tendenza della società egiziana,
ogni personaggio anziché evolvere finisce per rimanere bloccato in una identità scolpita nel
marmo e così le regole filmiche finiscono per essere speculari a quelle imposte dalla società.
Un limite che appare particolarmente evidente nell’immagine stereotipata dell’omosessualità;
nonostante tutte le polemiche che il film ha suscitato per averla mostrata pubblicamente; che
viene legata a un evento traumatico e che viene espiata nel corso del film. La violenza subita
da Hatem sembra motivare la sua omosessualità una volta divenuto adulto. Un dettaglio assai
significativo se consideriamo che anche Taha subisce un’analoga violenza in prigione e che
entrambi pagano con la morte la conseguenza del trauma vissuto: l’omosessualità per Hatem e
l’integralismo per Taha.
Nella dissolutezza generale, l’unica coppia che sembra salvarsi è lo strano duo formato dal
vecchio Zaki e la giovane Bothayna: il passato e il futuro, l’aristocrazia e la bellezza. Adel
Imam, grande star del cinema egiziano, è stato definito “il Charlie Chaplin arabo” e qui, come
un moderno Charlot, danza con una ragazza povera ma bella (la stupenda Hend Sabry) verso
un nuovo Egitto. Ma è una speranza tinta di nostalgia…
- El Khoubz el Hafi / Il Pane Nudo di Rachid Benhadj
(Marocco/Algeria/Italia/Francia, 2006, 100’, 35 mm, col.)
Un vero capolavoro nel quale il regista Italiano d’origine Algerine Rachid Benhadj ci
racconta la storia di Mohamed è un bambino come tanti altri, ma la sua famiglia è povera, il
padre alcolizzato e violento, la madre costretta a lavorare per mantenere tutta la famiglia. Gli
anni Cinquanta in Marocco sono difficili, non c’è spazio per l’infanzia, il gioco e la
spensieratezza di cui dovrebbero godere tutti i bambini del mondo.
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Mohamed cresce in fretta, lascia la famiglia, inizia a vagare tra i vicoli e le strade, di notte,
alla ricerca di cibo, di un riparo, di una serenità che riesce a trovare solo in una squallida
sessualità malata, frequentando i bassifondi e i luoghi più malfamati della città di Tangeri,
come molti altri bambini della sua età.
Nel frattempo il Marocco si sta svegliando dal lungo sonno coloniale e grandi manifestazioni
di protesta cominciano a scuotere il paese. Ormai ventenne, partecipa alle sommosse
politiche, e a causa di una retata, si ritrova in prigione.
Compagno di cella, un detenuto politico intento a scrivere sul muro una poesia. Da quel
momento sente il bisogno di imparare a leggere scrivere: è l’inizio di una nuova vita. Nasce la
rabbia necessaria per liberarsi da una miseria ancora più grande: quella dell’ignoranza e
dell’analfabetismo. Si iscrive alla scuola pubblica, e diventa maestro elementare. Per
insegnare ad altri bambini ad imparare a fuggire dalla miseria. Mohamed Choukri diventerà il
più grande scrittore del Marocco moderno iniziando la sua produzione letteraria proprio con il
libro “Il pane nudo” , dal quale è stato tratto il film.
- Falafel di Michel Kammoun (Libano / Francia, 2005, 83’, 35 mm, col.)
In questo film di Michel Kammoun, Beirut appare come una città di giovani alla ricerca di
qualcosa di diverso che possa cambiare in meglio la propria vita. Toufic, il protagonista,
mantiene la famiglia e coccola il fratellino, appassionato di cinema, ma rischia di perdersi
nelle viscere di una metropoli che può scatenare la violenza solo per un posteggio rubato. Il
film si svolge tutto in una notte, fra i sogni e gli incubi della gioventù libanese. Il regista
riesce a mescolare abilmente tocchi realistici – e in parte autobiografici (il film è
dedicato al fratello Roy morto nel 1997 ad appena 18 anni) – con pennellate surreali, come
il racconto del mitico "falafel che fugge" (che si verifica solo ogni 6 mesi) o la pioggia di
falafel che cade come manna sulla città che dorme.
- BAB’AZIZ - LE PRINCE QUI CONTEMPLAIT SON ÂME di Nacer Khemir
(Tunisia/Francia /Iran, 2005, 96’, 35 mm, col.)
Con “Bab’Aziz – Le Prince qui contemplait son âme”, Khemir chiude una sorta di
trittico sul deserto come luogo concreto e insieme letterario, astratto. Continuando la sua
poetica ispirata all’universo tradizionale delle fiabe e della mistica araba classica, l’itinerario
del film si svolge a spirale, senza un’apparente storia compiuta con un inizio e una fine: i
personaggi si susseguono e si incrociano, incarnando ciascuno in modo diverso il tema della
ricerca e dell’amore universale, attraverso la poesia, la musica e la danza. Con uno stile e un
immaginario personalissimi, Khemir ci mostra come il fondamentalismo sia in realtà lo
specchio deformante dell’Islam: citando esplicitamente due mistici sufi, il film ci mostra una
cultura arabo musulmana tollerante ed ospitale piena di amore e di saggezza. L’immagine del
principe che si contempla nello specchio è - come l’immagine del deserto, immobile eppure
sempre in movimento - anche una metafora del cinema, e del cinema di Khemir in particolare:
uno spazio-tempo altro, che invita alla meditazione e alla perdita di sé.
- Paradise Now di Hany Abu-Assad (Palestina/Israele/Francia/Germania/ Olanda,
2005, 90’, 35 mm, col. )
Non dimenticheremo facilmente questo film del regista palestinese Hany Abu-Assad,
realizzato in parte a Nablus (Palestina), con comparse scelte sul luogo e finanziato in parte
con capitali israeliani, é stato in corsa agli Oscar 2005 come miglior film straniero.
Il film ha vinto numerosi premi: il Golden Globe per il miglior film straniero, Independent
Spirit Awards 2006: miglior film straniero, National Board of Review Awards 2005: miglior
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film straniero…). Un'opera che giustamente Amnesty Internationl ha deciso di adottare,
perché vale più di tanti appelli generici e impersonali. Qui ci sono degli uomini, veri, con
le loro contraddizioni, colti nel momento dal quale non si ritorna. Non c'
è ombra di
compiacimento nel racconto dei due kamikaze, non viene voglia di fare il tifo per gli uni o per
gli altri. Vien solo voglia di dire basta a un odio che inghiotte tutto, come un buco nero.
Prima la pace, poi tutto sarà più chiaro.
Il regista Palestinese ci racconta la storia di Said (Kais Nashef) e Khaled (Ali Suleiman) che
sbarcano il lunario come meccanici in un cimitero d'
auto che domina la città di Nablus, stretta
tra i monti della West Bank sottoposta all'
occupazione delle truppe israeliane. Entrambi
sorretti da una fede assoluta, vivono alla giornata, senza una reale speranza nel futuro. Said è
anche ferito dalla consapevolezza di essere figlio di un collaborazionista, ucciso per ordine
dell'
autorità palestinese come traditore. Said e Khaled sono due aspiranti kamikaze. E il loro
giorno arriva. Il racconto li segue minuzioso durante le diverse fasi preparatorie, compresa la
realizzazione del videotestamento, che tuttavia rivela un lato umoristico: la macchina da presa
infatti si inceppa e il povero Khaled è costretto a ripetere più volte il suo drammatico saluto
alla vita, trovando così anche il tempo per fornire alla madre utili indicazioni sui luoghi
migliori dove andare a fare la spesa. L'
ora X arriva, ma qualcosa va storto e i due giovani
sono costretti a una fuga precipitosa. Khaled riesce a tornare indietro, in tempo per essere
privato del suo carico letale. Said invece, dopo aver superato indenne il valico che separa la
zona israeliana da quella palestinese, raggiunge una fermata d'
autobus dove si trovano alcuni
coloni in attesa. Seguono attimi di tensione altissima. La cordicella che comanda l'
innesco
brucia nella mani del kamikaze... Ma poi la vista di un mamma con la sua bambina lo
distoglie dall'
atto definitivo. Tornato nella zona palestinese, Said vaga per la città, sempre più
disperato. Non sa che è in corso una doppia caccia all'
uomo e che l'
obiettivo è proprio lui: da
un lato l'
amico, che vuole salvarlo a tutti i costi, credendo nella sua fedeltà alla causa;
dall'
altra i miliziani, che temono che sia stato catturato e abbia spifferato tutto al nemico. Alle
ricerche partecipa anche Suha (Lubna Azabal, vista anche in Exils), la figlia di un martire
della resistenza, volontaria di un'
associazione pacifista, che quando scopre la missione suicida
dei due amici si prodiga per convincerli a desistere. Suha è anche innamorata di Said, che
però vive l'
adesione alla lotta più profondamente di qualunque sentimento personale.
L'
ultima notte trascorsa in casa, con accanto un emissario dell'
organizzazione inviato per
impedire ripensamenti dell'
ultimo minuto; il trasferimento nel luogo segreto dove gli aspiranti
suicidi sono lavati, depilati e fotografati per essere immortalati sui manifesti che saranno
affissi ovunque in città dopo il loro martirio; la vestizione con abiti eleganti, utili per
mischiarsi ai coloni israeliani che saranno il loro obiettivo. Sotto quegli abiti, indossano la
cintura di esplosivo dotata di un timer automatico che non possono disinnescare: per farsi
esplodere devono semplicemente tirare una cordicella; la scena drammatica e umoristica
insieme del videotestamento...
- La Boite Magique / The Magic Box / La Scatola Magica di Ridha Behi
(Tunisia/Francia, 2003, 90’, 35 mm, col.)
Behi, autore non nuovo alle storie di viaggi nel mondo arabo, ha diretto nel 1994 “Les
Hirondelles ne meurent pas à Jerusalem”, primo film sui possibili accordi di pace tra Israele e
Palestina in cui un Richard, giornalista francese, alla notizia di una soluzione pacifica
possibile, parte alla volta di Israele per realizzare un servizio. “La boite magique” segna il
suo ritorno alla regia, il film è stato presentato alla Mostra di Venezia 2002 (Fuori
Concorso).
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In questo film Behi ci racconta la storia di Raouf un regista tunisino che ha superato i 40 anni.
Sua, francese, vuole lasciarlo e lui piomba in una crisi creativa ed esistenziale. Una
televisione europea gli commissiona un film sul suo rapporto con il cinema durante l'
infanzia.
Raouf comincia un viaggio a ritroso: il cinema come rifugio da un padre autoritario e
integralista, lo zio materno proiezionista ambulante...
- Rachida di Yamina Bachir-chouikh (Alegeria/Francia, 2002, 100’, 35 mm, col.)
Nata ad Algeri, Yamina Bachir Chouikh lavora dal 1973 al Centro Nazionale del
Cinema algerino. Ha collaborato con diversi registi come montatrice e sceneggiatrice (ha
lavorato anche per Mohamed Chouikh, suo marito, considerato tra gli autori più
interessanti della cinematografia algerina contemporanea ). Rachida è il suo primo
lungometraggio, prodotto e girato in Algeria dopo anni di difficoltà, in un quadro politico
generale che non poteva che vedere morente la cinematografia del paese. “Non avevo voglia
di mostrare dei massacri, del sangue. Volevo fare un film dove si respirasse la dolcezza
dei personaggi, la poesia di questa cultura” (estratto da un’intervista alla regista in
occasione del Festival del cinema africano di Milano,2003). “Mi sono imposta di non
mostrare la violenza. Perché mostrarla non serve. (…) All’inizio non volevo mostrarli [i
terroristi]. Volevo riprendere solamente le persone che amo. Avevo allora deciso di farli
apparire solo come ombre: per noi era gente conosciuta e, nello stesso tempo, quando
agiscono sono inafferrabili. Se hanno questi visi nel film, è perché la realtà è questa: sono
giovani. Non fanno paura, quando li si incontra per strada. Si mescolano con la folla. È la loro
strategia. Inoltre, non volevo fare un film che fosse un manifesto politico. Volevo raccontare
un dramma, raccontando soprattutto gli uomini. Era il lato umano della storia ad interessarmi.
(…) Nel film, cerco di capire il meccanismo per cui i nostri figli sono diventati violenti. Non
lo sono sempre stati. Un bambino non nasce terrorista... Ciò vuol dire che c’è una
responsabilità da parte del governo, dello Stato, della società.”
Il film è stato presentato al Festival di Cannes 2002 (Un certain regard) e ha vinto il
premio di Miglior lungometraggio al 13° Festival del cinema a fricano di Milano 2003.
Il racconta la storia di Rachida, 20 anni, lavora come insegnante elementare in una scuola di
Algeri. Un mattino viene avvicinata da quattro giovani che le ordinano di portare una bomba
nella scuola, al suo rifiuto le sparano e la lasciano a terra in una pozza di sangue. Soccorsa da
una donna, è portata all’ospedale dove la salvano. Per non ritornare ad essere bersaglio dei
terroristi Rachida, insieme alla madre, si rifugia in incognito in un piccolo villaggio. Anche
nella nuova casa il ricordo terribile la insegue. Il ritorno al lavoro nella scuola locale sembra
riportare il sorriso sul volto di Rachida, ma la violenza sulle donne e il fanatismo sono
nell’aria e si fanno di nuovo terrore. Nella distruzione di un assalto terroristico durante una
festa di nozze, quando ormai sembra tutto finito e la sconfitta sembra impadronirsi ormai del
cuore di tutti, Rachida riprende la sua cartella e ritorna nella scuola distrutta a riscrivere con il
gesso sulla lavagna, di fronte ai suoi piccoli allievi che, alla spicciolata, ritornano. Il film è
ispirato alla vicenda vera di un’insegnante assassinata da terroristi islamici. Obbligata a
portare a scuola una bomba, la donna aveva avvertito la gente della presenza dell’ordigno,
salvando la loro vita ma non la sua, stroncata dalla bomba.
- Satin Rouge di Raja Amari (Tunisia/Francia,2002, 100', 35mm, col.)
«Forse questo film è sul passare del tempo, o sul mutevole carattere delle donne. Lilia, la
madre di famiglia rimasta vedova, con tutti i suoi pregiudizi sulla vita, scopre il proprio corpo,
si confronta con la gente e con un mondo che le sembra malsano e immorale: quello del
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cabaret» (estratto da un intervista con Raja Amari). Il film è stato presentato al 20°
TORINO FILM FESTIVAL (2002) - Concorso Lungometraggi.
In questo film la regista tunisina ci racconta la storia di Lilia è una donna che vive sola a
Tunisi con la figlia Salma, ormai adolescente; ha perso il marito molti anni prima ed è
costretta a cavarsela senza l'
aiuto di nessuno. Per una serie di coincidenze e per proteggere la
figlia, che crede in pericolo, la donna si reca una sera in un locale notturno, che l'
affascina e la
spaventa al tempo stesso. Lilia scopre il mondo della danza, della musica e dei piaceri. Finisce
così per diventare ballerina del locale...
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